Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

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Messaggioda Berto » mer mag 26, 2021 6:51 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven giu 04, 2021 2:15 am

Un'altro sinistrato antisemita antisraeliano filo palestinese e filo nazi maomettani
lo storico Alessandro Barbero



IN REALTÀ TRANNE QUALCHE VOCE DISSONANTE GLI ARCHEOLOGI HANNO SCOPERTO ALTRO MA SE UN DOCENTE UNIVERSITARIO POPOLARE DIFFONDE QUESTE TESI CHE SI PUÒ FARE?

Il Regno di Israele non è mai esistito
Alessandro Barbero
4 mag 2021
https://www.youtube.com/watch?v=MEUiCZK ... e=youtu.be
Alessandro Barbero si sofferma sulla Storia del regno di Israele durante una conferenza sul tema del revisionismo storiografico.


Il Regno Unito di Israele fu, secondo il racconto biblico, il regno unito degli Israeliti formatosi attorno al 1030 a.C. negli attuali Israele, Cisgiordania e Giordania, abitato prevalentemente da Ebrei.
https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_Unito_di_Israele
L'ultimo dei suoi sovrani fu il re Salomone, attorno al 933 a.C.: le tribù del nord contestarono l'autorità di Roboamo, successore di Salomone, e si organizzarono nel Regno d'Israele, retto da Geroboamo, mentre quelle del sud costituirono il Regno di Giuda, governato dalla dinastia davidica.
...
Il 4 agosto 2005, l'archeologa Eilat Mazar ha annunciato di aver scoperto a Gerusalemme quello che potrebbe essere stato il palazzo di re Davide. Ora indicata come la "Grande Struttura di Pietra", la scoperta di Mazar consiste in un edificio pubblico che ha datato al X secolo a.C., un rotolo di rame, ceramiche dello stesso periodo ed un sigillo di argilla iscritto a Jehucal, figlio di Shelemiah, figlio di Shevi, un funzionario menzionato almeno due volte nel Libro di Geremia. Nel luglio 2008, ha anche trovato una seconda bulla, appartenente a Gedaliah ben Pashhur, che è menzionata insieme a Jehucal in Geremia 38: 1.[30] L'archeologo Amihai Mazar ha definito il ritrovamento "un vero miracolo", sostenendo che l'edificio possa essere la fortezza di Sion che Davide avrebbe catturato.[31]

Gli scavi da parte dell'archeologo Yosef Garfinkel, a Khirbet Qeiyafa, un sito dell'età del ferro in Giudea, hanno trovato un insediamento, datato al radiocarbonio ben prima che studiosi come Finklestein suggerissero che l'urbanizzazione fosse iniziata in Giudea, il che sostiene l'esistenza della monarchia unita. L'Autorità Israeliana per le Antichità ha dichiarato: "Gli scavi a Khirbat Qeiyafa rivelano chiaramente una società urbana che esisteva in Giuda già alla fine dell'XI secolo a.C. Non si può più sostenere che il Regno di Giuda si sia sviluppato solo alla fine dell'VIII secolo a.C. o in qualche altra data successiva."[32]
Nel 2010 l'archeologa Eilat Mazar ha annunciato la scoperta di una parte delle antiche mura di Gerusalemme intorno alla Città di Davide che, a suo avviso, risalgono al X secolo a.C. Secondo Mazar, "È la costruzione più significativa che abbiamo dai giorni del Primo Tempio in Israele" e "Significa che a quel tempo, nel X secolo, a Gerusalemme c'era un governo in grado di realizzare tale costruzione". Il X secolo è il periodo che la Bibbia descrive come il regno del re Salomone.


Gerusalemme, trovato sigillo di 2.700 anni fa: conferma quanto scritto nella Bibbia
Jan 4, 2018
https://www.youtube.com/watch?v=Wj4mbTuY9MA
Come ha reso noto il Dipartimento israeliano per le antichità, durante una campagna di scavi condotta nella spianata antistante il Muro del Pianto è stato ritrovato un sigillo di 2.700 anni fa. Il reperto, della dimensione di una moneta, reca iscritto il titolo di "governatore di Gerusalemme


La straordinaria scoperta in Israele: ecco la città biblica di Ziklag
La città in cui Davide (futuro re d'Israele) trovò rifugio da Re Saul è riemersa grazie al lavoro congiunto di israeliani e australiani
17 Luglio 2019

https://siviaggia.it/notizie/scoperta-i ... ag/238401/

È una scoperta che ha dell’incredibile, quella avvenuta nei giorni scorsi in Israele. Gli studiosi ne sono certi: la città biblica di Ziklag è stata ritrovata.

La città filistea di Ziklag – nella regione del Negev, a sud-ovest di quello che un tempo era il Regno di Giuda – è stata scoperta da un team di ricercatori della Hebrew University di Gerusalemme, dell’Israel Antiquities Authority e della Macquarie University di Sydney, che hanno concluso (con inaspettato e straordinario successo) lo scavo iniziato nel 2015 nel sito di Khirbet al Rai (poco lontano da Ascalona), guidato dal capo dell’Istituto di Archeologia dell’Università Ebraica Yousef Garfinkel.
Lo scavo, condotto su di un’area di oltre mille metri quadrati, ha fatto riemergere reperti datati X secolo a.C., strutture e vasi in pietra e navi di metallo che risalgono proprio al periodo del Re Davide. Re che – quando era solo il giovane Davide – proprio a Ziklag trovò rifugio per scappare dall’ordine di cattura emanato da Re Saul, primo re d’Israele. Così, se già negli anni precedenti gli scienziati avevano cercato di individuare Ziklag in altre zone (soprattutto a Tel Halif, vicino al Kibbutz Lahav, a Tel Shara nel Negev occidentale e a Tel Sheva), ora pare proprio che il sito dell’antichissima città biblica sia riemerso.

Più volte menzionata nella Bibbia, soprattutto nel libro di Samuele, Ziklag – sita tra Kiryat Gat e Lachish – vide il sovrano filisteo Achish di Gat dare rifugio al futuro Re Davide che, grazie proprio alla sua protezione, fece della città uno stato vassallo e una base per le incursioni contro i Geshuriti, i Girziti e gli Amaleciti. Sempre secondo la Bibbia, a distruggere Ziklag furono poi gli Amaleciti, che ne ridussero in schiavitù la popolazione. Davide, che al momento della devastazione si trovava ad Achis, quando tornò nella sua roccaforte reclutò però 600 uomini, e riuscì a riportare indietro le donne e i bambini che gli Amaleciti avevano rapito. Ucciso anche il Re Saul (dai filistei) durante la battaglia di Ghilboa, divenne infine re d’Israele e di Giudea.

Per secoli, di Ziklag nulla si seppe. Sino ad oggi, col ritrovamento di reperti archeologici straordinari che hanno fatto esploderela gioia degli archeologi.


Gerico
http://tdgnews.altervista.org/portal/ge ... a-biblica/


Le scoperte archeologiche confermano l’attendibilità della Bibbia
29 maggio 2013
http://enzomaggio.altervista.org/in-qua ... angeliche/

Nel corso degli anni, molte critiche sono state elevate contro la Bibbia e la sua attendibilità storica. Di solito tali critiche sono basate sulla presunta carenza di prove a sostegno dei racconti biblici derivate da fonti esterne.Dal momento che la Bibbia è un libro religioso, molti studiosi partono dal presupposto che essa sia di parte, e quindi che non se ne possa fidare in assenza di prove extra-bibliche che la confermino. In altre parole, la Bibbia è colpevole fino a quando non sia dimostrata innocente, e una mancanza di prove esterne mette la narrativa biblica in discussione.Questo criterio è ben diverso da quello applicato ad altri documenti antichi, anche se molti fra questi, forse addirittura la maggioranza, contengono un elemento religioso. Essi vengono considerati attendibili, a meno che non ci siano prove a dimostrare il contrario. Sebbene non sia possibile confermare ogni singolo episodio della Bibbia, le scoperte dell’archeologia dalla metà dell’800 in poi hanno dimostrato l’affidabilità e l’attendibilità della narrativa biblica. Eccone alcuni esempi:

La scoperta dell’archivio di Ebla, nel nord della Siria, verso la fine degli anni 1970 ha dimostrato che il racconto biblico che riguarda i Patriarchi è attendibile. I documenti scritti su tavole di creta a partire dal 2300 a.C. circa dimostrano che diversi nomi di persone e di luoghi nella narrativa della Genesi sono autentici. Era in uso ad Ebla il nome “Canaan”, che i critici un tempo dichiaravano non usato in quell’epoca e quindi adoperato a sproposito nei primi capitolo della Bibbia. Si affermava che la parola “tehom” (“l’abisso”) in Genesi 1:2 fosse una parola tardiva e quindi una prova della tarda composizione del racconto della Creazione. Ma “tehom” faceva parte del vocabolario in uso ad Ebla, circa 800 anni prima del tempo di Mosè! I costumi antichi riflessi nelle narrative dei Patriarchi sono stati confermati anche da tavole di creta rinvenute a Nuzi e a Mari.

Gli Hittiti (o Ittiti, o Hittei) una volta si pensava fossero una leggenda biblica, fino a quando la loro capitale e i loro archivi furono scoperti a Bogazkoy in Turchia. Ancora, molti pensavano che le descrizioni bibliche delle ricchezze di Salomone fossero fortemente esagerati. Ma i documenti recuperati da epoche remote mostrano che ai tempi antichi, la ricchezza era concentrata in mano ai re, e che la ricchezza di Salomone era perfettamente verosimile. Una volta, si pretendeva che non fosse mai esistito un re assiro di nome Sargon, come riferito in Isaia 20:1, perché tale nome non era noto da nessun’altra fonte. Poi il palazzo di Sargon fu scoperto a Khorsabad nell’Iraq. Proprio lo stesso evento menzionato in Isaia cap. 20, cioè la sua conquista di Asdod (Ashdod), veniva ricordato sulle pareti del palazzo! Inoltre, frammenti di una stele che commemorava la vittoria furono rinvenuti ad Asdod stessa.

Un altro re la cui esistenza era stato messo in dubbio era Baldassar (o Belshatsar), re di Babilonia, nominato in Daniele cap. 5. Secondo gli storiografi, l’ultimo re di Babilonia era stato Nabonide. Poi furono ritrovate delle tavole che mostravano che Baldassar fu il figlio di Nabonide e che regnò come suo co-reggente a Babilonia. Così, Baldassar poté offrire di costituire Daniele “terzo signore del regno” (Dan. 5:16), la posizione più elevata a disposizione, per essere riuscito a leggere il testo scritto sulla parete. Qui risalta la natura di “testimonianza oculare” del testo biblico, come tante volte viene messo in evidenza dalle scoperte archeologiche.

Tradotto da Geoffrey Allen



“La Bibbia è degna di fiducia”, straordinaria scoperta archeologica sul monte Sion
Walter Gianno |
26 agosto 2019

https://vocecontrocorrente.it/2019/08/2 ... onte-sion/

Un team di archeologi statunitensi ha scoperto le prove dell'assedio di Gerusalemme da parte dell'esercito di Nabucodonosor.
Un team di archeologi statunitensi ha scoperto le prove dell’assedio di Gerusalemme da parte dell’esercito di Nabucodonosor

Ora anche gli archeologi dovranno ricredersi: la Bibbia è degna di fiducia. Sono state, infatti, scoperte le prove dell’assedio babilonese di Gerusalemme del VI secolo a.C., come descritto nel Secondo libro del Re, capitolo 25.

Gli archeologi dell’Università della Carolina del Nord di Charlotte (Usa), dopo una campagna di scavi sul monte Sion, hanno affermato di avere trovato le prove materiali dell’attacco babilonese, tra cui legno e altri materiali carbonizzati, punte di frecce, bronzo, ferro, gioielli e ceramiche rotte.

Il Dr. Shimon Gibson, condirettore del progetto archeologico universitario del Monte Sion, ha detto a CBN News che le scoperte sono state «inaspettate».

La Bibbia descrive le forze del re Nabucodonosor II che bruciano «ogni grande casa», compresa il tempio di Salomone. I soldati trafugarono anche colonne e vasi di bronzo dal Tempio e li portarono a Babilonia mentre i figli di Israele furono costretti all’esilio.

«Quello che stiamo scoprendo sono i risultati di quella distruzione», ha detto Gibson, aggiungendo che Nabucodonosor era noto come il «distruttore di Nazioni».

Gli archeologici hanno rinvenuto pure un gioiello particolarmente raro dalle origini poco chiare. A tal proposito, Gibson ha affermato: «Potrebbe essere stato un orecchino o una nappa, una sorta di ornamento. Non è ancora chiaro. È costituito da una campana d’oro da cui si estende un grappolo d’uva realizzato in argento».

L’archeologo ha spiegato che «negli ultimi decenni ci sono state molte discussioni sulla veridicità del racconto biblico. Alcuni accademici lo ritengono basato su ‘miti’, seppur con qualche fondamento storico, e tendono a non fidarsi ma i nostri scavi hanno dimostrato che non è così».



Su una giara dell’epoca di re David, un raro nome menzionato anche nella Bibbia
Israele.net
È la quarta iscrizione risalente al X secolo a.e.v. rinvenuta in Israele negli ultimi cinque anni
(Da: Jerusalem Post, 16.6.15)

https://www.israele.net/sezione/arte-e-archeologia
https://www.israele.net/su-una-giara-de ... lla-bibbia

L’iscrizione sulla giara di Khirbet Qeiyafa


L’iscrizione sulla giara di Khirbet Qeiyafa (clicca l’immagine per ingrandire)

Una rara iscrizione risalente all’epoca di re David scoperta a Khirbet Qeiyafa, nella valle di Elah, poco fuori Beit Shemesh, è stata mostrata per la prima volta martedì a Gerusalemme a cura della Israel Antiquities Authority.

I frammenti di un vaso di terracotta di tremila anni fa vennero riportati alla luce nel 2012 durante gli scavi condotti da Yosef Garfinkel, dell’Istituto di archeologia dell’Università di Gerusalemme, e Saar Ganor, della Antiquities Authority. Su alcuni dei frammenti erano distinguibili delle lettere in scrittura cananea antica che suscitarono la curiosità dei ricercatori. Il successivo, paziente lavoro di restauro condotto dal Dipartimento per il trattamento dei manufatti della Antiquities Authority, grazie al quale vennero incollati fra loro centinaia di cocci di terracotta fino a ricostruire la giara intera, ha permesso di leggere le parole Eshba’al Ben Bada’.

“È la prima volta che il nome Eshba’al appare su un’antica iscrizione in questo paese” dice Garfinkle, sottolineando che un Eshba’al Ben Shaul governò su Israele alla stessa epoca di David, ed è menzionato nella Bibbia. “Eshba’al venne assassinato da sicari e decapitato – continua l’archeologo – e la sua testa fu portata a David a Hebron (II Samuele, capp. 3-4). È interessante notare che il nome Eshba’al appare nella Bibbia, e ora anche nella documentazione archeologica, solo durante il regno di re David, nella prima metà del X secolo a.e.v. Successivamente il nome non venne più utilizzato nell’epoca del Primo Tempio. La correlazione fra tradizione biblica e reperti archeologici indica che fu un nome diffuso solo in quel periodo”. Il nome Beda’, invece, è unico: non si riscontra in iscrizioni antiche e neanche nella tradizione biblica. Secondo Ganor, in quel tempo doveva esserci una certa riluttanza a utilizzare il nome Eshba’al, che riecheggiava il dio della tempesta cananeo Baal. “Il nome – piega Ganor – venne quindi modificato in Ish-Bashat, ma il nome originale Eshba’al è stato conservato nel libro delle Cronache. Così, ad esempio, anche il nome del signore della guerra Gideon Ben Joash venne cambiato da Jerrubaal a Jerubesheth”.

La giara di Khirbet Qeiyafa dopo il restauro nei laboratori della Israel Antiquities Authority

Il sito di Khirbet Qeiyafa viene identificato dagli archeologi con la città biblica di Sha’arayim. Le diverse stagioni di scavi coordinate da Garfinkel e Ganor hanno portato alla luce una città fortificata, due porte, un palazzo con magazzini, abitazioni e locali di culto. La città risale al tempo di David, fra la fine dell’XI e l’inizio del X secolo a.e.v. Nel sito sono stati rinvenuti manufatti unici, fino ad ora sconosciuti. E’ qui, ad esempio, che nel 2008 è stata scoperta la più antica iscrizione al mondo in ebraico. Ed ora questa sulla giara restaurata. Garfinkle e Ganor fanno notare che fino a circa cinque anni fa non si sapeva dell’esistenza di iscrizioni risalenti al X secolo a.e.v. In questi ultimi anni, invece, sono state pubblicate già quattro iscrizioni: le due provenienti da Khirbet Qeiyafa, una da Gerusalemme e una da Bet Shemesh. “Ciò cambia completamente la nostra cognizione della distribuzione della scrittura nel Regno di Giuda, ed è ormai chiaro che la scrittura era molto più diffusa di quanto si pensasse – dice Garfinkle – A quanto pare, l’organizzazione del regno richiedeva uno staff di funzionari e scrivani la cui attività si manifesta anche nella comparsa delle scritte”.


Il sito archeologico di Khirbet Qeiyafa
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Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » dom giu 06, 2021 12:58 am

Alessandro Barbero si è schierato con questi dementi bugiardi seriali.


L'esercito di saccheggiatori archeologici di Israele
Palestina Cultura Libertà
6 Ottobre 2020

https://palestinaculturaliberta.org/202 ... i-israele/

Usando l’archeologia per far valere la sua rivendicazione sulla terra, Israele sta spostando pezzi d’arte dalla Cisgiordania occupata e cancellando l’identità palestinese.
Nella foto Un ebreo ultraortodosso visita la fortezza di Herodium sulla montagna, vicino a Betlemme Novembre 29, 2010. Foto Yaakov Naumi/Flash90.

Dima Srouji Ottobre 1, 2020

In una recente notte d’estate, alla guida di un grande camion a pianale e jeeps, i soldati israeliani sono entrati nel villaggio palestinese di Taquu vicino a Betlemme occupata per rimuovere un fonte battesimale bizantino in pietra. Un palestinese ha ripreso la scena con il cellulare, con mano malferma dato che documentava i veicoli militari dall’alto. Il video è diventato virale su Twitter, e ne è seguito un dibattito sull’ “appartenenza” del fonte di pietra all’area in cui le forze israeliane l’avevano preso. Alcuni hanno sostenuto che il fonte veniva semplicemente restituito a Israele, dopo che i palestinesi l’ avevano spostato dall’insediamento israeliano di Tekoa circa 20 anni fa.

Gran parte del dibattito sull’appartenenza del fonte non solo non riconosce l’illegalità degli insediamenti in Cisgiordania, ma tende a ignorare un altro grande problema: la militarizzazione dell’archeologia da parte di Israele tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Sebbene il saccheggio militare a Taquu rifletta il tipo di sfacciata dimostrazione di potere che raramente viene registrata, questo esproprio sistematico non è invisibile agli occhi dei palestinesi. E non è certamente un fenomeno recente: molteplici autorità dell’insediamento coloniale che hanno controllato i palestinesi nel secolo scorso hanno militarizzato l’archeologia in qualche forma. Oggi, Israele sponsorizza e promuove iniziative archeologiche in Palestina con l’unico scopo di collegare solo la narrativa ebraica alla nostra terra, anziché considerare le sue intricate complessità.

Gli archeologi cercano risposte nel terreno – per i resti di vite precedenti e per i frammenti che possono rivelare la storia antica. I bravi archeologi prima scavano e poi costruiscono una narrazione basata sugli indizi che trovano nel terreno. Il problema nasce quando iniziano a scavare con un’idea preconcetta di ciò che stanno cercando.

Già nel 1908, istituzioni occidentali come l’Università di Harvard e l’Università della Pennsylvania iniziarono a scavare il terreno palestinese con una lente giudaico-cristiana soggettiva. Gottlieb Schumacher, che ha guidato gli scavi di Harvard nel villaggio palestinese di Sebastia, era un Templare praticante (coloni tedeschi che credevano che vivere in Palestina avrebbe affrettato la seconda venuta di Cristo). Gli scavi furono finanziati da sionisti come Jacob Henry Schiff, leader della comunità ebraica a New York e noto banchiere di Wall Street. Schiff ha cambiato completamente la percezione degli archeologi sulla Palestina ed è accreditato per l’ascesa dell’archeologia biblica negli Stati Uniti, una disciplina accademica che utilizza gli scavi in Palestina per dimostrare l’autenticità storica dei testi religiosi.

Quella storia non è solo documentata in libri e riviste accademiche, ma è anche incorporata nei ricordi dei nonni palestinesi, che hanno lavorato per decenni come manodopera a basso costo scavando siti archeologici.
Gli scavi a Samaria, che portano alla luce il palazzo di Achab, sono stati pubblicati approssimativamente dal 1900 al 1920 ( G. Eric e Edith Photograph Collection, Library of Congress)

Due mesi dopo la nascita di Israele nel 1948, sotto il ministero dell’Istruzione è stato fondato il Dipartimento israeliano delle antichità e dei musei (DIAM), un precursore dell’Autorità israeliana per le antichità. Già nel 1950, guardie con status di agenti di polizia venivano collocate nei siti archeologici di tutto il paese. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele ha immediatamente promulgato una legge sulle antichità a Gerusalemme, conferendo al DIAM l’autorità di scavare all’interno della Città Vecchia e dei suoi dintorni; il numero di scavi all’interno della città è aumentato da 60 prima del 1967 a 150. Nel 1995, in base al secondo accordo di Oslo, Israele ha ottenuto l’autorità su 7.000 siti archeologici in Cisgiordania, di cui il 53% nell’Area C, dove Israele ha il pieno controllo amministrativo e di sicurezza.

Dato il sistematico saccheggio archeologico di Israele, i soldati catturati nelle riprese di Taquu non possono essere i soli complici della rimozione del fonte. Hananya Hizmi, il capo del Dipartimento di Archeologia dell’Amministrazione Civile, il braccio del governo militare israeliano nella Cisgiordania occupata, si è detto entusiasta del fatto che la sua squadra sia riuscita a “restituire” il fonte bizantino; lo cercavano da anni, ha spiegato, e continueranno a lavorare per impedire “ai ladri di antichità di saccheggiare la storia della regione”.

L’archeologo militare – che, come professione, semplicemente non dovrebbe esistere – è stato celebrato come una figura eroica in una mostra del 2018 al Bible Lands Museum di Gerusalemme. Intitolata “Finds Gone Astray”, la mostra essenzialmente glorificava il ruolo dell’esercito israeliano nella confisca di reperti archeologici dalla Cisgiordania. Secondo il direttore del museo, circa 40.000 reperti sono stati “recuperati” dalle autorità israeliane.

Questo enorme numero di reperti archeologici dovrebbe dare l’allarme, specialmente durante un periodo di grande attività del mercato nero, dopo le guerre in Iraq e Siria. Non è chiaro da dove siano stati recuperati i reperti e non conoscerne la provenienza rende difficile datarli con credibilità e dimostrare la loro autenticità. Questa azione di spostamento conferisce a musei, collezionisti e ministeri della cultura il potere di ridefinire il furto come recupero e di saccheggiare le case come istituzioni prestigiose.
I residenti palestinesi scendono le scale vicino a una recinzione che circonda gli scavi del parcheggio di Givati, entrano nel quartiere di Silwan nella Gerusalemme Est occupata, vicino al Parco Nazionale della Città di David, 14 luglio 2019 (Hadas Parush / Flash90)

La gente dei villaggi di tutta la Palestina mi ha detto di aver visto veicoli militari israeliani che hanno saccheggiato pezzi d’arte nel cuore della notte più volte negli ultimi anni, come hanno fatto a Taquu. Insieme a questo saccheggio su larga scala, le autorità israeliane avrebbero fatto irruzione nelle case di Al-Jib vicino a Gerusalemme e arrestato ragazzi per avere alcuni frammenti di ceramica, secondo un residente. Ed un altro ha aggiunto che ci sono anche più coloni che visitano il villaggio rispetto al passato, protetti dell’esercito israeliano.

A Sebastia quest’anno, i vicini coloni israeliani di Shavei Shomron hanno bruciato gli uliveti che circondano il sito archeologico e hanno intenzionalmente inquinato il terreno agricolo con le acque reflue delle fabbriche degli insediamenti. Wadi Hilweh nel quartiere Silwan di Gerusalemme, ora chiamato La città di David, corre il grave pericolo di essere completamente svuotato di palestinesi e gentrificato come attrazione turistica esclusivamente ebraica, nonostante la presenza di resti cananei e dell’età del ferro. La scorsa settimana è arrivata la notizia che Elad, il gruppo di coloni israeliani che gestisce la Città di David e altri siti archeologici in Israele, ha ricevuto $ 100 milioni di finanziamenti da Roman Abramovich, il miliardario russo-israeliano, proprietario del club di calcio inglese Chelsea.

In molti di questi siti, monumenti come l’anfiteatro e i fori romani sono usati come palcoscenici e sfondi per spettacoli che perpetuano la propaganda sionista. Gli attori si vestono con costumi antichi e recitano la Torah facendo riferimento ai nomi biblici dei siti archeologici. Queste esibizioni sono in gran parte rivolte a un pubblico giovane, futura generazione di coloni sionisti.

La rimozione e il saccheggio da parte dell’Amministrazione Civile di reperti archeologici sui territori occupati, vietati dalla Convenzione dell’Aia, solleva interrogativi sul destino di altri siti archeologici nelle aree B e C della Cisgiordania. L’amministrazione civile ha recentemente aumentato gli ordini di demolizione nei villaggi palestinesi vicino a queste aree e storicamente ha negato ai palestinesi l’accesso alle loro proprietà agricole e il diritto di costruire o sviluppare qualsiasi infrastruttura, il che ha reso difficile la conservazione dei siti.
Gli archeologi presentano un fonte battesimale bizantino del VI secolo che è stato scoperto durante i lavori di restauro presso la Chiesa della Natività, nella città occupata di Betlemme in Cisgiordania, il 22 giugno 2019 (Wisam Hashlamoun / Flash90)

Ma di fronte a queste sfide, sta sorgendo una generazione più giovane di palestinesi molto attivi e determinati a resistere. Stanno affrontando questa lotta rivendicando la loro storia e diffondendo consapevolezza e conoscenza sull’uso improprio dell’archeologia da parte di Israele, oltre a richiamare l’attenzione sulle condizioni critiche di questi siti e dei loro reperti. Per i palestinesi, questi oggetti storici sono evocativi. Agiscono come vascelli che trasportano i nostri ricordi e traumi. Che si tratti di una fonte bizantina in pietra o di una chiave di casa palestinese di prima della Nakba, queste forme tattili non sono solo oggetti materiali, sono strumenti con cui ci identifichiamo e con cui resistiamo, e con i quali affermiamo la nostra esistenza che scompare. Per i palestinesi, sono compagni di emozioni.

Il significato del fonte battesimale è cambiato nel tempo e nello spazio. Durante il VI secolo, era una pietra statica utilizzata per la rinascita religiosa e il risveglio spirituale; forse migliaia di bambini furono battezzati nell’acqua santa del suo ventre cavo. Nell’odierna Betlemme, dove gli inni bizantini viaggiano ancora per la città e i bambini continuano a essere battezzati come un tempo, la rimozione del fonte Taquu è un attacco al cuore dell’identità palestinese: un popolo con tradizioni che risalgono a secoli fa. Il fonte ne è un testimone ed una prova.

Dima Srouji è un’ architetta e artista palestinese che lavora a progetti relativi a politica e luoghi, in particolare riguardo alla Palestina. Si è laureata alla Yale School of Architecture e attualmente insegna alla Birzeit University.

Traduzione a cura di Alessandra Mecozzi da: https://www.972mag.com/archaeology-loot ... oXaLUzHl8g



Il Regno di Israele è esistito: una risposta a Alessandro Barbero
Ester Moscati
di Elena Lea Bartolini De Angeli, Marco Cassuto Morselli, Sara Ferrari, Gabriella Maestri
3 giugno 2021

https://www.mosaico-cem.it/cultura-e-so ... o-barbero/

Sta circolando sul web un video dello storico Alessandro Barbero nel quale si afferma che «Il Regno di Israele non è mai esistito», affermazione supportata dall’idea che non ci siano fonti storiche e archeologiche sufficienti per poter affermare il contrario. A tale proposito ci sembra importante precisare alcuni elementi utili a fare chiarezza nella prospettiva di un corretto approccio alla storia antica e alla sua documentabilità, in quanto è oramai assodata fra la maggior parte degli studiosi l’idea che sia sempre più necessario un approccio interdisciplinare per studiare e comprendere il passato, evitando derive che possono essere causate da rigidità e fondamentalismi nell’analisi dei dati.

La documentazione relativa all’esistenza del Regno di Israele esiste: sicuramente c’è ancora molto da poter cercare e studiare, ma ciò che già è in nostro possesso ha un valore documentario importante che va compreso tenendo conto di una serie di fattori validi per lo studio di tutte le civiltà antiche:
1. Gli antichi non avevano la nostra coscienza storiografica sorta solo in epoca moderna, pertanto ci hanno lasciato testi e documenti nei quali la storia raccontata non è la registrazione precisa e cronologica degli avvenimenti ma la modalità con la quale gli stessi sono stati vissuti e interpretati. Per questo molte testimonianze antiche, che potrebbero apparire solo come miti o leggende, possono contenere una importante dimensione storica che va decifrata e analizzata con gli strumenti adatti, fra i quali quelli paleografici e filologici. Riguardo la storia del popolo di Israele è interessante la nuova edizione del saggio di Yosef Hayim Yerushalmi: Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, edito dalla Giuntina di Firenze nel 2011.

2. Per quanto riguarda la ricerca archeologica in Medio Oriente – e in particolare a Gerusalemme – è importante tener conto del fatto che le costruzioni posteriori hanno quasi sempre distrutto molti dei resti degli strati precedenti: tutti gli archeologi sanno che l’ideale è scavare una città distrutta da un cataclisma e mai più ricostruita, ma nel nostro caso non è così. Per questo la ricostruzione di una storia come quella del Regno di Israele deve necessariamente integrare i reperti archeologici con una critica storica dei documenti antichi che tenga conto della loro età, della lingua nella quale sono stati scritti, del genere letterario utilizzato e delle intenzioni dell’autore. Una ricerca di questo tipo richiede un confronto interdisciplinare e la consapevolezza del fatto che il singolo reperto non può essere mai assolutizzato.

3. Esistono inoltre fra gli studiosi in generale, e fra gli archeologi in particolare, scuole di pensiero molto diverse: da quelle minimaliste a quelle più possibiliste. Non è corretto assolutizzarne solo una, ma è invece opportuno ascoltare e confrontare tutti i punti di vista, lasciando in ogni caso aperte le questioni che richiedono ulteriori accertamenti, evitando conclusioni troppo azzardate, e formulando ipotesi nella prospettiva di una possibile verifica o rettifica che porti eventualmente a formulare la domanda sulla questione o sul reperto in maniera diversa.

In tale orizzonte, e tornando alla questione di partenza, va inoltre sottolineato che quando si parla di «Regno di Israele» è opportuno precisare a quale periodo ci si riferisce: quello dell’unico Regno che va da Davide a Salomone o quello dei due Regni – di Israele (a nord) e di Giuda (a sud) – che va dalla morte di Salomone fino alla guerra siro-eframitica (per il nord) e all’esilio babilonese (per il sud). La discussione infatti verte soprattutto sul periodo da Davide a Salomone: riguardo quest’epoca le testimonianze sono prevalentemente bibliche; tuttavia si stanno trovando importanti riscontri archeologici grazie agli scavi e agli studi di molti ricercatori e ricercatrici che non hanno mai smesso di verificare le loro ipotesi e intuizioni; fra i molti menzionabili non si può non ricordare Eilat Mazar, a cui si devono importanti ritrovamenti presso la Città di David e il monte del Tempio, così come stanno fornendo interessanti reperti anche gli scavi in corso nella zona di Beth Shemesh e Sha‘arajim.

Per quanto riguarda invece il periodo dei due Regni dopo la morte di Salomone le attestazioni sono note e ampiamente condivise: ci sono riscontri nei documenti assiri e nell’iscrizione di Meshah scoperta centocinquant’anni fa. Ciò su cui semmai si discute riguarda la datazione del periodo iniziale che potrebbe variare dal X al IX secolo prima dell’era cristiana.

Elena Lea Bartolini De Angeli, Docente di Giudaismo ed Ermeneutica Ebraica, ISSR Milano
Marco Cassuto Morselli, Vicepresidente dell’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma
Sara Ferrari, Docente di Lingua e Cultura ebraica, Università degli Studi di Milano
Gabriella Maestri, Dottore in Archeologia Cristiana – Roma

Ulteriori approfondimenti (dai quali si evince che la volontà di negare l’esistenza storica del Regno di Israele sia dovuta a condizionamenti ideologici antigiudaici, piuttosto che a rigore storiografico, ndr)

Oltre la Bibbia – di Marco Cassuto Morselli
In Oltre la Bibbia (Laterza 2012) Mario Liverani intende riportare le vicende della nascita d’Israele alla sua realtà storica, secondo i criteri della moderna metodologia storiografica. Egli distingue la storia d’Israele in due fasi distinte: «La prima fase è la “storia normale” e piuttosto banale di un paio di regni dell’area palestinese, non dissimili da tanti altri regni che seguirono analogo sviluppo e finirono poi tutti annientati dalla conquista imperiale prima assira e poi babilonese con le sue devastazioni, deportazioni, e processi di deculturazione. Questa prima fase non è gravida né di particolare interesse né di conseguenze future – e infatti le parallele storie degli altri regni analoghi (da Karkemish a Damasco, da Tiro a Gaza) non hanno nulla da dire se non allo specialista» (pp. VIII-IX).
La seconda fase ebbe inizio con il ritorno di esuli giudei dall’esilio babilonese, i quali misero in opera «un’enorme e variegata riscrittura della storia precedente»: «Quanto la storia vera ma normale era stata priva di un interesse che non fosse prettamente locale, tanto la storia inventata ed eccezionale divenne la base per la fondazione di una nazione (Israele) e di una religione (il giudaismo) che avrebbero influenzato l’intero corso della storia successiva su scala mondiale» (p. IX).
La storia vera è banale e priva di interesse, ciò cui si fondano Israele e l’ebraismo è invece inventato! Questo il risultato scientifico dell’autorevole studioso.
Le conseguenze di tale impostazione si vedono lungo le 500 pagine del suo libro. Ad esempio di Abramo viene detto: «Anche il viaggio archetipico di Abramo da Ur dei Caldei a Harran e alla Palestina riflette la vicenda del ritorno e il punto di vista dei reduci (o almeno dei loro mandanti): Abramo rappresentava una sorta di messaggio promozionale per coloro che volessero tornare dalla Caldea alla Palestina, per affrontarvi con successo tutti i problemi di convivenza con altre genti, di creazione di un spazio economico e politico proprio» (p. 287).
A p. 360 il titolo del paragrafo è : Il mito del «primo tempio». Un lettore frettoloso ne ricava l’impressione che anche il Primo Tempio sia un mito, e solo all’interno del paragrafo successivo, intitolato La costruzione del «secondo tempio» e l’affermazione della guida sacerdotale si viene informati che «Non c’è ragione di dubitare che Salomone avesse costruito a Gerusalemme un tempio di [viene riportato il Tetragramma vocalizzato]» (p. 364).
Che cosa Liverani pensi della Torah viene rivelato a p. 380: «Si tratta di un complesso vario e disorganico, ricco di contraddizioni, all’interno del quale si individuano raccolte legislative più ridotte (e queste sì organiche), collegate ad episodi diversi nella lunga vicenda dell’Esodo, e certamente da attribuirsi ad epoche di formulazione e di redazione diverse». Anche il fatto, riconosciuto da molti, che vi sia stato uno sviluppo della legislazione d’Israele viene presentato dall’Autore in modo del tutto negativo e banalizzante, utilizzando anche in questo caso la categoria dell’«invenzione», termine che compare nel titolo del cap. 18 L’invenzione della Legge e che viene smentito poche pagine dopo con l’affermazione: «L’introduzione di una Legge non può configurarsi come pura e semplice invenzione».
Cosa poi Liverani pensi del Dio d’Israele lo apprendiamo a p. 395: «Non a caso le norme sulla contaminazione e la sacralità aumentano per mole, per dettaglio, per severità in epoca post-esilica, quando la comunità priva di leadership civile, si regge per la sua compattezza attorno al tempio e al Dio vendicativo e inaccessibile che vi abita».
C’è da chiedersi se anche questi giudizi appartengano al rigoroso metodo storiografico o non siano invece personali valutazioni dipendenti dalla cultura dell’Autore.
Ma, al di là di questo, ciò che rimane inspiegato è proprio perché il regno di Giuda non sia scomparso come gli altri piccoli regni mediorientali e perché la sua storia abbia influenzato «l’intero corso della storia successiva su scala mondiale».

Giudea e Palestina – di Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri
Giudea
Dopo l’epoca patriarcale (che può essere datata tra il XVIII e il XVII secolo a.e.c) e il periodo egiziano (con l’esodo databile al XIII secolo a.e.c), abbiamo i racconti di Yehoshua e dei Giudici che descrivono l’insediamento delle tribù nella Terra di Kenaan. Le modalità di tale insediamento, descritte in modo cruento nei racconti biblici, sono oggetto di discussione tra gli studiosi. Alcuni ipotizzano che esso sia avvenuto in maniera progressiva e graduale, e che la narrazione successiva abbia voluto creare un’epopea di conquista enfatizzando gli aspetti militari. Per fare un esempio, in Gs 24,1-18 si narra la presa pacifica di Shekhem: si ha l’impressione che i nuovi arrivati si fossero imparentati con le popolazioni preesistenti e avessero lentamente consolidato i rapporti con loro, accogliendo gruppi di Cananei all’interno delle tribù e in molti casi facendo sì che questi assimilassero le loro tradizioni religiose.
Le tribù, pur nella loro indipendenza, erano tuttavia legate da un qualche tipo di federazione, unite dal comune ricordo dell’esperienza del Sinay e dalla memoria di una ancor più lontana discendenza dai patriarchi, di cui si conservavano oralmente svariate tradizioni. Inoltre a scadenze periodiche le shevatim/tribù si incontravano in svariate località intorno al Santuario mobile, contenente l’Arca dell’alleanza. In questo contesto i vari gruppi riunitisi cominciano ad essere chiamati tutti – e non solo i gruppi provenienti dal Nord – con il nome di Israele, in memoria dell’antenato comune Yaaqov-Yisrael.
Nel periodo dei Giudici le tribù, a volte in conflitto anche tra loro, erano esposte ad attacchi provenienti da ogni parte, soprattutto dai Filistei, e questo portò al desiderio di istituir una monarchia, che desse al popolo una maggior protezione e senso di sicurezza. Su tale istituzione troviamo espresse nei testi biblici posizioni diverse: c’erano i favorevoli (cfr. 1Sam 9,1-10,16) ma anche i contrari (cfr. 1Sam 8 e 10,17-27).
Il primo ad essere consacrato re dal profeta e giudice Shemuel è Shaul (intorno al 1020), il quale per tutta la vita lottò soprattutto contro i Filistei, cercando di consolidare il suo regno. Il consolidamento fu attuato da David (1000-962) e da Shelomoh (961-922). Quest’ultimo organizzò il regno in dodici distretti, uno per ogni tribù d’Israele.
L’unità così faticosamente raggiunta si perse alla morte di Shelomoh con la ribellione delle tribù del Nord e ne seguì la divisione del territorio sotto Yarovam e Reḥovam. A partire quindi dal 931 si ebbero due Regni, quello del Nord, con capitale Shomron, chiamato Regno d’Israele, e quello del Sud, con capitale Yerushalayim, chiamato Regno di Giuda, dalla tribù più importante e numerosa.
Il Regno d’Israele cade tra il 722-721 sotto i colpi degli Assiri (con conseguente deportazione), mentre il regno di Giuda, benché costantemente minacciato dalle potenze dell’Egitto e dell’Assiria, sopravvive fino al 586, anno della conquista e della deportazione babilonese. L’esilio in Babilonia per un verso fu un’esperienza traumatica e amarissima, per l’altro segnò uno straordinario salto qualitativo nella riflessione teologica e nella spiritualità d’Israele.
Con il ritorno in patria, permesso da Ciro, tra il 538 e il 444, tra mille difficoltà la vita ebraica riprende il suo corso. Il Tempio viene ricostruito e si attua la riforma di Ezra e Neḥemyah.
In età ellenistica l’influenza della cultura greca si fa sentire anche in Giudea. Nel 167 il tempio viene profanato dai greci e dopo le lotte maccabaiche nel 167 viene purificato e ridedicato (il che viene ricordato ogni anno durante la festa di Ḥanukkah).
Nei difficili anni successivi si assiste ad un prevalere del potere sacerdotale, che assume anche il potere regale. Dopo circa un secolo di tensioni politico-religiose i discendenti dei Maccabei, Aristobulo II e Ircano, in lotta per la successione, si rivolsero a Roma per ottenere un sostegno: fu così che Pompeo entrò a Yerushalayim nel 63 a.e.c. ed ebbe inizio la dominazione romana.
Nei Vangeli quel territorio occupato dai Romani viene chiamato Giudea, Samaria e Galilea, e non compare mai il nome Palestina. Anche sulle monete romane che ricordano la vittoria è scritto “Iudaea capta” e solo dopo la Seconda guerra giudaica l’imperatore Adriano volle cancellare il nome di Yerushalayim e della Giudea con i nomi di Aelia Capitolina e Palestina. Mentre il nome di Aelia Capitolina è caduto, quello di Palestina si è imposto fino al XX secolo.
Anche i cristiani per indicare quei territori hanno preferito usare la denominazione romana di Palestina. In questo modo Palestina, nome che indicava le terre occupate dai Filistei, ha sostituito il regno di Giuda e Ereṣ Israel. Tale tendenza in molti ambienti perdura fino ad oggi, e si preferisce parlare di Terra Santa piuttosto che indicare le denominazioni ebraiche.

Palestina
Alcuni testi egiziani del XII sec. a.e.c. contengono la prima esplicita menzione dei Peleset, ossia i Filistei, un popolo che ha un forte legame con l’Anatolia e utilizza armi di ferro, che assicurano la superiorità nelle battaglie. Essi fanno parte di quei “popoli del mare” contro i quali ha lottato l’Egitto e che hanno creato sovvertimenti in alcuni casi anche notevoli nell’assetto politico-sociale del Medio oriente antico.
I rinvenimenti archeologici fanno ritenere che lo stanziamento dei Filistei nella terra di Canaan sia avvenuto in due o tre fasi successive. Il nome “Filistei” deriva dal verbo ebraico palash, che significa “penetrare”, “invadere”, in quanto erano considerati invasori. Da loro prese il nome la Filistea, ossia in un primo momento la striscia costiera di Gaza e poi i territori più interni da loro conquistati entrando in conflitto con gli Israeliti, stanziati in quei luoghi già dalla fine del XIII sec. a.e.c.
I Filistei quindi si insediarono nel corso del XII secolo a.e.c. nella regione costiera sud-occidentale, dove venne stabilita la loro pentapoli formata dalle città di Gaza, Ashqelon, Ashdod, Gat e Ekron (cfr. 1Sam 6,17). La loro penetrazione nei territori sempre più interni li portò a scontrarsi con gruppi di Israeliti. Tali scontri vengono narrati, talvolta anche con aggiunte romanzesche, nei libri dei Giudici (nei capp. 13-16 sono raccontate le vicende di Sansone) e di 1 e 2Samuele. In 1Sam 31 viene narrata la loro vittoria su Shaul, mentre in 2Sam 5 si ricorda la vittoria definitiva di David.
Con l’occupazione assira (VIII-VII sec. a.e.c.) e babilonese (VI sec. a.e.c.) della regione, i Filistei spariscono dalla storia come entità etnico-politica. Il nome Palestina però rimane e viene utilizzato nel mondo greco-romano – da Erodoto, Tolomeo e Plinio il vecchio, ma anche da Flavio Giuseppe e Filone – e finisce con l’indicare non più solo l’antica Filistea, ma anche tutta la Giudea.
Nella Torah il nome Pelashet compare una sola volta, in Es 15,14; altre occorrenze bibliche sono soltanto nei Salmi (60,10; 83,8; 87,4; 108,10), in Isaia (14,29.31) e nel deuterocanonico Siracide (50,26). Nel Nuovo Testamento, come abbiamo già visto, il nome non compare mai, e quelle terre vengono chiamate Giudea, Samaria e Galilea.
Al termine della Seconda guerra giudaica (132-135) l’imperatore Adriano dopo aver distrutto Gerusalemme decide di cambiare il nome alla città, nella quale era proibito sotto pena di morte l’ingresso ai Giudei. Vi era la volontà di cancellare anche il ricordo di quella che era stata Ereṣ Israel e annientare ogni traccia della presenza ebraica con la sua storia, la sua cultura e la sua religione.
Per diciannove secoli si è dunque sempre impiegato il nome di Palestina, ma solo a partire dalla metà del XX secolo quella che era una designazione puramente geografica ha assunto un significato etnico. Proiettando all’indietro questo nuovo significato su tutta la storia precedente si ha come risultato che le vicende del regno di Giuda e del regno d’Israele, tutta la storia biblica, tutta la storia ebraica, viene cancellata e sostituita da un’altra narrazione, secondo la quale quelle terre sono da sempre Palestina, e da sempre abitate da Arabi Palestinesi. In tale visione anche Gesù era Palestinese, e gli così pure gli Apostoli, e la prima Chiesa.
Coerente con tale visione è l’opinione, diffusa ormai a livello planetario, che lo Stato d’Israele – «l’entità sionista» – non sia il risultato dell’autodeterminazione del popolo ebraico, ma rientri nella storia del colonialismo e del razzismo, dimenticando che la sua nascita nel 1948 è stata frutto di una decisione dell’ONU.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » dom giu 06, 2021 12:59 am

L’archeologa israeliana che leggeva le pietre come un libro aperto
Eilat Mazar (1956 - 2021) ha fatto scoperte straordinarie, ma i suoi avversari non le hanno mai perdonato d’aver documentato l'autenticità della storia ebraica a Gerusalemme
Jonathan S. Tobin
Da: jns.org, 26.5.21

https://www.israele.net/larcheologa-isr ... bro-aperto

Tutto in Israele riguarda la politica. Ma poche cose hanno risvolti politici così profondi come l’archeologia. Il che avviene perché nel momento stesso in cui si conficca una pala nel terreno in un posto come Gerusalemme e si inizia a scavare, inevitabilmente ci si imbatte nella storia ebraica e questo è qualcosa che non possono sopportare coloro che etichettano Israele come un’impresa colonialista che ha “defraudato gli abitanti indigeni”. Ecco perché la figura di Eilat Mazar, una degli archeologi più illustri e importanti di Israele, è rimasta controversa per tutta la sua carriera.

Mazar, professoressa all’Istituto di Archeologia dell’Università di Gerusalemme, deceduta lo scorso 25 maggio all’età di 64 anni, ha suscitato le critiche di vari colleghi che non condividevano le sue interpretazioni del suo lavoro, così come di molti arabi che, come ebbero a dire al New York Times nel 2019, negano l’intera esistenza dell’antica storia ebraica. E’ un dato di fatto che Abu Mazen, il capo “moderato” dell’Autorità Palestinese, ha più volte sostenuto che non è mai esistito un tempio biblico su quello che gli ebrei chiamano il Monte del Tempio, dove successivamente i musulmani costruirono le loro moschee, e che tutti i legami fra l’ebraismo e luoghi nella città come il Muro Occidentale (“del pianto”) sarebbero pura finzione. In questo senso, negare il valore storico dei reperti che Mazar ha scoperto in siti come il Parco Nazionale della Città di David non ha tanto a che fare con un’onesta discussione accademica quanto con il cuore stesso dei tentativi di delegittimare l’esistenza di Israele. Pertanto, sebbene Mazar fosse una studiosa e non un politico, il suo lavoro non si limita a gettare uno sguardo affascinante sull’antico passato di Israele: costituisce anche una parte essenziale della risposta seria e documentata che va data a coloro che cercano continuamente di negare i diritti degli ebrei su qualunque porzione della loro patria storica.

L’archeologa Eilat Mazar e alcune delle sue straordinarie scoperte. In alto a sinistra, un’impronta di sigillo in argilla di 2.700 anni fa che potrebbe essere appartenuta al profeta Isaia. Sotto, un medaglione con menorà in oro massiccio di epoca bizantina trovato da Mazar nel 2013 vicino alla parete meridionale del Monte del Tempio (clicca per ingrandire)

In Mazar la passione per l’archeologia nacque in modo naturale. Era la nipote di Benjamin Mazar, una delle figure pionieristiche nel campo, già presidente dell’Università di Gerusalemme. Lei gli fece da assistente durante i suoi scavi lungo le mura meridionali e occidentali della Città Vecchia, compreso l’Ophel, l’area tra la Città di David e il Monte del Tempio, resi possibili negli anni ’70 dalla riunificazione della città (la cui parte est era rimasta occupata dai giordani per 19 anni). In seguito, sarebbe diventata lei stessa una figura importante grazie ai suoi ritrovamenti storici in quello che era il luogo dove sorgeva la città durante il periodo del Regno Davidico, circa 3.000 anni fa, appena a sud delle attuali mura ottomane della Città Vecchia, nell’area conosciuta come Silwan. Sebbene il suo lavoro sia durato decenni, è conosciuta soprattutto per aver scoperto nell’agosto 2005 il sito di quello che ha ritenuto potesse essere il palazzo di re David. Quando ebbi l’occasione di intervistarla, pochi giorni dopo il primo annuncio della scoperta, mi descrisse i lunghi anni di studio, di scritti e di preparazione prima dell’inizio degli scavi. “Ma una volta che ho iniziato a scavare – mi disse – è stato come se non avessi scritto nulla. Ora saranno le pietre a parlare, non io”. Eccome, se hanno parlato.

Ciò che Mazar ha portato alla luce sono i resti di quello che per l’epoca doveva essere un enorme edificio. Scavando sotto la struttura, trovò una quantità di reperti in terracotta databili all’XI e al XII secolo a.e.v., quella che gli studiosi chiamano Prima Età del Ferro. Ciò significa che l’edificio venne costruito più tardi, il che lo colloca proprio al tempo di Davide. La datazione del materiale ha chiarito che non risaliva all’era dei Gebusei. A proposito degli studiosi che sostengono che il regno di David è un mito creato dalla Bibbia ebraica, Mazar affermava: “Questo fantastico edificio è una risposta grande ed evidente a coloro che affermano che Gerusalemme era un insediamento di nessuna importanza”. Altri manufatti trovati da Mazar confermarono ulteriormente le sue conclusioni. Tra questi, bullae o sigilli risalenti all’era del Primo Tempio con i nomi di figure espressamente menzionate nella Bibbia, un’ulteriore smentita delle tesi secondo cui la Bibbia non conterrebbe alcun elemento storico, a parte essere alla base della fede ebraica e cristiana. Coloro che vogliono ad ogni costo bollare la presenza ebraica a Gerusalemme come un’intrusione aliena non sono in grado di spiegare in alcun modo reperti che menzionano un ministro del re Sedechia e altri che probabilmente sono appartenuti al re Ezechia e al profeta Isaia.

Sebbene nessuno potesse seriamente mettere in discussione l’erudizione di Mazar e l’integrità dei suoi scavi, molti critici contestavano il fatto che per lei, come per il suo illustre nonno, la Bibbia non era semplicemente una fonte di ispirazione religiosa o letteraria. È anche un’essenziale fonte di informazioni sulla storia. Fu proprio dalla lettura di un versetto cruciale del libro 2 Samuele (5:17) che decise che se Davide era “sceso” da dove si trovava verso la sua fortezza, allora Silwan era il luogo dove si poteva trovare la dimora di David.

Mazar ha cercato di tenersi fuori dalla politica, ma inevitabilmente la politica si è intromessa nel suo lavoro. È stata una capofila dello sforzo per fermare il disastroso vandalismo al Monte del Tempio attuato dal Waqf, l’ente del patrimonio islamico che lo amministra, che fece scavare con le ruspe alcune parti dell’antico, delicatissimo sito per poi scaricare il materiale da riporto fuori dalle mura della città come fossero detriti senza importanza. Mazar fu tra coloro che capeggiarono lo sforzo per dare vita al titanico progetto di setacciatura di migliaia di tonnellate di quell’inestimabile materiale ad opera di decine di migliaia di volontari, grazie ai quali sono trovati e salvati numerosi e importanti reperti storici dei periodi del primo e secondo Tempio, anche se è chiaro che molti altri tesori sono andati irrimediabilmente distrutti dai devastanti lavori del Waqf.

Mazar è stata anche una voce impegnata nel preservare altri siti archeologici, come l’Arco di Robinson che comprende parti del Muro Occidentale verso il Tempio. Ebbe inoltre il merito di rivolgersi ai cristiani che amano Israele per aiutarli a capire che preservare la storia ebraica di Gerusalemme è qualcosa di importante anche per la loro fede.

Oggi, i visitatori della Città di David possono vedere coi loro occhi la struttura scoperta da Mazar e una quantità di altro materiale che lei e altri archeologi hanno portato alla luce. Ma i nemici del suo lavoro non sono interessati a queste affascinanti scoperte perché tutto ciò che può comprovare i legami dell’ebraismo con quest’area fa infuriare gli arabi del posto, secondo i quali questo patrimonio storico è solo un ostacolo al loro intento di dividere Gerusalemme e sottrarne agli ebrei come minimo tutta la parte storica e più antica. Lo sforzo di delegittimare il lavoro di Mazar e dei suoi colleghi nello scavo della Città di David ha a che fare con un nodo fondamentale: se riesci a contestare la storia ebraica nel luogo in cui David e i suoi discendenti governavano il loro antico regno, allora puoi negare la storia ebraica e i diritti degli ebrei in tutto il paese. Ed è esattamente ciò che i palestinesi continuano a fare. Il loro continuo tentativo di qualificare la Città di Davide, e persino il Muro Occidentale (“del pianto”), come “miti ebraici”, anziché come l’inizio della civiltà ebraica, è indissolubilmente legato al loro rifiuto di riconoscere la legittimità di uno stato ebraico dovunque vengano tracciati i suoi confini.

I colleghi di Mazar hanno ricordato come abbia aiutato a crescere un’intera nuova generazione di archeologi, e di come abbia contribuito ad aprire la strada ad altre donne in un campo che un tempo era ritenuto esclusivamente maschile. Ma per anti-sionisti e post-sionisti le straordinarie scoperte di Mazar sono solo motivo di costante irritazione. Eppure lei sarà ricordata molto più a lungo di loro per il ruolo che ha svolto nel documentare l’autenticità della storia ebraica. Grazie a lei e a coloro che hanno contribuito a finanziare il suo lavoro, i negatori dei legami storici fra ebraismo e Gerusalemme sono relegati al livello dei terrapiattisti, indipendentemente da quanto sostegno possano ottenere in ambienti cinici o analfabeti.




Il Regno di Israele è esistito: una risposta a Alessandro Barbero
Ester Moscati
di Elena Lea Bartolini De Angeli, Marco Cassuto Morselli, Sara Ferrari, Gabriella Maestri
25 giugno 2021

https://www.mosaico-cem.it/cultura-e-so ... o-barbero/

Sta circolando sul web un video dello storico Alessandro Barbero nel quale si afferma che «Il Regno di Israele non è mai esistito», affermazione supportata dall’idea che non ci siano fonti storiche e archeologiche sufficienti per poter affermare il contrario. A tale proposito ci sembra importante precisare alcuni elementi utili a fare chiarezza nella prospettiva di un corretto approccio alla storia antica e alla sua documentabilità, in quanto è oramai assodata fra la maggior parte degli studiosi l’idea che sia sempre più necessario un approccio interdisciplinare per studiare e comprendere il passato, evitando derive che possono essere causate da rigidità e fondamentalismi nell’analisi dei dati.

La documentazione relativa all’esistenza del Regno di Israele esiste: sicuramente c’è ancora molto da poter cercare e studiare, ma ciò che già è in nostro possesso ha un valore documentario importante che va compreso tenendo conto di una serie di fattori validi per lo studio di tutte le civiltà antiche:

1. Gli antichi non avevano la nostra coscienza storiografica sorta solo in epoca moderna, pertanto ci hanno lasciato testi e documenti nei quali la storia raccontata non è la registrazione precisa e cronologica degli avvenimenti ma la modalità con la quale gli stessi sono stati vissuti e interpretati. Per questo molte testimonianze antiche, che potrebbero apparire solo come miti o leggende, possono contenere una importante dimensione storica che va decifrata e analizzata con gli strumenti adatti, fra i quali quelli paleografici e filologici. Riguardo la storia del popolo di Israele è interessante la nuova edizione del saggio di Yosef Hayim Yerushalmi: Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, edito dalla Giuntina di Firenze nel 2011.

2. Per quanto riguarda la ricerca archeologica in Medio Oriente – e in particolare a Gerusalemme – è importante tener conto del fatto che le costruzioni posteriori hanno quasi sempre distrutto molti dei resti degli strati precedenti: tutti gli archeologi sanno che l’ideale è scavare una città distrutta da un cataclisma e mai più ricostruita, ma nel nostro caso non è così. Per questo la ricostruzione di una storia come quella del Regno di Israele deve necessariamente integrare i reperti archeologici con una critica storica dei documenti antichi che tenga conto della loro età, della lingua nella quale sono stati scritti, del genere letterario utilizzato e delle intenzioni dell’autore. Una ricerca di questo tipo richiede un confronto interdisciplinare e la consapevolezza del fatto che il singolo reperto non può essere mai assolutizzato.

3. Esistono inoltre fra gli studiosi in generale, e fra gli archeologi in particolare, scuole di pensiero molto diverse: da quelle minimaliste a quelle più possibiliste. Non è corretto assolutizzarne solo una, ma è invece opportuno ascoltare e confrontare tutti i punti di vista, lasciando in ogni caso aperte le questioni che richiedono ulteriori accertamenti, evitando conclusioni troppo azzardate, e formulando ipotesi nella prospettiva di una possibile verifica o rettifica che porti eventualmente a formulare la domanda sulla questione o sul reperto in maniera diversa.

In tale orizzonte, e tornando alla questione di partenza, va inoltre sottolineato che quando si parla di «Regno di Israele» è opportuno precisare a quale periodo ci si riferisce: quello dell’unico Regno che va da Davide a Salomone o quello dei due Regni – di Israele (a nord) e di Giuda (a sud) – che va dalla morte di Salomone fino alla guerra siro-eframitica (per il nord) e all’esilio babilonese (per il sud). La discussione infatti verte soprattutto sul periodo da Davide a Salomone: riguardo quest’epoca le testimonianze sono prevalentemente bibliche; tuttavia si stanno trovando importanti riscontri archeologici grazie agli scavi e agli studi di molti ricercatori e ricercatrici che non hanno mai smesso di verificare le loro ipotesi e intuizioni; fra i molti menzionabili non si può non ricordare Eilat Mazar, a cui si devono importanti ritrovamenti presso la Città di David e il monte del Tempio, così come stanno fornendo interessanti reperti anche gli scavi in corso nella zona di Beth Shemesh e Sha‘arajim.

Per quanto riguarda invece il periodo dei due Regni dopo la morte di Salomone le attestazioni sono note e ampiamente condivise: ci sono riscontri nei documenti assiri e nell’iscrizione di Meshah scoperta centocinquant’anni fa. Ciò su cui semmai si discute riguarda la datazione del periodo iniziale che potrebbe variare dal X al IX secolo prima dell’era cristiana.

Elena Lea Bartolini De Angeli, Docente di Giudaismo ed Ermeneutica Ebraica, ISSR Milano
Marco Cassuto Morselli, Vicepresidente dell’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma
Sara Ferrari, Docente di Lingua e Cultura ebraica, Università degli Studi di Milano
Gabriella Maestri, Dottore in Archeologia Cristiana – Roma

Ulteriori approfondimenti (dai quali si evince che la volontà di negare l’esistenza storica del Regno di Israele sia dovuta a condizionamenti ideologici antigiudaici, piuttosto che a rigore storiografico, ndr)

Oltre la Bibbia – di Marco Cassuto Morselli
In Oltre la Bibbia (Laterza 2012) Mario Liverani intende riportare le vicende della nascita d’Israele alla sua realtà storica, secondo i criteri della moderna metodologia storiografica. Egli distingue la storia d’Israele in due fasi distinte: «La prima fase è la “storia normale” e piuttosto banale di un paio di regni dell’area palestinese, non dissimili da tanti altri regni che seguirono analogo sviluppo e finirono poi tutti annientati dalla conquista imperiale prima assira e poi babilonese con le sue devastazioni, deportazioni, e processi di deculturazione. Questa prima fase non è gravida né di particolare interesse né di conseguenze future – e infatti le parallele storie degli altri regni analoghi (da Karkemish a Damasco, da Tiro a Gaza) non hanno nulla da dire se non allo specialista» (pp. VIII-IX).
La seconda fase ebbe inizio con il ritorno di esuli giudei dall’esilio babilonese, i quali misero in opera «un’enorme e variegata riscrittura della storia precedente»: «Quanto la storia vera ma normale era stata priva di un interesse che non fosse prettamente locale, tanto la storia inventata ed eccezionale divenne la base per la fondazione di una nazione (Israele) e di una religione (il giudaismo) che avrebbero influenzato l’intero corso della storia successiva su scala mondiale» (p. IX).
La storia vera è banale e priva di interesse, ciò cui si fondano Israele e l’ebraismo è invece inventato! Questo il risultato scientifico dell’autorevole studioso.
Le conseguenze di tale impostazione si vedono lungo le 500 pagine del suo libro. Ad esempio di Abramo viene detto: «Anche il viaggio archetipico di Abramo da Ur dei Caldei a Harran e alla Palestina riflette la vicenda del ritorno e il punto di vista dei reduci (o almeno dei loro mandanti): Abramo rappresentava una sorta di messaggio promozionale per coloro che volessero tornare dalla Caldea alla Palestina, per affrontarvi con successo tutti i problemi di convivenza con altre genti, di creazione di un spazio economico e politico proprio» (p. 287).
A p. 360 il titolo del paragrafo è : Il mito del «primo tempio». Un lettore frettoloso ne ricava l’impressione che anche il Primo Tempio sia un mito, e solo all’interno del paragrafo successivo, intitolato La costruzione del «secondo tempio» e l’affermazione della guida sacerdotale si viene informati che «Non c’è ragione di dubitare che Salomone avesse costruito a Gerusalemme un tempio di [viene riportato il Tetragramma vocalizzato]» (p. 364).
Che cosa Liverani pensi della Torah viene rivelato a p. 380: «Si tratta di un complesso vario e disorganico, ricco di contraddizioni, all’interno del quale si individuano raccolte legislative più ridotte (e queste sì organiche), collegate ad episodi diversi nella lunga vicenda dell’Esodo, e certamente da attribuirsi ad epoche di formulazione e di redazione diverse». Anche il fatto, riconosciuto da molti, che vi sia stato uno sviluppo della legislazione d’Israele viene presentato dall’Autore in modo del tutto negativo e banalizzante, utilizzando anche in questo caso la categoria dell’«invenzione», termine che compare nel titolo del cap. 18 L’invenzione della Legge e che viene smentito poche pagine dopo con l’affermazione: «L’introduzione di una Legge non può configurarsi come pura e semplice invenzione».
Cosa poi Liverani pensi del Dio d’Israele lo apprendiamo a p. 395: «Non a caso le norme sulla contaminazione e la sacralità aumentano per mole, per dettaglio, per severità in epoca post-esilica, quando la comunità priva di leadership civile, si regge per la sua compattezza attorno al tempio e al Dio vendicativo e inaccessibile che vi abita».
C’è da chiedersi se anche questi giudizi appartengano al rigoroso metodo storiografico o non siano invece personali valutazioni dipendenti dalla cultura dell’Autore.
Ma, al di là di questo, ciò che rimane inspiegato è proprio perché il regno di Giuda non sia scomparso come gli altri piccoli regni mediorientali e perché la sua storia abbia influenzato «l’intero corso della storia successiva su scala mondiale».

Giudea e Palestina – di Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri
Giudea
Dopo l’epoca patriarcale (che può essere datata tra il XVIII e il XVII secolo a.e.c) e il periodo egiziano (con l’esodo databile al XIII secolo a.e.c), abbiamo i racconti di Yehoshua e dei Giudici che descrivono l’insediamento delle tribù nella Terra di Kenaan. Le modalità di tale insediamento, descritte in modo cruento nei racconti biblici, sono oggetto di discussione tra gli studiosi. Alcuni ipotizzano che esso sia avvenuto in maniera progressiva e graduale, e che la narrazione successiva abbia voluto creare un’epopea di conquista enfatizzando gli aspetti militari. Per fare un esempio, in Gs 24,1-18 si narra la presa pacifica di Shekhem: si ha l’impressione che i nuovi arrivati si fossero imparentati con le popolazioni preesistenti e avessero lentamente consolidato i rapporti con loro, accogliendo gruppi di Cananei all’interno delle tribù e in molti casi facendo sì che questi assimilassero le loro tradizioni religiose.
Le tribù, pur nella loro indipendenza, erano tuttavia legate da un qualche tipo di federazione, unite dal comune ricordo dell’esperienza del Sinay e dalla memoria di una ancor più lontana discendenza dai patriarchi, di cui si conservavano oralmente svariate tradizioni. Inoltre a scadenze periodiche le shevatim/tribù si incontravano in svariate località intorno al Santuario mobile, contenente l’Arca dell’alleanza. In questo contesto i vari gruppi riunitisi cominciano ad essere chiamati tutti – e non solo i gruppi provenienti dal Nord – con il nome di Israele, in memoria dell’antenato comune Yaaqov-Yisrael.
Nel periodo dei Giudici le tribù, a volte in conflitto anche tra loro, erano esposte ad attacchi provenienti da ogni parte, soprattutto dai Filistei, e questo portò al desiderio di istituir una monarchia, che desse al popolo una maggior protezione e senso di sicurezza. Su tale istituzione troviamo espresse nei testi biblici posizioni diverse: c’erano i favorevoli (cfr. 1Sam 9,1-10,16) ma anche i contrari (cfr. 1Sam 8 e 10,17-27).
Il primo ad essere consacrato re dal profeta e giudice Shemuel è Shaul (intorno al 1020), il quale per tutta la vita lottò soprattutto contro i Filistei, cercando di consolidare il suo regno. Il consolidamento fu attuato da David (1000-962) e da Shelomoh (961-922). Quest’ultimo organizzò il regno in dodici distretti, uno per ogni tribù d’Israele.
L’unità così faticosamente raggiunta si perse alla morte di Shelomoh con la ribellione delle tribù del Nord e ne seguì la divisione del territorio sotto Yarovam e Reḥovam. A partire quindi dal 931 si ebbero due Regni, quello del Nord, con capitale Shomron, chiamato Regno d’Israele, e quello del Sud, con capitale Yerushalayim, chiamato Regno di Giuda, dalla tribù più importante e numerosa.
Il Regno d’Israele cade tra il 722-721 sotto i colpi degli Assiri (con conseguente deportazione), mentre il regno di Giuda, benché costantemente minacciato dalle potenze dell’Egitto e dell’Assiria, sopravvive fino al 586, anno della conquista e della deportazione babilonese. L’esilio in Babilonia per un verso fu un’esperienza traumatica e amarissima, per l’altro segnò uno straordinario salto qualitativo nella riflessione teologica e nella spiritualità d’Israele.
Con il ritorno in patria, permesso da Ciro, tra il 538 e il 444, tra mille difficoltà la vita ebraica riprende il suo corso. Il Tempio viene ricostruito e si attua la riforma di Ezra e Neḥemyah.
In età ellenistica l’influenza della cultura greca si fa sentire anche in Giudea. Nel 167 il tempio viene profanato dai greci e dopo le lotte maccabaiche nel 167 viene purificato e ridedicato (il che viene ricordato ogni anno durante la festa di Ḥanukkah).
Nei difficili anni successivi si assiste ad un prevalere del potere sacerdotale, che assume anche il potere regale. Dopo circa un secolo di tensioni politico-religiose i discendenti dei Maccabei, Aristobulo II e Ircano, in lotta per la successione, si rivolsero a Roma per ottenere un sostegno: fu così che Pompeo entrò a Yerushalayim nel 63 a.e.c. ed ebbe inizio la dominazione romana.
Nei Vangeli quel territorio occupato dai Romani viene chiamato Giudea, Samaria e Galilea, e non compare mai il nome Palestina. Anche sulle monete romane che ricordano la vittoria è scritto “Iudaea capta” e solo dopo la Seconda guerra giudaica l’imperatore Adriano volle cancellare il nome di Yerushalayim e della Giudea con i nomi di Aelia Capitolina e Palestina. Mentre il nome di Aelia Capitolina è caduto, quello di Palestina si è imposto fino al XX secolo.
Anche i cristiani per indicare quei territori hanno preferito usare la denominazione romana di Palestina. In questo modo Palestina, nome che indicava le terre occupate dai Filistei, ha sostituito il regno di Giuda e Ereṣ Israel. Tale tendenza in molti ambienti perdura fino ad oggi, e si preferisce parlare di Terra Santa piuttosto che indicare le denominazioni ebraiche.

Palestina
Alcuni testi egiziani del XII sec. a.e.c. contengono la prima esplicita menzione dei Peleset, ossia i Filistei, un popolo che ha un forte legame con l’Anatolia e utilizza armi di ferro, che assicurano la superiorità nelle battaglie. Essi fanno parte di quei “popoli del mare” contro i quali ha lottato l’Egitto e che hanno creato sovvertimenti in alcuni casi anche notevoli nell’assetto politico-sociale del Medio oriente antico.
I rinvenimenti archeologici fanno ritenere che lo stanziamento dei Filistei nella terra di Canaan sia avvenuto in due o tre fasi successive. Il nome “Filistei” deriva dal verbo ebraico palash, che significa “penetrare”, “invadere”, in quanto erano considerati invasori. Da loro prese il nome la Filistea, ossia in un primo momento la striscia costiera di Gaza e poi i territori più interni da loro conquistati entrando in conflitto con gli Israeliti, stanziati in quei luoghi già dalla fine del XIII sec. a.e.c.
I Filistei quindi si insediarono nel corso del XII secolo a.e.c. nella regione costiera sud-occidentale, dove venne stabilita la loro pentapoli formata dalle città di Gaza, Ashqelon, Ashdod, Gat e Ekron (cfr. 1Sam 6,17). La loro penetrazione nei territori sempre più interni li portò a scontrarsi con gruppi di Israeliti. Tali scontri vengono narrati, talvolta anche con aggiunte romanzesche, nei libri dei Giudici (nei capp. 13-16 sono raccontate le vicende di Sansone) e di 1 e 2Samuele. In 1Sam 31 viene narrata la loro vittoria su Shaul, mentre in 2Sam 5 si ricorda la vittoria definitiva di David.
Con l’occupazione assira (VIII-VII sec. a.e.c.) e babilonese (VI sec. a.e.c.) della regione, i Filistei spariscono dalla storia come entità etnico-politica. Il nome Palestina però rimane e viene utilizzato nel mondo greco-romano – da Erodoto, Tolomeo e Plinio il vecchio, ma anche da Flavio Giuseppe e Filone – e finisce con l’indicare non più solo l’antica Filistea, ma anche tutta la Giudea.
Nella Torah il nome Pelashet compare una sola volta, in Es 15,14; altre occorrenze bibliche sono soltanto nei Salmi (60,10; 83,8; 87,4; 108,10), in Isaia (14,29.31) e nel deuterocanonico Siracide (50,26). Nel Nuovo Testamento, come abbiamo già visto, il nome non compare mai, e quelle terre vengono chiamate Giudea, Samaria e Galilea.
Al termine della Seconda guerra giudaica (132-135) l’imperatore Adriano dopo aver distrutto Gerusalemme decide di cambiare il nome alla città, nella quale era proibito sotto pena di morte l’ingresso ai Giudei. Vi era la volontà di cancellare anche il ricordo di quella che era stata Ereṣ Israel e annientare ogni traccia della presenza ebraica con la sua storia, la sua cultura e la sua religione.
Per diciannove secoli si è dunque sempre impiegato il nome di Palestina, ma solo a partire dalla metà del XX secolo quella che era una designazione puramente geografica ha assunto un significato etnico. Proiettando all’indietro questo nuovo significato su tutta la storia precedente si ha come risultato che le vicende del regno di Giuda e del regno d’Israele, tutta la storia biblica, tutta la storia ebraica, viene cancellata e sostituita da un’altra narrazione, secondo la quale quelle terre sono da sempre Palestina, e da sempre abitate da Arabi Palestinesi. In tale visione anche Gesù era Palestinese, e gli così pure gli Apostoli, e la prima Chiesa.
Coerente con tale visione è l’opinione, diffusa ormai a livello planetario, che lo Stato d’Israele – «l’entità sionista» – non sia il risultato dell’autodeterminazione del popolo ebraico, ma rientri nella storia del colonialismo e del razzismo, dimenticando che la sua nascita nel 1948 è stata frutto di una decisione dell’ONU.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven giu 11, 2021 9:44 pm

In nord Giudea, scoperte monete di 2000 anni fa che celebrano la “libertà di Sion” e “di Gerusalemme”
Le due monete potrebbero indicare che gli ebrei hanno continuato a vivere nell'area per decenni dopo la distruzione del Secondo Tempio nell’anno 70 e.v.
(Da: Times of Israel, Israel HaYom, Jerusalem Post, 13.7.21)

https://www.israele.net/scoperte-in-nor ... erusalemme

Due rare monete risalenti alle rivolte ebraiche contro i Romani sono state recentemente scoperte da archeologi israeliani circa 30 chilometri a nord-est di Gerusalemme, nella regione di Binyamin (Beniamino).

Secondo Dvir Raviv, dell’Università Bar-Ilan, che ha guidato la ricerca, la prima moneta, scoperta nel terreno del sito archeologico di Khirbat Jib’it, risale al periodo della prima grande rivolta giudaica contro Roma e venne coniata intorno al 67-68 e.v. Da un lato reca una foglia di vite e l’iscrizione ebraica Herut Zion (Libertà di Sion). L’altro lato è decorato con un’anfora e la scritta “Anno due”.

Solo un chilometro più a nord, in una grotta dei dirupi di Wadi Rashash è stata trovata la seconda moneta, che risale ai tempi della rivolta di Bar-Kokhba, l’ultima grande guerra combattuta fra ebrei e Romani. Secondo Raviv la seconda moneta venne coniata intorno al 134-135 e.v.. Reca da una parte un ramo di palma, forse un lulav (una delle piante rituali utilizzate durante la festa ebraica di Sukkot) e una corona circondata dall’iscrizione LeHerut Yerushalayim (Per la libertà di Gerusalemme). L’altra faccia della moneta di Wadi Rashash è decorata con uno strumento musicale, probabilmente una lira, e l’iscrizione Shimon, il nome del capo dei ribelli Shimon Ben Kosevah, meglio conosciuto come Bar-Kokhba. Nella grotta, una delle tante di Wadi Rashash che offrirono rifugio agli ebrei in fuga dai Romani, sono stati rinvenuti anche frammenti di terracotta usati dai ribelli e dai profughi ebrei durante la rivolta.

Finora la grotta Araq en-Na’asaneh, nello Wadi a-Daliyeh, circa sei chilometri a sud della grotta Wadi Rashash, era considerata la caverna-rifugio più settentrionale della rivolta di Bar-Kokhba nel deserto della Giudea. “La moneta Bar-Kokhba di Wadi Rashash – spiega Raviv – attesta la presenza di una popolazione ebraica nella regione fino alla fine della rivolta del 134/5 e.v., contrariamente a quanto precedentemente creduto dai ricercatori e cioè che l’insediamento ebraico nelle alture a nord di Gerusalemme fosse stato distrutto durante la Grande Rivolta schiacciata nell’anno 70, e successivamente non più abitato. Questa moneta è anche la prima prova tangibile che la regione (toparchia) di Acrabatta, oggi Aqrabeh, la più settentrionale delle provincie della Giudea durante il periodo romano, era controllata dall’amministrazione Bar-Kokhba”.


Una sezione delle mura della città di Gerusalemme costruite tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII a.e.v. durante il periodo del Primo Tempio, e in gran parte distrutte dall’esercito babilonese nel 586 a.e.v., è stata scoperta dagli archeologi nel Parco Nazionale della Città di David.
16 luglio 2021

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 8495135848

Lo ha annunciato mercoledì l’Authority israeliana per le Antichità. La parte della cinta muraria portata alla luce venne realizzata per proteggere la città sul versante del declivio orientale, e collega due parti già scoperte negli anni ’60 dall’archeologa britannica Kathleen Kenyon e negli anni ’70 dall’archeologo Yigal Shiloh nelle sezioni più a nord e più a sud del pendio. Restava in dubbio che queste strutture in pietra fossero parte delle mura. La scoperta di questa sezione che collega le altre due scioglie le perplessità confermando che si tratta proprio delle mura orientali dell’antica Gerusalemme. “Le mura della città protessero Gerusalemme da una serie di attacchi durante il regno dei re di Giuda, fino all’arrivo dei babilonesi che riuscirono a fare breccia e conquistare la città – hanno spiegato il direttore degli scavi Filip Vukosavović, del Ancient Jerusalem Research Center, e Joe Uziel e Ortal Chalaf dell’Authority per le Antichità – Tuttavia, non tutto venne distrutto e parti delle mura sono rimaste in piedi fino ad oggi” (a differenza di quanto si legge in 2 Re 25:10, secondo cui l’esercito babilonese “abbatté le mura tutt’attorno a Gerusalemme”). Gli esperti ritengono che i Babilonesi non presero d’assalto le mura sul versante orientale dove il pendio era troppo ripido. La sezione di muro scoperta era alta circa 2,5 m. e larga fino a 5 m. Durante gli scavi sono stati rinvenuti altri reperti relativi al periodo: giare di stoccaggio con anse decorate a “rosetta” collegabili agli ultimi anni del Regno di Giuda; un sigillo a timbro babilonese in pietra raffigurante una figura in piedi di fronte ai simboli degli dei babilonesi Marduk e Nabu; una bulla (impronta di sigillo in argilla) recante il nome di persona Tsafan in antica scrittura ebraica.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » dom giu 20, 2021 4:42 am

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Messaggioda Berto » dom giu 20, 2021 4:42 am

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Messaggioda Berto » gio giu 24, 2021 8:07 pm

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Messaggioda Berto » gio giu 24, 2021 8:08 pm

Presenze di giornalisti antisemiti nella testata "Il Giornale"


Le inquietanti commistioni de Il Giornale
Davide Cavaliere
11 Giugno 2021

http://www.linformale.eu/le-inquietanti ... -giornale/

Indro Montanelli fondò il Giornale in polemica con quella che considerava la virata a sinistra del Corriere della Sera e con l’obiettivo di mettersi «contro il vento di quegli anni che soffiava in direzione del compromesso storico coi comunisti, della contestazione barricadiera, del giustizialismo, del pansindacalismo, della resa all’eversione, e per suonare la Diana della riscossa dei vecchi valori dello Stato di diritto, dell’ordine, della iniziativa privata, dell’economia di mercato, della meritocrazia, non per interpretare e propugnare i gusti e le tendenze del tempo, ma per contrastarli».

Il Giornale si caratterizzò per un orientamento liberale e conservatore, avvalendosi della collaborazione di numerosi intellettuali anticomunisti del calibro di Raymond Aron, Jean-François Revel ed Eugène Ionesco. In politica estera fu atlantista e sionista. Dopotutto, Montanelli espresse posizioni filoisraeliane quando ancora scriveva per il Corriere della Sera. Celebre è divenuta la sua risposta a un lettore intitolata L’antico e legittimo focolare degli ebrei, pubblicata in data 16 settembre 1972. Per la sua creatura editoriale, delle vicende mediorientali si occupava Vittorio Dan Segre, autore e diplomatico con cittadinanza israeliana, che partecipò alla fondazione dello Stato di Israele.

Nel corso del tempo, il Giornale ha garantito una corretta informazione su Israele e il Medioriente, assicurata dalla presenza confortante e granitica di Fiamma Nirenstein. Negli ultimi anni, però, sulle pagine online del quotidiano in questione sono apparsi analisti e commentatori con posizioni e idee preoccupanti. Su il Giornale.it e InsideOver – quest’ultima, come è possibile leggere sul sito, è una testata registrata de il Giornale online srl – sono apparsi articoli apologetici del dittatore siriano Assad, dei regimi baathisti che tentarono di sradicare lo Stato ebraico e della teocrazia iraniana. Scritti che, su L’Informale, sono stati già presi in esame.

Inquietano anche i diversi articoli velatamente filocinesi e filoturchi comparsi, ancora una volta, su InsideOver. In uno scritto pubblicato in data 3 giugno 2021, intitolato Karabakh, la città fantasma di Agdam tornerà a vivere, si parla dei territori occupati dall’esercito azero sostenuto da Ankara come di «territori liberati dell’Azerbaigian». Altrove, ci si rammarica per la mancata adesione di Roma alla China’s Belt and Road Initziative promossa dal totalitarismo cinese, che diverse perplessità ha suscitato presso i nostri servizi segreti e i nostri alleati atlantici.

In un articolo pubblicato, in data 9 giugno 2021, su InsideOver e ripreso da il Giornale.it con il titolo “No a Mosca e Pechino”: l’insidia Usa contro l’Italia, gli autori scrivono: «Partecipare alla guerra fredda 2.0, dunque? Sì, anche perché l’Italia non ha altra scelta – possedendo una sovranità limitata parimenti alle altre medie potenze europee». Nonostante si celi dietro a una pretesa e perniciosa «analisi oggettiva dei fatti», il senso dello scritto è molto chiaro: Washington, ossia il declinante impero americano, impedisce all’Italia di intrattenere relazioni più strette con Pechino e Mosca. Non si fa, ovviamente, cenno ai pericoli di un eccessivo avvicinamento all’autocrazia russa e, soprattutto, alla dittatura cinese. Pechino, infatti, sta tentando di espandere il suo controllo sulle infrastrutture economiche critiche dei paesi europei più deboli con l’obiettivo di ampliare la sua sfera d’influenza politica e militare.

Numerosi sono gli articoli pubblicati su InsideOver e poi riportati su il Giornale.it riguardanti Israele. Le disamine in questione, sebbene caratterizzate da uno stile piatto che vorrebbe essere il più possibile «scientifico», nascondono una radicata antipatia per lo Stato ebraico. In uno scritto del 25 ottobre 2019 intitolato Ora Israele deve fare i conti con la Russia, si presenta Israele come una nazione ossessionata dall’Iran: «Tel Aviv deve mantenere il predominio nucleare del Medio Oriente e non può permettersi che nessun’altra potenza regionale possa dotarsi di armamento atomico. Una politica che rasenta la fobia ma che è in un certo senso giustificata dai proclami che la teocrazia ha fatto in passato sullo Stato ebraico». Il lettore non deve farsi ingannare da quel «un certo senso giustificata», poiché l’intero articolo tende a presentare le forze di difesa israeliane come miopi e paranoidi. Un altro articolo reca come titolo: Raid in Iraq, Libano e Siria: Israele riaccende la sfida all’Iran.

In un pezzo del 26 gennaio 2019, intitolato Ecco cosa c’è davvero dietro il colpo di stato in Venezuela, pubblicato su InsideOver, si rispolvera la datata e screditata teoria secondo cui gli Stati Uniti avrebbero mosso guerra all’Iraq per prendere possesso dei suoi pozzi petroliferi: «C’è una scena del film Vice, sul potentissimo Dick Chaney, nel quale i capi delle maggiori compagnie petrolifere Usa si presentano al nuovo potente subito dopo la vittoria, squadernandogli davanti una mappa dell’Iraq sulla quale sono contrassegnati i giacimenti petroliferi del Paese. Il resto è storia nota […] Impossessarsi dei più ricchi giacimenti petroliferi del mondo, quelli di Caracas, per Washington è diventato decisivo».

Questi sono solo alcuni esempi del malcelato antioccidentalismo che anima alcuni individui orbitanti intorno a il Giornale. Come è stata possibile questa deriva? Disattenzione o «eccesso» di pluralismo? Non possiamo che auspicare un ritorno del celebre quotidiano a un più deciso atlantismo, sempre rivendicato da Montanelli. Di simpatizzanti della Cina, di Maduro, della tirannia iraniana non ne sentiamo la necessità.
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Messaggioda Berto » gio giu 24, 2021 8:08 pm

Il Papa bugiardo e l'infernale alleanza con l'Islam
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2378
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