RICORDARE LA SHOAH SIGNIFICA VIGILARE SULL'ANTISEMITISMOdi Ugo Volli
27 gennaio 2020
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 8329002845 Oggi è la Giornata della Memoria, il settantacinquesimo anniversario della caduta dei cancelli di Auschwitz. La ricorrenza è stata celebrata con grande solennità a Gerusalemme alla presenza di una sessantina di capi di stato e di governo, fra cui Putin, Macron, il presidente tedesco e il nostro Mattarella: una riunione che ha anche il senso di riconoscere che lo Stato di Israele è oggi la difesa sicura contro l’antisemitismo.
Ciò non significa affatto che la costituzione dello stato sia stata concessa come risarcimento della Shoah, come pretendono gli antisionisti: la decisione della Società delle Nazioni (l’Onu del tempo) che istituiva il mandato britannico allo scopo di “favorire l’insediamento ebraico” e di “costituire una sede nazionale (a national home) per il popolo ebraico” precede di una dozzina d’anni la presa del potere dei nazisti.
La ragione dell’insediamento ebraico in Terra di Israele risale ai tempi biblici e non è mai venuta meno da 35 secoli. L’esilio imposto dai romani a buona parte del popolo ha impedito però per un tempo lunghissimo agli ebrei di sottrarsi alle persecuzioni, non solo quelle naziste, ma anche quelle sanguinose dell’Europa cristiana, durate almeno mille anni, e a quelle altrettanto lunghe e dolorose del mondo musulmano.
Ricordare la Shoah, il grande massacro compiuto negli stati di tutta Europa su cittadini come gli altri solo perché ebrei, oggi per l’Europa vuol dire vigilare contro l’antisemitismo che rinasce e non solo nell’estrema destra, ma anche a sinistra e fra gli immigrati musulmani. Agli ebrei richiede di sapere che possono essere sicuri solo contando su se stessi e anche per questo hanno bisogno di uno stato loro che li difenda.
Thanks to Shalom
Gino QuareloL'esilio non fu imposto solo dai romani ma anche dagli invasori nazi maomettani arabi e non arabi che sostituirono i romani prima pagani e poi cristiani come invasori e oppressori.
Incredibile la quantità, ogni anno maggiore, di “eventi” o “commemorazioni” per il 27 gennaio. Non mi esprimo su ciò, ma vi propongo qui una lunga riflessione, molto colta come sempre, di Vittorio Robiati Bendaud, pubblicata su La Verità di ieri.
Emanuel Segre Amar
24 gennaio 2020
https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 3676073390La Giornata della memoria squalificata dal vittimismo
È diventata una «messa laica» contro il razzismo: così si oscura il riferimento agli ebrei. E intanto si dimentica il genocidio armeno vittorio robiati bendaudtale memoria. Questo abuso si è spesso ubriacato di retorica e di iperboli, più che di sensibilità, studio e riflessione. Di anno in anno, l'impianto liturgico si è fatto più imponente: una solenne «messa» laica, post cristiana. Alla confessione di peccato corrispondono i crimini d'odio, insidiosamente declinati più in maniera collettiva che afferente alle responsabilità individuali; alle letture bibliche si sostituiscono le testimonianze dei sopravvissuti o pagine dei loro sofferti ricordi; a omelie stantie si avvicendano trite lezioni di morale civile e politica; al crocifisso si sovrappongono gli ebrei, nuovamente figure cristiche e interessanti soltanto in quanto vittime.
Ed è così che il ricordo della Shoah sembra essere sottoposto anch' esso a un'ermeneutica non troppo dissimile da quella con cui la patristica strappò le Scritture ebraiche agli ebrei, generalizzandole e universalizzandole per una nuova società e per nuovi scopi, talora rivolgendole proprio contro gli stessi ebrei, quando cioè non ci si poteva agevolmente svincolare dal riferimento concreto e puntuale, particolare e peculiare, all'ebraismo e agli ebrei.
Se la Giornata della memoria è anzitutto, universalmente, il luogo per parlare di ogni forma di discriminazione e persecuzione, ossia l'espressione estrema del razzismo, il problema sarà allora addomesticare e contenere l'antisemitismo nel più generale razzismo. Ed è così che il riferimento agli ebrei insiste unicamente sul loro essere stati vittime, fossilizzandoli a quel ruolo drammatico e passivo, con un totale disinteresse sulle rinascite e sui conseguimenti successivi, personali e comunitari. Sulla vita dopo, nonostante. Non solo: man mano che questo processo di generalizzazione procede, inevitabilmente si moltiplica la tentazione di accostarvi ogni altra tragedia e violenza umana, sì che il riferimento storico specifico all'antisemitismo e agli ebrei o viene ridimensionato e sbiadito, oppure infastidisce, perché sembra tradire l'afflato universalizzante.
È doveroso rivendicare la portata universale di Auschwitz, con i suoi moniti all'intero genere umano. Per farlo è però, al contempo, imprescindibile precondizione e criterio regolatore comprenderne la primaria e specifica portata per gli ebrei e in relazione agli ebrei. I progressisti, molti in assoluta buona fede e con nobili intenti, taluni invece con sofisticata cattiva coscienza, hanno cercato di svellere questo nesso, che, se perduto, tradisce l'intera memoria della Shoah, falsificandola. Ed è esattamente così che è stato possibile usare tale preziosa memoria, appropriandosene alcuni, per delegittimare culturalmente e politicamente altri.
Questa è, a tutti gli effetti, una profanazione.
I «liturgisti» della memoria, comunque, nonostante il carattere «ecumenico» di molte cerimonie, non sono stati, sin dagli inizi, tuttavia così universali e inclusivi come vorrebbero apparire. Dove sono e dove sono state, infatti, le testimonianze presso le massime istituzioni della Repubblica dei Testimoni di Geova o degli omosessuali, vittime anch' essi? Chiaramente c'è un certo imbarazzo colpevole a mio avviso. Quando verranno sdoganate anche queste testimonianze, la colpevolezza si trasformerà in semplice ipocrisia. Ciò sottolineato, è indubbio che vi sia una distanza, da riconoscersi, tra la Shoah patita dagli ebrei, e le tremende persecuzioni di cui soffrirono, nell'imperversare della stessa barbarie nazifascista, altre comunità umane. Certamente, una riflessione attenta, onesta e puntuale sull'antisemitismo, come pure sul pregiudizio delegittimante e omicida contro gli omosessuali, romperebbe l'idea che tutto ciò sia facilmente riducibile a declinazioni diverse di un più ampio razzismo, dato che si tratta, occorre ripeterlo ancora una volta, di mali specifici, con origini, attitudini e declinazioni tra loro anche irriducibili.
Da anni mi tormenta un interrogativo: perché gli occidentali non hanno riconosciuto anche al genocidio armeno (patito pure da 800.000 cristiani assiri e da 400.000 greci del Ponto) questa cesura drammatica della Storia, tremendamente reale e con un enorme portato simbolico? Perché abbiamo teologie della Shoah -persino da parte cristiana- e nulla o quasi sul genocidio armeno? Perché la filosofia non se ne curò (e in ampia misura ancora non se ne cura), nonostante il pensiero politico, filosofico e teologico tedesco ben sapesse cosa stesse accadendo agli armeni e talora lo giustificasse, essendo peraltro i tedeschi i principali complici dei turchi nell'opera genocidaria?
Perché non contrastare con ogni mezzo politico ed economico un negazionismo di Stato, perpetrato durante e dopo (sino a oggi) l'opera genocidaria contro gli armeni, a fronte di un Paese che arretra di ora in ora rispetto al riconoscimento di diritti minimi irrinunciabili, quali quello di espressione e di stampa?Dopotutto, le deportazioni moderne di massa non sono state certo inventate dai nazisti con la Shoah. Le nazioni europee (Francia, Belgio, Inghilterra, Portogallo, Spagna e Olanda) si sono con successo peritate nel deportare con industriale efficacia dall'Africa almeno una dozzina di milioni di esseri umani, con spesso ampia complicità delle potenze musulmane: c'era là uno scopo economico. L'Inquisizione portoghese deportò via nave, per processarli e condannarli scenograficamente a Lisbona, decine di migliaia di marrani, criptoebrei e giudaizzanti da Rio de Janeiro e dal Brasile: fu totalmente antieconomico, ma vi era un fine dimostrativo e autocelebrativo. Le deportazioni in massa degli armeni e degli ebrei, invece, dovevano occultare (negazionismo intragenocidario) l'opera genocidaria ed eliminare, per la sola colpa di essere nati, ebrei e armeni, anche se questo significava distruggere la società ottomana o quelle europee e impoverirle, persino quando questo risultò totalmente antieconomico, con i rispettivi regimi allo strenuo. E, ancora, dopotutto, anche gli armeni, il più antico popolo cristiano, morto martire e non apostata, possono essere intesi da alcuni come una figura cristica. Infine, la parola «genocidio», subito giustamente applicata alla Shoah, fu coniata da un pensatore e giurista ebreo, Raphael Lemkin, che la inventò pensando agli armeni.Molti rispondono che quel che è successo agli ebrei è successo qui da noi, ecco perché. Ammesso (e non concesso) che questa risposta sia valida, si impone un'obiezione: perché mai, allora, andare sempre e in primo luogo ad Auschwitz, disertando istituzioni e scuole i principali luoghi della memoria italiana, confinando all'alterità oltreconfine la barbarie nazista? È raro che vi siano circuiti e treni della memoria, con un itinerario tutto italiano, che partano dai ghetti romano, veneziano o anconetano (i primi della Storia, proprio alla radice di questa drammatica storia) e che poi transitino per le Fosse Ardeatine e per Fossoli, per Borgo S. Dalmazzo, il Memoriale della Shoah di Milano, il Meis di Ferrara, il campo di Bolzano e la Risiera di S. Sabba, con il suo crematorio italiano. È più facile esorcizzare gran parte del male Oltralpe, e rende possibili narrazioni nazionali più confortanti. Ed è così che si può cercare di ridimensionare il tradimento atroce patito dagli ebrei italiani, tra i più entusiasti e fedeli fautori dell'Unità d'Italia, durante gli anni del nazifascismo. Così come è più facile tacere sui tradimenti successivi, inflitti ai superstiti: dalle odiose parole di Benedetto Croce alla trasformazione oscena e ignobile di un pur grande giurista, Gaetano Azzariti, da presidente del famigerato Tribunale della Razza a Presidente della Corte costituzionale della Repubblica italiana, in quota comunista, con silenzi decennali.La Giornata della memoria dovrebbe educarci al silenzio, all'interrogativo angoscioso e all'assunzione drammatica ed esigente della complessità dell'umano e delle sue tenebre intrinseche, e non agli slogan facili, come il pur doveroso e auspicabile «mai più».
La maledetta ipocrisia Essere filoebrei e antisionistidi Fiamma Nirenstein
20 gennaio 2020
http://www.italiaisraeletoday.it/la-mal ... Ax7Yj1wV-4 Chi ha il diritto, il privilegio, di poter combattere l’antisemitismo che è riapparso, ripugnante, in tutto il mondo? Nei giorni prossimi a Gerusalemme si apre una conferenza mai vista prima, in cui da Netanyahu a Putin a Mattarella a Macron tutti si consulteranno su come battere questo fenomeno. Sembra ovvio, logico: la memoria della Shoah, lo stupore indignato di chi 70 anni dopo assiste a una crescita verticale di odio contro il popolo ebraico, l’aggressione contro le persone, i simboli, i luoghi di culto, contro la sua legittimità ad esistere, unisce.
In realtà l’unità su come combattere questa battaglia è un serissimo problema. Ogni guerra richiede un’analisi e quindi una strategia accurata, e qui invece esse sono tante e spesso inconciliabili. Da una parte infatti c’è una dimensione utopistica, quello che in inglese si chiama un wishful thinking essa vede la lotta tutta volta verso destra, il luogo essenziale, classico, dove l’antisemitismo deve essere storicamente collocato nel secolo scorso, l’era della Shoah.
Il nazifascismo è indubitabilmente l’autore e il responsabile del maggiore fra i genocidi, più di sei milioni di persone innocenti e fra di loro un milione e mezzo di bambini. È così, e forse ancora la destra responsabile non ha fatto sufficientemente ammenda, e anzi alcuni suoi gruppi insistono su quel ceppo ideologico e sono orridi e degni di ogni punizione.
Di certo, la parte suprematista bianca contemporanea ricorda la pretesa razzista che predicava la riduzione in schiavitù di chi non apparteneva al ceppo ariano bianco.
Contemporaneo a quel ceppo ce n’è un altro colossale a sua volta quello che nasce col comunismo, diventa prosecuzione capillare al tempo di Stalin, si trasforma a piacere in accuse di complicità coi crimini del capitalismo, dell’imperialismo e oggi, molto diffuso, si posa in forma rimodernata sull’odio contro Israele. Corbyn ne è l’ultimo portatore, in larga compagnia.
Poi c’è un terzo tipo di antisemitismo, quello citato da Matteo Salvini (in realtà ha parlato di tutti i tipi di antisemitismo condannandoli in massa senza nessuna remora): quello importato dalle migrazioni musulmane in Europa. In genere viene obliterato perché dispiace, ma è stato verificato senza remissione sin dal 2002 dalla commissione dell’Ue sul Razzismo che fu incaricata da Romano Prodi: i risultati però erano imbarazzanti e il Financial Times la riesumò da un cassetto.
Da allora sono state fatte centinaia di ricerche sull’argomento, e tutte dimostrano la stessa cosa: che gran parte dei musulmani immigrati sono antisemiti (lungi da noi farne un dato fisso): in Belgio secondo un’analisi dell’Adl del 2015 lo era il 68% contro il 21 (e non è poco) dei cittadini di altra origine, in Francia 49 a 17, in Germania 56 a 16, in Inghilterra 57 a 12. Altre analisi dicono che il loro antisemitismo è antisionismo, ma chi conosce il discorso pubblico sugli ebrei nell’islamismo, sa che i termini sono sovrapposti.
Inoltre gli attentati terroristici che hanno preso gli ebrei di mira in Europa sono stati compiuti da islamici che poi li hanno rivendicati in nome di un’ideologia jihadista, come Mohammed Merah quando ha ucciso a Tolosa tre bambini e il loro maestro che entravano a scuola, e così tutti gli altri. Merah ha detto che ammazzava i bambini ebrei come gli israeliani ammazzavano quelli palestinesi.
Per chi immagina che si possa essere filoebrei e antisionisti, ovvero negare al solo popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, il consiglio è di attenersi alle famose tre D di Nathan Sharansky, per identificare la critica legittima e l’antisemitismo. Antisemitismo è «Delegittimare» lo Stato d’Israele con le menzogne che ormai a quintali gli si sono accumulati addosso (stato di apartheid, genocidio dei palestinesi, uso della Shoah), «Demonizzazione» (una fra le tante?, che l’esercito uccide i giovani palestinesi per impossessarsi dei loro organi e venderli) doppio standard (cioè, condannare i cosiddetti «Territori occupati» e ignorare quelli occupati da Turchia, Cina, Marocco e così via).
Nella polemica stranamente gran parte del mondo ebraico e dei suoi amici rinunciano all’evidente unicità dell’antisemitismo: si parla molto della sua intersezione con la cosiddetta «politica dell’odio». Cioè, chi combatte gli antisemiti deve essere parte del grande schieramento «intersezionale» contro l’oppressione, deve militare in parecchi altri campi, per i confini aperti, nel campo anticolonialista (ma è finito da tempo), femminista (non c’entra però), paladino delle teorie di gender (anche questo ha poco a che fare)… scivolando alla fine su terreni incerti, dove si incontra la violenza, il terrorismo, la cultura del politically correct che ti suggerisce di negare la unicità della persecuzione degli ebrei e forse alla fine anche quella della Shoah.
Chi scrive ha da sempre un forte impegno liberal nel campo del femminismo, dell’uguaglianza, dei diritti dei gay. Ma l’antisemitismo ha una sua dimensione unica, il popolo ebraico lo si accusa di tutto e del suo contrario, l’unico di cui si è scientificamente progettata l’eliminazione, l’unico che da millenni abbia subito persecuzioni e se ne sia rialzato grazie alla sua forza spirituale da cui nasce il pensiero moderno fino alla democrazia, l’unico che riponga il suo futuro in uno Stato democratico e capace di difendersi. Unico è il Popolo ebraico, e l’antisemitismo.