I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » lun apr 01, 2019 1:15 pm

L’Iran sta muovendo guerra a Israele. Da Gaza
(Da: Ha’aretz, 29.3.19)
Muhammad Shehada

https://www.israele.net/liran-sta-muove ... Dwn7XcY41s

Teheran non vuole tregue fra Gaza e Israele, per questo taglia i fondi a Hamas e li aumenta ai suoi scagnozzi della Jihad Islamica. A scapito della popolazione palestinese

Mentre si calmano le acque dopo l’ultima settimana di escalation tra Israele e Gaza, né Hamas né Netanyahu possono dire d’aver ottenuto una vittoria o una svolta sostanziale. C’è invece un’altra fazione politica a Gaza che è in costante ascesa verso la popolarità sulla scia di questi ultimi eventi: la Jihad Islamica palestinese.

Anche se alcuni commentatori locali, e la stessa Hamas, hanno cercato di sostenere che il razzo lanciato sull’area di Tel Aviv lunedì scorso era un “incidente”, la Jihad Islamica si è rifiutata di sconfessare l’attacco missilistico scegliendo anzi di aggravare la situazione nella speranza di guadagnarci politicamente. Il suo nuovo capo, Ziad Nakhallah, ha subito dichiarato che se Israele avesse reagito loro avrebbero “risposto duramente”. Poi, mentre si profilava il bombardamento di reazione israeliano, l’intelligence egiziana trasmetteva a Hamas il messaggio che la risposta di Israele sarebbe stata contenuta se i gruppi militanti di Gaza non avessero reagito al primo round di attacchi aerei. Viceversa, hanno avvertito gli egiziani, sparare altri razzi su Israele avrebbe probabilmente innescato una guerra. Hamas ha preso atto del messaggio e si è morsa la lingua. Ma ancora una volta è stata la Jihad Islamica a rompere il consenso fra le fazioni di Gaza e a lanciare una raffica di razzi sul sud di Israele, che ha anche filmato con grande compiacimento e diffuso quasi istantaneamente.

Non era certo la prima volta che la Jihad Islamica metteva consapevolmente in imbarazzo Hamas sfidando senza mezzi termini le sue “linee rosse”, col rischio di far saltare tutto a Gaza. Due settimane prima, altri due razzi simili erano stati lanciati “accidentalmente” verso Tel Aviv da membri di Hamas. Quest’ultima, decisa a preservare i negoziati indiretti sul cessate il fuoco con Israele, non solo si scusò immediatamente per l’incidente, ma arrestò anche i propri operativi che additava come responsabili. La Jihad Islamica, dal canto suo, non aveva perso tempo e aveva diramato una dichiarazione chiaramente intimidatoria: “Nonostante gli sforzi egiziani, noi eleviamo il nostro grado di preparazione e lo stato di allerta per combattere l’occupazione”. Un capo di Hamas, Musa Abu Marzouq, aveva pubblicamente denunciato la “dichiarazione d’escalation” della Jihad Islamica proclamando che i suoi “razzi politicizzati devono essere fermati”. Tutto questo avveniva dopo che il capo di Hamas, Ismael Haniya, aveva incontrato Nakhallah poche settimane prima al Cairo e gli aveva chiesto di rispettare gli accordi per il cessate il fuoco a Gaza. Nello stesso mese, infatti, la Jihad Islamica aveva lanciato due ordigni su Israele per vendicare attacchi aerei israeliani contro obiettivi iraniani in Siria.

L’attrito fra Hamas, determinata ad affermare il suo rigido controllo su Gaza, e la Jihad Islamica, determinata a disobbedire e sfidare gli ordini di Hamas, segue uno schema evidente che si è venuto plasmando sin da quando i colloqui indiretti tra Israele e Hamas hanno iniziato a dare qualche frutto limitato: Israele ha permesso il trasferimento di denaro contante dal Qatar per pagare i dipendenti di Hamas e ha permesso che entrasse nell’enclave più carburante. In realtà, la tensione fra le due fazioni è intrinseca alle ideologie divergenti abbracciate da Hamas e Jihad Islamica. Hamas è un’estensione della corrente di pensiero dei Fratelli Musulmani; la Jihad Islamica abbraccia la rivoluzione islamista iraniana. Hamas crede nell’importanza dell’Olp e cerca accanitamente di strappare a Fatah il controllo sull’Autorità Palestinese. La Jihad Islamica non riconosce affatto l’Olp come unico rappresentante del popolo palestinese, respinge l’Autorità Palestinese (frutto del processo di pace con Israele) e rifiuta il perseguimento da parte di Hamas di un cessate il fuoco duraturo a Gaza. Come ha affermato l’ex capo della Jihad Islamica, Ramadan Shalah, un tale cessate il fuoco “escluderebbe Gaza dal conflitto e favorirebbe il tentativo di Israele di ingoiare la Cisgiordania”.

Entrambi i gruppi armati sono riusciti a coesistere e persino a operare dalla stessa sala di comando e controllo (la cosiddetta “sala operativa delle fazioni palestinesi”) per più di un decennio, condividendo i privilegi legati al fatto di controllare il ceto dominante a Gaza. Cooperano secondo un do ut des: in cambio di acquiescenza, cooperazione e sostegno, Hamas ha concesso al personale della Jihad Islamica uno status superiore rispetto al resto della popolazione di Gaza, ad esempio considerando i capi della Jihad Islamica al di sopra della legge e permettendo al loro movimento di operare, reclutare e sfilare liberamente e sviluppare le proprie capacità militari senza vincoli. Di conseguenza, entrambi i gruppi cercavano di agire in modo relativamente consensuale in merito alle decisioni se scontrarsi con Israele, sebbene Hamas conservasse un potere e un dominio superiori rispetto alla Jihad Islamica. Questo equilibrio si è mantenuto grazie alla leadership relativamente disciplinata di Ramadan Shalah. Ma tutto è cambiato quando Shalah ha improvvisamente disertato la scena politica, nell’aprile 2018, sostituito da un capo ignorante, cocciuto e militarista come Ziad Nakhallah, noto soltanto per aver giurato lealtà cieca ed eterna all’Iran e in particolare alla Forza Quds delle Guardie Rivoluzionarie.

Nakhallah ha accelerato la trasformazione del suo gruppo in una succursale iraniana, gestita a Teheran con un interruttore acceso/spento che ha lo scopo di attizzare i problemi a Gaza ogni volta che l’Iran ha bisogno di creare un diversivo, una ritorsione o di inviare un messaggio. Negli ultimi mesi, l’Iran ha espresso la sua disapprovazione per un possibile cessate il fuoco a lungo termine fra Hamas e Israele: uno scenario che certamente non risponde agli interessi di Teheran. Un Israele che non dovesse più preoccuparsi di Gaza avrebbe più tempo, energie e risorse per combattere la presenza iraniana in Siria. La netta opposizione dell’Iran sia alla riconciliazione intra-palestinese sia a una tregua con Israele ha significato un allentamento dell’abbraccio di Hamas da parte di Teheran. Il che ha spinto l’Iran a gonfiare la Jihad Islamica fino al punto in cui avrebbe intrapreso una battaglia di pari forza con Hamas. Questa spinta ha lo scopo di spingere la Jihad Islamica a scippare a Hamas il diritto di decidere su guerra o pace. Così, nell’ultimo decennio, mentre il sostegno finanziario dell’Iran a Hamas diminuiva drasticamente, il suo sostegno alla Jihad Islamica aumentava drammaticamente fino a livelli pazzeschi. A causa delle difficoltà finanziarie del movimento, i militanti di Hamas non hanno ricevuto lo stipendio per diversi mesi. Ormai il movimento si regge quasi esclusivamente sui finanziamenti generati dalle tasse imposte ai palestinesi di Gaza e dal traffico di contrabbando. Al contrario, la Jihad Islamica è così piena di soldi che ha distribuito aumenti di stipendio ai suoi membri. Ciò ha suscitato talmente tanta invidia all’interno di Hamas che alcuni giovani membri hanno persino disertato per aderire alla Jihad Islamica attirati dai vantaggi economici che offre. Mentre la Jihad Islamica prospera, il vecchio status quo con Hamas va franando. Hamas era abituata a comperare la condiscendenza della Jihad Islamica, ma non funziona più. In altre parole, la Jihad Islamica sta diventando sempre più indomabile.

Spinto dalla preoccupazione per l’imprevedibilità della Jihad Islamica, l’Egitto insieme a Hamas sta esercitando enormi pressioni sul gruppo filo-iraniano perché torni in riga. Al momento non sembra un obiettivo raggiungibile. La Jihad Islamica si sta adoperando per sfruttare ogni opportunità, grande o piccola, per mantenere Gaza sulla strada che porta a un’altra guerra con Israele. I capi della Jihad Islamica e i loro burattinai a Teheran sono tuttora convinti che questa sia la migliore possibilità che hanno di far saltare l’allettante status quo fra Hamas e Israele, e per sostituirsi fieramente e senza compromessi a Hamas come la vera avanguardia della “resistenza armata” palestinese.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » dom mag 05, 2019 9:49 pm

I nazi maomettani di Gaza detti impropriamente palestinesi stanno bombardando Israele
https://www.facebook.com/WorldJewishCon ... 3793787565


Israele, Jihad islamica pronta a guerra totale. Aperti rifugi nel nord del Paese
Gabriele Laganà - Dom, 05/05/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/isr ... 89385.html

Il portavoce della Jihad Islamica ha minacciato un'escalation delle azioni fino ad arrivare a una guerra totale contro Israele. Intanto il sindaco di Netanya, città a 30 km a nord di Tel Aviv, ha ordinato l'apertura dei rifugi pubblici

Tensione sempre più alta in Medio Oriente. Poco fa, tramite il suo portavoce Mosab Al Braim, la Jihad Islamica ha minacciato un'escalation nelle violenze fino ad arrivare a una guerra totale contro Israele.

"La resistenza è sull'orlo di un nuovo livello di fronte all'aggressione, un livello che potrebbe portare a una guerra aperta. Farà male al nemico così come fa soffrire il nostro popolo" , ha dichiarato l’esponente dell'organizzazione terroristica dalla Striscia di Gaza, territorio duramente bombardato dalle forze israeliane in risposta al lancio di centinaia di missili negli ultimi due giorni.

In queste ore, però, il governo israeliano è preoccupato da un possibile allargamento del fronte a nord, verso Tel Aviv e oltre, con il lancio di missili a lunga gittata che possono colpire la zona centro-settentrionale del Paese.

Inoltre, secondo la stampa israeliana, le autorità militari temono anche una possibile azione da parte di Hezbollah dal sud del Libano. Per fronteggiare ogni evenienza, il sindaco di Netanya, città costiera a 30 chilometri a nord di Tel Aviv, ha ordinato l'apertura dei rifugi pubblici come misura precauzionale.

Il bilancio provvisorio delle violenze è di 17 morti palestinesi, tra cui una bambina di 14 mesi e due donne in stato di gravidanza, e tre vittime israeliane.



450 missili su Israele in 24 ore, QUATTROCENTOCINQUANTA
Maurizia De Groot Voson
Maggio 5, 2019

https://www.rightsreporter.org/450-miss ... ocinquanta

Cosa deve fare Israele se non difendersi? Qualunque Stato al mondo dopo essere stato attaccato con 450 missili in meno di 24 ore si difenderebbe. E se ci saranno vittime civili, si vada a cercare i responsabili a Teheran, non a Gerusalemme

Cosa deve fare uno Stato democratico che viene attaccato da gruppi terroristici con oltre 450 missili in poche ore se non difendersi?

Cosa farebbe per esempio l’Italia se tra ieri e questa notte dalla Slovenia avessero lanciato 450 missili su Trieste?

Ragionateci un attimo perché a vedere i media italiani questa mattina sembra che Israele abbia cominciato i raid su Gaza quasi per sfizio, così, tanto per bombardare da qualche parte invece che per legittima difesa.

Sarebbe lungo fare la cronaca di quanto successo da ieri mattina quando Hamas e Jihad Islamica, ambedue proxy dell’Iran (ed è bene sottolinearlo) hanno iniziato a lanciare missili su missili addosso al sud di Israele.

Era prevedibile che ciò avvenisse, più prevedibile di quanto si pensi. Bastava ascoltare quanto detto dal capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, solo l’altro ieri. «Israele teme di rimanere impigliato in una guerra con Hamas» aveva detto il capo di Hezbollah ricordando la tenaglia che circonda il piccolo Stato Ebraico.

L’asse del male formato da Iran, Hamas, Jihad Islamica ed Hezbollah vuole trascinare Israele in un conflitto a Gaza, lo vuole perché un conflitto su larga scala indebolirebbe il fronte nord, quello più pericoloso per lo Stato Ebraico.

E non lesinano sforzi per farlo. 450 missili in meno di 24 ore non sono uno scherzo, non sono una provocazione. Lanciare quella quantità di missili su una zona larga pochi chilometri quadrati significa impegnare al massimo le difese israeliane, significa dare fondo a molte risorse tra le quali la più importante è il sistema Iron Dome che ne ha intercettati centinaia affinché non cadessero sui civili israeliani.

Che poi qualcuno di quelli intelligenti si dovrebbe chiedere da dove arrivano tutti questi missili. Non hanno di che sfamare la propria gente (che infatti viene sfamata da Israele), non hanno acqua e luce (che infatti arriva da Israele), ma hanno le risorse per costruire un arsenale di missili degno di un grande potenza. Qualcosa non torna.

Netanyahu a un bivio

Da molto tempo Netanyahu cerca di evitare un conflitto su larga scala a Gaza proprio per non dare un vantaggio strategico agli iraniani. È’ stato criticato per questo da molte parti. Ma questa volta sembra che non ci sia via d’uscita, questa volta a Teheran hanno deciso di fare sul serio. Usano la gente di Gaza come carne da macello per far aprire a Israele un fronte sud. E forse questa volta ci riusciranno.

Ma che non si parli di “aggressione israeliana” come si è visto fare da più parti, o che non si faccia passare il messaggio che Gerusalemme bombarda Hamas giusto per fare qualcosa o addirittura per invadere la Striscia di Gaza. Israele difende i suoi cittadini con ogni mezzo, non come fa Hamas che usa i propri cittadini come scudi umani, come carne da macello per ingraziarsi gli Ayatollah iraniani.

E se a causa della legittima difesa di Israele ci saranno vittime civili tra gli abitanti di Gaza, si vada a cercare i responsabili a Teheran, non a Gerusalemme. Israele ha sopportato sin troppo questa situazione. Ora è arrivato il momento che i responsabili veri paghino per i loro crimini.




La trappola di Gaza: perché si è riaperta e che cosa Israele può fare
Ugo Volli
5 maggio 2019

https://www.progettodreyfus.com/gaza-terrorismo-israele

Riassumo la situazione di Gaza per chi non l’avesse seguita o non fosse riuscito a capire quel che è successo dalle cronache del tutto insufficienti dei giornali. Venerdì pomeriggio Hamas ha organizzato il solito assalto di massa verso il confine di Israele. Erano pochi, meno di diecimila, ma quanto basta per mandare centinaia di bombe incendiarie volanti sul territorio israeliano, per coprire un terrorista armato di coltello che è stato arrestato dopo che aveva superato la barriera di sicurezza e soprattutto dei cecchini che hanno sparato sui soldati israeliani incaricati di difendere il confine, ferendone due. A questo punto le forze israeliane hanno reagito come è necessario in questi casi, sparando contro le posizioni di Hamas e uccidendo due terroristi.
La reazione dei gruppi terroristi è stata molto intensa. In circa 24 ore hanno sparato quasi 500 razzi e proiettili di mortaio su città e villaggi israeliani vicini a Gaza. La maggior parte di questi missili sono caduti in campagna o sono stati fermati dal sistema antimissile Iron Dome, ma alcuni sono arrivati direttamente nelle case, uccidendo un uomo e facendo alcune decine di feriti. Un paio di morti li hanno provocati con razzi difettosi sulla popolazione di Gaza. Bisogna sottolineare che obiettivi dei razzi e perdite riguardano solo civili: non si è trattato di un confronto militare, ma di un atto terroristico. Israele ha reagito con un bombardamento mirato su impianti militari e su sedi di Hamas, sembra anche sulle case dei suoi massimi dirigenti. Mentre vi scrivo (domenica a mezzogiorno) il confronto va avanti nonostante il tentativo di mediazione egiziano. Per aggiornamenti continui, vi consiglio questo link.

Fin qui la cronaca. Per capire che succede, bisogna porsi alcune domane. La prima è: che cosa fa la comunità internazionale, l’Unione Europea, l’Onu, il Vaticano di fronte allo spettacolo di un gruppo terrorista che cerca di incendiare il territorio di uno stato vicino, spara alle guardie di frontiera, spedisce 430 razzi in un giorno contro la sua popolazione civile? La risposta è “nulla”, se va bene spende qualche parola di “condanna alla violenza”. “Da tutt’e due la parti”, naturalmente. L’eccezione è l’America, ma si sa che Trump è un “sovranista” cattivo e che non conta. Magari altri “sovranisti” si uniranno alla solidarietà americana, chessò, Bolsonaro, Orban, Salvini; ma sono cattivi anche loro. Nessuna sorpresa, basta vedere le cronache dei giornali per capire come questo atteggiamento di tolleranza del terrorismo contro Israele sia condiviso dai benpensanti.

La seconda domanda, più seria, è perché i terroristi agiscono così. La risposta va divisa in punti. Il primo punto è che non si tratta affatto di gesti popolari o spontanei. Il fatto che gli attacchi da Gaza procedano a ondate, con l’uso massiccio di risorse militari, testimonia che sono sotto il controllo delle centrali terroriste, che sono atti politici, di cui bisogna capire il senso. Si possono ricostruire tre obiettivi principali. Il primo è cercare di conquistare nuove regole del gioco, in cui sia sancita che la violenza quotidiana di Hamas (attacchi al confine, spari sui soldati, palloni incendiari, oltre ovviamente ai coltelli e al resto della “resistenza popolare”) è legittimo e dev’essere subito, mentre la reazione israeliana non lo è e merita rappresaglie. È una stortura criminale che ho cercato di spiegare qui, ma è anche un loro obiettivo politico costante. Il secondo obiettivo è ottenere vantaggi concreti (l’ampliamento della zona di pesca, la consegna dei finanziamenti che vengono dal Qatar ecc.), approfittando con attenzione delle scadenze interne israeliane: un mese fa le elezioni, oggi il concorso dell’Eurovision, che è importante per il turismo e l’immagine internazionale di Israele. Il terzo è procedere verso l’obiettivo strategico della distruzione di Israele e del genocidio che vorrebbero realizzare, e più realisticamente mostrare a tutti i militanti palestinisti che questa è la strada che si persegue a Gaza, a differenza dei mollaccioni di Ramallah, indebolendo ulteriormente l’incapace e senile Mohamed Abbas.

Un quarto obiettivo, che probabilmente è il principale, viene dall’esterno, dal regime iraniano che controlla, finanzia e arma sia Hamas che la Jihad islamica, l’altro gruppo terrorista di Gaza che sta crescendo di forza e dimensioni. L’Iran grazie all’azione dell’aviazione israeliana sta perdendo la battaglia decisiva per la costruzione di un’infrastruttura militare in Siria da cui attaccare Israele. È interesse vitale dell’Iran dividere e logorare le forze armate di Israele, che non possono essere numerosissime, data la dimensione del paese. Altrettanto importante per gli ayatollah è rompere la coalizione che si è formata per contrastare la loro spinta imperialistica, in cui Israele la parte militarmente più importante, insieme a Egitto e Arabia. Per ottenere entrambi questi risultati il modo migliore sarebbe far impantanare l’esercito israeliano in un’operazione e poi magari in un’occupazione a Gaza, che impegnerebbe forze importanti distogliendole dal fronte settentrionale e produrrebbe molte perdite sia fra i militari sia inevitabilmente nella popolazione civile in Israele come a Gaza, esaltando i sentimenti antiebraici dei paesi arabi, anche quelli di fatto oggi alleati a Israele.

È un calcolo che fanno tutti, gli iraniani che ci sperano, Hamas che ci rimetterebbe ma deve starci visto che i suoi padroni vogliono così (e che comunque ne ricava uno spazio di immunità) e il governo e lo Stato Maggiore israeliano che devono pagare dei prezzi politici per non cadere in trappola (a questo proposito sono particolarmente ciniche le dichiarazioni di Gantz, che sa di cosa parla, e di Lapid, che probabilmente invece non capisce, cioè degli sconfitti delle ultime elezioni che attaccano il governo su scelte condivise da tutto l’apparato militare). In sostanza i responsabili di Israele, e prima di tutto Netanyahu, sanno di non dover cadere nella trappola iraniana di cui Hamas è l’esca. Un’operazione su Gaza porterebbe i morti dalle unità alle centinaia, esporrebbe a rischio la popolazione israeliane e probabilmente non sarebbe risolutiva se non seguita da una complicata, difficile e sanguinosa rioccupazione di Gaza.

Anche perché le perdite delle due ultime grosse ondate di terrorismo dei missili, questa e quella del Novembre scorso (tre morti finora e alcune decine di feriti) sono ben lungi dal presentare un pericolo esistenziale per Israele, anzi sono inferiori ai costi del terrorismo spicciolo, quello dei coltelli, delle macchine, delle bombe incendiarie e dei sassi, che Israele subisce da anni cercando di arrestare o eliminare i terroristi. Noi siamo più impressionati dai missili, ma non bisogna cedere all’emozione. Anche perché le minacce di bombardare Tel Aviv o l’aeroporto Ben Gurion sono rimaste per ora sulla carta, ma certamente in caso estremo sarebbero attuate, provocando probabilmente altre perdite.

Che può fare dunque Israele? probabilmente potrebbe ampliare i suoi obiettivi, di alzare il prezzo del terrorismo dei missili, mirando a colpire la catena gerarchica di Hamas, cosa che negli ultimi anni non si è fatta. Anche qui con molta oculatezza, perché al di là della retorica del tifo, l’escalation non è interesse di Israele. Vedremo il seguito di questa vicenda. Ricordando sempre che essa non va valutata sulla base passionale dello sdegno per i crimini terroristi o del bisogno di vendetta immediata, ma sulla logica strategica dei danni e delle convenienze.




Strategia fallimentare
5 maggio 2019
Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/strategia-fall ... TFOId3Me0g

Segnali giungono dall’amministrazione Trump che forse potrebbe essere la volta buona per mettere la pietra tombale sui fatidici Accordi di Oslo del 1993-1995, il cavallo di Troia in virtù del quale l’OLP del lord of terror Yasser Arafat si insediò nel cuore di Israele.

Gli Accordi nascevano dalla folle scommessa che un terrorista musulmano cacciato progressivamente da buona parte del Medioriente, dall’Egitto, dalla Siria, dal Libano, dalla Giordania e dal Kuwait, e riparato a Tunisi dove sarebbe stato condannato all’irrilevanza, avrebbe potuto trasformarsi in nation builder e partner per la pace.

Sotto l’egida degli Stati Uniti, che avevano riconosciuto l’OLP come interlocutore nel 1988, quando Ronald Reagan era allo scadere del suo secondo mandato, Arafat venne ripescato dal cono d’ombra in cui si era cacciato.

Shimon Peres, il principale promotore degli Accordi che costarono a Israele 1600 morti a causa delle due intifade che ne risultarono, sognava ad occhi aperti un Medioriente in cui si sarebbe inverata laicamente la profezia escatologica di Isaia.

“Un Medio Oriente senza guerre, senza nemici, senza missili balistici, senza testate nucleari…un Medio Oriente che non è un campo di sterminio ma un campo di creatività e crescita“.

L’utopia di Peres, non era quella che animava Rabin, assai più circospetto ad abbracciare come partner per la pace Arafat, ma alla fine diventò anche lui parte sostanziale in causa nel sostenere gli Accordi, e continuò a farlo nonostante tutte le circostanze in cui il padre e padrone dell’OLP confermava la sua vera natura di lupo travestito da agnello.

C’era forse solo un punto effettivo sul quale i due principali fautori degli Accordi di Oslo convergevano, ed era la contrarietà alla nascita di un vero e proprio Stato palestinese autonomo. Per Rabin, avrebbe dovuto essere un’entità poco meno di uno Stato, mentre per Peres l’idea era che al suo posto nascesse una confederazione giordana-palestinese. Ciò non ha impedito che la formula dello Stato autonomo, sulle colline della Cisgiordania, sia rimasta in auge per ventisei anni, come l’unico paradigma contemplabile, l’unica soluzione sulla strada della pace.

Oggi le cose sembrano cambiate. La dichiarazione in campagna elettorale da parte di Benjamin Netanyahu di volere annettere l’Area C della Cisgiordania, nella quale vivono 400.000 cittadini ebrei e circa 140.000 arabi, e il fatto che da Washington non sia giunto alcun segno di contrarietà, significa che il piano di pace americano, o “accordo del secolo”, sia basato su un rinnovamento dei parametri, come ha confermato, senza specificare quali, Jared Kushner, Consigliere alla Casa Bianca, con una delega speciale sul dossier mediorientale.

Già il Segretario di Stato, Mike Pompeo, durante un’altra intervista, alla domanda dell’intervistatore, se la dichiarazione di Netanyahu avrebbe potuto danneggiare il piano di pace americano, aveva risposto di no.

Quello che è evidente, al di là delle speculazioni su quello che conterrà il piano, è che la partita americana si gioca sopra la testa di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese, manifestamente ridotti all’irrilevanza, con interlocutori di ben altra portata, gli Stati arabi sunniti, in primis l’Arabia Saudita.

La stanchezza araba nei confronti della causa palestinese, ormai sostenuta apertamente nel mondo islamico solo dall’Iran e dalla Turchia, è da anni percepibile. Ma lo è soprattutto oggi, in un frangente in cui la stretta decisa degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran, li ha ricollocati come un attore di primo piano negli equilibri regionali, dopo il disimpegno di Barack Obama.

La realtà è che il conflitto arabo-israeliano poi declinatosi come conflitto israelo-palestinese è giunto per i palestinesi a una empasse. Il livello di sicurezza raggiunto da Israele è tale ai giorni nostri che una intifada come quella del 2000-2005 non è, fortunatamente, più pensabile, e malgrado sporadici ma persistenti atti terroristici, le morti di soldati e civili israeliani per mano palestinese dalla fine della Seconda Intifada a oggi, è calata enormemente. A Gaza, Hamas rappresenta sempre un problema, ma la politica di contenimento dello Stato ebraico, è riuscita a fare sì che il gruppo jihadista sia sostanzialmente gestibile. Hamas, dal canto suo, sa che può contare su Israele per la propria sopravvivenza, interessato come è unicamente alla gestione del potere all’interno della Striscia.

Nessuna pace duratura con i palestinesi è mai conseguita alla cessione di terra da parte di Israele. Non dopo che i territori della Cisgiordania, a seguito degli Accordi di Oslo, furono suddivisi in tre aree distinte, con l’Area A e B cedute all’Autorità Palestinese, né dopo che Israele lasciò Gaza nel 2005.

La persistenza del jihad contro Israele è stata una costante dal 1948 ad oggi, contenuta solo in virtù dei progressivi sforzi del paese nel riuscire a contrastarla con successo. L’idea di uno Stato palestinese si è rivelata dal 1993 solo un pretesto per continuare ad attaccare Israele, cercando al contempo di convincere l’opinione pubblica mondiale che la sua mancata nascita fosse dovuta all’intransigenza ebraica, malgrado l’ampiezza delle concessioni poste in essere, come la proposta di Ehud Barak del 2000 che concedeva ad Arafat tra il 94 e il 96% della Cisgiordania e la suddivisione di Gerusalemme. Proposta ulteriormente implementata da Ehud Olmert nel 2008.

Gli Accordi di Oslo rappresentano la testimonianza di un fallimento politico totale animato da parte israeliana dalla volontà di trovare a tutti i costi una intesa impossibile. Su di essi, sulla loro inamovibilità, l’Autorità Palestinese, ha potuto lucrare senza sosta godendo del supporto del Dipartimento di Stato americano e del costante apporto finanziario che gli Stati Uniti, sotto diverse amministrazioni, repubblicane e democratiche, non gli hanno mai fatto mancare. Tutto ciò, con l’amministrazione Trump è venuto meno.

Quali saranno i dettagli contenuti nella road map americana, che dovrebbe vedere la luce in luglio, è da vedere, ma una cosa è assai probabile, la prospettiva sarà inedita.





La Mogherini che non ti aspetti “Basta con i razzi su Israele…”
5 maggio 2019

http://www.italiaisraeletoday.it/la-mog ... 5REcELrHw4

Gli attacchi indiscriminati con i razzi da parte dei combattenti palestinesi nella Striscia di Gaza devono cessare immediatamente: l’Unione europea ribadisce il suo impegno fondamentale per la sicurezza di Israele.

Lo ha detto l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza Federica Mogherini, secondo quanto riferisce un comunicato stampa dell’azione esterna dell’Ue. “Esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie di tutte le vittime e al popolo israeliano e auguriamo una pronta guarigione ai feriti”, si legge.

Mogherini ha aggiunto: “Questi attacchi provocano sofferenze indicibili agli israeliani e servono solo la causa della violenza senza fine e di un conflitto senza fine”. Inoltre, “una nuova escalation rischia anche di distruggere il lavoro per alleviare la sofferenza della popolazione di Gaza, che sta già pagando un alto prezzo con molte vittime che piangiamo”.

La nuova escalation “mette ulteriormente in pericolo le prospettive di soluzioni a lungo termine, che richiederanno il ritorno dell’Autorità nazionale palestinese a Gaza, garanzie di sicurezza credibili per Israele e una revoca delle restrizioni all’accesso e al movimento”.

“L’Unione europea ribadisce il suo pieno appoggio agli sforzi dell’Egitto e delle Nazioni Unite per ridurre le tensioni a Gaza e si aspetta che le parti lavorino con loro per ripristinare la calma. Insieme alla comunità internazionale, continueremo a lavorare per portare sollievo a tutti coloro che soffrono di questo conflitto e cooperando con coloro che servono la causa della pace”.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » dom mag 05, 2019 9:51 pm

CIRCOLO VIZIOSO
Niram Ferretti
4 maggio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Non posso non dare ragione a Benny Gantz quando dice a proposito delle tornate di razzi partiti da Gaza contro località del sud di Israele:

“Il governo israeliano deve scegliere una direzione strategica risoluta. Deve riaffermare la deterrenza e solo allora trovare un accordo a lungo termine, senza compromessi sulla sicurezza e senza estorsioni da parte dei gruppi terroristici palestinesi".

Certo è molto più facile trovarsi all'opposizione che essere al governo, e nel caso in cui Gantz si fosse trovato al posto di Netanyahu è tutto da vedere se avrebbe intrapreso una strategia diversa, ma questo nulla toglie al fatto che la strategia in corso non sta portando e non può portare da nessuna parte ma solo concedere momenti di tregua che poi vengono puntualmente infranti. Nel mentre si fanno concessioni ai terroristi che governano la Striscia e si tira a campare.

Questo è ciò che scrivevo a novembre, a proposito di questa situazione, a seguito delle dimissioni di Avigdor Lieberman:

"Il tirare a campare non solo soddisfa il gruppo terrorista islamico che dal 2007 controlla con pugno di ferro la Striscia, ma soddisfa anche Israele. Eppure è chiaro a chi abbia un minimo di senso della realtà che questa situazione in cui dei terroristi lanciano missili sullo Stato ebraico e dopo un po’ ottengono soldi e materia prima atta a mantenerli al potere, è la strada maestra per un circolo vizioso senza fine.

La verità è che da troppo tempo Israele ha rinunciato a una strategia di ampio respiro, a una visione generale relativa al problema Hamas e a come risolverlo definitivamente, preferendo gestire il problema senza mai osare troppo, acquisendo vantaggi alla giornata, e la stessa cosa la fa Hamas. Tuttavia c’è una differenza fondamentale. Hamas è un gruppo di terroristi, Israele è uno Stato democratico, Hamas è un’organizzazione analoga a qualsiasi altra organizzazione terroristica o mafiosa, e non è pensabile che uno stato democratico si faccia condizionare o meglio ricattare da una simile entità".

L'ex parlamentare israeliana Einat Wilf da me citata nell'articolo dichiarava:

“Se l’apparato di difesa pensa che (…) i finanziamenti a Gaza comprino la calma, si farà tutto il possibile per assicurare che i fondi continuino a fluire, anche se ciò significa che la calma viene acquistata al costo di una guerra che andrà avanti per decenni”.

Ed è quello che sta accadendo, sulle teste degli abitanti del sud di Israele.

Non si può vincere un nemico che non si mette nella condizione definitiva della resa. Israele non vuole un'altra guerra a Gaza, e sono comprensibili i motivi, ma ci sono altri modi per mettere in ginocchio Hamas e la jihad islamica. Come in passato, decapitando i vertici dell'organizzazione per esempio, o spingendosi più in profondità con la deterrenza. Era quello che chiedeva Lieberman.

Daniel Pipes più volte lo ha ribadito:

“Le guerre finiscono, come mostra l’esperienza storica, non arricchendo il nemico, ma privandolo delle risorse, riducendo le sue capacità militari, demoralizzando i suoi sostenitori e incoraggiando le rivolte popolari. A tal fine, gli eserciti, nel corso degli anni, hanno tagliato le strade per i rifornimenti, costretto le città alla fame, stabilito blocchi e applicato embarghi. In questo spirito, se Israele avesse intrapreso una guerra economica trattenendo alla fonte il denaro dei contribuenti, negando l’accesso ai lavoratori e interrompendo le vendite di acqua, cibo, medicine ed elettricità, le sue azioni avrebbero portato alla vittoria”.

L'alternativa è quella che Israele sperimenta da decenni.


Emanuel Segre Amar
Caro Niram Ferretti, come sempre condivido il tuo pensiero, ma qui, per una volta, permettimi di dissentire, anche se solo da una tua frase: “come risolverlo definitivamente”. No, il problema non ha una soluzione definitiva perché è legato alle parole del Corano. Bisogna però trovare una soluzione duratura, e questa, come bene affermi, la si trova solo con una strategia diversa.
È vero che i militari fanno quanto i politici ordinano loro di fare, ma tutti conosciamo quelle che erano le idee militari dell’ultimo comandante supremo. Speriamo che adesso cambi qualcosa. Speriamolo, ma, a mio modesto parere, l’unica è ricorrere alle uccisioni mirate. Fin quando muore il popolo, al capo non fa che piacere, perché vede aumentare gli incassi per la causa e per se stesso. Se però va dalle sue vergini, di soldi non ne porta più in casa. Fuori uno, fuori due, poi il terzo inizia a riflettere, o, se no, visto che per lui riflettere è impossibile, almeno ad avere paura per se stesso





CEDERE AL RICATTO
Niram Ferretti
5 maggio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"La verità", scriveva Jules Renan, "spesso è triste". In questo caso la sua tristezza sta nel fatto duro e spigoloso che Israele è sotto estorsione da parte di Hamas. E sta in un altro fatto, in un precedente che è stato, questa volta per citare Joseph Fouché, "più di un crimine, un errore". E fu la decisione di Benjamin Netanyahu, il novembre scorso, di autorizzare il pagamento di una prima tranche di 15 milioni di dollari quatarioti al gruppo terrorista di Gaza in cambio di una tregua, dopo che 460 razzi erano stati lanciati su Israele. La sua decisione, insieme a quella di continuare a rifornire la Striscia di combustibile per il suo sostentamento, impose all'allora ministro della Difesa, Avigdor Lieberman di dimettersi.

Non si pagano i terroristi. E' un principio base, così come non si pagano i ricattatori e gli estorsori in generale perchè poi continueranno a chiederti soldi in base a ciò che ti possono concedere in cambio. In questo caso non si è pagato per riavere vivo un'ostaggio, ma per avere la calma. E la calma i terroristi la possono interrompere quando lo desiderano se farlo porta loro vantaggio.

L'attuale escalation di Hamas con alle porte il festival di Eurovision, 492 razzi, lanciati sul sud di Israele tra ieri e oggi, è stata scelta con estrema cura. Il messaggio a Netanyahu è molto chiaro. Vogliamo i soldi e li vogliamo in fretta, prima che cominci Ramadan.

Oggi, altra triste verità, Hamas è diventato assai più abile nel gestire il conflitto. Ha accumulato esperienza e scaltrezza. Il dedalo di tunnel sotterranei che si trova a Gaza e di cui Israele ha solo distrutto una piccola parte, offre a Hamas la possibilità di rifugiarsi al coperto mentre Israele bombarda. Consente di aspettare l'arrivo del denaro.

Allora tornerà la quiete.

È così che funziona il meccanismo elementare del ricatto. Cedi una volta. Avrai ceduto sempre. Aveva ragione Lieberman ad andarsene a novembre indipendentemente dal costo politico della sua autonomia.
Se Netanyahu vuole un Eurovision israeliano senza intoppi dovrà fare in modo che a Hamas venga consegnata un'altra valigia piena di contanti.
Sì compra la calma a colpi di tranches da 15 milioni di dollari. E si compra anche la propria debolezza.


FLATUS VOCIS
Niram Ferretti
5 maggio 2019

"Israele deve incrementare gli attacchi e agire con forza contro Hamas in modo da riaffermare la deterrenza".

Notevole riflessione.

"È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati" diceva l'indimenticabile Catalano di "Quelli della Notte".

Ma il meglio viene dopo.

“Ma alla fine della campagna dobbiamo iniziare un processo diplomatico che agisca con tutti gli attori in gioco per una soluzione a lungo termine".
Chi ha pronunciato queste parole pregnanti ed incisive? Lui, il non fu premier di Israele, Benny Gantz.
Ora è chiaro perchè è meglio per Eretz Israel che non lo sia diventato.


Un drone ha eliminato il comandante dell'organizzazione militare di hamas.
Emanuel Segre Amar
Un drone ha eliminato il comandante dell'organizzazione militare di hamas. Hamid Ahmad Abd Al Kadri, 34 anni, è stato sorpreso alla guida della sua auto in una strada di gaza. La bomba israeliana lo ha annientato. Era il braccio destro del capo di hamas yahya sinwar. Sinwar sarà il prossimo?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » mar mag 07, 2019 8:13 pm

Tregua con Hamas: Netanyahu ha ragione e chi dice il contrario è uno stolto
ByFranco Londeion Maggio 7, 2019

https://www.rightsreporter.org/tregua-c ... uno-stolto


In queste ore il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, è di nuovo sotto attacco da parte delle opposizioni (e non solo) per aver ancora una volta accettato una tregua con Hamas e i gruppi terroristici della Striscia di Gaza dopo che questi ultimi avevano pesantemente attaccato Israele con centinaia di missili.

I critici del Premier lo accusano di essere “debole” di fronte ai terroristi islamici che tengono in ostaggio la Striscia di Gaza, ma non è chiaro però cosa avrebbero fatto nei panni di Netanyahu.

Ora cerchiamo di ragionarci sopra e vediamo quali possibilità di scelta aveva effettivamente Netanyahu e quali conseguenze ne sarebbero derivate.

Prima possibilità: rigettare la tregua. Molti dei critici del Premier avrebbero voluto che Netanyahu rigettasse la tregua, anzi, quasi tutti avrebbero voluto che non intavolasse nessuna trattativa con Hamas e che, al contrario, si lanciasse una offensiva di terra contro i gruppi terroristi di Gaza, per fare cosa poi non è chiaro, cioè, con quale programma per il “dopo”, perché se attacchi e distruggi Hamas devi avere un piano per il dopo altrimenti il risultato sarà quello già visto con l’operazione Piombo Fuso.

Seconda possibilità: accettare una tregua parziale. Questo è quello che è successo. Fare poche concessioni ad Hamas, quel tanto che basta per non umiliarli e lasciare che i terroristi vendano questa tregua come una sorta di vittoria.

Terza possibilità: accettare un piano di cessate il fuoco a lungo termine. Questo è il piano a cui da mesi lavorano Egitto e Nazioni Unite e che dovrebbe garantire ad Israele un lungo periodo di calma evitando così di aprire un fronte sud quando in pratica c’è già aperto un fronte nord ben più pericoloso di quello di Gaza. Ma al momento questa possibilità non sembra essere praticabile per le richieste troppo “sfacciate” di Hamas.

Quali conseguenze?

Accantoniamo per un attimo la seconda e la terza possibilità e analizziamo la più gettonata dai critici di Netanyahu, cioè quella che vorrebbe l’IDF entrare in forze a Gaza con l’obiettivo di distruggere Hamas e gli altri gruppi terroristici.

Prima di tutto si dovrebbe comprendere il prezzo in termini di vite umane che una tale opzione comporterebbe. Certamente Hamas verrebbe sbaragliato, ma a quale costo? Decine, forse centinaia di soldati israeliani uccisi e di contro centinaia, forse migliaia di vittime civili da parte palestinese.

E una volta sbaragliato Hamas, cosa dovrebbe succedere? Israele potrebbe rioccupare la Striscia di Gaza accollandosi però l’onere di mantenere 2,5 milioni di palestinesi. In alternativa si potrebbe instaurare un governo che faccia capo alla Autorità Palestinese (AP), la stessa cioè guidata da quel Mahmud Abbas (Abu Mazen) che da anni Netanyahu sta cercando di delegittimare.

Ci sarebbe anche una terza possibilità, quella cioè che vedrebbe la Striscia di Gaza tornare sotto il controllo egiziano, ma l’Egitto non ha nessuna intenzione di riprendersi Gaza e poi non si vedrebbe perché Israele dovrebbe fare una guerra – con relative vittime – per poi “regalare” il tutto all’Egitto.

Insomma, c’è qualcuno che ha un piano preciso per la Striscia di Gaza dopo la prevedibile sconfitta dei terroristi? Io francamente non ho visto nessuna proposta da parte dei critici di Netanyahu.

Al contrario di quanto i critici possano pensare, Netanyahu non è né uno sprovveduto né un debole, ma sa che attaccare la Striscia di Gaza senza avere un piano preciso per il “dopo” è una follia che per di più rischierebbe di indebolire sensibilmente lo Stato Ebraico su quello che indubbiamente è il fronte più pericoloso, quello del nord dove c’è un vero e proprio esercito pronto a riversarsi in Galilea, 80.000 uomini della Brigata di Liberazione del Golan di cui nessuno parla mai ma che sono li, pronti a scattare alla prima occasione.

Senza considerare poi che a sfruttare un eventuale impegno israeliano a Gaza sarebbero gli Hezbollah, ben più pericolosi e ben armati di Hamas.

Perché l’Iran sostiene Hamas e la Jihad Islamica a Gaza?

Secondo voi, perché l’Iran sostiene finanziariamente e militarmente Hamas e la Jihad Islamica a Gaza? Per liberare i palestinesi? Liberare da chi? Gaza non è occupata se non da Hamas. È chiaro invece l’interesse di Teheran ad aprire un fronte sud che distolga importanti risorse da quello a nord. Perché mai Netanyahu dovrebbe fare un favore agli Ayatollah iraniani impegolandosi in una guerra a Gaza? Quello si che sarebbe un suicidio?

I nemici di Israele hanno una sola possibilità per limitare lo strapotere militare israeliano, quello di frammentarlo, quello cioè di impegnare l’esercito israeliano su più fronti. Qualcuno mi sa dire perché mai si dovrebbe dare questo vantaggio ai nemici di Israele?

Il piano di Netanyahu

Al contrario dei suoi detrattori, il Premier israeliano ha le idee molto chiare e soprattutto un piano preciso in mente: rimandare la soluzione del “problema Hamas” fino a quando non si sia risolto definitivamente quello ben più complesso e pericoloso rappresentato dall’Iran e dai suoi proxy regionali.

E quale modo c’è per rimandare il “problema Hamas” se non quello di trattare con i terroristi per tenerli buoni fino a che non sarà risolto il problema iraniano?

In molti sostengono che Israele sarebbe in grado di affrontare una guerra su più fronti. E’ una stupidata colossale dettata dal machismo di certe frange “interventiste”. Provate a immaginare migliaia di missili che piovono contemporaneamente da nord e da sud sul piccolo Stato Ebraico. E non parlo di 600 missili in poche ore come visto nei giorni scorsi, ma di migliaia di missili con potenza ben maggiore di quelli di Hamas che piovono sulla popolazione israeliana. Davvero si può pensare che Israele reggerebbe senza problemi a un simile attacco combinato? Sicuramente reggerebbe, lo ha già fatto in passato, ma a quale costo?

E allora mi piacerebbe sentire dai critici di Netanyahu delle proposte alternative in luogo di sterili critiche. Con un quadro complesso e pericoloso come quello che sta affrontando Israele, cosa avrebbero fatto al posto di Netanyahu? Si attendono proposte.



Jihad Islamica: «l’attacco a Israele è stato solo l’inizio»
Sarah G. Franklon Maggio 8, 2019

https://www.rightsreporter.org/jihad-is ... lo-linizio

Il capo della Jihad Islamica palestinese rilascia una intervista alla TV di Hezbollah nella quale garantisce che la recente escalation con Israele è stata solo una “esercitazione” e che presto si scatenerà l’inferno

Il capo della Jihad Islamica palestinese, Ziad al-Nakhaleh

Questa mattina il segretario generale della Jihad Islamica palestinese, Ziad al-Nakhaleh, intervistato dalla TV libanese al-Mayadeen, affiliata a Hezbollah, ha detto di aspettarsi una grande guerra con Israele nei prossimi mesi e che l’attacco dei giorni scorsi è stato solo l’inizio, una specie di esercitazione.

«L’ultima escalation è stata solo un’esercitazione in preparazione alla grande campagna che sta arrivando» ha detto al-Nakhaleh nell’intervista.

Il capo della Jihad Islamica palestinese, un gruppo terrorista con base a Gaza direttamente al soldo dell’Iran, ha ricordato che sia la Jihad Islamica che Hamas hanno giurato di distruggere Israele e che intendono mantenere il giuramento.

Ziad al-Nakhaleh racconta che la decisione di attaccare Israele è stata presa in accordo con Hamas proprio mentre i delegati dei due gruppi terroristici erano in Egitto per discutere di una tregua a lungo termine con Israele, decisione che avrebbe scatenato l’ira degli egiziani.

«Agli egiziani non è piaciuto il fatto che l’escalation fosse iniziata mentre eravamo al Cairo. Ma io e Yahya Sinwar (il capo di Hamas a Gaza n.d.r.) abbiamo deciso di continuare comunque l’escalation» ha aggiunto il capo terrorista con una certa soddisfazione.

«Tra noi ed Hamas c’è accordo su tutto» ha poi aggiunto al-Nakhaleh confermando il patto di ferro tra i terroristi che fanno capo alla Fratellanza Musulmana (Hamas) e quelli che fanno capo all’Iran (Jihad Islamica).

E’ indicativo che la prima intervista del capo della Jihad Islamica palestinese dopo l’escalation dei giorni scorsi sia stata rilasciata ad una TV che fa capo ad Hezbollah in quanto conferma i timori più volte espressi dal Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, dell’esistenza di un asse tra Gaza, Teheran e il Libano volto a impegnare Israele su più fronti usando i proxy regionali dell’Iran e i gruppi terroristici palestinesi.

«Quello che avete visto è solo l’inizio» ha ribadito Ziad al-Nakhaleh. «Siamo in grado di colpire qualsiasi città israeliana con migliaia di missili e presto lo vedrete» ha concluso il capo terrorista.


Alberto Pento
Se ciò capitasse Israele sarebbe più che motivato a radere al suolo Gaza e a buttare a mare i suoi abitanti.




Perché gli israeliani evitano la vittoria
di Daniel Pipes
L'Informale
19 ottobre 2018

http://it.danielpipes.org/18563/perche- ... SazVqmN2MY

Immaginate che un bel giorno un presidente americano dica a un primo ministro israeliano; "L'estremismo palestinese danneggia la sicurezza americana. Abbiamo bisogno che tu vi ponga fine conseguendo la vittoria sui palestinesi. Fare ciò che serve entro i limiti legali, morali e pratici". E il presidente continua: "Imponi la tua volontà su di loro, inducili a pensare di essere stati sconfitti in modo che rinuncino al loro sogno settantennale di eliminare Israele. Vinci la tua guerra".

I presidenti americani incontrano da molto tempo i premier israeliani: a partire da Harry Truman e David Ben Gurion (con Abba Eban sullo sfondo), l'8 maggio 1951.

Come potrebbe rispondere il primo ministro? Coglierà l'attimo e punirà l'incitamento e la violenza sponsorizzati dall'Autorità palestinese (Ap)? Informerebbe Hamas che ogni aggressione porrebbe temporaneamente fine a tutti i rifornimenti di acqua, cibo, medicine ed elettricità?

O declinerebbe l'offerta?

La mia previsione a riguardo è la seguente: dopo intense consultazioni con i servizi di sicurezza israeliani e le accese riunioni di governo, il primo ministro risponderebbe al presidente dicendo: "No grazie, preferiamo lasciare le cose come stanno".

Davvero? Non è quello che ci si aspetterebbe, visto come l'Ap e Hamas cercano di eliminare lo Stato ebraico, vista la violenza persistente contro gli israeliani e visto come la propaganda palestinese danneggia la posizione internazionale di Israele. Sì. E per quattro ragioni: una diffusa convinzione israeliana che la prosperità mini l'ideologia, la soggezione della determinazione palestinese, il senso di colpa ebraico e la riluttanza dei servizi di sicurezza. Ognuna di queste argomentazioni può essere facilmente confutata.

La prosperità non pone fine all'odio

Molti israeliani ritengono che se i palestinesi traessero sufficienti benefici economici, medici e legali e di altro genere che il sionismo apporta loro, cederanno e accetteranno la presenza ebraica. Fondata sull'assunto marxista secondo cui il denaro è più importante delle idee, questa visione sostiene che le scuole eccellenti, i nuovi modelli di automobili e i belli appartamenti sono l'antidoto ai sogni nazionalisti islamisti o palestinesi. Come gli abitanti di Atlanta, i ricchi palestinesi saranno troppo occupati per odiare.

Questa idea ebbe origine oltre un secolo fa, raggiunse il culmine all'epoca degli accordi di Oslo del 1993 ed è strettamente associata all'ex ministro degli Esteri Shimon Peres, autore del libro Il Nuovo Medio Oriente. Peres mirava a trasformare Israele, la Giordania e i palestinesi in una versione mediorientale del Benelux. Ancora più grandiosa, la sua visione sperava di emulare l'accordo franco-tedesco siglato dopo la Seconda guerra mondiale, quando i legami economici servirono a porre fine a una inimicizia storica e a formare alleanze politiche positive.

Shimon Peres aveva un sogno e scrisse un libro, Il Nuovo Medio Oriente.

In questo spirito, i leader israeliani hanno lavorato a lungo per costruire le economie della Cisgiordania e di Gaza. Hanno esercitato pressioni sui governi stranieri per finanziare l'Ap. Hanno aiutato Gaza finanziando l'approvvigionamento di acqua ed elettricità, promuovendo altresì gli impianti di desalinizzazione dell'acqua. Hanno proposto un sostegno internazionale alla creazione di un'isola artificiale al largo delle coste di Gaza con tanto di porto, aeroporto e strutture alberghiere. Hanno persino concesso a Gaza un giacimento di gas.

Ma questi tentativi sono falliti in modo spettacolare. La furia palestinese contro Israele rimane immutata. Inoltre, i gesti di buona volontà non sono stati accolti con gratitudine, ma con rifiuto. Ad esempio, dopo il ritiro unilaterale di tutti gli israeliani da Gaza nel 2005, le serre di questi ultimi sono state consegnate ai palestinesi come un gesto di buona volontà, per poi essere immediatamente saccheggiate e distrutte.

Una delle serre di Gaza distrutte dai palestinesi nel 2005.

Forse quelli più eclatanti sono i casi dei palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani che mostrano la loro gratitudine tentando di uccidere i loro benefattori. Nel 2005, una donna di Gaza di 21 anni fu curata con successo dopo aver riportato delle ustioni in seguito all'esplosione di un serbatoio di benzina, per poi restituire il favore tentando di attaccare l'ospedale con un attentato suicida. Nel 2011, una madre di Gaza il cui figlio aveva una malattia del sistema immunitario ed era stato salvato in un ospedale israeliano disse davanti a una telecamera che voleva che il bambino crescendo diventasse un attentatore suicida. Nel 2017, due sorelle entrate in Israele da Gaza affinché una delle due si sottoponesse a delle cure contro il cancro hanno tentato di contrabbandare esplosivi per conto di Hamas.

Perché questi tentativi sono falliti? Il modello franco-tedesco includeva un fattore non presente nella scena israelo-palestinese: la disfatta dei nazisti. La conciliazione non avvenne con Hitler ancora al potere, ma dopo che lui e i suoi obiettivi erano stati polverizzati. Al contrario, la grande maggioranza dei palestinesi crede ancora di potere vincere (ossia di eliminare lo Stato ebraico). Questi palestinesi vedono anche con sospetto gli sforzi volti a costruire la loro economia, mentre Israele ottiene in modo subdolo il controllo egemonico.

Già nel 1923, il leader sionista Vladimir Jabotinsky previde questo fallimento, definendo infantile "pensare che gli arabi acconsentiranno volontariamente alla realizzazione del sionismo in cambio dei vantaggi culturali e economici che potremo accordare loro".

Più in generale, l'aver incrementato i finanziamenti ai palestinesi non ha creato consumismo e individualismo, ma rabbia. Come ci si potrebbe aspettare, aiutare un nemico a sviluppare la sua economia mentre la guerra è ancora in corso, significa fornirgli le risorse necessarie per continuare a combattere. Il denaro è stato utilizzato per incitare, indottrinare al "martirio", acquistare armi e costruire tunnel per compiere attacchi terroristici. Una decina di anni fa, Steve Stotsky dimostrò la stretta correlazione esistente tra i finanziamenti per l'Autorità palestinese e gli attacchi contro gli israeliani; ogni 1,25 milioni di euro in aiuti, come da Stotsky riportato sul grafico, si sono tradotti nell'uccisione di un israeliano l'anno.

Il grafico elaborato da Steven Stotsky nel 2007 correlava gli aiuti all'Autorità Palestinese e il numero di omicidi perpetrati dai palestinesi contro gli israeliani.

Nonostante la perenne delusione,, persiste la convinzione israeliana legata all'idea che la prosperità palestinese conduca alla conciliazione. Ovviamente, la vittoria non desta alcun interesse negli israeliani che sognano, per quanto tristemente, la magia dei nuovi modelli di automobili.

Le guerre finiscono, come mostra l'esperienza storica, non arricchendo il nemico, ma privandolo delle risorse, riducendo le sue capacità militari, demoralizzando i suoi sostenitori e incoraggiando le rivolte popolari. A tal fine, gli eserciti, nel corso degli anni, hanno tagliato le strade per i rifornimenti, costretto le città alla fame, stabilito blocchi e applicato embarghi. In questo spirito, se Israele avesse intrapreso una guerra economica trattenendo alla fonte il denaro dei contribuenti, negando l'accesso ai lavoratori e interrompendo le vendite di acqua, cibo, medicine ed elettricità, le sue azioni avrebbero portato alla vittoria.

Quanto all'argomento secondo cui la rovina economica palestinese porta a più violenza, beh, è una fandonia. Solo le persone che sperano ancora di vincere continuano con la violenza; coloro che hanno perso si arrendono, si leccano le ferite e cominciano a ricostruire intorno ai loro fallimenti. Si pensi all'America del Sud nel 1865, al Giappone nel 1945 e agli Stati Uniti nel 1975.

La determinazione palestinese

Alcuni osservatori sostengono che la resilienza (sumud) palestinese sia troppo vivace per una vittoria israeliana. In una lettera dell'aprile 2017 indirizzata al sottoscritto, lo storico Martin Kramer spiegava così questa visione:

Nel 1948, metà della popolazione palestinese (700 mila) fuggì. Ogni centimetro della Palestina fu perso nel 1967, quando altri 250mila palestinesi fuggirono. Il loro movimento di "liberazione" fu successivamente guidato da una forza schiacciante dalla Giordania e dal Libano. Secondo i palestinesi, gli israeliani uccisero il loro leader-eroe, Arafat. Tuttavia, nulla di tutto questo li ha persuasi del fatto che loro sconfitta fosse definitiva. In questa luce, non so come le misure relativamente modeste che Israele può prendere in tempo di pace potrebbero convincerli che hanno perso.

Se i palestinesi hanno sopportato un secolo di batoste, come afferma questa linea di pensiero, sono in grado di assorbire tutto ciò che ora Israele offre loro. Qualunque sia la ragione – la fede islamica; l'influenza duratura di Amin al-Husseini; l'unica rete di sostegno globale – questa straordinaria forza d'animo indica che la determinazione palestinese non si spezzerà.

La risposta a questo? Israele era sulla buona strada per la vittoria fra il 1948 e il 1993, ma poi i disastrosi accordi di Oslo lo fecero deragliare. La determinazione palestinese fu distrutta nel 1993, in seguito al crollo sovietico e alla sconfitta di Saddam Hussein, quando Arafat strinse la mano del primo ministro israeliano e riconobbe Israele.

Poi, anziché basarsi su questa vittoria, gli israeliani procedettero al ritiro unilaterale dal territorio (Gaza-Gerico nel 1994, Aree A e B della Cisgiordania nel 1995, Libano nel 2000 e Gaza nel 2005), e questo fece credere ai palestinesi di aver vinto. Dopo questi ritiri, nel 2007, Gerusalemme abbandonò qualsiasi piano a lungo termine e affrontò i problemi più impellenti. Qual è, dunque, l'attuale obiettivo di Israele per Gaza? Non ne ha nessuno.

Pertanto, la storia israeliana si divide in 45 anni volti a puntare alla vittoria e 25 anni di confusione. Ritornare all'obiettivo della vittoria rimedierà a quegli errori.

Il senso di colpa ebraico

Essendo i più perseguitati della storia – vittime di persecuzioni religiose, razzismo, pogrom e dell'Olocausto – gli ebrei hanno sviluppato un forte senso della moralità. La prospettiva di costringere i palestinesi a sopportare l'amaro crogiolo della sconfitta è un'idea che la maggior parte degli ebrei israeliani e dei loro sostenitori nella Diaspora sono restii a mettere in atto. Prevalentemente, gli ebrei preferirebbero usare la carota anziché il bastone, la ragione e non la coercizione.

Questo aiuta a spiegare perché, durante la guerra tra Hamas e Israele del 2014, la società elettrica israeliana inviò dei tecnici per riparare i cavi elettrici che furono distrutti a Gaza da un razzo lanciato da Hamas, mettendo a rischio la vita dei propri dipendenti.

Allo stesso modo, quando la situazione economica di Gaza è peggiorata all'inizio del 2018, ci si immaginava che gli ebrei israeliani, oggetto delle intenzioni omicide di Hamas, fossero indifferenti o persino compiaciuti dei problemi dei loro nemici. Ma non è stato così. Come recita un titolo: "Mentre Gaza è prossima alla 'carestia', Israele, e non il mondo intero, sembra più preoccupato". In parte, ciò è dovuto a motivi pratici – perché Israele si preoccupa del prezzo che pagherebbe per un collasso economico a Gaza – ma questo ha anche una dimensione morale: i prosperi ebrei di Israele non possono stare a guardare mentre i loro vicini, per quanto ostili, affondano nella melma.

Anche mesi dopo, quando Hamas ha messo a punto il lancio degli aquiloni incendiari e l'esercito israeliano non ha fermato questo attacco, Gadi Eizenkot, capo di stato maggiore dell'Idf, le Forze di difesa israeliane, ha spiegato per quale motivo ciò non sia accaduto, in uno scambio di opinioni con il ministro dell'Istruzione Naftali Bennett, nel corso di una riunione di gabinetto a porte chiuse.

Gadi Eizenkot (a sinistra) e Naftali Bennett.

Bennett: Perché non sparare a chi maneggia armi utilizzate per via aerea [palloncini e aquiloni incendiari inclusi] contro le nostre comunità? Non ci sono vincoli legali. Perché non sparargli invece di sparare colpi di avvertimento? Stiamo parlando di terroristi da ogni punto di vista.

Eizenkot: Non penso che sparare a bambini e ragazzi che a volte fanno volare i palloncini e gli aquiloni sia la cosa giusta da fare.

Bennett: E che dire di quelli chiaramente identificati come adulti?

Eizenkot: Proponi da sganciare una bomba su persone che fanno volare palloncini e aquiloni?

Bennett: Sì.

Eizenkot: Questo è contrario alla mia posizione operativa e morale.

Tale "posizione morale" ovviamente ostacola la vittoria.

Tuttavia, mentre le tendenze di voto e i dati dei sondaggi elettorali indicano che questa posizione rimane ferma come sempre tra gli ebrei della Diaspora, soprattutto negli Stati Uniti, gli ebrei israeliani sono diventati più forti e resistenti. Quando le dolorose concessioni fatte ai palestinesi non hanno portato benefici, ma violenza, molti ebrei israeliani hanno perso le speranze nell'approccio delicato ed erano pronti a imporre la loro volontà ai palestinesi attraverso misure approssimative. L'osservazione di Eizenkot ha destato furore. Un recente sondaggio ha mostrato che il 58 per cento degli ebrei israeliani concorda sul fatto che "sarà possibile raggiungere un accordo di pace con i palestinesi, quando questi ultimi riconosceranno di aver perso la loro guerra contro Israele".

La riluttanza dei servizi di sicurezza

Coesistono due apparati di sicurezza israeliani: uno che combatte per ottenere la vittoria sull'Iran e altri nemici lontani; e uno difensivo, in stile polizia, che si occupa dei palestinesi. Il primo punta alla vittoria, il secondo a mantenere la calma. È Entebbe contro Jenin. È sottrarre l'archivio nucleare dell'Iran contro il lasciare che coloro che lanciano aquiloni incendiari esercitino il loro mestiere.

L'apparato di sicurezza di tipo difensivo conta enormemente perché spesso ha l'ultima parola sulla politica palestinese, come mostrato dall'episodio avvenuto sul Monte del Tempio del luglio 2017. Dopo che i jihadisti palestinesi avevano ucciso due poliziotti israeliani con le armi nascoste nella sacra spianata, il governo israeliano installò dei metal detector all'ingresso del Monte del Tempio, una decisione apparentemente indiscutibile. Ma Fatah chiese la loro rimozione e nonostante la popolazione e i politici israeliani desiderassero nella stragrande maggioranza che questi dispositivi rimanessero posizionati, essi scomparvero rapidamente perché l'apparato di sicurezza – compresi la polizia, la polizia di frontiera, lo Shabak, il Mossad e l'Idf – avvertì che lasciarli in loco avrebbe irritato i palestinesi e provocato violenze, caos e persino un collasso.

Ora li vedi, ora no: i metal detector israeliani sul Monte del Tempio.

I servizi vogliono evitare accoltellamenti, attentati suicidi, una raffica di missili da Gaza e una intifada; ma soprattutto temono il collasso dell'Autorità palestinese o di Hamas, chiedendo un governo diretto israeliano sulla Cisgiordania e Gaza. Come afferma l'ex parlamentare Einat Wilf,

Se l'apparato di difesa pensa che (...) i finanziamenti a Gaza comprino la calma, si farà tutto il possibile per assicurare che i fondi continuino a fluire, anche se ciò significa che la calma viene acquistata al costo di una guerra che andrà avanti per decenni.

Nel privilegiare la calma, i servizi di sicurezza respingono le misure severe e considerano la vittoria come irraggiungibile.

Questa riluttanza spiega molte altre circostanze, peraltro sorprendenti, riguardanti il governo israeliano, in particolare perché quest'ultimo:

Consente le illegali attività edilizie.
Chiude un occhio sul furto di acqua ed elettricità.
Evita di prendere misure che potrebbero provocare la rabbia della leadership palestinese, come bloccare gli introiti in nero, applicare la legge, diminuire le loro prerogative o punirli.
Si oppone alla decisione del governo statunitense di tagliare gli aiuti ai palestinesi.
Non ferma la distruzione dei tesori archeologici del Monte del Tempio.
Rilascia gli assassini condannati e consegna le salme degli assassini.
Consente a Hezbollah di acquisire oltre 100 mila razzi e missili, e poi elabora piani per evacuare 250mila israeliani.
Da decenni incoraggia i finanziamenti all'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA).

Queste precauzioni hanno diverse cause.

Innanzitutto, i governi israeliani fondati su coalizioni con molti partner tendono, come afferma Jonathan Spyer, "a evitare di concentrarsi su questioni strategiche a lungo termine, preferendo far fronte alle minacce immediate". Perché farsi carico di un problema quando si può rimandarne la soluzione?

In secondo luogo, i servizi di sicurezza israeliani sono orgogliosi del dover occuparsi del presente, e non delle astrazioni. Leah Rabin, moglie di Yitzhak Rabin, una volta spiegò così la mentalità del marito: "Era molto pragmatico, odiava occuparsi di una cosa che sarebbe accaduta nel futuro. Pensava solo a cosa sarebbe successo nel presente, in un futuro molto prossimo". O, come esplicato dall'ordine imperituro di un tenente alle sue truppe: "Proteggete questa zona sino alla fine del vostro turno".

In terzo luogo, così come la polizia ritiene che i criminali siano degli incorreggibili piantagrane, allo stesso modo i responsabili dei servizi di sicurezza israeliani vedono i palestinesi come nemici simili ad animali. Incapaci di immaginare che i palestinesi possano fare altro che attaccare gli israeliani, essi rifiutano l'obiettivo della vittoria, un po' come dire: i leoni possono ottenere una vittoria duratura sulle iene? Gli schemi di sicurezza spesso sembrano di sinistra, ma non lo sono. Per questo motivo Commanders for Israel's Security, un movimento costituito da circa 300 ex generali dell'Idf, che rappresentano l'80 per cento dei responsabili delle forze di sicurezza israeliane, propugna una soluzione dei due stati, quasi il doppio rispetto alla popolazione ebraica israeliana favorevole a tale soluzione.

In quarto luogo, gli schemi di sicurezza in genere ritengono che le attuali circostanze siano accettabili e non vogliono modificarle. L'Autorità palestinese sotto Mahmoud Abbas, nonostante tutte le sue carenze (e contrariamente all'era di Arafat), è un partner. Sì, è vero, l'Ap incita all'uccisione degli israeliani e delegittima lo Stato di Israele, ma meglio tali aggressioni che rischiare di punire Abbas, ridurre la sua autorità e fomentare una intifada. Questo atteggiamento induce a essere diffidenti nei confronti dei cambiamenti, scettici verso un approccio più ambizioso e riluttanti riguardo alle iniziative che potrebbero provocare l'ira palestinese.

In quinto luogo, poiché i palestinesi non dispongono del potere militare, sono visti come criminali e non come soldati; di conseguenza l'Idf da forza militare si è trasformato in una forza di polizia, con tanto di mentalità difensiva. I generali puntano alla vittoria, ma i capi della polizia mirano a tutelare la vita umana. Salvare vite umane si traduce nel considerare la stabilità come un obiettivo in sé. I generali non combattono con l'obiettivo di salvare la vita dei loro soldati, ma è così che un capo della polizia vede uno scontro con i criminali.

In sesto luogo, il Movimento delle Quattro Madri tra il 1997 e il 2000 traumatizzò l'Idf riuscendo a scatenare una forte reazione emotiva contro l'occupazione del sud del Libano, portando a un ignominioso ritiro. Questa enfasi sull'obiettivo di salvare le vite dei soldati anziché sul perseguimento di obiettivi strategici continua a essere una preoccupazione costante per la leadership dell'Idf.

Un evento organizzato dal movimento delle "Quattro Madri" nei pressi del confine israeliano con il Libano.

Complessivamente, la principale opposizione alla vittoria di Israele non arriva dalla sinistra, ma dai servizi di sicurezza. Fortunatamente, l'establishment della difesa ha dissidenti che ambiscono alla leadership politica e alla vittoria di Israele. Gershon Hacohen, il quale chiede che i leader politici esprimano giudizi indipendenti, è un buon esempio; Yossi Kuperwasser ne è un altro.

Conclusioni

Tutti coloro che sperano in una soluzione del problema palestinese dovrebbero esortare il governo israeliano a esercitare pressioni sull'Autorità palestinese e su Hamas. Ciò favorisce gli interessi palestinesi, liberando questi ultimi dalla loro ossessione per Israele in modo da poter costruire il loro stato, la loro economia, la società e la cultura. Tutti trarrebbero vantaggio da una vittoria di Israele e da una sconfitta palestinese.

Quando un presidente degli Stati Uniti dà il via libera, il primo ministro israeliano deve agire di conseguenza.

Aggiornamento del 30 agosto 2018: Caroline Glick conferma la mia argomentazione al punto 4 in una mordace analisi su due dei quattro candidati in lizza per ricoprire il ruolo di capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane. Yair Golan ritiene che Israele si sia nazificato e Nitzan Alon giustifica i crimini palestinesi, addossando la responsabilità alle provocazioni israeliane.

Aggiornamento del 14 ottobre 2018: Il ministro della Difesa Avigdor Liberman e l'establishment di sicurezza continuano la loro lotta in merito ai rifornimenti a Gaza. Si osservino due titoli del Times of Israel:

Liberman: No fuel or gas will enter Gaza until all violence stops – Liberman: Nessun gas o carburante entrerà a Gaza fino a quando non cesseranno tutte le violenze.
Defense establishment opposed cutting off Gaza fuel – report – L'establishment della Difesa sarebbe contrario a tagliare il carburante a Gaza.

Il sommario del secondo articolo recita così: "Funzionari avrebbero affermato di essere stati colti di sorpresa dalla decisione di Liberman di subordinare tutte le consegne alla cessazione delle violenze, dopo gli scontri di venerdì e gli attacchi alla barriera difensiva".

Commenti: Sembrerebbe, finalmente, che ci sia una reazione negativa da parte dei fautori della Vittoria israeliana contro i timidi burocrati.


Francesco Birardi
Se Israele si comporta così, evidentemente dà per scontato che nessuno ormai più minacci realmente la sua esistenza..... e che i "palestinesi" vadano sopportati, così come un cane sopporta le pulci. Perché l'alternativa in realtà non esiste.... non li puoi convincere, non li puoi ammazzare tutti, non li puoi trasferire altrove, non si possono fare pulizie etniche, non si possono assorbire... ergo tanto vale limitarsi a tenerli a bada, minimizzare quanto possibile i danni, e sopportare.... Il ragionamento è SBAGLIATISSIMO.... perché in realtà i musulmani tutti (Iran in testa) non hanno mai rinunciato al sogno di cancellare Israele dalla faccia della terra.... e i "palestinesi" sono la loro testa di ponte, una brace sempre accesa... in attesa di tempi migliori per realizzare quel sogno. Purtroppo Israele ha una storia molto particolare alle spalle, davvero unica nel suo genere... una storia che - moralmente - gli impedisce di fare semplicemente quello che hanno fatto TUTTI i popoli del mondo : prendersi la terra su cui vivono e cacciarne via il nemico.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » ven mag 10, 2019 6:45 am

Israele distrugge il quartier generale informatico di Hamas
05 maggio 2019

https://www.analisidifesa.it/2019/05/at ... o-di-hamas

Settecento razzi provenienti dalla striscia di Gaza hanno insanguinato Israele durante il fine settimana. Con un bilancio di oltre venti morti e centinaia di feriti, il conflitto è stato – ed è ancora – combattuto su più piani, compreso quello informatico. Dopo aver bloccato un attacco cyber da parte dell’organizzazione terroristica di Hamas, infatti, Israele ha risposto abbattendo il quartier generale informatico dell’enclave.

Dunque la capacità informatica di Hamas è stata colpita, ha rivelato ai giornalisti il portavoce dell’esercito israeliano Ronen Manelis, attraverso un attacco convenzionale.

L’IDF (Israeli Defence Forces) ha adottato un approccio ibrido, bloccando in un primo momento l’attacco informatico condotto dal gruppo, e poi, una volta localizzata la fonte dell’offensiva, lanciando un attacco aereo.

I caccia dell’aviazione hanno distrutto completamente l’edificio (foto sotto) che ospitava il quartier generale della divisione tecnologica di Hamas, neutralizzando la minaccia digitale del gruppo terroristico su entrambi i fronti.

Prima che ciò avvenisse, i terroristi avevano perpetrato, oltre ad un attacco missilistico, anche un’offensiva informatica mirata e danneggiare i cittadini israeliani.

I militari non hanno fornito ulteriori informazioni su questo, poiché i dettagli potrebbero rivelare ad Hamas alcuni dati sulle capacità informatiche di Israele. Secondo quanto detto al Times of Israel da un ufficiale dell’esercito, rimasto anonimo, la capacità informatica del gruppo non avrebbe però raggiunto finora un livello preoccupante, tanto che le Forze armate sarebbero state “un passo avanti” per tutta la durata della tentata offensiva.

L’esercito israeliano non ha agito da solo, bensì tramite un team composto dall’unità d’élite 8200 dell’intelligence militare, la direzione teleprocessing dell’IDF e un team proveniente dal servizio di intelligence Shin Bet. La situazione ha richiesto un intervento combinato da parte di più agenzie in quanto si stava combattendo una guerra asimmetrica su più fronti, non solo sul piano informatico.

Con l’offensiva missilistica di Hamas da un lato, e i raid di risposta dell’esercito dall’altro, le forze armate impegnate nell’escalation hanno risposto con un intervento ibrido, paralizzando la fonte dell’offensiva debolmente difesa e, poi, abbattendo l’edificio ospitante.

Con il bombardamento del quartier generale informatico di Hamas, Israele è ufficialmente il primo Paese – di cui si ha notizia – a reagire fisicamente e in tempo reale ad un attacco informatico (seppur solo tentato). Il raid, avvenuto nel corso di una serie di offensive contro siti di lancio missilistici e attacchi mirati contro i membri dell’organizzazione terroristica ha avuto un duplice effetto, dunque: non solo quello di colpire e abbattere uno dei quartier generali dell’organizzazione terroristica, ma anche di demolire o limitare fortemente la capacità informatica della stessa.

La novità, sebbene costellata di particolari e inserita in un contesto già di conflitto armato, potrebbe segnare un cambiamento nelle moderne tattiche di guerra informatica, creando un precedente che avrà di certo ripercussioni sul dibattito internazionale il merito ad eventuali scenari di conflitto “ibrido”.

L’analisi sul piano legale della decisione di Israele è particolarmente rilevante perché si tratta del primo caso noto di risposta cinetica ad un attacco cyber.

Infatti, spiega Stefano Mele, avvocato esperto in diritto delle tecnologie e presidente della Commissione sicurezza cibernetica del Comitato Atlantico Italiano, “seppure alcuni Stati, come ad esempio gli Stati Uniti, sin dal 2011 abbiano apertamente previsto nelle loro policy di poter rispondere cineticamente ad attacchi cibernetici, questa è senz’altro la prima volta che si ha notizia dell’attuazione pratica di una simile opzione all’interno di un conflitto tra Stati e soprattutto con una reazione quasi in tempo reale”.

Dal punto di vista del diritto internazionale, quindi, occorre verificare anzitutto se e come la responsabilità dell’attacco cibernetico condotto contro le infrastrutture critiche israeliane (del quale non sono emersi dettagli per motivi di sicurezza) possa o meno essere imputabile allo Stato dal cui territorio è partito.

In questo caso, continua Mele, “nonostante le scarse informazioni che abbiamo, l’operazione cibernetica parrebbe essere stata materialmente condotta da Hamas, quindi un attore non-statale.

Pertanto, il fondamento giuridico adottato da Israele per giustificare una simile reazione cinetica (ndr, il bombardamento) potrebbe essere quello di aver comunque attribuito la condotta allo Stato palestinese in quanto questi non ha adottato le necessarie misure per impedire l’attacco cibernetico proveniente dal suo territorio, adottandolo quindi come proprio. Israele, insomma, potrebbe aver considerato Hamas come un ente paragovernativo”.

Secondo Mele, però, “questa strada può essere seguita, almeno nelle modalità scelte da Israele, solo se la si inquadra all’interno del conflitto militare già in atto.

Nessun consulente legale, infatti, consiglierebbe mai al proprio governo di rispondere in tempo di pace ad un attacco cibernetico (che normalmente non raggiunge il livello di uso della forza) con un attacco cinetico – a maggior ragione se un bombardamento”.

Per quanto concerne la risposta armata di Israele all’attacco cibernetico e la sua legittimità dal punto di vista del diritto internazionale, rimarca Mele, “Israele potrebbe aver reagito legittimamente, utilizzando il dettato dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Infatti, la cosiddetta legittima difesa può essere definita come la possibilità per uno Stato di rispondere, se necessario, ad un uso illegale della forza che corrisponda ad un attacco armato.

La Corte Internazionale di Giustizia, peraltro, ha stabilito che l’art. 51 si applica a qualsiasi uso della forza, indipendentemente dal mezzo utilizzato e ivi compresi, quindi, anche gli attacchi cibernetici”.

epa05775439 An Israeli airforce plane drops flares during an airstrike in the east of Gaza strip along the border between Israel and Gaza City, 06 February 2017. EPA/MOHAMMED SABER *** Local Caption *** 07.02.17

Quindi, continua l’esperto, “qualora l’operazione cibernetica subita da Israele avesse avuto le potenzialità di compromettere seriamente le capacità delle infrastrutture fondamentali dello Stato o avesse minato la stabilità politica, economica e sociale di Israele per un lasso di tempo prolungato, allora, anche in assenza di evidenti danni fisici, la reazione – anche armata – potrebbe considerarsi legittima”.

L’ultimo grande interrogativo è quello che riguarda la proporzionalità dell’attacco. “Non abbiamo abbastanza informazioni sull’attacco cibernetico condotto da Hamas e senza queste informazioni è impossibile giudicare la proporzionalità o meno della risposta”, rimarca Mele, “tuttavia reputo che la reazione cinetica di Israele – se confinata al singolo episodio – quasi certamente può essere considerata non proporzionale sotto il punto di vista del diritto internazionale.

Tuttavia, conclude Mele, “come detto in precedenza, tenendo presente il conflitto armato già in atto, in cui l’attacco cibernetico di Hamas è da considerare solo come un piccolo tassello, allora la reazione di Israele si può inserire in un quadro più ampio dove è più facile vederne la legittima e la proporzionata”.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » lun mag 27, 2019 2:31 pm

Domato l’incendio come ci comunica Vito Anav:
Gerusalemme 26-05-2019
https://www.facebook.com/vito.anav

Il Comando dei Vigili del Fuoco israeliani ha dichiarato conclusa l'operazione "Fuoco Rovente" iniziata giovedi scorso nel primo pomeriggio .
A causa delle condizioni meteorologiche torride (40 gradi) , dei venti caldi e secchi che hanno soffiato per due giorni, del numero ingente di focolai , *parte dei quali oramai appurato essere di natura terroristica* , domare gli incendi e` stato difficilisimo.
In tutta Israele , sono scoppiati 1023 incendi,
40 abitazioni distrutte a Mevo` Modiim, 10 abitazioni distrutte nel Kibbutz Harel , 13 V.d.F. rimasti feriti durante le operazioni durate 41 ore. 7.940.000 metri quadrati di boschi, riserve naturali, sottobosco e campi andati distrutti.
3.000 persone evacuate
1312 V.d.F. e 307 volontari impegnati nell'operazione coadiuvati da tutti e 12 gli aerei anti incendio in forza in Israele, 80 ore di volo totali, 120 operazioni aeree.
5 Paesi hanno inviato un totale di 9 aerei anti incendio ( Egitto, Cipro, Grecia , Croazia, ITALIA ).
497 veicoli ( autocisterne, Jeep, mezzi di trasporto ecc) hanno operato H24.
In un palazzo a Zfat un bambino di tre anni e` morto e 12 persone sono rimaste ferite in un incendio.
*Fonte* : Portavoce Vigili del Fuoco israeliano
*Riportato da Vito Anav*

FIN QUI LE NOTIZIE ED I NUMERI.
Non posso non riportare due dichiarazioni che mi hanno particolarmente colpito, estratte tra le decine di interviste alle vittime degli incendi , che sono andate in onda in questi giorni.
SONO TESTIMONIANZE DELLO SPIRITO D'ISRAELE ( IL COSIDETTO ERETZ ISRAEL HA-YAFA`) DANNO FORZA, CORAGGIO, VOGLIA DI RICOSTRUIRE .
Un Padre di Famiglia , davanti alla sua casa distrutta ha detto : " Siamo rimasti CON nulla" I piu` avrebbero affermato "siamo rimasti SENZA nulla" .
Un anziano , evacuato dalla sua casa andata a fuoco ha detto : " Non ho pianto vedendo la mia casa distrutta, ma ho pianto commosso vedendo quanta solidarieta` sto ricevendo"

Come si legge nell'Amidà di Tisha Be-Av : "Poiché Tu con il fuoco l'hai distrutta e col fuoco la ricostruirai come è detto : Ed Io sarò una muraglia di fuoco intorno ad essa ed onore dentro di essa . Benedetto Tu o Signore che consoli Sion e costruisci Gerusalemme" *IMMAGINI FOTOGRAFICHE VISIBILI SUL MIO PROFILO FACEBOOK* ( Vito Anav, è aperto , visionabile e condivisibile) SE SCEGLIETE SU FACEBOOK LA MODALITA “SEGUI” SARETE SEMPRE AGGIORNATI SULLE NEWS DA ISRAELE IN TEMPO REALE
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » lun mag 27, 2019 2:38 pm

Il dilemma di Gaza
Jonathan Schanzer
23 Maggio 2019

http://www.linformale.eu/il-dilemma-di- ... MVUfkEjt4s

Il 14 maggio 2018, proprio mentre Israele stava celebrando l’apertura della nuova ambasciata americana a Gerusalemme, ero seduto dall’altra parte della scrivania di un alto funzionario israeliano a Tel Aviv. Era di cattivo umore. Sembrava che non avesse dormito molto. Si stropicciò gli occhi, si grattò la barba ispida e improvvisamente balbettò: “Gaza è un problema infernale”.

In mezzo alla fanfara dell’ambasciata, i funzionari israeliani stavano iniziando a rendersi conto che le proteste lungo il confine di Gaza che erano scoppiate il 30 marzo, celebrate sui social media come la “Grande Marcia del Ritorno”, non sarebbero finite presto. E gli israeliani le trovavano sempre più difficili da gestire.

Israele è attrezzato per combattere una vasta gamma di guerre, ma non contro le cosiddette armi dei deboli. Gli abitanti di Gaza lanciavano palloni incendiari oltre il confine nel territorio israeliano. Il gruppo terroristico di Hamas, secondo un portavoce militare israeliano, pagava i bambini per marinare la scuola e correre al confine. I militanti spararono allora contro i soldati israeliani da dietro questi scudi umani. Incapace di disperdere la folla con gas lacrimogeni o con altri metodi di controllo della folla, l’IDF aprì il fuoco.

Il mio interlocutore fece un profondo sospiro e disse: “Al momento, non abbiamo soluzioni creative per questo”.

È trascorso un anno. Le proteste settimanali di Gaza sono continuate, con vittime e caos crescenti. Ogni pochi mesi scoppia una conflagrazione. In quella più recente, i gruppi terroristici palestinesi hanno lanciato più di 700 missili verso Israele. Quattro israeliani hanno perso la vita. La risposta israeliana è stata prevedibilmente dura, ma misurata, includendo la distruzione di covi dei terroristi e perfino alcuni omicidi mirati.

In pochi giorni, è stato raggiunto un cessate-il-fuoco. Ma non durerà. Non può. Ogni escalation di violenza a Gaza riporta Israele allo stesso punto, preparando di nuovo il terreno per altri conflitti. La frustrazione in Israele è palpabile. Come mi ha detto un burocrate di Gerusalemme alla vigilia delle elezioni del mese scorso, “A che cosa serve avere l’esercito più forte della regione se non possiamo sbarazzarci di una seccatura come Hamas?”

Gli israeliani di tutte le fedi politiche ora dicono che è tempo di cambiamenti. Ma probabilmente si renderanno conto che non esistono buone alternative a ciò che viene visto come uno status quo insostenibile. Una grande offensiva a Gaza potrebbe ritorcersi contro e accelerare un conflitto con l’Iran. Potrebbe scatenare velenosi dibattiti faziosi a Washington. Potrebbe anche costringere Israele a fare qualcosa che vuole evitare a tutti i costi: rioccupare Gaza.

A conti fatti, il problema infernale lo è diventato gradualmente.

Per Israele, Gaza è una sfida costante, ma non è mai stata una minaccia strategica dopo la guerra d’Indipendenza del 1948-1949. All’epoca, erano i fedayeen che compivano attacchi in Israele. Gaza fu poi teatro di battaglie campali nella guerra dei Sei Giorni del 1967. Ci fu un momento in cui, dopo la conquista del territorio, gli israeliani riuscirono a entrare a Gaza e a dedicarsi al commercio. Ma nel dicembre del 1987, la situazione subì una battuta d’arresto: nella Striscia di Gaza scoppiò la prima Intifada.

Hamas lanciò da Gaza razzi e sparò colpi di mortaio verso Israele dopo l’interruzione del processo di pace nel 2001. Israele peggiorò inavvertitamente le cose quando nel 2005 lasciò la Striscia di Gaza. Il disimpegno pose fine all’occupazione israeliana, ma garantì a Hamas una maggiore libertà operativa. Questo problema si acuì nel 2007 quando il gruppo strappò il controllo di Gaza all’Autorità palestinese in una brutale guerra civile. Hamas iniziò presto a importare nuovi armi e a sviluppare nuove capacità. Da allora Israele e Hamas furono coinvolti in un conflitto importante una mezza dozzina di volte, con molte altre schermaglie minori. Se Hamas ha costruito tunnel sotterranei utilizzati dai suoi commando e altre risorse, i razzi continuano però a essere l’arma preferita del gruppo.

Per quanto riguarda Israele, la necessità ha acuito l’ingegno. Nel 2011, gli israeliani realizzarono uno dei più eccezionali successi militari del XXI secolo: Iron Dome. Il sistema prende decisioni cruciali in una frazione di secondo. Intercetta razzi o missili a corto raggio lanciati verso i centri abitati oppure consente ai missili destinati a colpire le aree disabitate di potere percorrere la loro traiettoria. La percentuale di successo di queste funzioni combinate è compresa tra l’85 e il 90 per cento.

Anche se gli attacchi di Hamas sono notevolmente aumentati di volume, Iron Dome ha protetto i cittadini israeliani. I vertici dell’Idf osservano a giusto titolo che il sistema garantisce agli ufficiali spazio e tempo per prendere decisioni razionali in merito alla guerra. E quelle decisioni, visto il basso numero di vittime, hanno spesso fatto sì che Israele potesse rispondere in modo contenuto e proporzionale. Del resto, gli israeliani non hanno mai cercato un conflitto più ampio perché considerano Hamas una minaccia tattica, ma non esistenziale. Hamas non ricopre una posizione abbastanza elevata sulla lista delle minacce per giustificare il tipo di guerra che sarebbe richiesta. Ciò ha permesso a Hamas di vivere per continuare a combattere altre battaglie.

C’è chi sostiene che Israele ora nutre un falso senso di sicurezza riguardo ai pericoli costituiti dai razzi che piovono da Gaza. Non è così. Israele si è immunizzato dalla minaccia missilistica, insieme a ogni altri sfida alla sua sicurezza lanciata da Hamas.

In verità, è Hamas che ha un falso senso di sicurezza. Il gruppo ha innegabilmente cercato di sopraffare Iron Dome, ma ha ripetutamente fallito. Le ostilità si sono quindi stabilizzate su uno schema prevedibile. Hamas ora spara proiettili letali nella aree abitate da civili senza le conseguenze di provocare molti morti o rappresaglie.

Tuttavia, dopo gli ultimi attacchi di Hamas nel mese di maggio, il premier Benjamin Netanyahu, cauto per natura, ha sempre più difficoltà a dare prova di moderazione. La popolazione teme che Israele abbia perso la propria deterrenza. Se l’obiettivo fosse stato davvero la deterrenza, sarebbe stato chiaro ai nemici di Israele a Gaza che l’essere costretti ad impiegare solo una volta Iron Dome avrebbe scatenato una risposta impetuosa. Invece, Israele ha ripetutamente assorbito i colpi e risposto in maniera misurata. È possibile che questa volta Israele lo abbia fatto per assicurare la calma durante l’imminente Eurovision Song Contest e la Giornata dell’Indipendenza. Eppure, c’è sempre un motivo per cui l’Idf non intensifca le operazioni. E tra gli israeliani cresce l’inquietudine.

Con i cittadini israeliani ora in fermento, l’Idf scruta cautamente il grande conflitto che ha evitato per una dozzina di anni: una feroce battaglia contro un attore non statale ben addestrato e ben armato. E guarda anche l’Iran con circospezione.

Gaza è ampiamente riconosciuta come territorio palestinese. Ma è anche iraniano. È stato l’Iran che ha aiutato Hamas a conquistare Gaza nel 2007. È stato l’Iran che ha continuato a sostenere economicamente “Hamastan” fino alla rottura tra il regime sciita a Teheran e il governo sunnita sulla politica siriana nel 2012. I finanziamenti iraniani da allora sono stati ripristinati, ma non sono tornati ai livelli precedenti, principalmente a causa delle paralizzanti sanzioni statunitensi sul regime di Teheran. Ma i legami sono tornati ad essere forti.

La raffica di missili di maggio è stata quasi certamente innescata dall’Iran. È iniziata con l’ attacco di un cecchino della Jihad islamica palestinese (PIJ), una fazione terrorista pesantemente influenzata dall’Iran. Gli alti funzionari israeliani ritengono che l’attacco sia stato probabilmente ordinato dall’Iran allo scopo di interrompere la mediazione del cessate il fuoco egiziano tra Hamas e Israele.

Se Israele decidesse di espellere Hamas dalla Striscia di Gaza, ci sarebbe una risposta estesa da parte dell’Iran. Gli israeliani dovrebbero aspettarsi che Hamas combatta ferocemente, per svuotare il suo arsenale e ottenere aiuto dai consiglieri iraniani e dai delegati iraniani come il PIJ e l’Harakat al-Sabirin. L’Iran non abbandonerà questo territorio senza combattere.

C’è anche uno scenario in cui l’Iran dispiega il suo delegato libanese, Hezbollah, al fine di preservare i propri interessi. Si calcola che Hezbollah abbia 150.000 missili nel proprio arsenale, compreso un numero crescente di munizioni a guida di precisione (PGM). Se l’Iran dovesse scegliere di attivare Hezbollah nel mezzo di una guerra a Gaza, un conflitto a due fronti renderebbe la raffica di missili di maggio un fastidio minore.

Mentre le minacce aumentano, il tempo potrebbe esaurirsi sulla copertura politica di cui Israele ha bisogno per la guerra di Gaza che non vuole, ma che potrebbe comunque essere necessario intraprendere comunque. I leader israeliani stanno operando partendo dal presupposto che il presidente Donald Trump da solo (o più specificamente la sua amministrazione) darebbe all’Idf il via libera per combattere la lunga guerra contro Hamas, o anche contro l’Iran e i suoi altri delegati.

Per gli israeliani, affidarsi a Trump significa assumersi due rischi. Il primo è che possono vantare un grande debito che Trump potrebbe richiedere sotto forma di concessioni per il processo di pace. Tuttavia, dal poco che sappiamo della “Deal of the Century” di Trump, Jared Kushner e Jason Greenblatt difficilmente eserciteranno forti pressioni sugli israeliani, se mai lo faranno.

Il secondo rischio, il pericolo molto più grande, è che Israele si trasformi in un pallone politico.

Non è difficile capire come questo possa accadere. L’amministrazione Obama ha dato dei grattacapi agli israeliani come l’accordo nucleare iraniano, il sostegno ai Fratelli musulmani durante la primavera araba e la sua astensione in materia di risoluzione anti-israeliana alle Nazioni Unite. Questo presidente, al contrario, ha offerto un sostegno inflessibile in settori chiave, tra cui l’autodifesa, il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti, il riconoscimento della sovranità sulle alture del Golan e altro ancora. Nel frattempo, un rumoroso gruppo di progressisti alla Camera dei Rappresentanti esprime i sentimenti anti-Israele in un modo che non ha precedenti. E mentre i democratici filo-israeliani non hanno vacillato, stanno mettendo in guardia Trump nel non cedere alle opzioni politiche più incendiarie di Netanyahu, come l’annessione di parti della Cisgiordania. I repubblicani hanno sfruttato queste fenditure, con Trump il quale, nel mentre, sollecita gli elettori ebrei a porre fine al loro sostegno di lunga data nei confronti dei democratici e di aderire al GOP.

Se si arrivasse al conflitto, i democratici e i repubblicani filo-israeliani darebbero il loro sostegno. Comprendono la gravità, anche la necessità, di una guerra a Gaza. Ma i critici collocherebbero Israele nel ruolo di aggressore, e in combutta con Trump nell’avere dato l’avvio. Il prossimo conflitto potrebbe quindi essere facilmente definito come politicamente binario, in cui i politici americani definirebbero le loro opinioni sulla sicurezza israeliana come una posizione pro-Trump o anti-Trump.

La dozzine di ex e attuali funzionari israeliani con cui ho parlato negli ultimi tre anni sono tutti convinti che la bipartitanship sia stata l’unica grande risorsa di Israele a Washington nel corso degli anni. Eppure non comprendono veramente il modo in cui l’iper-partigianeria abbia travalicato Washington. Non capiscono come i dibattiti intorno a Donald Trump, giusti o meno che siano, hanno diviso la nostra nazione. Né apprezzano come gli stretti legami di Netanyahu con Trump possano essere esercitati da entrambe le parti in modi che potrebbero ferire Israele in un momento di bisogno urgente.

Diciamo che Israele sia stato in grado di navigare nella palude della politica americana, abbia ottenuto un sostegno bipartisan per una guerra a Gaza, e poi abbia rimosso con successo Hamas. Israele dovrebbe poi cimentarsi con un altro grosso problema: cosa verrà dopo.

Il coordinatore delle attività governative nei territori dell’IDF (COGAT) attualmente facilita ogni giorno l’ingresso di migliaia di carichi di merci nella striscia di Gaza, anche se permane un blocco militare per impedire l’accesso ai materiali a duplice uso e alle armi sofisticate. In altre parole, Israele ha due politiche. Una è quella di isolare Hamas e l’altra è permettere che il popolo di Gaza possa ricevere dei servizi.

Israele, al fine di mantenere la quiete si è persino impegnato con i turchi e con i Qatar, nonostante l’anti-sionismo di entrambi i paesi e il loro sostegno a Hamas. Ha permesso loro di fornire fondi e altra assistenza all’enclave costiera. Tuttavia, le sofferenze di Gaza continuano, perché Hamas persiste nel deviare i fondi per i tunnel, i missili e altri strumenti di guerra. E sotto il governo di Hamas, non c’è molto spazio politico per sfidare queste politiche. Il sentimento anti-israeliano è l’unica forma di protesta ammissibile. Questo è servito solo a radicalizzare ulteriormente una popolazione che per anni è stata nutrita con una dieta costante di odio.

Dal 2007 gli israeliani, insieme agli egiziani dal 2013, si sono sforzati di rimodellare il panorama politico di Gaza. Questa è la prima e la scelta migliore sdal punto di vista di Israele. Ma finora, hanno fallito. Le valide alternative a Hamas sono la sclerotica Autorità Palestinese, i gruppi radicali salafiti e il PIJ appoggiato dall’Iran. Potrebbero esserci altri, come i sostenitori di Mohammed Dahlan, l’ex uomo forte di Gaza che è andato in esilio negli Emirati Arabi Uniti dopo il golpe di Hamas nel 2007. Ma sappiamo poco sulla capacità di Dahlan di organizzarsi politicamente, o se Gaza rifiuterebbe il trapianto della sua leadership dopo tanti anni di assenza, come fosse un cuore artificiale.

Quattordici anni dopo il ritiro da Gaza, i missili vengono ancora lanciati. Dodici anni dopo la presa del potere da parte di Hamas, il gruppo rimane trincerato. Otto anni dopo lo spiegamento di Iron Dome, gli israeliani sono probabilmente più sicuri, ma sono tornati dove sono sempre stati: al confine con Gaza, rimuginando sulla loro prossima mossa.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » mer gen 22, 2020 10:15 pm

Ancora razzi da Gaza e raid di Israele. 22 morti nella Striscia. Netanyahu: "Fermatevi o continueremo"
Dalla Striscia missili sparati nel Sud del Paese, a Netivot e in due cittadine a 20 chilometri da Gerusalemme. L'esercito israeliano ha colpito postazioni palestinesi. Oltre 70 i feriti
13 novembre 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/1 ... 240969617/

TEL AVIV - "Fermate questi attacchi o ne subirete sempre di più. A voi la scelta", tuona il premier israeliano, Benjamin Netanyahu mentre le vittime a Gaza sono arrivate a 22 morti e almeno 70 ferti, riporta il ministero della sanità della Striscia, da quando, ieri, è iniziata l'escalation con l'uccisione mirata di Abu al Ata a Gaza e il lancio di razzi in risposta verso Israele.

Anche questa mattina sono ripresi gli attacchi: diversi razzi sono stati lanciati dalla Jihad islamica di Gaza verso il territorio israeliano, rompendo la breve tregua notturna, riporta Jerusalem Post, e l'esercito israeliano ha rivendicato l'uccisione, in un raid aereo nelle prime ore di mercoledì sulla Striscia, di un combattente della Jihad Islamica Khaled Moawad Farraj. Indicato come uno dei comandanti locali delle Brigate al-Quds, aveva 38 anni. La conferma è poi arrivata dal profilo Twitter della Jihad Islamica, che ha postato la foto del suo corpo senza vita promettendo vendetta.

Le sirene di allarme sono tornate a risuonare stamattina in Israele, dopo una nottata in cui i razzi da Gaza si erano interrotti. Bersaglio dei lanciarazzi palestinesi sono stati il Sud del Paese, la città di Netivot nel Neghev che è stata attaccata stamane con razzi lanciati da Gaza. Sirene di allarme sono risuonate, per la prima volta in questa tornata di violenze, nella zona di Latrun e di Beit Shemesh, circa 20 chilometri ad ovest di Gerusalemme. Anche la città di Asjkelon è stata sottoposta ad un lancio di razzi.

Le forze di difesa israeliane hanno affermato, riporta il Jerusalem Post, che il 90% dei missili diretti verso le aree residenziali sono stati intercettati dai missili Iron Dome. Dei razzi non intercettati, il 60% è caduto in aree aperte, lontano dalle città. Israele, secondo fonti militari, ha rafforzato nel centro del Paese la dislocazione delle batterie Iron Dome di difesa da missili, nella previsione che gli attacchi della Jihad islamica si intensificheranno nelle prossime ore.


Netanyahu: "Colpiremo senza pietà. I razzi di Gaza non ci indeboliscono"
Benjamin Netanyahu durante una riunione straordinaria di governo questa mattina, ha spiegato che Israele sta colpendo "la Jihad islamica dopo aver eliminato il suo comandante nella Striscia", con riferimento all'uccisione mirata di Baha Abu al Ata. Il comandante jihadista, ha affermato, "era responsabile della maggior parte degli attentati terroristici partiti dalla Striscia di Gaza nell'ultimo anno e aveva in programma di effettuare altri attacchi nei prossimi giorni".

Il premier ha aggiunto che "sarebbe meglio che la Jihad islamica lo capisca adesso e credo ciò stia avvenendo. Stanno capendo che continueremo a colpirli senza pietà. Siamo determinati a combattere e a proteggerci. Se pensano che i razzi o i missili ci avrebbero indebolito, hanno torto. Hanno una sola scelta: fermare questi attacchi o subire sempre più colpi. E' una loro scelta". Netanyahu ha però precisato che "potrebbe volerci del tempo" e ha invitato gli israeliani a rimanere vigili.




Gaza, bombardamenti israeliani in risposta a razzi di Hamas
Colpita la Striscia a Nord e ad Ovest della città
08 dicembre 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/1 ... 242867107/

GAZA - Degli aerei israeliani hanno condotto diversi attacchi sulla striscia di Gaza per rispondere a tre razzi sparati dai palestinesi sul terirorio israeliano. I bombardamenti hanno colpito postazioni delle Brigate Ezzedine al-Qassam, la costola militare di Hamas a Nord e ad Ovest di Gaza senza causare feriti. L'esercito israeliano ha detto che aerei ed elicotteri hanno colpito "alcuni siti terroristici di Hamas compreso un comando della forza militare dell'organizzazione".

Secondo l'esercito "l'organizzazione terrorista Hamas è responsabile degli avvenimenti che si producono nella Striscia e Hamas pagherà le conseguenze degli attentati contro i civili israeliani". Nella notte fra sabato e domenica degli attivisti palestinesi hanno tirato tre razzi sul Sud di Israele che sono stati intercettati dal sistema antimissili dello Stato ebraico. E' la seconda volta che viene violato il cessate il fuoco stabilito il 14 novembre dopo un sanguinoso scontro tra le forze israeliane e la Jihad Islamica che aveva tirato più di 400 razzi contro Israele mentre lo Stato ebraico ha bombardato diverse volte Gaza.





Razzo su Ashkelon, Netanyahu interrompe comizio. L’aviazione israeliana attacca Gaza
Benyamin Netanyahu è stato costretto ad interrompere un comizio del Likud ad Ashkelon (a sud di Tel Aviv) a causa di un razzo sparato da Gaza, poi intercettato dai sistema di difesa Iron Dome
25 dicembre 2019

https://www.ilsole24ore.com/art/gaza-ra ... io-ACq63M8

Benyamin Netanyahu è stato costretto ad interrompere un comizio del Likud ad Ashkelon (a sud di Tel Aviv) quando in città sono risuonate le
sirene di allarme. Il premier è stato allora scortato dalle guardie del corpo verso un'area protetta. Lo riferiscono i media secondo cui un razzo sparato da Gaza in direzione della città è stato intercettato dai sistema di difesa Iron Dome.

Dopo pochi minuti Netanyahu è tornato sul palco degli oratori. “Che fare? - ha chiesto. - Loro (i gruppi armati palestinesi, ndr) non vogliono che noi
vinciamo. Alla loro faccia, noi invece vinceremo”. Le sue parole, ha riferito la radio militare, sono state accolte dagli applausi del pubblico che ha scandito: “Forza Bibi”.

Anche nel settembre scorso Netanyahu era stato obbligato ad interrompere un comizio, allora nella vicina città di Ashdod, in seguito ad un altro attacco di razzi palestinesi sparati da Gaza. In quella occasione l'attacco fu attribuito al capo militare della Jihad Islamica, Baha Abu al-Atta. Questi è stato ucciso a novembre in un attacco aereo israeliano.
Secondo gli analisti anche l'attacco odierno è stato condotto dalla Jihad islamica. Il portavoce militare ha intanto confermato che una batteria di difesa Iron Dome ha intercettato un razzo sparato da Gaza. In precedenza le sirene di allarme erano risuonate in una vasta zona nel sud di Israele.

La risposta israeliana
In seguito al lancio del razzo palestinese, l'aviazione israeliana ha colpito obiettivi militari nella Striscia di Gaza. Lo ha riferito la radio militare. Fonti palestinesi aggiungono che è stata centrata una postazione di Hamas nel Nord della Striscia. Un secondo attacco è avvenuto a Khan Yunes, a sud di Gaza.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » mer gen 22, 2020 10:15 pm

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Re: I terroristi nazi maomettani di Gaza bombardano Israele

Messaggioda Berto » mer gen 22, 2020 10:16 pm

2020-Gaza, tre terroristi uccisi Si infiltrano in Israele e tentano una strage di militari
22 gennaio 2020

http://www.italiaisraeletoday.it/gaza-t ... 3B0yoHr-Gg

Tre palestinesi sono stati uccisi la scorsa notte da un’unità dell’esercito israeliano dopo che da Gaza si erano infiltrati in territorio israeliano e dopo che avevano lanciato un ordigno verso i militari.

Lo ha riferito la radio militare secondo cui i tre progettavano un attentato. Fonti palestinesi riferiscono i tre giovani avevano ricevuto istruzioni dalla Jihad islamica, pur non essendone formalmente membri. Nelle ultime ore Israele ha elevato il livello di allerta attorno alla striscia di Gaza nel timore che le milizie palestinesi possano progettare attacchi in occasione dell’arrivo in Israele di decine di leader stranieri per il 75/o anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz.

In particolare, riferisce la radio militare, in quella zona Israele ha rafforzato le batterie Iron Dome di difesa dal lancio di razzi.
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