Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:13 pm

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:14 pm

Miti da sfatare su Israele: 21 domande, 21 risposte, di Luciano Tas
Alex Zarfati
18 maggio 2008

http://www.focusonisrael.org/2008/05/18 ... poste/1246

Luciano Tas, scrittore e giornalista, già direttore del mensile Shalom, ha pubblicato anni fa un utile documento per conoscere correttamente la questione israelo-palestinese.

L’antisemitismo è dilagante in Italia e troppo spesso è causato dalla disinformazione sui fatti salienti della Storia d’Israele, molta gente si schiera contro il sionismo “a priori” e indipendentemente delle opinioni della politica israeliana legata al momento storico. Il discutere dell’esistenza dello stato d’Israele non dovrebbe essere neanche tollerato, a meno che non si voglia rendere “discutibile” la nascita di tutti gli stati moderni, compresa l’Italia. Usando le argomentazioni di quelli che gettano discredito sul sionismo, sarebbe come se io dicessi che la nascita dell’Italia è il frutto dell’imperialismo dei Savoia…e per questo illegittima.



Elenco delle domande

1) Quasi duemila anni fa esisteva uno Stato ebraico in Palestina, ma poi ci hanno vissuto gli arabi, cioè i palestinesi. Dopo tanto tempo non hanno acquisito il diritto alla loro patria?

2) Ma allora cos’è, di chi è la Palestina?

3) Perché gli ebrei dopo la seconda guerra mondiale hanno scelto di andare proprio in Palestina, dove già c’erano gli arabi?

4) Gli arabi non hanno mai perseguitato gli ebrei. E perché poi gli arabi dovrebbero pagare per il fatto che gli ebrei sono stati sterminati dai nazisti?

5) A proposito del 29 novembre 1947, quando le Nazioni Unite assegnarono una parte della Palestina agli arabi e un’altra agli ebrei. Quella ebraica non fu forse sottratta agli arabi?

6) Israele ha occupato militarmente la Palestina, cacciandone i palestinesi nel ’48, nel ’49 e nel ’67. E ora non vuole farli tornare sulla loro terra, né restituire i territori occupati nel 1967.

7) Ma Israele non ha voluto accogliere i profughi palestinesi.

8 ) E’ stato Israele, e non i paesi arabi, ad avere incominciato la guerra del 1967, allo scopo di espandere il suo territorio.

9) Perché gli ebrei, che hanno tanto sofferto per il nazismo, fanno ai palestinesi quello che i tedeschi hanno fatto a loro?

10) Sionismo uguale a razzismo.

11) Gli israeliani si sono macchiati della strage di Sabra e Chatila del 1982.

12) Ma perché i palestinesi non possono tornare a casa loro?

13) Ma perché gli israeliani vogliono avere proprio Gerusalemme come capitale? Che diritto ne hanno, dopo esserne stati assenti per quasi duemila anni?

14) Israele non ha voluto portare a compimento gli accordi di Oslo del 1993.

15) Gli israeliani rispondono con le armi al lancio di sassi da parte di ragazzi.

16) Ma le rappresaglie israeliane? L’uccisione mirata dei capi dei movimenti palestinesi nei territori dell’Autonomia?

17) Gli attentatori suicidi, i kamikaze palestinesi, sono dei martiri che si sacrificano per ottenere una patria.

18 ) Anche gli ebrei per conquistare la loro indipendenza hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica compiendo attentati terroristici.

19) Israele organizza azioni belliche con armi pesanti, elicotteri e aerei, contro popolazioni civili.

20) Che il “falco” Sharon sia stato eletto capo del governo israeliano è una provocazione, ed è la dimostrazione che gli israeliani non vogliono la pace.

21) Se gli israeliani hanno la coscienza a posto, perché non accettano la presenza di osservatori internazionali?


Le argomentazioni di Luciano Tas aiutano a smontare tanti miti antisionisti e antisemiti. Sono un’ottima base di partenza per affrontare un contraddittorio sulla questione mediorientale. Fatene buon uso.
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:15 pm

1) Quasi duemila anni fa esisteva uno Stato ebraico in Palestina, ma poi ci hanno vissuto gli arabi, cioè i palestinesi. Dopo tanto tempo non hanno acquisito il diritto alla loro patria?


Gli arabi non hanno abitato a lungo in modo stabile la Palestina.

Continuativamente, solo poco più di un secolo. Per quattro secoli, dal 1516 al 1918, la Palestina è stata una negletta provincia turca quasi disabitata, consegnata dall’incuria dei governi di Istanbul alla sabbia del deserto e alle paludi. La Palestina (meglio conosciuta in quei secoli come “provincia di Damasco” e comprendente l’attuale Israele, Cisgiordania, Giordania, Libano e parte della Siria) incomincia a essere “restaurata” solo a partire dalla seconda metà dell’800, quando i primi pionieri ebrei, giunti dall’Impero zarista, creano qualche occasione di lavoro, capace di attirare lavoratori di altre province turche, come la Siria, l’Iraq, l’attuale Giordania (creata artificialmente, a tavolino, solo nel 1921), lo stesso Egitto. Maggiori occasioni lavorative si sviluppano tra la prima e la seconda guerra mondiale, sia per l’occupazione britannica che per le fatiche dei contadini ebrei, con i loro aranceti e le terre acquistate a caro prezzo dagli sceicchi arabi e strappate alla sabbia, e al conseguente indotto. Che oggi i palestinesi, cioè i pronipoti dei tanti lavoratori arabi giunti in Palestina un secolo fa, esistano e abbiano acquisito una coscienza nazionale, prima del tutto inesistente, è vero.

Che abbiano diritto a un loro territorio e a un loro Stato autonomo oltre alla Giordania, dove più dei due terzi degli abitanti sono palestinesi, è ormai altrettanto accettato. Ma non è falsando la Storia che questi diritti diventano più sicuri.



Islam, palestinesi, ebraismo, ebrei, Israełe
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Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eliani.jpg



Solo una minimissima parte dei nazisti maomettani o mussulmani sono arabi (di etnia araba)
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Non sono di etnia araba anche se hanno acquisito la lingua araba attraverso il domino o degli arabi o di dinastie imperiali non arabe che però hanno adottato il credo maomettano e la sua lingua araba:
Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Sudan, Nigeria, Libano, Siria, ...
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:15 pm

2) Ma allora cos’è, di chi è la Palestina?

Come entità autonoma la Palestina (Peleshet) non è mai esistita, né sono mai esistite una lingua e una cultura palestinesi. I palestinesi, come i giordani, i siriani, i libanesi e gli iracheni (tutte entità nazionali inventate dopo la prima guerra mondiale, nel 1920) sono arabi, proprio come i giordani, i siriani e così via, e tali unicamente si considerano.

Per quasi 1900 anni l’area designata con il nome greco-romano di Palestina (per far dimenticare il nome stesso di Giudea) non è stata una nazione e non ha avuto frontiere, ma solo confini amministrativi. Gli Arabi conquistano la Palestina soltanto nel 637 e vi regnano fino al 750, per 113 anni in totale.

Poi vi si alternano Persiani, Turchi, Circassi, Bizantini, Curdi, e nel 1099 i Crociati cristiani, sconfitti nel 1187 da un condottiero curdo, il Saladino. Nel 1244 sono delle tribù alleate di Gengis Khan a occupare e a mettere a sacco la Palestina. Poco dopo arriveranno i Mongoli, cacciati nel 1516 dai Turchi che costituiranno l’Impero Ottomano, dalla Turchia ai paesi del Magreb, vale a dire lungo tutta la costa meridionale del Mediterraneo. I Turchi vi resteranno fino alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918. La decadenza e il degrado della Palestina la fa apparire una ” landa desertica e paludosa (..) quasi disabitata” agli occhi di Edmondo De Amicis nella seconda metà dell’8OO, mentre nel 1867 Mark Twain scriveva che la Palestina era

una silenziosa e funerea estensione, una desolazione (…) Non abbiamo mai visto un essere umano sulla strada (…). Perfino gli ulivi e i cactus, quegli amici sicuri di un terreno incolto, hanno per lo più abbandonato il paese (..). La Palestina siede su sacchi di cenere, desolata e brutta…

Gli unici insediamenti permanenti in Palestina – segnatamente a Gerusalemme e a Safed, sede ininterrotta quest’ultima di università religiose – sono stati quelli ebraici, a partire dalla fine del regno ebraico nel 70.



Islam, palestinesi, ebraismo, ebrei, Israełe
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:16 pm

3) Perché gli ebrei dopo la seconda guerra mondiale hanno scelto di andare proprio in Palestina, dove già c’erano gli arabi?

Non si può dire che abbiano scelto. Prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, il nazismo in Germania già perseguitava i suoi 500.000 cittadini ebrei. Le disperate richieste di quegli ebrei di essere accolti nei paesi democratici al fine di evitare quello che già si profilava chiaramente come il loro tragico destino, vennero respinte.
Nel luglio 1938 i rappresentanti di trentuno paesi democratici s’incontrarono a Evian, in Francia, per decidere la risposta da dare agli ebrei tedeschi. Ebbene, nel corso di quella Conferenza, la risposta fu che nessuno poteva e voleva farsi carico di tanti profughi. Dal canto suo la Gran Bretagna, potenza mandataria della Palestina, venendo meno al solenne impegno assunto verso gli ebrei nel 1917 di creare una National Home ebraica in Palestina, nel 1939 chiudeva la porta proprio agli ebrei con il suo Libro Bianco, nel vano tentativo d’ingraziarsi gli arabi. È stata questa doppia chiusura a condannare a morte prima gli ebrei tedeschi e poi, via via che la Germania nazista occupava l’Europa, gli ebrei austriaci, cechi, polacchi, francesi, russi, italiani, e così via. Il costo per gli ebrei d’Europa, che contavano allora una popolazione di dieci milioni, fu di sei milioni di assassinati, inclusi un milione e mezzo di bambini.
Appena finita la seconda guerra mondiale i 5/600.000 ebrei superstiti, in massima parte originari dell’Europa orientale, si trovarono senza più famiglia, senza amici, senza casa, senza poter rientrare nei loro paesi, dove l’antisemitismo divampava (in Polonia ci furono sanguinosi pogrom persino dopo la guerra, e nell’Unione Sovietica Stalin dava l’avvio a una feroce campagna antiebraica).

Tra il 1945 e il 1948 nessun paese occidentale, Gran Bretagna e Stati Uniti in testa, volle accogliere neanche uno di quel mezzo milione di ebrei displaced persons, come venivano definiti dalla burocrazia alleata. La Palestina, malgrado la Gran Bretagna e il suo Libro Bianco, sempre in vigore anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, non fu quindi una scelta, ma l’unica speranza, legata al sogno, all’utopia sionista, cioè quella del “ritorno” a una patria, all’antica patria, il sogno di Teodoro Herzl. Una patria antica/moderna dove da tempo si era già formata una infrastruttura ebraica.
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:17 pm

4) Gli arabi non hanno mai perseguitato gli ebrei. E perché poi gli arabi dovrebbero pagare per il fatto che gli ebrei sono stati sterminati dai nazisti?


Se il metro di misura dell’odio per gli ebrei è quello che nei secoli passati ha esercitato in Europa la Chiesa, con i suoi ghetti, i suoi roghi, i suoi pogrom, allora si può dire che gli arabi non hanno mai fatto nulla di simile, almeno nelle stesse dimensioni.

Nel passato la vita degli ebrei nei paesi islamici e negli stessi paesi arabi è stata nell’insieme sopportabile. Di serie B, ma sopportabile. Gli arabi hanno incominciato a sviluppare in Palestina un odio “politico” nei confronti degli ebrei pochi anni dopo l’inizio, nel 1920, del Mandato britannico. L’odio, sapientemente fomentato dai capi arabi, primo tra i quali il Gran Muftì di Gerusalemme (che durante la seconda guerra mondiale avrebbe raccolto volontari per formare una divisione SS araba andata poi a combattere a fianco dei tedeschi contro l’Unione Sovietica), doveva culminare, dopo molti altri gravi fatti di sangue antiebraici, nella strage perpetrata a Hebron nel 1928 contro l’inerme, antica comunità religiosa ebraica.

Dopo il rifiuto arabo di accettare nel novembre 1947 la spartizione della residua Palestina – esclusa cioè la parte maggioritaria della Palestina diventata Giordania – in due Stati, uno arabo e uno ebraico, e dopo la nascita dello Stato d’Israele, il 15 maggio 1948, i dirigenti dei paesi arabi – Siria, Iraq, Giordania, Libano, Egitto – mossero i loro eserciti contro il nuovo Stato ebraico. L’aggressione fallì un anno dopo, ma i paesi arabi non vollero mai trarre le conclusioni dal loro fallimento. Per questo non vollero mai assorbire i 4/500.000 profughi arabi loro fratelli, in gran parte fatti da loro stessi fuggire dalla Palestina, quella rimasta dopo l’escissione della Giordania, e in parte costretti ad andarsene, spinti dagli eventi bellici. Preferirono tenerli confinati in campi, dove la loro sopravvivenza era assi-curata dagli aiuti delle Nazioni Unite e tenendoli per due generazioni nell’ingrato ruolo di arma politica contro Israele.

Nessun paese arabo, con la parziale eccezione del Regno giordano, volle accogliere e integrare i profughi palestinesi e qualche volta li espulse, come fece il Kuwait, appena liberato nel 1991 dall’occupazione irachena, una occupazione per la quale i lavoratori palestinesi in Kuwait avevano prematuramente e inopportunamente festeggiato. Nello stesso 1948 i paesi arabi avevano espulso o costretto a partire mezzo milione di ebrei, che trovarono pronto rifugio in Israele. Questi profughi dai paesi arabi misero a dura prova la capacità organizzativa ed economica dello Stato ebraico, ma alla fine la loro integrazione finì per essere compiuta.


Correggo in parte e completo quanto già scritto da Tas

Sterminio delle tribù ebree alla Mecca e a Medina da parte di Maometto
https://www.islamicamentando.org/cosa-s ... -di-medina

https://www.islamicamentando.org/linvas ... nu-qaynuqa
https://www.islamicamentando.org/linvas ... u-an-nadir
https://www.islamicamentando.org/linvas ... nu-qurayza



La fine degli ebrei di Medina
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico

http://www.progettodreyfus.com/la-fine- ... -di-medina

La tribù dei Banu Qurayza giunge nella parte settentrionale dell’arabia nel corso delle guerre romano-giudaiche del I e II secolo. Formata da ebrei che, in patria, esercitavano diversi mestieri, riesce subito a raggiungere una buona posizione sociale rispetto alle tribù arabe della zona. I Banu Qurayza introducono infatti l’agricoltura nella zona e mettono a frutto anche le loro capacità commerciali. L’oasi di Yathrib, soprattutto grazie a loro, diventa un importante snodo agricolo e commerciale. Tracciare con precisione la loro storia nel corso dei secoli che vanno dal II al V necessiterebbe diversi volumi ma, visto che l’intento di questo breve articolo è mostrare le fasi dell’incontro-scontro con Maometto e i suoi seguaci, qui è sufficiente specificare che avevano sempre commerciato, stretto alleanze e, ovviamente, combattuto con le altre tribù. Sembra però che con l’arrivo di due tribù yemenite, i Banu Aws e i Banu Khazraj, gli ebrei Qurayza perdano la loro posizione di indipendenza e diventino, de facto, una tribù cliente degli Aws. Sostengono infatti questi ultimi nella continua lotta per il primato instaurata con i Khazraj, iniziata probabilmente nell’ultimo quarto del VI secolo e protrattasi nel VII. È proprio questo stato di guerra perenne che porta le due tribù a richiedere l’intervento, in veste di arbitro, di un signore della guerra arabo, ossia Maometto. In cambio, offrono accoglienza nella città a lui e a tutto il suo clan, che a La Mecca inizia ad avere sempre più oppositori.

Maometto lascia La Mecca arriva a Yathrib, la città-oasi più importante in cui si affrontano Aws e Khazraj. Il suo spostamento da La Mecca a Yathrib, che rinominerà Medina, è conosciuto come Hegira. Qui Maometto si mette all’opera per adempiere al compito assegnatogli e stila la Costituzione di Medina. Si tratta del documento con cui Maometto regola i rapporti fra le tribù presenti in città, comprese quelle formate da ebrei (Banu Nadir, Banu Qaynuqa e, per l’appunto, Banu Qurayza), e da cristiani. In realtà, molti storici mettono in dubbio la veridicità della Costituzione di Medina, di cui non è giunto ai giorni nostri nessun originale e che si pensa possa essere un lavoro più tardo, utilizzato ritagliando varie fonti, scritto appositamente per giustificare il comportamento di Maometto.

Ad ogni modo nel 624, mentre Maometto è intento a sconfiggere i Meccani nella battaglia di Badr, le tensioni fra ebrei e musulmani crescono. L’episodio che fa precipitare la situazione, riportato dalle fonti arabe, riguarda una donna musulmana e un orafo dei Qaynuqa. Non si sa per quale motivo, forse per puro caso, l’orafo calpesta il vestito della donna e questa, camminando, rimane nuda. Il marito di lei interviene e taglia la gola all’ebreo. Gli altri Qaynuqa, perlopiù residenti in due cittadelle fortificate nella parte sud-occidentale di Medina, corrono in soccorso del loro correligionario e uccidono il musulmano. Questo viene considerata una rottura della costituzione di Medina e la giustificazione dell’aggressione maomettana alla tribù.

In realtà, pochi storici occidentali reputano plausibile questo episodio e sottolineano le altre motivazioni dell’attacco. In primo luogo pongono l’accento sul fatto che Maometto, sconfitti i Meccani, è in una posizione di forza ottimale per eliminare gli ebrei, che non accettano di sottostare al suo governo. Seguono poi le considerazioni di tipo economico, sostenute in particolare dal Prof. Fred McGraw Donner (Università di Chicago): i mercanti ebrei sono rivali di quelli musulmani ed è immaginabile che questi ultimi chiedano di continuo a Maometto di risolvere il problema in modo definitivo.

Quale che sia la motivazione sottostante, Maometto fa radunare i Qaynuqa nella piazza del mercato:
Ebrei, non fate che Allah porti su di voi la vendetta che ha già portato sui Quraysh. Accettate l’Islam, perché sapete che sono il profeta mandato da Allah. Lo troverete nelle vostre scritture e nel patto che Allah ha fatto con voi.

Muhammad , pensi che siamo uguali alle tue genti? […] Dio ci è testimone, se ci combatti, vedrai che siamo veri uomini!

Gli Ebrei non hanno alcuna intenzione di convertirsi, quindi Maometto assedia le loro fortezze per 14 giorni, facendoli capitolare e costringendoli all’esilio. Le altre due tribù ebree, Nadir e Qurayza, non intervengono. Maometto però ha in serbo qualcosa anche per loro.

Il capo dei Nadir, il poeta Ka’b ibn al-Ashraf, viene accusato da Maometto in persona di aver composto dei versi di dileggio nei confronti delle donne musulmane. Le fonti storiche islamiche precisano anche che è l’intervento dell’Arcangelo Gabriele, che comunica a Maometto l’esistenza di un complotto contro di lui, a convincere il condottiero arabo ad agire. Al-Bukhari, nell’hadith 4:52:270, riporta le parole di Maometto:

Chi vuole uccidere Ka’b bin Al-Ashraf, che ha danneggiato Allah e il suo Profeta?

Muhammad ibn Maslamah e altri dei primi convertiti all’islam si offrono volontari. Chiedono al capo ebreo di accompagnarli a fare due passi e lo pugnalano. Da quel giorno, si racconta che nessun ebreo si sente più al sicuro a Medina.

Anche qui è importante sottolineare che, nel marzo 625, Maometto è sconfitto dai meccani a Uhud, e ha bisogno di rinsaldare la sua fama di condottiero invincibile al più presto. I Nadir sono un bersaglio eccellente, e Maometto ordina loro di lasciare Medina. I Nadir rifiutano, sperando anche nell’aiuto dei Qurayza che però non si materializza. A quel punto, Maometto assedia anche le cittadelle Nadir, che alla fine sono costretti alla resa. L’unica condizione che riescono a strappare a Maometto prima del loro esilio è quella di poter portare con loro tutti i beni mobili, ad eccezione delle armi. I Nadir caricano tutto su 600 cammelli, che passano attraverso Medina destando grande impressione, diretti all’Oasi di Khaybar. Due anni dopo,i soldati musulmani li raggiungeranno anche lì, massacrando gli uomini e riducendo in schiavitù le donne.

Con la divisione delle terre e degli edifici dei Nadir, Maometto raggiunge la posizione di indipendenza economica a lungo cercata. Dal sud, arrivano altri musulmani per occupare i luoghi strappati agli ebrei.

A Medina, gli unici ebrei rimasti sono i Qurayza. Maometto, chiamato come semplice arbitro di una faida decennale, si è impadronito della città e ha intenzione di eliminare l’ultimo ostacolo alla creazione della vera umma. L’anno è il 627, e le forze Meccane, unite a quelle di alcune tribù Beduine, attaccano Medina. In The Jews in the Arab Lands, Norman Stillman (University of Oklahoma) scrive che i Qurayza contribuiscono alle fortificazioni e forniscono armi ai soldati di Maometto, poi si rinchiudono nelle loro fortezze.

Anche quando un emissario dei Meccani, il capo degli ebrei Nadir in esilio, arriva per chiedere il supporto dei Qurayza, questi rimangono sulla loro posizione di sostanziale neutralità, anche perché non si fidano dei Meccani. Quello che noi conosciamo come “parlè”, ossia l’incontro per discutere tregue, alleanze e condizioni di resa, è già stato utilizzato anche da Maometto quando ha tentato di corrompere i beduini Ghatafan e Fazara per portarli dalla sua parte. Egli però non accetta questo incontro e, dopo aver vinto la famosa Battaglia del Fossato, il primo giorno dopo la partenza dei Meccani attacca i Qurayza. Questi resistono 25 giorni e, quando capitolano, sono convinti di poter ottenere le stesse condizioni dei Nadir. Purtroppo però Maometto vuole fare di loro un esempio. Lo storico islamico dell’VIII secolo Ibn Ishaq racconta che, dopo aver fatto scavare delle fosse nella piazza del mercato, Maometto li fa portare lì a piccoli gruppi. I soldati di Maometto ne decapitano fra 600 e 900, tutti ragazzi e uomini, mentre le donne e i bambini sono ridotti in schiavitù.

Come parte del bottino, Maometto sceglie una ragazza ebrea, Rayhana, il cui marito è stato appena decapitato e gettato in un fosso. Rayhana diventa poi sua moglie, una delle tredici attribuite a Maometto.

Dopo il 627 Medina, resa fertile e ricca dagli ebrei fuggiti nel corso delle guerre giudaico romane, diventa una proprietà privata di Maometto. Tutte e tre le maggiori tribù di Ebrei sono state eliminate, e rimangono solo alcune famiglie che, però, non rappresentano un pericolo per il primo condottiero musulmano.






Cronologia delle principali persecuzioni subite dagli ebrei nei paesi arabi
https://ideadiversa.blogspot.it/2011/04 ... li_20.html

700 - intere comunità ebraiche vengono massacrate dal re Idris I del Marocco.
1004 - Il Cairo: gli ebrei sono costretti a portare legato al collo un piccolo vitello di legno e in seguito palle di legno del peso di tre chili.
1033 - Fez, Marocco: proclamata la caccia all'ebreo. 6000 ebrei massacrati.
1147-1212 - persecuzioni e massacri in tutto il nord Africa.
1293 - Egitto e Siria: distruzione delle sinagoghe.
1400 - Pogrom in Marocco in seguito al quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti.
1428 - vengono creati i ghetti (mellaha) in Marocco.
1535 - Gli ebrei della Tunisia vengono espulsi o massacrati.
1650 - Anche in Tunisia vengono creati i ghetti, qui si chiamano hara (in arabo significa “merda”)
1785 - massacri di ebrei in Libia.
1790-92 - distruzione delle comunità ebraiche in Marocco.
1805-15-30 - Sterminio degli ebrei di Algeri.
1864-1880 - continui pogrom a Marrakesh
1869 - massacri di ebrei a Tunisi.
1897 - massacri di ebrei a Mostganem, Algeria.
1912 - pogrom a Fez.
1941 - in concomitanza con la festa di Shavuot pogrom a Bagdad. E poi pogrom a Tripoli, ad Aleppo, ad Aden, al Cairo, ad Alessandria, a Damasco ecc. ecc.



Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:17 pm

5) A proposito del 29 novembre 1947, quando le Nazioni Unite assegnarono una parte della Palestina agli arabi e un’altra agli ebrei. Quella ebraica non fu forse sottratta agli arabi?

Quando l’ONU votò quella Risoluzione, da parte ebraica ci fu un’esplosione di entusiasmo, sia fra gli ebrei di Palestina che quelli della Diaspora. Uno Stato ebraico rappresentava per i primi la salvezza, per i secondi l’assicurazione sulla vita, un polo di riferimento, una garanzia.

E si trattava di meno di un decimo della Palestina originale, di meno di un centesimo del mondo arabo. Lo stesso mondo arabo respinse invece con furore la spartizione di un lembo di Palestina, che sottraeva alla loro influenza un pur minuscolo, insignificante e poverissimo spazio. L’assegnazione agli ebrei di quel minuscolo spazio fu considerata dagli arabi una profonda ferita, un’offesa inaccettabile. Per questo i paesi arabi vicini – Libano, Siria, Iraq, Giordania, Egitto – con l’appoggio finanziario e militare di tutti gli altri più lontani, non vollero rispettare la Risoluzione dell’ONU e aggredirono lo Stato d’Israele, prima ancora che la mezzanotte del 14 maggio ne segnasse la nascita.




Israele è stato comprato, non rubato

di Daniel Pipes
25 giugno 2011

Pezzo in lingua originale inglese: Not Stealing Palestine but Purchasing Israel

http://it.danielpipes.org/9941/palestin ... acquistato

"I sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi". È questo il mantra che l'Autorità palestinese e Hamas insegnano ai loro bambini e diffondono nei media. Quest'asserzione riveste un'enorme importanza, come spiega Palestinian Media Watch: "Presentare la creazione dello Stato [israeliano] come un atto di ladrocinio e la sua esistenza come un'ingiustizia storica funge da base per il non-riconoscimento da parte dell'Ap del diritto d'Israele ad esistere". L'accusa di furto mina altresì la posizione dello Stato ebraico a livello internazionale.

Ma quest'accusa è fondata?

No, non lo è. Paradossalmente, la costruzione di Israele è l'esempio della più tranquilla ondata di immigrazione e della più pacifica creazione dello Stato della storia. Per comprenderne il motivo, occorre vedere il sionismo nel suo contesto. In poche parole, la conquista è la norma storica. Ovunque, il potere è stabilito con l'invasione e quasi tutti gli Stati sono stati fondati a spese di un altro. Nessuno comanda a tempo indeterminato, le radici di tutti riconducono altrove.

Le tribù germaniche, le orde dell'Asia Centrale, gli zar russi e i conquistadores spagnoli e portoghesi hanno ridisegnato le carte geografiche. I greci moderni hanno un debole collegamento con i greci dell'antichità. Chi può contare il numero di volte in cui il Belgio è stato invaso? Gli Stati Uniti sono nati sconfiggendo i Nativi americani. I re hanno razziato l'Africa, gli Ariani hanno invaso l'India. In Giappone, coloro che parlavano Yamato hanno eliminato tutti i piccoli gruppi come gli Ainu.

Il Medio Oriente, grazie alla sua centralità e alla geografia, ha subito un eccessivo numero d'invasioni, tra cui quella greca, romana, araba, dei Crociati, selgiuchide, timuride, mongola e degli europei moderni. In seno alla regione, le lotte dinastiche hanno costretto lo stesso territorio a essere conquistato e riconquistato, come nel caso dell'Egitto, ad esempio.

Gerusalemme ha conosciuto numerose guerre: nel 70 d.C., l'imperatore Tito celebrò la sua vittoria sugli ebrei con la costruzione di un arco di trionfo sul quale sono rappresentati dei soldati romani che trasportano una menorah sottratta dal Monte del Tempio.
La terra su cui ora sorge Israele non ha fatto eccezione. In Jerusalem Besieged: From Ancient Canaan to Modern Israel, Eric H. Cline scrive così di Gerusalemme: "Nessun'altra città è stata più ferocemente contesa nel corso della sua storia". E avvalora quest'affermazione contando "almeno 118 differenti conflitti per e dentro Gerusalemme negli ultimi quattro millenni". Cline calcola che Gerusalemme è stata completamente distrutta almeno due volte, 23 volte assediata, 44 conquistata e 52 attaccata. L'Ap fantastica che i palestinesi di oggi discendono da un'antica tribù cananea, i Gebusiti; però, di fatto, sono nella stragrande maggioranza una progenie di invasori e di immigrati in cerca di opportunità economiche.

Ma in questo quadro di conquiste incessanti, di violenze e di sconfitte, gli sforzi sionisti di stabilire una presenza in Terra Santa fino al 1948 appaiono come sorprendentemente miti, essendo stati i sionisti più mercanti che militari. Due grandi imperi, quello ottomano e britannico, hanno governato Eretz Israel. Al contrario, i sionisti non avevano una forza militare. Non è stato loro possibile diventare uno stato a tutti gli effetti attraverso la conquista.

Piuttosto, hanno acquistato i terreni. L'obiettivo dell'impresa sionista fino al 1948 era di acquisire proprietà dunam dopo dunam, e così per le aziende agricole e le case. Il Fondo nazionale ebraico, istituito nel 1901 per acquistare terreni in Palestina onde "contribuire alla creazione di una nuova comunità di ebrei liberi impegnati in un progetto attivo e tranquillo" era l'istituzione chiave – e non l'Haganà, l'organizzazione clandestina di difesa ebraica fondata nel 1920.

I sionisti hanno focalizzato altresì l'attenzione sul risanamento di ciò che era arido e considerato inutilizzabile. Non solo hanno fatto fiorire il deserto, ma hanno bonificato le paludi e le terre incolte, depurato i canali d'acqua, imboschito le colline spoglie, rimosso le rocce e il sale dal suolo. La bonifica ebraica e le misure igieniche hanno all'improvviso ridotto il numero di decessi per malattie.

Fu solo quando la potenza mandataria britannica rinunciò alla Palestina nel 1948, cui fece subito seguito un ostinato tentativo da parte dei Paesi arabi di annientare ed espellere i sionisti, che questi ultimi impugnarono le armi per difendersi e andarono a procurarsi la terra con la conquista militare. E anche allora, come dimostra lo storico Efraim Karsh in Palestine Betrayed, la maggior parte degli arabi abbandonò le loro terre e solo pochissimi furono costretti ad andarsene.

Questa storia contraddice il racconto palestinese che "le bande sioniste rubarono la Palestina ed espulsero il suo popolo" che ha portato a una catastrofe "senza precedenti nella storia" (secondo un libro di testo dell'Ap per gli alunni di 17-18 anni) o che i sionisti "depredarono la terra palestinese e gli interessi nazionali, fondando il loro stato sulle rovine del popolo arabo palestinese" (scrive un editorialista nel foglio dell'Ap).
Le organizzazioni internazionali, gli editoriali dei quotidiani e le petizioni che circolano negli atenei reiterano questa menzogna in tutto il mondo.

Gli israeliani dovrebbero tenere la testa alta e far rilevare che la costruzione del loro Paese fu basata sul movimento più civilizzato e meno violento che abbia mai avuto qualunque popolo nella storia. Le bande non hanno rubato la Palestina: i mercanti hanno acquistato Israele.

Aggiornamento del 21 giugno 2011: Per altri punti non trattati in questo articolo, si veda il pezzo del mio blog, "Supplemento d'informazione riguardo alla questione che i sionisti hanno acquistato Israele e non hanno rubato la Palestina".

Supplemento d'informazione riguardo alla questione che i sionisti hanno acquistato Israele e non hanno rubato la Palestina
di Daniel Pipes
21 giugno 2011

http://it.danielpipes.org/blog/2011/06/ ... to-israele

Ecco alcuni punti aggiuntivi che non ho trattato nel mio articolo "La Palestina non è stata rubata, ma Israele è stato acquistato":

La giustificazione della presenza ebraica è, naturalmente, l'antico legame e l'amore per Sion, e non i recenti acquisti di terre, anche se tali acquisizioni corroborano la legittimità della migrazione verso Israele.

Oggi la "Palestina" rappresenta il Paese scevro della presenza di Israele, ma nei decenni che hanno preceduto la creazione d'Israele avvenuta nel 1948, il termine rappresentava le aspirazioni sioniste.

L'argomentazione antisionista rileva che, all'epoca del ritiro britannico nel 1948, gli ebrei possedevano solo il 6-10 per cento della superficie del paese. È vero, ma se si tolgono le terre non-coltivate e quelle del demanio pubblico la percentuale diventa molto più alta.
Il governo degli Stati Uniti si è lanciato nella conquista del territorio contro gli Indiani [d'America], ma ha egualmente acquistato porzioni importanti del suo patrimonio, specie l'Acquisto della Louisiana nel 1803 e dell'Alaska nel 1867.

Wall Street Journal ha pubblicato ieri un articolo di Warren Kozak titolato "What If Jews Had Followed the Palestinian Path?" Questo pezzo fa una considerazione simile alla mia: "È poco probabile che ci sia mai stata, dopo la Seconda guerra mondiale, una mancanza di umanità più orribile di quella riservata agli ebrei sopravvissuti. (…) Eppure, in un lasso di tempo molto breve, questa calamità epica è scomparsa tant'è che oggi poche persone si ricordano di quel periodo. Com'è potuto accadere questo in un'epoca in cui i rifugiati palestinesi continuano a essere apolidi da generazioni?"
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:18 pm

6) Israele ha occupato militarmente la Palestina, cacciandone i palestinesi nel ’48, nel ’49 e nel ’67. E ora non vuole farli tornare sulla loro terra, né restituire i territori occupati nel 1967.


Non è vero che Israele abbia espulso tutti gli arabi durante e dopo le guerre del 1948, ’49 e ’67. Altrimenti non si saprebbe spiegare come mai nello Stato ebraico vivano oggi oltre un milione di arabi di nazionalità israeliana, e come mai ne vivano un milione e mezzo in Cisgiordania.

Secondo le stime dell’ONU, si può fissare in 4/500.000 gli arabi che lasciarono o furono cacciati dalla Palestina nel corso di quelle guerre. Una parte era fuggita dalla guerra, stimolata dagli appelli dei paesi arabi che si accingevano, secondo le loro intenzioni, a entrare in forza in Palestina e “buttare a mare gli ebrei”. In numerosi messaggi agli arabi di Palestina, diffusi dalle radio di Damasco e del Cairo, veniva assicurato che essi sarebbero ben resto ritornati alle loro case da vincitori, con tutto quello che questo significava: per il momento però la loro presenza avrebbe ostacolato le vittoriose operazioni di guerra.

Un’altra parte venne effettivamente cacciata dagli ebrei nel corso delle operazioni belliche. E’ curioso osservare che il numero di arabi che in un modo o nell’altro lasciarono la Palestina, è uguale a quello degli ebrei espulsi o costretti a fuggire dai paesi arabi nel 1948, subito dopo la nascita dello Stato d’Israele, e che Israele assorbì allora con immense difficoltà.

Dei territori occupati da Israele nel 1967, la Cisgiordania e la parte orientale di Gerusalemme facevano parte del Regno di Giordania, il Sinai dell’Egitto, e Gaza era occupata dall’Egitto ma non ne faceva parte, per cui agli abitanti venne sempre rifiutata la nazionalità egiziana. Si sa che il Sinai venne integralmente restituito all’Egitto quando nel settembre 1978 venne firmato a Camp David dal Premier israeliano Begin, dal Presidente egiziano Sadat, e con l’autorevole avallo del Presidente degli Stati Uniti Carter, il trattato di pace. Quanto alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, la Giordania non volle più trattare la loro restituzione, preferendo girare il problema alle nascenti organizzazioni palestinesi che mai, nei decenni precedenti, avevano rivendicato una sovranità su quei territori: i palestinesi della Cisgiordania erano semplicemente cittadini giordani, come lo sono tuttora i palestinesi di Giordania, vale a dire i due terzi degli abitanti il Regno hascemita.
Perché poi gli abitanti della Cisgiordania non abbiano mai rivendicato un loro Stato quando facevano parte della Giordania, e gli arabi di Gaza non abbiano fatto altrettanto durante l’occupazione egiziana, nessuno lo ha spiegato.




Come la propaganda palestinese deforma la verità e mina gli sforzi di pace
Le bugie di Saeb Erekat

26 novembre 2015
http://www.progettodreyfus.com/le-bugie-di-saeb-erekat

Se Saeb Erekat non esistesse bisognerebbe inventarlo. Quest'uomo, nel corso degli ultimi anni, è riuscito nell'eccezionale impresa di svolgere allo stesso tempo il ruolo di capo negoziatore per palestinesi nel processo di pace con Israele e quello di capo della propaganda anti-israeliana per Yasser Arafat e Mahmoud Abbas. Con il tempo le sue bugie sono diventate sempre più grandi e hanno contribuito in maniera determinante al fallimento di ogni iniziativa diplomatica dei palestinesi. A lui si deve la decisione dell'Autorità Nazionale Palestinese di abbandonare i negoziati per proseguire esclusivamente con mosse unilaterali nelle principali istituzioni internazionali.

Nel Marzo 2014 Erekat ha presentato un documento chiamato Study Number 15 ad Abbas che poi lo ha portato con sé alla Casa Bianca per l'incontro con Obama in cui sono definitivamente naufragati i tentativi di pacificazione con Israele. In questo testo, oltre a rifiutare qualsiasi mutuo riconoscimento con Israele e ogni possibile compromesso sulla sicurezza richiesto dallo Stato ebraico, venivano anticipate quelle che poi saranno le scelte intraprese da Abbas nei mesi seguenti come l'accesso a diverse organizzazioni internazionali e la formazione di un governo di unità nazionale con Hamas.

Ora Erekat è tornato a diffondere la sua propaganda: il suo dipartimento a Ramallah a inizio Novembre ha distribuito ai media un documento chiamato "Punti chiave da ricordare quando si scrive della Palestina occupata". E' utile smontare punto per punto questo testo per capire la mentalità di Erekat e svelare come la leadership palestinese sia ancora ben lontana dall'accettare le premesse necessarie alla pace. Senza contare poi come questo mostri una certa maniacale attenzione per la copertura mediatica. Per analizzare questo documento proponiamo la traduzione di un articolo, diffuso in diversi media israeliani, scritto da Eran Lerman, ex deputato per la politica estera e gli affari internazionali presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano.

1. "Israele occupa lo Stato di Palestina"

L'Autorità Nazionale Palestinese non è mai stata una nazione e non era sua la terra conquistata nel 1967. Per questo può diventare uno Stato solo attraverso un accordo negoziato. Ha ragione Erekat quando afferma che "non è un conflitto fra pari", se lo fosse stato dopo le ripetute aggressioni subite dal 1948 in poi oggi Israele non esisterebbe. Il fatto che Israele si trovi ora in West Bank potrà sembrargli spiacevole ma è una mera conseguenza della guerra difensiva del 1967. Un negoziato diventa quindi necessario ed il fatto che i palestinesi lo abbiano più volte rigettato rende falsa l'affermazione secondo cui "Israele nega sistematicamente l'inalienabile diritto all'indipendenza". Così come è falso dire che "Israele ha dislocato la popolazione palestinese per rimpiazzarla con coloni", lo testimonia l'ultima decisione della Corte Suprema israeliana che ha ordinato la demolizione di una Sinagoga costruita su terra considerata di proprietà palestinese. Inoltre se i palestinesi devono essere considerati come "indigeni" non è chiaro perché non debbano essere considerati tali anche gli ebrei: questo tentativo di dipingere il sionismo come un movimento colonialista, quando invece è un movimento nazionale legittimo, rende difficile qualsiasi compromesso per la pace.

2. "Il tema principale è l'occupazione israeliana"

Forse in questo modo Erekat cerca di sviare l'attenzione dal fatto che la mentalità dei palestinesi oggi è quella di mandare giovani adolescenti nelle strade con l'obiettivo di compiere attentati terroristici. Per Erekat "la colonizzazione e l'occupazione illegale sono la causa delle continue rivolte dei palestinesi che vivono da decenni sotto un regime di Apartheid". In questa frase ci sono ben 4 bugie:
- Gli ebrei si stanziano nella terra dei loro padri, il termine colonizzazione vorrebbe accostare Israele al colonialismo europeo che nulla aveva a che fare con terre già abitate dai loro antenati.
- Quella che Erekat chiama occupazione è una condizione che deriva puramente dalla sconfitta dei paesi Arabi che avevano aggredito Israele.
- Non si tratta di rivolte ma di campagne terroristiche mosse dai dirigenti di ANP come quella del 2000-2004, la Seconda Intifada. Lo stesso Abbas nel 2002 ha ammesso che la "militarizzazione delle rivolte" fu un grave errore.
- Si può definire Apartheid un regime in cui arabi musulmani ricoprono cariche importanti nella giustizia, nella diplomazia e nella politica? L'Apartheid, ovunque viene praticato, è destinato a sparire. Con questa menzogna si alimenta solo una falsa speranza nella popolazione palestinese cioè che Israele prima o poi sparirà.
E ancora: "Sebbene i portavoce israeliani abbiano dichiarato che il problema principale sono l'incitamento e le bugie su al-Aqsa, la cosa importante è che Israele continua a negare sistematicamente i diritti dei palestinesi". Sembra quasi un'ammissione che effettivamente l'incitamento alla violenza c'è ma in ogni caso Erekat cerca limpidamente di cambiare argomento. Per Erekat "i leader israeliani incitano alla violenza contro i palestinesi", qui la bugia è assurda vista la natura unilaterale degli atti violenti di questi giorni.

3. "Il riconoscimento di Israele da parte dei palestinesi è stato accolto con ulteriore colonizzazione"

Il compromesso con cui l'OLP ha riconosciuto Israele con i confini pre-'67 non può essere considerato un riconoscimento pieno. A questo non si è mai accompagnata una proposta che ponesse fine del tutto al conflitto e i palestinesi non hanno mai recesso dal "diritto al ritorno" che in pratica eliminerebbe Israele. Gli Accordi di Oslo chiariscono che i confini, la sovranità e gli insediamenti sono tutti argomenti che vanno risolti attraverso un negoziato sullo status definitivo. Lamentarsi e ripetere accuse contro Israele non cambia il fatto che i canali diplomatici lo Stato ebraico li ha sempre tenuti aperti. Lo testimoniano le tre offerte di pace israeliane che sono state rifiutate. Inoltre si cerca di gonfiare e confondere i numeri degli insediamenti nella West Bank inserendovi anche gli israeliani che vivono a Gerusalemme.

4. "Per Israele la politica ufficiale è la colonizzazione non la soluzione a due Stati"

Riportare citazioni di politici in campagna elettorale o opinioni personali di persone importanti non cambia il fatto che Israele si è impegnato con la comunità internazionale. Ciò che conta sono i discorsi di Netanyahu a Bar-Ilan, al Congresso degli Stati Uniti, all'incontro con la Mogherini dopo le elezioni e all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In tutte queste occasioni Israele si è impegnato nella soluzione a due Stati. Dire che "Israele respinge la soluzione a due Stati" è un'ingiuria. E' stato Abbas a dire no al piano Kerry e per come si sono evolute le cose in Giudea e Samaria un compromesso praticabile non è stato compromesso. Inoltre parlare di "pace e sicurezza per i palestinesi" è assurdo visto che sono gli israeliani ad essere colpiti su base giornaliera.

5. "Gerusalemme Est è parte integrante dello Stato occupato di Palestina"

Dato che lo Stato di Palestina è al momento più finzione che realtà l'intera frase non ha senso. Nessuno può contraddire la realtà di una Gerusalemme ormai unificata grazie all'atto emanato nel 1967 subito dopo la liberazione della città dal dominio della Giordania. Da quel momento Gerusalemme ha attirato sempre più palestinesi perché Israele l'ha gestita con successo. Chiedere di lacerare una città è una follia che danneggerebbe chiunque vi abita. "360 000 palestinesi vivono a Gerusalemme" e infatti sono una minoranza nella città così come lo sono stati per 150 anni, molto prima dell'avvento del sionismo. Sfacciatamente i palestinesi cercano di falsificare l'identità e la storia di Gerusalemme nonostante queste siano note a chiunque abbia letto una Bibbia. Si cerca così di obliterare l'indistruttibile legame fra Gerusalemme e gli ebrei che dura da più di duemila anni.

6. "Gli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est occupata sono illegali allo stesso modo di quelli nel resto dello Stato occupato di Palestina"

Non c'è bisogno di ripetere ciò che è stato affermato nel punto precedente. Va comunque ricordato che nel 1993 i palestinesi hanno accettato di riconoscere la natura unica di Gerusalemme e di trattare la questione separatamente. Inoltre Erekat elenca una serie di quartieri come Ramot e la Collina Francese definendoli insediamenti nonostante questi siano parte di Israele in qualsiasi configurazione possibile.

7. "Il compound di al-Aqsa è sotto occupazione israeliana come il resto di Gerusalemme Est"

Subdolamente Erekat ignora non solo che Israele rispetta lo status quo, come ha ribadito nonostante le provocazioni, denigra anche il ruolo costruttivo della Giordania nel mantenere l'ordine nel sito sacro. "Le interferenze con le istituzioni degli occupati da parte della potenza occupante sono severamente proibite dal diritto internazionale" rammenta Erekat. Questa invenzione è molto elegante: le autorità israeliane agiscono all'interno del diritto quando con molta cautela cercano di evitare che tali istituzioni siano usate per il terrorismo e la violenza! Se un predicatore pagato dall'ANP incita alla violenza contro gli ebrei in stile nazista nella moschea è compito del governo porre fine a questa violazione. Un'altra bugia sfacciata: "Israele ha effettivamente interferito con lo status quo e lo ha cambiato per i siti di preghiera cristiani e musulmani a Gerusalemme Est occupata". Esattamente al contrario Israele ha scrupolosamente rispettato le pratiche religiose esistenti a Gerusalemme. A meno che Erekat non si riferisca alle istituzioni politiche dell'OLP, chiuse per ovvie ragioni dopo l'ondata di violenze del 2001-2002 istigate da Arafat.

8. "Israele ha effettivamente cambiato lo status quo di al-Aqsa"

La vergognosa campagna di bugie di Erekat è apparentemente rivolta verso giornalisti che non si preoccupano di controllare ciò che gli viene propinato. Nessun rispetto viene dato al retaggio e al patrimonio ebraico del Monte del Tempio. Così come non viene dato al fatto che il Waqf ha deliberatamente distrutto le prove archeologiche delle antiche sinagoghe ebraiche. Le bugie si riferiscono ad alcuni atti che Israele avrebbe compito negli anni e che sono facilmente rintracciabili: "l'attacco terroristico del 1969" fu compiuto da un cristiano australiano; nel 2000 Sharon non "assalì la Spianata", fu semplicemente una visita; gli "scavi illegali" sono da attribuire esclusivamente al Waqf; le "tombe distrutte" furono rimosse perché posizionate illegalmente come provocazione, non avevano niente a che fare con il Monte del Tempio. Per quanto riguarda le occasionali limitazioni all'ingresso imposte da Israele sono strettamente temporanee e designate per prevenire le violenze in base alle informazioni ben dimostrate dalle intenzioni dei giovani provocatori. A meno che Erekat non voglia considerare anche gli attacchi contro i turisti o i lanci di pietre verso chi prega al Muro del Pianto come legittime pratiche della tradizione islamica. Infine "il piazzamento di telecamere è un'ulteriore violazione dello status quo". Qui si cerca di delegittimare e distruggere lo sforzo comune di Israele, Giordania e Stati Uniti per istituire la trasparenza riguardo alle attività sul Monte del Tempio. Chiaramente l'ANP ha qualcosa da nascondere, perché altrimenti opporsi alle telecamere? Cosa hanno da temere se le loro intenzioni sono sincere?

9. "Il popolo palestinese ha diritto alla protezione internazionale"

Nel chiedere protezione Erekat omette l'origine degli ultimi tre round di violenze generati da Hamas a Gaza. C'è da chiedersi cosa ne pensano i popoli indifesi di Siria, Iraq, Libia, Yemen e Congo rispetto alla necessità di protezione internazionale e di come possa essere considerata così relativa. Il problema non è che qualche male informato reporter occidentale possa essere portato a pensare che sia giusto avanzare una richiesta del genere in nome dello sfortunato e innocente popolo palestinese, persone che apparentemente non avrebbero mai fatto del male nemmeno a una mosca. Il problema è che a Ramallah sono convinti veramente che il mondo gli debba un intervento! Finché persistono tali illusioni le speranze di un compromesso pratico che porterebbe alla pace con Israele saranno sempre scarse.

10. "Il diritto internazionale, le risoluzioni ONU e gli accordi sono fatti per essere implementati non negoziati"

Qui la non comprensione dei testi base, mischiata con l'avversione per il compromesso negoziato, è addirittura arrogante. Si tratta di una sfida verso la comunità internazionale, verso tutti quelli, dal Segretario Generale ONU Ban Ki Moon in giù, che hanno chiesto ad Abbas di tornare al tavolo dei negoziati. Per avere un negoziato significativo la parte palestinese deve affrontare la realtà: la necessità di un compromesso ragionevole, l'arrangiamento di un robusto sistema di sicurezza ed il mutuo riconoscimento dei due movimenti nazionali. Nessuno di questi temi è stato chiesto come precondizione da Israele, al contrario sono soggetti al negoziato. Dall'altra parte Erekat compila una lista di precondizioni mascherate da "obblighi" come la cessazione degli insediamenti. Da quando è diventato un obbligo? L'ultima volta che sono stati fermati per dieci mesi Abbas rifiutò di trattare. Un'altra precondizione, il rilascio dei prigionieri (palestinesi condannati per omicidio) fa parte di un accordo che i palestinesi hanno rotto prendendo decisioni unilaterali. Lo stesso vale per la richiesta di riaprire le istituzioni politiche a Gerusalemme Est. Anche la famosa risoluzione ONU numero 242 del 1967 viene distorta. Le parole "territori" e non "I TERRITORI", così come "confini sicuri e riconosciuti", suggeriscono chiaramente il bisogno di negoziare i nuovi confini. Gli stessi Accordi di Oslo firmati dall'OLP dicono che qualsiasi processo politico dovrebbe portare a un ragionevole accordo fra Israele e i palestinesi, non quindi a una soluzione imposta che accolga ogni richiesta palestinese. Erekat conclude condannando la "cultura dell'impunità israeliana". Come ha recentemente fatto notare il senatore statunitense Charles Schumer il mondo oggi sarebbe molto diverso se i palestinesi, che ci hanno donato la pratica dei dirottamenti aerei negli anni '60 e '70 e che hanno profanato le olimpiadi di Monaco nel 1972 con un massacro, non fossero stati perdonati e loro crimini dimenticati. Sarebbe quantomeno doveroso che i propagandisti come Saeb Erekat non insistessero troppo con la falsa accusa di impunità verso Israele.


Quando gli arabi scelsero di diventare profughi
30 maggio 2018
Questi fatti possono essere nascosti e negati con le fake news, ma sono la pura verità
Dan Margalit
(Da: Ha’aretz, 24.5.18)

https://www.israele.net/quando-gli-arab ... e-profughi

Le migliaia di palestinesi che hanno tentato di violare la recinzione di confine fra Gaza e Israele sono i nipoti e pronipoti della generazione che visse la guerra in cui si generò il problema dei profughi, la generazione che ha inventato e tramandato l’impertinente rivendicazione del “diritto al ritorno”. Se gli arabi avessero accettato il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 (l’ultima di una serie di decisioni internazionali risalenti alla Conferenza di Sanremo del 1920) che prevedeva di suddividere la terra tra i suoi due popoli, arabo ed ebraico, un piano che riconosceva anche i diritti degli ebrei in Palestina, da allora ad oggi avrebbero potuto continuare a vivere pacificamente sulla loro terra. Ma il giorno dopo l’approvazione di quella risoluzione, gli arabi lanciarono una guerra proclamando che avrebbero gettato gli ebrei in mare, e oggi portano la responsabilità delle conseguenze.

Un mese dopo l’inizio delle sparatorie dalla Giaffa araba verso Tel Aviv, i capiarabi locali accettarono un cessate il fuoco. I leader palestinesi e l’organizzazione paramilitare Najda chiesero il consenso del Supremo Comitato Arabo, ma se lo videro rifiutare (si veda Palestinians in Jerusalem and Jaffa, 1948: A Tale of Two Cities, di Itamar Radai). Solo dopo altri cinque mesi di fuoco di cecchini su Tel Aviv, Menachem Begin permise ai combattenti dell’Irgun di attaccare Giaffa.

Titoli dell’Unità, maggio 1948 (clicca per ingrandire)

Questo accadeva nell’aprile 1948, un mese prima della dichiarazione d’indipendenza di Israele. Con quelle decisioni gli arabi scelsero di diventare profughi. Una situazione analoga si verificò nello stesso periodo a Haifa. Gli ebrei esortarono gli arabi a rimanere, ma quelli abbandonarono la città dopo che i loro dirigenti avevano garantito che sarebbero tornati entro dieci giorni e che avrebbero potuto saccheggiare le case degli ebrei. Questi fatti possono essere nascosti e negati con le fake news, ma sono la pura verità. I due maggiori abbandoni avvennero su iniziativa degli arabi.

Negli ultimi anni, ogni volta che Benjamin Netanyahu ha sostenuto di volere ancora i negoziati, ha chiesto ai palestinesi di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Forse sarebbe stato più appropriato condizionare i negoziati al riconoscimento esplicito da parte degli arabi che essi, più di chiunque altro, hanno causato il verificarsi del problema dei profughi. Contrariamente a quanto affermano alcuni, quando nel 1956 Moshe Dayan, nel suo elogio funebre per Ro’i Rothberg, il membro del kibbutz Nahal Oz assassinato da palestinesi di Gaza, disse che i profughi ci guardavano da Gaza arrabbiati e feriti, questo non significava affatto che gli ebrei si assumessero alcuna responsabilità per la situazione dei profughi, ma solo che esprimevano compassione. Da qui, anche, la conclusione di Dayan, che disse: “Questa è la sorte della nostra generazione: essere pronti e armati, forti e inflessibili, affinché la spada non cada dalla nostra mano e le nostre vite non vengano recise”.

New York Times, 16 maggio 1948: “Eserciti arabi invadono la Palestina, raggiungono Gaza, bombardano di nuovo Tel Aviv” (clicca per ingrandire)

Nessuno avrebbe potuto prevedere che nel 2018 il “diritto al ritorno” dei profughi a Giaffa e Haifa sarebbe stato ancora al centro degli eventi, e proprio nei campi presso cui Rothberg venne assassinato. Se la situazione è questa, è perché i paesi arabi non hanno permesso che la questione svanisse. Un nuovo libro illuminante pubblicato in ebraico da Einat Wilf e Adi Schwartz (La guerra per il diritto al ritorno), uscito proprio mentre i palestinesi di Gaza rilanciavano scontri violenti all’insegna della “grande marcia del ritorno”, critica non solo il mondo arabo, ma anche l’Occidente e Israele. Il principale cattivo, qui, secondo gli autori, è l’Unrwa, che ha iniziato le sue attività con buone intenzioni, ma poi ha incanalato miliardi di dollari nel perpetuare il problema dei profughi per 70 anni e nell’impedirgli di attenuarsi. L’Unrwa è diventata la cassaforte per una terza e quarta generazione di palestinesi sradicati, gente che da Haifa si è spostata a Nablus (70 km a sud-est, entro i confini della Palestina) dove si è costruita una solida vita pur continuando a percepire l’indennità da “profugo” (loro, i loro figli, i loro nipoti e pronipoti). L’Unrwa ha mantenuto i profughi nei campi di Gaza praticamente imprigionati. Israele ha lasciato fare l’Unrwa perché gli dava momentaneo respiro, e il governo israeliano voleva solo una pausa. Un po’ di tranquillità qui e ora era sufficiente, e al diavolo il domani. Yigal Allon fu il solo, vox clamantis in deserto, a dire che Israele doveva affrontare il problema e che non poteva permettersi di chiudere un occhio, ma i suoi appelli restarono ignorati.

Ora si dice che gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero cessare di finanziare l’Unrwa. Cosa che andrebbe nella giusta direzione, in linea generale, ma è necessario esercitare attenzione ed equilibrio. Wilf e Schwartz suggeriscono che i finanziamenti rimangano gli stessi, ma che l’Unrwa venga smantellata e il denaro trasferito all’Autorità Palestinese: ai profughi verrebbe finalmente dato, non un pesce, ma la canna per pescare. Ecco un’idea che meriterebbe di essere avviata, anche se Gerusalemme potrebbe non gradire un passo così drammatico.
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:18 pm

7) Ma Israele non ha voluto accogliere i profughi palestinesi.

In seguito agli accordi di Oslo del 1993, il negoziato di pace tra Israele e Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat, sembrava giunto a conclusione a metà del 2000: Israele aveva offerto ai palestinesi il 98% della Cisgiordania e naturalmente Gaza, con la possibilità di una strada extraterritoriale che unisse la prima alla seconda, e un settore orientale di Gerusalemme.

L’offerta, avallata negli Stati Uniti dal Presidente Clinton, venne però respinta da Arafat, il quale volle aggiungere alle clausole di pace anche l’impegno d’Israele di prendersi – nel territorio d’Israele – quattro milioni, quattro milioni e mezzo di “profughi” palestinesi, quanti cioè sembravano essere diventati secondo i calcoli dell’OLP, i discendenti di quei 415.000 del 1948.

Con una popolazione ebraica di cinque milioni, la pretesa diventava palesemente provocatoria, come ebbe a dichiarare senza mezzi termini lo stesso Presidente degli Stati Uniti ad Arafat. Facendo le debite proporzioni, come farebbe l’Italia, con tutta la buona volontà, ad assorbire 40, 45 milioni di immigrati nel suo territorio?



“Non intendo annettere due milioni di palestinesi ”
La posizione di Netanyahu
17 febbraio 2017

http://www.italiaisraeletoday.it/non-in ... -posizione

“L’ho detto in precedenza e lo ripeto di nuovo qui: non intendo annettere 2,5 milioni di palestinesi in Israele. Non voglio che siano nostri cittadini”.

Lo ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu parlando ai giornalisti israeliani e stranieri poco dopo l’incontro alla Casa Bianca con il presidente Usa Donald Trump. Ribadendo le dichiarazioni fatte nella conferenza stampa congiunta con Trump, Netanyahu ha detto che le sue posizioni circa uno stato palestinese non sono cambiate dal suo discorso del 2009 all’Università Bar-Ilan in cui accettava in linea di principio la creazione di uno stato palestinese che fosse smilitarizzato e riconoscesse Israele come stato nazionale del popolo ebraico.


Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
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Re: Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte

Messaggioda Berto » mer apr 25, 2018 8:20 pm

8 ) È stato Israele, e non i paesi arabi, ad avere incominciato la guerra del 1967, allo scopo di espandere il suo territorio.

È falso. E bisogna fare un passo indietro. Nel 1955 l’Unione Sovietica decise di “cambiare cavallo”: dall’appoggio politico dato a Israele nel 1948, passò ad appoggiare, politicamente e militarmente, l’Egitto, fino a rompere pretestuosamente le relazioni diplomatiche con Israele.

L’Egitto di Nasser voleva prendersi la rivincita della sconfitta subita nel 1948 e 1949, e incominciò ad ammassare nel Sinai truppe e mezzi corazzati forniti dall’URSS. Nel 1956 Israele prevenne l’attacco egiziano e travolgendo i mediocri mezzi motorizzati forniti dall’URSS, occupò tutto il Sinai, giungendo fino al Canale di Suez. Le pressioni e le garanzie americane persuasero pochi mesi dopo Israele a ritirarsi da tutti i territori egiziani occupati.

A partire dai primi anni Sessanta l’Egitto ricominciò a preparare una seconda rivincita, con l’aiuto ormai tanto scoperto quanto massiccio, dell’Unione Sovietica, che mirava a sostituire l’influenza americana nella regione con ogni mezzo. I raid di terroristi palestinesi e di commando egiziani contro kibbutz israeliani si moltiplicavano, partendo dalle basi di Gaza. In perfetta sintonia si muovevano dal fronte opposto i siriani, i quali dalle alture del Golan sparavano con le loro artiglierie sui sottostanti insediamenti e kibbutz ebraici di Galilea. Dopo alcuni mesi di tensione, il 7 aprile 1967 artiglierie e carri armati siriani attaccano pesantemente villaggi ebraici di frontiera. Damasco fa alzare in volo i suoi caccia, ma quelli israeliani ne abbattono sei. L’umiliazione di Damasco è cocente. L’URSS riprende massicciamente i suoi rifornimenti di armi alla Siria e all’Egitto. Poi a maggio i suoi servizi segreti forniscono a siriani ed egiziani un’informazione falsa. Dicono cioè che Israele ha ammassato truppe e mezzi corazzati ai confini con la Siria. Il Segretario Generale dell’ONU, Sithu U Thant, smentisce: “I rapporti degli osservatori delle Nazioni Unite hanno confermato l’assenza di concentramenti di truppe o movimenti di truppe di qualche rilievo su ambo i lati della linea armistiziale “.

Il 14 maggio è l’Egitto che fa sbarcare numerose unità oltre il Canale per rinforzare il suo già massiccio schieramento nel Sinai. 1116 maggio il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser intima al comandante delle forze dell’ONU nel Sinai e a Gaza, generale Rikhye, di sgombrare le truppe presenti nel Sinai dal 1957, all’indomani del conflitto che aveva visto Israele arrivare al Canale di Suez. Poi Nasser proclama il 22 maggio il blocco dello Stretto di Tiran: nessuna nave, di nessuna nazionalità, che si rechi al porto di Eilat, in Israele, o che da Eilat parta, potrà più passare. Secondo il diritto internazionale è “atto di guerra”. Le dodici potenze marittime non onorano le garanzie che nel 1956 avevano offerto a Israele per la libertà di navigazione, e non mandano le loro navi da guerra a proteggere la libertà di navigazione. Il 30 maggio re Hussein di Giordania mette le sue truppe sotto il comando egiziano.

Truppe egiziane, saudite, irachene affluiscono in Giordania. Truppe irachene, algerine e kuwaitiane raggiungono invece l’Egitto. Il 3 giugno il generale Murtaji, capo delle forze egiziane nel Sinai, dirama un ordine del giorno alle truppe, nel quale invoca “la Guerra Santa con cui voi ristabilirete i diritti degli arabi conculcati in Palestina e riconquisterete il suolo derubato della Palestina “. (Da notare che il generale parla di arabi e di Palestina, ma non di palestinesi, che nessun paese arabo nel 1967 conosceva e riconosceva, tanto è vero che quando la Cisgiordania era parte della Giordania non si sentiva neanche parlare di sovranità palestinese). Il 5 giugno 1967, all’alba, Israele risponde.
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