6) Israele ha occupato militarmente la Palestina, cacciandone i palestinesi nel ’48, nel ’49 e nel ’67. E ora non vuole farli tornare sulla loro terra, né restituire i territori occupati nel 1967.Non è vero che Israele abbia espulso tutti gli arabi durante e dopo le guerre del 1948, ’49 e ’67. Altrimenti non si saprebbe spiegare come mai nello Stato ebraico vivano oggi oltre un milione di arabi di nazionalità israeliana, e come mai ne vivano un milione e mezzo in Cisgiordania.
Secondo le stime dell’ONU, si può fissare in 4/500.000 gli arabi che lasciarono o furono cacciati dalla Palestina nel corso di quelle guerre. Una parte era fuggita dalla guerra, stimolata dagli appelli dei paesi arabi che si accingevano, secondo le loro intenzioni, a entrare in forza in Palestina e “buttare a mare gli ebrei”. In numerosi messaggi agli arabi di Palestina, diffusi dalle radio di Damasco e del Cairo, veniva assicurato che essi sarebbero ben resto ritornati alle loro case da vincitori, con tutto quello che questo significava: per il momento però la loro presenza avrebbe ostacolato le vittoriose operazioni di guerra.
Un’altra parte venne effettivamente cacciata dagli ebrei nel corso delle operazioni belliche. E’ curioso osservare che il numero di arabi che in un modo o nell’altro lasciarono la Palestina, è uguale a quello degli ebrei espulsi o costretti a fuggire dai paesi arabi nel 1948, subito dopo la nascita dello Stato d’Israele, e che Israele assorbì allora con immense difficoltà.
Dei territori occupati da Israele nel 1967, la Cisgiordania e la parte orientale di Gerusalemme facevano parte del Regno di Giordania, il Sinai dell’Egitto, e Gaza era occupata dall’Egitto ma non ne faceva parte, per cui agli abitanti venne sempre rifiutata la nazionalità egiziana. Si sa che il Sinai venne integralmente restituito all’Egitto quando nel settembre 1978 venne firmato a Camp David dal Premier israeliano Begin, dal Presidente egiziano Sadat, e con l’autorevole avallo del Presidente degli Stati Uniti Carter, il trattato di pace. Quanto alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, la Giordania non volle più trattare la loro restituzione, preferendo girare il problema alle nascenti organizzazioni palestinesi che mai, nei decenni precedenti, avevano rivendicato una sovranità su quei territori: i palestinesi della Cisgiordania erano semplicemente cittadini giordani, come lo sono tuttora i palestinesi di Giordania, vale a dire i due terzi degli abitanti il Regno hascemita.
Perché poi gli abitanti della Cisgiordania non abbiano mai rivendicato un loro Stato quando facevano parte della Giordania, e gli arabi di Gaza non abbiano fatto altrettanto durante l’occupazione egiziana, nessuno lo ha spiegato.Come la propaganda palestinese deforma la verità e mina gli sforzi di paceLe bugie di Saeb Erekat26 novembre 2015
http://www.progettodreyfus.com/le-bugie-di-saeb-erekat Se Saeb Erekat non esistesse bisognerebbe inventarlo. Quest'uomo, nel corso degli ultimi anni, è riuscito nell'eccezionale impresa di svolgere allo stesso tempo il ruolo di capo negoziatore per palestinesi nel processo di pace con Israele e quello di capo della propaganda anti-israeliana per Yasser Arafat e Mahmoud Abbas. Con il tempo le sue bugie sono diventate sempre più grandi e hanno contribuito in maniera determinante al fallimento di ogni iniziativa diplomatica dei palestinesi. A lui si deve la decisione dell'Autorità Nazionale Palestinese di abbandonare i negoziati per proseguire esclusivamente con mosse unilaterali nelle principali istituzioni internazionali.
Nel Marzo 2014 Erekat ha presentato un documento chiamato Study Number 15 ad Abbas che poi lo ha portato con sé alla Casa Bianca per l'incontro con Obama in cui sono definitivamente naufragati i tentativi di pacificazione con Israele. In questo testo, oltre a rifiutare qualsiasi mutuo riconoscimento con Israele e ogni possibile compromesso sulla sicurezza richiesto dallo Stato ebraico, venivano anticipate quelle che poi saranno le scelte intraprese da Abbas nei mesi seguenti come l'accesso a diverse organizzazioni internazionali e la formazione di un governo di unità nazionale con Hamas.
Ora Erekat è tornato a diffondere la sua propaganda: il suo dipartimento a Ramallah a inizio Novembre ha distribuito ai media un documento chiamato "Punti chiave da ricordare quando si scrive della Palestina occupata". E' utile smontare punto per punto questo testo per capire la mentalità di Erekat e svelare come la leadership palestinese sia ancora ben lontana dall'accettare le premesse necessarie alla pace. Senza contare poi come questo mostri una certa maniacale attenzione per la copertura mediatica. Per analizzare questo documento proponiamo la traduzione di un articolo, diffuso in diversi media israeliani, scritto da Eran Lerman, ex deputato per la politica estera e gli affari internazionali presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano.
1. "Israele occupa lo Stato di Palestina"
L'Autorità Nazionale Palestinese non è mai stata una nazione e non era sua la terra conquistata nel 1967. Per questo può diventare uno Stato solo attraverso un accordo negoziato. Ha ragione Erekat quando afferma che "non è un conflitto fra pari", se lo fosse stato dopo le ripetute aggressioni subite dal 1948 in poi oggi Israele non esisterebbe. Il fatto che Israele si trovi ora in West Bank potrà sembrargli spiacevole ma è una mera conseguenza della guerra difensiva del 1967. Un negoziato diventa quindi necessario ed il fatto che i palestinesi lo abbiano più volte rigettato rende falsa l'affermazione secondo cui "Israele nega sistematicamente l'inalienabile diritto all'indipendenza". Così come è falso dire che "Israele ha dislocato la popolazione palestinese per rimpiazzarla con coloni", lo testimonia l'ultima decisione della Corte Suprema israeliana che ha ordinato la demolizione di una Sinagoga costruita su terra considerata di proprietà palestinese. Inoltre se i palestinesi devono essere considerati come "indigeni" non è chiaro perché non debbano essere considerati tali anche gli ebrei: questo tentativo di dipingere il sionismo come un movimento colonialista, quando invece è un movimento nazionale legittimo, rende difficile qualsiasi compromesso per la pace.
2. "Il tema principale è l'occupazione israeliana"
Forse in questo modo Erekat cerca di sviare l'attenzione dal fatto che la mentalità dei palestinesi oggi è quella di mandare giovani adolescenti nelle strade con l'obiettivo di compiere attentati terroristici. Per Erekat "la colonizzazione e l'occupazione illegale sono la causa delle continue rivolte dei palestinesi che vivono da decenni sotto un regime di Apartheid". In questa frase ci sono ben 4 bugie:
- Gli ebrei si stanziano nella terra dei loro padri, il termine colonizzazione vorrebbe accostare Israele al colonialismo europeo che nulla aveva a che fare con terre già abitate dai loro antenati.
- Quella che Erekat chiama occupazione è una condizione che deriva puramente dalla sconfitta dei paesi Arabi che avevano aggredito Israele.
- Non si tratta di rivolte ma di campagne terroristiche mosse dai dirigenti di ANP come quella del 2000-2004, la Seconda Intifada. Lo stesso Abbas nel 2002 ha ammesso che la "militarizzazione delle rivolte" fu un grave errore.
- Si può definire Apartheid un regime in cui arabi musulmani ricoprono cariche importanti nella giustizia, nella diplomazia e nella politica? L'Apartheid, ovunque viene praticato, è destinato a sparire. Con questa menzogna si alimenta solo una falsa speranza nella popolazione palestinese cioè che Israele prima o poi sparirà.
E ancora: "Sebbene i portavoce israeliani abbiano dichiarato che il problema principale sono l'incitamento e le bugie su al-Aqsa, la cosa importante è che Israele continua a negare sistematicamente i diritti dei palestinesi". Sembra quasi un'ammissione che effettivamente l'incitamento alla violenza c'è ma in ogni caso Erekat cerca limpidamente di cambiare argomento. Per Erekat "i leader israeliani incitano alla violenza contro i palestinesi", qui la bugia è assurda vista la natura unilaterale degli atti violenti di questi giorni.
3. "Il riconoscimento di Israele da parte dei palestinesi è stato accolto con ulteriore colonizzazione"
Il compromesso con cui l'OLP ha riconosciuto Israele con i confini pre-'67 non può essere considerato un riconoscimento pieno. A questo non si è mai accompagnata una proposta che ponesse fine del tutto al conflitto e i palestinesi non hanno mai recesso dal "diritto al ritorno" che in pratica eliminerebbe Israele. Gli Accordi di Oslo chiariscono che i confini, la sovranità e gli insediamenti sono tutti argomenti che vanno risolti attraverso un negoziato sullo status definitivo. Lamentarsi e ripetere accuse contro Israele non cambia il fatto che i canali diplomatici lo Stato ebraico li ha sempre tenuti aperti. Lo testimoniano le tre offerte di pace israeliane che sono state rifiutate. Inoltre si cerca di gonfiare e confondere i numeri degli insediamenti nella West Bank inserendovi anche gli israeliani che vivono a Gerusalemme.
4. "Per Israele la politica ufficiale è la colonizzazione non la soluzione a due Stati"
Riportare citazioni di politici in campagna elettorale o opinioni personali di persone importanti non cambia il fatto che Israele si è impegnato con la comunità internazionale. Ciò che conta sono i discorsi di Netanyahu a Bar-Ilan, al Congresso degli Stati Uniti, all'incontro con la Mogherini dopo le elezioni e all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In tutte queste occasioni Israele si è impegnato nella soluzione a due Stati. Dire che "Israele respinge la soluzione a due Stati" è un'ingiuria. E' stato Abbas a dire no al piano Kerry e per come si sono evolute le cose in Giudea e Samaria un compromesso praticabile non è stato compromesso. Inoltre parlare di "pace e sicurezza per i palestinesi" è assurdo visto che sono gli israeliani ad essere colpiti su base giornaliera.
5. "Gerusalemme Est è parte integrante dello Stato occupato di Palestina"
Dato che lo Stato di Palestina è al momento più finzione che realtà l'intera frase non ha senso. Nessuno può contraddire la realtà di una Gerusalemme ormai unificata grazie all'atto emanato nel 1967 subito dopo la liberazione della città dal dominio della Giordania. Da quel momento Gerusalemme ha attirato sempre più palestinesi perché Israele l'ha gestita con successo. Chiedere di lacerare una città è una follia che danneggerebbe chiunque vi abita. "360 000 palestinesi vivono a Gerusalemme" e infatti sono una minoranza nella città così come lo sono stati per 150 anni, molto prima dell'avvento del sionismo. Sfacciatamente i palestinesi cercano di falsificare l'identità e la storia di Gerusalemme nonostante queste siano note a chiunque abbia letto una Bibbia. Si cerca così di obliterare l'indistruttibile legame fra Gerusalemme e gli ebrei che dura da più di duemila anni.
6. "Gli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est occupata sono illegali allo stesso modo di quelli nel resto dello Stato occupato di Palestina"
Non c'è bisogno di ripetere ciò che è stato affermato nel punto precedente. Va comunque ricordato che nel 1993 i palestinesi hanno accettato di riconoscere la natura unica di Gerusalemme e di trattare la questione separatamente. Inoltre Erekat elenca una serie di quartieri come Ramot e la Collina Francese definendoli insediamenti nonostante questi siano parte di Israele in qualsiasi configurazione possibile.
7. "Il compound di al-Aqsa è sotto occupazione israeliana come il resto di Gerusalemme Est"
Subdolamente Erekat ignora non solo che Israele rispetta lo status quo, come ha ribadito nonostante le provocazioni, denigra anche il ruolo costruttivo della Giordania nel mantenere l'ordine nel sito sacro. "Le interferenze con le istituzioni degli occupati da parte della potenza occupante sono severamente proibite dal diritto internazionale" rammenta Erekat. Questa invenzione è molto elegante: le autorità israeliane agiscono all'interno del diritto quando con molta cautela cercano di evitare che tali istituzioni siano usate per il terrorismo e la violenza! Se un predicatore pagato dall'ANP incita alla violenza contro gli ebrei in stile nazista nella moschea è compito del governo porre fine a questa violazione. Un'altra bugia sfacciata: "Israele ha effettivamente interferito con lo status quo e lo ha cambiato per i siti di preghiera cristiani e musulmani a Gerusalemme Est occupata". Esattamente al contrario Israele ha scrupolosamente rispettato le pratiche religiose esistenti a Gerusalemme. A meno che Erekat non si riferisca alle istituzioni politiche dell'OLP, chiuse per ovvie ragioni dopo l'ondata di violenze del 2001-2002 istigate da Arafat.
8. "Israele ha effettivamente cambiato lo status quo di al-Aqsa"
La vergognosa campagna di bugie di Erekat è apparentemente rivolta verso giornalisti che non si preoccupano di controllare ciò che gli viene propinato. Nessun rispetto viene dato al retaggio e al patrimonio ebraico del Monte del Tempio. Così come non viene dato al fatto che il Waqf ha deliberatamente distrutto le prove archeologiche delle antiche sinagoghe ebraiche. Le bugie si riferiscono ad alcuni atti che Israele avrebbe compito negli anni e che sono facilmente rintracciabili: "l'attacco terroristico del 1969" fu compiuto da un cristiano australiano; nel 2000 Sharon non "assalì la Spianata", fu semplicemente una visita; gli "scavi illegali" sono da attribuire esclusivamente al Waqf; le "tombe distrutte" furono rimosse perché posizionate illegalmente come provocazione, non avevano niente a che fare con il Monte del Tempio. Per quanto riguarda le occasionali limitazioni all'ingresso imposte da Israele sono strettamente temporanee e designate per prevenire le violenze in base alle informazioni ben dimostrate dalle intenzioni dei giovani provocatori. A meno che Erekat non voglia considerare anche gli attacchi contro i turisti o i lanci di pietre verso chi prega al Muro del Pianto come legittime pratiche della tradizione islamica. Infine "il piazzamento di telecamere è un'ulteriore violazione dello status quo". Qui si cerca di delegittimare e distruggere lo sforzo comune di Israele, Giordania e Stati Uniti per istituire la trasparenza riguardo alle attività sul Monte del Tempio. Chiaramente l'ANP ha qualcosa da nascondere, perché altrimenti opporsi alle telecamere? Cosa hanno da temere se le loro intenzioni sono sincere?
9. "Il popolo palestinese ha diritto alla protezione internazionale"
Nel chiedere protezione Erekat omette l'origine degli ultimi tre round di violenze generati da Hamas a Gaza. C'è da chiedersi cosa ne pensano i popoli indifesi di Siria, Iraq, Libia, Yemen e Congo rispetto alla necessità di protezione internazionale e di come possa essere considerata così relativa. Il problema non è che qualche male informato reporter occidentale possa essere portato a pensare che sia giusto avanzare una richiesta del genere in nome dello sfortunato e innocente popolo palestinese, persone che apparentemente non avrebbero mai fatto del male nemmeno a una mosca. Il problema è che a Ramallah sono convinti veramente che il mondo gli debba un intervento! Finché persistono tali illusioni le speranze di un compromesso pratico che porterebbe alla pace con Israele saranno sempre scarse.
10. "Il diritto internazionale, le risoluzioni ONU e gli accordi sono fatti per essere implementati non negoziati"
Qui la non comprensione dei testi base, mischiata con l'avversione per il compromesso negoziato, è addirittura arrogante. Si tratta di una sfida verso la comunità internazionale, verso tutti quelli, dal Segretario Generale ONU Ban Ki Moon in giù, che hanno chiesto ad Abbas di tornare al tavolo dei negoziati. Per avere un negoziato significativo la parte palestinese deve affrontare la realtà: la necessità di un compromesso ragionevole, l'arrangiamento di un robusto sistema di sicurezza ed il mutuo riconoscimento dei due movimenti nazionali. Nessuno di questi temi è stato chiesto come precondizione da Israele, al contrario sono soggetti al negoziato. Dall'altra parte Erekat compila una lista di precondizioni mascherate da "obblighi" come la cessazione degli insediamenti. Da quando è diventato un obbligo? L'ultima volta che sono stati fermati per dieci mesi Abbas rifiutò di trattare. Un'altra precondizione, il rilascio dei prigionieri (palestinesi condannati per omicidio) fa parte di un accordo che i palestinesi hanno rotto prendendo decisioni unilaterali. Lo stesso vale per la richiesta di riaprire le istituzioni politiche a Gerusalemme Est. Anche la famosa risoluzione ONU numero 242 del 1967 viene distorta. Le parole "territori" e non "I TERRITORI", così come "confini sicuri e riconosciuti", suggeriscono chiaramente il bisogno di negoziare i nuovi confini. Gli stessi Accordi di Oslo firmati dall'OLP dicono che qualsiasi processo politico dovrebbe portare a un ragionevole accordo fra Israele e i palestinesi, non quindi a una soluzione imposta che accolga ogni richiesta palestinese. Erekat conclude condannando la "cultura dell'impunità israeliana". Come ha recentemente fatto notare il senatore statunitense Charles Schumer il mondo oggi sarebbe molto diverso se i palestinesi, che ci hanno donato la pratica dei dirottamenti aerei negli anni '60 e '70 e che hanno profanato le olimpiadi di Monaco nel 1972 con un massacro, non fossero stati perdonati e loro crimini dimenticati. Sarebbe quantomeno doveroso che i propagandisti come Saeb Erekat non insistessero troppo con la falsa accusa di impunità verso Israele.
Quando gli arabi scelsero di diventare profughi30 maggio 2018
Questi fatti possono essere nascosti e negati con le fake news, ma sono la pura verità
Dan Margalit
(Da: Ha’aretz, 24.5.18)
https://www.israele.net/quando-gli-arab ... e-profughiLe migliaia di palestinesi che hanno tentato di violare la recinzione di confine fra Gaza e Israele sono i nipoti e pronipoti della generazione che visse la guerra in cui si generò il problema dei profughi, la generazione che ha inventato e tramandato l’impertinente rivendicazione del “diritto al ritorno”. Se gli arabi avessero accettato il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 (l’ultima di una serie di decisioni internazionali risalenti alla Conferenza di Sanremo del 1920) che prevedeva di suddividere la terra tra i suoi due popoli, arabo ed ebraico, un piano che riconosceva anche i diritti degli ebrei in Palestina, da allora ad oggi avrebbero potuto continuare a vivere pacificamente sulla loro terra. Ma il giorno dopo l’approvazione di quella risoluzione, gli arabi lanciarono una guerra proclamando che avrebbero gettato gli ebrei in mare, e oggi portano la responsabilità delle conseguenze.
Un mese dopo l’inizio delle sparatorie dalla Giaffa araba verso Tel Aviv, i capiarabi locali accettarono un cessate il fuoco. I leader palestinesi e l’organizzazione paramilitare Najda chiesero il consenso del Supremo Comitato Arabo, ma se lo videro rifiutare (si veda Palestinians in Jerusalem and Jaffa, 1948: A Tale of Two Cities, di Itamar Radai). Solo dopo altri cinque mesi di fuoco di cecchini su Tel Aviv, Menachem Begin permise ai combattenti dell’Irgun di attaccare Giaffa.
Titoli dell’Unità, maggio 1948 (clicca per ingrandire)
Questo accadeva nell’aprile 1948, un mese prima della dichiarazione d’indipendenza di Israele. Con quelle decisioni gli arabi scelsero di diventare profughi. Una situazione analoga si verificò nello stesso periodo a Haifa. Gli ebrei esortarono gli arabi a rimanere, ma quelli abbandonarono la città dopo che i loro dirigenti avevano garantito che sarebbero tornati entro dieci giorni e che avrebbero potuto saccheggiare le case degli ebrei. Questi fatti possono essere nascosti e negati con le fake news, ma sono la pura verità. I due maggiori abbandoni avvennero su iniziativa degli arabi.
Negli ultimi anni, ogni volta che Benjamin Netanyahu ha sostenuto di volere ancora i negoziati, ha chiesto ai palestinesi di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Forse sarebbe stato più appropriato condizionare i negoziati al riconoscimento esplicito da parte degli arabi che essi, più di chiunque altro, hanno causato il verificarsi del problema dei profughi. Contrariamente a quanto affermano alcuni, quando nel 1956 Moshe Dayan, nel suo elogio funebre per Ro’i Rothberg, il membro del kibbutz Nahal Oz assassinato da palestinesi di Gaza, disse che i profughi ci guardavano da Gaza arrabbiati e feriti, questo non significava affatto che gli ebrei si assumessero alcuna responsabilità per la situazione dei profughi, ma solo che esprimevano compassione. Da qui, anche, la conclusione di Dayan, che disse: “Questa è la sorte della nostra generazione: essere pronti e armati, forti e inflessibili, affinché la spada non cada dalla nostra mano e le nostre vite non vengano recise”.
New York Times, 16 maggio 1948: “Eserciti arabi invadono la Palestina, raggiungono Gaza, bombardano di nuovo Tel Aviv” (clicca per ingrandire)
Nessuno avrebbe potuto prevedere che nel 2018 il “diritto al ritorno” dei profughi a Giaffa e Haifa sarebbe stato ancora al centro degli eventi, e proprio nei campi presso cui Rothberg venne assassinato. Se la situazione è questa, è perché i paesi arabi non hanno permesso che la questione svanisse. Un nuovo libro illuminante pubblicato in ebraico da Einat Wilf e Adi Schwartz (La guerra per il diritto al ritorno), uscito proprio mentre i palestinesi di Gaza rilanciavano scontri violenti all’insegna della “grande marcia del ritorno”, critica non solo il mondo arabo, ma anche l’Occidente e Israele. Il principale cattivo, qui, secondo gli autori, è l’Unrwa, che ha iniziato le sue attività con buone intenzioni, ma poi ha incanalato miliardi di dollari nel perpetuare il problema dei profughi per 70 anni e nell’impedirgli di attenuarsi. L’Unrwa è diventata la cassaforte per una terza e quarta generazione di palestinesi sradicati, gente che da Haifa si è spostata a Nablus (70 km a sud-est, entro i confini della Palestina) dove si è costruita una solida vita pur continuando a percepire l’indennità da “profugo” (loro, i loro figli, i loro nipoti e pronipoti). L’Unrwa ha mantenuto i profughi nei campi di Gaza praticamente imprigionati. Israele ha lasciato fare l’Unrwa perché gli dava momentaneo respiro, e il governo israeliano voleva solo una pausa. Un po’ di tranquillità qui e ora era sufficiente, e al diavolo il domani. Yigal Allon fu il solo, vox clamantis in deserto, a dire che Israele doveva affrontare il problema e che non poteva permettersi di chiudere un occhio, ma i suoi appelli restarono ignorati.
Ora si dice che gli Stati Uniti e i loro alleati potrebbero cessare di finanziare l’Unrwa. Cosa che andrebbe nella giusta direzione, in linea generale, ma è necessario esercitare attenzione ed equilibrio. Wilf e Schwartz suggeriscono che i finanziamenti rimangano gli stessi, ma che l’Unrwa venga smantellata e il denaro trasferito all’Autorità Palestinese: ai profughi verrebbe finalmente dato, non un pesce, ma la canna per pescare. Ecco un’idea che meriterebbe di essere avviata, anche se Gerusalemme potrebbe non gradire un passo così drammatico.