Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islamico

Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:50 am

Israele sotto attacco: 30 missili nella notte. Hamas minaccia «pronti a guerra totale»
Sarah G. Frankl -
27 ottobre 2018

https://www.rightsreporter.org/israele- ... rra-totale

Israele sotto attacco, altro che accordo di cessate il fuoco come annunciato ieri dai media arabi. Almeno 30 missili sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza contro il sud di Israele nella notte tra venerdì e sabato.

Almeno 10 missili che si stavano dirigendo vero obiettivi civili sono stati intercettati dal sistema Iron Dome, 18 missili sono caduti in territorio aperto mentre un paio di missili sono ricaduti nel territorio della Striscia di Gaza.

Immediata la reazione del IDF che con l’aviazione a colpito almeno 80 obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza.


Le minacce di Hamas contro Israele

In una dichiarazione diffusa questa mattina le Brigate Al-Qassam, l’ala militare di Hamas, hanno minacciato Israele. «Al-Qassam è pronto a colpire tutta la Palestina occupata (Israele n.d.r.) con migliaia di missili se la campagna militare avrà inizio» si legge nella dichiarazione. «Facciamo appello al popolo palestinese e annunciamo che se il nemico sionista ci attacca, saremo pronti per la battaglia» prosegue il comunicato prima di annunciare che i terroristi sono disposti ad usare tutto il loro arsenale di missili per colpire ogni zona di Israele tra i quali, annunciano «missili Al-Az, Al-Fajr e Al-Barrak, e quello che non abbiamo ancora mostrato».

Sempre questa mattina la Jihad Islamica, sostenuta e finanziata dall’Iran, ha rivendicato il lancio dei missili contro lo Stato Ebraico, una rivendicazione che però non cambia quelle che sono le responsabilità di Hamas.

Pochi minuti fa (alle 09:15 locali) il sistema Iron Dome è entrato nuovamente in funzione per intercettare un missile diretto verso il Consiglio regionale di Sdot Negev.



Virale su Instagram la guerra d’attrito contro i civili israeliani che i mass-media non vogliono vedere
Un gruppo di ragazze israeliane ha deciso di documentare on-line la loro esperienza quotidiana sotto i continui attacchi da Gaza
(Da: Jerusalem Post, 31.10.18)

https://www.israele.net/virale-su-insta ... ono-vedere

Filmati di razzi palestinesi intercettati in cielo dall’antiaerea israeliana, foto di campi bruciati da aerostati incendiari lanciati da Gaza, il suono delle sirene d’allarme che fanno correre nei rifugi le famiglie in piena notte: tutto messo on-line da un gruppo di otto ragazze adolescenti che vivono nelle comunità israeliane a ridosso del confine con la striscia di Gaza e che hanno deciso di condividere con il resto del mondo la loro esperienza di vita sotto attacco pressoché continuo. E in meno di due settimane il loro account Instagram si è guadagnato più di 50.000 follower.

“Noi, figli delle comunità al confine con Gaza – hanno scritto nel loro primo post, a metà ottobre – viviamo a un chilometro dalla barriera di confine. A causa della situazione che stiamo attraversando, abbiamo deciso di aprire un account Instagram che mostri la guerra quotidiana che sperimentiamo nella nostra area. Non sappiamo se (voi che leggete) siete coinvolti nella situazione, ma quello che dovreste sapere è che noi abbiamo ogni giorno aerostati incendiari ed palloni con esplosivi, incendi, lanci di razzi e mortai, soffocanti fumi e gas lacrimogeni: e questo è solo l’inizio”.

Nelle ultime due settimane, le ragazze – tutte tra i 16 e i 18 anni – hanno condiviso video e foto delle loro esperienze quotidiane. “Alcune sono immagini che abbiamo scattato noi, altre ci sono state inviate”, ha spiegato martedì al Jerusalem Post una rappresentante dell’account Otef.Gaza (otef ’Aza, letteralmente “l’involucro di Gaza”, è il termine con cui in Israele si indicano le comunità civili che si trovano in prossimità del confine con l’enclave controllata da Hamas).

Una delle immagini postate mostra una bambina che stringe il suo animale di pezza, in un campo carbonizzato dall’ennesimo incendio doloso. “Presto arriverà l’inverno e laverà via tutto – recita la didascalia – Ma non cancellerà il panico, il dolore, i ricordi”.

Durante lo scorso fine settimana, le ragazze hanno condiviso un video con il suono delle sirene e il rumore dei razzi sparati da Gaza e intercettati sopra le loro case. E hanno scritto: “Più di 12 ore di razzi lanciati sul sud (del Paese)”.

La settimana precedente avevano condiviso la foto di un pompiere che combatte le fiamme accompagnata da un messaggio di gratitudine: “In mezzo al terrorismo, agli incendi, ai palloni incendiari, al fumo e ai gas lacrimogeni, ci sono quelli che si adoperano per proteggerci. Vogliamo dirvi: grazie, state facendo un lavoro duro, e non lo diamo per scontato”.

Da quando le ragazze lo hanno lanciato, l’account ha registrato il sostegno anche di varie celebrità locali, come l’attore e cantante Aviv Alush e l’attrice e modella Maya Wertheimer. Nel giro di tre giorni l’account ha raccolto 20.000 follower, diventati più di 50mila dopo soli dodici giorni. “Abbiamo ricevuto molti messaggi di sostegno, anche da persone che ci hanno detto che non avevano idea di cosa stesse realmente accedendo qui – dice una delle ragazze – Ci sono anche alcuni che affermano che stiamo esagerando per impietosire: beh, se cercare di proteggere le nostre case e mostrare ciò che succede qui significa esagerare, allora sì, stiamo esagerando”.

Molti post nell’account sono critici verso quella che percepiscono come l’inerzia delle autorità di governo, ma le ragazze sottolineano che loro non intendono parlare di politica: “Il nostro obiettivo – affermano – è accrescere la consapevolezza e promuovere un cambiamento”.



Idiozie contro Israele

Blog | Israele, è l'acqua la nuova arma contro la Palestina. E ne fanno le spese soprattutto i bambini - Il Fatto Quotidiano
Roberto Colella
Giornalista, esperto in Geopolitica e Scienze della Difesa e della Sicurezza

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/1 ... ni/4738132

Il termine esatto è water grabbing, ovvero “accaparramento dell’acqua”, con effetti devastanti soprattutto in Palestina. La lotta per l’oro blu è da anni al centro del conflitto tra palestinesi e israeliani. Molti ricorderanno la crisi nell’estate 2016 quando numerosi villaggi e campi profughi palestinesi rimasero per diversi giorni senz’acqua. A causa dell’assedio economico israeliano, del ripetuto bombardamento di infrastrutture idriche e fognarie e di una falda acquifera di qualità scarsa, il 97% dei pozzi di acqua potabile di Gaza sono al di sotto degli standard minimi di salute per il consumo umano. Il dottor Majdi Dhair, direttore della medicina preventiva presso il Ministero della sanità palestinese, riferisce di un enorme aumento delle malattie trasmesse dall’acqua, direttamente correlate all’acqua e alla contaminazione da acque reflue non trattate che fluiscono direttamente nel Mediterraneo.

Nel campo profughi Shati vivono 87mila rifugiati e le loro famiglie – espulsi dalle loro città e villaggi durante la creazione di Israele nel 1948 – stipati in mezzo chilometro quadrato di strutture di blocchi di cemento. Le cifre del Ministero della salute palestinese mostrano un “raddoppiamento” di patologie legate alla diarrea, che aumenta fino ai livelli epidemici. Così come accaduto durante l’estate 2018, con i picchi di salmonella e persino la febbre tifoide. La maggior parte delle famiglie, anche nei campi profughi, spende fino alla metà delle loro modeste entrate per l’acqua desalinizzata dai pozzi non regolamentati di Gaza. Ma anche questo sacrificio ha un costo. E così l’acqua contaminata è divenuta la principale causa della mortalità infantile. I palestinesi dipendono in larga parte dagli israeliani per l’acqua, tant’è che esiste una cesura nel diritto per l’accesso all’acqua tra i due popoli come aveva raccontato a Lifegate Amit Gilutz, portavoce di B’tselem, un’organizzazione israeliana che lavora con lo scopo di tutelare i diritti della popolazione araba in Terra Santa. Gilutz dichiarò che per ogni pozzo nuovo, anche nei territori controllati dall’Autorità palestinese, serve un permesso dall’Autorità civile regionale israeliana (Ica).

L’acqua per i territori palestinesi diventa sempre più cruciale. Sin dall’inizio dell’occupazione israeliana della West Bank e della Striscia di Gaza nel 1967, le provviste d’acqua per i palestinesi della West Bank non copriva il fabbisogno di base di acqua necessario ai palestinesi. Inoltre nel 1995 Israele ha sfruttato l’85% dell’acqua di superficie palestinese incanalando questa risorsa verso gli insediamenti dei suoi coloni presenti nella West Bank e nello stesso territorio di Israele. Nel quadro degli accordi di Oslo sia Israele che l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) avevano cercato di definire i modi tramite il famoso articolo 40 ma con scarsi risultati sulle stime delle risorse idriche.

Insomma una partita geopolitica fondamentale, in cui lo Stato che riesce a utilizzare più acqua possiede allo stesso tempo più potere per far funzionare e sviluppare la sua industria e la sua agricoltura e per garantire benessere e salute alla sua popolazione. Il bisogno di acqua diventa inizialmente un’arma politica per trattare o negoziare, anche se al momento a soffrirne sono Gaza e i territori palestinesi. La mortalità infantile causata dall’acqua contaminata pone un freno alla stessa crescita demografica del popolo palestinese. L’arma, per certi versi, più temuta dagli israeliani.





Imam della Florida: la Palestina (?) deve essere liberata anche a costo di MILIONI di martiri (vorrebbe forse dire dell'ibtera popolazione palestinesa, compresi bambini, donne e anziani?).

Bel consiglio, complimenti! Perché non ci mandi i tuoi di figli a fare i martiri, invece che quelli della povera gente, che viene tenuta dai propri capi in condizioni di miseria nonostante i miliardi di soldi che dovrebbero arrivare nelle tasche di ciascuno di loro provenienti da aiuti finanziari dall'estero, i piu alti al mondo?) dicendo che la loro carriera universitaria americana, il loro futuro e la loro stessa vita sono terminati per sempre, da immolare sull'altare della causa di Hamas, (leggasi Fratelli Musulmani dislocati a Gaza) e non quella dei Palestinesi. Perché ficchimocelo bene in testa, gente: finché la Palestina (?) non sará liberata da Hamas e dalla propropria leadership violenta e corrotta, la gente continuerà a essere strumentalizzata e i cd palestinesi non faranno mezzo passo avanti rispetto a 70 anni fa, quando gli arabi rifiutarono per la prima volta la creazione dello stato Palestinese, accanto a quello Israeliano. Il primo di una lunga serie di rifiuti, tutti imputabili alla leadership araba, chiamata dagli anni '70 in poi palestinese, come deciso a tavolino da Arafat e C.


https://www.timesofisrael.com/florida-i ... of-martyrs
Florida imam: Palestine must be liberated, even at cost of millions of martyrs
Hasan Sabri says ‘Palestine in its entirety is Islamic land, and there is no difference between what was occupied in 1948 and 1967’
3 November 2018
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:52 am

COLPO DI RENI
Niram Ferretti
12 novembre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Non è sostenendo l'economia di Gaza che si può giungere a una conclusione. Non è dando soldi ai terroristi che il problema terrorismo possa essere risolto. Martin Sherman e Daniel Pipes lo dicono da anni. Tirare a campare non porta da nessuna parte.

Nell'ultima intervista che ho fatto a Sherman, l'estate scorsa in Israele, mi ha detto:

"La vita è diventata completamente invivibile per gli ebrei che vivono nei dintorni dell’area di Gaza ed è solo una questione di tempo prima che i palestinesi possano estendere la loro presa. Abbiamo già assistito a tutto ciò. Ogni volta che Israele trova il modo di frenare una delle modalità di aggressione di Hamas, Hamas trova un modo per aggirarla. L’unica maniera per affrontare la situazione è modificare il proprio approccio nei suoi confronti. Non c’è altra via. Dobbiamo vedere i palestinesi non nella prospettiva di un partner per la pace, ma come un nemico implacabile e allo stesso tempo non possiamo considerare la collettività di Gaza come vittime di Hamas ma come il crogiuolo dal quale questa leadership è emersa. Questo approccio permette di vedere che la soluzione non è la ricostruzione di Gaza ma la sua descostruzione, o il cerchio della violenza si continuerà a ripetersi senza fine. Provi a immaginare per un momento cosa accadrebbe nel centro di Israele se invece di avere un confine di 50 km da controllare, Israele dovesse controllare un’area densamente popolata di 500 km dalla quale non dei missili, ma aquiloni e palloni incendiari venissero mandati nella direzione di Kfar Saba o Ra’anana o verso l’autostrada 6. L’unico modo per assicurarsi su chi governa Gaza è governarla in proprio e l’unico modo di governare Gaza senza governare un altro popolo è rimuovere questo popolo dal proprio controllo. È semplice logica matematica ed è anche una situazione che si può giustificare moralmente in modo assai semplice. Se il proprio punto di partenza è che gli ebrei sono titolati ad avere un loro Stato ebraico allora bisogna conferire a questo stato le condizioni per la sua sussistenza. Quindi non si può avere una concentrazione di popolazione il cui obbiettivo sia la sua distruzione".

A sua volta Daniel Pipes, l'estate precedente, sempre in Israele, mi disse:

"Molti pensano che il 13 settembre del 1993 Arafat e i palestinesi abbiano accettato Israele e che il problema sia nei dettagli, in altre parole, si tratterebbe solo di impegnarsi di più. Non è così. Quello di Arafat a Oslo fu un inganno. La maggioranza dei palestinesi, l'80%, continuano a non accettare Israele. Non c'è alcuno sforzo da parte dell'Autorità Palestinese, né da parte di Hamas di modificare questa percezione, al contrario, vogliono portare il rifiuto di Israele al 100%. Non hanno ottemperato alla loro parte dell'impegno, ma continuano la loro lotta fallimentare per la "rivoluzione fino alla vittoria". Rifiutano completamente Israele e desiderano portarlo sotto il proprio controllo. Non si vede praticamente mai una mappa della West Bank, si vedono sempre mappe in arabo della Palestina mandataria, e questo ci rivela quale sia la loro concezione, non di uno stato accanto a Israele, ma di uno che lo rimpiazzi".

Israele non vuole riprendere il controllo della Striscia e governare un mlione e mezzo di arabi ostili, ma deve sbarazzarsi di Hamas una volta per tutte. Può farlo con l'appoggio morale degli Stati Uniti e con l'insediamento di una unità di forza internazionale che controlli la Striscia, oppure, come suggerisce Sherman, attraverso una specie di piano Marshall che incentivi tutti i palestinesi non belligeranti a trasferirsi altrove, dove vogliono.

Così com'è la situazione non può continuare. Giulio Andreotti diceva, "Meglio tirare a campare che tirare le cuoia", non quando però a causa del tirare a campare, le cuoia le tirano gli altri.







Il terrorismo palestinese in Israele ha un unico obiettivo: evitare la pace
Ugo Volli
11 novembre 2018

https://www.progettodreyfus.com/terrori ... raele-pace

Terrorismo palestinese in Israele. Chi scrive di Israele si trova spesso in un dilemma: bisogna raccontare i tentativi terroristici che sono frequenti e quasi sempre frustrati dalla vigilanza delle forze dell’ordine e dell’esercito, oppure è meglio non cadere nel trabocchetto dei terroristi, che cercano innanzitutto di accedere ai media e basarsi sull’esperienza – del tutto reale – di grande sicurezza che il visitatore prova visitando le città, la natura, i luoghi storici dello stato ebraico? Israele è davvero un paese sicuro, è molto più problematico muoversi in certi quartieri delle città italiana che in una israeliana, nessuno si sognerebbe da noi di frequentare i parchi dopo il buio, quando a Tel Aviv o a Gerusalemme è comunissimo andare a fare sport o a passeggiare anche in tarda serata. La sicurezza del resto è avvertita non solo dagli israeliani, ma anche dai turisti, il cui numero batte tutti i record, mese dopo mese.

E però qualche giorno fa il direttore del servizio di sicurezza interno israeliano, il famoso Shin Bet (che corrisponde solo a una sigla come S2) è andato a una commissione perlamentare per fare il suo rapporto sullo stato del terrorismo e fra le altre cose ha detto che il suo servizio ha neutralizzato nell’ultimo anno 480 attentati terroristici, oltre a 590 attacchi isolati e ha catturato oltre 200 cellule terroristiche. Sono cifre raccapriccianti. Vogliono dire che ogni giorno che passa, se non ci fosse la vigilanza dei servizi, ci sarebbero tre attacchi sanguinosi. Vogliono dire anche che migliaia di persone, fra arabi israeliani, sudditi dell’autorità palestinese, abitanti di Gaza, sono coinvolte in attività terroristiche. Infine significano che la calma che noi percepiamo e difendiamo è il frutto di un’attività ininterrotta, una lavoro continuo dei servizi di sicurezza. Come del resto il fatto che gli attacchi terroristi compiuti, che non compaiono in questo conto e comunque sono in media almeno uno o due la settimana senza contare gli attacchi da Gaza coi palloni molotov o direttamente con gli assalti al confine che ormai sono spesso compiuti con armi da fuoco e bombe a mano, sono bloccati per lo più dall’esercito o da civili armati.

Se si fanno i conti, probabilmente il numero degli attacchi non è inferiore a quello delle ondate terroriste dette “intifade”. Semplicemente la barriera di separazione, la professionalità dei servizi che oltre a informazioni, intercettazioni, sorveglianza web usa anche algoritmi di intelligenza artificiale, rende molto difficile usare le armi più efficaci e più tracciabili come le cinture esplosive, i mitra e e le bombe nei locali pubblici e neutralizza anche i mezzi più facili e disponibili a tutti come i coltelli e le automobili usate contro i passanti.

Vale la pena di ricordare che l’attività dei servizi israeliani si estende anche all’estero: si è detto che i recenti attentati iraniani sventati in Francia, Germania e Danimarca si siano potuti evitare grazie a informazioni fornite dal Mossad, l’altro servizio israeliano, quello esterno.

Insomma, il territorio israeliano è oggetto di una ininterrotta aggressione terroristica, che tende a estendersi anche al territorio europeo. Bisogna chiedersi il perché di questa guerra di attentati, che non ha logica politica né strategica. E’ dimostrato ormai da decenni che il terrorismo non riesce a danneggiare seriamente il funzionamento economico e politico dello di Israele né a spaventare la popolazione e perfino i turisti. Dunque non è efficace al livello concreto e materiale. Ma è fortemente praticato, anche perché continuamente incoraggiato da Hamas e dall’Autorità Paletinese, oltre che da Iran e dai suoi mercenari. I terroristi in carcere sono pagati, se muoiono lo sono le loro famiglie, essi ricevono onori, gli si dedicano strade e scuole, sono protagonisti in televisione e nelle scuole.

La domanda è perché. E la risposta è orribilmente semplice: per evitare la pace. Per impedire l’integrazione. Per creare una barriera di odio fra arabi ed ebrei. Un terrorista cerca di uccidere degli ebrei, qualche volta ci riesce, spesso viene ucciso per fermarlo. Riceve comunque delle condanne e anche le famiglie, di solito complici sono sanzionate dalla giustizia israeliana. Ci sono lutti, danni, memorie atroci. E’ un’industria del dolore inflitto, gestita con totale cinismo dall’autorità palestinese. Che potrebbe impedire gli attentati, scoraggiandoli sistematicamente, e in questo caso l’atmosfera sul terreno si rasserenerebbe immediatamente, la vita diventerebbe più facile per tutti; ma al contrario le organizzazioni palestiniste li incoraggiano in tutti i modi. E lo fanno perché il loro senso è questo: non la costruzione di uno stato che cerchi di far vivere meglio possibile i suoi abitanti ma l’odio, la guerra, l’impossibilità di convivere, l’impossibile rivincita contro gli ebrei, la vendetta che prolunga il lutto. La prossima volta che qualcuno sentite qualcuno chiedere perché non c’è la pace in Medio Oriente, pensateci.



In realtà sono i cosidetti palestinesi nazi maomettani ad aver attaccato Israele che giustamente si difende


Hamas e Israele si bombardano
lunedì 12 novembre 2018

https://www.ilpost.it/2018/11/12/bombar ... -hamas-bus

Da stamattina sono stati lanciati più di 300 razzi dalla Striscia verso il territorio di Israele, che ha risposto con durezza: si parla apertamente del rischio di una nuova guerra
(BASHAR TALEB/AFP/Getty Images)

Da stamattina sono in corso pesanti bombardamenti reciproci fra le fazioni militanti palestinesi della Striscia di Gaza, fra cui soprattutto Hamas, e l’esercito di Israele. Dalla Striscia sono stati lanciati in tutto circa 300 razzi, fra cui uno ad ampia gittata che ha colpito un pullman in territorio israeliano; l’esercito di Israele ha risposto bombardando più di 70 edifici riconducibili ad Hamas, fra cui la sede della tv ufficiale del gruppo, situata nei pressi di un complesso civile. Per ora negli scontri sono rimasti uccisi tre palestinesi, e ci sono feriti da entrambe le parti.

Secondo le statistiche dell’intelligence israeliana le fazioni palestinesi non avevano mai lanciato così tanti razzi in un giorno solo: si parla apertamente del rischio che possa iniziare una nuova guerra, nonostante fino a due giorni fa fossero in corso dei negoziati per concordare una tregua a lungo termine.

Lunedì pomeriggio circa trecento razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza su Israele. Molti – 60, ha detto l’esercito di Israele – sono stati intercettati dal sistema antimissilistico israeliano Iron Dome, ma non tutti: alcuni hanno raggiunto le case vicino al confine con la Striscia. Il missile che ha fatto maggiori danni ha colpito un autobus nel sud di Israele, ferendo gravemente un cittadino israeliano di 19 anni (al momento dell’esplosione il pullman era vuoto).

Da molte ore continuano a suonare gli allarmi missilistici nelle città israeliane di Be’er Sheva, Ashkelon e Sderot, che si trovano nei pressi del confine della Striscia: a Sderot, in particolare, sei persone sono state lievemente ferite dalle schegge delle esplosioni. Israele ha risposto colpendo in varie fasi più di 70 obiettivi legati ad Hamas, che da circa dieci anni governa la Striscia, e del Jihad Islamico, un altro gruppo radicale palestinese. Fra gli obiettivi colpiti c’è la sede della tv al Aqsa, considerata l’organo ufficiale di Hamas: secondo le prime informazioni sarebbe stata completamente distrutta in un bombardamento mirato compiuto dall’esercito israeliano.

Il nuovo ciclo di violenze è iniziato domenica, quando Israele aveva compiuto un’operazione sotto copertura a Khan Younis, nel sud della Striscia, nella quale erano stati uccisi sette palestinesi, tra cui un importante comandante militare del gruppo radicale Hamas. Nell’operazione era morto anche un soldato israeliano. Non si sa con certezza quale fosse l’obiettivo della missione e non si sa nemmeno se il lancio di razzi di oggi dalla Striscia verso Israele sia stato deciso in risposta all’operazione israeliana di domenica.

C’è da considerare anche un altro aspetto. L’attacco di lunedì è arrivato in maniera molto inaspettata, soprattutto perché nei giorni scorsi era stata raggiunta un’intesa tra Israele e Hamas per ridurre le violenze e le tensioni in corso da mesi nella Striscia. L’intesa era stata mediata dall’Egitto e resa possibile dalla disponibilità finanziaria dimostrata dal Qatar, che da tempo interviene nelle questioni palestinesi cercando di aumentare la propria influenza in quel pezzo di Medio Oriente. L’intesa prevedeva l’arrivo nella Striscia di gasolio per azionare un secondo generatore nell’unica centrale elettrica di Gaza, e di soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici impiegati da Hamas.

Non è chiaro cosa succederà ora, quindi se l’accordo tra Israele e Hamas reggerà nonostante il reciproco scambio di razzi di lunedì. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione d’urgenza con alcuni suoi stretti collaboratori: nel giro di qualche ora si saprà probabilmente qualcosa di più.


HEI MONDO, TI SEI ACCORTO CHE ISRAELE E' SOTTO ATTACCO?
Di Franco Londei
13 novembre 2018

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... __tn__=K-R

Buongiorno mondo. Mentre tu dormivi pacificamente nel tuo letto non molto lontano da casa tua migliaia di persone, donne, vecchi e bambini, erano costrette nei rifugi antimissile. In un giorno ne sono piovuti oltre 400, hanno ucciso diverse perone, altre ne hanno ferite. Una guerra si prepara, ma tu non ne sai niente perché nessuno in TV o sui giornali te ne parla o se lo fa ne parla distrattamente, come se fosse una cosa poco più che “insolita”.

Quattrocento missili in 24 ore sparati contro un territorio poco più grande di una piccola provincia, lo voglio rimarcare con forza perché visto che se ne parla così poco potresti pensare che siano poco più che petardi, il tuo subconscio potrebbe portarti a pensare che non sia una cosa importante, che non meriti la tua attenzione.

E invece dovresti dargli uno sguardo più attento perché se Israele è sotto attacco lo è anche la tua libertà, quella che la notte scorsa ti ha permesso di dormire tranquillamente nel tuo letto.

Se solo guardassi meglio capiresti che prima ancora che un attacco a Israele è un attacco a quello che Israele rappresenta in Medio Oriente, unico Paese non islamico circondato da centinaia di milioni di nemici pronti a saltargli addosso, unica democrazia dove convivono ebrei, musulmani, cristiani e chiunque sia un essere umano libero.

Caro mondo, non starò a ricordarti come è perché siamo arrivati a questo punto, non starò a ricordarti che nelle oscure stanze del potere di Teheran da mesi stanno pianificando questa guerra, una guerra che costerà molto sangue da una parte e dall’altra, da quella palestinese dove ci sono oltre due milioni di persone trasformate in ostaggi e carne da macello dai terroristi islamici sostenuti da Iran, Qatar e Turchia, e da quella israeliana dove altrettante persone non possono godere dei frutti della democrazia perché da sette anni costantemente minacciate dai terroristi islamici.

Prova a immaginare cosa significano 400 missili che ti piovono in testa nel giro di poche ore. Prova a immaginare di avere solo 30 secondi dal suono della sirena per arrivare a un rifugio e mettere al sicuro i tuoi figli, la tua famiglia. Provaci mondo, e poi prova a pensare che questa situazione vada avanti da sette lunghissimi anni e infine prova a pensare a cosa faresti tu se fossi il bersaglio di un simile attacco, se fossero i tuoi figli ad essere nel mirino dei terroristi islamici.

Non ti piace eh? Lo so, solo il pensiero ti fa inorridire, scatena in te una rabbia atavica che ti porta all’idea di reagire, di non poter subire passivamente questo attacco senza provare a difenderti.

Ecco, adesso sai cosa provano i 2,5 milioni di cittadini israeliani che vivono a ridosso della Striscia di Gaza, adesso sai che anche tu, caro mondo, per quanto tu sia pacifico e ragionevole, non potresti subire passivamente una simile situazione.

Ricordatelo mondo quando finalmente i media di tutto il mondo si sveglieranno e parleranno dell’attacco al quale è sottoposto Israele, ma lo faranno solo per parlare di “reazione sproporzionata” da parte israeliana. Allora pensa a quale sarebbe la tua reazione se dei terroristi islamici sparassero 400 missili in poche ore sulla tua testa e su quella dei tuoi figli. Davvero la tua reazione sarebbe da considerarsi “sproporzionata”?




Il sospetto: Hamas testa le difese israeliane per conto di Hezbollah
Lila C. Ashuryan -
13 novembre 2018

https://www.rightsreporter.org/il-sospe ... tea3ed5qHo


La lunghissima salva di missili lanciati da Hamas e dalla Jihad Islamica su Israele, circa 400 in 24 ore, rappresenta senza dubbio uno sforzo notevole che alla luce di una analisi degli esperti israeliani potrebbe avere un secondo scopo, quello di testare la reazione di Iron Dome sotto un pesantissimo attacco concentrato su specifici obiettivi.

Gli esperti fanno notare infatti come le salve di missili siano concentrate contro un territorio relativamente ristretto, una tecnica nuova per Hamas e per la Jihad Islamica, che potrebbe essere stata usata proprio per testare la reazione di Iron Dome di fronte a un massiccio attacco missilistico.

Per essere da subito chiari, la reazione di Iron Dome è stata quasi perfetta. 120 missili che si stavano dirigendo verso zone abitate sono stati intercettati e distrutti. Circa 20 missili hanno invece colpito case e strade provocando una vittima e il ferimento di decine di persone.

Quello che lascia perplessi gli analisti israeliani è proprio la concentrazione di fuoco verso punti specifici e relativamente ristretti, una tecnica che non è né di Hamas né della Jihad Islamica, ma è propria di Hezbollah.

Inutile dire che la mente corre veloce verso il fronte nord dove Hezbollah dispone di oltre 150.000 missili ben più potenti di quelli lanciati da Gaza verso Israele.

Ed anche logico supporre che questa nuova tecnica usata serva proprio a valutare le difese israeliane in vista di un attacco massiccio da nord piuttosto che a ottenere un qualche vantaggio politico o strategico per Hamas che, al contrario, ha tutto da rimettere da un attacco a Israele, specie di queste dimensioni.

Non è la prima volta che gli analisti israeliani sospettano che Hamas faccia da tester per Hezbollah. Già in occasione dell’attacco del 26-27 ottobre notarono come i terroristi lanciassero salve concentrate di missili contro obiettivi piuttosto ristretti. Anche il quella occasione Iron Dome rispose adeguatamente. Questa volta potrebbero aver alzato il tiro, quasi che fosse una prova generale per quello che potrebbe succedere sul fronte nord.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:54 am

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 13/11/2018 a pag.15 con il titolo "Israele, pioggia di missili dalla Striscia di Gaza" il commento di Fiamma Nirenstein; con il titolo "Israele sotto attacco, ma La7 rovescia la realtà", il commento di Deborah Fait per IC.
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... U.facebook

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Israele, pioggia di missili dalla Striscia di Gaza"

Gerusalemme Dalla possibilità di un accordo a quella di una guerra con morti e feriti e Hamas che torna insieme alle altre milizie terroriste a tenere in ostaggio tutti i cittadini israeliani del Sud. Ce l'ha messa tutta Netanyahu per evitare una guerra, ha persino consentito che il Qatar consegnasse a Hamas 15 milioni di dollari in contanti. Ha accettato come mallevadore il presidente al Sisi, che ha parlato con gli israeliani e con Abu Mazen per creare le condizioni di un accordo dopo le aggressioni contro il confine israeliano. Ma lo scorpione sul dorso della rana la punge mortalmente mentre nuota portandolo in salvo. Nonostante le tasche piene e la promessa di un porto, di zone di pesca, di apertura dei confini, in un'ora ieri fra le quattro e le cinque del pomeriggio una grandine di missili, circa duecento, si è abbattuta sul sud di Israele. A Ashod un supermarket è stato distrutto, un ragazzo di 19 anni che viaggiava su un autobus colpito rischia di morire, a Netivot una casa è stata rasa al suolo. Le sirene suonano ovunque, la gente è chiusa o corre al soccorso, il fuoco divampa, gli aerei dell'aviazione israeliana bombardano Gaza e il canale tv Al Aqsa. Là per ora si parla di tre morti, tredici feriti e di 20 obiettivi militari colpiti. Netanayhu è tornato in gran fretta da Parigi, dove, alla riunione dei capi di Stato riuniti in memoria della fine della Prima Guerra Mondiale, aveva ripetuto l'intenzione di gestire lo scontro con Hamas con cautela. Una intenzione criticata fino nel gabinetto di sicurezza. La gente della Striscia protesta che non può più vivere sotto la minaccia continua, il primo ministro è accusato di debolezza.

Hamas che con manifestazioni un po' meno aggressive si era trasformato per poco in un interlocutore possibile, è tornato a essere se stesso, e Abu Mazen che avrebbe voluto piegarlo tagliandogli i fondi forse è soddisfatto. La fiammata di ieri ha origine in una vicenda ancora misteriosa: Israele si è svegliata con l'annuncio che il comandante di Hamas a Khan Yunis, Nur el Din Baraka, era stato ucciso e con lui un suo luogotenente. Poco dopo, il nome avvolto nel segreto, si è saputo che un alto ufficiale di un'unità speciale israeliana era stato ucciso, che un altro soldato era ferito gravemente. Ufficialmente non si sa ancora il nome del comandante israeliano, un 41enne che lascia mogli e tre bambini e che viene chiamato soltanto «M» nella disperazione dei suoi cari che lo hanno sepolto alla presenza di migliaia di persone e del presidente della Repubblica Reuven Rivlin. Il giovane ucciso è stato definito un eroe che «ha fatto molto di più di quello che si possa rivelare». Qui pare non si sia trattato di un tentativo fallito di eliminazione, ma di un gruppo coperto speciale che già da tempo era infiltrato per raccogliere informazioni su armi e piani, e che è stato scoperto. Qui è cominciata la sparatoria e oggi l'attacco di viene chiamato reazione, vendetta, punizione. Ma ha ragione un cittadino che mentre corre nel rifugio e la sirena urla (come fa ogni cinque minuti) trascinando i suoi bambini grida: «Primo ministro, deciditi, non possiamo vivere così, rischiando la vita dei nostri figli ogni giorno».



Israele sotto attacco, ma La7 rovescia la realtà
Commento di Deborah Fait

http://tg.la7.it/esteri/gaza-80-razzi-s ... 018-133131

In un pomeriggio Hamas e la jihad islamica hanno lanciato dai 300 ai 400 missili su Israele, con un siluro hanno incenerito un autobus, hanno colpito un palazzo a Ashkelon, un centro commerciale, colpite anche tutte le città, villaggi, kibbutzim del sud . Molti feriti israeliani, un ragazzo di 19 anni è gravissimo. Tutta la popolazione del sud di Israele vive nei rifugi. 400 missili, non era mai successo in così breve tempo. L'attacco a Israele sta continuando mentre scrivo, il mio cellulare si è scaricato con tutti i zeva adom ricevuti. I media italiani hanno dato qualche notizia e, come spesso succede, il telegiornale de LA7 dovrebbe avere il premio dello schifo. Sonia Mancini nel servizio ha parlato di alcuni "insediamenti" israeliani colpiti tra cui Ashkelon. A questo punto non ci resta che pensare che molti giornalisti, oltre ad essere digiuni di storia, lo siano anche di geografia. Vorrei dire alla Mancini che Ashkelon è una città di Israele con bellissime spiagge sul mar Mediterraneo, 150.000 abitanti. Non è un insediamento come non lo sono tutte le città, paesi, kibbutzim di Israele che è uno stato sovrano, come molti altri, dove "gli insediamenti" vengono chiamati città. Allora chi mi spiega il motivo per cui è così difficile farlo con Israele? Per lo stesso motivo per cui non si dice che la capitale si chiama Gerusalemme e non Tel Aviv. La Mancini ha anche aggiunto che i missili su Israele sono la rappresaglia per una operazione israeliana nella striscia di Gaza in cui sono stati uccisi sette palestinesi tra cui un comandante terrorista. Nell'azione e' morto anche un tenente colonnello israeliano. Questa storia della rappresaglia è una palla enorme, proprio degna di Pallywood. Non si prepara un attacco del genere con il lancio di 400 missili in una nottata e l'operazione militare israeliana probabilmente è stata fatta nel tentativo di sventare qualcosa di grosso diversamente non sarebbero mai entrati. Mentre scrivo i missili continuano a cadere, Israele ha risposto colpendo vari siti tra cui la sede della televisione di Hamas. Un palazzone di tre piani che non c'è più. Adesso dovranno accontentarsi dei piccioni viaggiatori. Vedremo cosa diranno domani i media italiani e non mi faccio troppe illusioni. Repubblica.it ha già incominciato male con "Torna la violenza a Gaza" Torna la violenza? Innanzitutto Gaza la esporta la violenza e poi dove erano in questi otto mesi? Dormivano? Erano drogati? E nei 13 anni precedenti dove erano? A chi legge posso solo dire di immaginare cosa sarebbe successo se oggi pomeriggio dalla Slovenia avessero sparato 400 missili su Trieste e dintorni oppure se dall'Austria avessero colpito Vipiteno e Bolzano. Pensateci.



È tregua tra Israele e Hamas. Netanyahu contestato molto duramente
14 novembre 2018

https://www.rightsreporter.org/e-tregua ... gdAsgWp1Rg

È tregua tra Israele e Hamas. Dopo una riunione durata molte ore i ministri israeliani hanno deciso di accettare il cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite e dall’Egitto anche se in molti accusano il Premier, Benjamin Netanyahu, di aver “imprigionato” i ministri per sette ore pur di dare l’impressione che la decisione fosse unanime e non solo sua, il tutto per non avere un danno politico.

Ammesso e non concesso che tutto ciò corrisponda a realtà, la mossa di cui viene accusato Netanyahu è servita a ben poco.

Ieri sera, non appena si è diffusa la notizia della tregua tra Israele e Hamas, centinaia di persone sono scese in strada a Sderot per protestare contro la decisione del Governo. Hanno dato alle fiamme diversi copertoni bloccando anche il traffico e gridato «Bibi vai a casa».

Sono scoppiati anche diversi sconti tra la la polizia e i manifestanti. I vertici della polizia hanno detto che stavano lavorando per ripristinare l’ordine, che non avrebbero ostacolato la manifestazione di dissenso nei confronti del Premier ma che il tutto si sarebbe dovuto svolgere senza azioni volte al disturbo dell’ordine pubblico.

È la prima volta che Netanyahu viene contestato così duramente e apertamente.

Secondo Hadashot TV sarebbe solo l’inizio di una serie di proteste organizzate dai residenti del sud di Israele stanchi di essere sotto la continua minaccia dei missili di Hamas. Per i prossimi giorni sarebbero infatti in programma fragorose proteste anche a Tel Aviv oltre che nelle maggiori città del sud di Israele.

Dopo che in poche ore sono stati lanciati oltre 400 missili dalla Striscia di Gaza verso Israele i cittadini del sud che vivono in prossimità del confine con Gaza chiedevano una dura reazione da parte dell’esercito israeliano e addirittura un intervento di terra. Tutte richieste cadute nel vuoto dopo che il Governo ha deciso di accettare il cessate il fuoco con Hamas.

Il leader dell’Unione sionista Avi Gabbay ha espresso sostegno per i manifestanti dicendo che è stata una «risposta giustificata verso un governo che ha abbandonato i cittadini del sud di Israele».


UN NUOVO PASSO
Niram Ferretti

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 6001883566

Finalmente, un gesto chiaro. Avigdor Liberman si è dimesso da Ministro della Difesa dopo la penosa capitolazione israeliana di ieri a fronte dei terroristi di Hamas.
Sarebbe tempo sì, finalmente, di voltare pagina. Netanyahu ha dato tanto ma non è più l'uomo giusto al posto giusto. Così non si va da nessuna parte, tirando a campare.
Israele non può ispirarsi a Giulio Andreotti e alla DC per la sua gestione politica.
Ci vuole un nuovo passo.




È tempo di cambiare
Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/e-tempo-di-cam ... I1iHBxLQNQ

Dopo 460 razzi lanciati da Gaza sul sud di Israele nel giro di due giorni giunge la tregua concertata tra Egitto e Israele con il buon auspico economico del Qatar che prima che la situazione degenerasse aveva inviato a Hamas 15 milioni di dollari per pagare gli stipendi arretrati ai miliziani del gruppo terrorista, il Qatar che nel recente passato è stato tra i più solerti finanziatori di Hamas ma che ora sembra diventato virtuoso.

Hamas incassa i soldi e anche una comprensibile soddisfazione, infondo, malgrado Israele abbia risposto ai razzi diretti sul sud del paese in ambascia da mesi a causa dei continui tumulti ai confini tra Israele e Gaza, distruggendo 160 postazioni militari a Gaza, si ottengono i soldi e il combustibile che serve a fornire più elettricità e si prosegue. Con buoni motivi, Hamas ha festeggiato nelle strade.

Il tirare a campare che non solo soddisfa il gruppo terrorista islamico che dal 2007 controlla con pugno di ferro la Striscia, ma soddisfa anche Israele. Eppure è chiaro a chi abbia un minimo di senso della realtà che questa situazione in cui dei terroristi lanciano missili sullo Stato ebraico e dopo un po’ ottengono soldi e materia prima atta a mantenerli al potere, è la strada maestra per un circolo vizioso senza fine.

La verità è che da troppo tempo Israele ha rinunciato a una strategia di ampio respiro, a una visione generale relativa al problema Hamas e a come risolverlo definitivamente, preferendo gestire il problema senza mai osare troppo, acquisendo vantaggi alla giornata, e la stessa cosa la fa Hamas. Tuttavia c’è una differenza fondamentale. Hamas è un gruppo di terroristi, Israele è uno Stato democratico, Hamas è un’organizzazione analoga a qualsiasi altra organizzazione terroristica o mafiosa, e non è pensabile che uno stato democratico si faccia condizionare o meglio ricattare da una simile entità. Oggi su The Times of Israel, il direttore David Horovitz, certo non un “falco” ha scritto parole di risplendente buonsenso:

“I tumulti, la creazione di tunnel e il fuoco dei razzi costituiscono una estorsione. Se Israele non mette fine alla barriera di sicurezza che mantiene su Gaza, proclama Hamas, allora gli israeliani continueranno a sopportare gli attacchi dei razzi e dei mortai, la minaccia dei tunnel sotterranei, i palloni incendiari che bruciano i suoi campi. Ma se Israele allenterà il blocco di sicurezza, sicuramente Hamas sfrutterebbe questa opportunità per importare più armi e creare maggiore danno”.

Tenere buono Hamas significa semplicemente buying time, comprare tempo e ringalluzzire i terroristi. Tempo per cosa? Con quale prospettiva?

Daniel Pipes, tra i maggiori esperti internazionali di questioni mediorientali e presidente del Middle East Forum, in un recente articolo dal titolo emblematico Perché gli israeliani evitano la vittoria, ha scritto:

“Le guerre finiscono, come mostra l’esperienza storica, non arricchendo il nemico, ma privandolo delle risorse, riducendo le sue capacità militari, demoralizzando i suoi sostenitori e incoraggiando le rivolte popolari. A tal fine, gli eserciti, nel corso degli anni, hanno tagliato le strade per i rifornimenti, costretto le città alla fame, stabilito blocchi e applicato embarghi. In questo spirito, se Israele avesse intrapreso una guerra economica trattenendo alla fonte il denaro dei contribuenti, negando l’accesso ai lavoratori e interrompendo le vendite di acqua, cibo, medicine ed elettricità, le sue azioni avrebbero portato alla vittoria”.

Israele ha rinunciato da tempo alla vittoria, una vittoria piena e chiara, preferendo a un decisionismo senza ambiguità e riluttanze la gestione quotidiana del conflitto, ma non è così che si possa vincere, non è così che le Brigate Rosse in Italia o la Rote Armee Fraktion in Germania sono state sconfitte, non è così che Al Qaeda è stata messa in ginocchio. Sempre Pipes, nel medesimo articolo scrive:

“L’apparato di sicurezza di tipo difensivo conta enormemente perché spesso ha l’ultima parola sulla politica palestinese, come mostrato dall’episodio avvenuto sul Monte del Tempio del luglio 2017. Dopo che i jihadisti palestinesi avevano ucciso due poliziotti israeliani con le armi nascoste nella sacra spianata, il governo israeliano installò dei metal detector all’ingresso del Monte del Tempio, una decisione apparentemente indiscutibile. Ma Fatah chiese la loro rimozione e nonostante la popolazione e i politici israeliani desiderassero nella stragrande maggioranza che questi dispositivi rimanessero posizionati, essi scomparvero rapidamente perché l’apparato di sicurezza – compresi la polizia, la polizia di frontiera, lo Shabak, il Mossad e l’Idf – avvertì che lasciarli in loco avrebbe irritato i palestinesi e provocato violenze, caos e persino un collasso.

I servizi vogliono evitare accoltellamenti, attentati suicidi, una raffica di missili da Gaza e una intifada; ma soprattutto temono il collasso dell’Autorità palestinese o di Hamas, chiedendo un governo diretto israeliano sulla Cisgiordania e Gaza. Come afferma l’ex parlamentare Einat Wilf:

“Se l’apparato di difesa pensa che (…) i finanziamenti a Gaza comprino la calma, si farà tutto il possibile per assicurare che i fondi continuino a fluire, anche se ciò significa che la calma viene acquistata al costo di una guerra che andrà avanti per decenni”.

Le dimissioni di Avigdor Liberman, Ministro della Difesa e leader di Yesrael Beitenu, da tempo manifestatamente a disagio con la politica di appeasement e di tatticismo portata avanti dal governo Netanyahu, sono un segno palese di rottura con questo andamento, con il circolo vizioso dal quale non si esce, non si vuole programmaticamente uscire per eccesso di prudenza, inerzia, timore, e soprattutto perché all’attuale classe dirigente al governo in Israele manca una visione a largo respiro sul futuro.



Israele, il ministro della Difesa Lieberman si dimette e chiede elezioni anticipate
14 novembre 2018

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... ApYnAkNT2Y

L'ormai ex ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, che ha annunciato le proprie dimissioni dal governo, ha chiesto di indire elezioni anticipate. Durante la conferenza stampa alla Knesset a margine della riunione del suo partito Yisrael Beitenu, Lieberman ha detto che anche i membri del suo partito lasceranno il governo del premier Benjamin Netanyahu a seguito delle sue dimissioni. Si tratta di cinque deputati. Il governo Netanyahu si trova così sostenuto da 61 dei 120 deputati della Knesset.

"C'è una mancanza di chiarezza nella visione politica e della sicurezza dell'attuale governo ed è ora di presentare la data delle elezioni", ha detto. Lieberman aveva definito "una resa al terrorismo" il cessate il fuoco raggiunto lunedì conil movimento terrorista Hamas nella Striscia di Gaza, grazie alla mediazione di Egitto e Nazioni Unite.

Dal canto suo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha difeso la tregua, dicendo che i nemici di Israele "hanno implorato" lo Stato ebraico "di accettare questo cessate il fuoco".

"Quanto accaduto ieri con il cessate il fuoco con Hamas è una capitolazione davanti al terrore. Non vi sono altre parole. Ci compriamo una calma a breve termine al prezzo di una insicurezza a lungo termine", ha detto Lieberman, che da tempo premeva per un'operazione militare su larga scala contro Hamas nella Striscia di Gaza. Il ministro dimissionario si è scagliato anche contro il rinvio dell'evacuazione di Khan al Ahmar, il villaggio beduino della "scuola delle" gomme finanziata dalla cooperazione italiana.

Le prossime elezioni parlamentari israeliane sono previste per novembre 2019. Eventuali elezioni anticipate potrebbero tenersi a marzo.

Bennett: o assumo la Difesa o elezioni anticipate
In seguito alle dimissioni di Lieberman dalla carica di ministro della Difesa, il leader del partito nazionalista "Focolare ebraico" Naftali Bennett ha lanciato un ultimatum: o sarà lui ad assumere quell'incarico, oppure uscirà dalla coalizione di governo di Netanyahu. L'avvertimento formale giunto in serata da Bennett ha confermato così voci diffusesi in precedenza in ambienti parlamentati. Da parte loro il leader laburista Avi Gabay e l'ex ministra degli esteri Tzipi Livni hanno detto di essere pronti ad andare ad elezioni anticipate ''pur di vedere al più presto la fine di questo governo''.

Hamas esulta per le dimissioni di Lieberman
Hamas esulta per le dimissioni del ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, e le definisce una "vittoria per Gaza". Per il portavoce, Sami Abu Zuhri, "le dimissioni di Lieberman sono un'ammissione della sconfitta e dell'incapacità di affrontare la resistenza palestinese, ed è una vittoria politica per Gaza che è riuscita nella sua risolutezza e ha provocato un terremoto politico tra le fila dell'occupazione", ha detto Zuhri.


Il ministro della Difesa si dimette Israele verso elezioni anticipate

14 novembre 2018

http://moked.it/blog/2018/11/14/ministr ... Xw1SnUbGOQ

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha annunciato nelle scorse ore le sue dimissioni, chiedendo che si torni subito alle urne e che venga fissata il prima possibile la data delle elezioni anticipate. Lieberman ha annunciato che tutti i membri del suo partito, Yisrael Beiteinu, lasceranno la coalizione guidata dal Primo ministro Benjamin Netanyahu e aprendo una complicata crisi nella maggioranza di governo. Il motivo principale delle sue dimissioni, la decisione del gabinetto di sicurezza israeliano di arrivare a un cessate il fuoco con la Striscia di Gaza, dopo lo scontro degli scorsi giorni innescato dalle centinaia di missili lanciati da Hamas sul Sud d’Israele. “Quello che è accaduto ieri, il cessate il fuoco, insieme all’accordo con Hamas, è una capitolazione al terrore. Non c’è altro modo di definirlo”, le parole di Lieberman, contrario alla tregua così come all’accordo, mediato dall’Egitto, che ha portato nella Striscia di Gaza un ingente finanziamento proveniente dal Qatar. “Quello che stiamo facendo in questo momento è comprare la calma a caro prezzo, senza un piano a lungo termine per ridurre la violenza contro di noi”, l’accusa dell’oramai ex capo della Difesa, che ha puntato il dito anche contro l’esercito: “Per non calcare la mano, dico che la nostra risposta è stata drasticamente carente ai 500 razzi che ci hanno sparato contro”.
Lieberman era uno dei quattro ministri del gabinetto di sicurezza che nel corso di una riunione durata sei ore, si era opposto al cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Oltre a lui, il leader del partito HaBayt HaYehudi e ministro dell’Educazione Naftali Bennett, che ora, per rimanere nella coalizione, chiede che gli sia affidato il ministero della Difesa.
Il ritiro dalla coalizione di Yisrael Beiteinu significa che il Premier Netanyahu potrà ora contare su una risicata maggioranza alla Knesset: senza i sei parlamentari del partito di Lieberman, la coalizione può contare su 61 seggi su 120 totali. “Il governo può completare il suo mandato (autunno 2019)”, ha dichiarato una fonte del Likud – il partito di Netanyahu – in una nota girata ai giornalisti, spiegando che “In ogni caso, nel frattempo, il portafoglio della Difesa andrà al Primo ministro”. Secondo la giornalista israeliana Gili Cohen, diversi ministri hanno già espresso la loro contrarietà affermando che il Premier non è in grado di tenere per sé anche il ministero della Difesa, oltre a quello degli Affari Esteri e delle Comunicazioni. Uno tra Difesa e Esteri dovrà essere ceduto. “Per quanto ci riguarda, il portafoglio della Difesa deve andare a Bennett. – ha dichiarato Shuli Mualem di HaBayt HaYehudi – Se non dovesse accadere, non faremo più parte della coalizione”. Senza HaBayt HaYehudi non ci sarà maggioranza e inevitabilmente Netanyahu dovrà chiedere elezioni anticipate.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:55 am

Presa ferma sulla realtà: Intervista a Martin Sherman
Niram Ferretti
5 agosto 2018

http://www.linformale.eu/presa-ferma-su ... _pfL3TtmLM

L’antisemitismo islamico, pur non essendo limitato ai movimenti islamisti, è un fattore chiave nella guerra degli islamisti contro il mondo moderno.

Esso si cela dietro il desiderio di distruggere il “tumore canceroso” di Israele e ha motivato il recente attacco iraniano a Israele mediante un drone armato. Ispira la minaccia di Recep Tayyip Erdogan che gli israeliani non saranno in grado di “trovare un albero dietro cui nascondersi”, una chiara allusione a un hadith che esige l’uccisione degli ebrei[2]. Induce Mahmoud Abbas a negare ogni legame tra Gerusalemme e gli ebrei[1] e trasforma il conflitto politico tra Israele e gli arabi in una lotta religiosa tra il bene e il male.

L’antisemitismo islamico mobilita i terroristi dello Stato islamico per uccidere gli ebrei in Europa e garantisce che non solo ad Amman, ma anche a Berlino e Malmö gli arabi minaccino gli ebrei con questo particolare grido di battaglia: “Khaybar, Khaybar, o ebrei: l’esercito di Maometto tornerà”. Khaybar è il nome di un’oasi abitata dagli ebrei che Maometto conquistò nel sangue nel 628. È anche il nome di un fucile d’assalto di fabbricazione iraniana e di un tipo di razzo usato da Hezbollah contro le città israeliane nel 2006.

In questo articolo, parlerò in primo luogo delle caratteristiche dell’antisemitismo islamico. Cosa lo distingue dalle altre forme di odio verso gli ebrei? La seconda parte di questo scritto si occupa della storia dell’antisemitismo islamico, focalizzando l’attenzione sul libello L’Islam e gli ebrei e sulla sua diffusione da parte del Congresso di Bludan del settembre 1937. E per finire, mi occuperò di alcuni effetti attuali dell’antisemitismo islamico.

Che cosa significa il termine “antisemitismo islamico”?

Questo termine non è un attacco generale all’Islam, i cui testi includono anche riferimenti favorevoli agli ebrei né è un’accusa generale contro i musulmani, alcuni dei quali sono contrari all’antisemitismo. Piuttosto, si riferisce a uno specifico tipo di antisemitismo basato su una fusione di due risorse: l’antigiudaismo dell’Islam primitivo e l’antisemitismo moderno dell’Europa.

L’antisemitismo europeo, rappresentato dallo spettro del complotto ebraico mondiale, era estraneo all’immagine originale degli ebrei nell’Islam. Solo nella tradizione cristiana gli ebrei appaiono come una forza mortale e potente capace di uccidere anche l’unico figlio di Dio. Sono stati in grado di portare morte e rovina all’umanità – essendo ritenuti responsabili delle epidemie di peste. I nazisti credevano che gli ebrei governassero il mondo, e che quindi fossero responsabili di tutte le sue disgrazie. C’era, secondo la loro visione, un unico modo per redimere il mondo: l’annientamento sistematico degli ebrei.

Non è così nell’Islam. Qui, non furono gli ebrei a uccidere il Profeta, ma fu il Profeta che uccise gli ebrei: negli anni dal 623 al 627, Maometto schiavizzò, espulse o annientò tutte le tribù ebraiche a Medina. Pertanto, alcuni tratti tipici dell’antisemitismo cristiano non apparivano nel mondo musulmano: “Non c’erano timori di cospirazioni e dominio da parte degli ebrei, non c’era alcuna accusa di malvagità diabolica. Gli ebrei non furono accusati di avvelenare i pozzi né di diffondere la peste”[3].

Invece, i musulmani solevano trattare gli ebrei con disprezzo o con tolleranza condiscendente. L’odio verso gli ebrei promosso nel Corano e nella Sunna perseguiva l’obiettivo di tenerli sottomessi come dhimmi: l’ostilità era accompagnata dallo svilimento.

Nell’Iran sciita, gli ebrei erano considerati impuri. Quando pioveva, era loro vietato riversarsi nelle strade in modo che la loro “impurità” non contaminasse i musulmani. Questa impronta culturale faceva sembrare assurda l’idea nutrita dagli antisemiti cristiani che gli ebrei potessero rappresentare una minaccia permanente per il mondo.

Tuttavia, tutto cambiò con la comparsa dell’antisemitismo islamico. La sua essenza è la fusione dell’antigiudaismo islamico delle vecchie scritture con l’antisemitismo europeo moderno – da qui la combinazione delle peggiori immagini cristiane e islamiche degli ebrei.

Un esempio è la Carta di Hamas dove all’art. 7 si cita un hadith in cui il profeta Maometto afferma che i musulmani uccideranno gli ebrei “quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero. Allora, le pietre e gli alberi diranno: ‘O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo”. Al contempo, l’art. 22 dello stesso Statuto afferma che gli ebrei “organizzarono la Prima guerra mondiale (…) [e] la Seconda guerra mondiale. (…) Nessuna guerra è mai scoppiata senza che si trovassero le loro impronte digitali”[4].

Questo testo ritrae al contempo gli ebrei, da una parte, come degradati, in fuga e nascosti, e, dall’altra, come i veri e segreti governanti del mondo. Logicamente, questa combinazione è tanto assurda quanto la convinzione nazista che gli ebrei controllassero sia il comunismo sia Wall Street.

Ma così facendo, entrambe le componenti si radicalizzano: l’antisemitismo europeo si alimenta tramite l’impeto religioso e fanatico dell’Islam radicale, mentre il vecchio anti-giudaismo del Corano – integrato dalla teoria del complotto mondiale – è contraddistinto da una nuova peculiarità finalizzata a eliminare gli ebrei.

Un rilevante tratto distintivo di questa nuova peculiarità è la convinzione che gli ebrei di tutto il mondo, in combutta con Israele, siano dietro un complotto sinistro per minare e sradicare l’Islam.

Già negli anni Trenta, Amin al-Husseini, il Mufti di Gerusalemme, sosteneva che gli ebrei fossero impazienti di distruggere i luoghi sacri dell’Islam a Gerusalemme. Negli anni Cinquanta, Sayyid Qutb continuò questa propaganda nel suo pamphlet “La nostra lotta contro gli ebrei” in cui scrisse: “La feroce guerra che gli ebrei hanno lanciato contro l’Islam (…) non si è estinta, nemmeno per un istante, per quasi quattordici secoli fino ad ora, il suo bagliore infuria in ogni angolo del globo”[5].

Il VII secolo è di nuovo associato al XX secolo e alle affermazioni coraniche sugli ebrei unitamente alla visione di una cospirazione mondiale. Questo punto di vista esclude i compromessi: “I musulmani e gli ebrei sono bloccati in uno scontro totale e senza tempo, finché gli uni non sottometteranno definitivamente gli altri”[6]. Pertanto, il conflitto politico tra arabi e sionisti sulla Palestina si è islamizzato e si è trasformato in una lotta religiosa di vita e di morte. Come e quando si è generato questo tipo di odio verso gli ebrei?

L’Islam e gli ebrei e la Conferenza di Bludan

L’antisemitismo islamico non si sviluppò spontaneamente ma fu inventato e usato come un mezzo per un fine. Questo processo iniziò circa 80 anni fa nell’ambito dei tentativi arabi di fermare l’immigrazione sionista in Palestina, che aumentò considerevolmente negli anni Trenta.

Il primo testo che diffondeva il puro e semplice odio verso gli ebrei in un contesto islamico, mescolando alcuni episodi antiebraici della vita di Maometto con la cosiddetta malvagità degli ebrei nel XX secolo, fu un opuscolo di 31 pagine in lingua araba intitolato L’Islam e gli ebrei, pubblicato il 18 agosto 1937 al Cairo.

Da un lato, questo testo si basa sulle tradizioni dell’Islam primitivo: “La battaglia tra gli ebrei e l’Islam ebbe inizio quando Maometto fuggì dalla Mecca a Medina”, si legge nell’opuscolo.

“A quel tempo i metodi ebraici erano già gli stessi di oggi. La loro arma era la diffamazione. (…) Dissero che Maometto era un truffatore (…), cercarono di minare l’onore di Maometto (…), iniziarono a porre a Maometto domande insensate e irrisolvibili. (…) Ma anche con questo metodo, come prima, non hanno avuto successo. Così essi (…) hanno cercato di eliminare i musulmani”.

Allo stesso tempo, il testo attacca gli ebrei nella dizione di antisemitismo europeo definendoli “grandi uomini d’affari”, “sfruttatori”, “microbi” e diffusori di peste. Fin dai tempi di Maometto, si legge nel testo, gli ebrei hanno costantemente cercato di “distruggere i musulmani”. “I versetti coranici e gli hadith”, arguisce l’opuscolo,

“ dimostrano che gli ebrei sono stati i nemici più acerrimi dell’Islam e continuano a cercare di distruggerlo. Non credetegli, conoscono solo l’ipocrisia e l’astuzia. Tenete duro, lottate per il pensiero islamico, per la vostra religione e la vostra esistenza! Non riposate finché la vostra terra non sarà priva di ebrei”[7].

Questo opuscolo fu innovativo sotto molti aspetti.

Innanzitutto, mentre la letteratura islamica classica tratta la lotta di Maometto con gli ebrei come se fosse un episodio minore della vita del Profeta, ora “il conflitto di Maometto con gli ebrei è presentato come un tema centrale della sua attività e alla loro ostilità nei suoi confronti viene conferito un significato cosmico”[8].

In secondo luogo, le componenti antiebraiche dell’Islam, che erano state in precedenza latenti o di minore importanza ricevettero tutto d’un tratto nuovo vigore.

In terzo luogo, i versetti antiebraici contenuti nel Corano sono stati generalizzati e ritenuti validi per il XX secolo: concordi con il razzismo europeo, agli ebrei è stata attribuita una certa natura immutabile con caratteristiche negative.

In quarto luogo, gli schemi religiosi sono stati combinati con elementi di una paranoica teoria del complotto: i musulmani erano considerati vittime eterne (“Tentano di eliminare i musulmani”) per legittimare nuove forme di aggressione (“Non riposate finché la vostra terra non sarà priva di ebrei”), le quali ricordavano più le politiche dei nazisti che il comportamento di Maometto.

Nel settembre 1937, questo pamphlet assunse rilevanza grazie alla sua diffusione al “Congresso nazionale arabo”, tenutosi a Bludan, una stazione termale in Siria, 50 km a nord-ovest di Damasco.

Questo congresso che si svolse dall’8 al 10 settembre 1937, plasmò l’evoluzione del conflitto mediorientale per due ragioni: in primo luogo, fu il punto di partenza di un movimento panarabo centrato sulla lotta contro il sionismo. Inoltre, fu il luogo dal quale l’opuscolo L’Islam e gli ebrei raggiunse il mondo arabo.

Entrambi gli sviluppi sono collegati al nome di Amin al-Husseini.

Quest’ultimo voleva evitare la spartizione della Palestina in uno stato ebraico e in uno arabo come proposto nel giugno 1937 dalla britannica “Commissione Peel” e sostenuta da Londra. Sconfiggere il “Piano Peel” e intimidire quegli arabi che erano favorevoli a esso era lo scopo principale del Congresso di Bludan.

Il Mufti non poté partecipare di persona. Il 17 luglio 1937, un tentativo da parte del Mandato britannico di arrestarlo fallì[9]. Successivamente, Amin al-Husseini rimase nascosto nel distretto della moschea di Gerusalemme fino all’ottobre 1937, quando fuggì a Beirut. Ciononostante, i partecipanti al congresso lo nominarono presidente onorario dell’Assemblea.

Già nel giugno 1937, il Mufti si era recato a Damasco per preparare il Congresso di Bludan e nominare i responsabili per le sue ulteriori disposizioni[10]. Secondo un rapporto del console generale tedesco a Beirut, Amin al-Husseini “mise a disposizione le risorse finanziarie per affittare i due più grandi hotel di Damasco e Bludan, e garantire gratuitamente un gran numero di camere ai partecipanti al congresso”[11].

Non c’è da stupirsi, quindi, che il congresso abbia attirato 411 partecipanti, anche se soltanto 250 persone furono ammesse nella sala del “Grand Hotel di Bloudan”, dove si svolse l’evento. Centosessanta provenivano dalla Siria, 128 dalla Palestina, 65 dal Libano, 30 dalla Transgiordania, 12 dall’Iraq, 6 dall’Egitto e un delegato dall’Arabia Saudita. Tra loro c’erano importanti personalità come l’ex primo ministro iracheno Naji al-Suwaidi, che presiedette l’incontro. I membri attivi dei governi arabi, tuttavia, rimasero lontani da questa performance anti-britannica.

Questo congresso non fu un evento pubblico. Anche ai giornalisti non fu consentito di essere presenti ai colloqui. Ma il colonnello Gilbert MacKereth, che era all’epoca il console britannico a Damasco, fece in modo che una persona di sua fiducia partecipasse al congresso.

Sulla base delle relazioni di questa spia, MacKerreth nel suo “memorandum sul Congresso di Bludan” del settembre 1937, definì l’evento come “una manifestazione di giudeofobia”. A questo proposito, egli fece riferimento a

“un pamphlet sorprendentemente incendiario intitolato ‘Gli ebrei e l’Islam’ che fu consegnato a ogni membro del congresso al suo arrivo. Era stato stampato in Egitto”.

L’annesso V del memorandum di MacKereth, scritto dalla sua spia, reca il titolo: “Descrizione di un Pamphlet violentemente anti-ebraico stampato al Cairo per conto del Comitato di difesa della Palestina che fu distribuito a ognuno dei partecipanti al Congresso di Bludan”. Questo memo fornisce una sintesi del contenuto del pamphlet, senza lasciare dubbi sul fatto che la pubblicazione stampata al Cairo nell’agosto 1937 fu distribuita in quel contesto[12].

Durante la guerra, la Germania nazista stampò e diffuse L’Islam e gli ebrei pressoché invariato, in diverse lingue ed edizioni. Ad esempio, c’è la prova che nel 1942 le autorità spagnole sequestrarono circa 1500 copie di “un pamphlet di propaganda tedesco in lingua araba intitolato ‘L’Islam e gli ebrei’” che era stato inviato al consolato tedesco a Tangeri. Secondo il ministero degli Esteri tedesco, questi opuscoli avrebbero dovuto essere distribuiti “con discrezione” nel Marocco spagnolo.

Le autorità spagnole, tuttavia, che governavano a Tangeri, lo impedirono. Erano dell’opinione che “la diffusione di simili testi propagandistici diretti contro gli elementi ebraici nel Marocco spagnolo non poteva essere consentita” e tutte le copie furono confiscate e distrutte[13].

Nel 1943, a Zagabria furono stampate altre 10mila copie dello stesso pamphlet, questa volta in serbo-croato (Islam I Zidovstvo), e distribuite in Bosnia e Croazia.

Metà dei testi fu fatta circolare tra i musulmani dell’ufficio locale dello Squadrone di propaganda Croazia a Banja Luka; le copie rimanenti furono distribuite a Sarajevo. Altre copie furono pubblicate e distribuite in lingua tedesca[14].

Sebbene attualmente non si conosce la portata della diffusione di questo opuscolo, L’Islam e gli ebrei potrebbe essere considerato come il precursore del famigerato testo di Sayyid Qutb, La nostra lotta contro gli ebrei, degli anni Cinquanta. Nella sua opera di grande rilievo, Islam and Nazi Germany’s war, David Motadel considera L’Islam e gli ebrei come “uno dei più significativi esempi di questo tipo di propaganda antiebraica diffusa tra i musulmani”[15], mentre lo storico Jeffrey Herf ritiene che questo testo sia “uno dei testi fondanti della tradizione islamista, un libello che definiva la religione dell’Islam come una fonte di odio verso gli ebrei”[16]. Ma chi, in effetti, pubblicò e scrisse L’Islam e gli ebrei?

Chi autorizzò L’Islam e gli ebrei?

L’editore della prima edizione in arabo di L’Islam e gli ebrei fu Mohamad Ali al-Taher, direttore dell’“Ufficio di informazione arabo-palestinese” in Egitto. Al-Tawer era un noto giornalista palestinese che viveva al Cairo da molti anni.

Secondo il professore norvegese di Studi sul Medio Oriente, Brynjar Lia, egli era uno dei “contatti palestinesi al Cairo” di Amin al-Husseini e avrebbe contribuito al trasferimento del denaro nazista tedesco ai Fratelli Musulmani egiziani[17]. Sir Miles Lampson, ambasciatore della Gran Bretagna in Egitto, lo definì un “noto agitatore”[18]. Al-Taher fu anche coinvolto nel Congresso di Bludan come membro del suo Comitato di propaganda.

Ciononostante, non era l’autore del pamphlet. “Un eminente arabo fu l’autore di questo libello sugli ebrei e sul loro comportamento”, scrisse al-Taher nella sua breve prefazione a L’Islam e gli ebrei “e lo apprezziamo molto”[19]. Ma chi era quell’“eminente arabo”?

Questo segreto non fu rivelato né al Cairo nell’agosto 1937 né a Bludan, un mese dopo. Fu in Germania che Amin al-Husseini venne designato la prima volta come il presunto autore di L’Islam e gli ebrei. Nel 1938, a Berlino, lo “Junker und Dünnhaupt Verlag” pubblicò l’intero opuscolo con il titolo: “Islam-giudaismo. L’appello del Mufti al mondo islamico nel 1937”[20]. Nelle successive edizioni pubblicate dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, il Mufti continuò a essere designato come l’autore.

Se al-Husseini fosse di fatto l’unico promotore e autore di questo libello è tuttavia una questione aperta. Non c’è dubbio che i nazisti hanno usato questo opuscolo per i loro scopi propagandistici. Erano anche coinvolti nell’ideazione? Da un lato, il testo in arabo è caratterizzato da uno stile di scrittura poetico, come si può ravvisare in altri testi del Mufti[21]. Dall’altro, il Mufti non ne rivendicò mai la paternità.

I propagandisti nazisti, nei loro tentativi di mobilitare gli arabi contro gli ebrei, avevano scoperto che il loro antisemitismo razzista era stato accolto con incomprensione. Di conseguenza, iniziarono a usare il credo islamico come telecomando per ottenere l’accesso alle masse musulmane. Per citare David Motadel:

“Berlino fece un uso esplicito della retorica religiosa, della terminologia e del linguaggio figurato e cercò di impegnarsi e di reinterpretare la dottrina religiosa e i concetti. (…) I testi sacri come il Corano (…) furono politicizzati per incitare alla violenza religiosa contro i presunti nemici comuni. (…) La propaganda tedesca combinava l’Islam con l’agitazione antiebraica fino a un livello che sino ad allora era disconosciuto al mondo musulmano moderno”[22].

Nel 1937, i nazisti erano i più stretti alleati di al-Husseini. L’“unica grande potenza interessata alla vittoria araba sugli ebrei di Palestina e che godeva della piena fiducia da parte degli arabi era la Germania”, affermava Fritz Grobba, l’ambasciatore tedesco a Baghdad, in un report riguardante una visita effettuata dagli emissari del Mufti all’inizio del gennaio 1937[23]. Nell’estate del 1937, quando il Mufti si nascondeva sul Monte del Tempio a Gerusalemme, egli entrò in contatto con i rappresentanti della Germania nazista attraverso un intermediario.

A quel tempo, i propagandisti nazisti avevano già scoperto il potenziale antisemita dell’Islam. Così, nell’aprile 1935, la rivista nazista Weltkampf pubblicò un articolo sul “movimento antisemita nell’Islam”[24]. In seguito, Johann von Leers, uno dei più famosi agitatori nazisti, pubblicò dei saggi sugli “ebrei e l’Islam come opposti”[25]. Lo storico Robert Wistrich racconta che von Leers “aveva elogiato l’Islam nel 1936 per aver eliminato con successo la ‘minaccia ebraica’ in Arabia”[26].

Lo storico tedesco Martin Finkenberger, che ha approfonditamente studiato la biografia di Johann von Leers, scrive:

“Secondo quanto affermato da von Leers, egli era in contatto almeno dal 1933 con degli studenti arabi residenti a Berlino, alcuni dei quali avevano legami con Al-Husseini. (…) Von Leers sostiene di essere entrato in contatto con il Mufti intorno al 1936”[27].

Non è ancora chiaro come si sia giunti alla stesura e alla pubblicazione de L’Islam e gli ebrei e quale ruolo abbiano avuto i nazisti in questo. Inoltre, non sappiamo quali contatti possa avere avuto al-Taher, l’editore di questo libello, con gli agenti tedeschi in Egitto, nel 1937.

Da un lato, ”l’Ufficio di Informazioni arabo palestinese”, da lui diretto, era sospettato di collaborare con gli agenti nazisti[28]. Dall’altro lato, suo figlio, Hassan Eltaher, disse che a suo padre era stato chiesto di contattare gli agenti nazisti. Ma lui si era rifiutato di farlo e non aveva mai avuto alcun contatto[29].

Non è chiaro come sia stata orchestrata la traduzione tedesca del 1938 di L’Islam e gli ebrei e chi l’abbia curata. Non si sa nemmeno perché Ferdinand Seiler, allora console tedesco a Beirut, non menzionò questo pamphlet nelle quattro pagine di rapporto sul Congresso di Bludan[30].

Dopotutto, la Germania aveva una posizione privilegiata a Bludan: sebbene il congresso non fosse aperto agli osservatori internazionali non arabi, l’addetto stampa del NSDAP/AO a Beirut riuscì a partecipare alla conferenza grazie ai suoi contatti personali con alcuni degli organizzatori[31]. Il quotidiano nazista Völkischer Beobachter dette notizia di questo evento, con tanto di foto[32].

Mentre gli storici devono ancora rispondere a importanti domande sul pamphlet e su Bludan, il contesto politico che facilitò la comparsa dell’antisemitismo islamico è abbastanza chiaro.

Nella sua breve prefazione, Al-Taher collegò L’Islam e gli ebrei alla lotta contro la spartizione della Palestina, come proposta nel 1937 nel Piano Peel e scrisse che l’Ufficio di Informazioni arabo palestinese pubblicò questo lavoro perché i musulmani e gli arabi “dovrebbero sapere degli ebrei, proprio ora che gli ebrei cercano di creare uno stato eliminando i musulmani e gli arabi”[33].

Lo stesso libello culmina nel seguente invito: “Non si può tollerare il piano di spartizione, perché la Palestina è un paese arabo da secoli e dovrebbe rimanere arabo per sempre”[34]. L’Islam e gli ebrei intendeva pertanto teologizzare il conflitto territoriale tra gli ebrei e gli arabi per impedire l’attuazione di una proposta di spartizione della Palestina – il primo importante tentativo di compromesso – che inizialmente aveva incontrato un certo grado di approvazione da parte di alcuni arabi moderati.

Al contempo, l’antisemitismo islamico aveva l’obiettivo di far fronte agli ebrei con una specie di guerra totale: se il male degli ebrei è immutabile e permanente, trascendendo il tempo e le circostanze, c’è solo un modo per purificare il mondo: la loro totale espulsione o l’annientamento.

Questa idea fu diffusa quotidianamente tra il 1939 e il 1945 dalle trasmissioni in lingua araba della Germania nazista[35]. Così, nel dicembre 1942, Al-Husseini pronunciò un discorso all’inaugurazione dell’Istituto centrale islamico a Berlino, in cui dichiarava che “l’odierna comunità ebraica mondiale” avrebbe condotto l’umanità “nell’abisso della perdizione, proprio come fece quando il Profeta era in vita”. Fu “la stessa influenza ebraica, (…) che ha perseguitato le persone in questa estenuante guerra, il tragico destino di cui beneficiano soltanto gli ebrei”[36]. La fantasia che gli tutti gli ebrei fossero dietro la Seconda guerra mondiale e che trassero profitto da essa proviene direttamente dall’arsenale della propaganda nazista[37].

In un discorso diffuso nel marzo 1944, il Mufti definiva gli ebrei “bacilli” e “microbi” ed esortava i musulmani “a spingere tutti gli ebrei fuori dalla Palestina e dagli altri paesi arabi e islamici con determinazione e forza. A investire tutti gli sforzi per garantire che non vi sia più un solo ebreo o un solo colonialista in questi paesi”[38].

Entrambi gli aspetti contraddistinguono l’antisemitismo ancora oggi: il rigoroso divieto di scendere a compromessi con gli ebrei e la richiesta di espellerli o distruggerli. La pubblicazione di L’Islam e gli ebrei e le successive campagne dell’antisemitismo islamico hanno cambiato la percezione degli ebrei in seno alle società islamiche.

Hanno rafforzato una lettura esclusivamente anti-ebraica dei testi sacri islamici, hanno diffuso su larga scala le teorie complottistiche europee nel mondo arabo e continuano ad agitarsi contro il progetto sionista in termini genocidi, come mostrano i due esempi qui di seguito.

“La soluzione finale” escatologica

“Chiunque cerchi proclami anti-ebraici islamici può perfino trovare una tradizione secondo la quale la Resurrezione sarà preceduta da un massacro degli ebrei da parte dei musulmani – una ‘soluzione finale’ escatologica”, scriveva Yehoshafat Harkabi nel suo studio seminale del 1972, Arab attitudes to Israel (Atteggiamenti arabi nei confronti di Israele)[39]. Come prova, egli citava il seguente hadith contenuto nel pamphlet del 1937 L’Islam e gli ebrei:

“Disse il Profeta, su cui sia la pace: l’ora della Resurrezione non arriverà fino a quando i musulmani non combatteranno gli ebrei e i musulmani li uccideranno, finché gli ebrei si nasconderanno dietro pietre e alberi, e le pietre e gli alberi diranno: Oh musulmano, servo di Allah, c’è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo! Ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei. Disse l’imam al-Tabari: Il Gharqad è un albero famoso, dotato di spine, che si trova a Gerusalemme, dove avverrà l’uccisione del Dajjal e degli ebrei”.

Questo è un hadith particolarmente crudele. Non solo rende l’uccisione degli ebrei essenziale per la salvezza finale dei musulmani, ma esige anche che dagli alberi – simbolo della natura vivente – e dalle pietre – simbolo della natura morta – che gli ebrei vengano uccisi, come se fosse l’intero universo a condannarli a morte. È un hadith sadico perché mostra l’ebreo non come pericoloso, ma come una figura spaventata e tremante che cerca di nascondersi, ma che comunque è trascinata fuori dal suo nascondiglio e inesorabilmente uccisa.

Tali espressioni, continua Harkabi, “non si può dire che siano una parte essenziale dell’Islam; sono latenti, persino sconosciute ai suoi seguaci (…) purché non vengano ripetute con una certa frequenza”[40].

Ma questo è esattamente quello che è successo. Nel 1937, iniziò la divulgazione di questo hadith crudele, che oggi è certamente, almeno nel mondo arabo, uno dei più conosciuti e citati.

Nel 1937, il Foreign Office di Londra ne venne a conoscenza per la prima volta quando il ministro arabo-saudita a Londra informò un funzionario del Foreign Office britannico, “in merito alla propaganda anti-ebraica che viene condotta tra i musulmani più ignoranti e fanatici della maggior parte dei paesi arabi”. E questo ministro fornì al Ministero degli Esteri britannico la versione araba di questo hadith con la traduzione inglese[41].

Vent’anni dopo, non solo “i musulmani ignoranti e fanatici”, ma anche l’élite religiosa diffuse questo testo. L’Università al-Azhar del Cairo, ad esempio, il più antico e prestigioso centro d’insegnamento religioso musulmano, dedicò il numero dell’ottobre 1968 del suo periodico mensile Majallat al-Azhar a un articolo di approvazione su questo hadith.

Il suo autore, Sheikh Nadim Al-Jisr, un membro dell’Accademia di ricerca islamica, ne sottolineava l’importanza contemporanea[42]. Per tredici secoli, il suo significato rimase nascosto, egli spiegava, perché non era appropriato uccidere le inermi minoranze ebraiche. Ma alla fine il suo significato fu rivelato. Per consentire a questo hadith di trovare attuazione, Dio aveva ordinato che gli ebrei raggiungessero il potere e creassero uno stato, il che facilita e giustifica l’ucciderli tutti[43].

Nel suo libro, “The People of Israel in the Qur’an and the Sunnah”, Mohammed Sayyed Tantawi, il Grande Sceicco di al-Azhar tra il 1996 e il 2010, ha aggiunto il suo sostegno alla tesi che la distruzione di Israele è divinamente predestinata[44]. I musulmani non potevano distruggere gli ebrei mentre erano sparsi nel mondo. Pertanto, secondo Tantawi, lo scopo principale dell’assembramento degli ebrei in esilio e la creazione dello Stato di Israele è l’attuazione della promessa di Allah di annientarli[45].

Egli cita il suddetto hadith come prova “che sarebbe scaturita una guerra decisiva tra musulmani ed ebrei, in cui i musulmani avrebbero vinto a patto che (…) guidassero l’imminente battaglia per la Palestina come una lotta religiosa”[46].

La Rivoluzione iraniana del 1979 rafforzò ulteriormente l’interpretazione religiosa del conflitto palestinese. Nel 1988, Hamas incluse l’hadith degli alberi e delle pietre nella sua Carta, in vigore ancor oggi. Da allora, le promesse genocide di questo hadith sono state reiterate in moltissimi sermoni e in numerose sue varianti esistenti in molte parti del mondo islamico[47].

L’interpretazione sciita dell’hadith, ad esempio, prevede che la battaglia vittoriosa contro gli ebrei causerà il ritorno del Messia sciita, il Dodicesimo Imam. Il Grande Ayatollah dell’Iran, Nuri Hamadani, ha insistito sul fatto che sia necessario “combattere gli ebrei e sconfiggerli in modo che le condizioni per l’avvento dell’Imam Nascosto [vale a dire il Messia sciita] siano soddisfatte”. Egli ha basato la redenzione dei musulmani o addirittura dell’intero mondo sulla distruzione di Israele[48].

La “soluzione finale” dell’Iran per la Palestina

I governanti iraniani considerano chiaramente l’ambizione di distruggere Israele come parte di una guerra religiosa.

Già nel 1963, all’inizio della sua carriera, Ruhollah Khomeini concentrò i suoi attacchi antisemiti contro “i nemici del Corano”, riferisce il suo biografo Amir Taheri. Khomeini consigliò ai suoi seguaci di “rammentare e spiegare le catastrofi inflitte all’Islam dagli ebrei e dai baha’i”. Egli affermò che il governo israeliano aveva stampato milioni di copie di “un Corano falsificato” nel tentativo di “distruggere la nostra gloriosa fede”[49].

In seguito, Khomeini, che era stato un ascoltatore regolare delle trasmissioni in lingua persiana dei nazisti, concentrò i suoi attacchi sull’affermazione che gli ebrei in combutta con Israele erano dietro un complotto per distruggere l’Islam:

“Israele non vuole che il Corano sia in questo regno. Israele non vuole che gli ulema dell’Islam restino in questo regno. Israele non vuole che le leggi dell’Islam governino questo paese”[50].

Khomeini diffuse il concetto dell’estinzione di Israele per motivi religiosi – come una precondizione per l’unità musulmana e la rinascita islamica, nonché come un dovere fondamentale nella lotta contro la “corruzione morale” incarnata da una decadente cultura occidentale. Allo stesso modo, il successore di Khomeini, il leader della Rivoluzione iraniana Ali Khamenei, ha descritto “la guerra in Palestina [come] una guerra all’esistenza dell’Islam”: “Il destino del mondo dell’Islam e il destino dei paesi islamici (…) dipendono dal destino della Palestina”. La sua conclusione è chiara: “Noi crediamo che l’annientamento del regime israeliano sia la soluzione al problema della Palestina”[51].

Possiamo qui ravvisare il frutto di una fissazione, secondo la quale gli ebrei vogliono sradicare l’Islam: l’annuncio e la preparazione di una guerra contro Israele dettata da motivi religiosi, che riguarda non solo la regione, ma il mondo intero.

Oggi, come ottanta anni fa, l’obiettivo distruttivo dell’antisemitismo islamico va di pari passo con una dichiarazione di guerra contro i cosiddetti collaboratori: “Tutti gli arabi che collaborano con gli ebrei dovrebbero essere distrutti prima che aiutino gli ebrei a distruggerci”, proclamava il programma radio in lingua araba della Germania nazista nell’aprile del 1943[52]. Una generazione dopo, Khomenei dichiarò: “È dovere di tutti i paesi islamici eliminare totalmente Israele. (…) Qualsiasi contatto con Israele e i suoi agenti (…) è proibito religiosamente e costituisce una ostilità nei confronti dell’Islam”[53. Un’altra generazione dopo, Ahmadinejad esclamò: “Se qualcuno (…) riconosce il regime sionista, dovrebbe sapere che brucerà nel fuoco dell’Ummah [nazione] islamica”[54]. Infine, nell’aprile 2018, dopo che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman aveva riconosciuto il diritto di Israele a esistere, Ali Khamenei ha risposto immediatamente e ha attaccato questo “atto di tradimento da parte di alcuni capi di Stato arabi” definendolo “un grande e imperdonabile peccato”[55].

L’antisemitismo islamico, da un lato, non ha perso nulla del suo potenziale distruttivo: insieme al culto del martirio, esso appartiene al repertorio ideologico degli islamisti sciiti e sunniti e alimenta la loro guerra anti-ebraica, non solo ad Ankara, a Ramallah e ad Amman, ma anche durante le manifestazioni di protesta a Malmö e a Berlino. La sua avversione per la pace con Israele aumenta il pericolo di una guerra totale.

Dall’altro lato, noi stiamo assistendo a un periodo di disgelo in parte del mondo arabo, non solo rispetto a Israele, ma anche riguardo ai nuovi dibattiti sull’antisemitismo e sull’Islam. Di recente, ad esempio, ‘Abd Al-Hamid Al-Hakim, un intellettuale saudita di spicco, ha esortato attraverso Twitter “a sradicare la cultura dell’odio per gli ebrei”, mentre il suo collega Mash’al Al-Sudairi ha accusato Amin al-Husseini nelle pagine del quotidiano saudita che ha sede a Londra Al-Sharq Al Awsat asserendo: “Fu lui a cercare di combinare l’ideologia dei Fratelli Musulmani e quella nazista” e “danneggiò la causa [palestinese] più di chiunque altro”[56].

Questo saggio puntualizza che l’antisemitismo islamico è una invenzione relativamente recente che i nazisti usarono come parte della loro propaganda. Forse, nel contesto di un dibattito intra-islamico, i tempi sono maturi per una seria sfida a questa ideologia.

Parte di questo documento di lavoro è stata presentata per la prima volta alla Conferenza internazionale su “l’Islam e l’antisemitismo”, organizzata dall’Institute for Jewish Studies (Università di Vienna), dal Kantor Center for the Study of Contemporary European Jewry (Tel Aviv University) e dall’Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy dell’Università di Vienna, l’8 novembre 2016.

Questa è la versione prestampata di un articolo che sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista Antisemitism Studies (Antisemitism Studies 2.2., October 2018), pubblicata dalla Indiana University Press e curata da Catherine Chatterley, Canadian Institute for the Study of Antisemitism (CISA), University of Manitoba. Si veda: www.antisemitismstudies.com/index.htm

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’articolo originale in lingua inglese

[1] Alexander Gruber, “Erdogans Erlösungsantisemitismus:,Kein Baum wird die Juden schützen”, MENA-WATCH, December 15, 2017, consultato il 3 maggio 2018, https://www.mena-watch.com/mena-analyse ... schuetzen/.

[2] “Abbas at OIC summit: Israel‘s violations absolve us from our commitments,” WAFA-News-Agency, Dec. 13, 2017, consultato il 3 maggio 2018, http://iinanews.org/page/public/news_de ... urNEpdCTcs

[3] Bernard Lewis, Semites and Anti-Semites. An Inquiry into Conflict And Prejudice, (London: Weidenfeld and Nicolson, 1986) 122.

[4] Statuto di Hamas del 1988, consultato il 3 maggio 2018, http://avalon.law.yale.edu/20th_century/hamas.asp.

[5] Ronald L. Nettler, Past Trials and Present Tribulations. A Muslim Fundamentalist’s View of the Jews (Oxford: Pergamon Press, 1987) 83-4.

[6] Martin Kramer, “The Jihad Against the Jews,” Commentary, March 14, 2004, consultato il 3 maggio 2018, https://www.commentarymagazine.com/arti ... -the-jews/.

[7] Tradotto dalla versione tedesca di “Islam-Judentum. Aufruf des Großmufti an die islamische Welt im Jahre 1937” in: Mohamed Sabry, Islam-Judentum-Bolschewismus (Berlin: Junker & Dünnhaupt, 1938) 22-32. Secondo Andrew G. Bostom, non c’è “alcuna prova del fatto che i temi centrali dell’antisemitismo cristiano europeo siano invocati in questo testo. Cfr. Andrew G. Bostom, The Mufti’s Islamic Jew-Hatred (Washington, D.C.: Bravura Books 2014) 33. L’opuscolo di Bostom contiene una traduzione completa (anche se talvolta imprecisa) del testo tedesco di L’Islam e gli ebrei, in lingua inglese.

[8] Lewis, Semites and Anti-Semites, 128.

[9] Matthias Küntzel, “Terror und Verrat. Wie der Mufti von Jerusalem seiner Verhaftung entging,” Mena-Watch Wien, Juli 5, 2017, consultato il 3 maggio 2018, http://www.matthiaskuentzel.de/contents ... und-verrat.

[10] Yehuda Taggar, The Mufti of Jerusalem and Palestine Arab Politics, 1930-1937 (New York & London: Garland Publishing, 1986) 454.

[11] Il rapporto sul Congresso di Bludan del 16 settembre 1937, British National Archive (BNA), GFM 33/611, Serial 1525.

[12] Il memo di MacKereth del 14 settembre 1937, compresi gli allegati dall’1 al 6 è pubblicato in: Elie Kedourie, “The Bludan Congress on Palestine, September 1937,” Middle Eastern Studies 17. no. 1 (1981), 107-125. Questo è attualmente l’unico report conosciuto della distribuzione di “Islam and Jewry” a Bludan. Questa fonte, tuttavia, sembra essere credibile. Kedourie ha elogiato MacKereth nel suo suddetto articolo definendolo come “uno dei più astuti e più esperti rappresentanti britannici in Medio Oriente – forse anche il più intelligente e il più valido dei giudizi espressi in questo particolare periodo”.

[13] Beschlagnahme einer deutschen Propagandaschrift , ‘Der Islam und die Juden’ (in arabischer Sprache)”, Zentrum Moderner Orient Berlin, Höpp-Archiv, No. 01.10.015.

[14] Jennie Lebl, The Mufti of Jerusalem Haj-Amin el-Husseini and National-Socialism (Belgrade: Cigoja Stampa, 2007) 311-319; Motadel, Islam,196 e Thomas Casagrande, Die volksdeutsche SS-Division “Prinz Eugen” (Frankfurt: Campus 2003) 233.

[15] Motadel, Islam, 196.

[16] Jeffrey Herf, “Haj Amin al-Husseini, the Nazis and the Holocaust: The Origins, Nature and Aftereffects of Collaboration,” in: Jewish Political Studies Review 26, no. 3&4 (2016): 15.

[17] Brynjar Lia, The Society of the Muslim Brothers in Egypt. The Rise of an Islamic Mass Movement 1928-1942, (Reading: Ithaca Press, 1998) 179.

[18] Palestine: Egyptian press, 18. August 1937, BNA FO 371/20811.

[19] Ringrazio l’arabista e storico dr. Edy Cohen, che ha scoperto l’originale libello in arabo e ha tradotto la prima pagina per me.

[20] Sabry, Islam-Judentum, 22-32.

[21] Messaggio verbale del dr. Edy Cohen.

[22] David Motadel, Islam and Nazi Germany’s War ( London: Belkamp of Harvard University Press, 2014) 76, 97.

[23] Grobba, Bagdad, den 5. Januar 1937, Politisches Archiv des Auswärtigen Amts (PAAA), Akten betreffend Judenfragen, Pol. VII, R 104791.

[24] Kureshi, “Antisemitische Bewegung im Islam,” Der Weltkampf 12, no. 136 (1935): 113-115.

[25] Johann von Leers, “Judentum und Islam als Gegensätze,” Die Judenfrage in Politik, Recht, Kultur und Wirtschaft 6, no. 24 (1942): 275-77.

[26] Robert Wistrich, A Lethal Obsession. Anti-Semitism from Antiquity to the Global Jihad (New York: Random House, 2010) 611.

[27] Ringrazio Martin Finkenberger per questa informazione, che mi ha inviato nell’ottobre 2016.

[28] Gudrun Krämer, Minderheit, Millet, Nation? Die Juden in Ägypten 1914-1952 (Wiesbaden: Otto Harrassowitz, 1982) 291.

[29] Ringrazio Hassan Eltaher, che vive in Canada, per questa informazione, che mi ha inviato nel gennaio 2017.

[30] Deutsches Generalkonsulat, Panarabischer Kongress in Bludan, BNA GFM 33/611, Serial 1525.

[31] Götz Nordbruch, Nazism in Syria and Lebanon. The ambivalence of the German option, 1933-1945 (London and New York: Routledge, 2009) 159.

[32] Pas. Kairo, Nach dem Panarabischen Kongreß von Bloudan, Völkischer Beobachter, September 19, 1937.

[33] Secondo la traduzione del dr. Edy Cohen.

[34] Tradotto dalla versione tedesca di “Islam-Judentum”.

[35] Cfr. Jeffrey Herf, Nazi Propaganda For The Arab World (New Haven & London: Yale University Press 2009).

[36] Gerhard Höpp, ed., Mufti-Papiere. Briefe, Memoranden, Reden und Aufrufe Amin al-Husainis aus dem Exil, 1940-1945 (Berlin: Klaus Schwarz Verlag, 2001) 125-26.

[37] Si veda la brillante descrizione in: Jeffrey Herf, The Jewish Enemy. Nazi Propaganda during World War II and the Holocaust (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2006).

[38] Höpp, Mufti-Papiere, 211.

[39] Yehoshafat Harkabi, Arab Attitudes to Israel (Jerusalem: Keter Publishing House, 1972) 269.

[40] Ibid.

[41] Palestine: Authentic sayings of the Prophet Mohammad, BNA, FO 371/20812.

[42] Harkabi, Arab attitudes, cit., 269.

[43] ] D.F.Green [ossia David Littman) ha pubblicato l’articolo di al-Jisr nella sua raccolta D. F. Green (ed.), Arab Theologians on Jews and Israel, (Geneva: Editions de l’Avenir Genève, 1971) 42-47.

[44] La quarta edizione del libro di Tantawi fu pubblicata nel 1997 al Cairo. Cfr. Wolfgang Driesch, Islam, Judentum und Israel, (Hamburg: Deutsches Orient-Institut, 2003) 53.

[45] Shaul Bartal, “Reading the Qur’an: How Hamas and the Islamic Jihad Explain Sura al-Isra,” in: Politics, Religion & Ideology, 14 Dec 2016, acccessed May 3, 2018, http://dx.doi.org/10.1080/21567689.2016.1265514.

[46] Driesch, Islam, Judentum, 88-9.

[47] “California Friday Sermon: Imam Ammar Shahin Cites Antisemitic Hadith”, Middle East Media Research Institute (MEMRI), July 21, 2017, Clip No. 6133; “Egyptian Preacher Sayed Ahmad Ali Denies the Holocaust, States: There Can Be No Peace with the Jews”, MEMRI, August 4, 2017 to August 11, 2017, Clip No 6226.

[48] Meir Litvak, “The Islamic Republic of Iran and the Holocaust: Anti-Semitism and Anti-Zionism,” Journal of Israeli History 25, no. 1 (2006): 272.

[49] Amir Taheri, The Spirit of Allah. Khomeini & the Islamic Revolution (Bethesda: Adler&Adler, 1986) 132.

[50] Taheri, The Spirit, 139.

[51] Ali Khamenei, The Most Important Problem of the Islamic World. Dichiarazioni selezionate dell’ayatollah Khameinei sulla Palestina (Teheran 2009) 13, 51, 101, consultato il 3 maggio 2018, http://s15.khamenei.ir/ndata/news/18463 ... nglish.pdf.

[52] Jeffrey Herf, Nazi-Propaganda for the Arab World, (New Haven: Yale University Press, 2009) 171.

[53] Das Palästinaproblem aus der Sicht Imam Khomeinis (Teheran: Institution zur Koordination und Publikation der Wer[1] Höpp, Mufti-Papiere, 211

[54] “Iranian President at Tehran Conference”, MEMRI Special Dispatch Series No. 1013, October 28, 2005.

[55] “Knocking Saudis, Khamenei calls interacting with Israel ,betrayal‘, backs Hamas”, Times of Israel, April 4, 2018.

[56] Z. Harel, “Shift In Saudi Media’s Attitude To Israel – Part II: Saudi Writer Who Visited Israel: We Want An Israeli Embassy in Riyadh; We Should Make Peace With Israel, Uproot Culture of Hatred For Jews”, MEMRI, May 29, 2018, Inquiry & Analysis Series No. 1399 and “Saudi Writer: The Arab League Summits Are Completely Pointless; Palestinian Leaders – First And Foremost Jerusalem Mufti Al-Husseini and PLO Leader Arafat – Damaged the Palestinian Cause The Most”, MEMRI, May 31, 2018, Special Dispatch No. 7499.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:56 am

Il concetto di sicurezza israeliano: vagare attraverso un labirinto
Gen. Mag. Gershon Hacohen
15 novembre 2018

http://www.linformale.eu/il-concetto-di ... hRa80BhdD8

La recente tornata di combattimenti tra Israele e Hamas è stata apparentemente generata dall’esposizione di una squadra di forze speciali israeliane durante un’operazione sotto copertura a Khan Yunis. La dirigenza di Hamas, che a quanto pare non è interessata alla guerra, ha tuttavia deciso di rispondere incrementando la sua risposta fino al limite. Perché il governo israeliano si è astenuto (ancora una volta) dall’istruire l’IDF al fine di risolvere la minaccia rappresentata da Hamas?

Il discorso che tende ad avvolgersi a spirale sulla scia di eventi come l’acuta escalation di Gaza di questa settimana ruota attorno alla discussione ormai da clichè sulla “perdita della deterrenza”. Ma l’indicatore della deterrenza, come un termometro nella bocca di un paziente, misura solo un sintomo; non spiega la situazione. Qualcosa di più profondo della “perdita di deterrenza” ha guidato l’evento.

La leadership di Hamas conosce certamente la forza dell’IDF paragonata a quella a propria disposizione, ma basa le sue decisioni non su questo calcolo ma sulla sua valutazione dei vincoli che impediscono al governo israeliano di prendere la decisione di andare in guerra. Durante le frequenti rivolte che sin dalla primavera, Hamas ha guidato lungo il confine, il gruppo ha imparato a trovare la propria strada attraverso il labirinto strategico israeliano. Comprende come sfruttare la chance che gli è fornita dal disagio israeliano al fine di fare valere i propri interessi.

La soluzione dei due stati come fissazione concettuale

L’adesione di Israele alla “soluzione dei due stati” come l’unica soluzione necessaria è in gran parte responsabile del suo rifiuto di aggiornare la mappa strategica. Nello spiegare l’obbligo di Israele di separarsi dai palestinesi, l’ex ministro della giustizia Haim Ramon ha detto: “Il controllo sui territori è un cancro e non permetterò al mio nemico di decidere se sottoporci a un intervento chirurgico di rimozione del cancro o meno.”

I palestinesi sono ben consapevoli del loro potere di ricatto: più Israele si attiva per una separazione, più lo Stato ebraico dovrà pagare un prezzo. In armonia con questo modo di pensare, Hamas rifiuterà ogni accordo per attuare una separazione che vada nella direzione della pace e della stabilità. La necessità di preservare la separazione raggiunta a Gaza ha intrappolato Israele e reso un attacco a Gaza una cosa inutile. Cosa c’è da riconquistare se Israele vuole comunque essere fuori da Gaza? Una riconquista avrebbe messo fine una volta per tutte alla (supposta) panacea che “loro sono lì e noi siamo qui”.

Da qui la trappola su entrambi i lati della mappa politica israeliana. L’opposizione ha attaccato Benjamin Netanyahu per aver abbandonato la sicurezza limitando l’uso della forza militare contro Hamas. Eppure, mentre Israele è impantanato nelle devastanti conseguenze del disimpegno da Gaza, la sinistra continua a lottare per un altro ritiro in Cisgiordania – un ritiro che potrebbe peggiorare la situazione di sicurezza di Israele fino al punto di avere dei razzi che volino da Qalqiliya all’interno della regione metropolitana di Dan.

D’altra parte, Netanyahu, che apparentemente cerca rifugio dalla soluzione dei due stati alla quale si è ripetutamente votato, ha un interesse nella creazione di uno stato indipendente di Hamas a Gaza, mentre il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas rimane radicato nel suo rifiuto di uno Stato ebraico. È quindi auspicabile per Netanyahu mantenere in vita il regime di Hamas. È qui che il sistema israeliano si ritrova perso dentro i meandri di un labirinto. La dirigenza di Hamas ha colto il potenziale di questa situazione e la sta sfruttando al massimo.

Chi beneficia dalla separazione?

È arrivato il momento di mettere in discussione il presupposto che la separazione territoriale benefici Israele.

I sostenitori del ritiro dalla Cisgiordania, inclusi i membri più anziani dell’ex istituto di sicurezza, basano il loro pensiero sulla convinzione che i rischi connessi al ritiro e alla separazione territoriale possano essere mitigati dal fatto che la continua superiorità dell’IDF può rimuovere, in pochi giorni, qualsiasi minaccia alla sicurezza proveniente dai territori lasciati da Israele.

Ma dall’inizio del processo di Oslo, qualcosa di significativo è cambiato nelle relazioni tra Israele e palestinesi e negli ultimi decenni c’è stato un cambiamento globale nel fenomeno della guerra. I sostenitori del ritiro non hanno interiorizzato il significato di questi cambiamenti. La loro valutazione della forza relativa dell’IDF è quindi costantemente sovrastimata.

Qui giacciono i semi della fissazione ideologica di Israele: la riluttanza a esaminare in quale misura la separazione come direzione strategica aiuti principalmente il nemico.

Se esaminiamo la Striscia di Gaza prima del ritiro delle Forze di Difesa israeliana, vediamo che nonostante ci fosse una barriera che delineava la Striscia, la maggior parte delle forze dell’IDF operavano all’interno dell’area basata sullo spiegamento dei villaggi israeliani nel sud della Striscia. Questo ha creato un potenziale operativo flessibile per le forze dell’IDF, che potevano raggiungere le aree nemiche da una varietà di direzioni. Ad esempio, i campi profughi nella centrale striscia di Gaza potrebbero essere raggiunti da nord attraverso l’enclave di Netzarim, da est attraverso il confine della Striscia, e da sud passando per Kfar Darom e Gush Katif. La capacità di sorpresa, flessibilità, mobilità, controllo dell’area e libertà di azione erano fondamentalmente diverse da quelle lungo l’attuale confine del perimetro della Striscia.

Lo spiegamento dell’IDF prima della riduzione delle linee nell’estate del 2005 ha richiesto a Hamas di concentrarsi su sforzi di difesa frammentati. La ridistribuzione delle forze e la loro dipendenza da una barriera di sicurezza in matrici lineari hanno reso il recinto un punto focale per l’attrito e creato le condizioni perché Hamas organizzasse le sue forze in base a battaglioni, brigate, linee di tiro e sistemi di comando e controllo. A tale riguardo, la separazione territoriale ha aiutato i nemici di Israele e ha danneggiato la libertà di azione dell’IDF.

L’argomento standard tra i “tecnici della sicurezza” è che abbreviare le linee di coinvolgimento è vantaggioso per la sicurezza. Ma questa affermazione non è solo fondamentalmente sbagliata, ma l’inverso della verità. L’attrito in uno spazio interno multidimensionale, come esiste oggi nella West Bank attraverso lo spiegamento di quartieri israeliani, consente un utilizzo più efficiente e una più ampia libertà di azione strategica per tutte le componenti della potenza israeliana. Il labirinto strategico in cui si trova lo Stato di Israele nella Striscia di Gaza offre una preziosa lezione su come gli interessi di sicurezza dovrebbero aiutare a formulare il dispiegamento futuro dell’IDF in Cisgiordania.

Nel frattempo, l’entità del recente scontro a fuoco di Hamas richiede che l’establishment della difesa riesamini la prontezza dell’IDF a combattere su due o più fronti contemporaneamente. Un serio cambiamento nelle condizioni della minaccia palestinese da parte della Cisgiordania, che a sua volta intensificherà la minaccia da Gaza, rischia di distruggere l’agenda interministeriale al punto di minare le condizioni necessarie per concentrare gli sforzi sul fronte nord .

In queste circostanze, l’aspirazione recentemente espressa da ex funzionari dell’amministrazione della difesa, tra cui il Gen. Mag. Amos Yadlin, a intraprendere un’ulteriore separazione in Cisgiordania è preoccupante.

Al presente, la navigazione strategica di Israele assomiglia al vagare attraverso un labirinto senza una mappa. Con l’accelerazione del ritmo del cambiamento, avrebbe bisogno di una mappa completamente aggiornata.

Traduzione dall’inglese di Niram Ferretti

https://besacenter.org/perspectives-pap ... ty-concept





MANTENENDO L'ESISTENTE
Niram Ferretti
15 novembre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Dopo la tregua con Hamas sento dire, "Ah però Israele ha distrutto 160 postazioni del nemico a Gaza, cosa hanno da festeggiare nelle strade?" Nel 2014, lo stesso discorso, "Ah però Israele ha distrutto quasi tutti i tunnel! cosa hanno da esultare?".

È molto semplice, allora come oggi Hamas è sempre al potere e incassa prebende generose, quindi hanno molto da esultare, come qualsiasi banda criminale che malgrado qualche botta consistente continua a resistere e a restare dove è.

E la realtà è brutale e cinica, signora mia. Hamas sa benissimo che militarmente non può avere la meglio su Israele, non sono un gruppo di minus habentes, e sanno anche un'altra cosa, la spiega bene l'ex Generale Maggiore Gershon Hacohen, 43 anni nell'IDF, uno dei maggiori esperti di strategia militare israeliani, che all'attuale governo, ma anche a quelli precedenti, conviene avere Hamas al potere a Gaza per non dovere prendere decisioni più dirompenti per le quali non c'è alcun piano, nessuna prospettiva di largo respiro. Dunque si procede. Quando Hamas è sull'orlo del collasso si iniziano a lanciare una selva di razzi sullo Stato ebraico e poi ci si ferma al momento giusto giusto. Si incassa la tregua che significa soldi e materie prime e si aspetta il prossimo round.

Ora Netanyahu si recherà a Siderot e ad Ashkelon. Sarebbe la cosa più giusta e corretta dire agli abitanti che devono abituarsi a vivere così, perchè si chiama, "mantenimento dell'esistente", in altre parole si tratta di governare le cose in modo che si continui a navigare sufficientemente bene tra i marosi. Tutto sommato è morto solo un civile israeliano anche se sono arrivati 460 razzi in due giorni.

Nell'estate del 2017, dopo che due poliziotti israeliani vennero uccisi all'ingresso del Monte del Tempio, vennero messi dei metal detector. Durarono pochissimo, perchè venne consigliato che era meglio toglierli perchè si rischiava troppo. E così fu fatto.
E di cedimento in cedimento si prosegue, mantenendo l'esistente.

Si dice che Israele non può certo rioccupare Gaza. Giustissimo, alle condizioni attuali non può. Bisognerebbe che ci fosse un piano, che ci fosse la volontà politica americana in primis e poi degli stati sunniti, Arabia Saudita in testa, di fare tornare Gaza all'Egitto, dove vivono 97 milioni di persone. Accollarsene altre due non farebbe alcuna differenza. L'Egitto dipende economicamente da Stati Uniti e Arabia Saudita. Senza di loro sarebbe già al collasso. Ma bisogna mantenere l'esistente.

Avigdor Liberman si dimette da Ministro della Difesa dopo avere capito che non contava nulla, che il suo contrasto all'idea di mandare combustibile a Gaza, di consegnare 15 milioni di dollari ai terroristi e di continuare a dare una risposta militare risoluta, suonava alle orecchie di Netanyahu come il ronzio di alcune mosche fastidiose. C'è chi si scandalizza perchè in questo modo Liberman farebbe politica. Ah sì, e cosa dovrebbe fare? Gli altri invece cosa fanno, si dedicano all'interpretazione della Cabbala?

Ma, ci viene detto, noi non sappiamo, LORO hanno "the bigger picture". Certo. Anche nel 1993-1995 all'epoca degli Accordi di Oslo, avevano the bigger picture, anche nel 2002 quando Israele lasciò la zona cuscinetto con il Libano permettendo a Hezbollah di insediarsi definitivamente, o quando nel 2005 venne lasciata Gaza alla sua sorte si aveva the bigger picture.

Diceva Sun Tzu, "Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio".


Nathan Barur
Giusto per non suscitare confusione, è impossibile "far tornare Gaza all'Egitto" per il semplice fatto che Gaza non è mai stata egiziana. Nel periodo mandatario Gaza non era certo egiziana e nel periodo 1948/1967 successivo alla guerra di indipendenza, Gaza è stata sotto dominio egiziano ma senza alcuna annessione, restando quindi de iure, parte del territorio mandatario destinato agli ebrei. Post guerra 1967, Israele ha tentato senza successo, di dare Gaza agli egiziani e da quel momento vi ha instaurato, per causa e colpa di Meir Shamgar, capo dell'avvocatura , un regime militare proprio per evitarne l'annessione. Con il trattato di Oslo del 93 si è avuta una condizione ad interim con l'autorità palestinese, fino all'uscita unilaterale di Sharon nel 2005.

Niram Ferretti
Il dominio egiziano è durato 19 anni, in quel periodo Gaza era sotto totale controllo egiziano. Sì, di fatto de iure, Gaza, era parte del territorio mandatario, ma sempre di fatto Israele ha lasciato Gaza nel 2005 quindi riunnciando a qualsivoglia rivendicazione su di essa. A questo punto, visto che la popolazione di Gaza è formata di arabi-palestinesi, molti dei quali egiziani, e visto che Israele non ha nessuna intenzione di rivendicare Gaza per sè, l'ideale sarebbe che l'Egitto si "riappropriasse" di Gaza, in questo caso gestendola autonomamente. Altresì, l'ideale sarebbe che le aree A e B della Cisgiordania diventassero di fatto (di nuovo) giordane come erano state dal 1948 al 1967, visto che anche in questo caso, nonostante le disposizioni mai decadute del Mandato per britannico per la Palestina, Israele non ha alcuna rivendicazione su queste due porzioni di territorio. Perchè questo accada ci vorrebbe un ampio consenso tra Israele, Stati Uniti e ovviamente stati sunniti. Ciò metterebbe finalmente fine all'ipotesi di uno Stato palestinese autonomo.

Alessandra Casula
Niram Ferretti sono d’accordo, Gaza all’Egitto, ma Giudea e Samaria... a Israele.

Maddy Matarazzo
Alessandra Judea e Samaria sono sempre stati territori ebraici da migliaia di anni

Nathan Barur
Niram Ferretti ho ribadito che Gaza non è restituibile ma solo offribile! Parimenti, la "west bank" non è mai stata giordana e il ventennio di possesso è stato totalmente illegale, come provato dal duplice tentativo di annessione in sede ONU, fatto dai giordani lel 1949 e nel 1951 e respinto dall'assemblea. La confusione al proposito della cisgiordania occupata nel 48 dai giordani e liberata dagli israeliani nel 1967 nacque dalla decisione del capo dell'avvocatura militare israeliana Shamgar di applicare ai territori appena liberati la legge militare invece di quella civile che avrebbe implicato l'annessione in forza del Mandato di Palestina che vedeva gli ebrei entrare in possesso effettivo l'area già posseduta de iure, già dal 24 aprile 1920. Senza voler sottovalutare tutti gli elementi che determineranno l'effettiva destinazione finale di quei territori, nessuno dovrebbe ignorare la storia che vede il popolo ebraico proprietario legale di Gaza e west bank...magari pronto a cederle ad altri con gesti di concreta ricerca di un'impossibile pace. Le terra, tutta, ha un sicuro proprietario negli ebrei e se gli arabi iniziassero a comprenderlo, forse nel trattare con un cortese donatore potrebbero mostrarsi più costruttivi.

Nathan Barur
Maddy Matarazzo no, soltanto dal 24 aprile 1920 come conseguenza legale della conferenza di Sanremo. I periodi storici di possesso ebraico provano la connessione del popolo ebraico con quella terra ma per il possesso, altri, per esempio gli ottomani, potrebbero affermare una presenza plurisecolare di 500 e passa anni.

Niram Ferretti
Nathan Barur, quello che scrivi è coretto, ma gli Accordi di Oslo del 1993-1995 hanno superato il Mandato Brittannico per la Palestina del 1922, che di fatto non è mai stato abrogato ma che se dovesse essere applicato alla lettera determinerebbe la nullità assoluta degli Accordi di Oslo. Ora, questo è teoricamente possibile, ma lo ritengo assai improbabile. La Giordania si annesse illegalmente la Cisgiordania nel 1951, ma questo nulla toglie al fatto che fino al 1981, trenta anni dopo, la maggioranza dei residenti arabi-palestinesi della Cisgiordania avessero regolare passaporto giordano che gli venne illegalmente revocato da Hussein di Giordania. Non credo francamente possibile nè auspicabile per Israele rivendicare per sè l'Area A e B della Cisgiordaia. Ci vorrebbe al governo un emulo di Meir Kahane e attualmente non lo vedo. L'ideale sarebbe che l'area A e B, "ritornassero" (sì, uso questo verbo consapevolmente seppure la Giordania se li era annessi illegalmente) alla Giordania e Israele si annettesse l'Area C.

Niram Ferretti
Nathan oltre alla Conferenza di Sanremo e al Mandato Britannico per la Palestina ci sarebbe, se è per quello, anche il principio dell'uti possidetis iuris, validissimo, ma che nessuno invoca. Io, personalmente, mi accontenterei che non venisse in essere uno Stato palestinese sulle colline della Giudea e Samaria e che l'Area C venisse annessa da Israele. Prospettive più ampie sono, allo stato attuale delle cose, improponibili.

Nathan Barur
Niram Ferretti gli accordi di Oslo non hanno superato proprio nulla, essendo ad interim!!! Ribadisco che la storia non è ignorabile e serve a stabilire le condizioni iniziali di una negoziazione chiara e costruttiva. Io sono per la pace e per il compromesso, senza compromettere la sicurezza nazonale che è irrinunciabile. La tua ipotesi sull'area C è condivisibilissima. Lasciami ribadire che il 95% dei commentatori sui fatti israeliani e non mi riferisco certo a te, ignora totalmente i fatti relativi a prestato e sono per questo totalmente incapaci di un giudizio informato.

Niram Ferretti
Sì sono accordi and interim ma di fatto superano le disposizioni del Mandato Britannico perchè hanno stabilito oggettivamente una realtà sul terreno che mi sembra assai difficile se non del tutto impossibile modificare. Per questo dico che dopo Oslo, e dopo le aree A e B, sarei ben contento se queste diventassero di fatto giordane, anche se so che non succederà, e che Israele si possa prendere l'Area C. Se fosse per me applicherei l'uti possidetis iuris, quindi sai bene quanto io sostenga ciò che scrivi, ma dobbiamo anche essere realisti. Israele è legittimamente detentore della piena sovranità su tutto il territorio della Cisgiordania, ma oggi dobbiamo constatare che la situazione in essere, gli Accordi di Oslo appunto e le loro disposizioni, hanno modificato strutturalmente questa legittima e sacrosanta rivendicazione.

Nathan Barur
Niram Ferretti non la vediamo diversamente e concordo con te. Concedimi che se il pregresso fosse un fatto noto a tutti e a tutti i livelli, non escluso l'Onu, i media e gli orientatori culturali, non staremmo a questo punto con tre quarti del mondo cosiddetto civile che ci accusa di furto e sottrazione di terre in virtù della Bibbia! A latere e a proposito di interim, Abbas ha più volte affermato di voler abrogare Oslo...

Nathan Barur
Niram Ferretti lasciami precisare che la conferenza di Sanremo ha prodotto il Mandato di Palestina e che il Mandato britannico di Palestina è solo l'incarico ricevuto dagli inglesi di mettere in atto il Mandato di Palestina. Con il Mandato di Palestina si è stabilita per il popolo ebraico la proprietà legale della Palestina. Gli inglesi non hanno mai posseduto la Palestina e l'Onu, lungi dall'essere proprietario del territorio, non ha mai avuto il diritto di assegnarlo ad altri, come ha invece tentato di fare con il piano di partizione.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:58 am

Quando il leone rinuncia alla sua forza
Niram Ferretti
16 novembre 2018

http://www.linformale.eu/quando-il-leon ... qfw4C13EAM

Il cessate il fuoco deciso tra Israele e Hamas dopo due giorni in cui dalla Striscia sono stati lanciati sul sud di Israele 460 razzi e che come conseguenza politica immediata ha determinato le dimissioni di Avigdor Liberman, Ministro della Difesa, rappresenta un ulteriore capitolo della strategia a corto termine che imbriglia Israele da anni e la rende sostanzialmente ostaggio del gruppo terrorista islamico.

I sostenitori di Netanyahu vedono nella decisione di fare arrivare combustibile alla Striscia per alimentare la centrale elettrica e consentire l’arrivo di 15 milioni di dollari da parte del Qatar per pagare gli stipendi ai miliziani, una prova di lungimiranza politica, poiché affermano, Gaza non si può invadere, costerebbe troppe vite, l’esecrazione internazionale, un incremento di antisemitismo, ecc. Dunque meglio concedere ai terroristi di sopravvivere, in attesa della prossima tornata, quando invece di 460, i razzi potrebbero essere molti di più. Bisognerebbe insomma arrendersi all’esistente e dichiarare che per Gaza non c’è alcuna soluzione, soprattutto bisognerebbe avere l’onestà di dirlo agli abitanti di Siderot e Ashkelon e dei kibbutz ramificati intorno alla Striscia che recarsi in pochi secondi nei bunker quando suonano le sirene antimissili dovrà essere accettato come una costante paesaggistica, perché appunto, per Gaza non c’è alcuna soluzione, e dopotutto è morto solo un israeliano, un altro è rimasto gravemente ferito, e la maggioranza dei razzi lanciati sono stati intercettati. Il problema è l’Iran, la minaccia nucleare, è lì che bisogna guardare, come se difendersi dalla minaccia iraniana escludesse una altrettanto risoluta difesa nei confronti della jihad islamica alla porta di casa.

Ma tutto questo non definisce alcuna lungimiranza politica, nessuna strategia ad ampio respiro, ma solo una resa incondizionata all’esistente perché è appunto troppo rischioso e oneroso modificarlo. Ricorda Martin Sherman, uno dei più lucidi e acuti analisti politici israeliani che:

“Da quando Israele ha abbandonato unilateralmente la striscia di Gaza quasi un decennio e mezzo fa, i suoi nemici sono riusciti a migliorare la portata e le dimensioni del loro arsenale al di là del pensabile. Alla fine di ogni round di combattimenti, il periodo di calma interbellica non veniva utilizzato per sviluppare la loro società e far progredire la loro economia, ma piuttosto per migliorare le loro capacità militari in vista del prossimo round di combattimenti. Se nel 2005, alla vigilia del “Disimpegno”, alcuni individui lungimiranti avevano predetto che la realtà sarebbe stata quella che è oggi, i loro avvertimenti sarebbero stati sdegnosamente liquidati come allarmismo infondato”.

Sherman, del tutto inascoltato, aveva predetto già negli anni ’90 che un disimpegno israeliano nella Striscia avrebbe avuto come conseguenza l’affermarsi del gruppo islamico più radicale e non la presa del potere dei moderati. Ma bisogna saperla guardare la realtà in modo spassionato e crudo e solo pochi ci riescono. “L’inferno”, scrive Thomas Hobbes nel Leviatano, “È la realtà vista troppo tardi”.

A Sherman si aggiunge Caroline Glick, che in un articolo sul Jerusalem Post, evidenzia che:

“Israele non ha mai subito un attacco di razzi da Gaza tanto intenso quanto quello che Hamas e la Jihad islamica hanno lanciato lunedì e martedì. Eppure, piuttosto che rispondere con una forza uguale – o meglio ancora – molto più grande e insegnare a Hamas e alla Jihad islamica una lezione che ricorderanno a lungo, al gabinetto di sicurezza sono bastati duecentocinque attacchi aerei mirati, e poi ha accettato il consiglio dell’IDF e ha optato per il cessate il fuoco. Così facendo, hanno lasciato gli abitanti del sud di Israele ostaggi virtuali di Hamas e della Jihad islamica che hanno mantenuto la capacità di attaccarli a loro piacimento”.

Non è oggetto di dibattito che nell’arco degli ultimi dieci anni, Hamas, invece di indebolirsi si sia invece rafforzato, lo dimostrano i fatti. Diceva Sun Tzu, duemilacinquecento anni fa, “Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio”, ma il leone, in questo caso, ha preferito da molto tempo abdicare alla forza sotto la pressione da una parte, del ricatto della comunità internazionale sempre pronta a dare addosso a Israele quando si difende, e dall’altro, di quella interna che viene dall’esercito stesso e dall’apparato di sicurezza, ormai ostaggi di un cedevolezza e di un tatticismo di corto respiro. Lo sottolinea sempre Caroline Glick:

“Dall’operazione “Piombo fuso” nel 2008-2009, gli avvocati militari sono stati accorpati alle unità combattenti fino al livello dei battaglioni. Questi avvocati stanno presumibilmente vietando l’azione che si renderebbe necessaria, sostenendo che azioni strategicamente significative e operativamente vitali come uccidere i comandanti di Hamas e bombare le unità di lancio di razzi costituirebbero crimini di guerra”.

D’altronde si è già visto l’anno scorso, quando dopo l’assassinio di due poliziotti israeliani di guardia a uno degli ingressi del Monte del Tempio, da parte di terroristi arabi-israeliani, vennero collocate temporaneamente dei metal detectors all’ingresso del comprensorio, per essere rimossi quando montò la pressione araba. Anche allora arrivò dall’IDF il consiglio che fosse più saggio rimuoverli. Ed è questa “saggezza” che di volta in volta rafforza i nemici di Israele, nella persuasione che la forza, nella forma del ricatto, quando sono loro a esercitarla, produce risultati.



TEMPI DIFFICILI
Niram Ferretti
17 novembre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Ringalluzzito, Yahya Sinwar, il leader di Hamas nella striscia di Gaza, durante un comizio ha dichiarato che la prossima volta, se Israele provocherà, alludendo all’operazione sotto copertura ai confini di Gaza, costata la morte di un tenente colonnello dell’esercito israeliano, si sveglierà con una bella gragnuola di razzi su Tel Aviv.

“La potenza della nostra risposta sorprenderà Israele”. Non contento, il capobastone, ha dichiarato sarcasticamente, “Cosa ha creduto di fare la leadership israeliana quando ha permesso l’ingresso a Gaza del combustibile e dei fondi del Qatar, che venderemo il nostro sangue per i dollari e per il diesel?”.

Certo Sinwar fa lo spavaldo a beneficio del pubblico interno ma tuttavia si sente comprensibilmente forte. Il cessate il fuoco stipulato da Israele che ha causato le dimissioni di Avigdor Lieberman, è per Hamas un risultato rilevante. Israele infatti, dopo 460 razzi lanciati a sud non è andata in fondo, come avrebbe potuto se avesse voluto. Un’altra guerra a Gaza non è opportuna e poi ci sarebbe la comunità internazionale, sì insomma, quella che appena Israele si difende un po’ troppo secondo i suoi criteri parla di “uso sproporzionato della forza”, e poi, come ci ha spiegato Caroline Glick ci sono gli avvocati embedded nei battaglioni che con cavilli e regole imbrigliano azioni troppo risolute.

C’è da domandarsi se Israele avrebbe mai potuto vincere le sue guerre nel 1948, nel 1967 e nel 1973 se già allora i battaglioni fossero stati tutelati dagli avvocati.

Dopo il cessate il fuoco, Naftali Bennet ha dichiarato, “Il più grande pericolo per Israele è che abbiamo cominciato a pensare che non ci sia alcuna soluzione ai terroristi e al terrorismo, nessuna soluzione ai razzi, che non ci sia niente che possa essere fatto, che sia impossibile vincere”.

“Stiamo alimentando il mostro”, ha dichiarato Avigdor Leberman “E se non gli impediamo di diventare più forte e di acquisire forza, avremo un gemello di Hezbollah entro l’anno. Con i soldi del Qatar abbiamo comprato una tranquillità a breve termine che pregiudicherà quella a lungo termine”.

Ora, al di là dei punti di vista, delle opinioni, delle predizioni, ecc, ci sono purtroppo fatti, e i fatti non hanno colore, sono semplicemente neutrali e si impongono con la forza a chi ha l’onestà di vederli e di trarre le dovute conclusioni, e tra questi fatti c’è ne è uno, inequivocabile, che Hamas, da quando Sharon impose il disimpegno israeliano a Gaza nel 2005, dichiarando nel 2004:

“Sono fermamente convinto e credo davvero che questo disimpegno … sarà apprezzato da chi è vicino e lontano, ridurrà l’animosità, spezzerà i boicottaggi e gli assedi e ci permetterà di avanzere lungo il sentiero della pace con i palestinesi e gli altri vicini”.

è diventato molto più forte. Lo ricorda con la sua abituale e fredda lucidità Martin Sherman:

“All’epoca, le più formidabili armi in dotazione all’organizzazione terroristica di Gaza erano razzi primitivi con una carica esplosiva fino a 5 kg e una gittata di non più di 5 km. Se qualcuno avesse detto che nel prossimo futuro tutti i centri popolati israeliani entro un raggio di 100 km sarebbero stati minacciati da armi ad alta traiettoria muniti di testate di guerra fino a 100 kg; se, in quel momento, qualcuno avesse suggerito che Israele sarebbe stata minacciata nel raggio di un’ora da una potenza di fuoco di centinaia di missili / razzi / proiettili, nessuno avrebbe preso sul serio la sua predizione.

È difficile reputare come una eventualità non plausibile la minaccia di attacchi da parte di uno sciame di droni armati di cariche esplosive o peggio-non convenzionali, a cui verrebbe sottoposta Israele in un futuro non troppo lontano. A maggior ragione e in maniera assai preoccupante, se le infrastrutture terroristiche di Gaza verranno lasciate intatte, e non vi è motivo di ritenere che uno scenario del genere, o altrettanto inquietante, non prenderà corpo”.

È ancora possibile, più che possibile, ridurre Hamas ai minimi termini e non permettergli di creare problemi maggiori anche in futuro, ma bisogna volerlo, e soprattutto lo deve volere l’elettorato israeliano, unico detentore sovrano della propria sicurezza.

Manifesterà la propria volontà prossimamente, quando sarà chiamato al voto.


Mordechai Bar Yekutiel L'etica!
È l'etica (quindi...le regole d'ingaggio) il vero freno che ossessiona il governo israeliano: da sempre!
I finti palestinesi sfruttano questa catena invisibile che lega il popolo israeliano: perchè -come asserisci anche tu- è il popolo israeliano (poichè è lui che decide) che determina una scelta piuttosto che un'altra.
Hai nominato le vittoriose guerre del 1948 del 1967 e del 1973: solo vittorie sul campo di battaglia...non politiche!
(La Spianata...Territori contesi...è troppo lungo per comprendere l'offuscamento mentale dei vari governi israeliani succedutosi!)

Luisito SuArez
Una bombetta sotto il letto al caro

Massimo Italo Agnesi
Con tutta la mia sincerità, secondo me il tarlo del politicamente corretto stà devastando anche Israele, fino a mettere nel medio termine in discussione la sua esistenza; i gay pride, i gay in divisa ma quanto semo tolleranti, i militari con i cagnolini in mano, le soldatesse come modelle, pure piacenti ……… ma la guerra è un 'altra cosa, la lotta x la sopravvivenza è un 'altra cosa, non c'è niente di bello nella guerra, che è morte, sangue e macerie, ma quando se deve menà se mena e de brutto, c'è una band di area neofascista che ha fatto una canzonetta che però dice una verità .. nel dubbio mena, vivrai di più. Se non viene scatenato un inferno di fuoco su Gaza, adesso, senza tanti buonismi, la prossima volta arriveranno realmente su Tel Aviv una pioggia di missili. Poi sarà troppo tardi x piangere i morti, poi i buonisti ed i politicamente corretti israeliani scopriranno che cosa è la morte.

Niram Ferretti
Un unico rilievo Massimo Italo, alcuni tra i maggiori e più valorosi condottieri e generali della storia erano omosessuali, non per difendere la categoria, ma per sincerità storica. Da Giulio Cesare, "la moglie di tutti i mariti", da Alessandro il Grande a Riccardo Cuor di Leone, da Lawrence di Arabia al Generale Gordon e così via. L'inclinazione sessuale con il valore militare e il coraggio non ha nulla a che vedere.

Massimo Italo Agnesi
Niram Ferretti Non è l 'inclinazione sessuale ma l 'annesso contorno di buonismo e politicamente corretto, la tossina che rischia di creare seri problemi, poi un conto Achille un conto la coppietta mano nella mano tipo pubblicità Ikea, gli arabi, gli islamici, certe sottigliezze non le capiscono, anzi x loro sono un segno di debolezza. Loro non ragionano come un occidentale, loro hanno tempi diversi, hanno messo in conto pure i prossimi cento anni, come avvenne con la 1° crociata etc., ma loro torneranno padroni della terra di Israele, loro non hanno finito a Bisanzio ma finiranno a Roma, sotto le mura di Vienna x loro non è stata una sconfitta storica ma solo una battaglia persa in attesa della rivincita. Ed allora con questi non funzionano le bandierine arcobaleno ed i sorrisi ma la faccia feroce e la guerra, non capiscono altro linguaggio. Nota storica. Cesare pure gay questo l ' aveva capito e si dice che dei capponi galli ne rimasero pochi deambulanti, l'alternativa era un nuovo Brenno.




La netta opzione di Israele, arabi a Gaza o ebrei nel Negev
Martin Sherman
17 novembre 2018

http://www.linformale.eu/la-netta-opzio ... 3KtmEPk9tA

“Le storie da incubo del Likud sono ben note. Dopotutto, hanno promesso anche i razzi Katyusha da Gaza. Per un anno, Gaza è stata in gran parte sotto il dominio dell’Autorità Palestinese. Non c’è stato un solo razzo Katyusha. Né ci sarà alcun Katyusha”. –Primo Ministro Yitzhak Rabin, 28 settembre 1995

“Sono fermamente convinto e credo davvero che questo disimpegno … sarà apprezzato da chi è vicino e lontano, ridurrà l’animosità, spezzerà i boicottaggi e gli assedi e ci permetterà di avanzere lungo il sentiero della pace con i palestinesi e gli altri vicini”.- Primo Ministro Ariel Sharon, 25 ottobre 2004.

Se la leadership israeliana persisterà con la sua percezione degli arabi palestinesi in generale, e dei gazawi in particolare, nella veste di potenziali partner in qualche futuro accordo di pace piuttosto che percepirli come essi si percepiscono- quali nemici implacabili, la cui inimicizia verso lo Stato ebraico non è radicata in quello che esso fa ma in ciò che esso rappresenta: non sarà mai in grado di formulare una politica in grado di affrontare efficacemente la continua e intensificante minaccia proveniente dalla Striscia di Gaza.

Il fallimento fatale della saggezza convenzionale

La drammatica escalation di violenza di lunedì – lo stesso giorno in cui Israele ha permesso il trasferimento di 15 milioni di dollari provenienti dal Qatar nell’enclave di Hamas, presumibilmente per alleviare il peggioramento della crisi umanitaria – ha evidenziato la futilità di aderire ai dettami della saggezza convenzionale- secondo cui il crescente aiuto umanitario funzionerebbe per sedare la violenza lungo e attraverso il confine con Israele, o per ridurlo in modo significativo. Di fatto, gli eventi recenti hanno solo evidenziato quanto si siano dimostrati infondati i dogmi prevalenti che dominano il discorso.

Più volte nel corso del conflitto, è stato dimostrato, in modo chiaro e convincente, che la penuria e la privazione non sono la ragione dell’ostilità araba nei confronti di Israele. Al contrario, è l’ostilità araba nei confronti di Israele che è la ragione della prevalente penuria e della privazione.

Quasi inevitabilmente, la costernante recrudescenza della violenza lungo il confine di Israele riporta alla mente il conciso detto attribuito ad Albert Einstein, secondo cui: “Non possiamo risolvere i nostri problemi con lo stesso modo di pensare che abbiamo usato quando li abbiamo generati”.

Dopotutto, i problemi di Gaza sono l’esito innegabile del tentativo mal concepito di imporre a Gaza e ai suoi abitanti una forma di autogoverno. In quanto tale è un problema che non può essere risolto perseverando con lo stesso modo di pensare che lo ha creato. Di conseguenza, la formula fallita dell’autogoverno per Gaza deve essere accantonata, poiché qualsiasi ostinata insistenza su di essa continuerà solo ad esacerbare la situazione attuale e ad estendere la sofferenza sia per gli arabi che per gli ebrei.

Moderazione irresponsabile

È in questo contesto che deve essere valutata la decisione del governo israeliano di astenersi da un’azione militare decisiva a seguito di quasi otto mesi di violenze contro i suoi civili nel Sud, e cioè di non essere solo imprudente ma irresponsabile.

Per comprendere il significato di questa accusa piuttosto dura, dovremmo ricordare che da quando Israele ha abbandonato unilateralmente la striscia di Gaza quasi un decennio e mezzo fa, i suoi nemici sono riusciti a migliorare la portata e le dimensioni del loro arsenale al di là del pensabile. Alla fine di ogni round di combattimenti, il periodo di calma interbellica non veniva utilizzato per sviluppare la loro società e far progredire la loro economia, ma piuttosto per migliorare le loro capacità militari in vista del prossimo round di combattimenti. Se nel 2005, alla vigilia del “disimpegno”, alcuni individui lungimiranti avessero predetto che la realtà sarebbe stata quella che è oggi, i loro avvertimenti sarebbero stati sdegnosamente liquidati come allarmismo infondato”.

Se all’epoca, quando le più formidabili armi in dotazione all’organizzazione terroristica di Gaza erano razzi primitivi con una carica esplosiva fino a 5 kg e una gittata di non più di 5 km, qualcuno avesse detto che nel prossimo futuro tutti i centri popolati israeliani entro un raggio di 100 km sarebbero stati minacciati da armi ad alta traiettoria muniti di testate di guerra fino a 100 kg; se, in quel momento, qualcuno avesse suggerito che Israele sarebbe stata minacciata nel raggio di un’ora da una potenza di fuoco di centinaia di missili / razzi / proiettili, nessuno avrebbe preso sul serio la sua predizione.

Tenace inimicizia strategica

Di conseguenza, sarebbe pericoloso per Israele sottovalutare la gravità del significato strategico a lungo termine di questa tenace inimicizia e delle e sue propaggini più radicali. Di fatto, ogni volta che Israele è riuscita a contrastare una specifica modalità di attività terroristica, gli arabi palestinesi sono riusciti a escogitare dei metodi per superare o aggirare le contromisure israeliane.

Così, quando Israele è riuscita a limitare gli attacchi terroristici attraverso una barriera di sicurezza e posti di blocco fissi e regolamentati, i palestinesi hanno sviluppato le capacità aeree dei razzi in modo da aggirarle dall’alto. Quando Israele ha sviluppato dei sistemi di difesa anti-razzo, i palestinesi hanno iniziato a scavare una serie di tunnel di attacco sotterranei in modo da aggirare quei sistemi dal basso. Quando Israele ha iniziato a costruire una barriera sotterranea da miliardi di dollari per bloccare i tunnel, i palestinesi hanno iniziato a lanciare aquiloni incendiari e palloni esplosivi, per aggirarla dall’alto – e così via.

E’ difficile reputare una eventualità non plausibile la minaccia di attacchi da parte di uno sciame di droni armati di cariche esplosive o peggio-non convenzionali, a cui verrebbe sottoposta Israele in un futuro non troppo lontano. A maggior ragione e in maniera assai preoccupante, se le infrastrutture terroristiche di Gaza verranno lasciate intatte, e non vi è motivo di ritenere che uno scenario del genere, o altrettanto inquietante, non prenderà corpo.

Crescente malcontento nei confronti dell’inerzia del governo

Le ramificazioni di questa duratura guerra giudeocida stanno iniziando a farsi sentire sulla società israeliana. Le manifestazioni di protesta sempre più accese da parte dei residenti delle comunità israeliane vicine al confine di Gaza riflettono la crescente intolleranza verso ciò che è percepita come un’impotenza del governo a reagire alle sfide lanciate dalle organizzazioni terroristiche di Gaza – e come palese fallimento ad assolvere ai suoi obblighi più basilari – e a fornire sicurezza ai propri cittadini. Queste proteste stanno a indicare una crescente riluttanza a sopportare le sempre più gravose condizioni in cui sono costretti a vivere, con la loro economia devastata – in particolare il settore turistico e quello agricolo – la drastica diminuzione dei loro mezzi di sostentamento, i crescenti disagi della quotidianità e i pericoli continui per la loro vita e quella dei loro familiari.

È difficile decifrare la logica strategica – se esiste – che si cela dietro l’attuale politica del governo. A meno che, a conti fatti, per qualche ragione sconosciuta e certamente non specificata, si scommetta sulla trasformazione degli arabi-palestinesi in qualcosa che non sono mai stati da oltre cento anni e che anzi mostrano pochi segnali di diventarlo in un futuro prossimo. E’ difficile comprendere-vista la sua inclinazione per l’inazione-come il governo veda l’evolversi della situazione nel futuro. Nei prossimi vent’anni? Nei prossimi dieci anni?

Scetticismo giustificato

C’è un percettibile senso di scetticismo in merito alle intenzioni del governo riguardo Gaza e alla sua capacità di affrontare adeguatamente le sfide che essa pone. Questo non sorprende affatto per quanto concerne Gaza, poiché quanto affermato all’inizio di questo articolo indica chiaramente che l’opinione pubblica israeliana è stata gravemente fuorviata in passato, visto che le precedenti valutazioni si sono dimostrate ampiamente inaccurate.

È pertanto comprensibile che le criptiche allusioni del governo a motivi altamente riservati, che non possono essere resi pubblici, – per evitare azioni militari punitive su larga scala contro Gaza, in risposta a mesi di violenze – siano state accolte con sospetto.

Le improvvise dimissioni del Ministro della Difesa Avigdor Lieberman, in segno di protesta contro la mancanza di azione da parte dell’Idf, hanno gravemente minato ogni attendibilità riconosciuta ad affermazioni del genere, dal momento che sembra fortemente inverosimile, che proprio Lieberman, fra tutti, non fosse a conoscenza di questi elementi di freno.

In effetti, gli eventi degli ultimi giorni tendono anche a screditare le affermazioni secondo le quali l’intervento militare nella parte meridionale del paese è stato contenuto per focalizzare l’attenzione al nord, considerato come fonte di grave pericolo per Israele. A dimostrazione di ciò, anche contro le centinaia di proiettili piovuti da Gaza, il sistema di difesa missilistico israeliano non è stato in grado di prevenire i colpi diretti contro le abitazioni. Ci si può quindi chiedere come sarebbe andata contro il lancio nel nord del paese di migliaia di altri formidabili missili di cui è dotato l’arsenale di Hezbollah. Pertanto, la logica militare avrebbe imposto l’eliminazione della minaccia minore nel sud di Israele, in modo da non essere affrontata contemporaneamente a quella maggiore proveniente dal nord del paese. D’altronde, se l’infrastruttura militare di Gaza viene lasciata intatta, Israele non può determinare quando potrebbe essere attivatia. Anzi, non è improbabile che ciò possa accadere nel caso in cui a nord scoppino degli scontri.

L’amaro dilemma

Dato il continuo potenziamento delle capacità militari a Gaza, l’irrilevanza degli aiuti umanitari per la stabilità, il crescente malcontento da parte della popolazione civile e le incombenti minacce su altri fronti, la leadership israeliana deve interiorizzare l’amara verità: la soluzione al problema di Gaza è la sua decostruzione, e non la sua ricostruzione. Perché, in fin dei conti, si deve affrontare un dilemma spiacevole, ma inevitabile: alla fine ci saranno arabi a Gaza o ebrei nel Negev. A lungo termine, non ci saranno entrambi.



Netanyahu in diretta TV alla nazione:

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 1301468018

Israele è in una situazione delicata per la sua sicurezza, faremo sacrifici ma vinceremo i nostri nemici, ho un programma ben preciso, non è il momento per anticipare le elezioni.
Una dichiarazione televisiva non è una normalissima procedura, parla di sacrifici e vincita, parla di una situazione di sicurezza complessa, quindi non parla solo di #hamas e #Gaza
Forza Israele







Momento difficilissimo per Israele: Netanyahu parla alla nazione
Sarah G. Frankl -
novembre 19, 2018

https://www.rightsreporter.org/momento- ... DLUdtiGKxU

È un momento difficilissimo per Israele, tanto difficile che il Premier Benjamin Netanyahu ha pensato di parlare alla nazione. Lo ha fatto ieri sera dalla TV per denunciare l’irresponsabilità di chi vorrebbe andare ad elezioni anticipate mettendo il proprio interesse personale di fronte a quello nazionale.

Netanyahu ha difeso la decisione presa dal gabinetto di sicurezza di accettare il cessate il fuoco con Hamas, decisione che ha portato alle dimissione del Ministro della Difesa Avidgor Lieberman.

«Quando prendiamo queste decisioni in materia di sicurezza dello Stato, decisioni di vita o di morte per Israele, queste questioni non devono riguardare la politica e i suoi giochi» ha detto il Premier israeliano rivolgendosi alla nazione.

«La maggior parte dei cittadini sa che quando prendo decisioni sulla sicurezza lo faccio con onestà e profonda preoccupazione per il bene del nostro paese e per la sicurezza dei nostri cittadini e dei nostri soldati. Questi non sono slogan» ha detto Netanyahu.

Il Premier ha detto che «Israele si trova in una delle più complesse situazioni di sicurezza» aggiungendo che «in un momento come questo, non rovesciamo un governo e teniamo nuove elezioni. È irresponsabile».

“Ho un piano chiaro. So cosa faremo e quando lo faremo. E lo faremo”

Netanyahu ha detto di comprendere la frustrazione della gente per il cessate il fuoco, ma ci sono cose che non può rivelare. Poi, pur senza entrare nei dettagli, ha comunque rassicurato il Paese sul fatto che il Governo ha un piano per affrontare questa momento difficilissimo per Israele. «Non vi dirò quando ho intenzione di agire, ma ho un piano chiaro. So cosa faremo e quando lo faremo. E lo faremo» ha detto il Premier.

Criticando la decisione di Lieberman di dimettersi e chi vorrebbe elezioni anticipate ha detto che «non si abbandona il proprio posto nel bel mezzo della battaglia. Non si gioca a far politica nel bel mezzo della battaglia. La sicurezza nazionale va oltre la politica e le considerazioni personali».

Quello di Netanyahu è apparso un discorso accorato, dedicato sia alla nazione che a coloro che vorrebbero portare Israele ad elezioni anticipate intravvedendo una certa debolezza del Premier.

Durante la settimana il Premier avrà diverse riunioni con gli altri leader politici nel tentativo di evitare di andare ad elezioni anticipate in un momento difficilissimo per Israele con l’Iran ed Hezbollah che minacciano il paese da nord e da sud dato che ormai è chiaro che anche dietro agli attacchi di Hamas ci sono gli Ayatollah iraniani.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:58 am

LA DENEGATA FORZA - "La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari".
Georges Clemenceau

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Malgrado il suo poco dignitoso ripensamento sul fatto di uscire dal governo e aprire formalmente la crisi se non gli fosse stato dato il posto di Ministro della Difesa, che non ha ottenuto, Naftali Bennett ha il merito di avere detto alcune cose scottanti e vere.

Ha detto che Israele ha perso la voglia di vincere dalla guerra del Libano del 2006 e soprattutto che l’avvocatura militare inibisce ogni azioni risoluta, di fatto impedendo all’esercito di potere essere realmente efficace quanto potrebbe esserlo.

Gli ha risposto a stretto giro il Capo di Stato Maggiore, Gadi Eisenkot, che lo ha accusato di dire cose non vere e ha lodato l’avvocato militare dell’esercito, il Generale Sharon Afek a capo del Military Advocate General Corps (MAG) l’unità dell’esercito il cui scopo è quello di informare i soldati sulla legge militare.

In un recente articolo sul Jerusalem Post, Caroline Glick ha scritto quello che Bennett ha detto, che è l’apparato legale che frena l’esercito nella sua azione imbrigliando i soldati in regole e cavilli eccessivamente rigorosi.

Recentemente, in uno suo articolo dal titolo, "Perché gli israelaini evitano la vittoria", Daniel Pipes ha riportato un dialogo diventato pubblico tra Bennett e Eisenkot preceduto da questa premessa:

“Essendo i più perseguitati della storia – vittime di persecuzioni religiose, razzismo, pogrom e dell’Olocausto – gli ebrei hanno sviluppato un forte senso della moralità. La prospettiva di costringere i palestinesi a sopportare l’amaro crogiolo della sconfitta è un’idea che la maggior parte degli ebrei israeliani e dei loro sostenitori nella Diaspora sono restii a mettere in atto. Prevalentemente, gli ebrei preferirebbero usare la carota anziché il bastone, la ragione e non la coercizione”.

Bennett: Perché non sparare a chi maneggia armi utilizzate per via aerea [palloncini e aquiloni incendiari inclusi] contro le nostre comunità? Non ci sono vincoli legali. Perché non sparargli invece di sparare colpi di avvertimento? Stiamo parlando di terroristi da ogni punto di vista.

Eizenkot: Non penso che sparare a bambini e ragazzi che a volte fanno volare i palloncini e gli aquiloni sia la cosa giusta da fare.

Bennett: E che dire di quelli chiaramente identificati come adulti?

Eizenkot: Proponi da sganciare una bomba su persone che fanno volare palloncini e aquiloni?

Bennett: Sì.

Eizenkot: Questo è contrario alla mia posizione operativa e morale.

Tale “posizione morale”, scrive Pipes, "ovviamente ostacola la vittoria".

Ma tutto ciò non si può dire perché se no si viene immediatamente tacciati di essere dei guerrafondai. Israele viene accusata abitualmente di “uso sproporzionato della forza” ogni volta che si difende. Ma chi stabilisce quale è l’uso sproporzionato della forza? Sono i nemici di Israele, coloro che ipocritamente, come la UE e l’ONU vorrebbero che Israele non reagisse o reagisse solo blandamente alla violenza terrorista dei jihadisti.

La guerra contro nemici implacabili non la si vince attraverso sublimi codici morali, ma attraverso l’uso della forza. Non esiste altro modo da Annibale a oggi.


Israele: Bennett torna nel governo, Netanyahu evita la crisi
giordano stabile
2018/11/19

https://www.lastampa.it/2018/11/19/este ... agina.html

Il ministro dell’Istruzione e leader del partito HaBayit HaYehudi, Naftali Bennett, fa retromarcia e il Benjamin Netanyahu evita la crisi. Con un annuncio a sorpresa questa mattina Bennett ha annunciato che non lascerà la coalizione di governo, dopo che ieri era fallito un vertice per l’attribuzione del ministero della Difesa, lasciato vacante dalle dimissioni di un altro alleato del primo ministro, Avigdor Lieberman. Bennett lo voleva per sé e ha minacciato di scatenare la crisi di governo quando il primo ministro ne ha assunto ad interim l’incarico, ma nella notte, dopo un drammatico appello alla tv dello stesso Netanyahu, ha cambiato idea.

In una conferenza stampa con la ministra della Giustizia Ayelet Shaked, Bennett ha spiegato che sosterrà il premier nella posizione di ministro della Difesa nel tentativo di migliorare la «profonda crisi di sicurezza» di Israele. «La situazione di oggi non è più pericolosa di quanto non fosse pochi mesi fa. Non è giusto fare politica con problemi di sicurezza», ha detto il Bennett: «Hamas e Hezbollah stanno diventando più attivi perché capiscono che abbiamo paura di affrontarli. L’ex ministro della Difesa ha fallito nella sua funzione».

Ieri, in diretta tv all’ora di punta, Netanyahu si era appellato ai suo alleati perché evitassero la crisi. «Spero nella responsabilità dei partner di governo – aveva spiegato – perché non facciano cadere il governo. Sarebbe irresponsabile andare al voto, in queste condizioni di sicurezza complesse. Ho rischiato la vita molte volte per salvare le vite nella terra sacra di Israele».

Il riferimento era alla situazione a Gaza, ma non solo. Con la vittoria di Bashar al-Assad in Siria, e l’ombrello anti-aereo che la Russia ha steso sopra il suo alleato, la posizione strategica di Israele non è più inattaccabile. Netanyahu vuole evitare di aprire un fronte a Sud, con Hamas, in questo momento. Ma gli alleati della destra e dei partiti religiosi premono.

La crisi è precipitata proprio con gli ultimi scontri a Gaza, una settimana fa. Dopo un blitz di un commando israeliano nella Striscia, Hamas ha risposto con il lancio di 460 razzi in 36 ore. Netanyahu ha preferito raggiungere un cessate-il-fuoco con la mediazione dell’Egitto, nonostante i sondaggi contrari. Lieberman ha reagito con le dimissioni e accusato il premier di «capitolare di fronte ai terroristi». Netanyahu si è poi scontrato con Bennett. Ieri ha avuto un vertice con un altro alleato chiave, il ministro delle Finanze Moshe Kahlon, senza risultati. Bennett ha accusato il governo di «comportarsi come il centrosinistra» per il rifiuto di affidargli la Difesa.

Oggi è arrivata la svolta positiva ma per Netanyahu il percorso verso il voto del prossimo anno è stretto. Fino alle dimissioni di Lieberman il governo aveva 67 seggi (30 del Likud) sui 120 della Knesset. Senza i 6 seggi di Lieberman gli resta una maggioranza di un voto. Ma il primo obiettivo è evitare elezioni anticipate, perché i sondaggi sono ora negativi ma nei prossimi mesi potrebbero essere ribaltati. Fra le due principali formazioni di opposizione, l’Unione sionista di centrosinistra e la centrista Yesh Atid, è quest’ultima, guidata dall’ex star della tv Yar Lapid, ad avere più chance. Alcuni sondaggi lo danno addirittura in sorpasso sul Likud, in caduta libera a soli 20 seggi.





L'ONU E LA TRAGEDIA DI GAZA
di Justin Amler

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... __tn__=K-R

L’Onu – un’organizzazione ipocrita ed eticamente defunta, che pensa di poter dare lezioni morali a tutti – ha detto che una nuova guerra a Gaza sarebbe stata una “tragedia inimmaginabile”. Proprio così: “una tragedia inimmaginabile”. E ancora una volta ha sbagliato su quale sia esattamente la tragedia. Giacché la vera tragedia è ciò che sta avvenendo a Gaza da 13 anni.

Nel 2005 Israele lasciò Gaza sgomberando tutti i soldati e tutti i civili, sradicando persone e famiglie che vi abitavano e lavoravano da una vita. Andandosene, Israele lasciò nella Striscia di Gaza un bel patrimonio di impianti che avrebbe potuto dare agli arabi del posto la possibilità di fare qualcosa di buono della loro vita. Israele offrì loro la possibilità di costituire un’entità largamente indipendente, e la possibilità di disegnare il proprio destino. Israele lasciò loro varie strutture, a cominciare da imprese di successo d’agricoltura in serra, con colture già avviate all’esportazione. Ma invece di cogliere l’occasione d’oro che gli si offriva – l’occasione di esercitare un’autodeterminazione che nessuno dei “fratelli arabi” aveva mai offerto loro – essi decisero di non coglierla. Invece di lavorare nelle serre, le saccheggiarono. Portarono via tutto: tubi di irrigazione, pompe per l’acqua, coperture in plastica. Invece di abitare nelle case degli ex-insediamenti ebraici, le depredarono. I denari e i materiali che vennero generosamente riversarti nella striscia di Gaza, e che erano destinati ad aiutare i residenti arabi a diventare un modello di successo per il supposto sogno arabo di un ulteriore stato arabo indipendente, finirono invece per finanziare un incubo. Nei 13 anni da quando Israele se n’è andato, tutti gli sforzi degli arabi a Gaza, sotto la dittatura criminal-terroristica che vi prese il potere, non hanno mai riguardato il futuro, non sono mai stati dedicati a costruire una vita migliore, non sono mai stati centrati sull’aiutare la propria gente. Non hanno mai riguardato lo sforzo di creare un futuro di speranza, opportunità, aspirazioni.

È stato esattamente il contrario. La struttura di speranza che si sarebbe dovuta costruire venne sostituita con la struttura dell’odio. Le menti dei migliori ingegneri, anziché essere focalizzate sulla costruzione di vitali infrastrutture civili come centrali idriche ed elettriche, sono state cinicamente indirizzate alla costruzione di razzi e gallerie, tutte progettate al solo scopo di seminare le morte su uomini, donne e bambini. Hanno costruito esclusivamente per uccidere.

La tragedia non è se arriva una guerra, perché la guerra c’è già: quella di Gaza contro se stessa. La tragedia è che i miliardi di dollari che gli arabi di Gaza hanno ricevuto, tutto il sostegno e le speranze e la volontà di gran parte del mondo di vedere il loro successo, sono stati sperperati: non da una cattiva gestione, bensì dal deliberato obiettivo nazionale di puntare tutto sulla distruzione dell’unico stato ebraico sulla Terra. Quanti ospedali, quante scuole e università avrebbero potuto essere costruiti? Quanti centri di eccellenza della scienza e dello sviluppo avrebbero potuto fiorire? Quante opportunità si sarebbero potute offrire e quanti sogni si sarebbero potuti realizzare? Ma nulla di tutto questo si avvererà perché per quei capi arabi, il futuro non è determinato su ciò che possono costruire, ma solo da ciò che possono distruggere.

Nel frattempo, i razzi hanno continuato a cadere su persone innocenti nelle comunità meridionali d’Israele, e si è continuato a scavare tunnel per infiltrare terroristi sotto alle case dove dormono i bambini. Bambini cresciuti con l’idea che sia normale avere pochi secondi per correre nei rifugi, sapendo che quei pochi secondi possono fare la differenza tra la vita e la morte. Ecco la vera tragedia. La guerra non è una “tragedia inimmaginabile”, come sembrano pensare le Nazioni Unite. La guerra è il risultato ovvio e inevitabile quando a un’entità terrorista viene permesso di svilupparsi senza ammonimenti né conseguenze. Dov’era la comunità internazionale in tutti questi ultimi 13 anni? Dove sono le condanne di ciò che stavano facendo i capi di Hamas? Del modo in cui nascondevano i razzi sotto le scuole finanziate dai paesi donatori, del modo in cui hanno usato intenzionalmente e cinicamente i civili come carne da macello alla barriera di confine con Israele, del modo in cui hanno minacciato e intimidito persino la stampa e il personale delle Nazioni Unite? Dove sono gli appelli del Segretario Generale dell’Onu alla “moderazione” quando quelli costruivano i loro tunnel del terrore, giorno dopo giorno e notte dopo notte? E dov’erano responsabilità e controlli quando i fondi della comunità internazionale destinati alla ricostruzione diventavano investimenti di morte impiegati per la distruzione? Le cose non cambieranno fino a quando intere generazioni non saranno educate alla pace anziché indottrinate alla guerra; finché nessuno sarà mai chiamato a subire conseguenze per la costruzione di strutture terroristiche.

Nessuna persona razionale vuole la guerra, ma qui non abbiamo a che fare con persone razionali. Abbiamo a che fare con un’organizzazione terroristica spietata che non si fermerà, indipendentemente da quanto si cerchi di blandirla, indipendentemente da quanti soldi le si daranno. La mia gente è sotto attacco da parte di forze oscurantiste che non possono essere placate e con cui non è possibile ragionare. Egiziani e altri attori internazionali si adoperano furiosamente per una tregua di lungo periodo, ma non ci può essere una tregua di lungo periodo con il male, perché il male aspetta solo nell’ombra per ricominciare. La vera tragedia è che si siano lasciate arrivare le cose a questo punto.


HARD TRUTHS
Niram Ferretti
22 novembre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La forza, la forza declinata senza tentennamenti è la risposta migliore per i nemici implacabili di Israele. L'ombra della forza è ciò che sta dietro la diplomazia quando essa è veramente efficace, forza militare, economica, tecnologica. Supremazia.

Senza la supremazia del potere, che è effettualità concreta e virtualità da esercitare militarmente nei casi estremi, non potrebbe esistere alcun equilibrio geopolitico.

Carlo M. Santoro nella sua introduzione a "Sur Clausewitz", di Raymond Aron, scrive:

"Il metodo della guerra, per quanto stigmatizzato ed esorcizzato da tutti, resta purtroppo ancora il più valido ordigno per dirimere le controversie internazionali...Chi pontificava, nel 1989, sulla 'fine della storia' si è dovuto ben presto ricredere. Il pianeta non si è ancora allontanato dal suo retaggio archeologico di autogestione statuale della violenza per i propri intetessi nazionali, regionali, di alleanza, collettivi".

Per la dottrina militare islamica, la pace è la tregua necessaria quando il nemico è troppo forte per potere essere combattuto. La sua supremazia, la sua forza, è ciò che costringe a deporre le armi in attesa del momento propizio per agire, quando la sua capacità di deterrenza sarà diminuita.

Secondo il Sahih di al-Bukhari, l'hadit n.4329 l'ultima sura a essere rivelata a Maometto è la sura 9. Come scrive Hamed Abdel Samad, "La sura inizia con l'abrogazione unilaterale di tutti gli accordi di pace stipulati in passato con i miscredenti. A chi non era attivamente coinvolto nella lotta contro Maometto e i suoi seguaci viene concesso solo un breve periodo di grazia".

Lo Statuto di Hamas del 1988, mai abrogato, all'Articolo tredici recita:

"Non c'è soluzione per la questione palestinese se non attraverso la Jihad. Iniziative, proposte e conferenze internazionali sono tutto uno spreco di tempo e sforzi vani".




VOLANO I FALCHI (FINALMENTE)
Niram Ferretti
21 novembre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Questo è quello che si doveva e si deve ascoltare, ma le parole devono diventare fatti e non restare slogan. Dopo le dimissioni di Avigdor Lieberman che chiedeva una maggiore risolutezza contro Hamas giungono ora le parole di alcuni degli esponenti di punta del Likud.

Gilad Erdan, Ministro della Pubblica Sicurezza, in una conferenza a Gerusalemme ha dichiarato che “Israele è più vicina che mai a rioccupare la Striscia costiera, il che significa tenerla sotto la nostra presa fino a quando non verrà smantellata l’infrastruttura terroristica“. Ci si deve muovere dalla “difesa all’offesa” il che significa anche “omicidi mirati dei capi terroristi dell’ala militare di Hamas”.

Gli fa eco Yoav Gallant di Kulanu, anche lui membro del Gabinetto di sicurezza il quale ha dichiarato che i giorni del leader di Hamas, Yahya Sinwar, sono “numerati” e che “non terminerà i suoi giorni in una casa di riposo”.

Israel Katz, Ministro dell’Intelligence ribadisce che, “A seguito dei recenti avvenimenti nel sud di Israele, la violenza ai confini, l’incendio dei campi e i lancio di centinaia di razzi contro le comunità israeliane, siamo vicini a una guerra obbligata contro Hamas a Gaza. Dobbiamo restaurare la deterrenza. Non esiste alcuna soluzione politica per la questione di Gaza e non c’è alcun accordo stabile con Hamas. Israele deve colpire Hamas in modo da restaurare la resistenza che è stata erosa”.

Ma un momento. Non era quello che chiedeva il dimissionario Lieberman? I ministri in questione hanno forse fatto un corso accelerato con Daniel Pipes e Martin Sherman? Cosa sta succedendo?

Netanyahu concede la tregua e due dei suoi ministri più importanti lo sconfessano in pieno dicendo quello che Daniel Pipes dice da anni ormai, che per tornare a vincere, Israele deve modificare il proprio approccio troppo conciliante e procedere senza esitazione.

Il bubbone va estirpato. Non ci sono altre soluzioni. Vale sempre il vecchio adagio, “Il medico pietoso rese la ferita purulenta”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:59 am

Israele, Netanyahu rimanda la crisi
Mario Lombardo
20 novembre 2018

http://www.altrenotizie.org/primo-piano ... nK4e8qs7Ig

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sembra avere per il momento scongiurato una delicata crisi di governo e allontanato l’ipotesi di elezioni anticipate. Il suo gabinetto esce tuttavia indebolito dal recente scontro con gli alleati di estrema destra, provocato dalla tregua siglata con Hamas per chiudere l’ennesimo conflitto armato nella striscia di Gaza.

Settimana scorsa, l’ormai ex ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, si era dimesso dal governo dopo avere accusato Netanyahu di essere troppo tenero nei confronti di Hamas e di avere accettato un cessate il fuoco senza avere debellato una volta per tutte la minaccia islamista sulla popolazione di Israele. La decisione di Lieberman era stata quasi universalmente giudicata come una mossa elettorale, per dare al leader del partito Yisrael Beitenu credenziali militariste e garantirgli la possibilità di provare a strappare voti al Likud del primo ministro.

L’uscita di Lieberman dal governo aveva così privato Netanyahu di cinque seggi, riducendo al minimo la sua maggioranza (61 su 120). Un’elezione anticipata appariva totalmente plausibile già in una situazione di questo genere, ma era addirittura diventata quasi inevitabile dopo che un altro “falco” dell’esecutivo Netanyahu, il ministro dell’Educazione Naftali Bennett, aveva minacciato anch’egli di ritirare i deputati del suo movimento (“Casa Ebraica”) se il portafoglio della Difesa non gli fosse stato assegnato in sostituzione di Lieberman.

L’agitazione alla destra del Likud ha però consentito a Netanyahu di promuovere la sua immagine di leader dedito alla sicurezza del paese e di dipingere i rivali interni come irresponsabili interessati solo a calcoli elettorali. Con un discorso tenuto domenica, Netanyahu ha attaccato coloro che con il loro comportamento stavano costringendo il paese a elezioni anticipate, cioè uno scenario a suo dire da evitare a tutti i costi, visti i problemi legati alla sicurezza che Israele sta affrontando in questo frangente.

Il primo ministro ha anche annunciato di volere ricoprire egli stesso il ruolo di ministro della Difesa e, poco più tardi, la minaccia di Bennett e del suo partito è immediatamente rientrata. Il ministro dell’Educazione ha cercato di salvare le apparenze per giustificare il suo passo indietro, dicendosi soddisfatto delle rassicurazioni in materia di sicurezza offerte da Netanyahu.

La scadenza naturale del parlamento israeliano è prevista per il novembre del prossimo anno, ma, nonostante l’apparente risoluzione della crisi, sono in molti a credere che la Knesset possa essere sciolta almeno qualche mese prima. Svariati fattori pesano infatti su un gabinetto con una maggioranza così risicata, non da ultimi i guai giudiziari dello stesso Netanyahu, sul cui capo pendono possibili incriminazioni nell’ambito di alcuni procedimenti per corruzione.

Se Netanyahu non sembra essere interessato al momento a chiedere anticipatamete un nuovo mandato degli elettori, è evidente come anch’egli si stia già preparando per un voto a breve. Nello stesso discorso del fine settimana, il primo ministro ha ostentato ad esempio le sue credenziali in materia di sicurezza, quasi a respingere le accuse di Bennett e Lieberman in un antipasto del prossimo confronto elettorale che si giocherà quasi certamente sui temi cari alla destra israeliana.

In un clima nel quale quasi tutto il panorama politico fa a gara per attestarsi sulle posizioni più guerrafondaie possibili, Netanyahu è consapevole di essere esposto ad attacchi da destra anche solo per avere sottoscritto una tregua con Hamas, peraltro seguita a scontri causati dall’ennesima operazione criminale delle forze di sicurezza israeliane in territorio palestinese.

Ciononostante, Netanyahu intende perseguire un progetto che comporta il mantenimento di un certo equilibrio a Gaza, pur non avendo nulla a che vedere con scrupoli di natura pacifista o per le condizioni drammatiche della popolazione palestinese.

Le dichiarazioni del premier sulla volontà di evitare “una guerra non necessaria” nascondono cioè il bisogno, da un lato, di mantenere una relativa pace a Gaza sotto il controllo di Hamas e, dall’altro, di garantire l’esistenza di quest’ultima organizzazione, sia per evitare una complicatissima occupazione militare israeliana della striscia sia per impedire un’unificazione dei territori palestinesi sotto il dominio dell’Autorità Palestinese.

In ultima analisi, l’obiettivo di Netanyahu è la costante espansione degli insediamenti illegali israeliani e il conseguente impedimento della creazione di uno stato palestinese unificato. Da qui deriva la necessità di alimentare le divisioni tra i palestinesi e, allo stesso tempo, di evitare l’esplosione di tensioni o il verificarsi di eventi estremi che peggiorino ulteriormente l’immagine internazionale di Israele fino al punto di ostacolare l’implementazione dell’agenda del primo ministro.

In questo senso va interpretata la recente decisione di Netanyahu, anch’essa fortemente criticata dalla destra interna all’alleanza di governo, di consentire il trasferimento a Gaza di aiuti provenienti dal Qatar per 15 milioni di dollari, in buona parte destinati a pagare stipendi e a prevenire rivolte popolari contro gli stessi vertici di Hamas.

Un altro elemento da considerare nella relativa cautela di Netanyahu è senza dubbio la capacità ormai acquisita da parte di Hamas di colpire in maniera pesante la popolazione israeliana. Una nuova guerra a tutti gli effetti con il braccio armato del governo di Gaza si trasformerebbe cioè in una dispendiosa impresa per Israele in termini economici e di uomini, senza contare i problemi d’immagine dovuti alle più che probabili condanne internazionali nonostante il sostegno dell’alleato americano.

A differenza di Bennett e Lieberman, dunque, Netanyahu continua a mostrare un certo pragmatismo nella gestione del problema di Gaza, sia pure nell’ambito di un disegno inequivocabilmente anti-palestinese. Come ha spiegato un’analisi pubblicata qualche giorno fa dalla testata on-line Middle East Eye, per il premier israeliano “l’esistenza di Hamas rappresenta un bonus strategico di primissima importanza”, poiché, dal suo punto di vista, “qualsiasi fattore che possa favorire la creazione di uno stato indipendente a Gaza, separato dalla Cisgiordania, è una sorta di benedizione”.

In altri parole, Netanyahu intende capitalizzare per i propri scopi le divisioni tra Hamas e Autorità Palestinese, visto che “fino a quando le due entità rimarranno separate, le probabilità che l’OLP e i palestinesi in generale reclamino e ottengano un unico stato indipendente sono ridotte al minimo”. In una situazione già tutt’altro che favorevole, insomma, la mancata unità palestinese ostacola in maniera decisiva l’avvio di qualsiasi negoziato e favorisce il consolidamento dell’occupazione promossa da Netanyahu.

In questo gioco di equilibri di Netanyahu, costretto a muoversi tra le spinte dell’estrema destra domestica e la necessità di garantire lo status quo sul fronte palestinese, si inseriscono infine le manovre dell’amministrazione Trump e l’elaborazione, probabilmente tuttora in corso, del “piano di pace” della Casa Bianca. Se i dettagli della proposta americana non sono noti ufficialmente, sembra praticamente certo che prevederà anch’essa la formazione di entità palestinesi separate, in modo da favorire ancor più Israele.

Il piano di Trump, studiato dal genero Jared Kushner e ridicolmente auto-definito “accordo del secolo”, sembra essere dunque un tradimento anche formale della causa palestinese e ricalcare in sostanza le posizioni di Netanyahu, la cui permanenza alla guida del governo continua a rimanere perciò un’assoluta priorità anche per il principale alleato dello stato di Israele.





Un caso per un’azione preventiva, di Gideon Sa'ar
24 novembre 2018

http://www.linformale.eu/un-caso-per-un ... UoWbfZdm4Q

Le sfide per la sicurezza di Israele sono state di nuovo al centro del dibattito pubblico negli ultimi giorni. Tuttavia, al dibattito pubblico è mancata una conversazione su come impedire il concentramento delle forze militari dei nostri nemici nei paesi e nei territori confinanti.

È chiaro che le capacità di Hamas (e delle altre organizzazioni terroristiche a Gaza) si rafforzano da un’azione militare all’altra. Questo è accaduto negli ultimi 13 anni, da quando Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza. Tuttavia, la principale minaccia arriva di fatto dal nord del paese.

Nei 12 anni trascorsi dalla fine della Seconda guerra del Libano, Hezbollah ha notevolmente potenziato le proprie capacità, nonostante il fatto che per circa la metà di questi anni il gruppo sia stato pienamente coinvolto nella guerra interna in Siria. Le azioni intraprese da Israele di volta in volta contro la presenza di forze da parte di Hezbollah hanno ritardato questo processo, ma non l’hanno arrestato.

Circa un anno e mezzo fa, in un articolo pubblicato sulla rivista dell’Institute for National Security Studies (INSS), il sottoscritto e Ron Tira abbiamo illustrato le linee rosse di Israele riguardo al contesto siriano-libanese. Abbiamo mostrato, la portata dei tentativi di Teheran – attraverso il suo mandatario Hezbollah – nello sviluppare la capacità per fare un salto di qualità e lanciare un imponente attacco contro le infrastrutture civili e militari di Israele.

L’obiettivo delle fabbriche dei missili di precisione di Hezbollah in Libano è quello di convertire proiettili imprecisi in missili guidati di precisione. Tali missili saranno in grado di “raggiungere il cuore di Israele con una precisione di 10 metri”, come ha spiegato il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite, due mesi fa.

Se Hezbollah riuscisse nel suo intento, potrebbe causare a Israele danni di notevole entità durante uno scontro. Ecco perché nel nostro articolo pubblicato dall’INSS lo abbiamo chiaramente indicato come una linea rossa.

A mio avviso, ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno.

Se in tempi brevi non verrà compiuto un attacco preventivo israeliano, la finestra delle opportunità potrebbe chiudersi. Ciò significa che i futuri attacchi potrebbero essere meno efficaci e comportare un prezzo nettamente superiore. Il vantaggio sarà inferiore e il prezzo più elevato.

Un attacco preventivo potrebbe causare una risposta, ma se non agiremo Israele pagherà un prezzo molto più salato nel prossimo scontro armato.

L’obiettivo di Hezbollah di riuscire a realizzare capacità tali per lanciare un attacco “di qualità” contro le infrastrutture civili e militari israeliane fa parte della sua strategia più ampia, che consiste nel limitare la libertà di azione strategica di Israele, anche nel contesto di una possibile futura svolta nucleare iraniana.

Auspico un attacco preventivo contro le fabbriche dei missili di precisione in Libano e contro altre minacce strategiche che Hezbollah sta mettendo a punto in Libano e appoggerò una decisione di questo tipo.

Allo stesso tempo, è necessario un nuovo approccio per affrontare il tentativo iraniano di stabilirsi in Siria. Finora in questa arena lo schema di azione israeliano è stato all’insegna della “caccia alle forniture di armi”, mentre la strategia iraniana è stata quella di tenere fermamente fede al proprio obiettivo. Teheran è stata attenta a non distogliere in alcun modo l’attenzione dal suo obiettivo, al punto che non reagisce nemmeno agli attacchi compiuti da Israele. Gli iraniani hanno costruito una infrastruttura in Siria che annovera, tra le altre cose, sistemi di intelligence, missili terra-terra e missili terra-aria.

Israele non dovrebbe essere scoraggiato e dovrebbe continuare i propri attacchi in Siria. La restrizione delle attività da parte di Israele per un periodo di tempo prolungato (com’è avvenuto nelle ultime otto settimane) probabilmente limiterà la libertà di azione necessaria per raggiungere il nostro obiettivo.

La realtà in Siria dopo la lunga guerra civile del paese renderà più difficile per noi agire lì in futuro. Israele deve garantire con ogni mezzo necessario (anche militare) che la minaccia di un potenziamento militare iraniano in Siria sia del tutto rimossa prima che la finestra delle opportunità si chiuda. Ciò probabilmente richiederà un’attività israeliana più intensa.

Sul fronte politico, sappiamo che l’amministrazione americana intende rendere pubblico il cosiddetto “accordo del secolo”. La collaborazione fra l’attuale amministrazione statunitense e il governo israeliano oggi è ai massimi storici.

Non conosciamo i dettagli del piano, ma posso solo sperare che l’amministrazione americana – che finora ha eccelso nell’affrontare la questione – eviterà di ripetere gli stessi errori commessi dalle amministrazioni precedenti.

Queste ultime avevano torto a porre al centro della “soluzione” l’idea di creare un nuovo stato arabo nel cuore della nostra terra. Questa idea infelice non solo non fa parte della soluzione, ma ci allontana ulteriormente dalla pace e dalla sicurezza. Aggraverà l’instabilità nella regione e anche i problemi di sicurezza di Israele. Ecco perché numerosi israeliani si aspettano che il nostro migliore amico ora introdurrà un approccio nuovo e inedito, come ha fatto negli ultimi due anni.

Va detto chiaramente: dopo i ritiri di Israele durante il processo di Oslo e il disimpegno di Gaza, non abbiamo altro da dare (territorialmente) e non abbiamo nessuno a cui darlo.

Le direzioni future per qualsiasi processo di pace devono essere separate dal concetto di Oslo e basarsi su accordi regionali che includano la Giordania e l’Egitto. In futuro, l’autonomia araba in Giudea e Samaria (l’Autorità palestinese) dovrebbe essere connessa alla Giordania. Fino al 1988 i residenti arabi della Giudea e della Samaria erano cittadini giordani. Un nuovo piccolo stato arabo nel cuore della nostra terra non può essere e non sarà fattibile. Israele non dovrebbe tornare al paradigma di Oslo.

In conclusione, nel prossimo periodo ci saranno decisioni difficile e coraggiose da prendere. Come ho detto, mi presenterò alle elezioni politiche del 2019 tornando a rappresentare il mio partito – il Likud. Lo farò per rafforzare il mio partito, basato sul nostro cammino, fondato sulla ferma convinzione e sulla tutela dei nostri diritti e degli interessi del nostro paese.

Il testo è basato sul discorso pronunciato da Gideon Sa’ar alla Jerusalem Post Diplomatic Conference.

Gideon Sa’ar, del Likud è stato Ministro dell’Interno (2009-2913) e Ministro dell’Educazione (2013-2014)

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’originale in lingua inglese




La soluzione del commissario Onu? “Israeliani, andatevene da lì”
Se queste sono le “idee” che circolano all’interno della Commissione del Consiglio per i Diritti Umani che indaga sui fatti di Gaza...
(Da: YnetNews, israele.net, 26.11.18)

https://www.israele.net/la-soluzione-de ... 5wBK9k1Zwo

Un membro della Commissione del Consiglio Onu per i Diritti Umani, che sta indagando sugli eventi degli ultimi mesi al confine tra Gaza e Israele, ha chiesto a due israeliane che vivono vicino alla striscia: “Se questa è la situazione, perché continuate a vivere lì?”.

Durante lo scorso fine settimana Batia Holin, del kibbutz Kfar Aza, e Adele Raemer, del kibbutz Nirim, hanno accettato l’invito a parlare di fronte alla Commissione Indipendente d’Indagine del Consiglio Onu per i Diritti Umani (UNHRC), incaricata di investigare gli eventi del 2018 ai confini della striscia di Gaza, e hanno accettato di raccontare ai membri della Commissione come si vive sotto la minaccia continua di attacchi di razzi, infiltrazioni di terroristi, incendi dolosi (si vedano le gallerie di immagini cliccando qui, qui e qui).

La Commissione le ha convocate avendo notato la loro attività sui social network, dove le due israeliane hanno tenuto un diario degli eventi al confine postando foto e video e soprattutto scrivendo degli incendi scoppiati negli ultimi otto mesi a causa degli aerostati con ordigni incendiari ed esplosivi lanciati quasi quotidianamente dalla striscia di Gaza verso Israele.

Benché invitate a parlare davanti alla Commissione Onu, a Ginevra, Batia Holin e Adele Raemer dicono di esservisi recate con poche aspettative, ben conoscendo il pregiudizio anti-israeliano che caratterizza in generale le agenzie delle Nazioni Unite. Ciò nonostante, dicono d’essere rimaste sbalordite quando, dopo aver descritto la propria vita sotto la minaccia di razzi, tunnel e incendi dolosi, uno dei membri della commissione ha tranquillamente chiesto loro, come fosse la cosa più normale del mondo, perché insistano a vivere nella regione di Israele che confina con Gaza. Per inciso, si calcola che siano tra 800mila e un milione i civili israeliani che vivono nel raggio di 35 km dal confine di Gaza, cioè alla portata dei razzi Grad-Katyusha di cui Hamas dispone almeno dal 2008-2009.

“Quando mi è stato chiesto perché mai rimango nella mia casa e non me ne vado via a causa della situazione – dice Holin – ho capito quanto i membri di quella Commissione siano scollegati dalla realtà. Non hanno la minima idea di come viviamo qui e di cosa siano Israele e la storia del sionismo. Siamo arrivati di fronte alla Commissione con una presentazione e un sacco di materiale – continua Holin – per mostrare a quel comitato, che è presieduto da un giurista, com’è la nostra vita al confine con Gaza. Dovevamo parlare un’ora a testa, ma le cose da spiegare erano talmente tante che abbiamo finito col parlare per quattro ore. Abbiamo raccontato loro della nostra vita sotto i razzi, dei tunnel che sono stati scoperti vicino a dove abitiamo, del fumo nero dei pneumatici che ogni venerdì appesta l’aria e ci soffoca. Abbiamo capito che i membri della Commissione non conoscono per nulla Israele, né la striscia di Gaza. Non sono mai stati qui. Ho dovuto mostrare loro su una mappa quanto il mio kibbutz si trovi vicino al confine e spiegare cosa significa questo nella vita di tutti i giorni”.

Conclude Holin: “A un certo punto mi hanno chiesto: come spiega il fatto che un venerdì, durante le proteste, le Forze di Difesa israeliane hanno ucciso tanti manifestanti palestinesi che si erano avvicinati alla barriera di confine? Ho dovuto spiegare loro che quegli attivisti, mandati da Hamas, non volevano attraversare il confine per ‘manifestare’: volevano infiltrarsi nelle nostre comunità, infiltrarsi in casa mia per farci del male, e quindi abbiamo il pieno diritto di difenderci”.



Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui
viewtopic.php?f=205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:59 am

Giovedì l’ONU voterà contro Hamas. È la prima volta che avviene
Sarah G. Frankl
dicembre 1, 2018

https://www.rightsreporter.org/giovedi- ... qzKX9XCVt0

Giovedì prossimo l’Assemblea generale della Nazioni Unite voterà una risoluzione presentata dagli Stati Uniti che condanna il lancio di missili contro Israele da parte di Hamas.

Sembra incredibile, ma è la prima volta che l’Assemblea generale della Nazioni Unite viene chiamata a votare una risoluzione di condanna per questo gruppo terrorista palestinese che da decenni tiene in ostaggio la Striscia di Gaza e conduce attività terroristiche contro uno Stato democratico.

La risoluzione è stata presentata da Nikki Haley, ambasciatrice americana uscente alle Nazioni Unite, che con un grande sforzo diplomatico è riuscita nell’impresa di ottenere l’appoggio cruciale dei Paesi europei, un fatto questo che dovrebbe garantire che la risoluzione verrà approvata.

Come detto, sembra incredibile ma è la prima volta da quando nel 2007 Hamas ha occupato la Striscia di Gaza che viene discussa una risoluzione di condanna per uno dei più pericolosi e sanguinari gruppi terroristici islamici del mondo, mentre sono decine le risoluzioni contro Israele. Questo dovrebbe dirla parecchio lunga sul pregiudizio anti-israeliano che imperversa all’ONU.

Tutti i 28 Paesi della UE hanno accettato di sostenere la risoluzione americana anche se nel documento presentato da Nikki Haley (che rimpiangeremo come ambasciatrice all’ONU) non si fa nessun riferimento alla soluzione dei due Stati.

«La questione portata all’attenzione delle Nazioni Unite non riguarda il supporto a un qualsiasi piano di pace» ha detto un funzionario della missione americana all’ONU, «ma ad ogni Paese verrà chiesto di votare a favore o contro le attività di Hamas e di altri gruppi terroristici come la Jihad islamica».

«Se le Nazioni Unite non sono in grado nemmeno di votare un documento del genere allora non possono avere titolo a discutere qualsiasi soluzione della crisi israelo-palestinese» ha poi concluso il diplomatico americano.

«Hamas vuole apertamente la distruzione di Israele» ha detto Nikki Haley che lascerà il suo posto a gennaio «mentre fino ad oggi le Nazioni Unite si sono preoccupate solo di condannare gli insediamenti israeliani o la supposta “risposta sproporzionata” israeliana agli attacchi di Hamas contro i civili dello Stato Ebraico. Ora per la prima volta qualcosa potrebbe cambiare» ha concluso la Haley.

Le risoluzioni adottate dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite non sono vincolanti ma hanno un forte peso politico e possono condizionare l’opinione pubblica mondiale.

Mercoledì scorso il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, ha inviato una lettera aperta al Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Maria Fernanda Espinosa, e agli stati membri nella quale sostiene che la risoluzione americana vuole solo delegittimare la resistenza palestinese chiedendo nel contempo di rigettare la risoluzione.




http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=72920

informazionecorretta.com
Informazione Corretta
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7-9 minuti
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 04/12/2018, a pag.12, con il titolo "Quella mano tesa Papa-Abu Mazen, ferita per Israele" il commento di Fiamma Nirenstein; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Il governo ha un problema con Israele".

A destra: Papa Bergoglio incontra Abu Mazen


Con la benedizione del Papa all'angelo della pace

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Quella mano tesa Papa-Abu Mazen, ferita per Israele"

Immagine correlata
Fiamma Nirenstein

Viene puntualissimo, dopo le sei risoluzioni che l'ONU ha votato venerdì contro Israele, approvate da 156 contro 8 Paesi onesti (ma insomma, che sta facendo l'Italia?) in cui si nega la sovranità israeliana e il rapporto storico degli ebrei con Gerusalemme, l'incontro del Papa con Abu Mazen in cui, con tutto il rispetto, egli ha agito come un politico: ovvero, la strada scelta è la più immediata, la più fuori da un'analisi realistica dei fatti e quindi la più inutilmente cerimoniale. Non sarebbe stato magnifico e storico quanto la proibizione di Giovanni XXIII di essere ancora antisemiti, o la visita di Giovanni Paolo II al Muro del Pianto con il successivo riconoscimento, così dovuto alla storia umana, dell'Stato d'Israele, che il Papa avesse chiesto a Abu Mazen di imboccare una vera strada di conciliazione, di riconoscimento del diritto degli ebrei a un loro Stato, alla loro storia, alla loro capitale millenaria? Questo avrebbe anche legittimato i desideri dei palestinesi, li avrebbe rinfrescati e resi attuali. Ma non è accaduto. Il Papa ha incontrato Abu Mazen, il presidente dell'Autorità Palestinese, per allinearsi, secondo la Sala Stampa della Santa Sede, con le posizioni classiche, quelle che non hanno portato da nessuna parte. Di fronte agli immensi cambiamenti che investono il Medio Oriente ci si poteva aspettare qualche cosa di diverso, e la parola "pace" è rimasta nuda, povera. Che significa "riattivare il processo di pace". Chi lo deve riattivare? Abu Mazen dovrebbe accettare almeno di discuterne, mentre rifiuta da anni ogni colloquio; e dovrebbe abbandonare l'incitamento feroce, diffamatorio e delegittimante che mette in gioco l'esistenza stessa di Israele, le accuse assurde di pulizia etnica, di Stato di apartheid. Gli ostacoli alla pace sono qui: l'esaltazione del terrorismo e la determinazione a continuare a fornire gli stipendi ai terroristi nelle carceri e alle loro famiglie. E poi: il Papa spera nella soluzione dei due Stati per due popoli. Ma non sarebbe meglio sottolineare, per un'analisi fattiva, che oggi gli Stati eventualmente sarebbero tre perchè l'Autorià Palestinese e Gaza si odiano di più di quanto odino Israele? Non c'è nessuna possibilità che Hamas si sottoponga a Abu Mazen, e anzi lavora sodo per distruggere il presidente dell'AP. Di lui, con la sua faccia da benevolo avolo, è difficile ma utile ricordare le parole in ogni occasione, salvo quelle diplomatiche, sempre estreme, aspre, definitive, in cui la condanna di Israele alimenta l'odio e non la tensione verso la pace. Israele è piena di organizzazioni, di canzoni, di ambizione alla pace. E dov'è quella palestinese? Il Papa ha letto quello che si insegna nelle scuole di Ramallah? L'AP appare moderata solo perchè Hamas è un'organizzazione terrorista. Solo ieri Gaza ha condannato a morte per impiccagione sei persone accusate di connivenza con Israele, e forse il Papa non si è ricordato, durante l'incontro, di quanto i cristiani di Gaza, palestinesi come gli altri, soffrano nelle mani di Hamas. E infine Gerusalemme: è così difficile, come la Bibbia, come i Vangeli, come gli stessi musulmani prima della radicalizzazione, ricordare il nesso fra gli ebrei e la loro città per antonomasia? L'allusione nell'espressione usata nel comunicato che invita a "riconoscerne e preservarne l'identità e il valore universale di Città Santa" è contro il riconoscimento come capitale di Israele. A Gerusalemme capitale già si pratica il rispetto pieno per tutte le religioni, la Spianata delle Moschee è gestita dall'Islam e il Santo Sepolcro dai Cristiani. Chissà che succederebbe se venisse divisa.

IL FOGLIO: "Il governo ha un problema con Israele"

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Giuseppe Conte con Abu Mazen

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, incontrerà lunedì 3 dicembre, alle ore 16 a Palazzo Chigi, il presidente della Palestina, Mahmoud Abbas”. Questo l’annuncio domenica sul sito del governo. Peccato che Abbas sia “il presidente dell’Autorità palestinese”. Differenza non da poco, visto che anche quando è accolto all’Eliseo, oltre alla Casa Bianca, Abbas è presentato con quel titolo. Lo “stato di Palestina” (ancora) non esiste. Non è solo una gaffe. Il governo pare avere un problema con Israele e la Lega di Salvini, che si è sempre detta amica dello stato ebraico, non è riuscita a imprimere la svolta che aveva detto di volere. Il 10 ottobre 2018, di fronte alla commissione Affari esteri della Camera dei deputati, un diplomatico iraniano, Alireza Bigdeli, ha detto: “Israele ha un ruolo distruttivo nella nostra regione, Israele è un paese che ha occupato la Palestina e con la guerra vuole mantenere la sua esistenza. Israele è una falsificazione, Israele è una cosa costruita, non è una cosa vera, originale. Nella nostra zona ci sono stati molti errori, il primo è stato la creazione di Israele”. Il 5 stelle ha consentito che in Parlamento entrassero i rappresentanti di un regime antisemita e che persegue la distruzione di Israele. Ci sono due tipi di “populismi” sulla questione di Israele. Uno molto favorevole a Gerusalemme e che accomuna oggi l’America di Trump, l’Austria di Kurz, l’Ungheria di Orban e l’olandese Wilders. E uno apertamente contrario a Israele e di cui fanno parte i 5 Stelle, lo spagnolo Podemos e il Labour di Corbyn. In una intervista col Washington Post a luglio, Salvini si disse d’accordo con Trump e la decisione di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele. Il sottosegretario agli Esteri del 5 stelle, Manlio Di Stefano, era corso subito ai ripari: “La sede della ambasciate italiane è competenza della Farnesina”. A febbraio, rispondendo a una domanda di Yossi Bar, corrispondente in Italia della radio israeliana, Salvini disse: “Sono amico e fratello di Israele, avanguardia di democrazia”. Ma all’Onu, l’Italia sta votando compatta contro Israele. Adesso questo scivolone sullo “stato di Palestina”. Un vero governo del cambiamento.



Putin invita il capo di Hamas a Mosca. La partita russa in Medio Oriente
Paola P. Goldberger
novembre 29, 2018

https://www.rightsreporter.org/putin-in ... YGg8WL8EBc

Il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, ha fatto sapere ieri di aver avuto un invito ufficiale per recarsi in visita a Mosca. Secondo un portavoce di Hamas l’invito sarebbe stato consegnato da un diplomatico russo direttamente all’ufficio del leader dei terroristi islamici.

La cosa non deve stupire più di tanto. Se da un lato Putin sembra essere il paladino della lotta allo Stato Islamico (anche se in realtà le cose stanno diversamente da come vengono raccontate dalla propaganda russa), dall’altro non si fa scrupolo di appoggiare il terrorismo islamico sciita ben rappresentato dall’Iran e da Hezbollah.

Non sono chiare le motivazioni di questo invito ufficiale che sembra tanto un riconoscimento di Hamas nel ruolo di interlocutore palestinese. Si dice che Putin voglia porsi come mediatore tra Israele e palestinesi in alternativa a Trump anche se in realtà i timori sono diversi.

La partita russa in Medio Oriente

La Russia si sta muovendo molto in Medio Oriente. Pochi giorni fa ha offerto aiuto militare al Libano, una notizia passata sottotraccia nonostante strategicamente importantissima.

Mosca aveva offerto a Beirut milioni di proiettili per le armi in dotazione alle forze libanesi, una offerta che all’inizio era stata rifiutata dall’esercito libanese (sembra su pressione americana) in quanto quei proiettili non sarebbero stati compatibili con le armi in dotazione alle forze libanesi (ma non con quelle usate da Hezbollah n.d.r.).

Due giorni fa la svolta. L’ufficio stampa del primo ministro libanese, Saad al-Hariri, ha fatto sapere che non era vero che il Libano aveva rifiutato l’offerta russa ma che, anzi, l’aveva accettata.

Ora, una domanda sorge spontanea: se quei milioni di proiettili non vanno bene né per l’esercito libanese né per la polizia che usano armi di provenienza americana (gli USA sono il primo fornitore di armi del Libano), dove andranno se non a Hezbollah?

Ma non è tanto questo a preoccupare quanto piuttosto il fatto che questa mossa a sorpresa di Putin sembra presagire qualcosa di più vasto della semplice fornitura di proiettili per armi leggere.

La Russia vorrebbe mettere il Libano sotto l’ombrello della sua protezione così come sta facendo con la Siria, una decisione che comprometterebbe la libertà di movimento di Israele in caso di conflitto con Hezbollah.

Ora questo invito al capo di Hamas a Mosca che, detto sinceramente, non sembra scollegato all’offerta fatta dalla Russia al Libano, anche se ufficialmente i russi sostengono che sia volto a trovare una soluzione alla crisi israelo-palestinese.

Il timore, nemmeno tanto recondito, è che Putin cerchi di aggregare i terroristi islamici di Hamas allo schieramento che di fatto si contrappone a quello a guida americana che vede i Paesi Arabi e Israele virtualmente uniti contro la minaccia iraniana. Hamas è già di fatto alleato dell’Iran e questo incontro a Mosca non promette nulla di buono.

Per di più, se Putin dovesse veramente riuscire a mettere il Libano sotto la sua influenza la situazione strategica della regione cambierebbe drasticamente e non certo a favore dell’asse USA-Israele-Paesi arabi.


CORTE UE CANCELLA OGNI DUBBIO: "HAMAS E' UN GRUPPO TERRORISTA"
Gerry Freda
8 marzo 2019

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 4189912598

Una Corte Ue ha in questi giorni emesso una sentenza che sancisce ufficialmente la natura di Hamas quale "organizzazione terroristica".

Il Tribunale dell'Unione europea ha infatti stabilito che l'organizzazione palestinese "non può essere considerata in alcun modo un'associazione legittima", in quanto basata su uno statuto "ispirato da un'ideologia fortemente anti-israeliana" e che "esalta senza alcun dubbio l'uso della violenza per fini politici". Quali dimostrazioni della natura "violenta" e "antidemocratica" della sigla in questione, i giudici di Lussemburgo hanno indicato la "guerra civile" proclamata nel 2007 a Gaza da Hamas contro gli esponenti moderati di Fatah nonché le reiterate "piogge di razzi" ordinate da tale gruppo oltranzista contro il Sud di Israele.

Il Tribunale ha quindi accusato l'organizzazione attualmente al governo della Striscia di amministrare quest'ultima "ricorrendo apertamente alla repressione del dissenso" e "indottrinando la popolazione all'odio verso lo Stato ebraico e l'Occidente". Di conseguenza, i magistrati Ue hanno "autorizzato" Bruxelles a varare "sanzioni" a carico di Hamas e, contestualmente, hanno difeso la scelta della Commissione europea, adottata nel 2001, di inserire tale sigla nella "black list" delle "organizzazioni alleate di Al Qaida e della galassia jihadista globale".

I vertici di Hamas, i quali avevano cercato di scongiurare tale verdetto sfavorevole provando a convincere i giudici della "natura pacifista" della forza politica in questione, hanno reagito alla recente emissione della sentenza gridando al "complotto internazionale". Tramite un comunicato, la sigla palestinese ha rigettato le accuse di "terrorismo" avanzate dal Tribunale Ue e ha poi affermato di essere ascesa, nel 2007, al governo della Striscia di Gaza "esclusivamente tramite elezioni democratiche".

La formazione politica oltranzista ha in seguito bollato la decisione dell'organo giudiziario di Lussemburgo come diretta a "rafforzare l'accerchiamento disposto dalle potenze filosioniste ai danni della popolazione palestinese" e ha quindi rimarcato la propria "avversione nei riguardi dell'uso della violenza per scopi politici". Il comunicato termina esortando i governi occidentali a non introdurre sanzioni a carico di Hamas, in quanto queste ultime, se varate, costituirebbero dei veri e propri "crimini contro l'umanità". La parte conclusiva della nota evidenzia inoltre la volontà dei vertici dell'organizzazione radicale di "impugnare la sentenza del Tribunale davanti alla Corte di Giustizia europea".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » ven mar 08, 2019 7:55 pm

Onu, Israele fermi violenze coloni - Ultima Ora
2019/01/27

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... 7QZKtmcEDI

(ANSAmed) - TEL AVIV, 28 GEN - "Israele deve mettere fine alle violenze dei coloni e portarne i responsabili di fronte a giudici": lo ha scritto su twitter Nickolay Mladenov, l'emissario delle Nazioni Unite per il Vicino Oriente, commentando l'uccisione di un palestinese avvenuta ieri nel villaggio di al-Mughayer, presso Ramallah (Cisgiordania). La vittima è stata identificata in Hamdi Nassan, 38 anni, padre di quattro figli. I suoi funerali si sono svolti stamane, alla presenza di esponenti di al-Fatah.
Sulla dinamica dell'incidente sono giunte versioni discordanti dai coloni e dagli abitanti palestinesi del villaggio. I primi affermano che un numero di israeliani sono caduti "in un'imboscata" nei pressi del villaggio e hanno temuto per la loro vita. I secondi accusano i coloni di aver aperto il fuoco per terrorizzare i contadini, uccidendone uno e ferendone altri 15. Hanan Ashrawi, parlando a nome del consiglio esecutivo dell'Olp, ha accusato il governo israeliano di essere responsabile del "terrorismo dei coloni".


Alberto Pento
Io sto con Israele e i suoi ebrei
Non si tratta di coloni ma di ebrei che vivono nella loro terra e che subiscono qotidianamente la violenza dei nazi maomettani che li vogliono cacciare.



Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui
viewtopic.php?f=205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali.
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