Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islamico

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Messaggioda Berto » sab mag 19, 2018 8:43 pm

Chi critica Israele non è filo-palestinese, è semplicemente anti-israeliano
Lila C. Ashuryan maggio 16, 2018

https://www.rightsreporter.org/chi-crit ... israeliano

Criticare e attaccare Israele su qualsiasi cosa è una moda che va avanti ormai da oltre 70 anni, cioè dalla nascita dello Stato Ebraico. Sin da allora i cosiddetti “palestinesi” sono stati prima creati e poi usati solo ed esclusivamente con lo scopo di nuocere a Israele, per nessun altro motivo.

Non si spiega altrimenti il perché solo i “palestinesi” che hanno a che fare con Israele siano difesi mentre gli altri, quelli massacrati in Siria, quelli relegati senza alcun diritto in campi profughi in Libano e in Giordania, non vengano nemmeno considerati.

Non si spiega perché quelli tenuti sotto scacco da Hamas nella Striscia di Gaza, tenuti letteralmente alla fame in modo che non possano ribellarsi, vengano considerati vittime di Israele e non, com’è invece in realtà, vittime di Hamas.

Come non si spiega altrimenti il perché nessun filo-palestinese dica nulla se l’Egitto, paese arabo ed ex “proprietario” della Striscia di Gaza, sequestra territorio della Striscia (case comprese) per costruire una buffer zone di qualche chilometro, erige un muro e non pago chiude l’unico valico di transito tra Egitto e Striscia di Gaza con il fine di isolare Hamas. Israele, che pure ne aveva tutte le ragioni, non lo ha fatto e se oggi entrano aiuti umanitari nella Striscia lo si deve solo allo Stato Ebraico, questo almeno fino a quando, alcuni giorni fa, alcuni miliziani di Hamas non hanno devastato il valico di Kerem Shalom. Perché nessuno se la prende con l’Egitto che tratta i palestinesi di Gaza molto peggio di come faccia Israele?

Eppure Hamas non è andato a protestare lungo il confine con l’Egitto, non ha cercato di abbattere la barriera egiziana, non ha cercato di far entrare migliaia di scalmanati in Egitto. Come mai?

Il problema non è quindi la difesa dei palestinesi ma l’offesa a Israele. I palestinesi sono solo un mezzo per attaccare lo Stato Ebraico. Del fatto che abbiano meno Diritti non importa nulla a nessuno, tanto è vero che, paradossalmente, gli unici palestinesi ad avere pieni Diritti sono quelli che abitano in Israele. Ai cosiddetti filo-palestinesi però di tutto questo non importa nulla.

E allora diciamo le cose come stanno: i cosiddetti filo-palestinesi non sono interessati a come vivono gli arabi sotto Hamas o sotto l’Autorità Palestinese, non sono interessati al fatto che miliardi di dollari in aiuti vengano regolarmente dirottati nei conti dei boss palestinesi o usati per acquistare armi e costruire i tunnel del terrore mentre la povertà regna sovrana. Con i soldi che hanno avuto i palestinesi ci si poteva far sviluppare almeno una decina di Stati africani. Ma a chi importa di tutto questo? L’importante è avere qualcosa con cui attaccare Israele.

E un palestinese impoverito e alla disperazione è il mezzo più adatto per farlo. Lo sarà sempre e fino a quando non si capirà tutto questo non ci sarà alcuna possibilità di vedere la nascita di uno Stato palestinese semplicemente perché non conviene a nessuno tranne che, paradossalmente, proprio a Israele.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » sab mag 19, 2018 9:15 pm

Storia di Gaza, un inferno lungo 12 anni sotto il segno di Hamas
Roberto Bongiorni
2018-05-19

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=AEVK0MrE

Entrarci richiede anche un'ora. Uscirci molto di più. Ci vuole pazienza; occorre sottoporsi alle meticolose perquisizioni dei soldati israeliani, ai raggi X, ai body scanner. A volte anche spogliarsi ed attendere senza indumenti in una stanza fredda. Il valico di Erez, il punto pedonale di accesso da Israele per la Striscia di Gaza, è il paradigma di come questo martoriato fazzoletto di terra, lungo 40 km e largo 10, sia divenuto da 12 anni una prigione a cielo aperto.

Gaza, sempre Gaza. Se vi sono disordini nei Territori Palestinesi arrivano sempre, o quasi sempre da qui. Se vi sono guerre, guerriglie, operazioni militari israeliane, è la Striscia di Gaza l'obiettivo, il regno di Hamas, il movimento islamico nato nel 1987, a ridosso della prima intifada. Per comprendere come è oggi Gaza sarebbe necessario tornare indietro al15 maggio del 1948, il giorno successivo alla proclamazione dello Stato di Israele, quando gli eserciti di tre Paesi arabi invasero la Palestina (quello giordano a Est, il siriano a Nord e l'egiziano a Sud) nel tentativo di annientare sulla nascita lo Stato di Israele .

Ma anche gli ultimi 12 anni possono spiegare gran parte delle tensioni odierne. Era il gennaio del 2006. Pochi mesi prima il premier Ariel Sharon era riuscito a portare a termine una storica operazione: l'evacuazione dei 21 piccoli insediamenti israeliani presenti nella Striscia in cui vivevano circa 8mila coloni. Le storiche elezioni politiche palestinesi, riconosciute come trasparenti dalle organizzazioni internazionali, avevano segnato un punto di svolta. Fatah, il partito di Yasser Arafat, aveva subito una cocente sconfitta, Hamas aveva invece ottenuto la maggioranza.

I palestinesi, frustati per l'onnipresente corruzione dei dirigenti di Fatah, non potevano più tollerare di vedere i convogli delle loro grandi fuoristrada nere sfrecciare per infilarsi nelle ville costruite con marmo di carrara, a poche centinaia di metri dai campi profughi. Miliardi di dollari di aiuti umanitari, e la situazione era sempre la stessa. Tragicamente la stessa. Vinse il Partito che per la prima volta si era presentato come un partito. Hamas. Perché era il più onesto. Perché la sua leadership viveva nei campi profughi accanto agli elettori.

Perché per anni aveva fatto quello che l'Autorità nazionale palestinese da anni faceva male, o non faceva quasi del tutto. Provvedere ai bisogni ed ai servizi basilari della popolazione tessendo un'organizzata rete di assistenza socio-religiosa. Quello portato avanti da Hamas era un welfare sociale parallelo. Visite mediche gratis, istruzione, materiale didattico, alimenti, favori a chi non riusciva a tirare avanti. In cambio si richiedeva soltanto riconoscenza al movimento islamico, a volte anche una frequentazione più assidua delle moschee. L'attività di Hamas fu insomma prima sociale che politica.

Da anni il movimento islamico era però inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche di Israele e degli Stati Uniti. I suoi kamikaze avevano seminato la morte ed il terrore nelle città israeliane durante la seconda Intifada (2000- 2005), ma Hamas aveva scelto il terrorismo già nel 1994 con i suoi primi attentati. Gli elettori palestinesi non se ne curarono, anzi ripagarono con il loro voto chi pensavano fosse meno corrotto degli altri, e più vicino a loro. Nemmeno Hamas si attendeva una vittoria di quella portata.

Disorientato propose a Fatah di partecipare ad un Governo di coalizione in cui gli uomini del movimento islamico detenevano le poltrone più importanti. Fatah si rifiutò. Israele chiuse i confini. Stati Uniti ed Europa interruppero in parte l'invio dei loro aiuti. Fatah e Hamas erano sempre più ai ferri corti.

In quei tempi Gaza era una territorio dove spadroneggiavano gang armate e fazioni dei rispettivi gruppi che si dedicavano non di rado anche a estorsioni, furti e atti criminali. Nel giugno del 2007 scoppiò, improvvisa, la prima guerra civile palestinese. Hezzedin al-Qassam, le organizzate milizie di Hamas, sferrarono la loro “guerra preventiva” contro Fatah, conquistando in pochi giorni, era il 14 di giugno, la sede militare dell'Autorità nazionale palestinese (Anp).

I membri di Fatah furono estromessi dal potere, molti espulsi, ancora di più arrestati. Le vittime furono più di 100. Diverse membri di Fatah furono giustiziati sulla strada, davanti agli occhi di tutti.

Quando entrammo nella Striscia pochi giorni dopo quello che Fatah battezzò “il Golpe di Hamas”, le carceri si erano riempite di “onorevoli” del Parlamento, le loro case annerite, molti dei palazzi crivellati di colpi. Da allora i Territori Palestinesi si spaccarono in due: “Fatah Land”, ovvero la Cisgiordania, dove comandava l'Anp, guidata dal presidente Abu Mazen, e “Hamastan”, la Striscia, dove il movimento islamico dettava legge. Due Parlamenti, due Governi, due amministrazioni. Due nemici giurati.

Ma la resa dei conti con Israele era nell'aria. Già nell'estate del 2006. In giugno un commando di miliziani palestinesi sbucò da un tunnel e colse di sorpresa le truppe israeliane: uccisero due soldati e rapirono il caporale Gilad Shalit.

In luglio Israele arrestò decine di politici di Hamas iin Cisgiordania e lanciò l'operazione “Piogge estive” su Gaza Secondo il centro di informazione israelo-palestinese B'Tselem, nel corso di tutto il 2006 sono stati 660 i palestinesi uccisi (141 minori, 322 non-combattenti e 22 omicidi mirati), di questi 405 a Gaza (88 minori e 205 non-combattenti); nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 23 israeliani, compresi 6 membri delle forze di sicurezza e un minorenne. Gaza era in guerra.

Ed in quel periodo nella sua capitale, non c'era notte che non si fosse svegliati dai boati delle bombardamenti, anche vicini agli Hotel costruiti sulla spiaggia di un mare sempre più inquinato. Tutto lasciava presagire che era solo l'inizio di un lungo confronto militare.

In un primo tempo gli abitanti di Gaza sembravano aver apprezzato l'odine di Hamas. Niente più gang, sparatorie, bustarelle. Ma come ogni regime, in poco tempo Hamas mostrò il suo vero volto.

Quello di chi ha paura, di chi diventa intollerante verso il dissenso, di chi fonda le proprie politiche solo sulla minaccia di un nemico esterno. L'embargo israeliano su Gaza, navale e terreste, aveva messo in ginocchio l'economia. A Gaza non arriva nulla. Nemmeno il cemento per costruire nuove abitazioni.

Arrivò l'epoca dei tunnel, scavati tra la città di confine Rafah e il Sinai egiziano. In principio, nel 2007-2008, dei piccoli fori nascosti tra le macerie, cunicoli stretti, artigianali, bui. Ma nel volgere di un anno il loro numero aumentò in modo esponenziale. Ne costruirono tanti, le talpe palestinesi, tantissimi. E sempre più sofisticati.

Nel 2010 si arrivò ad oltre mille tunnel. Un'economia sotterranea che fruttava a Gaza il 90% del suo “Pil”. Davanti ai nostri occhi i contrabbandieri ci portavano dentro a visitarli, e poi mostravano, con orgoglio, le mercanzie che riuscivano a portare dall'Egitto attraverso autostrade sotterranea anche a 40 metri di profondità, dotate di illuminazione, ventilazione, binari, vie di fuga in caso di esplosioni; pecore, mucche, anche cammelli, componenti di auto, che poi venivano assemblate, benzina, cemento, cavi di ferro per le costruzioni. E armi.

Perché nell'economia parallela dei tunnel Hamas aveva subito intravisto una grande possibilità di business. Decise dunque di imporre tasse e balzelli all'attività dei contrabbandieri per rimpinguare le casse del suo “Governo”, vigilando attentamente sulle merci proibite: tra cui alcool, viagra, film stranieri. Anche il movimento islamico costruì i suoi tunnel. Più moderni e sofisticati, per importare razzi da assemblare, armi, e far transitare gli addestratori, correva voce anche iraniani. E per sferrare attacchi al di là del confine.

E questo fu un altro punto di svolta. Grazie anche all'appoggio iraniano, anno dopo anno Hamas costruì il suo arsenale. I rudimentali razzi qassam divenivano sempre più potenti, precisi, e con una gittata superiore.

Israele comprese che l'embargo non era efficace a fermare i razzi di Hamas, che in alcuni periodo paralizzavano la vita delle cittadine israeliane a ridosso del confine. Hamas. Passò quindi all'azione, dando il via a missioni di guerra e a cosiddetti assassinii mirati contro esponenti palestinesi giudicati pericolosi per la sua sicurezza. Azioni che tuttavia causarono diverse centinaia di morti tra la popolazione della Striscia. Il 1º marzo del 2008, scattò l'operazione “Inverno caldo”. L'esercito israeliano invase ancora una volta l'area con forze blindate ed aeree.

Poi fu la volta di Piombo fuso, il 27 dicembre del 2008. Per cercar di sventare la minaccia dei razzi Qassam lanciati dalla Striscia, il Governo di Gerusalemme diede il via ad una campagna di bombardamenti aerei mirati a colpire le postazioni di lancio.

Senza rifugi adeguati per proteggersi dalle bombe, richiusi in palazzi dove Hamas nascondeva i suoi miliziani e le sue armi, in una zona peraltro altamente popolata, gli abitanti di Gaza pagarono un prezzo molto alto in vite umane. Secondo le stime del ministero della salute palestinese, riprese dall'Onu, gli attacchi avrebbero causato la morte di 1.380 palestinesi (la maggior parte dei quali civili, di cui circa 400 minori di 14 anni) e il ferimento di 5.380. Secondo l'esercito israeliano le vittime furono invece 1.100/1.200, due terzi delle quali miliziani di Hamas.

Via via che le operazioni militari israeliane acquisivano forza, Hamas si piegava su sé stessa. Diffidente verso tutto e tutti. Anche verso i giornalisti, che in principio godevano di una grande libertà di movimento nella Striscia. Uomini di Hamas sempre alle spalle, permessi particolari, zone off limits. Fino al check point quando si entrava nella Striscia.

Dove venivano aperte e controllate persino le bottigliette di acqua per capire se contenevano wodka od altre bevande alcooliche. I numerosi Internet caffè, simbolo di un supposto deriva occidentale, venivano presi d'assalto, mentre le donne coperte dal niqab, la veste islamica nera che nasconde il viso lasciando solo una feritoia per gli occhi, erano orami la maggior parte.

Arrivarono le primavere arabe, che travolsero molti Paesi del mondo arabo. Ma non Gaza. Negli della guerra civile siriana, il conflitto israelo- palestinese continuava silenziosamente, nell'ombra. Con riconciliazioni tra Fatah e Hamas che poi venivano meno nel volgere di pochi mesi. Nel 2014 fu la volta di «Margine di Protezione», una campagna militare iniziata l'8 luglio 2014 dalle Forze di Difesa Israeliane contro i guerriglieri palestinesi di Hamas ed altri gruppi nella Striscia di Gaza.

Fini un mese e mezzo dopo, il 26 agosto, con l'annuncio dell'accordo per una tregua duratura raggiunto dalle parti in conflitto. Il bilancio fu pesantissimo. Quello diffuso dall'ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), nel marzo del 2015, fu di 2.220 palestinesi morti, dei quali 1.492 erano civili (551 bambini e 299 donne) e 605 miliziani, mentre non è stato possibile stabilire lo status di 123 persone. Secondo il ministero degli Esteri israeliano le vittime sarebbero state 2.128, di cui circa la metà miliziani.

Dieci anni di guerra, di tentate riconciliazioni con Fatah, di razzi.
Solo la difficile situazione economica non cambiava. La crisi dei tunnel, seguita alla volontà del presidente egiziano Abedel Fattah al-Sisi di chiudere il contrabbando di una zona ormai controllata da jihadisti, assestò il colpo finale.
Un recente rapporto della Banca mondiale tratteggia la drammatica situazione nella Striscia di Gaza: il tasso di disoccupazione è il più alto del mondo, oltre il 43% dei residenti, ma tra i giovani il 60% non ha un lavoro. Il Pil pro capite è calato di oltre un terzo negli ultimi 20 anni. Ma anche il Pil non è un indice reale, perché rappresentato in gran parte dagli aiuti internazionali (peraltro in calo).

Negli ultimi due anni l'economia si è così ridotta di almeno mezzo miliardo di dollari, mentre il tasso di povertà ha raggiunto il 42%, nonostante l'80% della popolazione riceva aiuti umanitari. Con la conseguenza che oggi la maggior parte dei quasi due milioni di palestinesi di Gaza non ha quasi nessun accesso a servizi essenziali, come acqua corrente e servizi igienici. L'elettricità è ormai un problema strutturale; molte persone devono convivere con 2-4 ore di luce elettrica al giorno. Questi i danni all'economia.

Ma vi sono anche quelli, meno evidenti e eppur drammatici, sulla salute psichica dei minori. Secondo diverse agenzie umanitarie internazionali sarebbero 350mila i bambini traumatizzati dalla sola guerra del 2014. La maggior parte dei 950mila bambini di Gaza soffre di sintomi psicologici e comportamentali propri del disturbo da stress post-traumatico (Ptsd). In un rapporto delle Nazioni Unite del 2015 si affermava che se la situazione economica non cambierà entro il 2020, il territorio di Gaza diventerà invivibile. Certo in questa tragedia anche Hamas ha le sue grandi responsabilità .

Il futuro dei ragazzi è circondato da muri e reticolati. A Gaza si nasce, e a Gaza, quasi sempre, si muore. Tra una guerra e l'altra. Quando si parla di Gaza bisogna parlare anche della loro rabbia. Una rabbia ormai antica. Anche nei più giovani.
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Messaggioda Berto » dom mag 20, 2018 7:31 am

COSA AVREBBERO VOLUTO FARE
di Giulio Meotti
20/05/2018

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 0596677628

Sono incredibili i resoconti su cosa pianificava Hamas nel caso in cui avesse rotto il confine di Israele. I capi del terrore volevano conquistare i kibbutz al confine. Lo ha riferito la tv Hadashot. "Ismail Haniyeh parlerà a Nahal Oz, Khalil al-Hayya a Kfar Aza e (il leader palestinese della Jihad islamica) Nafed Azzam a Be'eri," Hadashot ha citato le istruzioni palestinesi. "Poi inizieranno le celebrazioni in tutta la Palestina". Ai manifestanti era stato detto che i trattori avrebbero cercato di abbattere il recinto, che dovevano armarsi con "un coltello o una pistola" e avevano mappe dettagliate delle comunità israeliane verso cui i palestinesi sarebbero stati incoraggiati a precipitarsi. Il colonnello Kobi Heller, comandante della brigata meridionale, ha detto che il rapporto corrisponde alle loro informazioni militari. "Alla fine, tutte le persone che si avvicinano alla recinzione lo fanno sotto la direzione di Hamas", ha detto. Ha aggiunto che la leadership di Hamas era assente durante le violenze di lunedì. "Avevano paura". Akhsan Daksa, comandante della settima brigata corazzata, ha detto a Hadashot: "Ho combattuto nella Seconda Guerra del Libano, nella Operazione Protective Edge (la guerra del 2014 a Gaza). C'era violenza qui come in un campo di battaglia". Daksa, che parla arabo, ha comunicato con alcuni dei manifestanti oltre il confine, "a cinque metri di distanza". Gli hanno detto: "Stiamo andando a Nahal Oz. Le preghiere di oggi si terranno lì ". Heller ha aggiunto: "Se non avessimo protetto il confine questa settimana, Hamas, la Jihad islamica e altri si sarebbero infiltrate nelle comunità".
Ecco, ora io penso una cosa: perché la comunità internazionale, i media, hanno applaudito e difeso un tentativo di invasione del territorio di Israele e il massacro che ci sarebbe stato se l'eroico esercito israeliano non avesse tenuto? Non ho parole. Però ho una foto. Sono Matan e Noam. Avevano cinque e quattro anni. Vivevano in un kibbutz, Metzer, come quelli che stanno di fronte a Gaza. I terroristi palestinesi li hanno uccisi nei loro letti.
Nessun giornale pubblicò le loro fotografie. Altri bambini israeliani avrebbero fatto la stessa fine lunedi se i terroristi non fossero stati fermati.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » ven mag 25, 2018 7:18 am

Sui fatti di Gaza: ignoranza, pregiudizio e una dose di infamia
Cosa vale il sostegno occidentale al “diritto di Israele di vivere entro confini sicuri e riconosciuti" se poi quei confini non possono mai essere difesi?
Di David M. Weinberg
Jerusalem Post, 17.5.18

https://www.israele.net/sui-fatti-di-ga ... di-infamia

In un pezzo premonitore, firmato nel 2014 ma che sembra scritto questa settimana, Charles Krauthammer diceva: “Fare deliberatamente una guerra in modo che la propria gente possa essere telegenicamente uccisa è pura follia morale e tattica. Ma si basa su una premessa molto razionale: dato il modo orwelliano in cui viene trattato Israele da gran parte del mondo – grazie a un mix di antisemitismo classico, ignoranza storica quasi totale e un riflesso pavloviano di simpatia verso quelli che sembrano i diseredati del terzo mondo – le esplosioni di violenza con vittime palestinesi finiscono sempre per erodere la legittimità e al diritto all’autodifesa di Israele. In un mondo caratterizzato da queste inversioni etiche kafkiane, la perversione immorale di Hamas comincia ad avere un senso: il punto essenziale è suscitare fuoco di risposta israeliano per causare morti palestinesi a beneficio delle televisioni internazionali”.

Ed infatti è stato straordinariamente desolante sentire le condanne globali di Israele della scorsa settimana. È veramente esasperante vedere tanti leader occidentali – con la notevole eccezione dei governi americano e australiano – piegarsi supinamente alla conduzione evidentemente criminale di Hamas sul confine di Gaza. Accettando lo sfruttamento che Hamas fa del sangue della sua stessa popolazione al servizio dell’intransigenza palestinese, costoro non fanno che allontanare il giorno in cui la pace potrebbe essere possibile.

La pagina Facebook “La Palestina ci unisce” ha pubblicato il 14 maggio un volantino della “Resistenza palestinese a Gaza” in arabo ed ebraico che ingiunge agli israeliani delle comunità vicine alla striscia di Gaza di evacuare le loro case, dicendo: “Il vostro unico modo per sopravvivere è tornare nei vostri paesi d’origine, perché stiamo arrivando. Oh ebreo, tu non sei di qui, qui non hai uno stato ma solo paura e terrore”

È esasperante che tanti leader democratici si dichiarino preoccupati per i diritti dei palestinesi e intanto ignorino le intenzioni assassine di Hamas contro Israele. Preferiscono ignorare il suo programma antisemita e genocida, e i suoi trascorsi di oppressione islamista e di feroci violazioni dei diritti umani. Preferiscono non vedere lo smaccato sostegno che riceve dall’Iran. Preferiscono non tener conto dei sequestri di persona, dei missili, dei tunnel per infiltrazioni terroristiche e, adesso, delle sue macabre battaglie per sfondare i confini, con i palestinesi letteralmente pagati perché servano come carne da cannone. Né sembrano tenere in grande considerazione i sanguinosi attacchi ai campi palestinesi in Siria da parte delle forze di Assad (alleate di Hamas).

È esasperante che tante brave persone credano o fingano di credere che questi assalti alla sovranità e alla sicurezza di Israele abbiano qualcosa a che fare con le legittime richieste di acqua ed elettricità o col desiderio di un accordo di pace a due stati. Sciocchezze. Hamas ha ripetutamente distrutto proprio le infrastrutture costruite da Israele per garantire l’approvvigionamento umanitario alla striscia di Gaza, e nel frattempo ha speso in infrastrutture militari centinaia di milioni di dollari di aiuti. Israele si è ritirato unilateralmente da Gaza dieci anni fa, e da allora Hamas ha lanciato tre guerre contro Israele.

E’ davvero irritante che quelli della comunità internazionale che insistono sull’importanza delle linee del ’67 solidarizzino ora con i tentativi di infrangere proprio quelle linee fra Gaza e Israele. Cosa vale il sostegno occidentale al “diritto di Israele di vivere entro confini sicuri e riconosciuti” se poi quei confini non possono mai essere difesi? E perché mai gli israeliani dovrebbero prendere in considerazione ulteriori ritiri dalla Cisgiordania se non possono contare sul sostegno della comunità internazionale quando devono difendere con determinazione i ristretti confini su cui si sono ritirati? Cosa accadrebbe se decine o centinaia di migliaia di palestinesi tentassero questa manovra dell’assalto in massa ai confini quando questi passassero alla periferia di Gerusalemme e di Tel Aviv?

È deprimente vedere tanti osservatori che cianciano dell’”ingiusticato uso della forza da entrambe le parti”, quando non c’è alcun confronto possibile tra l’uso gratuito della violenza da parte di Hamas e l’uso necessario e misurato della forza da parte di Israele. E’ un’eresia equiparare l’abuso dei civili fatto da Hamas per riattizzare le violenze, con il desiderio di Israele di evitare quelle violenze e l’attenzione con cui cerca sempre di distinguere tra fomentatori terroristi e manifestanti civili.

Come mai i ministri degli esteri e i corrispondenti stranieri non hanno notato che in aprile l’80% delle vittime (26 su 32) erano membri noti di milizie terroristiche, e che l’85% degli assalitori palestinesi morti il 14 maggio (53 su 62) erano operativi militari di Hamas e Jihad Islamica, e per ammissione degli stessi terroristi? Come fanno a ignorare il fatto che, se i soldati non avessero preso di mira quelli che si avventavano verso il confine, avremmo assistito a un vero “massacro” mostruosamente più ampio?

È irritante il fatto che tanta gente pontifichi sulle responsabilità di Israele, giudichi in modo avventato le sue forze di difesa e invochi con assoluta leggerezza l’incriminazione di leader israeliani. “Se ne stanno seduti in Europa nei loro uffici con l’aria condizionata – è sbottato settimana scorsa il generale Yaakov Amidror, dell’Istituto di studi strategici di Gerusalemme – pensano che noi qui stiamo affrontando manifestazioni come quelle a Bruxelles davanti alla banca centrale, e predicano a Israele su come gestire queste sommosse”. Fa ribollire il sangue che tanta gente definisca “sproporzionato” il bilancio delle vittime al confine di Gaza. Si vorrebbe sapere: quanti israeliani devono lasciarsi ammazzare per soddisfare gli scrupoli di simmetria dei soloni occidentali?

Come si fa a non vedere la perversione morale di chi usa donne e bambini come carne da cannone?

Ed è irritante come tanti benpensanti occidentali sembrano accettare le “giornate della rabbia” sistematicamente indette dai palestinesi come se fossero un comportamento normale e tollerabile: come se dai palestinesi non ci potesse aspettare altro che esplosioni di furia irrazionale; come se da loro fosse impensabile aspettarsi comportamenti responsabili e ragionevoli tipo negoziati, dibattiti democratici e l’ordinata costruzione di uno stato. E’ il subdolo pregiudizio delle “basse aspettative”, l’esatto rovescio dell’implacabile pregiudizio che invece da Israele pretende impeccabili standard di condotta che non si chiederebbero a nessun altro. Il che deriva, a mio avviso, dall’incapacità di assimilare il fatto che, nonostante le concessioni fatte da Israele e le molteplici offerte di pace avanzate da allora, gran parte del movimento nazionale palestinese non ha cambiato l’obiettivo di annientare Israele e sostituirlo con un unico stato palestinese. Che è, ovviamente, il significato della cosiddetta “marcia del ritorno” di Hamas.

È incredibilmente ingiurioso vedere persone, che dovrebbero essere informate, concentrarsi solo sulle presunte carenze di Israele trascurando completamente la profonda immoralità di coloro che fomentano le violenze con il manifesto obiettivo di generare il massimo numero di vittime possibile. Ciò non fa che incoraggiare i terroristi a continuare a farlo, convinti che gli utili idioti in Occidente si adopereranno per isolare sempre più lo stato ebraico fino a farlo crollare.

Fa pena vedere tanta gente convinta che la cinica offensiva di Hamas contro Israele sia legata all’apertura dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Ennesima sciocchezza: attacchi e provocazioni di Hamas al confine con Israele sono in corso da anni (forse alcuni ultra-settari, pur di dare addosso a Donald Trump, sono disposti a santificare Hamas e demonizzare Israele).

Ma ciò che veramente mette tristezza e sconforto è che Israele venga nuovamente costretto nella posizione di dover causare sofferenze e morte per potersi difendersi. Una volta Golda Meir ebbe a dire: “Un giorno potremo perdonare gli arabi per aver ucciso i nostri figli, ma non potremo mai perdonarli per averci costretto a uccidere i loro figli. Avremo la pace solo quando gli arabi ameranno i loro figli più di quanto odiano noi”. A questo punto aggiungo che noi israeliani potremo perdonare il mondo per aver parteggiato per palestinesi. Ma non potremo perdonarli per aver lasciato credere ai palestinesi che Israele verrà sempre incolpato, qualunque cosa facciano i suoi nemici. Avremo la pace solo quando gli attori globali ameranno la verità più di quanto amino dare addosso a Israele e adulare i palestinesi.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » mar mag 29, 2018 11:22 am

Quello che ci ha insegnato la storia del kibbutz Nahal Oz
28 maggio 2018
di Daniel Gordis
(Jerusalem Post, Israelenet)

http://www.italiaisraeletoday.it/quello ... z-nahal-oz

In una settimana zeppa di notizie da prima pagina (l’ambasciata americana a Gerusalemme, i violenti scontri al confine di Gaza, persino la vittoria della cantante israeliana all’Eurovision), anche ai lettori più attenti può essere sfuggito un dettaglio relativo ai timori di Israele alla vigilia degli annunciati assalti al confine di Gaza.

Dato che Hamas aveva avvertito che i palestinesi avrebbero sfondato la recinzione, fatto irruzione in territorio israeliano e “messo fine al progetto sionista”, gli israeliani che vivono nei pressi di quel confine avevano concretissimi motivi di preoccupazione. “Almeno una delle comunità più vicine al confine, il kibbutz Nahal Oz – si leggeva in quei giorni in un articolo – ha considerato la possibilità, come forma di precauzione, di sgomberare i residenti prima delle sommosse, stando a quanto riferito dalla portavoce Yael Raz-Lahiani”.

Aprile 1956, l’allora capo di stato maggiore israeliano Moshe Dayan legge il discorso funebre per Roi Rotberg, il membro del kibbutz Nahal Oz ucciso nei pressi della striscia di Gaza (allora sotto occupazione egiziana)

Per apprezzare appieno quanto suonasse agghiacciante questa notizia apparentemente marginale, bisogna tornare alla storia di Israele sia del 1956 che del 1948. Due elementi di quella notizia meritano attenzione. In primo luogo il kibbutz Nahal Oz: un luogo che la tragedia che ha inciso nella memoria collettiva israeliana. Il 29 aprile 1956, il ventunenne Roi Rotberg stava pattugliando a cavallo i campi di Nahal Oz, dove viveva. Abituato a vedere gli abitanti di Gaza (allora sotto occupazione egiziana) rubare i raccolti del kibbutz, quando vide un gruppo di arabi nei suoi campi Rotberg si diresse verso di loro per farli andare via. Ma era una trappola. Quando Rotberg si avvicinò a quelli che credeva contadini, questi gli spararono e lo uccisero, e poi trascinarono il suo corpo a Gaza dove venne orrendamente mutilato.

Per combinazione, l’allora capo di stato maggiore Moshe Dayan aveva incontrato Rotberg pochi giorni prima. Dayan partecipò ai funerali del giovane e vi pronunciò un discorso funebre destinato a diventare la più classica dichiarazione di Dayan – e poi di molti israeliani – sulla inevitabilità di un lungo e gravoso conflitto tra Israele e i suoi vicini. “Non c’è da meravigliarsi per il risentimento e la violenza degli arabi – disse Dayan – Da otto anni sono bloccati nei campi profughi di Gaza [sotto controllo egiziano], e vedono davanti ai loro occhi come in questi anni abbiamo trasformato le terre e i villaggi ora di nostra proprietà”.

Ma se la semplice sopravvivenza di Israele doveva suscitare la rabbia araba, allora – avvertiva Dayan – gli israeliani dovevano prepararsi a vivere con la spada in pugno. “Non dobbiamo temere di guardare in faccia l’odio che consuma e riempie le vite di migliaia di arabi che vivono intorno a noi – disse – Non distogliamo lo sguardo, affinché non abbia a indebolirsi il braccio. Questo è il destino toccato in sorte alla nostra generazione. E questa è la nostra decisione: essere sempre pronti e armati, forti e determinati, affinché la spada non cada dalla nostra mano e le nostre vite non vengano recise”.

A più di sessant’anni di distanza, le parole di Dayan suonano ancora vere, e non solo per Nahal Oz ma per tutto lo stato ebraico. Affrontare quel pozzo di odio senza fondo è stato il destino non solo della generazione di Dayan, ma anche delle successive. Nei decenni seguiti al 1956, Israele è cambiato e si è sviluppato più di quanto chiunque allora avrebbe osato pensare. Gaza invece no, giacché è l’odio, ancor più della speranza in un futuro migliore, ciò che anima le vite di coloro che vi abitano: l’odio che alimenta l’intramontabile volontà di distruggere lo stato ebraico, più che di costruirne uno nuovo acanto ad esso.

Se questa costante non fosse già abbastanza spaventosa, c’è poi l’orribile eco degli sgomberi già fatti nella storia di Israele. Nel maggio 1948, quando apparve chiaro che i combattenti ebrei che difendevano i villaggi del blocco di Etzion (poco a sud di Gerusalemme) non avrebbero più potuto resistere agli attacchi delle forze d’invasione della Legione Araba, donne e bambini vennero evacuati. Alla fine il blocco cadde, giusto un giorno prima dell’indipendenza. Gli uomini che lo difendevano si arresero, dopo di che quindici di loro vennero trucidati dai vittoriosi combattenti arabi.

Nahal Oz non cadrà nelle mani di Hamas, e Israele non abbandonerà un centimetro di terra di fronte a questa nuova ondata di terrorismo. Ma il fatto stesso che si sia contemplata la possibilità di uno sgombero di civili, e proprio dal kibbutz Nahal Oz, dovrebbe servire a ricordare che Israele sta ancora combattendo la stessa guerra che combatteva nel 1948: per il riconoscimento del suo puro e semplice diritto di esistere. Anche se oggi è tanto di moda affermare che il conflitto tra Israele e palestinesi verte sulle terre conquistate da Israele nel 1967, in realtà ciò è falso.

Vuoi per lo scellerato discorso di Abu Mazen del mese scorso, in cui ha affermato che la Shoà non è stata causata dall’antisemitismo ma del comportamento antisociale degli ebrei e ha negato che gli ebrei abbiano qualunque legame con la Terra d’Israele, vuoi per i proclami di Hamas delle scorse settimane, secondo cui nel giorno della Nakba sarebbe iniziata la “catastrofe dell’impresa sionista”, e i timori delle Forze di Difesa israeliane che masse di fanatici palestinesi potessero varcare il confine e darsi al massacro di tutti i civili israeliani che fossero riusciti a raggiungere, in ogni caso questi primi mesi del 2018 offrono una atroce conferma della battaglia che Israele sta conducendo da oltre settant’anni. Ciò a cui abbiamo assistito ai confini fra Gaza e Israele non è stato solo un cinico sacrificio di vite umane palestinesi usate dai terroristi per distrarre l’attenzione dall’abissale fallimento del governo di Gaza. Ciò che abbiamo visto, e che tristemente continueremo con ogni probabilità a vedere per il futuro prevedibile, non è stata altro che l’ennesima battaglia della guerra d’indipendenza d’Israele, e la sua necessità senza fine di difendere il proprio stesso diritto di esistere.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » mar lug 10, 2018 8:37 pm

Perché Israele combatte dai cieli siriani l'armamento dell'Iran
Ugo Volli
10 luglio 2018

http://www.progettodreyfus.com/siria-israele-iran

Israele ha colpito di nuovo due giorni fa la base T4, a Est di Homs nella Siria centrale, che aveva già pesantemente bombardato lo scorso 9 aprile. Sono state distrutte strutture militari e depositi d’armi e a quanto pare sono stati anche uccisi dei militari iraniani. Le fonti locali dicono che Israele ha usato una tattica nuova di volo radente per ingannare i potenti radar e armi contraeree che presidiano la base condivisa fra siriani, russi e iraniani.

La base dista diverse centinaia di chilometri dal confine israeliano, è una delle più importanti di tutta la Siria. Che l’aviazione israeliana si spinga tanto in profondità sul territorio siriano non fa più notizia, perché le missioni di interdizione dell’armamento di Hizbollah e della costruzione di una potenza militare iraniana in Siria sono ormai state centinaia e hanno una frequenza almeno settimanale. I giornali internazionali quasi non ne parlano più.

Si può dire insomma che sui cieli siriani ci sia una guerra d’attrito fra Israele e Iran (con i suoi satelliti dell’esercito di Assad e di Hizbollah e che Israele la stia vincendo. L’Iran infatti non è in grado di opporre resistenza a questi bombardamenti, né di ricambiarli, e neppure di tentare rappresaglie missilistiche, che sarebbero bloccate dai sistemi antimissili israeliani e soprattutto dalla deterrenza assicurata dalla superiorità aerea israeliana. Quel che fa l’Iran è cercare di avvicinare le sue truppe di terra ai confini israeliani, col pretesto di partecipare alla campagna di Assad per snidare gli ultimi ribelli sul fronte meridionale della guerra civile. Ma anche qui Israele ha minacciato di intervenire con le armi.

Questa inferiorità militare che Israele infligge all’Iran è importantissima non solo su quel fronte. È chiaro che la simpatia, diciamo così, che negli ultimi anni egiziani, sauditi e altri stati del Golfo persico mostrano per Israele e anche l’atteggiamento costruttivo che tengono rispetto alla questione palestinese dipende proprio dalla chiara capacità e dalla volontà decisa che lo stato ebraico dimostra di tenere a bada quella che è anche la principale minaccia alla loro sicurezza.

Sul piano politico la Russia ha accettato il diritto israeliano all’autodifesa, a patto che le sue truppe non siano minacciate e i suoi interessi strategici rispettati. È una strana situazione, in cui la Russia è teoricamente alleata di Assad e dell’Iran, ha un sistema di aviazione e antiaereo abbastanza potente sul territorio (meno di Israele però, su quel teatro di guerra), e però non interviene a difendere i suoi alleati. Anzi, è chiaro che c’è uno scambio di informazioni con Israele per evitare incidenti fra le due aviazioni, i cui campi d’azione si sovrappongono, e che però le informazioni non sono condivise con Iran e Siria.

È una situazione di equilibri che può durare a lungo o può rompersi in una guerra pericolosa, la sola oggi davvero in grado di minacciare Israele. Un occidentale come tanti che non conosca le regole della politica mediorientale e che magari pensi che i conflitti si risolvono con concessioni e buona volontà potrebbe chiedersi se Israele non “esageri” con questa autodifesa a distanza, se non sia addirittura affetto da qualche forma di imperialismo.

A parte che la distanza di Homs da Israele non è inferiore a quella di questa città dall’Iran e che bisognerebbe anche chiedersi che cosa fa l’esercito persiano lì, dato che non c’è ombra di ribelli o di Stato Islamico in zona, viene buono un discorso che ha fatto Hossein Salami, il vicecomandante delle forze rivoluzionarie islamiche (la milizia d’élite iraniana. Per capire che cosa succede in questo momento fra Iran e Israele è utile leggerlo tutto (qui la traduzione inglese), ma non si può non citarne qualche brano:

“Sono passati 70 anni da quando la politica dell’Inghilterra e dell’America ha piantato nel mondo islamico un albero maledetto e criminale [cioè Israele]. Per 70 anni questo pugnale avvelenato è stato incorporato nel corpo della Ummah islamica, e tutti i problemi di il mondo islamico derivano dall’esistenza del regime falso, contraffatto, storicamente privo di radici e privo di identità di nome Israele. […] Nel 1948, 1956, 1973 e 1982, l’America sostenne questo regime contro gli arabi, che non riuscirono a trionfare, e la disperazione prevalse nel mondo arabo, finché la luce dell’orgoglio apparve nel mondo e l’Imam [Khomeini] trasformò il cuore dell’Iran […e creò] un nuovo potere contro il male dell’arroganza [vale a dire gli Stati Uniti], contro i sostenitori del regime sionista e contro questo stesso regime. L’Imam [Khomeini] diffuse il programma di sradicare Israele [dal mondo] […] Quindi, la Palestina rinnovò la sua anima e divenne viva. Da allora, il regime sionista è pauroso, delirante e preoccupato. L’Iran non ha permesso al regime sionista di espandersi politicamente nel mondo islamico[…]..La rivoluzione islamica ha creato una potente potenza chiamata Hezbollah, che oggi, come riconosce lo stesso regime sionista, ha oltre 100.000 missili pronti per il lancio […]: una potenza tremenda che può da solo annientare il regime sionista: dato che esso non ha profondità difensive strategiche, e in alcuni luoghi, ha un’ampiezza di appena 34 km. Oggi un esercito islamico internazionale si è formato in Siria, e le voci dei musulmani si sentono vicino al Golan […] Si attendono solo gli ordini perché si realizzi la volontà di Dio di eliminare il malvagio [Israele] e la vita di questo regime finirà per sempre. La vita del regime sionista non è mai stata in pericolo come lo è ora. […] Dobbiamo strangolare i nemici da lontano. Non dobbiamo dare loro alcuna possibilità di avvicinarsi a noi o concentrarci su di noi. Li stiamo monitorando da lontano e li afferriamo per la gola da lì. Noi e il mondo islamico siamo tutti sulla stessa barca e la nostra sicurezza è interconnessa. Stiamo difendendo la Siria perché questa è la difesa degli oppressi e la difesa dell’Iran.[…] Stiamo creando potenza in Libano perché vogliamo combattere il nostro nemico da lì con tutte le nostre forze.”

Questa è l’ideologia e il progetto politico che motiva la presenza dell’Iran in Siria e Libano, espresso non da un politicante o da un sermone in mosche, ma da un capo militare. Difendersi da questo progetto , impedirgli di svilupparsi logisticamente e di costruire le sue basi è il minimo che qualunque stato deve fare per la tutela della propria sicurezza.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » mer lug 11, 2018 11:48 am

Niram Ferretti
11 luglio 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Pubblico un commento di risposta a una utente Facebook la quale munita di temerarietà e indigenza storica affermava, sulla pagina di una amica, la solita panzana. Quale? Che la Giudea e la Samaria (notate l'arabicità dei nomi?), poi chiamata dagli inglesi Cisgiordania e dai giordani, Diffah I-Garbiyyah, (West Bank), quando occuparono il territorio dal 1948 al 1967, cacciando da esso tutti gli ebrei, sarebbero "territori palestinesi". Forse, per la signora, sono "territori palestinesi" anche Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, e perchè no, tutto il resto. Infondo è quello che hanno sempre pensato gli arabi, da Amin al Husseini, passando per Yasser Arafat, per arrivare ad Abu Mazen e Hamas.

"Signora lei è sicuramente persona in buona fede, ma con una scarsa conoscenza della storia. No, il territorio su cui sorge Israele, non è 'terra palestinese'. Gli arabi invadono la Palestina, così chiamata nel 135 DC dall'imperatore Adriano, nel VII secolo. Gli ebrei sono stati presenti sul territorio da sempre e lo erano già da più di un millennio quando arrivarono gli arabi. Ora, lei mi può dire, 'Quella terra era araba', in quanto faceva parte della conquista musulmana, e io le direi, dal VII secolo in poi la regione chiamata Palestina passò dagli arabi ai cristiani e poi di nuovo dai cristiani agli arabi, con la definitiva cacciata dei crociati da parte di questi ultimi.

In questo periodo di tempo, gli ebrei furono continuativamente sul territorio, senza eccezioni. Dalla caduta del Secondo Tempio nel 70 DC. Ora, qualche legittimità storica, religiosa e culturale sulla terra magari ce l'hanno anche loro, non crede? Quelli che lei chiama "palestinesi", sono giordani, siriani, sauditi, egiziani, in altre parole, arabi.

Qui in Italia ci sono i lombardi, i veneti, i napoletani, ecc. Non sono etnie, sono i nomi dati agli abitanti italiani di specifiche regioni della penisola.

Fino alla fine del Mandato Britannico per la Palestina, gli ebrei che vivevano in quella regione, venivano definiti "palestinesi" come gli arabi, lo sapeva?

Ma procediamo.

I turchi, musulmani, ma non arabi, dominarono il territorio per quattro secoli. L'entità turca, non palestinese, signora, (nessuno aveva mai sentito parlare dei palestinesi durante il periodo dell'impero ottomano, nè nessuno ne aveva mai sentito parlare prima), cessò di esistere con la fine della prima guerra mondiale, quando l'Inghilterra e la Francia, potenze vittoriose, si spartirono ciò che restava di quel vasto impero, di cui la minuscola Palestina era solo un frammento. Ora, vede, la storia è fatta di tanti passaggi, spesso tortuosi, ma anche chiari. E qui la chiarezza dei passaggi storici è estrema.

Il Medioriente come lo conosciamo oggi, con la Palestina odierna, la Siria, la Giordania, l'Iraq, il Libano, è il frutto della fine dell'impero Ottomano e della sua riconfigurazione da parte delle potenze occidentali. Nel 1923 il Mandato Britannico per la Palestina assegnò agli ebrei la possibilità di insediarsi in TUTTI i territori ad occidente del fiume Giordano. Questa disposizione non è mai decaduta.

Se lei crede, si potrebbe di nuovo riconfigurare il Medioriente su basi diverse da quelle attuali. Facciamo un piccolo esperimento di fantastoria. Torniamo indietro, fingiamo di avere la macchina del tempo. Dove ci fermiamo? Ce lo dica lei. Ripristiniamo i confini dell'impero Ottomano?, (in questo caso dovremmo assegnare la Palestina alla Turchia attuale), oppure torniamo al dominio cristiano? (in questo caso dovremmo assegnare la Palestina al Vaticano o al patriarcato greco ortodosso), oppure retrocediamo ulteriormente signora, e antecediamo il VII secolo, prima della colonizzazione musulmana del Medioriente? Temo che non trovremmo più i romani a cui assegnare la Palestina, ma sa chi troveremo? Gli ebrei, signora. Trovremo loro. Sempre. Da Giacobbe in poi.


Gino Quarelo
Devo correggere Niram che se è ben informato sulla storia di Israele è piuttosto scarso sulla storia italiana: i lombardi (longobardi) e i veneti sono etnie come i sardi e tanti altri, sia pur mischiatesi nei secoli con altri che c'erano prima o che son venuti dopo. Caro Niram studia un pò la storia delle genti italiche o italidi. Io sono veneto e ci tengo alla mia specificità storica, etnica, culturale, linguistica e a non essere confuso con altri; la cittadinanza è un'altra cosa.
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » mer lug 25, 2018 7:20 am

Siria: proposta russa a Israele: iraniani a 100 Km dal Golan. Netanyahu rifiuta
Sarah G. Frankl
luglio 24, 2018

https://www.rightsreporter.org/siria-pr ... hu-rifiuta

Iraniani in Siria ma a 100 Km dal confine con Israele. E questa la proposta russa portata ieri in Israele dal potentissimo Ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov. Il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha gentilmente ma fermamente respinto la proposta russa.
«Non permetteremo agli iraniani di stabilirsi a 100 Km dal confine con Israele» ha detto Netanyahu a Lavrov che guidava una nutrita delegazione russa di cui facevano parte anche alcuni alti ufficiali dell’esercito.
La proposta russa si basa su una cosiddetta “zona cuscinetto” di 100 Km entro la quale si impegnerebbero a non fare entrare militari o miliziani iraniani o legati direttamente al regime di Teheran. Gli israeliani dal canto loro fanno notare giustamente che anche un’arma a corta gittata supera facilmente quella distanza e che sia gli iraniani che le milizie legate a Teheran (Hezbollah, per esempio) dispongono di armi di gittata decisamente superiore ai 100 Km della zona cuscinetto e che quindi la proposta russa non è accettabile.
Precedentemente la Russia aveva offerto a Israele la formazione di una zona cuscinetto ancora più ristretta, pari a 80 Km, ma dopo il rifiuto di Gerusalemme ora avanza questa proposta che nei fatti cambia poco o nulla.
Al colloquio di ieri, durato oltre due ore, hanno partecipato da un lato il Primo Ministro israeliano e uno staff formato da esperti militari e da rappresentanti della intelligence, dall’altro oltre a Lavrov c’era il comandante delle forze armate russe, il Generale Valery Gerasimov e uno staff composta da diversi esperti.
La richiesta israeliana è semplicissima: nessun militare iraniano e nessuna milizia legata a Teheran deve rimanere in Siria. Purtroppo però i russi non possono “espellere” gli iraniani dalla Siria – che poi è quello che si diceva qualche giorno fa – e per questo stanno cercando una soluzione “diplomatica” che rassicuri Israele.
Ma Israele non si limita solo a chiedere che tutti gli iraniani escano dalla Siria. Chiede lo smantellamento di tutte le armi a lungo e medio raggio presenti in Siria, la chiusura dei valichi di frontiera tra la Siria e il Libano da dove le armi provenienti dall’Iran arrivano a Hezbollah, e per lo stesso motivo chiede anche la chiusura dei valichi tra l’Iraq e la Siria.
Lavrov dal canto suo ha detto a Netanyahu che «non è realistico chiedere agli iraniani di lasciare completamente la Siria» e che al massimo Israele può ottenere che stiano lontani dai confini con lo Stato Ebraico.
È una partita molto complessa che naturalmente non si è chiusa con la riunione di ieri. Questa mattina Netanyahu ha annunciato una riunione straordinaria del Governo per discutere della situazione in Siria e delle proposte russe e non ha escluso un nuovo incontro con Putin a Mosca.
Nel frattempo Israele si riserva il diritto di colpire tutti gli obiettivi in Siria che ritiene pericolosi per la propria sicurezza.


Nella intricata e torbida questione siriana, come orientarsi e con chi stare?
viewtopic.php?f=143&t=2757
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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:48 am

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Re: Ebrei, Israele, confini, legittima difesa, nazismo islam

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 7:48 am

Striscia di Gaza: di cosa ha paura Israele?
Sarah G. Frankl
12 ottobre 2018

https://www.rightsreporter.org/striscia ... ra-israele

Israele – Striscia di Gaza (Rights Reporter). Ieri è stato l’ennesimo venerdì di follia a causa di quella che i palestinesi chiamano “marcia del ritorno”, in realtà una vera e propria strategia di sfinimento che vorrebbe spingere Israele verso un conflitto vero e proprio con Hamas.

Il fatto più grave è avvenuto quando circa 20 terroristi palestinesi hanno prima piazzato un ordigno lungo la barriera di confine e poi, una volta fatto esplodere e aperto un varco, si sono introdotti in Israele con l’intenzione di rapire un soldato israeliano. A quel punto l’IDF ha reagito uccidendo tre terroristi che erano quasi arrivati ad una postazione del IDF e messo in fuga gli altri.

Poco prima circa 15.000 palestinesi si erano radunati lungo la barriera di confine dove hanno incendiato pneumatici e lanciato decine di palloni incendiari verso Israele provocando incendi vicino al Kibbutz Ruhama e in altre aree. Incendi anche vicino al valico di Kerem Shalom da dove Israele fa passare gli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza, un fatto che ha spinto ieri sera il Ministro Lieberman a ordinare lo stop ai rifornimenti di carburante per la Striscia di Gaza.

Solo due giorni fa l’IDF aveva scoperto un tunnel del terrore che partendo dall’area di Khan Younis entrava in Israele per almeno 200 metri. L’ennesima gravissima minaccia rivolta ai cittadini israeliani sventata in extremis.

In Israele cresce il partito dell’intervento armato. Netanyahu sotto accusa

In questo contesto in Israele cresce sempre di più il partito dell’intervento armato. In tantissimi si chiedono perché il Governo non decide di mettere fine a questo vero e proprio stillicidio di attentati che sta rendendo la vita impossibile a milioni di abitanti del sud, bersagliati e minacciati ormai da mesi.

Critiche feroci vengono rivolte in particolare verso Netanyahu per quella che viene giudicata una cattiva gestione dell’emergenza, critiche che non vengono solo dal sud di Israele o solo dalla destra israeliana, ma anche dal resto del Paese e da una parte della sinistra.

Nessuno si spiega il motivo di tanta “pazienza” con milioni di israeliani del sud costretti a vivere in quello che comunque è un vero e proprio stato di guerra e in tanti si chiedono di cosa ha paura Israele. Del giudizio internazionale? Di cadere nella trappola tesa da Hamas per passare ancora una volta da vittima? Oppure ha paura di aprire il fronte di Gaza quando al nord la minaccia iraniana si fa sempre più pressante e pericolosa?

In tanti vorrebbero che il Governo lanci un ultimatum definitivo verso Hamas intimando ai terroristi di interrompere subito i disordini e gli attentati incendiari, ultimatum che dovrebbe essere inviato anche alla comunità internazionale che così non potrà dire di non essere stata informata.

Una cosa è certa, questa è una situazione che non può più andare avanti così e non è certo il caso di aspettare che Hamas interrompa gli atti di violenza se non costretto con la forza. Anzi, sembrerebbe che l’ordine impartito da Hamas ai manifestanti sia quello di rapire cittadini e militari israeliani e quindi di aumentare la tensione. Davvero si deve arrivare a questo o a un grosso attentato per intervenire?

Nota a margine dedicata ai media. Domenica scorsa un terrorista palestinese ha ucciso a sangue freddo due israeliani e ne ha ferito un terzo. Sulla carta stampata si è visto appena qualche accenno, in TV poco e niente. Ieri la morte dei tre terroristi palestinesi era la prima notizia dopo quelle riguardanti la politica italiana (come a dire che era la prima notizia). Come mai questa disparità di trattamento?



Di chi è la colpa dei morti di Gaza
Ugo Volli

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... __tn__=K-R
https://www.progettodreyfus.com/gaza-morti-palestinesi

A Gaza i disordini continuano e stanno diventando più frequenti e più violenti. Ormai i terroristi inquadrati da Hamas non si limitano a bruciare copertoni, mandare in giro arnesi incendiari volanti, cercare di tagliare la rete di confine con strumenti manuali. Usano le bombe e assaltano in massa con le armi i difensori dell’esercito israeliano, provano a sfondare anche per mare e minacciano di usare i tunnel d’attacco che restano loro ancora (quindici sono stati distrutti dall’aviazione negli scorsi mesi) per uccidere e rapire gli abitanti dei villaggi subito al di là della frontiera. I soldati israeliani sono schierati a difesa e stroncano questi attacchi con gravi perdite per gli assalitori, che non fingono neanche più di essere pacifici manifestanti: sono orde d’assalto che riproducono con meno ordine le scene delle trincee della prima guerra mondiale.

Sui giornali, quasi tutti ipocriti e mentitori, leggiamo di “scontri fra Israele e palestinesi”, ma non è vero. Gli “scontri” avvengono solo dove e quando Hamas manda all’assalto i suoi gruppi di terroristi, Israele non va mai oltre al confine e non inizia mai, si limita a difendersi dagli attacchi dei terroristi e uccide solo quelli che minacciano di sfondare la linea di confine. I morti sono quasi tutti da una parte sola, perché la tattica di Hamas, che non ha forze corazzate, è quella del 1916: manda i suoi all’assalto allo scoperto armati di bombe e armi leggere. Contro una difesa ben organizzata possono solo sperare in un caso fortunato (per loro) di confusione. Ma l’esercito israeliano è ben coordinato e sa come contrastarli.

Si parla dunque di scontri, e non ci si chiede perché ci sono. Non si dice neanche che Hamas li organizza e dichiara pubblicamente di volerli continuare fino a che avrà raggiunto i suoi obiettivi politici immediati, cioè la fine del blocco congiunto israeliano ed egiziano che controlla le importazioni nella striscia, impedendo che arrivino armi o materiali per la loro fabbricazione. Vale a dire che per Hamas una cessazione della violenza è possibile solo a condizione di porre le premesse per una guerra futura, in cui sarebbe meglio armato e più dannoso per Israele (e naturalmente di riflesso anche per gli abitanti di Gaza).

O si risponde genericamente che a Gaza sono disperati. Ma perché sono disperati? Israele ha fatto qualcosa di grave negli ultimi mesi? No, non è cambiato nulla. Anche nei momenti degli scontri più gravi, Israele ha fatto passare rifornimenti, acqua, cibo, merci varie, perfino carburante. Di recente c’è stata una spedizione di benzina organizzata dal Qatar, che Israele ha fatto passare nonostante il parere contrario dell’Autorità Palestinese.

Questo parere contrario è parte di un punto essenziale su Gaza, che nessuno racconta. Da un anno circa la dirigenza dell’Autorità Palestinese ha deciso di strangolare economicamente Gaza. Ha messo in atto sanzioni economiche, ha smesso di pagare gli stipendi ai suoi stessi dipendenti che vi abitano, ha rifiutato di concedere i permessi sanitari per le persone che devono andare in ospedali israeliani e quelli di studio per gli studenti che cercano di frequentare una scuola fuori dalla striscia, ha cercato in tutti i modi di sabotare le trattative mediate dall’Egitto e dal Qatar per diminuire la tensione al confine, ha perfino dichiarato persona non grata l’inviato dell’Onu perché si era permesso di stimolare queste trattative. Tutto questo è possibile perché negli accordi di Oslo, mal concepiti e dannosi anche sotto questo profilo. l’Autorità Palestinese è riconosciuta come “unica rappresentante del popolo palestinese” e dunque ad essa sono affidati i posti di confine, è essa che emette passaporti e certifica condizioni economiche e di salute, insomma per Israele è l’interlocutore giuridicamente obbligatorio.

Ovviamente Abbas, il dittatore dell’Autorità Palestinese, incapace o non disposto a condurre negoziati di pace, vuole piegare Hamas al suo comando per essere più forte, questo è forse l’ultimo obiettivo rilevante della sua vita politica declinante come la sua salute; ma sul piano militare e del consenso interno Hamas è assai più forte e rifiuta di sottomettersi. Per questa ragione le trattative di “riconciliazione nazionale” condotte dall’Egitto sono sempre fallite. Questa è la ragione per cui l’Autorità Palestinese e non Israele ha stretto un vero e proprio assedio economico a Gaza, sperando in una rivolta contro Hamas, che non avviene, o almeno in disordini che coinvolgano Israele, come invece sta accadendo, con il risultato se non di fare danni militari allo stato ebraico, almeno di danneggiarlo nell’immagine e di avere argomenti propagandistici da sfruttare (“i bambini di Gaza”, “la crudeltà dell’esercito israeliano” ecc. ecc.).

Insomma chi cinicamente sta affamando gli abitanti di Gaza, con il progetto di danneggiare Hamas o Israele o tutti e due è l’Autorità Palestinese. E’ una responsabilità pesante, condivisa con Hamas, che ha scelto di reagire a questa situazione mandando non solo i suoi terroristi, ma il più possibile della popolazione comune, donne e bambini compresi, a farsi ammazzare nell’impossibile tentativo di sfondare un confine internazionale difeso da un esercito bene armato. Se per caso riuscissero a fare qualche danno, a rapire o uccidere qualche civile o soldato rimasto isolato, sarebbe per loro un grandissimo successo. Se non ci riescono sono carne da cannone da far pesare nella propaganda. Anche questo è un cinismo insopportabile, veramente inaudito, non denunciato da nessuno dei “pacifisti”, degli “amici dei palestinesi”, dei “progressisti” che trovano comodo attingere al grande serbatoio dell’antisemitismo e prendersela con gli ebrei.




Ahed Tamimi: la prova vivente della favoletta del popolo palestinese
Ester C. Cantarini -
ottobre 26, 2018

https://www.rightsreporter.org/ahed-tam ... alestinese

«Tutti dovrebbero schiaffeggiare i soldati israeliani, non solo io». Così parlò Ahed Tamimi lo scorso 2 ottobre durante una intervista alla radio tunisina.

«Quello che ho fatto dovrebbe essere una cosa normale. I soldati (israeliani n.d.r.) andrebbero sempre schiaffeggiati, ovunque essi siano, indipendentemente dal fatto che abbiano fatto qualcosa o no» ha poi rincarato la dose.

Come tutti ormai sapranno Ahed Tamimi è diventata l’icona del cosiddetto “popolo palestinese” dopo che, durante l’ennesima provocazione, ha preso a schiaffi un soldato israeliano e per questo è stata condannata, dopo un suo patteggiamento, a otto mesi di carcere. Buona parte dei media ha dipinto questa ragazza perennemente minorenne (come spesso accade con i palestinesi) come una sorta di eroina che sfida Israele.

In realtà Ahed Tamimi è il frutto di una attenta campagna di marketing implementata dal padre, Bassem Tamini, un uomo di origine bosniaca, un Bushnak, come li chiamano gli arabi e i turchi. Bassem Tamini ha fondato un vero e proprio clan che ha fatto della propaganda anti-israeliana un business molto fruttuoso che attira nel villaggio di Nabi Salih migliaia di giornalisti pronti a riprendere le quotidiane manifestazioni contro Israele. Una macchina di propaganda davvero portentosa che ha portato lo stesso Bassem Tamini ai vertici di al-Fatah, il partito che domina l’Autorità Palestinese.

«Girando per il villaggio di Nabi Salih sembra di stare in un villaggio norvegese» raccontava tempo fa un fotografo americano stupito nel vedere tanti “palestinesi” con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Non sapeva che il clan Tamini non è infatti originario del posto ma che è appunto un Bushnak, bosniaci musulmani trasferiti dai turchi in Medio Oriente durante l’occupazione austro-ungarica della Bosnia. Sono slavi, così come altri cosiddetti “palestinesi” sono egiziani, giordani, siriani o di altre origini. E’ utile a tal riguardo rileggere questo articolo che pone alcune domande scomode sulla Palestina e sul cosiddetto “popolo palestinese”, domande che per il momento non hanno trovato risposte adeguate che ci facciano pensare a un “popolo palestinese” autoctono.

Ecco che allora torniamo su Ahed Tamimi come icona del cosiddetto “popolo palestinese” e ci rendiamo conto che in realtà è proprio così, Ahed Tamimi è effettivamente la rappresentazione perfetta di un popolo del quale fino alla nascita di Israele non si aveva notizia, creato ad hoc per contrastare lo Stato Ebraico attingendo a man bassa da ogni tipo di provenienza e persino etnia.

Se per esempio paragoniamo il cosiddetto “popolo palestinese” al popolo ebraico ci accorgiamo che il primo non ha una storia, non ha mia avuto una terra, una propria moneta, non ha mai avuto confini o un governo. Al contrario, il popolo ebraico ha una storia millenaria su quelle terre che adesso vengono rivendicate dai cosiddetti “palestinesi”. Anzi, proprio per essere sinceri la prima bandiera conosciuta della Palestina, come ci ricorda Progetto Dreyfus, aveva al centro la Stella di David a dimostrazione che il popolo ebraico è l’unico veramente autoctono del luogo. Tutto il resto è invenzione, propaganda, così come lo è Ahed Tamimi e tutto il suo clan.
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