I falascia gli ebrei etiopi

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Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:37 pm

I falascia gli ebrei etiopi
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:37 pm

I falascia (anche falascià o falasha) sono un popolo di origine etiope e di religione ebraica.
https://it.wikipedia.org/wiki/Falascia
Sono noti anche col termine Beta Israel (ቤተ፡ እስራኤል o Bēta 'Isrā'ēl in lingua ge'ez; ביתא ישראל in ebraico), che significa Casa (di) Israele, ed è da loro preferito vista l'accezione negativa che la parola Falasha ha assunto in amarico, e che significa "esiliato" o "straniero".

Fin dal XV secolo esistono testimonianze storiche e letterarie che parlano di "ebrei neri". Essi non si distinguono dalle popolazioni delle terre di cui sono originari né per le lingue né per i tratti, ma solo per la religione professata, l'ebraismo. Secondo alcuni storici, essi deriverebbero dalla fusione tra le popolazioni autoctone africane e quegli ebrei fuggiti dal proprio paese in Egitto (ma questa indicazione geografica data dalla Bibbia potrebbe genericamente indicare tutto il Corno d'Africa) ai tempi della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. o in successive ondate della diaspora ebraica. Dal punto di vista religioso, sarebbero i frutti dell'unione tra Salomone e la Regina di Saba. Questo creerebbe, secondo la visione dell'Ebraismo Ortodosso, alcuni problemi perché l'ebraicità è trasmessa in linea femminile, ed essendo la Regina di Saba non ebrea, in teoria neanche i discendenti dovrebbero esserlo.

Minacciati da carestie e dalle repressioni del governo etiope nel 1977-1979, emigrarono verso il Sudan, il cui governo musulmano fu però ostile nei loro confronti. Il governo di Israele decise[1] allora di trasportarli nel proprio territorio in maniera massiccia attraverso un ponte aereo: si susseguirono così le tre operazioni denominate Operazione Mosè, Operazione Giosuè ed Operazione Salomone, fino al 1991 (vennero trasferiti circa 90.000 ebrei, l'85% della comunità presente).[2]

Le operazioni furono decise per risolvere in tempi ragionevoli la situazione di grave disagio, in realtà la emigrazione regolare di singoli o famiglie era in atto da anni assistita da associazioni di supporto, ma il contingentamento dei permessi di espatrio e le continue richieste di denaro dei governi locali per concedere tali permessi, li rendevano di fatto degli ostaggi.

Attualmente in Israele vivono diverse decine di migliaia (circa 135.000[3]) di ebrei falascià in progressiva integrazione, nonostante difficoltà di adeguamento ad un ambiente diversissimo da quello di origine (dalla società tribale tradizionale a quella omogeneizzata tecnologica moderna). Nonostante numerosi casi di alienazione e di degrado, i giovani tendono ad essere assimilati facilmente nella società israeliana; una forte azione di omologazione ed integrazione dei giovani è svolta dalle scuole e dall'arruolamento nelle forze armate. Molto diversa è la questione degli anziani, soprattutto maschi, che sono stati completamente privati del rapporto con la comunità tribale, e della loro funzione di essere supporto economico della famiglia, supporto che è divenuto inutile e che non riescono più a realizzare in una società per loro estranea; si sono avuti diversi casi di alienazione e suicidi, una parte consistente di anziani è comunque felicemente integrata in sorte di "tribù" succedanee costituite dal mantenimento di una rete di rapporti familiari, ed interfamiliari, ricostituiti ed allargati. Per contro è senz'altro migliore la situazione delle donne anziane che sono valorizzate maggiormente nella cultura moderna rispetto a quella tribale, e trovano continuità nella necessità di dover supportare le funzioni familiari.[senza fonte]

Alcuni studiosi ebraici ritengono che questo gruppo di ebrei-etiopi sia ciò che rimane di una delle tribù perdute di Israele.[senza fonte]
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:38 pm

???

Israele: le ragioni della protesta degli ebrei etiopi

https://www.panorama.it/news/esteri/isr ... rei-etiopi


Li chiamano con disprezzo falashà, traducibile con esiliati, immigrati, stranieri. Sono i 130 mila ebrei di origine etiope, migliaia dei quali sono scesi in piazza nei giorni scorsi, tra Gerusalemme e Tel Aviv, per protestare contro la «violenza razzista» della polizia e contro la politica di discriminazione di cui sono oggetto da decenni nello Stato degli Ebrei: ultimi tra gli ultimi, nella scala sociale, giusto un gradino sopra (o sotto) gli israeliani di origine palestinese. A scatenare la rivolta, un video ripreso dalle telecamere di sicurezza - divenuto virale - dove alcuni agenti malmenano un soldato israeliano di origine etiope senza apparente motivo.

IL VIDEO CHE HA SCATENATO LA RIVOLTA

Quanto accaduto in Israele dove le manifestazioni di protesta sono degenerate in violenti scontri con le forze dell'ordine e barricate persino davanti all'ufficio del primo ministro, è anche lo specchio di una società che si riscopre unita solo di fronte al nemico comune arabo, ma che in realtà è assai più divisa e conflittuale di quanto comunemente si creda.

Trasferiti in massa dall'Etiopia in Israele alla fine degli anni Ottanta del 900, i falashà erano allora e restano oggi ebrei sui generis, considerati paria dalla maggioranza silenziosa israeliana e persino non-ebrei (nonostante le pronunce favorevoli di due autorevoli rabbini come Ovadia Yosef e Shlomo Amar) dalle chiassose frange ultraortodosse che troppo spesso tengono in ostaggio la politica dello Stato.

Poveri, poverissimi, giunti in Israele trent'anni fa grazie a una serie di spregiudicati e spettacolari ponti aerei decisi dal governo di Tel Aviv per ragioni umanitarie ma anche contrastare il boom demografico della minoranza arabo-israeliana, i falashà sono tutt'oggi la minoranza ebraica meno scolarizzata, più sottopagata e discriminata di tutto lo Stato di Israele. La loro rabbia, riesplosa nelle ultime settimane, cova sotto le ceneri di un apparente unanimità nazionalista.

Nonostante la coscrizione obbligatoria e l'obbligo di frequenza della scuola pubblica, l'integrazione è infatti rimasta per lungo tempo lettera morta. I più giovani sono inseriti in programmi educativi e religiosi specifici in nome del progresso. La cultura ebraico-etiope ha secondo molti autorevoli attivisti dei diritti umani subìto in questi trent'anni, prima nei campi profughi e poi nelle istituzioni pubbliche, un processo di assimilazione forzata che ha invano tentato di annullarne le specificità identitarie e i legami con la tradizione sincretica africano-ebraica.

Secondo il documentario Vacuum della giornalista israeliana Gal Gabay, il governo israeliano ha continuato per anni a imporre alle donne etiopi in età fertile la somministrazione controllata di Depo Provera, un pericoloso farmaco anticoncezionale, al fine di ridurre la crescita demografica delle famiglie di origine etiope.

La decisione di Bibi Netanyahu di ricevere una delegazione di Falasha dopo gli scontri, e le scuse del presidente Reuven Rivlin alla comunità ebraico-etiope non sembrano per ora sufficiente a ricucire la ferita: «Non abbiamo visto e non abbiamo ascoltato abbastanza: tra chi protesta nelle strade, ci sono alcuni dei nostri più eccellenti figli e figlie, studenti dotati, e coloro che servono nell'esercito». Per ora sono parole. (PP)
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:39 pm

???

I Falasha’: è la fine di un amore?

http://www.maitacli.it/attualita/277-i- ... i-un-amore

Abbiamo trattato più volte dei Falashà citati nell’articolo come “Beta Israel”: etiopici di religione ebraica, che vivevano nella zona tra Gondar e il lago Tana.

Senza voler rifare la storia si propone il sotto riportato articolo, recentemente pubblicato dal giornale in rete “East Journal”, che tratta di: società, politica e cultura, registrato al tribunale di Torino e diretto da Matteo Zola.

Si ripropone quindi l’articolo in quanto descrive la storia, che già conosciamo, in modo attendibile (salvo quanto rettificato nella nota in calce), ma soprattutto per l’incerto destino cui sono andati incontro una volta che i Falashà si sono stati trasferiti in Israele. Speriamo che la situazione, per certi versi allarmante, possa migliorare così come promesso dal Primo Ministro di quel Paese.

Da: East Journal
ISRAELE: Perché protestano gli ebrei di origine etiope
MAGGIO 2015
di Antonello Paciolla

Domenica scorsa, a Tel Aviv, una dimostrazione di protesta contro le violenze e le discriminazioni della polizia nei confronti dei cittadini israeliani di origine etiope è degenerata in una serie di scontri in cui sono rimaste ferite più di 50 persone, soprattutto poliziotti. Le forze dell’ordine hanno dovuto usare cannoni ad acqua e gas lacrimogeni per impedire ad alcuni manifestanti di raggiungere il municipio, nella centrale Kikar Rabin (Piazza Rabin). Auto della polizia sono state rovesciate, mentre verso gli agenti venivano lanciate pietre e bottiglie, in quelle che sono state tra le ore più turbolente per la più popolosa città israeliana negli ultimi anni. Alla marcia di protesta si erano unite più di 10mila persone, a tre giorni di distanza da una simile manifestazione a Gerusalemme, anche essa degenerata in scontri violenti. L’ondata di indignazione è stata provocata dalla diffusione di un video – registrato da telecamere di sorveglianza – che mostrava il pestaggio di un soldato israeliano di origine etiope ad opera di alcuni poliziotti.

Gli scontri degli ultimi giorni hanno riportato all’attenzione del mondo una delle diverse tensioni etniche che lacerano la società israeliana. Gli ebrei di origine etiope che vivono in Israele sono circa 130 mila, su otto milioni di abitanti. Da anni denunciano una situazione di discriminazione da parte delle forze dell’ordine e di drammatiche difficoltà di inserimento nella società israeliana.

Gli israeliani di origine etiope sono i discendenti dei Beta Israel (“Casa di Israele”), una popolazione ebraica che viveva in una vasta area dell’Etiopia settentrionale e nord-occidentale. La presenza di regni ebraici in zone del territorio etiope è stata accertata a partire dal quarto secolo dopo Cristo in poi, e i Beta Israel riuscirono a mantenere la loro autonomia fino al 1620, quando caddero sotto il dominio dell’imperatore Susenyos I. Da allora, la popolazione ebraico-etiope riuscì, con alterne vicende e molte difficoltà, a conservare le sue tradizioni, trovando un suo spazio soprattutto nell’allora capitale dell’Etiopia, Gondar.

I primi Beta Israel a stabilirsi in Palestina nell’era moderna arrivarono nel 1934, insieme a gruppi di ebrei yemeniti in fuga dall’Eritrea caduta sotto la dominazione coloniale italiana. (1) L’emigrazione degli ebrei etiopi in Israele continuò negli anni sessanta e nei primi anni settanta. Si trattava soprattutto di persone che erano arrivate in Israele con visti di studio o turistici e rimanevano nel paese illegalmente. Nel 1975 il governo di Yitzhak Rabin riconobbe ufficialmente i Beta Israel come ebrei, garantendo loro la possibilità di stabilirsi in Israele secondo quanto previsto dalla Legge del Ritorno. La condizione di “ebraicità” degli israeliani di origine etiope fu poi confermata da pronunciamenti religiosi dei Rabbini Capo d’Israele.

L’inizio della guerra civile in Etiopia, verso la fine degli anni settanta, convinse il governo israeliano a dare il via a una serie di operazioni segrete per favorire l’immigrazione degli ebrei etiopi in Israele, visto che la giunta militare impediva ai Beta Israel di lasciare il paese. Agenti del Mossad invitarono gli ebrei etiopi ad attraversare il confine per essere poi imbarcati su voli dal Sudan verso Israele. Nel 1984 i Beta Israel iniziarono ad arrivare in massa in Sudan, e gli agenti del Mossad riuscivano a rimpatriarli con difficoltà. Migliaia di ebrei etiopi morirono in campi per rifugiati in Sudan, a causa delle pessime condizioni di vita. Israele e gli Stati Uniti intensificarono i loro sforzi con le Operazioni Mosè e Giosuè, anche con l’appoggio dell’aviazione americana. In questo modo, migliaia di Beta Israel riuscirono a fuggire. Nel 1991, nel periodo di instabilità seguito alla caduta del regime comunista di Menghistu, il governo israeliano lanciò un’altra massiccia operazione di rimpatrio, nella quale circa 15 mila Beta Israel lasciarono l’Etiopia.

Per molti ebrei etiopi l’arrivo in Israele fu un fortissimo choc culturale, a causa delle difficoltà linguistiche e di adattamento alla vita in grandi città. Molti di loro erano sempre stati abituati a vivere in piccoli villaggi, in diversi casi privi di elettricità. I loro discendenti di seconda generazione si sono integrati con più successo nella società israeliana, ma gli indicatori socio-economici dimostrano che sono ancora fortemente penalizzati, in confronto alla maggior parte dei cittadini del paese. Gli israeliani di origine etiope sono molto più esposti all’abbandono scolastico e alla probabilità di finire in prigione; hanno tassi di istruzione universitaria ridotti e vanno più facilmente incontro alla disoccupazione. Quelli di loro che hanno un lavoro guadagnano sensibilmente meno rispetto ai loro concittadini, secondo alcuni dati anche un terzo in meno degli arabo-israeliani, pur essendo anche loro considerati una minoranza a rischio in Israele.

Sono stati molti gli episodi di razzismo che hanno coinvolto israeliani di origine etiope. Circa vent’anni fa, alcuni giornali rivelarono che gli ospedali israeliani stavano scartando donazioni di sangue da parte di immigrati etiope, temendo che fossero portatori di HIV. Le rivelazioni provocarono un’ondata di indignazione, ma alcuni anni dopo lo choc fu ancora più grande quando fu scoperto che molte donne di origine etiope erano state incoraggiate a sottoporsi a procedure di sterilizzazione, in alcuni casi addirittura a loro insaputa.

Dopo gli scontri di domenica, il Presidente israeliano Reuven Rivlin, ha dichiarato che le proteste degli israeliani di origine etiope hanno «rivelato una ferita aperta nel cuore della società israeliana». Secondo Rivlin, che proviene dalla destra israeliana del Likud ma è diventato un deciso portavoce dei diritti delle minoranze nella società di Israele, finora la classe politica «non è stata capace di ascoltare e guardare abbastanza». Il primo ministro Netanyahu ha incontrato Damas Pakedeh, il soldato filmato mentre veniva brutalmente picchiato da agenti di polizia. Netanyahu ha riconosciuto che quello degli israeliani di origine etiope «è un problema reale e serio» e ha promesso uno sforzo congiunto di tutta la società israeliana per risolverlo.

In realtà nessun Ebreo fu costretto a lasciare l’Eritrea quando era sotto il dominio del Regno d’Italia; come nessun’altro a causa della propria Etnia o Religione. Immaginare Ebrei che lasciano, all’epoca, luoghi certi per la Palestina è molto improbabile ed addirittura impossibile per quelli che allora erano considerati da sempre Abissini e a tutti gli effetti. Lo Stato d’Israele poi era lontano dalla sua costituzione certa, che si è realizzata solo dopo la seconda guerra mondiale.
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:40 pm

Secondo alcuni esperti, i Falascià discenderebbero da un popolo appartenente al ceppo yemenita giunto molti secoli fa in Etiopia.
Mentre altri sostengono...
STORIA DEGLI EBREI ETIOPI, PICCOLA COMUNITA' VENUTA DALL'IGNOTO
di ALBERTO ROSSELLI

http://win.storiain.net/arret/num109/artic7.asp

"In quel giorno il Signore si prenderà nuovamente il resto del Suo popolo, rimasto dall'Assiria. e dall'Etiopia. e alzerà un vessillo ai popoli e raccoglierà i dispersi d'Israele. dai quattro angoli della terra". (Isaia 11: 11-12)

Sulle origini dei Falascià (o Falàsha), la misteriosa comunità ebraica un tempo residente in Etiopia, sono state avanzate molteplici ipotesi. I primi studiosi ad interessarsi all'argomento furono i francesi e gli italiani. E in ordine cronologico, il primo a parlare dei Falascià fu il ferrarese Rabbì Eliahu che, trasferitosi in Palestina nel 1425, raccontò, tramite lettera, ai suoi figli rimasti in Italia quanto egli avesse appreso "da un ebreo 'nero' giunto a Gerusalemme dall'Etiopia". Bisognò comunque attendere gli studi di Filosseno Luzzato per reperire notizie più complete sull'argomento. A partire dal 1843, Luzzatto ripresentò infatti la questione Falascià in termini decisamente più scientifici ed esaustivi. Egli raccolse molte informazioni sugli ebrei dell'Africa Orientale grazie all'etnologo Antoine D'Abbadie che aveva visitato l'Etiopia e le sue più remote regioni. Tra il 1851 e il 1853, le informazioni e le leggende circa la presenza e le tradizioni etnico-religiose e culturali della comunità ebraica 'nera' furono poi catalogate e sapientemente analizzate in una serie di pubblicazioni raccolte negli Archives Israelites de France, il primo serio e moderno studio sull'argomento
Attualmente, alcuni ricercatori ritengono questo particolare nucleo etnico-religioso originario dell'Abissinia, mentre altri lo fanno discendere dalla tribù di Dan. Molti sono concordi nel sostenere che il termine Falascià sia stato dato, con accezione negativa, dalle altre comunità etiopi agli ebrei 'neri': ragione per cui esso non sarebbe del tutto gradito ad essi che preferirebbe definirsi 'beth Israél', cioè 'Casa di Israele'.

Secondo il parere di certi esperti, i Falascià discenderebbero da un popolo

Falascià in partenza per Israele
appartenente al ceppo yemenita giunto molti secoli fa in Etiopia; mentre altri sostengono una discendenza dall'antica comunità ebraica egiziana di Elefantina che sarebbe poi migrata nel sud del paese, fino a raggiungere la regione nord orientale etiope (il Gondar) e quella del Tigré. I cultori di tale teoria fanno provenire i "beth Israél" da quegli ebrei discendenti dal figlio nato dall'unione tra la leggendaria regina di Saba e re Salomone. Anche se sulla fede di questi ebrei 'anomali' non pochi esponenti religiosi israeliti puristi avanzano molti dubbi fino a considerarli semplicemente dei 'gentili' che per una qualche ragione non ancora del tutto chiarita hanno nel tempo mutuato alcune usanze e credenze dal credo ebraico. Ipotesi, questa, fermamente respinta dai diretti interessati che si considerano a tutti gli effetti ebrei autentici, come d'altra parte essi sono sempre stati considerati dai popoli con i quali hanno avuto a che fare durante la loro permanenza in Africa Orientale, e cioè gli etiopi cristiani ortodossi e i musulmani. Secondo il parere degli studiosi contemporanei più attendibili (vedi Ester Herzog, autrice di un importante lavoro sull'argomento), le prime notizie documentabili sui Falascià risalirebbero al '600/'700 d.C. Le cronache etiopi del tempo testimonierebbero infatti l'esistenza di un nucleo etnico-religioso 'anomalo' residente nel cuore dell'Abissinia settentrionale. Sempre secondo tali fonti, per circa tre secoli i Falascià avrebbero condotto un'esistenza pacifica anche se totalmente isolata dal resto del paese, mantenendo intatti i propri costumi, la propria cultura e naturalmente la propria religione.

"Anche se - spiega Ester Herzog - a partire dall'anno 1000 gli ebrei etiopi avrebbero incominciato ad essere oggetto di molteplici e dure persecuzioni e vessazioni da parte delle popolazioni limitrofe di religione mussulmana e ortodossa, subendo confische o sottrazioni di terre coltivate e di bestiame e altri atti di chiara intolleranza, quali la privazione dei diritti più elementari, la schiavitù e la cancellazione e profanazione dei luoghi e dei templi simbolo del loro credo. Intorno all'anno Mille, i mussulmani, ma anche gli ortodossi, profanarono o bruciarono quasi tutte le sinagoghe della comunità, costringendo i religiosi a nascondere libri sacri e reliquie in luoghi inaccessibili".
Dal XVII secolo in poi, missionari protestanti giunti in Etiopia vennero a contatto con elementi di questa comunità - completamente all'oscuro dell'esistenza di loro correligionari nel mondo - tentando di convertirli: iniziativa che riuscì soltanto in parte e solo molto più tardi, nel XIX secolo, grazie all'opera dei membri della London Society for Promoting Christianity among Jews. Per cercare di allontanare la minaccia missionaria, alcuni esponenti della comunità ebraica europea, tra cui il triestino Filosseno Luzzatto, iniziarono ad interessarsi della sorte di questi loro sconosciuti 'fratelli neri', lanciando diverse campagne per sensibilizzare gli israeliti del continente: impegno che vide l'accorata partecipazione, morale e materiale, di eminenti rabbini spagnoli, boemi, tedeschi, inglesi, prussiani, galiziani e turchi.

La Herzog racconta che "nel 1867, l'orientalista e studioso della Bibbia, Joseph Halévy, per conto dell'Alliance Israélite Universelle, iniziò ad approfondire gli studi sulla comunità dei Falascià onde verificarne le esatte origini e la purezza del credo religioso,

Giovane ebreo etiope
cercando nel contempo di mettersi in contatto con i "Beta Israel" in modo da renderli edotti circa l'esistenza di una ben più vasta anche se frammentata comunità israelitica alla quale potere fare riferimento. Nonostante le resistenze di alcuni "puristi" inclini a respingere talune usanze dei Falascià, Halévy giunse alla stabilire circa l'inequivocabile ebraicità dei "Beta Israel".
Fu comunque necessario attendere il 1905 perché l'entrata dei Falascià nella coscienza collettiva del mondo ebraico si consolidasse fino a diventare una fatto accettato, anche se con riserve. In quell'anno, infatti, lo studioso di lingue semitiche Jacques Faitlovitch, costituì i primi comitati pro Falascià, trasferendosi poi in Etiopia da dove rientrò in Europa con 40 giovani ebrei neri. Successivamente, Faitlovitch fece frequentare ai ragazzi alcune importanti scuole ebraiche, introducendoli a pratiche religiose e simboli fino a quel momento ad essi sconosciuti (come la liturgia dell'accensione delle candele dello Shabbat, il rito della festa di Simhat Torà, ecc.) ed insegnando loro la lingua ebraica ad essi completamente ignota. Questi contatti, consolidatisi in seguito ala nascita dello Stato di Israele, fecero sì che la comunità Falascià, ormai ridotta ad appena 30.000 unità, potesse sopravvivere al crescente antisemitismo islamico e ortodosso, e alla miseria. A questo punto occorre però ricordare un fatto poco noto.

Durante l'occupazione italiana dell'Etiopia (1936-1941) dietro disposizione di quel Benito Mussolini che nel 1938 varò le famose leggi razziali contro gli ebrei, il governo fascista decise di tutelare, attraverso apposite norme, la piccola comunità ebraica etiope, difendendola dagli abusi e dalle violenze di cui era stata oggetto da parte delle popolazioni, soprattutto mussulmane.
Per molti anni, tuttavia, i molteplici e mai sopiti dubbi espressi da non pochi politici e religiosi israeliani circa la vera identità religiosa dei falascià e i timori per i possibili contraccolpi socio-culturali derivanti da un loro eventuale rientro in patria (cioè Israele), ostacolarono i piani di quei comitati di tutela che avevano come scopo il trasferimento dell'intera comunità ebraica etiope nella terra di David. Bisognò di fatto attendere il 1977 affinché il parlamento di Gerusalemme decidesse, dopo numerosi accesi dibattiti, di avviare un'operazione di questo tipo, foriera tra l'altro di notevoli rischi. A molti parve infatti verosimile che il nuovo governo marxista etiope del sanguinario colonnello Haile-Mariam Menghistu, che proprio in quell'anno aveva preso il potere in seguito ad un colpo di stato, non avrebbe infatti mai accettato alcuna manovra di questo tipo. Occorreva quindi agire con la massima prudenza, ma l'avventatezza dell'allora ministro degli Esteri Moshe Dayan complicò le cose. Incredibilmente, l'abile ex-comandante in campo dell'esercito israeliano, fece trapelare le finalità del progetto mettendo in allarme l'esecutivo filosovietico etiope impegnato in una politica di "assorbimento" e talvolta di annientamento di tutte le comunità e le minoranze etnico-regiose residenti nell'ex Africa Orientale Italiana, compresa naturalmente quella ebraica.

Tra il 1977 e il 1979, i Falascià rischiarono quindi di scomparire dalla faccia della terra, sia a causa delle persecuzioni dell'esercito comunista, sia per gli effetti devastanti della paurosa carestia innescata dalla dissennata politica economica dello stesso governo etiope, impegnato a collettivizzare le terre e soprattutto a dilapidare le casse dello stato per acquistare da Mosca e dall'Avana gli armamenti necessari per combattere la vicina Somalia e per schiacciare i ribelli eritrei mussulmani che da tempo lottavano per l'indipendenza del loro paese. Questi motivi spinsero molti Falascià a tentare la fuga verso il nord, cioè in direzione dei campi profughi allestiti dall'ONU situati in Sudan, nella speranza di essere presto soccorsi dallo stato israeliano. Coloro i quali vi riuscirono dovettero però affrontare oltre confine un'esistenza molto difficile in quanto il governo islamico sudanese si dimostrò assai poco incline ad accettare sul suo territorio elementi non mussulmani. La politica discriminante di Karthoum spinse finalmente il governo di Tel Aviv a varare in tempi brevi di tre distinte operazioni di soccorso. La prima, chiamata in codice "Operazione Mosè", consistente nella messa a punto di un ponte aereo che nell'arco di un mese e mezzo (e circa 30 voli) avrebbe consentito di trasferire dal Sudan a Israele circa 6.500 ebrei. La seconda, chiamata in codice "Saba" avrebbe invece visto l'impiego di alcuni velivoli da trasporto Usa per trasportare da Karthoum a Tel Aviv altri 650 Falascià. La terza (nome in codice "Salomone") si sarebbe dovuta svolgere in appena 24 ore con il contributo di uno speciale raggruppamento aereo israeliano che una volta giunto in Etiopia, avrebbe dovuto caricare e portare in salvo 14.600 correligionari.

Grazie agli sforzi diplomatici israeliani e alle pressioni esercitate da Washington sul Sudan, il governo di Karthoum acconsentì - pare dietro un cospicuo compenso in dollari - a permettere l'attuazione di tutti e tre i piani di sgombero che venne portato a compimento senza eccessivi problemi. Attualmente, in Israele, vivono circa 63.000 Falascià che, nonostante i notevoli sforzi profusi da Tel Aviv per facilitarne l'integrazione, sembrano

Gruppo di Falascià
faticare per raggiungere un completo inserimento e ad instaurare rapporti di totale intesa con la popolazione locale (alla fine degli anni Ottanta, il ministero della Sanità emanò una direttiva per costringere tutti gli immigrati etiopi a sottoporsi a test per l'AIDS: iniziativa che provocò violente proteste). Come spiega la sociologa Ester Herzog "Le spicce modalità adottate nei primi tempi da Tel Aviv per favorire l'accoglienza degli ebrei etiopi altro non fanno che rallentare l'integrazione di questi ultimi, e rischiano di provocare un'assimilazione forzata e traumatica".
Per la Herzog, il governo avrebbe messo in moto una prassi troppo rapida, meccanica e burocratica, senza tenere in minimo conto delle reali difficoltà di ambientazione dei Falascià immigrati. "Il criterio base adottato per l'assegnazione degli alloggi ai Falascià - prosegue la Herzog - è attualmente legato alla salvaguardia del nucleo familiare. Questa visione tutta occidentale della famiglia si scontra con quella della cultura etiope, secondo la quale la parentela non è necessariamente determinata dal vincolo di sangue. Per la cultura falascià, le definizioni di padre o di sorella possono riferirsi anche ad individui estranei ma con i quali si mantengono da tempo intensi legami affettivi" [.] Di conseguenza, il principio adottato da Tel Aviv per l'assegnazione delle abitazioni ha comportato forzate e dolorose separazioni che hanno causato disagi psicologici agli immigrati".

Ma non è tutto. La Herzog ha messo sotto accusa anche il metodo della distribuzione del lavoro. "L'apprendimento di mestieri e l'offerta di lavoro sono riservati agli uomini, perlopiù giovani. L'erronea convinzione manifestata dalle autorità è che le donne siano meno capaci dei maschi e tradizionalmente legate all'attività domestica. In realtà, un esame più approfondito dimostra che, fino da tempi molto antichi, nelle comunità etiopi dei Falascià le donne partecipavano alla vita produttiva del villaggio attraverso svariate attività lavorative e produttive, soprattutto nel settore tessile e artigianale. Pretendere di impedire alle immigrate di applicarsi in un qualche tipo di mansione ha di fatto spinto le donne Falascià ad identificarsi esclusivamente nei ruoli di madre e moglie".
Come ha spiegato lo studioso Orith Youdovich "Gli errati meccanismi dell'integrazione hanno finito per condizionare anche la vita religiosa della comunità, legata ad antichi riti molto distanti da quelli nostri. In Etiopia, ad esempio, la prassi della circoncisione coincideva con una particolare festa alla quale partecipavano molti abitanti dei vicini villaggi. Il rito si svolgeva al mattino (mai di sabato) e veniva effettuato, quando il bimbo era al settimo giorno di vita, da un anziano che, dopo avere eseguito la resezione, diventava un essere impuro, al punto da dovere sottoporsi a numerose abluzioni. Ora, le attuali disposizioni rabbiniche fanno sì che il rito della milà venga a volte eseguito persino ad un mese dalla nascita del bambino. Senza considerare che il rabbino incaricato è solito, forse per ragioni di praticità, effettuare la circoncisione a più bambini: sistema che non piace affatto ai Falascià".

Tutto ciò - secondo la Herzog - rappresenta dunque un grave problema, in quanto impedisce una reale e spontanea integrazione degli immigrati, senza considerare che le pratiche imposte dal governo altro non fanno che favorire la scomparsa delle più antiche tradizioni della comunità Falascià: tradizioni che la società israeliana dovrebbe invece proteggere proprio perché riconducibili al periodo più remoto e leggendario della storia del popolo di Mosé. Tale è infatti l'obiettivo che si pone l'Istituto di Cultura Etiope a Tel Aviv, un ente preposto alla conservazione degli usi e costumi dei Falascià che, attraverso lezioni, seminari ed incontri, vengono illustrati alla popolazione israeliana. Come spiega Youdovich, che dell'organizzazione è anche presidente, "la biblioteca dell'Istituto, contenente circa 5.000 pubblicazioni di vario genere, è a disposizione dei cittadini e soprattutto degli studenti. Il centro funge anche da consultorio e punto di riferimento per i membri della Comunità, nonché da collegamento fra la cultura dei 'Beta Israel' e quella occidentale". Ma sentiamo come la pensa un diretto interessato, nella fattispecie il Direttore del Centro, Shlomo Akalé, un Falascià giunto in Israele nel 1980. "In Etiopia vivevamo come nel Medio Evo. Nonostante nelle grandi città ci fossero scuole e ospedali, gli ebrei, per paura di essere assimilati dagli etiopi, hanno preferito vivere isolati in campagna, in piccoli villaggi. Gli uomini erano per la maggior parte fabbri o tessitori, le donne lavoravano la ceramica e le stoffe. Ognuno aveva dei ruoli ben precisi all'interno della società e della famiglia. Solo se si considera questo, si può capire quale trauma abbiamo subito ritrovandoci catapultati nella moderna società israeliana". Una società amica, ma forse estranea al tempo stesso.


BIBLIOGRAFIA

History of the Jewish People, di H.H. Ben-Sasson - Harvard University Press Cambridge, Massachusetts, 1976
Storia d'Israele, di G. Ricciotti - Sei, Torino 1960
Sito web http://www.morasha.it/alefdac/ - Marzo 1985. Gli inserti di Alef Dac: Gli ebrei d'Etiopia
Le comunità ebraiche nel mondo, di Pier Giovanni Donini - Storia della diaspora dalle origini a oggi - Editori Riuniti, 1988
Storia delle religioni, di H.C. Puech - Universale Laterza, 1977
Storia degli ebrei, di Paul Johnson - ed. Autori e lettori, Milano, 1992
L'Egitto dei Faraoni, di J.M. Brissaud - Ginevra, 1974
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:40 pm

???


Israele: dai sefarditi "rubati" ai lager per falasha
Stefano Zecchinelli

http://www.linterferenza.info/esteri/is ... er-falasha

Lo Stato israeliano, oltre a non voler attenuare le politiche imperialistiche contro il popolo palestinese, non rinuncia nemmeno al razzismo interno: contro gli ebrei sefarditi ed i falasha etiopi. Qualche giorno fa il capo della polizia, Roni Alshich ha rilasciato questa vergognosa dichiarazione: “Studi in tutto il mondo mostrano che gli immigranti sono più coinvolti nel crimine di altri settori della popolazione”. “E’ naturale per le forze dell’ordine essere più sospettosi di un israeliano (ebreo di origine) etiope”. Lo Stato che ha coperto i traffici di eroina di Mayer Lansky, uno dei più spietati boss della mafia statunitense, adesso, con la solita ipocrisia, si lamenta di improbabili ‘’crimini’’ commessi dagli ebrei etiopi, gruppo etnico deportato in Israele a seguito di banditesche operazioni militari.

I falasha, affascinati dal ‘’mito della terra promessa’’ e della riscoperta quattordicesima tribù camitica, hanno ceduto alle lusinghe del sionismo israeliano; una parte di essi, per tamponare l’esclusione sociale, ha scelto la strada dell’arruolmento nell’IDF diventando mercenari dell’imperialismo di Tel Aviv; altri – certamente in maggioranza – finiscono nei lager della nuova ‘’galera patria’’.

Il governo Netanyahu si è dimostrato debole e refrattario nel chiudere il Centro di reclusione per migranti Holot, tuttora operativo. Questo centro ‘’era stato voluto con forza dal governo Netanyahu per placare le proteste degli israeliani che chiedono l’espulsione immediata di tutti i migranti africani (sudanesi ed eritrei in maggioranza). Holot infatti allontana i clandestini dai rioni popolari di alcune citta’’ 1. L’appello dei giudici che hanno chiesto la ‘’riesamina della politica likudista’’ è, come al solito, ipocrita; mentre il sionismo di destra getta la maschera trasformando Israele in una prigione a cielo aperto, uno Stato ‘’per soli ebrei fascisti’’, quello di ‘’sinistra’’ vorrebbe un regime imperialistico capace di ricorrere a molteplici protesi ideologiche. Negli anni ’60 i ‘’sionisti di sinistra’’ sproloquiavano sul ‘’socialismo del kibbutz’’ omettendo di dire che questa ‘’via socialista’’ ( fra molte virgolette ) non rifiutava il colonialismo e l’espulsione degli arabi, sostituiti da manodopera israelita, dalle loro terre. Oggi, il ‘’sionismo di sinistra’’, parla di diritti umani guardandosi bene dal rinunciare all’imperialismo ed alla dittatura delle lobby in occidente. Lenin, nel 1917, bollò questa posizione come ‘’social-imperialista’; truffaldina e belligerante non una ma ben due volte.

L’imperialismo israeliano ha sempre considerato il continente africano uno sbocco ‘’naturale’’ del suo neocolonialismo, una terra da depredare e un mercato da conquistare; Cam, nell’ambiguo ‘’mito biblico’’, era il figliò di Noè a cui Jahvè rese la pelle nera punendolo per aver visto il padre ubriaco. Noam Chomsky, prima della sua svolta liberale, spiegò che negli anni ’60 Israele aveva teorizzato l’alleanza di Tel Aviv con tre orrende dittature militari: la Turchia, l’Iran dello Scià Reza Pahlevi e l’Etiopia imperiale. Il collante ideologico doveva essere il ‘’sionismo religioso’’. Domanda: la ragione, storica e politica, della discriminazione anti-falasha propria del ‘’sionismo di destra’’ risiede in antichi retaggi religiosi? Netanyahu oggi chiude i falasha nei lager ma negli anni ’60 furono i ‘’laburisti atei’’, Ben Gurion e Golda Meir, a guardare all’Etiopia come ad una antica terra biblica da conquistare. Il copione è sempre lo stesso: il ‘’sionismo di sinistra’’ offre gli spunti ideologici ed inizia i lavori, quello di destra li porta a termine mostrandosi al mondo con le mani sporche.

Sappiamo anche delle politiche di sterilizzazione, denunciate dal quotidiano liberale Haaretz: ‘’A dicembre, intervistate da Vaacum su IETV, trentacinque donne etiopi hanno raccontato di come, mentre si trovavano nei centri di transito etiopi in attesa di essere ammesse in Israele, fossero state avvicinate da assistenti sanitari israeliani che le hanno obbligate ad assumere un contraccettivo, spiegando che era una condizione strettamente necessaria per entrare nel Paese. Altre hanno invece raccontato di come fosse stato loro detto che si trattava di un semplice vaccino’’. Inutile ripeterci: Israele – a destra come a sinistra – resta una pianta malata di razzismo e sciovinismo.

La storia del fratello di Gideon Levy

Il giornalista Gideon Levy, qualche giorno fa, ci ha offerto una testimonianza interessante che riguarda direttamente la sua famiglia. L’articolo di Levy è breve, ciò nonostante si tratta di un documento prezioso, quindi vale la pene leggerlo tutto:

“Nel 1967, non molto tempo dopo la guerra, io e mia madre siamo andati a un incontro con l’infermiera dell’ Istituto “Ironi Aleph “ per regolarizzare l’iscrizione . L’infermiera,dopo aver chiesto informazioni sanitarie, ha improvvisamente fatto un accenno all’esistenza di un mio fratello maggiore. Mia madre ha taciuto a lungo e, alla fine, ha risposto con gli occhi abbassati: “E’ morto” . Io non ho capito più niente. Più tardi siamo andati a casa senza parlare. Durante la serata i miei genitori mi hanno detto che erano dispiaciuti per avermi nascosto per tutti questi anni l’esistenza di un altro figlio. Si chiamava Dan ed era morto per una malattia, non ricordo quale, dopo solo sei settimane di vita. I miei genitori hanno lasciato il corpicino all’ospedale senza riportarlo a casa. Il personale ha spiegato loro che non aveva una tomba poiché era morto senza essere circonciso.

Un bambino non circonciso non ha una tomba? Ho chiesto al rabbino Benny Lau che ha negato che ciò sia contemplato dalla legge ebraica . Non abbiamo più parlato di mio fratello morto, non è stato più menzionato nella mia casa. Probabilmente, dopo quello che avevano passato in Europa, né mia madre né mio padre erano in grado di affrontare un’altra prova o di porsi domande

Quando ho letto l’articolo del mio collega Ofer Aderet sulla scomparsa di altri bambini, ho cominciato a chiedermi: “Dove sei Dan? Sei vivo Dan? Forse ora hai un altro nome, Sei nato nei primi anni del 1950 e forse risiedi in un’altra città, in un altro Paese? Puoi metterti in contatto con me?” Tom, mio figlio, aveva un anno quando è morto nel 1988 ed è sepolto nella sezione dei bambini nel cimitero di Kiryat Shaul a Tel Aviv. Per anni la sua tomba è stata circondata da una recinzione arrugginita che delimitava le sepolture dei bambini anonimi. Poi un giorno una mano invisibile ha coperto la sezione per l’infanzia con un pavimento di cemento. I nomi sono stati incisi su quelle lastre di pietra, a volte senza qualsiasi ulteriore informazione: data, nomi dei genitori. Un pensiero è vivo nella mia mente ora: forse mio fratello Dan è sepolto lì accanto al mio piccolo figlio Tom.

Abbiamo chiamato nostro figlio Dan. Ha già 30 anni”. 3

Gideon Levy è uno dei pochi giornalisti israeliani che, seppur non radicalmente antisionista dal momento che vorrebbe ‘’democratizzare” Israele’ lasciando intatte gran parte delle istituzioni esistenti, riconosce la Nakba, e ha scritto importanti critiche ai ‘’sionisti di sinistra’’ del partito Meretz. Per questa ragione resta a metà strada fra una posizione ‘’moderatamente antimperialista’’ e le ambiguità dei ‘’socialdemocratici’’ o, sarebbe meglio scrivere, ‘’social-imperialisti’’. Tutte cose che non gli impediscono di essere uno dei migliori giornalisti, almeno come cronista, di tutto il Medio Oriente. Domanda: la triste storia di suo fratello e dei bambini rubati, lo spingerà, una volta per tutte, a rimettere in discussione i miti di fondazione dello Stato israeliano? Israele è uno Stato sionista e, da quello che vediamo, si ostina a non voler abbandonare l’ideologia razzista ed ultra-nazionalista che, da sempre, lo connota.

Nel 1951, il laburista Simon Peres, un ‘’sionista di sinistra’’ che la sera si allieta ascoltando Noa, visionò un’ operazione di eugenetica degna del Dr. Mengele. Vennero sottoposti a radiazioni ultra-violente 100.000 bambini sefarditi e 94.000 di essi riportarono gravi menomazioni. Domanda: come si può pensare di dialogare con chi crede nella superiorità razziale?

Gilad Atzmon è uno dei pochi studiosi, insieme allo storico Shlomo Sand, ad aver spiegato che gli ebrei ‘’non costituiscono una razza’’ – tranne che nei sogni di Hitler e dei sionisti – quindi bisogna opporsi, con tutte le forze, ai piani razzisti e guerrafondai dei nazionalisti di Tel Aviv. Secondo Atzmon: ‘’L’identità ebraica contemporanea consiste in tre elementi principali: quello religioso, quello nazionalista e quello razzista. I sionisti hanno interesse a confondere il più possibile i tre elementi, e questo costituisce una truffa intellettuale. Quando attacchi la loro politica nazionalista, ti accusano di essere razzista; se attacchi le loro tendenze razziste, pretendono che è tutto semplicemente il frutto della loro innocente religione. Il mio modello della “terza categoria” suggerisce un modo di attaccare il sionismo oltre all’ebraicità, in quanto visione tribale, esclusiva e “suprematista” del mondo’’ 4. I falasha mettono in crisi gli ultra-nazionalisti perché sono la dimostrazione lampante che non è mai esistito un ‘’popolo ebraico’’; quello a cui storicamente abbiamo assistito, dal ’48 in poi, è la costruzione di un ‘’popolo israeliano’’ estremamente eterogeneo, in cui i conflitti di classe, col tempo, non potranno essere contenuti tanto facilmente. Shlomo Sand, con la sua opera, L’invenzione del popolo ebraico, ha smontato gran parte dei miti sionisti, senza ricevere nessuna replica accademica rispettabile per la fondatezza delle argomentazioni 5. Come disse Spinoza: ‘’l’insulto – e i sionisti israeliani in questo sono maestri senza eguali – non è unargomento’’.

Possiamo dibattere su come risolvere il ‘’problema mediorientale’’ ma una cosa è certa: per la sua natura di classe Israele è un buco nero del diritto e della politica internazionale. Difficile sperare di potergli imporre – almeno in tempi brevi – una ‘’democratizzazione’’ o ‘’rilegalizzazione’’ dall’alto. E’ stata l’ONU ha tradire innumerevoli volte il popolo palestinese, quindi la risposta all’imperialismo sionista non può che arrivare dai popoli arabi, dal mondo del lavoro e dagli oppressi. C’è un grande assente che da decenni manca sul terreno della conflittualità sociale: il proletariato israeliano e con esso i falasha, ancora incapaci di prendere una posizione chiara. Chi vuole può provare ad aspettarli, me compreso.

1.

http://nena-news.it/israele-migranti-co ... one-holot/

2.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02 ... ei/485579/

3.

https://frammentivocalimo.blogspot.it/2 ... mbini.html

4.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo. ... colo=33394

5.

https://www.youtube.com/watch?v=Q6_xrgPGG1o
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 3:49 pm

La rivincita dei giovani Falasha
11 settembre 2013
Avi Shalom

http://www.mosaico-cem.it/attualita-e-n ... ni-falasha

“Shimela, Shimela portaci in Eretz Israel” pregava il nonno di Shlomo, quando in terra d’Etiopia vedeva volare una cicogna.
Quella cicogna, alla metà degli anni ’80 si è trasformata in un grande aereo, e ha realizzato il sogno di Shlomo e di suo nonno.

Dopo un lungo periodo di incertezza circa la genuinita’ delle loro radici ebraiche (risalenti, si dice, al periodo di re Salomone e della regina di Saba), il governo israeliano nel 1984 decise di far immigrare una prima parte della ‘tribu’ perduta’ Beta Israel (6.500 anime) con un ponte aereo segreto che passava dal Sudan: un Paese islamico, fortemente ostile ad Israele.

Fu una operazione complessa, gestita dal Mossad. Per raggiungere il Sudan, gli ebrei Falasha di Gondar dovettero compiere massacranti marce a piedi, nel tentativo di eludere le forze regolari etiopi. In migliaia morirono per gli stenti e le malattie.

Un secondo ponte aereo fu organizzato nel maggio del 1991, quando il premier Yitzhak Shamir ordino’ l’immigrazione immediata dei rimanenti Falasha. In 24 ore arrivarono in Israele altri 15 mila falasha.

Lo scorso agosto questa grande operazione di immigrazione si è finalmente conclusa: un volo diretto da Addis Abeba, infatti ha sbarcato a Tel Aviv gli ultimi 450 ebrei etiopi.

Complessivamente i Beta Israel – così preferiscono chiamarsi i falashà – giunti in Israele grazie a queste tre operazioni, sono circa 120.000.

Provenienti da una societa’ agricola e patriarcale, l’impatto con una società sviluppata e tecnologicamente avanzata come quella israeliana non è stata semplice. Il processo di integrazione è stato più difficile di quanto si potesse immaginare, e molti adulti sono rimasti a lungo ai margini della società. I ‘centri di assorbimento’ che furono allestiti per loro nelle periferie si trasformarono presto in slums: flagellati dalla poverta’, dalla disgregazione dei nuclei familiari, e da scoppi sporadici di violenze familiari.

Oggi, però le cose stanno cambiando e la nuova generazione si sta prendendo sonore rivincite: come dimostrano la vittoria, qualche settimana fa, all’ultima edizione televisiva del Grande Fratello della giovane e grintosa ebrea etiope Tahunya Rovel. A marzo la nuova Miss Israele, la scultorea Yitish Aynaw, natia del Gondar (Etiopia), aveva peraltro convinto il presidente Barack Obama, in visita a Gerusalemme, che anche in Israele ormai ‘Black is beautiful’.

La nuova generazione si mostra molto attiva e vanta alcune celebrita’: fra loro un reporter investigativo, cantanti, modelle e anche la vice-presidente della Knesset (parlamento), Pnina Tamno-Shata, che ha anche telefonato alla Rovel per assicurarla che la vittoria al Grande Fratello rappresenta un ”motivo di orgoglio per l’intera comunita’ ”. Anche perche’, ha spiegato, durante la trasmissione aveva saputo lottare con determinazione contro idee preconcette e pregiudizi.

Altri attivisti di origini etiope ribattono pero’ che si tratta solo di successi di immagine e che molto resta ancora da fare per favorire l’integrazione nella societa’ israeliana e per debellare discriminazioni dolorose ed umilianti: come quelle ancora attuate in diversi istituti scolastici.
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 4:01 pm

Falasha, gli ebrei d’Africa
L'Informale
Di: Marco Severa

http://www.linformale.eu/falasha-gli-ebrei-dafrica

La storia del XX secolo è ricca di episodi di discriminazione, di violenze e di emarginazione verso etnie e comunità indifese. Proprio qui racconteremo la storia di un gruppo etnico di cui tanti non conoscevano neanche l’esistenza.
Si ritiene che i Falasha detti anche ebrei d’Etiopia, siano una delle antiche tribù perdute d’Israele. Proprio in questo stato africano, la popolazione è composta dal 60% da cristiani, dal 34% da musulmani, e da poche migliaia di ebrei, il cui unico desiderio infatti è quello di riunirsi con le rispettive famiglie già emigrate nella Terra Promessa. Si pensa che essi siano i discendenti ebrei fuggiti in Egitto dopo la distruzione del primo tempio nel 586 ac.
Il termine affibbiatogli, Falasha appunto, parola che in lingua etiopica vuol dire intrusi, è utilizzato anche dagli israeliani come se fosse una condanna esistenziale per questi ebrei africani.
Essi vivono un atipico status di rifugiati nel proprio paese; questa comunità infatti ha sofferto e soffre ancora tutt’oggi di discriminazioni e di persecuzioni, che spinsero molti di loro nei secoli scorsi a convertirsi al cristianesimo. Il dibattito antropologico sulla reale appartenenza dei Falasha alla comunità ebraica è ancora oggi acceso. Nonostante due autorevoli rabbini si siano pronunciati favorevolmente, la corrente ultra-ortodossa ebraica, rifiuta questo riconoscimento, poiché essi sostengono che i falasha non fossero dei veri ebrei, in quanto discendenti dall’unione tra Salomone (ebreo) e la Regina di Saba (non ebrea); proprio per questo essendo l’ebraicità è trasmessa in linea femminile, i suoi discendenti non potrebbero esserlo.
La loro storia si è intersecata incredibilmente anche con la storia recente italiana. Dopo qualche secolo vissuto in totale isolamento sull’altopiano etiopico, quasi dimenticati dal resto della comunità ebraica mondiale, Benito Mussolini durante l’occupazione italiana dell’Etiopia (1936-1941), nonostante l’emanazione delle leggi razziali del 1938, decise di tutelare attraverso apposite norme la piccola comunità ebraica etiopica, difendendola dagli abusi e dalle violenze di cui era stata oggetto da parte delle popolazioni, soprattutto musulmane.
Un paradosso, considerato il ruolo dell’Italia nello sviluppo dell’ideologia antisemita. La storia moderna di questa minoranza invece, è tutt’altro che facile. Nel 1970 infatti, una trentina di famiglie di falascià, cominciarono ad attraversare con le proprie famiglie il confine tra Etiopia e Sudan per poi raggiungere Israele. Si stima che negli anni successivi e fino al 1984, dai 3 ai 4.000 falascià riuscirono ad arrivare in Israele, anche a seguito della decisione del Primo ministro israeliano Begin, di agevolare la loro entrata nello Stato ebraico. Nel frattempo, la situazione politica di questo paese del Corno d’Africa era drasticamente cambiata. Nel 1974, infatti, l’imperatore Hailè Selassiè fu scalzato dal trono da un colpo di Stato , tre anni dopo il potere fu assunto dal colonnello Menghgistù Hailè Mariàm, che instaurò immediatamente un vero e proprio regime di terrore scatenando nel Paese una violenta persecuzione contro tutti coloro che riteneva fossero suoi avversari, tra cui c’erano anche gli “ebrei neri”.
Proprio in questo periodo molte migliaia di ebrei falascià abbandonarono l’Etiopia, rifugiandosi insieme ai connazionali musulmani e cristiani nei campi profughi sudanesi. Nei loro confronti il governo musulmano del Sudan manifestò però una marcata ostilità, tanto che la loro precaria situazione determinò in Israele un movimento d’opinione teso a salvarli, trasportandoli nello Stato ebraico.
Dagli anni Ottanta, quindi, con una serie di spregiudicate e spettacolari operazioni, il governo israeliano decise di trasferire in massa questa comunità, sia per ragioni umanitarie che di opportunità, nonostante le usanze, la lingua e le tradizioni differenti.

Un massiccio ingresso di nuovi cittadini israeliani avrebbe contribuito a contrastare la crescita demografica araba, oltre che a porre in salvo questa fetta di popolazione perseguitata. Nel 1985 prima, e nel 1991 poi, le operazioni Mosè, Giosuè e Salomone trasferirono decine di migliaia di falasha nello Stato Ebraico. Quella definita Salomone il 24 maggio 1991, fu l’operazione più importante. Proprio a quel tempo, l’Etiopia era al collasso a causa dei continui attacchi portati dei ribelli eritrei del Tigrè. Le comunità ebraiche, preoccupate per le condizioni di vita della comunità ebraica etiope, fecero pressioni allo stato d’Israele affinché favorisse l’immigrazione di questi.
Vista la debolezza dello stato etiope, le forze armate israeliane diedero inizio a questa operazione clandestina. In meno di 36 ore, 34 aeromobili israeliani, tra cui C-130 dell’aviazione militare israeliana e Boeing B 747 della compagnia di bandiera israeliana, in piena segretezza trasportarono 14.500 ebrei etiopi in Israele. Per guadagnare tempo, i sedili degli aerei di linea della El-Al furono rimossi e il pavimento fu ricoperto con una spessa copertura di materiale isolante, tale da consentire alle persone imbarcate di sistemarsi seduti uno accanto all’altro; inoltre venne imposto ai profughi di viaggiare con pochi bagagli. Questa operazione passò alla storia per l’eccezionalità e per la perfetta riuscita; non solo infatti si era riuscito a trasferire senza perdite di vite umane, quasi il doppio di ebrei falascià rispetto alle Operazioni Mosè e Giosuè messe assieme, ma aveva anche stabilito un vero e proprio record, quando in un singolo volo passeggeri, un solo B-747 aveva trasportato l’incredibile numero di 1.122 persone. I Falasha lasciarono così una nazione che era stata la loro casa per 2 mila anni, per una terra conosciuta solo attraverso lo studio delle sacre scritture. In Etiopia ne sono rimasti poco più di 4 mila. Una volta arrivati nella Terra Promessa però, la speranze di una vita migliore si sono rivelate una delusione.

L’impatto con un Israele moderno, fin troppo tecnologizzato per chi proveniva da una società tribale, ha causato non pochi problemi di integrazione. Oltre il 90 per cento degli etiopi è arrivato in Israele da analfabeta, e privo di competenze lavorative; proprio per questo l’emarginazione è stata una naturale conseguenza. Solamente il 12 per cento di loro arriva al diploma. Oggi un ruolo decisivo nell’integrazione è svolto dall’arruolamento nell’esercito e dalle scuole. Tuttavia esponenti femminili della comunità etiope hanno superato questo muro ed hanno raggiunto posizioni di vertice nelle amministrazioni cittadine. Inoltre Belaynesh Zevadia è stata nominata, ambasciatrice per Israele ad Addis Abeba e per la prima volta una donna etiope, Pnina Tamano-Shata, ha fatto parte del Knesset.
Nonostante questi ostacoli, il sogno della Terra promessa per gli ultimi ebrei d’Etiopia continua; dopo le vicissitudini subite dalle comunità ebraiche nel 20° secolo, è impensabile che gli ebrei abbandonino i loro correligionari ad un destino quasi segnato.
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Re: I falascia gli ebrei etiopi

Messaggioda Berto » lun mar 19, 2018 4:01 pm

Gli ebrei d'Etiopia resi sterili da Israele: la bufala corre sul web

http://www.linformale.eu/gli-ebrei-deti ... re-sul-web

Ancora oggi, a più di tre anni di distanza dalla pubblicazione, circola in rete un articolo del sito AgoraVox dal titolo “Lo Stato d’Israele accoglie gli ebrei neri d’Etiopia solo dopo averli resi sterili” datato gennaio 2013.
Un titolo chiaramente cattura click a introdurre un articolo che vorrebbe dimostrare come Israele sia un paese colonialista, crudele e persino razzista, in quanto gli ebrei di Etiopia sono “neri”, come sottolineato dall’estensore del pezzo.
In realtà chiaramente questa è una tesi sconclusionata, in quanto Israele non ha certo salvato 15.000 falasha (gli ebrei etiopi) dalle persecuzioni in Etiopia e Sudan per poi farli vivere in una sorta di regime di apartheid.
Le Operazioni Mosè, Giosuè e Salomone grazie alle quali gli “ebrei neri” di Etiopia sono stati trasportati in Israele si sono tuttora ricordate per l’eccezionalità e la perfetta riuscita.
L’articolo di AgoraVox prende spunto da un particolare episodio, ammesso da Israele, per poi trarre conclusioni capziose e in malafede: l’uso del contraccettivo Depo-Provera, un efficace anticoncezionale ormonale che avrà pur qualche controindicazione (come tutti i farmaci) ma non è certo un veleno infernale come descritto da AgoraVox. In più non esclude affatto il recupero della fertilità, anche se lungo, una volta interrotta la somministrazione.
Tale contraccettivo è stato effettivamente usato prima dell’Operazione Salomone, dopo le Operazioni Mosè e Giosuè, per un semplice motivo: i falascià rimasti erano in attesa di essere trasferiti e non potevano permettersi gravidanze durante il trasporto. Non sapendo quando si sarebbe riusciti a farli partire per Israele, era necessario evitare continue nascite.

AgoraVox, basandosi su un’inchiesta di Haaretz sullo “scandalo Depo-Provera”, sostiene che “I cittadini di origine etiope, nello Stato di Israele, sono più di 120mila. L’ebraicità di questi“ebrei neri” è costantemente messa in discussione dalle frange più ortodosse della popolazione. Con il risultato paradossale di assistere a casi del genere, dove la parola“razzismo” non rende l’idea di quanto in là possano spingersi le autorità di un Paese che si reputa “moderno”, “tollerante” e “democratico”.”
Niente di più falso. L’integrazione iniziale dei falasha in Israele non è stata facile, anche perché dovevano abituarsi ad uno stile di vita completamente diverso. Ma si parla di 30 anni fa: oggi gli etiopi sono perfettamente integrati in Israele, i bambini etiopi frequentano le stesse scuole di tutti, la percentuale di etiopi che frequentano l’università e che lavorano è buona. Alcuni prestano servizio nelle forze di polizia.
Un esempio? Mevorach Avraham, primo ebreo di origine etiope ad essere stato nominato Sovrintendente Capo della Polizia israeliana. Proprio due giorni fa.

Le donne falasha più anziane, ancora oggi, hanno spesso una croce tatuata sulla fronte. Questo ha in effetti creato qualche problema all’arrivo in Israele, perché è sorto il dubbio che non tutte fossero ebree. In realtà la croce veniva tatuata semplicemente per fingere di essere cristiane ed evitare di essere massacrate in Etiopia.
Altro che “ebraicità” messa in discussione da Israele per razzismo.
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