“No all’ambasciata europea a Gerusalemme”La politica della Mogherini sul MO
3 febbraio 2017
http://www.italiaisraeletoday.it/non-sp ... io-orienteÈ il momento delle grandi sfide per l’Europa e la sua politica nel mondo. Vedi le svolte di Donald Trump che mettono in dubbio i tanti decenni di alleanza Ue-Usa, l’espansionismo muscolare di Vladimir Putin, la Brexit, i migranti, Isis, l’incertezza economica, l’antieuropeismo montante tra gli europei: che cosa la preoccupa di più?
«La mancanza di fiducia in noi stessi. I nostri partner internazionali, dall’Argentina al Giappone, continuano a dirmi che noi europei non ci rendiamo conto della nostra potenza. Mi preoccupa: siamo noi a non capire la nostra forza. In un periodo di totale stravolgimento degli equilibri geopolitici, il mondo guarda all’Europa come al partner affidabile su questioni centrali come quelle del commercio libero ed equo, diritti umani, multilateralismo, sostegno all’Onu, diplomazia che previene i conflitti, cambiamenti climatici, siamo il primo mercato mondiale, abbiamo 16 missioni militari all’estero e l’elenco è ancora lunghissimo. Insomma, siamo come una meravigliosa sedicenne che si guarda allo specchio e si vede brutta. La nostra salute fisica è perfetta, ma siamo labili di nervi, una vera crisi d’identità, di mancanza di consapevolezza. Se non conosci la tua forza, rischi di non usarla e ciò potrebbe alla lunga minare le basi della nostra potenza».
Trump glorifica la Brexit, è una minaccia? No, l’America non è una minaccia per l’Europa. I nostri legami sono antichi e più profondi di qualsiasi amministrazione Usa. Ma la politica americana deve ancora definirsi, dovremo vedere cosa farà il Congresso, che criticava Obama per essere troppo dolce con Mosca. Questa è una crisi interna americana, non nostra .
Anche noi sposteremo la nostra ambasciata a Gerusalemme? Assolutamente no. Spero però che il processo di pace in Medio Oriente possa presto essere affrontato con un coordinamento stabile tra Bruxelles, Mosca, le Nazioni Unite e Washington. A proposito di coordinamento, stiamo mettendo a punto la proposta di una conferenza di pace internazionale in primavera mirata ad avviare il processo di pacificazione in Siria. I costi della ricostruzione sono enormi, ma nessuno metterà un soldo senza la prospettiva solida del dialogo interno tra le componenti del Paese .
Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell'Unione europea, e Mohammad Javad Zarif, ministro degli esteri iraniano
Servirebbe un esercito europeo, visto che Trump mette in dubbio la Nato? La forza militare in parte l’abbiamo già mettendo insieme le forze armate dei nostri Stati membri. A volte la usiamo con un ottimo impatto, vedi l’operazione Sophia nel Mediterraneo o la campagna contro la pirateria nel Corno d’Africa. L’addestramento della guardia costiera libica lo fa l’Unione Europea e non la Nato. Così come le missioni di addestramento delle forze armate in Africa. Ci sono luoghi dove noi possiamo essere considerati meno problematici della Nato grazie alla dimensione umanitaria e diplomatica dell’Europa. Noi siamo prima di tutto un’alleanza politica e lavoriamo in partenariato con la Nato, che è fondamentale per la sicurezza non solo degli europei. Ma stiamo rafforzando la difesa europea, presenterò dei primi risultati concreti in occasione delle celebrazioni per il Trattato di Roma a marzo. Gli europei spendono il 50 per cento del budget Usa sulla difesa, ma il risultato è solo il 15 per cento di quello americano, per il fatto che è diviso in 28 amministrazioni nazionali. Occorre creare un meccanismo di cooperazione e integrazione della difesa.
Capita però che l’Italia in Libia stia con Fayez al Serraj a Tripoli e la Francia con Khalifa Haftar a Bengasi. Oltretutto Serraj appare debolissimo, i suoi guardiacoste sono divisi tra diverse milizie in lotta tra loro: è l’uomo giusto cui affidare la nostra politica per il controllo dei migranti? Non sta a noi scegliere il leader libico. Il nostro compito non è interferire ma sostenere un processo in cui i libici riescano a unirsi e governare il Paese. La Libia è profondamente divisa. Né Tripoli né Tobruk possono governare da soli. Ma è un Paese strategico, che può e deve restare unito. Noi sosteniamo le scelte sancite dall’Onu e la legalità internazionale.
Ammonimenti a Trump7 gennaio 2017 Niram Ferretti
http://www.linformale.eu/ammonimenti-a-trumpL’annuncio di Donald Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme fatto all’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) l’anno scorso durante la campagna elettorale e poi ribadito dal neoeletto ambasciatore americano in Israele David Friedman è stato un ballon d’essai oppure no? Si tratterà di misurare in parte la consistenza del nuovo presidente americano su un annuncio così impegnativo e foriero di reazioni sicuramente non amichevoli nel mondo arabo. Tenute sottotraccia fino ad ora, con l’approssimarsi dell’insediamento del suo insediamento, iniziano a manifestarsi.
Da Ramallah, Abu Mazen ha già lanciato i suoi avvertimenti: “La invitiamo a non dare seguito alla sua dichiarazione perché la consideriamo una dichiarazione aggressiva”. In stile puramente para mafioso Abu Mazen ha poi aggiunto che un eventuale trasferimento dell’ambasciata sancirebbe il superamento di una “linea rossa” e che le conseguenze di una simile decisione sarebbero “irreversibili”. L’Autorità Palestinese non starebbe a guardare e prenderebbe delle iniziative. E’ forse la minaccia di una nuova intifada?
Saeb Erekat, il negoziatore dell’Autorità Palestinese nonché diffamatore professionale di Israele, il mese scorso ha dichiarato che se l’ambasciata verrà trasferita si dimetterà, che il processo di pace terminerà per sempre, che l’OLP disconoscerà il suo riconoscimento di Israele e che nel mondo arabo tutte le ambasciate americane e israeliane saranno costrette a chiudere i battenti. L’apocalittico Erekat, non ha considerato che le sue dimissioni provocherebbero un battito di ciglia, così come si dimentica di dire che il processo di pace non è mai realmente cominciato, che l’OLP non ha mai riconosciuto in nessun documento ufficiale Israele (è riconosciuta di fatto la sua sola esistenza, ma non la sua effettività come Stato ebraico), e che buona parte del mondo arabo, Arabia Saudita in testa, è da tempo stanco della “causa palestinese” e molto più interessato a mantenere legami proficui, economici e strategici con gli Stati Uniti.
Anche da Amman arrivano ammonimenti sulle conseguenze “catastrofiche” della mossa. Per la Giordania si tratterebbe di un regalo agli estremisti e di una provocazione che incendierebbe la regione.
Due cose vanno dette. Un eventuale spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, (proposta insediata al Congresso americano da decenni ma mai fatta passare) significherebbe una plateale sconfessione della Risoluzione 2334 votata il mese scorso dal Consiglio di Sicurezza ONU con il placet astensionista degli USA. Per la risoluzione, ricordiamolo, il quartiere ebraico e il Kotel (Muro del Pianto) riconquistati da Israele alla Giordania nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, sono “territori palestinesi occupati”. Ricollocare l’ambasciata americana in quella che il popolo ebraico considera da sempre la propria capitale eterna romperebbe il costante neutralismo statunitense sulla questione e sancirebbe de facto il riconoscimento americano nei confronti della rivendicazione israeliana.
Si tratterebbe dunque di una mossa dal dirompente valore simbolico la quale avrebbe un senso solo se la nuova amministrazione americana sarà pronta a impegnarsi contestualmente in una politica di risoluto sostegno politico nei confronti di Israele e della sua guerra perdurante contro il terrorismo palestinese-islamico che lo logora da sempre.
Abu Mazen scrive a Trump, non spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme10 gennaio 2017
http://www.progettodreyfus.com/abu-maze ... erusalemmeIn una lettera al nuovo presidente Usa Donald Trump, Abu Mazen gli ha chiesto di non spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme, come preannunciato nel corso della sua campagna elettorale.
A riferirlo è l’agenzia Wafa, secondo cui per il presidente dell’Anp il provvedimento avrebbe “un impatto disastroso sul processo di pace, sulla soluzione dei due stati e sulla stabilità e sicurezza dell’intera regione”.
La missiva a Trump non è stata l’unica inviata da Abu Mazen. Il leader palestinese, infatti, ne ha fatte pervenire altre ad alcune potenze mondiali, fra cui a Unione Europea, Russia e Cina, chiedendo di “non risparmiare alcuno sforzo” per impedire lo spostamento delle sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme.
A dicembre la portavoce di Trump, Kellyanne Conway, ha sottolineato che il cambio è “una grande priorità” del nuovo presidente che inizierà ufficialmente il suo mandato il prossimo 20 gennaio, che come futuro ambasciatore in Israele ha nominato David Friedman, dettosi impaziente di svolgere il suo lavoro “nella capitale eterna d’Israele, Gerusalemme”.
La settimana scorsa, in un discorso a Beit Sahour, vicino Betlemme, Abu Mazen aveva ammonito che “ogni dichiarazione o presa di posizione che rimette in causa o modifica lo statuto di Gerusalemme è una linea rossa e non l’accetteremo mai”.
Le domande da porre sarebbero: cosa avete accettato delle proposte che vi sono state fatte? Oppure: cosa accettereste oggi?
Domande che cadrebbero nel silenzio.
La questione semmai è un’altra. Che Gerusalemme sia la capitale d’Israele non è solo una certezza politica, ma anche storica.
Gerusalemme fu la capitale giudaica tra il X e il VI secolo a.C.
Gerusalemme è la capitale d’Israele oggi e lo sarà domani. E lo sarà anche dopodomani. Gerusalemme sarà la capitale d’Israele, sempre.