Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e/o Israele

Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e/o Israele

Messaggioda Berto » ven feb 03, 2017 8:42 pm

EEbrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e/o Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2469


Ebrei antisionisti
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2240


Ebrei di sinistra, sinistre mostruosità umane assai razziste
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2802
Ebrei di sinistra, sinistre mostruosità umane, razziste, antisraeliane e antisemite, antidemocratiche e castuali, che violano e calpestano i diritti umani naturali universali e civili dei nativi e cittadini europei ed italiani.
L'orrore degli ebrei di sinistra che sostengono e promuovono il nazismo maomettano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » ven feb 03, 2017 8:42 pm

Gli ebrei non ebrei nemici di Israele
2 febbraio 2017 Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/gli-ebrei-non- ... ci-israele

Il radicalismo antiebraico che viene dagli ebrei è una di quelle patologie con cui è necessario fare i conti, e per le quali, purtroppo, non esiste alcuna cura. Chi, come Karl Marx ritrae nella “Questione ebraica” del 1844, l’ebraismo sotto il sembiante della religione del denaro la cui dissoluzione potrà servire solo la buona causa della società disalienata, è un celebre esempio di quell’odio per la storia e la tradizione che anima nel profondo i fautori progressisti del Nuovo Mondo.

Nipote di due rabbini ortodossi, Marx getta alle ortiche insieme all’”oppio” religioso i panni obsoleti della sua stessa genealogia. Il passato, con tutto il proprio ingombrante peso di cultura e appartenenza a una comunità, a un popolo e a una religione, è orrendo. Splendido è solo il futuro, il domani in cui l’uomo sarà solo e pienamente Uomo e niente più di quello. È la linea di pensiero che ritroveremo nel lavoro di un altro pensatore ebreo marxista, Isaac Deutscher, il quale, in un suo saggio del 1954 dal titolo emblematico, “L’ebreo non ebreo”, spiegherà la necessità di liberarsi di questo ingombrante carapace.

“La religione? Sono un ateo. Il nazionalismo ebraico? Sono un internazionalista. In nessuno di questi due sensi sono un ebreo. Sono tuttavia un ebreo per la forza della mia incondizionata solidarietà nei confronti dei perseguitati e degli sterminati”.

Il nuovo dogma chiede adesione piena all’incondizionato. Se Dio non c’è, può esserci solo l’umanità, soprattutto quella oppressa, questo surrogato mistico a cui votarsi con ardore liberatorio.

Il Mondo Nuovo è quello in cui ogni identità specifica sarà dissolta nell’unità solidale, disalienata. Come non pensare a Lev Bronstein, più noto come Leon Trotzky, l’araldo della rivoluzione permanente? Fu a lui, quando era a capo dell’Armata Rossa, che il rabbino capo di Mosca, Jacob Mazeh, chiese di proteggere gli ebrei dai pogrom. La risposta di Trotzky fu esemplare, “Perché lo dici a me? Non sono ebreo”.

Non si è ebrei quando alla nascita dai genitori si è anteposta la nuova natalità rivoluzionaria che cancella ogni anagrafe e biografia e riplasma in nome dell’Idea.

L’estremismo di Noam Chomsky, il più ossessivo demonizzatore ebreo del paese che non ha mai abbandonato, gli Stati Uniti, e uno dei maggiori oppositori di Israele, è nutrito dalle stesse allucinate proiezioni che abbagliavano Marx, Trotzky e Deutscher. Anche per lui, la società perfetta, la Città del Sole è senza barriere e muri, ma soprattutto è senza America e Israele. Là, in quegli approdi, la felicità sarà perfetta. Essere ebrei è solo un refuso della storia, il prodotto guasto di un mondo vecchio che si ostina a resistere all’incalzare del progresso.

La società giusta e pienamente umana è anche quella di un altro ebreo non ebreo, George Soros, il tentacolare finanziere paladino della “società aperta” definizione desunta da Karl Popper e riadattata all’agenda mondialista, di questo filantropo autoproclamato.

“Mia madre era piuttosto antisemita e si vergognava di essere ebrea”, disse Soros in una intervista al New Yorker. Sicuramente lui di vergogna non ne ha alcuna nel reputarsi un grande riformatore economico “come Keynes, o anche meglio, uno scienziato, come Einstein”. La sua scienza, non ebraica e risolutamente antisionista, l’ha messa al servizio del futuro e, inevitabilmente, del progresso. Pur non essendo marxista, Soros non ama gli stati nazione, le tradizioni consolidate, la ricchezza depositata del passato che conferisce ai popoli la loro cultura e identità specifica. Tutto questo deve essere rimosso e sostituito da un nuovo scenario sovranazionale dentro il quale prospererà una umanità prodotta da uno straordinario esperimento di ingegneria politico sociale.

Per gli aedi del futuro, siano essi Marx, Deutscher, Chomsky o Soros, le forme consolidate e tramandate sono solo impacci, relitti da togliere di mezzo in nome di idee, astrazioni, allucinazioni.

Israele, lo stato degli ebrei, è un insopportabile anacronismo per gli ebrei non ebrei (così come per Marx lo era il sionismo) che, al posto di uomini e nazioni, vedono solo l’Uomo affrancato secondo i loro protocolli.

L’utopico radicalismo demonizzante che li anima, (chi si oppone alla benefica agenda che propongono può emergere solo dalla tenebra profonda), è la conseguenza di avere reciso le proprie radici, con la comunità, con l’identità, con il passato e avere messo al loro posto creature artificiali generate dalla mente.
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » ven feb 03, 2017 8:43 pm

Ebrei antisionisti

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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » ven feb 03, 2017 8:43 pm

Soros l'ebreo e altri onti ebrei ke łi odia Ixrael
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » gio giu 22, 2017 9:03 am

Niram Ferretti

https://www.facebook.com/profile.php?id ... f=mentions

Da un paio di giorni sono tornato, insieme all'Informale, nelle mire di Ariel Toaff. L'estate accende improvvisi bollori, riscalda gli animi già di loro portati alla combustione facile. Dopo un post in cui se la prendeva con il "tribunale rabbinico" istituito da me e da Riccardo Ghezzi nei confronti di Gideon Levy ora si produce in un altro post:

"Questo pezzo si commenta da solo. Per la sua cieca violenza e' analogo, mutatis mutandis, a un ahime' celebre intervento di Yigal Amir su Rabin, pubblicato su Yediot Aharonot. Per fortuna viviamo in Israele e non abbiamo bisogno di decapitazioni alla Isis commissionate dall'Italia stravolta dall'odio"

Chiosa così Toaff il mio post dal titolo "Maramaldo" dedicato al menestrello dell'Agitprop filopalestinese Gideon Levy.

Il paragone con Yigal Amir è di indubbio impatto. Toaff, esperto in matzot insanguinate, vuole suggerire che sarei favorevole all'uccisione di Levy. Lui che è notoriamente prodigo di linguaggi candidi e improntati all'understatement, mi accusa di militare nelle file dell'ISIS.

Insomma sarei un misto tra Yigdar Amir e Al Baghdadi. Quando si dice un linguaggio pacato.

Certo, il post "Maramaldo" è sopra le righe e definisce esplicitamente Gideon Levy una vergogna per il suo paese e un potenziale traditore. Confermo. Sono decenni che Levy getta fango su Israele confezionando pezzi allucinati degni dell'Agitprop o del Miniculpop. Pezzi che portano acqua esclusivamente alla lunga schiera dei demonizzatori dello Stato ebraico. Personaggi come lui, Amira Haas, Shlomo Sand e altri, appartengono alla categoria di quegli ebrei di estrema sinistra i quali si ostinano a presentare Israele come un grande delitto del colonialismo bianco ai dannni della vittimizzata e leggendaria popolazione "autoctona" palestinese. In altre parole ripetono ciò che affermano l'OLP, Hamas e Hezbollah.

Toaff si trova bene in loro compagnia. Ci mancherebbe. Ognuno si sceglie i propri amici. Una volta si diceva, "Dimmi con chi esci e ti dirò chi sei".


MARAMALDO

Il collaborazionista filopalestinese Gideon Levy, vergogna di Israele, pubblica un pezzo caricaturale su Haartez ripreso da Internazionale in cui descrive Gaza come un inferno e una prigione creati da Israele.

A questo truce figuro, menestrello delle più immonde menzogne arabe non si può dedicare molto tempo. L'unica cosa che va detta è che durante la guerra, per simili individui totalmente embedded con il nemico, veniva riservata la sorte che spettava ai traditori della patria.

Se ci fosse una guerra civile in Israele sarebbe uno dei primi a scappare in un paese arabo, non prima di avere accoltellato a morte un soldato israeliano già ferito.


Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 6:41 am

Israele, quando la libertà di stampa supera ogni comprensibile limite Le “verità” di Haaretz – Italia Israele Today
di Giuseppe Crimaldi · Pubblicato 25 luglio 2017
di Giuseppe Crimaldi

http://www.italiaisraeletoday.it/israel ... di-haaretz

Se almeno ogni tanto uno riuscisse a ragionare con la propria testa, evitando di fare il paladino dei luoghi comuni e di quelll’imperante buonismo che è causa delle metastasi che divorano un Occidente moribondo, forse il mondo girerebbe dalla parte giusta.
In Israele c’è libertà di parola e di pensiero. Al punto tale da trovare voci critiche e talvolta anche ipercritiche nei confronti delle politiche del governo, persino quando a morire sono i soldati e i poliziotti che – nel loro esercizio – difendono la libertà di uno come Gideon Levy. Chi è Gideon Levi? Uno dei giornalisti di punta di “Haaretz”, quotidiano progressista di sinistra che anche ieri ha fatto sentire la sua sulle presunte miopie del governo Netanyahu.

Quelli di “Haaretz” non sono nuovi a simili prese di posizione. Ma leggete insieme a me l’attacco dell’articolo firmato da Levy. Perché è tutto un programma. Scrive l’articolista: “Ogni israeliano con un po’ di coscienza dovrebbe leggere il testamento di Omar al Abed, il palestinese che il 21 luglio ha ucciso tre israeliani in Cisgiordania. Non leggere le sue parole è un tradimento. Pensare che metal detector e uccisioni mirate, un maggior numero di detenzioni e demolizioni di case, la tortura e l’oppressione possano evitare i molti attentati che ancora devono succedere è un tradimento. Girare la testa dall’altra parte è un tradimento”.
Ecco servita la polpetta avvelenata. Sarebbe fin troppo facile obiettare che chi attenta alla vita del prossimo suo, di qualunque razza o religione, è un crimine contro Dio e contro gli uomini. Gideon Levy, con il suo pensiero, ribalta i termini della verità e dei fatti. Perché parte dalla “pietà” che va riservata a tre criminali che si armano e raggiungono un luogo di culto per seminare morte e terrore.
Prosegue il giornalista di “Haaretz”: “Queste sono le mie ultime parole”, ha scritto il giovane uomo del villaggio di Kobar, in Cisgiordania, prima di accingersi a uccidere dei coloni nel vicino insediamento di Halamish. “Sono giovane, non ho ancora vent’anni. Ho molti sogni e aspirazioni, ma che vita è questa, con le nostre donne e i nostri bambini che vengono assassinati senza motivo?”. Cosa avremmo potuto dire ad Abed? Che le loro donne e i loro bambini non erano uccisi senza motivo? Abed viveva in un bel villaggio, ma immerso in una realtà che non poteva essere peggiore. Il suo vicino Nael Barghouti, per esempio, che era stato liberato da una prigione israeliana dopo aver scontato 33 anni di detenzione per aver accoltellato l’autista di un bus, è stato rispedito in carcere apparentemente per aver violato i termini della libertà vigilata. Un altro suo vicino è Marwan Barghouti, che in un mondo più giusto e meno stupido sarebbe da tempo libero di guidare il suo popolo”.

Ecco. Io qui mettrerei il punto. Non c’è molto altro da aggiungere a un’analisi al limite del neurodelirio come quella di Levy, che è pure un giornalista di “punta” di “Haaretz”. Perché ci sono, a nostro avviso, solo due modi per vedere come stanno le cose in Medio Oriente e in Israele. Il primo è quello dei carnefici che continuano ad ammazzare ebrei, anziché ribellarsi a Hamas aspirando ad una libertà alla quale evidentemente nemmeno sono culturalmente abituati.

Il secondo – quello che ci piace di più, anche se ci lascia l’amaro in bocca per le cose scritte da “Haaretz” – si ispira invece alla riconoscenza e alla fierezza di vivere in un Paese in cui è garantita libertà di pensiero e libertà di stampa: la stessa che talvolta fa confondere, consentendo di scrivere castronerie. Quando si perde la bussola non è mai un buon segno.


Di seguito pubblichiamo l’articolo integrale firmato da Gideon Levy su “Haaretz” il 25 luglio:

“Ogni israeliano con un po’ di coscienza dovrebbe leggere il testamento di Omar al Abed, il palestinese che il 21 luglio ha ucciso tre israeliani in Cisgiordania. Non leggere le sue parole è un tradimento. Pensare che metal detector e uccisioni mirate, un maggior numero di detenzioni e demolizioni di case, la tortura e l’oppressione possano evitare i molti attentati che ancora devono succedere è un tradimento. Girare la testa dall’altra parte è un tradimento.
Senza negare l’orrore del suo terribile atto, ogni israeliano dovrebbe prestare attenzione alle parole di Abed e trarne le inevitabili conclusioni. Tutta la popolazione della Cisgiordania, oltre naturalmente a quella della Striscia di Gaza, si trasformerà in Omar al Abed, e non si può sapere quando succederà. Chiunque pensa che le cose potrebbero andare diversamente dovrebbe imparare dalla storia. È questa la forma che assumono l’occupazione e la resistenza a essa: un enorme, inutile massacro.

“Queste sono le mie ultime parole”, ha scritto il giovane uomo del villaggio di Kobar, in Cisgiordania, prima di accingersi a uccidere dei coloni nel vicino insediamento di Halamish. “Sono giovane, non ho ancora vent’anni. Ho molti sogni e aspirazioni, ma che vita è questa, con le nostre donne e i nostri bambini che vengono assassinati senza motivo?”. Abed ha deciso di uccidere i coloni poiché “profanano la mosche di Al Aqsa e noi dormiamo”, perché “è una vergogna che ce ne restiamo seduti tranquilli”. Mentre a Gerusalemme est erano in corsa gli scontri e le perquisizioni della polizia, Abed pianificava la sua sanguinosa azione. “Voi che avete armi che si stanno arrugginendo e che tirate fuori solo per i matrimoni e altre feste, non vi vergognate di voi stessi? Perché non dichiarate guerra in nome di dio? Hanno chiuso Al Aqsa e le vostre armi tacciono”.

Queste parole hanno quasi un sapore biblico. Parole simili sono state scritte nel corso di ogni lotta di liberazione, compresa naturalmente la nostra. Sono accompagnate da termini religiosi perché il loro autore crede in dio. Anche in altre lotte, come la nostra, la religione era utilizzata al servizio della nazione. Che cosa avreste detto ad Abed se lo aveste incontrato prima che si accingesse a seminare morte, se non “non uccidere”? Che avrebbe dovuto rinunciare e arrendersi? Che la giustizia non è dalla sua parte, ma da quella degli occupanti? Che ha una speranza di vivere una vita normale? Cosa potrebbe dire un israeliano a un giovane palestinese disperato che, effettivamente, non ha futuro, nessuna possibilità di un vero cambiamento, nessuna prospettiva ottimistica, un uomo la cui vita è solo una lunga umiliazione? Che cosa gli avreste detto?”
Cosa avremmo potuto dire ad Abed? Che le loro donne e i loro bambini non erano uccisi senza motivo? Abed viveva in un bel villaggio, ma immerso in una realtà che non poteva essere peggiore. Il suo vicino Nael Barghouti, per esempio, che era stato liberato da una prigione israeliana dopo aver scontato 33 anni di detenzione per aver accoltellato l’autista di un bus, è stato rispedito in carcere apparentemente per aver violato i termini della libertà vigilata. Un altro suo vicino è Marwan Barghouti, che in un mondo più giusto e meno stupido sarebbe da tempo libero di guidare il suo popolo”.

(Internazionale- Haaretz)
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » mer set 13, 2017 7:24 am

Ariel e Elio Toaff (figlio e padre)


Piercarlo Accornero
https://www.facebook.com/profile.php?id ... 3M&fref=nf

Statemi bene a sentire, amici delle pagine che trattano problematiche dell'ebraismo a 360°, amici israeliani ed ebrei. Saprete certamente che sono amico per tradizione famigliare e per sincerità personale con tutti gli esponenti della vostra fede e del vostro popolo. Alcuni di questi amici hanno ritenuto giusto troncare le relazioni fb che avevano con me per il fatto della mia amicizia con il prof. Ariel Toaff, da anni bersaglio di molte polemiche che ritengo ingiuste. Ora, è chiaro che non esiste un solo ebraismo, fin dai tempi biblici, e che esistono diversi modi di viverlo. Questa è cosa vostra, non mia,io che mi riconosco nella laicità occidentale. Qui non parteggio per nessuna scelta politica o partitica. Da studioso ho sempre apprezzato il rigore di Ariel Toaff, cui ribadisco la mia amicizia, anche solo fb. Si può convenire o no sulle sue conclusioni (mi riferisco in particolare alle Pasque di Sangue, di cui possiedo un esemplare della prima edizione, lestamente ritirato dalle librerie e sostituito con un'altra "epurata"), si può... Ma che si giunga a mettere in crisi (alla greca) una relazione personale per dibattiti accademici, non ci siamo! laicamente la penso così. Ribadisco ancora una volta la stima per il lavoro del prof. Ariel Toaff, confidando che si giunga a una chiarezza e maturità da parte ebraica e israeliana, affinché evidenziate i valori che vi uniscono e non le beghe che fanno solo mercato.



Ariel Toaff, il super clown
Riccardo Ghezzi

http://www.linformale.eu/3425-2

Oggi per la prima volta dalla nascita de L’Informale scriverò in prima persona, come un blogger qualsiasi, perché è una data storica: sono costretto a fare satira.
Cosa che non avrei mai pensato al momento di aprire un sito che si occupa di Israele e Medio Oriente. Ma quando un autorevole accademico si occupa di un comune mortale, il richiamo della satira è più forte di quello di una Sirena. Non si può resistere.
Vi racconto quindi la storia del prode Ariel Toaff, uomo che ad un certo punto della sua vita si è trovato in un proverbiale “cul del sac” a causa di un libro che ha scritto. E da allora litiga con tutti via facebook.
Per quanto riguarda L’Informale, sembra proprio che nutra antipatia personale nei confronti di uno degli autori, Niram Ferretti.
Per quel che mi consta, Ariel Toaff ha scelto la strada della guerra on line, facendomi combattere in casa: egli scrive post livorosi nei confronti del sito, io gli rispondo prendendolo in giro. Fino a che il primo (non sarò io) non si stuferà. Contento lui, contento soprattutto io.

Ma cosa ha combinato questa volta il prode Ariel Toaff? Ha pubblicato un post su facebook che è tutto un programma.

“L’Informale” di Riccardo Ghezzi si e’ indispettito perche’ l’ho definito fiancheggiatore della politica dell’estrema destra israeliana. “Siamo pluralisti e obbiettivi”, ha risposto il Ghezzi e “non abbiamo mai giustificato Meir Kahane, Barukh Goldstein e Iygal Amir” (che grande sforzo di obbiettivita’ e moderazione ohibo’).
Ora il Ghezzi e i suoi collaboratori (Niram Ferretti, Deborah Fait, Michael Sfaradi, Anat Hila Levi etc).enumerano i loro “siti amici” (non ne abbiamo omesso neppure uno). Vanno dalla destra all’estrema destra tutti senza alcuna eccezione. Giudicate voi:
Progetto Dreyfus
Rights Reporter
Informazione Corretta
Il Blog di Barbara
Il Borghesino
Bugie dalle gambe lunghe
Israele.net
La questione ebraica
Il contadino della Galilea
Silicon Wadi
Il Juster
The Fielder
Sostenitori delle Forze dell’Ordine*
*questo e’ il sito che apparentemente con gli altri non c’entra niente.
“L’Informale” ha soldi. Ogni due per tre i loro giornalisti, illustri e meno illustri, con nomi veri o fittizi, sono qui in Israele a scrivere reportage e a intervistare. Chi li paga e di chi sono i soldi che finanziano questa nuova testata “pluralista e obbiettiva”?


Ci sono cose che Ariel Toaff non sa. La prima è che non mi indispettisco. Mai. Al massimo mi incazzo.
Potete capire quante richieste di interviste abbia ricevuto in queste ore. Persone che vogliono essere spesate per intervistare estremisti israeliani, magari alle Maldive. Intanto paga la grande famiglia de L’Informale.
Mitico Ariel Toaff.
Sapete cosa è accaduto? Che l’ineffabile deve aver letto un post su facebook di Niram Ferretti, in cui annuncia l’intervista allo storico Benny Morris che verrà presto pubblicata in esclusiva mondiale (eh sì, ce la tiriamo) su L’Informale.
Ariel Toaff si deve essere indispettito tantissimo. Invece di intervistare lui, Niram va ad intervistare Benny Morris! Imperdonabile.

A chiunque chiediamo una intervista, ci viene concessa. Il sito piace. David Horowitz, Robert Spencer, Matthias Kuntzel, Mara Carfagna, Ruth Dureghello, Emanuele Fiano, Giulio Meotti e altri che verranno, ma non facciamo anticipazioni.

Quanto ai copiosi flussi di denaro che ci inondano, lasciamo a Toaff, in compagnia eventualmente di Giulietto Chiesa, l’onore e onere di individuare le fonti. Sarà il Gruppo Bilderberg? Saranno gli Illuminati di Baviera? O forse Sheldon Anderson? Oppure i Savi di Sion?

Ovviamente, ai lettori non sarà neppure sfuggito quanto siano di estrema destra le pagine da noi linkate. I “siti amici”, che sono semplicemente blog che parlano di Israele. Ma quanto è fascista SiliconWadi? E soprattutto “La questione ebraica”, un blog che parla di Shoah e persecuzione degli ebrei. Tutta roba estrema, da fare venire i brividi.

E poi Sostenitori delle forze dell’ordine, noto sito eversivo con ramificazioni tra i pericolosissimi “terroristi” ebrei che invocano il Regno del Messia. Roba che nemmeno Dan Brown…
Toaff ha un nuovo canovaccio sottomano dopo quello fantastorico di “Pasque di Sangue”. Lasciamo alla sua fantasia, che già ci deliziò con improbabili sette askenazite assetate di sangue cristiano, il compito di proporci qualcosa di altrettanto esilarante. Siamo sicuri che non ci deluderà.


La prima edizione di Pasque di sangue esce nel febbraio 2007.

https://it.wikipedia.org/wiki/Ariel_Toaff

Il libro analizza l'ambiente storico e culturale, quello ashkenazita medievale della diaspora, dove si è sviluppata l'accusa nei confronti degli ebrei di praticare omicidi di infanti cristiani nel periodo della Pasqua e di servirsi del loro sangue per compiere riti in funzione anticristiana. Contrariamente all'opinione comune della storiografia ufficiale che bolla la vicenda come una completa montatura delle autorità cristiane dominanti dell'epoca, Toaff, se da una parte ribadisce che gli omicidi rituali sono miti cristiani, dall'altra sostiene invece che se non vi sono prove che dimostrino l'uso magico e superstizioso del sangue a scopi rituali, non è dimostrabile neppure il contrario e quindi è possibile che vi siano stati singoli individui, magari anche appartenenti a frange estremiste di comunità ebraiche ashkenazite, che ne abbiano fatto tale uso. Toaff analizza anche brevemente alcuni dei momenti decisivi della separazione fra Ebrei cristianizzati ed Ebrei “tradizionalisti”, mostrando taluni fattori storici che ancora oggi influiscono sulle relazioni tra le due religioni.[senza fonte]

Il libro è ritirato per volontà dell'autore stesso pochi giorni dopo la sua uscita a causa delle forti polemiche e decise critiche ricevute. Il ritiro del libro non fece che accrescere l'interesse per il caso Toaff.

Dopo una prima stampa limitata a 3.000 copie, nel giro di pochi giorni il libro è andato quasi esaurito e su eBay le quotazioni hanno raggiunto centinaia di dollari. L'editore aveva già pronta una ristampa.[senza fonte]


La seconda edizione

Nel febbraio del 2008 è uscita la seconda edizione di Pasque di sangue sempre edita da il Mulino. In questa l'autore ha apportato delle modifiche e aggiunte per chiarire e rendere più esplicito il suo "pensiero per non consentire equivoci di sorta". È presente anche una postfazione dove ribadisce le ipotesi di fondo avanzate nella prima edizione:

1) È errata la squalifica in toto dei documenti processuali. Vi è ad esempio un chiaro riscontro fra i testi delle confessioni del processo di Trento e le fonti ebraiche sull'uso magico e simbolico del sangue in riti e liturgie particolari nell'ambito della celebrazione della Pasqua ebraica, caratterizzante gruppi estremisti ashkenaziti, in funzione anticristiana (il cosiddetto "rituale della maledizione"). Questo a conferma che dalle confessioni sotto tortura è possibile ricavare elementi autentici della cultura perseguitata (paradigma indiziario). Inoltre, nelle confessioni del processo di Trento, compaiono frasi in ebraico ashkenazita (invettive anticristiane che trovano riscontro su altre fonti) trascritte in modo errato dai notai a prova del fatto che i giudici non erano a conoscenza né dell'ebraico, né dell'yiddish. Questo dimostra l'autenticità di quelle frasi.

2) La geografia dei riti di sangue corrisponde a quella del mondo ebraico ashkenazita. Ebrei sefarditi ed orientali non conoscevano tali pratiche. Alfonso de Espina, confessore di Enrico IV di Castiglia e autore del trattato polemico antiebraico "Fortalitium Fidei", cita come episodi di omicidi rituali di cui è venuto a conoscenza due casi avvenuti entrambi nel nord Italia (Pavia e Savona) e non in Spagna com'era lecito attendersi.

3) Cristiani (ossessionati da presenze diaboliche) ed ebrei (accusati di stregoneria ed infanticidio) sono partecipi dello stesso orizzonte mentale. Magia, Medicina popolare, superstizione e alchimia hanno influito in queste comunità fino al punto di disattendere le norme più severe della ritualistica ebraica (il divieto biblico di cibarsi del sangue è assoluto). In quest'ottica i rabbini erano costretti a scendere a patti con questa realtà che disapprovavano.

Toaff, sempre nella postfazione, risponde alle critiche metodologiche mossegli e ne avanza a sua volta ai suoi detrattori. Si chiede ad esempio in relazione ai processi inquisitoriali iberici nei confronti dei Conversos (ebrei o supposti tali convertiti al cristianesimo) perché si accettino le accuse giudicate nobilitanti (quella di continuare a seguire in segreto l'Ebraismo) e si rifiutino a priori quelle aberranti legate all'uso superstizioso del sangue nelle pratiche religiose.

In conclusione sebbene nel libro si affermi che l'omicidio rituale sia una creazione tutta cristiana, il ruolo svolto dagli ebrei non è sempre e comunque quello della vittima perennemente passiva (“anche gli ebrei avevano voce. E non era sempre una voce sommessa e soffocata dalle lagrime"). Inoltre Toaff risponde anche alle critiche dei rabbini, distinguendo il loro ruolo da quello dello storico: "I principi dell'Ebraismo non coincidono sempre con i comportamenti reali degli Ebrei in carne e ossa,...” “... scrivere di storia degli Ebrei non equivale a comporre una predica sinagogale con apparato di note, né a celebrare in ogni caso e comunque i santi e i martiri del nostro popolo. Per questo il lavoro degli storici è sempre difficile, talvolta doloroso e ingrato”.
Il dibattito su Pasque di Sangue


Il padre di Ariel Toaff

Il rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff, ha dichiarato: "La cultura ebraica è basata sulla pace e sul perdono. Si tratta di leggende che non hanno nessun fondamento."

Il quotidiano cattolico Avvenire ha condiviso le posizioni espresse dalla comunità ebraica italiana. Anche Massimo Introvigne, autore di "Cattolici, antisemitismo e sangue" che Toaff definisce "una voce enciclopedica sull'argomento" nel suo libro, prende le distanze dal testo di Toaff.

Per contro, l'Università Bar-Ilan ha difeso le ricerche del proprio professore oltre che la sua libertà accademica, pur esprimendo riserve sulla delicatezza del tema.



Ariel Toaff


https://www.facebook.com/toaffa?hc_ref= ... Kk&fref=nf

Ringrazio gli amici che si sono presi la briga di difendermi dagli appassionati e dai cultori del pensiero unico, dai beceri nazionalisti che di ebraico conoscono solo quella che credono sia la loro bandiera, dai tifosi dei soldati, dei carri armati, degli aerei da combattimento, dei mitra e dei cannoni, dai pavidi travestiti da impavidi in maschera, ignoranti che non sanno e non vogliono nè leggere nè imparare, ebrei che hanno dimenticato (ma non hanno colpa: si dimentica solo quello che si sa) che il Talmud ci insegna che "è nella libera, aperta e rispettosa discussione che ci si avvicina alla verita'", che la Torah va accompagnata dalle buone maniere, che nell'ebraismo in passato c'era chi era pronto a facilitare come Hillel e chi era più severo come Shammai, ed entrambi si stimavano ed evitavano l'offesa e la calunnia, che vorrebbero avere tra le mani un'altra volta Uriel Acosta e Spinoza per far capire loro cosa si debba intendere per libero pensiero, che credono che l'oltraggio e la menzogna siano i modi di servire Dio al meglio, che interpretano la religione come superstizione, come vittoria sul malocchio e soprattutto come utile strumento di combattimento, che sono vuoti di fuori e vuoti di dentro, che urlano e agitano le mani per sembrare forti ogni volta che hanno paura, anche di se stessi, che sanno essere adulatori e vigliacchi a seconda delle situazioni e della loro convenienza, che sono bugiardi e inaffidabili e lo sanno perfettamente.
Difendersi da loro è impossibile perchè si moltiplicano come i conigli ogni giorno di più. Bisogna solo ignorarli, riducendoli alle loro vere proporzioni. Il nulla.




Elio Toaff: "Mio figlio sbagliava, ha capito"
il rabbino emerito sul libro dello scandalo
di ORAZIO LA ROCCA
(15 febbraio 2007)

http://www.repubblica.it/2007/02/sezion ... padre.html

ROMA - "Un gesto opportuno, necessario. Vuol dire che mio figlio Ariel ha capito. Ma significa anche che le critiche che sono state fatte nei confronti del suo libro sono state giuste, al punto che lui ha deciso di chiedere all'editore di sospendere la pubblicazione. È bene che questa storia sia finita così". È leggermente sollevato il rabbino capo emerito di Roma, Elio Toaff, quando apprende, al telefono, che suo figlio Ariel ha ritirato il controverso libro "Pasque di sangue" (Il Mulino), che rilancia vecchie leggende secondo le quali alcune sette ebraiche avrebbero mangiato, in occasione della Pasqua, pane azzimo con sangue di bambini cristiani. La notizia del ritiro del libro, il rabbino l'apprende mentre risponde alle nostre domande nella sua casa romana, al Ghetto, di fronte alla Sinagoga Maggiore.

"Non lo sapevo - confessa - ma è vero? Mi risulta che stava pensando di fermare momentaneamente la seconda edizione per fare degli approfondimenti. Ma che abbia poi pensato di bloccare definitivamente il volume, mi sorprende e in fondo mi fa anche piacere per lui e per la verità storica". La novità arrivata da Gerusalemme, però, non impedisce al professor Toaff di entrare nel merito delle controverse tesi sollevate dal libro di Ariel. "Mangiare il pane azzimo mischiato al sangue di bambini cristiani uccisi? Aberrante! Un insulto all'intelligenza, alla tradizione, alla storia in generale e al vero senso della religiosità ebraica - commenta con forza il rabbino - e dispiace che a sollevare sciocchezze simili sia stato mio figlio".

"Ma forse lo ha fatto senza rendersi conto della gravità di certe affermazioni e che queste tematiche, da secoli già condannate dalla storia e dalla tradizione, e non solo di quella ebraica, possono diventare subito argomenti per rilanciare pericolosi sentimenti di antisemitismo e voglie di negazionismo dell'Olocausto. È un errore. Ma nella vita tutti possono sbagliare".

Maestro Toaff, come rabbino e come padre cosa si sentirebbe di dire in questo momento a suo figlio Ariel per il suo libro appena ritirato?
"Gli direi che ha fatto bene a prendere questa decisione, mostrandogli anche tutto il mio dolore, il mio dispiacere e la mia delusione. Mai mi sarei aspettato da lui, da sempre attento studioso, un lavoro così discutibile e pericoloso. Sottolineo pericoloso perché con leggende simili il mostro dell'antisemitismo può tornare ancora a spadroneggiare nel mondo, specialmente ora che gli ultimi testimoni dell'Olocausto per ragioni anagrafiche stanno scomparendo. Non è parlando di sciocchezze come queste che si salvaguarda la vera essenza dell'ebraismo".

E qual è la vera essenza della cultura ebraica?
"La vera cultura ebraica non è la blasfemìa del sangue, ma è il perdono, la pace, la voglia di vivere a contatto con le altre culture, con le altre tradizioni, con rispetto reciproco e con desiderio di stare insieme, con condivisione, anche di fronte alle tragedie più grandi. Vuole una prova? Basta leggere le poche righe della grande lapide del 1964 che si trova affissa al Portico d'Ottavia, al Ghetto di Roma, dove si ricorda la deportazione nazifascista dei 2991 ebrei romani del 16 ottobre 1943. In quella lastra di marmo alla fine c'è un rigo che sintetizza in modo magistrale l'essenza vera della cultura socio-religiosa dell'ebraismo: sono le parole con cui i sopravvissuti invocano a Dio "amore, pace, perdono e speranza". Perdono per tutti, anche per i carnefici nazisti".

Maestro Toaff, questa frase di perdono può essere, quindi, la risposta a chi, cavalcando anche polemiche come quelle esplose intorno al libro, alimenta sentimenti di antisemitismo e di conseguenza fa dell'ebreo una persona, tra l'altro, quasi sempre piena di odio e di voglia di vendetta?
"Sì, perché gli stereotipi antiebraici sono ancora duri a morire. Basti pensare alla falsa accusa di avarizia o a quanti insinuano che l'alta finanza sarebbe controllata dalle lobby ebraiche. Stranamente nessuno parla del perdono di Dio invocato dai sopravvissuti della Comunità ebraica di Roma da quasi 30 anni. Tanto che leggere quella lapide al Portico d'Ottavia oggi sembra una novità. Quando invece non è per niente una novità che gli ebrei, malgrado l'Olocausto, la Shoah, le secolari persecuzioni, mentre chiedono fermamente che la giustizia terrena faccia il suo corso, si sono sempre fedelmente abbandonati alla misericordia di Dio al quale invocano il perdono per tutti, anche per i loro aguzzi. Altro che sangue di bimbi cristiani nel pane azzimo!".

Come spiega che un tema come il sangue cristiano usato per il pane azzimo, leggenda ormai abbandonata negli scantinati della storia, sia tornato alla ribalta?
"Non so spiegarlo. Dico solo che si è trattato di un errore sollevare queste tematiche. Come dice lei, si tratta di vecchie leggende che non hanno mai avuto anche il pur minimo supporto storico-scientifico. Mio figlio Ariel ha voluto farne oggetto di un nuovo studio. Altri studiosi approfondiranno la materia. Ma di sicuro e di nuovo non c'è niente".

Seppure nei secoli passati ci fosse stato qualche caso: sarebbe stato ammissibile per la religione ebraica prevedere l'uso del sangue dei bambini per la preparazione del pane azzimo?
"Assolutamente no, per il semplice fatto che è la Torah a smentire questo principio così aberrante, affermando che "qualunque forma di grasso e di sangue non deve essere mai mangiato". Da qui nasce il profondo e radicale rispetto degli ebrei verso il sangue, da sempre visto come dono di Dio e segno della vita. Non è quindi un caso che nella Bibbia sia scritto chiaramente che "nel sangue c'è la vita". Per cui è fuori dalla nostra tradizione e dalla nostra cultura, sia sociale che religiosa, mangiare cibi che siano stati sfiorati dal sangue, sia umano che animale. Perché la vita che il Signore ha creato riguarda tutte le specie viventi, sia uomini che animali".

Questo antico rispetto per il sangue ha quindi contribuito anche alla formazione delle pietanze ebraiche?
"Sì. Tutta la quotidianità ebraica ruota intorno a questo principio. Specialmente nella preparazione dei cibi, per i quali vige una ferrea disciplina codificata nel "Kasheruth", dove specialmente per la preparazione delle carni si raccomanda con chiarezza che prima della cottura occorre sottoporre i capi macellati ad una attentissima purificazione da ogni residua traccia di sangue".

Una pratica di macellazione prevista anche nell'Islam. Vero?
"Nell'Islam c'è grande attenzione alla preparazione delle carni, che vengono purificate dal sangue con tecniche più o meno simili a quelle ebraiche. È una tradizione che in fondo unisce i fedeli delle due religioni. Peccato che con i musulmani non si possa parlare di analoga unione per altri temi. Ma è un segno antico che è bello ricordare ogni tanto".

Con i cristiani l'approccio col sangue non è uguale.
"Non è la stessa cosa. È vero che Cristo nell'Ultima Cena spezzò il pane azzimo come tutti gli ebrei. Poi, come è nella tradizione cristiana, versò il vino dicendo "bevete questo è il mio sangue". E, quindi, i cristiani da duemila anni rivivono nell'Eucarestia quel momento, sublimandolo di volta in volta con l'ostia consacrata dove la Chiesa insegna che c'è il sangue di Cristo. Come è evidente, è una tradizione religiosa del tutto diversa dall'ebraismo e che nel corso dei secoli ha prodotto anche usi e costumi differenti".

Leggende come il pane azzimo intriso di sangue cristiano sono state usate nel corso dei secoli per alimentare l'antisemitismo tra la popolazione?
"Purtroppo è stato così. Anche queste sciocchezze hanno dato luogo a sentimenti antiebraici. Spiace dirlo, ma anche a causa dell'ignoranza, non si è mai voluto far capire con chiarezza che per l'ebreo il pane azzimo se non è puro, cioè senza aggiunte, senza lieviti e - manco a dirlo - senza tracce di sostanze estranee anche lontanamente simili al sangue - non è in linea con la tradizione. Cioè non è il pane con cui si può celebrare la Pasqua Ebraica. Chi pensa il contrario, sbaglia e non conosce la storia degli ebrei".

Quando iniziarono a circolare leggende sul pane azzimo inquinato dal sangue?
"Durante il primo millennio dopo Cristo non c'è stata traccia. Qualcosa si incominciò a dire dopo l'anno mille, quasi in coincidenza con la prima crociata. Forse per giustificare, da parte di qualcuno, gli eccidi in Terra Santa o per addossare le colpe agli ebrei. Ed infatti fin da allora iniziarono le prime persecuzioni".

La Chiesa ha quindi le sue responsabilità anche nei confronti di queste leggende?
"È la storia che è andata così. Ma mi piace ricordare che ci fu un papa, Sisto IV, che nel 1475 circa, inviò un suo delegato, un inquisitore domenicano, per verificare l'autenticità delle accuse che i cristiani di Trento avevano fatto alla locale comunità ebraica accusata di aver ucciso un bambino di nome Simonino per togliergli il sangue. Quel bambino fu subito venerato come un martire elevato agli onori degli altari come S. Simonino. Ma, alla fine dell'inchiesta quel domenicano disse al Papa che solo gli ignoranti e le persone in malafede potevano credere ad una storia simile. E S. Simonino fu cancellato dai calendari. È un episodio che dimostra chiaramente che non sempre le gerarchie ecclesiali cristiane hanno seguito queste leggende. Ma sarebbe grave ed imperdonabile oggi ridare a queste leggende una pur minima di patente storica".



Toaff ritira il libro "Pasque di sangue" "Le mie tesi storiche distorte dai media"
L'editore "Il Mulino" smette di stampare, su richiesta dell'autore, il volume
Era stato accusato dalle comunità ebraiche di fomentare l'antisemitismo
(14 febbraio 2007)

http://www.repubblica.it/2007/02/sezion ... libro.html

Il libro dello scandalo è stato ritirato. Ariel Toaff - figlio dell'ex rabbino capo di Roma Elio - professore di storia all'università Bar Ilan, ha telefonato al suo editore Il Mulino per chiedere di sospendere la pubblicazione di "Quelle Pasque di Sangue", il libro che suscitato le ire della comunità ebraica. Nel libro viene proposta una tesi sconvolgente: che fra il 1100 e il 1500 circa, in Europa, gli ebrei ashkenaziti fondamentalisti compirono sacrifici umani. Il cui sangue veniva poi utilizzato nei rituali della Pasqua. La tesi, difesa dall'autore come frutto di una seria ricerca storica, ha sollevato molte polemiche. Fino a una presa di posizione di riprovazione dello stesso padre, Elio Toaff.

I rabbini italiani lo hanno subito accusato di fomentare l'antisemitismo. E anche Moni Ovadia, che lo difende come storico, invita alla prudenza. Toaff solleva "un argomento delicato - dice l'artista di origini ebraiche - perché sulla base di false accuse di rituali vennero fatte delle terribili persecuzioni". L'università Bar Ilan di Tel Aviv, dove Toaff lavora, ha espresso "collera e grande dispiacere nei confronti del professore, per la sua mancanza di sensibilità nel pubblicare il suo libro sulle istigazioni di sangue in Italia".

"Il professor Toaff avrebbe dovuto dimostrare maggior sensibilità e prudenza - hanno detto alla sua università - nel gestire il libro e la sua pubblicazione, in modo da prevenire le recensioni e le interpretazioni distorte e offensive". Al suo rientro dal'Italia, Ariel Toaff ha avuto ieri un lungo colloquio con il presidente dell'università Bar Ilan, Moshe Kaveh. Dopo il colloquio, lo storico si è scusato con "tutti coloro che sono stati offesi dagli articoli e dai fatti distorti attribuiti a me e al mio libro".

"Ho chiesto alla casa editrice Il Mulino la sospensione immediata di ogni ulteriore distribuzione del libro - ha fatto sapere Toaff - in modo da poter rielaborare quei passaggi che sono stati alla base di distorsioni e false interpretazioni nei media". "Non consentirò mai - ha aggiutno - a chi odia gli ebrei di usarmi, o di usare la mia ricerca, quale strumento per alimentare la fiamma, ancora una volta, dell'odio che ha portato all'assassinio di milioni di ebrei".


https://www.facebook.com/toaffa/posts/1 ... 5695809286

Gino Quarelo
Perché suo padre Elio Toaff prese le distanze dal suo libro sulle Pasque di sangue?

Gabriel Guarino
E daje con le Pasque di Sangue... Quando Ginzburg e Zemon Davis scrissero delle micro-storie usando il principio del "rasoio di Ockham" per scrivere delle interpretazoni immaginative e stimolanti basate su una base di documenti imperfetta e carente, sono stati considerati il massimo della disciplina storica. Quando lo fa Ariel Toaff, con non meno ingegno, non va bene, solo perche non vi piace la possibilita' di quel che propone. Ma fatevi la domanda: gli ebrei estremisti, che fanno cose fuori dalla norma non esistono nella storia? Vedi da Masada al nostro triste presente dei coloni tipo Goldstein.

Gino Quarelo
A Masada gli ebrei che si erano giustamente opposti all'invasione romana, preferirono dopo aver combattuto allo stremo, preferirono uccidersi come fecero tanti altri popoli dignitosi e amanti della libertà ad esempio gli Istri a Nesazio. Mi scusi tanto ma i criminali a Masada non furono gli ebrei ma i romani. La vittima non si trasforma in carnefice e questi in vittima. Il male a Masada è dalla parte dei romani e non degli ebrei.
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Ariel Toaff
Povero sig. Quarelo. È arrivato per ultimo con la sua provocazione stravecchia. Ma si consoli perche' ha molti amici di bisbocce che sono come lui. Pero' lasci stare il nome di mio padre, mi faccia il piacere.

Gino Quarelo
Ariel Toaff Io amo gli ebrei d'Israele e riconosco a loro, come a ogni popolo del mondo il diritto alla loro terra, alla loro libertà e alla loro sovranità; io sono veneto e vorrei tando l'indipendenza della mia terra veneta dallo stato italiano.
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Ariel Toaff, un uomo un perché
Riccardo Ghezzi
20 maggio 2016

http://www.linformale.eu/3116-2

Qualche giorno fa siamo incappati in un post su facebook di Ariel Toaff, figlio di Elio.
Professore emerito presso l’Università Bar-Ilan di Ramat Gan (Tel Aviv), Ariel Toaff ha condiviso un articolo de L’Informale, a firma Niram Ferretti, sull’ex premier israeliano Rabin. Non ne condivideva evidentemente le tesi, probabilmente perché influenzato da antipatia o ruggini personali con l’autore. Prova ne sia che Niram Ferretti è stato definito “gesuita” da Ariel Toaff, il quale però ha pensato bene di non lesinare giudizi nei confronti del sito L’Informale, definito “foglio fiancheggiatore dell’estrema destra israeliana”.

L’articolo in questione era “A proposito del “santino” di Yitzhak Rabin”, inutile specificare come sia antipatico essere associati all’estrema destra israeliana in un articolo che parla dell’ex premier assassinato da… un estremista di destra israeliano, Ygan Amir. Il collegamento potrebbe risultare immediato, nonostante nell’articolo Niram Ferretti non faccia alcuna apologia dell’assassino. Né mai alcun autore de L’Informale ha mostrato simpatie per personaggi controversi come Meir Kahane, fondatore del partito Kach divenuto illegale in patria in virtù delle leggi anti-terrorismo promulgate proprio da Rabin, o criminali come Baruch Goldstein, autore della strage di Hebron costata la vita a 29 musulmani.
Se a questo si aggiunge il fatto che L’Informale non è politicamente schierato come sito, ma ogni autore, fondatore compreso, ha le sue idee politiche e ragiona con la sua testa, la frittata di Toaff è completa.
Spetterà a lui dimostrare che il sito non solo simpatizza, ma è addirittura “fiancheggiatore” dell’estrema destra, cioè complice o connivente.

Quello che forse Toaff non sa è che In Italia sia in corso una massiccia campagna antiisraeliana e antisemita, fondata su falsità diffuse largamente. L”informale nasce come sito di informazione con l’obiettivo principale di rettificare tutte le bufale e, nonostante sia nato da sei mesi, l’elenco degli articoli è già lunghissimo. Riteniamo, senza troppa presunzione, che questo ruolo sia importante per la stigmatizzazione storica dei fatti nell’interesse di Israele come Paese, non di un singolo governo né di una specifica area politica, nella fattispecie l’estrema destra.

Dov’era Toaff quando noi smontavamo la bufala sul traffico di organi?
Dov’era Toaff quando smontavamo le bufale sulle segregazioni a Gaza? E tante altre.
Ora, scrivere pubblicamente che questo sito sia al servizio dell’estrema destra, essendo falso, e dato il tipo di informazione che vuole svolgere L’Informale, significa andare sostanzialmente contro Israele come nazione e favorire la stampa razzista antiebrea che in Italia non ha molte realtà adibite a contrastarla. Quindi Toaff, dicendo il falso sulla tendenza politica del sito ed infangandolo, non fa altro che favorire l’estremismo arabo razzista.


Buon lavoro, Ariel Toaff, figlio di Elio.

Riccardo Ghezzi
Giornalista pubblicista, a un certo punto della sua vita si è accorto di essere più interessato alle vicende di Israele che a quelle italiane. Ha raccolto intorno a sé un gruppo di amici reali e virtuali, competenti e informati su Israele, storia e cultura ebraica, Medio Oriente. E si è convinto che con loro si poteva avviare un nuovo progetto editoriale: così è nato L'Informale, di cui è direttore responsabile.



Israele e la democrazia: la Knesset condanna Ariel Toaff e propone procedimento giudiziario
27/02/2007
Fonte: iltempo.it

http://www.ariannaeditrice.it/articolo. ... icolo=9099
GERUSALEMME — L'avversata opera «Pasque di sangue», è arrivata ieri alla commissione per l'istruzione della Knesset, il Parlamento israeliano, che ha duramente condannato l' opera e lo studioso. Nel corso del dibattito, al quale hanno preso parte deputati di alcuni partiti e accademici, è stata proposto che lo Stato apra un procedimento giudiziario nei confronti di Toaff.




Ariel Toaff annuncia di voler ritirare dal commercio il libro "Pasque di sangue" e si dice "sbalordito dalla forza sviante" di "presentazioni errate".
Da La REPUBBLICA del 15 febbraio 2007, la cronaca di Alberto Stabile sulle reazioni al libro di Ariel Toaff in Israele:

http://www.informazionecorretta.it/main ... 0&id=19449

Ricordiamo che il contenuto del libro di Toaff è stato reso noto da una recensione di Sergio Luzzato, giudicata fedele da Toaff (vedi l'intervista ad Aldo Cazzullo).

Nel libro si sostiene che gli omicidi rituali dei quali furono accusate le comunità ebraiche nel Medio Evo potrebbero in alcuni casi essere avvenuti.

È inutile lamentare la "forza sviante" di "interpretazioni errate": Toaff deve dire chiaramente che è il suo libro ad essere sbagliato.


Un colloquio drammatico con il preside dell´università Bar Ilan, Moshe Kaveh. Un comunicato dello stesso ateneo nel quale Ariel Toaff ha insegnato per molti anni, in cui si esprime "collera e grande dispiacere nei confronti del Professor Toaff per la sua mancanza di sensibilità nel pubblicare il suo libro sulle istigazioni di sangue in Italia".
Così l'ambiente accademico israeliano ha manifestato la sua inequivocabile presa di distanze dall'autore di Pasque di sangue. E c´è da credere che gli stessi sentimenti li abbia manifestati il rettore Moshe Kaveh nel lungo colloquio personale avuto con Ariel Toaff al suo rientro in Israele.
L'autore di Pasque di Sangue, si legge ancora nel comunicato dell´università Bar Ilan «avrebbe dovuto dimostrare maggior sensibilità e prudenza nel gestire il libro e la sua pubblicazione in modo da prevenire le recensioni e le interpretazioni distorte e offensive».
La posizione dell´Università è chiara. Ariel Toaff s´è difeso nei giorni scorsi adducendo che il suo libro era stato oggetto di "orribili distorsioni". Sostiene la Bar Ilan: non è che queste interpretazioni "distorte e offensive", non ci siano state, ma sono state innescate dal contenuto stesso del saggio e dal modo in cui è stato gestito.
Al professor Roberto Bonfil, docente di Storia Medievale alla Università Ebraica di Gerusalemme, abbiamo chiesto cosa pensa della decisione di bloccare la distribuzione del libro. «Se è vero, lo giudicherei il primo passo di riparazione soprattutto da parte della casa editrice. Il libro ha già fatto il suo danno».
L´opinione di Roberto Bonfil è netta: «Questo libro è una tragedia. Un libro costruito con mezze verità, un miscuglio di testimonianze e di posizioni non attendibili. Ne è venuta fuori una narrativa in cui il lettore non esperto è indotto a trarre conclusioni molto gravi. Già dal sottotitolo (e si deve ritenere che sia stato approvato dall´autore) viene detto esplicitamente che l´accusa del sangue non era sempre un´invenzione. Di quale sangue si parla?».
«Ma il danno non voglio dire più grave - sostiene Bonfil - è anche al mestiere dello storico. Come storici abbiamo l´impegno di scoprire la verità, quando possiamo. Ora, raccontare la storia in modo tale che la verità e il falso si mescolino e divengano indistinguibili, taglia il ramo su cui ci appoggiamo». Come a presagire la dura nota dell´università Bar Ilan, Roberto Bonfil parla del rapporto specifico tra il mestiere dello storico e l´impegno accademico "la cosa importante è mantenere le credenziali di serietà e di onestà scientifica. Se vengono a mancare, manca l´ossigeno del nostro mestiere.
Grande è stato lo sconcerto negli ambienti, non solo scientifici della comunità italiana in Israele. Molti, come il professore Bonfil, sperano che "il passo compiuto adesso da Ariel Toaff possa servire a calmare le acque. Ma tutta una tiratura è stata venduta.

L'intervista di Orazio La Rocca a Elio Toaff:

Lo storico Ariel Toaff ha deciso di ritirare "Pasque di sangue", il controverso volume su antiche sette ebraiche che avrebbero mangiato pane azzimo con sangue di bambini cristiani. «Davanti alle false e distorte interpretazioni date al mio libro, ho chiesto alla casa editrice il Mulino la sospensione immediata delle pubblicazioni», ha detto lo studioso, che insegna alla università Bar Ilan di Tel Aviv. La replica del rabbino emerito di Roma Elio Toaff, padre dello storico: «Mio figlio ha sbagliato, ma ha fatto bene a ritirare il volume: simili leggende sono pericolose perché alimentano l´antisemitismo».
«Un gesto opportuno, necessario. Vuol dire che mio figlio Ariel ha capito. Ma significa anche che le critiche che sono state fatte nei confronti del suo libro sono state giuste, al punto che lui ha deciso di chiedere all´editore di sospendere la pubblicazione. È bene che questa storia sia finita così». È leggermente sollevato il rabbino capo emerito di Roma, Elio Toaff, quando apprende, al telefono, che suo figlio Ariel ha ritirato il controverso libro Pasque di sangue (Il Mulino), che rilancia vecchie leggende secondo le quali alcune sette ebraiche avrebbero mangiato, in occasione della Pasqua, pane azzimo con sangue di bambini cristiani. La notizia del ritiro del libro, il rabbino l´apprende mentre risponde alle nostre domande nella sua casa romana, al Ghetto, di fronte alla Sinagoga Maggiore. «Non lo sapevo - confessa - ma è vero? Mi risulta che stava pensando di fermare momentaneamente la seconda edizione per fare degli approfondimenti. Ma che abbia poi pensato di bloccare definitivamente il volume, mi sorprende e in fondo mi fa anche piacere per lui e per la verità storica».
La novità arrivata da Gerusalemme, però, non impedisce al professor Toaff di entrare nel merito delle controverse tesi sollevate dal libro di Ariel. «Mangiare il pane azzimo mischiato al sangue di bambini cristiani uccisi? Aberrante! Un insulto all´intelligenza, alla tradizione, alla storia in generale e al vero senso della religiosità ebraica - commenta con forza il rabbino - e dispiace che a sollevare sciocchezze simili sia stato mio figlio. Ma forse lo ha fatto senza rendersi conto della gravità di certe affermazioni e che queste tematiche, da secoli già condannate dalla storia e dalla tradizione, e non solo di quella ebraica, possono diventare subito argomenti per rilanciare pericolosi sentimenti di antisemitismo e voglie di negazionismo dell´Olocausto. E´ un errore. Ma nella vita tutti possono sbagliare».
Maestro Toaff, come rabbino e come padre cosa si sentirebbe di dire in questo momento a suo figlio Ariel per il suo libro appena ritirato?
«Gli direi che ha fatto bene a prendere questa decisione, mostrandogli anche tutto il mio dolore, il mio dispiacere e la mia delusione. Mai mi sarei aspettato da lui, da sempre attento studioso, un lavoro così discutibile e pericoloso. Sottolineo pericoloso perché con leggende simili il mostro dell´antisemitismo può tornare ancora a spadroneggiare nel mondo, specialmente ora che gli ultimi testimoni dell´Olocausto per ragioni anagrafiche stanno scomparendo. Non è parlando di sciocchezze come queste che si salvaguarda la vera essenza dell´ebraismo».
E qual è la vera essenza della cultura ebraica?
«La vera cultura ebraica non è la blasfemìa del sangue, ma è il perdono, la pace, la voglia di vivere a contatto con le altre culture, con le altre tradizioni, con rispetto reciproco e con desiderio di stare insieme, con condivisione, anche di fronte alle tragedie più grandi. Vuole una prova? Basta leggere le poche righe della grande lapide del 1964 che si trova affissa al Portico d´Ottavia, al Ghetto di Roma, dove si ricorda la deportazione nazifascista dei 2991 ebrei romani del 16 ottobre 1943. In quella lastra di marmo alla fine c´è un rigo che sintetizza in modo magistrale l´essenza vera della cultura socio-religiosa dell´ebraismo: sono le parole con cui i sopravvissuti invocano a Dio "amore, pace, perdono e speranza". Perdono per tutti, anche per i carnefici nazisti».
Maestro Toaff, questa frase di perdono può essere, quindi, la risposta a chi, cavalcando anche polemiche come quelle esplose intorno al libro, alimenta sentimenti di antisemitismo e di conseguenza fa dell´ebreo una persona, tra l´altro, quasi sempre piena di odio e di voglia di vendetta?
«Sì, perché gli stereotipi antiebraici sono ancora duri a morire. Basti pensare alla falsa accusa di avarizia o a quanti insinuano che l´alta finanza sarebbe controllata dalle lobby ebraiche. Stranamente nessuno parla del perdono di Dio invocato dai sopravvissuti della Comunità ebraica di Roma da quasi 30 anni. Tanto che leggere quella lapide al Portico d´Ottavia oggi sembra una novità. Quando invece non è per niente una novità che gli ebrei, malgrado l´Olocausto, la Shoah, le secolari persecuzioni, mentre chiedono fermamente che la giustizia terrena faccia il suo corso, si sono sempre fedelmente abbandonati alla misericordia di Dio al quale invocano il perdono per tutti, anche per i loro aguzzi. Altro che sangue di bimbi cristiani nel pane azzimo!».
Come spiega che un tema come il sangue cristiano usato per il pane azzimo, leggenda ormai abbandonata negli scantinati della storia, sia tornato alla ribalta?
«Non so spiegarlo. Dico solo che si è trattato di un errore sollevare queste tematiche. Come dice lei, si tratta di vecchie leggende che non hanno mai avuto anche il pur minimo supporto storico-scientifico. Mio figlio Ariel ha voluto farne oggetto di un nuovo studio. Altri studiosi approfondiranno la materia. Ma di sicuro e di nuovo non c´è niente».
Seppure nei secoli passati ci fosse stato qualche caso: sarebbe stato ammissibile per la religione ebraica prevedere l´uso del sangue dei bambini per la preparazione del pane azzimo?
«Assolutamente no, per il semplice fatto che è la Torah a smentire questo principio così aberrante, affermando che "qualunque forma di grasso e di sangue non deve essere mai mangiato". Da qui nasce il profondo e radicale rispetto degli ebrei verso il sangue, da sempre visto come dono di Dio e segno della vita. Non è quindi un caso che nella Bibbia sia scritto chiaramente che "nel sangue c´è la vita". Per cui è fuori dalla nostra tradizione e dalla nostra cultura, sia sociale che religiosa, mangiare cibi che siano stati sfiorati dal sangue, sia umano che animale. Perché la vita che il Signore ha creato riguarda tutte le specie viventi, sia uomini che animali».
Questo antico rispetto per il sangue ha quindi contribuito anche alla formazione delle pietanze ebraiche?
«Sì. Tutta la quotidianità ebraica ruota intorno a questo principio. Specialmente nella preparazione dei cibi, per i quali vige una ferrea disciplina codificata nel "Kasheruth", dove specialmente per la preparazione delle carni si raccomanda con chiarezza che prima della cottura occorre sottoporre i capi macellati ad una attentissima purificazione da ogni residua traccia di sangue».
Una pratica di macellazione prevista anche nell´islam. Vero?
«Nell´islam c´è grande attenzione alla preparazione delle carni, che vengono purificate dal sangue con tecniche più o meno simili a quelle ebraiche. E´ una tradizione che in fondo unisce i fedeli delle due religioni. Peccato che con i musulmani non si possa parlare di analoga unione per altri temi. Ma è un segno antico che è bello ricordare ogni tanto».
Con i cristiani l´approccio col sangue non è uguale.
«Non è la stessa cosa. E´ vero che Cristo nell´Ultima Cena spezzò il pane azzimo come tutti gli ebrei. Poi, come è nella tradizione cristiana, versò il vino dicendo "bevete questo è il mio sangue". E, quindi, i cristiani da duemila anni rivivono nell´Eucarestia quel momento, sublimandolo di volta in volta con l´ostia consacrata dove la Chiesa insegna che c´è il sangue di Cristo. Come è evidente, è una tradizione religiosa del tutto diversa dall´ebraismo e che nel corso dei secoli ha prodotto anche usi e costumi differenti».
- Leggende come il pane azzimo intriso di sangue cristiano sono state usate nel corso dei secoli per alimentare l´antisemitismo tra la popolazione?
"Purtroppo è stato così. Anche queste sciocchezze hanno dato luogo a sentimenti antiebraici. Spiace dirlo, ma anche a causa dell´ignoranza, non si è mai voluto far capire con chiarezza che per l´ebreo il pane azzimo se non è puro, cioè senza aggiunte, senza lieviti e – manco a dirlo – senza tracce di sostanze estranee anche lontanamente simili al sangue – non è in linea con la tradizione. Cioè non è il pane con cui si può celebrare la Pasqua Ebraica. Chi pensa il contrario, sbaglia e non conosce la storia degli ebrei».
- Quando iniziarono a circolare leggende sul pane azzimo inquinato dal sangue?
«Durante il primo millennio dopo Cristo non c´è stata traccia. Qualcosa si incominciò a dire dopo l´anno mille, quasi in coincidenza con la prima crociata. Forse per giustificare, da parte di qualcuno, gli eccidi in Terra Santa o per addossare le colpe agli ebrei. Ed infatti fin da allora iniziarono le prime persecuzioni».
- La Chiesa ha quindi le sue responsabilità anche nei confronti di queste leggende?
«E´ la storia che è andata così. Ma mi piace ricordare che ci fu un papa, Sisto IV, che nel 1475 circa, inviò un suo delegato, un inquisitore domenicano, per verificare l´autenticità delle accuse che i cristiani di Trento avevano fatto alla locale comunità ebraica accusata di aver ucciso un bambino di nome Simonino per togliergli il sangue. Quel bambino fu subito venerato come un martire elevato agli onori degli altari come S. Simonino. Ma, alla fine dell´inchiesta quel domenicano disse al Papa che solo gli ignoranti e le persone in malafede potevano credere ad una storia simile. E S. Simonino fu cancellato dai calendari. E´ un episodio che dimostra chiaramente che non sempre le gerarchie ecclesiali cristiane hanno seguito queste leggende. Ma sarebbe grave ed imperdonabile oggi ridare a queste leggende una pur minima di patente storica».



fine prima parte
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » mer set 13, 2017 7:24 am

Seconda parte


Ariel Toaff. Intervista fuori campo | Rinascita
6 ottobre, 2015

http://www.rinascita.net/980/ariel-toaf ... uori-campo

CANZANO 1- Le Religioni sono un mondo molto particolare, come sono nate, come si difendono, quanti adepti hanno, ma per l’ebraismo è un’altra storia, che tu, hai cercato un po’ di descrivere nel tuo libro ‘Pasque di Sangue’, con la prima edizione poi ritirata dal mercato. Perché tanti segreti non rivelati?

TOAFF – Mi sono ripromesso otto anni fa di non rilasciare piu’ interviste su Pasque di sangue. Quello che dovevo dire l’ho detto a suo tempo in decine di interventi sulla stampa italiana ed estera in tutto il mondo e in due edizioni del libro (oltre alle traduzioni in inglese e altre lingue straniere, autorizzate o pirate).

Non ho altro da aggiungere e non ho cambiato opinione rispetto ad allora. I “segreti non rivelati” sono propri di gruppi particolari in tutte le religioni: dai Fratelli Musulmani ai Natore’ Karta, dai movimenti evangelici protestanti estremisti e anglofoni all’Opus Dei. Certamente non sono tra le caratteristiche soltanto di gruppi determinati all’interno dell’ebraismo. Potrei chiedere a mia volta la sua opinione sui Lefevriani o su Comunione e Liberazione e rimarremmo al punto di partenza.

CANZANO 2- L’Ebraismo si distingue da altre religioni per la sua origine: è la Religione del Libro, i ragazzi ebrei studiavano nelle Jeshiwas (le scuole ebraiche) già da piccoli (all’età di tre anni già sapevano leggere), oggi, è ancora così forte l’appartenenza al popolo ebraico?

TOAFF – Nel mondo ebraico, caratterizzato dall’ortodossia religiosa, la situazione non è cambiata. In Israele e negli USA (ma anche in alcuni paesi europei) per ragioni demografiche (alta natalita’) gli ebrei ortodossi sono in continuo aumento rispetto alle altre componenti della società ebraica (tradizionalisti e laici). L’istruzione di bambini e giovani nelle yeshivot è quasi raddoppiata rispetto a mezzo secolo fa.

CANZANO 3- Lo Stato d’Israele, è nato da un’idea di Theodore Herzl, durante il primo Congresso Sionista tenuto a Basilea, in Svizzera, nel 1897, è nato per dare un’identità territoriale agli ebrei e tenerli uniti o anche?

TOAFF – È nato soprattutto per sottolineare che gli ebrei sono un popolo e non soltanto una religione. Lo stesso concetto di diaspora indica l’allontanamento forzato da quella che era la loro terra fino alla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme. È la diaspora che ha tenuto uniti gli ebrei nonostante le diverse connotazioni religiose che nel corso dei tempi hanno assunto nei vari paesi. C’è poi chi ritiene che l’idea di uno stato per il popolo ebraico si sia rafforzata dopo la Shoah, prospettando un’entita’ in grado di rispondere alle ondate di antisemitismo e di offrire agli ebrei una terra di rifugio.

CANZANO 4- Sulla nascita dello Stato di Israele, l’occupazione dei territori e le rivendicazioni dei palestinesi, tutto sembra così ingarbugliato: può spiegarmi perché?

TOAFF – Israele ha occupato quei territori nel corso della guerra del 1967. Da tempo avrebbe dovuto porre fine a questa situazione, anomala che ne ha stravolto l’immagine. Ma i governi di centro e di destra, ricattati dai movimenti radicali della destra clerico-nazionalista, che si richiamava al possesso delle regioni bibliche della Giudea e della Samaria, ha dato vita a una politica di colonizzazione e di sfruttamento che minacciano la stessa esistenza di Israele, tradendo con miopia e colpevole uso della forza e della prepotenza i migliori ideali del sionismo e dell’ebraismo.

CANZANO 4- L’ebreo è un ‘personaggio’ molto presente anche nella letteratura non di autori ebrei. Lo troviamo in tante storie, dove, ha quasi sempre un ruolo molto importante, come per esempio nel libro di Wilbur Smith ‘Il destino del leone’, molti ebrei sono proprietari delle miniere di diamanti a Johannesburg.

Ancora nel libro di Katie Hickman ‘Il giardino delle favorite’, una donna minuta ebrea entra ed esce dall’harem, dove si reca per parlare con la mamma del Sultano.

TOAFF – La domanda? Oltre la costatazione letteraria.

CANZANO 5- Hanno sempre avuto un ruolo importante in tutte le società, perché si considerano un popolo oppresso e perseguitato?

TOAFF – Il loro ruolo, sia nel passato che nel presente e in tutte le società, è dipendente dai più svariati parametri: da quello intellettuale e culturale a quello della funzione economica che talvolta occupano. Il ruolo di vittime e perseguitati (ai propri occhi), come risulta dalla domanda, è un ruolo passivo, improduttivo e piagnucoloso che alcune società attribuiscono loro per poterli tollerare e difendere. Mi sembra improprio e riduttivo e nasconde pregiudizi mai sopiti nei loro confronti.

CANZANO 6– Sul web girano sia video che articoli dove attribuiscono agli ebrei la creazione del Club Bildenberg e il potere enorme che esso ha in tutto il mondo, e, anche del fatto che i Protocolli dei Savi di Sion, non sono un falso documentale, creato con l’intento di diffondere il disprezzo contro gli ebrei, ma sono autentici. Cosa ne pensa?

TOAFF – È stato ampiamente dimostrato con una documentazione inoppugnabile che i Protocolli dei Savi di Sion sono un falso antisemita. Consiglierei a questo proposito di leggere con la dovuta attenzione “Il cimitero di Praga” di Umberto Eco.

CANZANO – E il Club Bildenberg?

TOAFF – C’e’ una grande differenza tra il libro “Club Bildenberg” (che ha la stessa matrice antisemita dei Protocolli) e il cosiddetto Gruppo Bildenberg, che non ha rapporto con il precedente.

CANZANO 7- Merkel e Putin in politica internazionale, come sono visti da Israele?

TOAFF – Israele è una democrazia parlamentare e i partiti alla Kenesset hanno posizioni diverse. Il governo Netanyahu cerca un riavvicinamento alla Russia di Putin ed è molto critico nei confronti della UE, di cui non condivide l’atteggiamento nei confronti del problema palestinese e della politica degli insediamenti nei territori occupati. La forte minoranza di origine russa tra gli israeliani considera con simpatia l’atteggiamento di Putin in campo internazionale.

CANZANO 8- Fiamma Nirenstein è stata nominata nuovo ambasciatore d’Israele in Italia, lei che vive in Israele, ma è nato e vissuto in Italia per molti anni, come vede la figura della Nierenstein in questo ruolo?

TOAFF – Mi pare una nomina molto problematica, dato che in un passato relativamente recente era stata eletta deputato al Parlamento Italiano. Ora dovrebbe rappresentare Israele, dove si è trasferita solo pochi mesi fa, per poi rientrare in Italia per cercare senza successo l’elezione a presidente della comunita’ebraica di Roma. Non è certamente un modello di coerenza da tutti i punti di vista.




Il caso “Ariel Toaff” e il mestiere dello storico
La ricostruzione meticolosa di una vicenda amara che ha coinvolto un autore, un libro e il mondo intellettuale in Italia, ma che ha avuto una forte incidenza anche a livello internazionale e nell’ebraismo. Da “Vita e Pensiero” n. 2, 2007, pp. 98-111
di Franco Cardini

http://chiesa.espresso.repubblica.it/ar ... 51841.html

“Oportet ut scandala eveniant”. Dall’incresciosa, dolorosa vicenda che in meno di un mese ha trascinato il libro di Ariel Toaff, “Pasque di sangue”, dall’olimpo dei successi annunziati all’inferno di una curiosa e imbarazzante versione postmoderna e postdemocratica dell’ingresso nell’Index Librorum Prohibitorum, ho per quel che mi riguarda tratto una triste lezione. Questa: che, quando all’orizzonte editoriale (e massmediale) compare il libro di uno storico considerato tale dalla comunità degli studiosi e munito dei contrassegni che tale lo qualificano anche a livello d’opinione pubblica (ad esempio una cattedra universitaria), si dovrebbe proibire (se non proprio per legge, quanto meno per esplicito patto d’onore tra chi fa della ricerca storica la sua professione) che i suoi colleghi parlassero di lui sui giornali, alla radio e in tv almeno per un mese. Ch’è poi un tempo ragionevole per farsi di un nuovo libro un’idea precisa, per leggerlo a fondo, per discuterne con altri specialisti. Altrimenti, si corre il rischio di rendersi obiettivamente complici di situazioni politiche o massmediali poco chiare e che comunque nulla hanno a che fare con la ricerca.

La serie delle recensioni al libro del Toaff fu avviata da Sergio Luzzatto (“Corriere della Sera”, 6 febbraio 2007), che ne parlava in termini entusiastici. Un po’ troppo presto, visto che poco tempo poteva aver avuto per farsene una seria opinione. Altri (anch’io) lo hanno seguito su questa strada, anche se quasi sempre con posizioni differenti dalle sue.

Mi sembrava comunque, e continua a sembrarmi, che Ariel Toaff avesse cercato di affrontare, forse con imprudenza, ma comunque con molto coraggio – solo uno studioso ebreo avrebbe potuto osare tanto –, e soprattutto con molta “pietas”, il nero grumo di vergogne e di miserie, il mistero celato in fondo al pozzo profondo della storia del “blood libel”, l’accusa degli infanticidi rituali.

Il Toaff rivede e ridiscute l’ipotesi che in qualche caso l’accusa del ratto e dell’assassinio di bambini cristiani come vendetta per le atrocità e le umiliazioni subìte (e, a maggior ragione, la profanazione delle ostie consacrate: altro tema caratteristico oggetto di ricorrenti accuse) possa aver corrisposto a episodi realmente accaduti; e va detto che la responsabilità di qualche ebreo reso folle dalle persecuzioni, o soggetto d’inclinazioni criminali o comunque patologiche che esse avevano scatenato, finisce in ultima analisi per trasformarsi in una pesante responsabilità ulteriore per i suoi persecutori.

Quanto ai perseguitati, è ovvio che le comunità ebraiche nel loro complesso debbono esser lasciate fuori dal sospetto di responsabilità in aberrazioni di qualunque tipo: che poi dall’indagine del Toaff emergano sospetti e indizi che qualcosa del genere possa comunque esser accaduto, a opera di isolati gruppi di fanatizzati o di plagiati, è un altro paio di maniche. I pazzi, i criminali, i poveracci esasperati dai soprusi patiti che decidono, avendone l’occasione, di vendicarsi in modo tanto atroce e miserabile colpendo dei deboli più deboli di loro, sono purtroppo sempre esistiti dappertutto e in tutte le culture: e sarebbe una curiosa forma di razzismo al rovescio sostenere che da queste aberrazioni solo gli ebrei siano sempre e comunque immuni. Ma va da sé che le comunità non possono esser coinvolte nelle responsabilità di singoli folli, o fanatici, o criminali.

Quel che a una rilettura più attenta e riposata del libro del Toaff non convince sta nel fatto che egli adotta il metodo del “paradigma indiziario” ma, nelle conclusioni pratiche, sembra discostarsene trasformando alcuni indizi in prove: e quindi le sue ipotesi su alcuni probabili casi di omicidio rituale in tesi fondate sull’esistenza di vere e proprie sette ashkenazite che tali riti avrebbero in effetti praticato; appare impossibile, poi, che il sangue sia mai stato usato per impastare il pane azzimo del Pesach, cosa questa del tutto incredibile a meno di non ipotizzare effettivi casi di follia e di plagio, ma comunque eccezionali e isolati (e non ci sono fonti per affermare tutto ciò); infine, disturbano certi anacronismi frutto forse della volontà di far presa su un pubblico ampio (come l’uso del termine “fondamentalista” per qualificare atteggiamenti settari risalenti al Medioevo).

Il nodo della questione, tuttavia, sta nell’opportunità di avanzar ipotesi storiche su argomenti a proposito dei quali vi sia ragionevole motivo di pensare che l’opinione pubblica che con essi potrebb’esser chiamata a confrontarsi non sia né preparata, né matura per un compito del genere. In altri termini: è verissimo quel che il Toaff stesso e altri studiosi hanno fatto notare, vale a dire che ormai da anni quelle ipotesi venivano tranquillamente dibattute tra gli studenti – israeliani e per giunta in molti casi ebrei osservanti – nei seminari tenuti a Bar-Ilan, senza che ne fosse nato il minimo scandalo. Ma le verità scientifiche, o comunque l’oggetto delle discussioni specialistiche, possono sempre e comunque venir allargate fino a entrar in contatto con un pubblico più largo, e per ovvie ragioni non competente? Qui la questione coinvolge da un lato i livelli di cultura di una società civile, dall’altro il delicato e spinoso tema del rapporto tra conoscenza scientifica e divulgazione. E, in ultima analisi, quello della libertà di ricerca, del dovere di comunicarne gli esiti a tutti e della difficoltà che tali esiti siano correttamente compresi, che consiglierebbe invece un riserbo difficile da conciliarsi con i principi di trasparenza e di democrazia.

Ipotesi, giudizi e pregiudizi

Quanto al saggio in sé, al di là degli errori, delle lacune e delle contraddizioni che alcuni recensori hanno segnalato, credo comunque che il limite davvero importante di questa ricerca, quello che ne costituisce la debolezza strutturale, sia la sua continua confusione concettuale tra fatti certi e acclarati, ed eventi emersi invece dalle confessioni estorte sotto tortura: confusione concettuale volontaria, derivata forse da un’errata impostazione metodologica dell’uso del “paradigma indiziario” e comunque vòlta alla verifica di un’ipotesi che pur resta tale, quella della possibile veridicità di certi episodi di infanticidio rituale. L’abilità, l’erudizione e il fascino stesso di alcuni argomenti usati, come quelli relativi al culto magico-tradizionale del sangue nella cultura ashkenazita, che si riallaccia alle ricerche sulla sacralità del sangue condotte dallo Eliade, dallo Jesi, dal Camporesi e da altri, conducono in realtà solo alla conferma della plausibilità indiziaria delle ipotesi: sarebbe illogico ogni tentativo di passare dal campo delle ipotesi a quello delle tesi, in quanto sempre e comunque d’indizi, mai di prove, si tratta. Questa rigorosa distinzione tra indizi e prove, tra ipotesi e tesi, non sempre è stata mantenuta chiara dal Toaff nel libro; e tanto meno poi nelle polemiche successive.

Ma questa non è ancora la cosa più inquietante nella sede e nel contesto che andiamo qui esaminando. In uno degli interventi giornalistici più intelligenti ed equilibrati che quest’incresciosa vicenda ha registrato, Alessandro Barbero ha rilevato “un’inquietante differenza tra i toni e i modi impiegati dagli storici di professione, per lo meno in Italia, e quelli provenienti da altri àmbiti della società civile” (“La Stampa - Tuttolibri”, 3 marzo 2007). Non posso condividere del tutto il suo generoso ottimismo quanto agli storici di professione. M’impedisce di farlo un elementare accorgimento euristico: l’escussione seriale, se non di tutte, quanto meno delle principali recensioni dedicate al libro del Toaff, e il loro confronto con quanto stava intanto accadendo. Il quadro che ne risulta è inquietante: è evidente che le ragioni della politica e dell’ideologia da una parte, il peso dei mass media dall’altra, hanno irreparabilmente invaso il terreno della ricerca storica e che gli studiosi non sono riusciti a mantenersi immuni dalla complicità obiettiva in tutto ciò.

Il 6 febbraio, mentre Sergio Luzzatto salutava sul “Corriere” quello del Toaff come un “magnifico libro di storia”, venne diffuso un comunicato dei rabbini capi delle comunità israelitiche della Penisola: “Non è mai esistita nella tradizione ebraica alcuna prescrizione né alcuna consuetudine che consenta di utilizzare sangue umano ritualmente. Questo uso è anzi considerato con orrore” ( A. Carioti, “Corriere della Sera”, 7 febbraio 2007; F. Isman, “Il Messaggero”, 7 febbraio 2007; G. Ismara, “La Repubblica”, 7 febbraio 2007). Nessun dubbio sull’assoluta correttezza di tale dichiarazione, corrispondente peraltro a un fondamento dell’ebraismo del quale lo stesso Ariel Toaff si dimostra ben consapevole.

Meno condivisibile la parte successiva della dichiarazione: “È assolutamente improprio usare delle dichiarazioni estorte sotto tortura secoli fa per costruire tesi storiche tanto originali quanto aberranti”. Dal momento che proprio questo è il punto centrale dell’assunto del Toaff, questo giudizio sembrerebbe “tracimare” nel senso d’una censura nei confronti della libertà di ricerca, che include quella dell’esplorazione di tutte quelle metodologie che lo storico ritiene volta per volta adatte ai suoi fini scientifici. Al documento dei rabbini tenne immediatamente dietro la piccata controreplica di Ariel Toaff, evidentemente irritato e soprattutto (ben comprensibilmente) dispiaciuto per il fatto che la cosa avesse in qualche modo coinvolto anche suo padre, il rabbino emerito Elio Toaff: “Quella dei rabbini è una dichiarazione obbrobriosa: se, prima di giudicare, avessero letto il libro se la sarebbero potuta tranquillamente risparmiare”. Resta il fatto che il libro si guarda bene dall’affermare che gli assassinii rituali siano davvero in questo o in quell’altro caso avvenuti: si limita a dimostrare come non si possa escludere che in qualche caso essi possano aver in effetti avuto luogo. Ariel Toaff non “rovescia” affatto il valore storico degli atti processuali; al contrario, ne ribadisce la problematicità quando s’intenda usarli come fonti storiche; dimostra che essi non possono esser certo usati come prova per affermare, ma neppure per negare con sicurezza. Sarebbe forse bastata una seria e generale presa d’atto di questo particolare per uccidere sul nascere la malapianta di tutta la malsana polemica. La storia non è fatta solo di certezze: che, anzi, a ben guardare sono piuttosto poche; essa è fatta anche di dubbi sovente destinati a rimaner tali, di articolazioni, di sfumature, di casi particolari, di verità che non sempre si possono incontrovertibilmente provare.

Insomma, Ariel Toaff ha avuto il merito di ricordarci ancora una volta che non è detto che tutte le vittime siano anche “innocenti” (come accadeva nel caso delle streghe, le quali certo non volavano per l’aria né si accoppiavano con il diavolo, ma spesso erano responsabili di aborti e di venefici) e che le fonti processuali nelle quali siano implicate confessioni estorte sotto tortura non riescono purtroppo né a escludere la colpevolezza né a provare l’innocenza del torturato che confessa; provano soltanto, ohimè, ch’egli ha confessato sotto tortura. Nel caso degli infanticidi rituali, resta in piedi l’ipotesi toaffiana che in alcuni casi essi possano aver avuto luogo: e gli indizi alla luce dei quali è possibile avanzare un’ipotesi del genere sono ben illustrati dalla documentazione ch’egli presenta e discute a proposito della cultura ashkenazita. Che alcuni eventi delittuosi si siano davvero verificati permane non provato: e, comunque, è ovvio che se qualcosa del genere avvenne, l’ebraismo, nemmeno quello ashkenazita, non può esserne in alcun modo ritenuto responsabile; ci troveremmo evidentemente dinanzi a raccapriccianti esempi patologici. Ma ciò non toglie che il libro del Toaff dimostri bene, a contrario, che anche la vulgata innocentista poggia, di per sé, sull’ipotesi: è frutto d’un paradigma indiziario, se non d’un puro e semplice pregiudizio fino a oggi quasi indiscusso per motivi di pruderie che possono benissimo esser comprensibili, ma che nulla hanno a che fare con le ragioni della ricerca scientifica. Quella della costante innocenza è un’ipotesi più gradevole e tranquillizzante? Certo. Più verosimile e credibile? Molto probabilmente. Ma neppur essa è suffragata da prove certe. Qualche eccezione può esserci stata: il Toaff ne ha cercato gli indizi. Tutto qui.

Cresce la polemica

Intanto, però, montava la tempesta. Con un procedimento giornalisticamente parlando atipico, “Repubblica” pubblicava fra l’8 e il 10 febbraio tre successive recensioni negative, a firma Anna Foa, Giacomo Todeschini e Adriano Prosperi. La Foa segnalava che dopo la “sensazionalistica” lettura che del libro aveva dato il Luzzatto la questione stava ormai tracimando nei media, e si chiedeva se lo stesso Toaff non avrebbe fatto bene a prenderne in qualche modo, prudentemente, le distanze. Sottolineando che il suo era un intervento “a caldo” – e con ciò sottintendendo che, per lei come per altri, il tempo di leggere con cura il lavoro del Toaff non c’era per il momento stato – la studiosa dichiarava di volersi occupare solo della questione delle fonti, “in attesa che gli storici affrontino e discutano queste tesi senza scomuniche ma anche senza apologie” e senza nascondere che l’affermazione che gli omicidi rituali avrebbero potuto essere in qualche modo una realtà, sia pur eccezionale, marginale e non certo ortodossamente avallabile, avrebbe comportato “implicazioni [...] sul terreno dell’attualità”. Anche per questo motivo, la Foa riteneva che, per un’affermazione del genere, il Toaff avrebbe dovuto essersi imbattuto “in una messe di fonti inoppugnabili, sfuggite finora all’attenzione tanto degli storici quanto dei giudici passati”. Da qui la delusione, onestamente e non retoricamente formulata, dinanzi al dato di fatto che tali nuove fonti non ci sono, che il Toaff si limita a rileggere quelle esistenti rovesciando le conclusioni degli storici precedenti e che per giunta passa “frequentemente e con disinvoltura dal condizionale delle ipotesi all’indicativo delle affermazioni”, sostenute dalle molte indicazioni erudite riguardanti non tutto il mondo ebraico, bensì il più chiuso ambiente ashkenazita.

Proprio qui, in questa bella e onesta recensione – e proprio in quanto essa è tale –, si colgono bene le radici dell’intero equivoco del quale Ariel Toaff è stato vittima, anche se non senza colpe da parte sua. Il punto è che egli ha condotto il suo lavoro unicamente sul terreno indiziario: grave errore è stato (se non si è trattato di un lapsus poi mantenuto e rivendicato per esasperazione polemica: cose che possono succedere) il suo passar dal condizionale delle ipotesi all’indicativo delle affermazioni. Ma la richiesta di prove nuove e schiaccianti, di per sé, non è in questo caso legittima: non è certo, questo del Toaff, il primo caso di studio storico anche importante che non produce alcun documento nuovo né inedito, ma si fonda sulla rilettura critica di fonti già nuove, conseguendo così risultati importanti e magari rivoluzionari. Ariel Toaff getta nuova luce su quei lontani episodi e ci aiuta meglio a comprendere il clima e le tensioni di quel tempo: l’ipotesi che la realtà di alcuni infanticidi non sia da scartare, per quanto ipotesi resti, non è affatto irrilevante nella restituzione storica di quel passato. Lo storico che senta di poterla in buona fede avanzare è tenuto a farlo e dev’esser libero di poterlo fare: né si vede come ciò possa comunque tradursi in forme di sospetto o di accusa suscettibili di macchiare la memoria delle comunità ebraiche nel loro complesso.

Tuttavia, l’articolo di Anna Foa si chiudeva su una considerazione moralmente ineccepibile, al tempo stesso però rivelatrice di tutta la spiacevole vicenda. “Un’ultima parola su una questione che non tocca la storia ma la memoria. La memoria dell’uso che di queste accuse è stato fatto nel corso della Shoah è ancora troppo viva perché non si debba usare un certo riguardo nel ricostruire, e per di più senza reali supporti, immagini angosciose di ebrei che commerciano sangue umano. Se questo può spiegare il sensazionalismo, spiega anche l’emozione che lo ha accolto, che esige rispetto e toni smorzati”.

Il giorno 9, sullo stesso quotidiano, era la volta di Giacomo Todeschini, che avrebbe ribadito e precisato le sue posizioni in un’intervista concessa a “Il Manifesto” il 14 febbraio. Egli a sua volta ribadiva l’ingegnosità del puzzle combinatorio di fonti messo insieme dal Toaff, ma anche l’assenza d’un tessuto di prove. Appare tuttavia un po’ troppo rigido, da parte di un fine e competente recensore come lui, il giudizio che le differenti tipologie di fonti usate dal Toaff siano “connesse, spregiudicatamente, da interpretazioni libere e ingiustificate “. Qui davvero si renderebbe necessaria, nell’interesse degli studi, una recensione lunga, accurata e analitica, evidentemente da pubblicarsi in adeguata sede scientifica. Il Todeschini si esprime – in termini che contrastano con la sua abitale, misuratissima compostezza – in modo molto severo: siamo dinanzi a “un libro di storia mal fatto”, con “vistose lacune metodologiche e bibliografiche”, “fondato sulla rilettura non critica di fonti processuali cristiane, la cui logica è stata da tempo decodificata dagli storici”. Ma il recensore avviava le sue considerazioni denunziando “un libro facilmente utilizzabile da parte di chi oggi nega la differenza fra carnefici e vittime”. Una preoccupazione etica del tutto lecita e anche nobile, tuttavia extrascientifica: e quanto davvero obiettivamente giustificabile?

Il 9 febbraio Roberto Beretta intervistava su “Avvenire” Anna Foa, visibilmente contrariata per le interviste intanto concesse da un Ariel Toaff ormai molto preoccupato per la piega presa dagli avvenimenti. Ma proprio le dichiarazioni della Foa, che non escludeva che qualche “scheggia impazzita” potesse aver allignato nelle comunità ebraiche, dimostrava il nucleo della fondatezza del metodo del Toaff e la sua utilità storiografica: anche se esprimeva stavolta una condanna diretta contro il fatto che il libro “ritiene che per quattro secoli gli ebrei ashkenaziti si siano dedicati all’omicidio nel quadro di una ritualità trasformata in odio contro i cristiani”. Molto onestamente: ho riletto con attenzione per intero il libro del Toaff, e non ho rintracciato questa certezza; vi ho trovato – al di là della “retorica” segnalata dal Todeschini e d’una ridondanza in termini di discussione delle fonti e di rinvii a carattere antropologico che finiscono forse con l’apparire svianti – solo ipotesi di delitti compiuti appunto da “schegge impazzite” del mondo ashkenazita. Certo, esiste forse una discrepanza tra il tono talora baldanzoso del libro e il carattere “minimalista” dei suoi risultati: ma il suo autore si era mosso comunque solo nella prospettiva di ottenere, appunto, quei risultati “minimalisti”.

Quello stesso giorno “l’Unità” pubblicava un’intervista di Tobia Zevi a Marina Caffiero, che con molto equilibrio si diceva preoccupata delle ripercussioni massmediali del libro e del “sensazionalismo” che si era fatto intorno ad esso. Ma dalla sua intervista affiorava un altro elemento, tuttavia non sottolineato: il clima di violenza e d’intimidazione che intanto andava montando attorno ad Ariel Toaff, impossibilitato perfino ad andar a visitare il padre perché il quartiere ebraico romano non era, per lui, più sicuro. E, per giunta, sulla base di un libro che quasi nessuno aveva letto e pochissimi degli stessi recensori per intero o con la dovuta attenzione, per obiettiva mancanza di tempo. Il 10 usciva su “Repubblica” la recensione del Prosperi, molto più dura delle precedenti.

Su “Il Giornale” del 12 febbraio, un editoriale di Massimo Introvigne confrontava il metodo del Toaff con quello di Margaret Murray a proposito dei processi alle streghe e gli rimproverava l’argomento della somiglianza delle confessioni come prova della veridicità dell’accusa. Più tardi (“Il Settimanale”, 3 marzo 2007), andava oltre per fornire un’importante pista sussidiaria per aiutare noialtri non-israeliani a capire meglio lo speciale clima che si respira nelle Università d’Israele, “dilaniate fra una componente religiosa e una laicista”, tra gli ultraortodossi, gli haredim, e i “laici”, gli tzabarim: la polemica tra i quali assumerebbe talvolta, stando agli esempi riferiti dall’Introvigne, toni che ci ricordano le diatribe ispirate al razzismo. Introvigne ritiene che l’accusa del sangue potrebbe essere uno scheletro tirato fuori dall’armadio degli tzabarim in funzione polemica – e calunniosa – contro gli habarim. L’ipotesi è interessante e divertente: ma allora non c’è contraddizione che il “blood libel” sia affiorato proprio a Bar-Ilan, e per giunta a causa del libro scritto da un rabbino, anche se noto per le sue idee politiche di sinistra? Poche, anche se autorevoli, le voci di storici e di giornalisti alzatesi in difesa del Toaff (oltre al sottoscritto per più volte su “Avvenire”): un articolo di Maria Giuseppina Muzzarelli (“Quotidiano Nazionale”, 12 febbraio 2007), una nota di Riccardo Chiaberge (“Il Sole 24 Ore”, 11 febbraio 2007), alcuni puntuali argomenti esposti da Dreyfus (“Libero”, 11 febbraio 2007) ma purtroppo coperti dallo pseudonimo.

Risvolti internazionali

l punto di non ritorno sembrò essere stato raggiunto il 13 febbraio, allorché giunsero alla stampa italiana, che dal canto suo continuava a pubblicare recensioni sul caso Toaff, anche alcuni autorevoli pareri dagli Stati Uniti e da Israele. A un’intensa, addolorata, commovente testimonianza dell’“ebreo laico” Amos Luzzatto (“Il Riformista”, 13 febbraio 2007), che ammetteva la possibilità di casi isolati di ferocia ma sottolineava il dolore e le violenze subìte nei secoli, facevano riscontro i densi resoconti di Alessandra Farkas e di Davide Frattini (“Corriere della Sera”, 13 febbraio 2007), relativi alla generale levata di scudi, sia negli Stati Uniti sia in Israele, contro le tesi di Ariel Toaff.

In effetti, le accuse c’erano state: categorico Ronnie Po-Chia Hsia, su “Haaretz”, 20 febbraio 2007, che insisteva soprattutto sull’inattendibilità dei documenti relativi al caso Simonino; implacabile Roberto Bonfil, della Hebrew University di Gerusalemme, per il quale “la tesi di Toaff è un’offesa al buon senso, costruita con retorica insinuante, irresponsabile, metodologicamente priva di qualsiasi fondamento. Un’offesa alla memoria delle vittime della tortura” che fornisce argomenti agli antisemiti e vanifica l’attendibilità dello stesso mestiere di storico (“Repubblica”, 15 febbraio 2007); “allibito” anche Yosef Yurushalmi, della Columbia University, che però ammetteva di non aver ancora letto il libro. Kenneth Stow, dell’Università di Haifa, non solo respingeva l’assunto del Toaff, ma lo accusava di fornire armi all’estremismo musulmano e a quello cattolico e ipotizzava che l’idea del libro incriminato potesse esser nata da dissapori tra il suo autore e la Bar-Ilan University. Soltanto Simon Levis Sullam, di Berkeley, spezzava una lancia a favore di uno studioso vittima della “censura preventiva” da parte della comunità ebraica romana insofferente di qualunque critica all’ebraismo e dogmaticamente decisa a farne passare tutti gli esempi come sintomo di antisemitismo. Dall’Università di Bar-Ilan giungevano tuttavia segni rassicuranti, espressi dal portavoce Shmuel Algarbali e dal presidente Moshe Kaveh, dopo aver avuto un incontro con Ariel Toaff: ma il quotidiano “Haaretz” rivelava che l’ateneo aveva ricevuto pressioni affinché Toaff fosse licenziato, e lo studioso si era detto pronto al passo delle dimissioni per non nuocere alla sua università, che riceve appoggio finanziario da ambienti dell’ebraismo ortodosso statunitense dal quale erano giunti forti segnali di malumore e minacce di tagliare i fondi. Una posizione durissima era stata assunta, in particolare, da Abraham Foxman, presidente dell’Anti-Defamation League (Adl). Ma almeno alcuni ricercatori della Bar-Ilan erano insorti contro qualunque misura limitatrice della libertà di ricerca, sottolinean do anche la stima della quale il Toaff gode tra i suoi studenti. In effetti, egli era ormai sicuro che la sua patria israeliana l’avrebbe compreso meglio di quella italiana: ed è quanto, non senza amarezza, aveva dichiarato al “Jerusalem Post”.

Evidentemente, le pressioni congiunte dei finanziatori statunitensi della sua università e quelle dell’Adl – alla quale lo studioso ha offerto i proventi del libro – hanno obbligato il Toaff a un gesto estremo, che egli ha accettato di fare per il bene dell’istituzione cui appartiene (e forse come condizione per rimanere al suo posto): chiedere al Mulino di bloccare la distribuzione dell’opera, al fine dichiarato di “prevenire un ulteriore uso distorto del mio libro per la propaganda antisemita”. Che il danno ci sia, e che sia irreparabile, è opinione del rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, uno studioso e un uomo di straordinarie doti di comprensione e di apertura: ma che, in questo caso, si è espresso ripetutamente in modo molto rigoroso, rimproverando anche al Toaff l’uso d’uno stile retorico in funzione accattivante per il grande pubblico: il che, tuttavia, non sembra in senso generale una colpa (“Corriere della Sera”, 11 marzo 2007). Le comunità ebraiche hanno espresso, sembra concordi, il timore che il libro del Toaff potesse venir usato in funzione della propaganda antisemita, sia in Occidente sia nei Paesi musulmani. Preoccupazione ragionevole: ma fino a che punto l’averlo fatto circolare sarebbe stato più grave dell’averlo fermato, sollevando un alto e confuso rumore?

Il ritiro ha fatto scalpore nello scalpore. Che uno studioso serio si lasci convincere da alcune recensioni comparse su quotidiani, sia pure recanti illustri firme di autorevoli colleghi, ma caratterizzate comunque da quella sinteticità che nei giornali è inevitabile, che un suo lavoro costato sette anni di ricerche e di riflessioni sia sbagliato al punto di chiederne il ritiro – il che nella pratica equivale a un rinnegarlo, sia pur edulcorando poi il boccone amaro con la promessa d’una riedizione che tenga conto delle critiche (evidentemente ancora tutte da esprimere in termini analitici) – non è evidentemente credibile.

Dopo il ritiro: una sconfitta per tutti

Un libro ritirato dal commercio, in un Paese libero, è una cosa grave: è una sconfitta per tutti, perché è una sconfitta della libertà. E parecchie coscienze debbono esserne rimaste scosse; molti storici, anche tra chi non aveva apprezzato il libro, hanno avvertito a questo punto la gravità effettiva dell’accaduto. Il 16 febbraio scendeva nell’agone (“L’Espresso”, 22 febbraio 2007) col suo solito regale stile da Gatto del Cheshire, nientemeno che Umberto Eco, il quale, elegante e distaccato, premessa una formale dichiarazione d’incompetenza, proseguiva saggiamente scrivendo che “sono sempre esistiti nel corso dei secoli personaggi che riguardano, più che la storia delle religioni, quella della psichiatria”. Il punto è che, quanto a orrori, non c’è civiltà che si salva: e non si vede proprio perché solo gli ebrei dovrebbero essere immuni dalla follia e dal crimine. È poi così grave se Ariel Toaff ne ha rintracciato, nelle fonti processuali di alcuni secoli fa, gli indizi? C’era davvero bisogno, dinanzi a un lavoro che in fondo, nella peggiore delle ipotesi, ci ricorda che anche gli ebrei sono soggetti ai mali di tutti gli altri esseri umani, di evocare le ombre oscure dei campi di sterminio e di tirar in ballo le frange lunatiche dei rottami antisemiti?

La divertente pagina di Eco è stata seguita due giorni dopo da un severo e rigoroso articolo di Piero Ignazi (“Il Sole 24 Ore”, 18 febbraio 2007) dove con estrema energia si inchiodano alla loro responsabilità “autorità religiose, gruppi di pressione, e accademici senza pudore né rigore” che si sono prestati a condannar duramente e senza appello un libro che non avevano neppure letto (e in qualche caso lo confessavano) e si denunzia la fatwa contro non solo un libro, ma anche un uomo, richiamando la comunità accademica italiana, nel nome della “Magna Charta Universitatum” di Bologna e dei principi in essa sanciti, a tutelare con forza la libertà intellettuale e quella di ricerca. “Non ci interessa sapere se Toaff abbia o no ragione nel suo lavoro: questo lo decide la comunità accademica, l’unica intitolata a dare giudizi. Gli altri, per cortesia, si astengano [...]. Non abbiamo proprio bisogno di un orwelliano ministro della storia”.

Il giorno dopo Ignazi, è stata la volta di Pierluigi Battista (“Corriere della Sera”, 19 febbraio 2007) che, seguendo e anzi perfezionando l’esempio di Eco, non ha neppure nominato Ariel Toaff, ma si è dedicato di nuovo a un caso classico, quello di Hannah Arendt e delle dolorose vicende del suo libro “Eichmann in Jerusalem” del 1963: accusata a torto, abbandonata dai migliori amici, la Arendt tuttavia “non ritrattò, non fece abiura, e non ritirò il suo libro”. La chiusa dell’articolo parrebbe una critica al Toaff. Ma quel che qualifica il “pezzo”, è l’inizio: “Giusto ricordare Hannah Arendt, di questi giorni. Conviene tenere a mente uno degli esempi più eclatanti di cosa accade quando un libro viene scomunicato e chi l’ha scritto messo al bando. Con una ferocia smisurata, anche se animata dalle migliori intenzioni, o nel nome di ragioni nobili e sacrosante”.

La pagina di Carlo Ginzburg su “Repubblica” del 23 febbraio, duramente critica nei confronti di “un libro pessimo”, fondato su “un cumulo di strafalcioni”, ha uno straordinario valore proprio in quanto si situa qualche giorno dopo l’articolo dell’Ignazi e il ricordo della Arendt vergato dal Battista: cose che egli non cita ma che non crediamo gli siano passate inosservate. In effetti il Ginzburg ribadisce con molta fermezza che la ragione della sua condanna è esclusivamente e puramente scientifica: “per fortuna gli studiosi hanno scritto di questo libro quello che si merita”. Il che, intendiamoci, può benissimo darsi. Quel che non corrisponde al vero è che la questione sia stata solo scientifica e che gli studiosi ne abbiano tutelato la scientificità. Essi hanno scritto sui medesimi giornali sui quali infuriava la polemica politica e massmediale, e a essa hanno obiettivamente prestato la copertura legittimatrice della loro autorevolezza.

Lastra tombale su tutta questa triste, imbarazzante storia; dopo la Adl, che senza neppur leggere il libro lo aveva dichiarato “ignobile”, ecco il 27 febbraio la condanna del libro da parte della Commissione per l’istruzione della Knesset: “Il libro non meritava di essere scritto e pubblicato”, si è affermato durante una riunione parlamentare nel corso della quale una deputata ha addirittura proposto di processare l’autore; la commissione si è limitata a una “condanna morale”, ma ha ipotizzato l’opportunità di verificare “la possibilità di creare un sistema di controllo scientifico (delle pubblicazioni accademiche)” (“Repubblica”, 27 febbraio 2007). Siamo, nell’affermazione del pensiero unico e del liberticidio, sulla buona strada.

A questo punto, una qualche resipiscenza ha còlto un buon numero di studiosi che, dinanzi alla scomunica comminata da un’assise politica, si sono scossi e hanno dichiarato che questo non va bene, che bisogna tutelare l’autonomia della ricerca eccetera. Meglio tardi che mai; meglio una protesta timida che il silenzio-assenso.

Insomma, una gran brutta pagina della nostra storia intellettuale e anche politica, dalla quale usciamo tutti sconfitti: anche i “vincitori”, perché il vincere facendo sparire dalle biblioteche (e riapparire al mercato nero librario e in infinite forme di samizdat) un libro costato anni di ricerche a uno studioso serio e stimato, assistere alla sua umiliazione e rischiar di trovarsi corresponsabili della sua rovina morale, professionale e forse profondamente intima non è una vittoria della quale ci si possa vantare. Quanto all’antisemitismo, pur ammesso che abbia ancora qualche spazio in Occidente, la circolazione di questo libro gli avrebbe fatto fare un passetto da tartarughina; la sua sparizione coatta in seguito a una fatwa gli farà percorrer passi da gigante. Questo sì è un regalo ai veri nemici dell’ebraismo e d’Israele. Ora, convincer la gente che non esista una lobby ebraica sarà molto più difficile.

E divertiamoci, giunti alla fine di questa faticosa ricostruzione d’una polemica penosa, a costruir con la fantasia (nemmeno ce ne vuol tanta) due scenari alternativi. Immaginiamoci che un cattolico scriva un libro nel quale si rivela, magari mentendo, che una qualunque comunità ecclesiale è o è stata affetta da chissà quale turpe vizio, e che il Vaticano cerchi d’impedir a quel libro di circolare. Figuriamoci un musulmano che scopra, magari sbagliando, i funesti segreti d’una qualche confraternita di devoti e ci scriva sopra un saggio a causa del quale si buschi una fatwa dall’Università di al-Azhar. Ve li vedete, i virtuosi e indignati commenti dei giornali, l’insorgere compatto d’intellettuali e politici contro il mostro fondamentalista, le “prime serate” tv invase da paladini indefessi del Libero Pensiero, gli appelli alla libertà di pensiero, le raccolte di firme, le vignette sui giornali, le marce di protesta, magari gli scioperi della fame? Perché, in questo caso, nulla di ciò è accaduto? Perché, con qualche rara eccezione, chi non ha applaudito a un autore lapidato e a un libro scomparso ha dato l’impressione di voltar la testa dall’altra parte, di far finta che non stesse succedendo nulla?
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » gio nov 09, 2017 7:01 am

La nuova fuffa di Avraham Yehoshua
Niram Ferretti
11 settembre 2017

http://www.linformale.eu/stadio-termina ... m-yehoshua

Avraham Yehosuha, di cui ci siamo già occupati, costituisce insieme ad Amos Oz e David Grossman la più celebre trimurti de-occupazionista israeliana. Per Yehoshua e gli altri due celebri scrittori israeliani il grande peccato di Israele è “l’occupazione” della Giudea e Samaria (Cisgiordania-West Bank) da parte dell’esercito israeliano dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967. Certo, Yehoshua è consapevole di una certa animosità araba e islamica nei confronti di ebrei e israeliani, tuttavia l’”occupazione” trafigge e fa sanguinare il suo cuore di illuminista progressista. Una volta rimossa, le cose andranno bene.

In una recente e lunga intervista concessa a Wlodek Goldkorn dell’Espresso, Yehoshua tesse la sua narrazione sul conflitto alternando menzogne e whisful thinkings che purtroppo si scontrano con il solito inscalfibile scoglio rappresentato dalla pietra dura dei fatti, che, nella fantasia del romanziere, diventa molle come plastilina e plasmabile in molti modi.

Ma occorre ascoltarlo.

“Il fatto è che i palestinesi ripetutamente hanno rifiutato le vane offerte dei vari premier israeliani; da Rabin a Barak a Olmert. La loro leadership non è mai stata in grado di prendere decisioni difficili. E così oggi gli stessi palestinesi sono consci del fatto che, nel quadro di una ipotetica spartizione della Palestina storica (Israele più Cisgiordania) il massimo che possono ottenere è un territorio frammentato, discontinuo. Ho detto che sono consci, ma talvolta ho invece l’impressione che la leadership palestinese speri in un miracolo, un qualcosa di prepolitico che risolva i problemi. Ma poi, al di là delle mie critiche e della sua narrazione della quotidianità (e vorrei ricordarle che ci sono interi strati della popolazione che soffrono) va detto che la realtà dell’occupazione militare è disgustosa e perversa. E non se ne vede la fine. Il numero dei coloni è in crescita e loro sono sempre più arroganti. Ogni tanto mi viene la voglia di dire ai palestinesi: ma vi rendete conto che più dura l’occupazione e più terra vi viene confiscata, rubata? Mi permetta di aggiungere un altro elemento: i palestinesi cittadini israeliani. Sono quasi due milioni, potrebbero avere 25 deputati sui 120 in Parlamento e cambiare fin dalle fondamenta la stessa struttura della nostra politica. Invece ci sono solo 13 deputati palestinesi che litigano tra di loro. Prendiamo il caso dell’Irlanda ai primi del Novecento: i deputati Irlandesi al parlamento di Londra hanno saputo lavorare dentro le istituzioni inglesi per favorire la nascita di una repubblica nel Sud della loro isola. I palestinesi nostri non ne sono capaci e mi dispiace”.

Su una cosa Yehoshua ha ragione. Va detto subito. È quando afferma che “la leadership palestinese spera in un miracolo”. Si tratta infatti della sparizione di Israele. Intento perseguito fin dalla fondazione dell’OLP nel ’64, non a caso la “l” e la “P” nell’acronimo stanno per “liberazione” della “Palestina” dal Giordano al Mediterraneo. Ma è un miracolo che non è occorso, al suo posto, invece c’è stato l’altro miracolo, quello della persistente esistenza di Israele, circondato com’è da nemici che hanno tentato a più riprese di farlo fuori. Al di là di questa breve considerazione tocca soffermarsi sulla rappresentazione nera dei “coloni”, veri e propri villain che così tanto appassionano Yehoshua e i suoi sodali letterari (e non solo loro, naturalmente). Essi “confischerebbero” e “ruberebbero” la terra ai palestinesi. Curioso. Perché una proprietà venga confiscata e rubata essa deve avere un legittimo proprietario. Tuttavia i territori della Giudea e Samaria, assegnati senza limitazioni dal Mandato Britannico per la Palestina del 1923 agli ebrei per potervisi insediare e successivamente annessi illegalmente dalla Giordania nel 1951 fino al 1967, non hanno un legittimo assegnatario, anche se, con ottime ragioni, (la Conferenza di San Remo del 1922 e appunto e il Mandato Britannico del 1923), Israele potrebbe rivendicarne piena e legittima sovranità. Ma questo a Yehoshua non interessa. A lui, romanziere di successo interessa la fiction dei coloni espropriatori, perfettamente funzionale alla narrativa dei palestinesi vittime espropriate. Ma non si ferma qui. Come da estratto, si auspica un incremento della presenza araba alla Knesset. 13 deputati sono pochi. Dovrebbero essere almeno il doppio e fare come i deputati irlandesi. Favorire la nascita di una repubblica palestinese. Invece litigano. Peccato. Soprattutto continuano a chiamare i terroristi “resistenti” e ad appoggiare la propaganda antiebraica e antisionista dell’Autorità Palestinese. Andrebbe fatto notare allo scrittore che tra gli irlandesi e i palestinesi c’è la stessa differenza che sussiste tra i cinesi e gli svedesi. Basta paragonare l’Accordo di Good Friday del 1998 raggiunto in Irlanda e che ha messo fine ad anni di sanguinosa lotta civile con gli Accordi di Oslo del 1993, dopo i quali Arafat, diversamente dall’IRA, diede vita con la Seconda Intifada, al più sanguinoso periodo di terrorismo che Israele ricordi.

Ma proseguiamo.

“Al netto delle sue analisi: oggi una soluzione di due Stati non è più possibile. Dobbiamo cambiare il paradigma se non vogliamo diventare una società e uno Stato di apartheid. Mi spiego: nel 2005 siamo fuggiti da Gaza. I palestinesi ci hanno sconfitti. Il nostro esercito aveva perso. E cosa è successo? Ci hanno sparato addosso i razzi. Il precedente di Gaza ha fatto sì che molti israeliani hanno paura di un possibile ritiro dalla Cisgiordania. E questo, ripeto, mentre continua l’espansione degli insediamenti. Ecco, non è più possibile sradicare i coloni. Non c’è oggi un’autorità in grado di costringerli a lasciare le terre che hanno rubato. Ora come ora la situazione (prendendo in considerazione Israele più la Cisgiordania) è complessa. Potrei descriverla cosi: gli arabi israeliani hanno quasi tutti i diritti; quelli di Gerusalemme Est, qualche diritto, quelli dell’Autorità nazionale palestinese (che controlla il 40 per cento della Cisgiordania) un pezzettino di sovranità. Resta la realtà dell’occupazione militare. Ci sono palestinesi privi di qualunque diritto. Ed è una situazione insopportabile per qualunque persona voglia definirsi un democratico”.

Occorre domandarsi a quale “fuga” da Gaza da parte israeliana Yehoshua si riferisca, ma non è dato saperlo, e l’intervistatore non gli pone la domanda. Non ci fu alcuna sconfitta dell’esercito israeliano se non nella fervida immaginazione dell’anziano romanziere. Ariel Sharon decise la smobilitazione di Israele da Gaza per blindare la Giudea e la Samaria e concedersi a seguito di questa concessione, l’annessione di due rilevanti insediamenti come Ma’ale Adumim e Ariel (cosa che non avvenne). Altro che fuga, si trattò di una mossa politica precisa. Quanto alla “continua espansione degli insediamenti”, anche qui ci troviamo al cospetto di un’altra fabula. Dal 2004 è in vigore l’accordo che Ariel Sharon fece con l’Amministrazione Bush il quale permette l’espansione degli insediamenti in esistenza all’interno del confine di costruzione degli edifici già in essere e non oltre di esso. Quasi tutte le costruzioni che sono state autorizzate dal governo Netanyahu si trovano o a Gerusalemme o nell’ambito degli insediamenti autorizzati dagli americani. Veniamo ai “palestinesi privi di qualsiasi diritto”. Bisognerebbe capire chi siano e dove sono localizzati. Yehoshua intende riferirsi ai palestinesi che in Cisgiordania si trovano nell’Area A interamente amministrata dall’Autorità Palestinese, nell’Area B, ad amministrazione congiunta, o nell’Area C, a sovraintendenza israeliana? Non è dato saperlo. Ma la frase che indica una casta di palestinesi paria non manca di esercitare il suo effetto affabulatorio sulla mente del lettore sprovveduto. Anche qui l’intervistatore glissa.

Il canovaccio prosegue. Occorre vederlo fino in fondo perché ci riserverà ulteriori sorprese.

“Oggi, da democratico, da persona razionale e illuminista, voglio l’uguaglianza dei palestinesi di fronte alla Legge. Israele deve offrire ai palestinesi della Cisgiordania la cittadinanza; con tutti I vantaggi: dal servizio sanitario al sistema pensionistico. Ma, ripeto: la cosa più importante è l’assoluta uguaglianza davanti alla Legge. Non sono un ingenuo. E probabile che molti non vorranno prendere la cittadinanza israeliana. Molti diranno: accettarla significa approvare l’annessione della Cisgiordania a Israele. Ed è ovvio che io non posso imporre loro la cittadinanza. Ma l’importante è il gesto, l’intenzione: per me voi siete cittadini con pari dignità e uguali”.

E qui assistiamo al pieno divorzio con i fatti. L’illuminismo, ci mancherebbe, va benissimo, solo che per essere davvero tale dovrebbe spandere più luce sulla realtà e non avvolgerla di bei pensierini con la messa in piega, perché purtroppo sarà poi la realtà a incaricarsi brutalmente di spettinarli. In un recente sondaggio, Daniel Polisar, del Jerusalem Shalom College ha rilevato che in una proporzione di 3 a 1, i palestinesi rifiutano uno stato palestinese a fianco di uno stato israeliano. Tuttavia per lo Yehoshua, “razionale e illuminista”, Israele dovrebbe offrire ai palestinesi della Cisgiordania, indottrinati fin da bambini che tutta la Palestina appartiene di fatto ai palestinesi, che gli israeliani sono degli usurpatori omicidi, che i terroristi sono martiri da onorare con piazze e strade in loro nome, la cittadinanza. Come quella già data a una buona parte dei terroristi arabi-israeliani che si sono distinti dal 2015 a oggi in uccisioni di civili e militari israeliani. L’ultimo episodio registrato quello del luglio scorso al Monte del Tempio, quando due poliziotti di guardia vennero ammazzati da un commando di terroristi arabo-israeliani. Ma a Yehoshua la realtà non interessa. Come tutti gli allucinati di astrazioni valgono solo i principii, non i fatti.

Non possiamo congedarci se non giungendo fino in fondo, o meglio, toccando il fondo di questa devastante débâcle cognitiva. Per Yehoshua l’odio nei confronti degli arabi, che egli vede crescere nella società israeliana è dovuto a

“Due motivi: perché loro sono deboli e perché noi ci sentiamo in colpa. Si odiano i deboli e le vittime, è un meccanismo universale”.

Dunque ecco fissato il paradigma. L’odio, o l’avversione da parte israeliana, non è dovuta alla consapevolezza che da parte araba sussiste un rigetto permanente di Israele e degli ebrei che si è manifestato negli anni con tre guerre nate da una intenzionalità genocida e successivamente da un terrorismo continuativo che raggiunse l’apice con la Seconda Intifada. No. Tutto questo scompare dalla scena. Al suo posto c’è la colpevolezza ebraica, il senso di colpa ebraico, nei confronti delle “vittime”, i palestinesi.

Quando si giunti ad invertire a tal punto la realtà si può solo affermare che si è arrivati a uno stato terminale. Lo stesso che pervade ormai l’Occidente meaculpista e schiere di intellettuali i quali, come scriveva Leszek Kolakowski, scartano “ostentatamente i valori della loro civiltà per umiliarsi di fronte allo splendore di una inequivocabile barbarie”.
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Re: Ebrei e no' pì ebrei ke łi odia łi ebrei e Ixrael

Messaggioda Berto » sab nov 18, 2017 9:33 pm

Quegli ebrei che odiano Israele
Gianluca Veneziani

http://www.lintraprendente.it/2015/07/q ... no-israele

Ci sono ebrei che non solo non sognano il ritorno in Israele, vedendovi l’Origine perduta o la Patria ideale cui tornare, ma tanto più ne prendono le distanze quanto più ne sono lontani, geograficamente e politicamente. Parliamo, nella fattispecie, di ebrei italiani, piuttosto noti, con un grande seguito mediatico, e di orientamento sinistrorso. Gente che ama fare il controcanto, atteggiandosi a filo-palestinese, pur essendo di origine ebraica. Gente che non perde occasione per dire peste e corna del governo in carica a Tel Aviv e dello Stato d’Israele in sé (rischiando così di metterne in discussione non solo l’azione politica contingente, ma anche la sua stessa esistenza). E tutto ciò, solo per avere il plauso dei benpensanti del lettorato radical chic. Venduti al nemico, o quasi.

Ecco perché suscita molto fastidio sentire un Moni Ovadia, attore ebreo, nato in Bulgaria, ma da una vita a Milano, elogiare l’accordo sul nucleare Iran-Usa come un passo avanti sulla strada del dialogo internazionale e uno schiaffo in faccia a quei guerrafondai dei nazionalisti israeliani. «Questo accordo aumenta le prospettive di pace», assicura Ovadia, dimenticandosi che la possibilità per l’Iran di continuare ad arricchire l’uranio (seppur con un certo limite) aumenta semmai le prospettive che lo Stato degli ayatollah giunga a costruirsi un’atomica e a minacciare il mondo col consenso della comunità internazionale. Ma per Ovadia sono «meglio le intese che i bombardamenti, come vorrebbe il premier israeliano Benjamin Netanyahu»: e già, perché chi mette a repentaglio l’Occidente e vorrebbe costruire una bomba atomica per asfaltarlo è Israele, mica l’Iran; l’aggressore insomma è Netanyahu, non chi un giorno sì e l’altro pure sostiene che lo Stato israeliano dovrebbe scomparire dalle cartine geografiche. Ma chi ci volete fare, secondo l’ebreo (anti-israeliano) Ovadia, la colpa è delle «grandi comunità ebraiche appiattite sulle posizioni del governo israeliano in carica». Quasi fosse un crimine difendere il proprio premier e il proprio Stato, che si batte ogni giorno per garantire la propria sopravvivenza (e quella di tutto il mondo libero), redarguendo gli alleati che «si arrendono all’asse del male».

Moni Ovadia, però, è in buona compagnia, perché con lui, appunto, c’è un altro compagno ebreo della vecchia guardia (di sinistra), Gad Lerner che, a ogni piè sospinto, si cimenta in sofismi retorici contro Israele e, in particolare, contro il suo attuale leader. Si era appena raggiunto l’accordo sul nucleare, che il giornalista esultava sul suo blog al suon di «Obama mira a nuovo equilibrio mondiale. Buona notizia!», e poi dava spazio all’intervista a Emma Bonino che definiva «quello raggiunto con l’Iran, il miglior accordo possibile», dopo aver già garantito sul rinsavimento degli ayatollah in quanto «la storia ci insegna che le rivoluzioni a un certo punto si esauriscono e subentra una qualche forma di normalizzazione» e avanzato sospetti sull’«alleanza di fatto che collega Israele alle petrolmonarchie reazionarie sunnite del Golfo, prima tra tutte l’Arabia Saudita».

Insomma, il vero pericolo, per Ovadia e Lerner, non sono gli ayatollah, improvvisamente diventati docili e mansueti come agnellini, né il combinato disposto teocrazia-tecnologia proprio dello Stato iraniano (che lo configura come un’inquietante teo-tecnocrazia, mix tra ideologia religiosa e scienza all’avanguardia), ma è l’atteggiamento di Israele che, temendo di non avere più appoggi, neppure in Occidente, prova a garantire come può il proprio diritto a esistere. Ci risiamo: Israele non solo non può minacciare di attaccare – come pure a lungo ha fatto Teheran – ma non può neanche provare a difendersi.
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