Nazionalismi europei antisemiti, antisionisti antisraeliani

Nazionalismi europei antisemiti, antisionisti antisraeliani

Messaggioda Berto » gio feb 02, 2017 9:13 pm

Sixara so l'Euro la Merkel la me ndava ben; so i migranti clandestini e so l nasixmo maometan no la me va ben.
Ti anvese a te me si senpatega en tuto ;)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » mar feb 14, 2017 1:55 pm

AUSTRIA, ARRESTATO IL SOSIA DI HITLER

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 5857776773

È stato arrestato nei pressi della casa dove nacque Adolf Hitler, un 25enne "sosia" del dittatore nazista. Baffi, pettinatura e abbigliamento tipico del Fuhrer hanno infastidito diversi passanti che hanno avvertito la polizia; quando gli agenti lo hanno intercettato, si stava scattando fotografie con lo sfondo della casa del suo idolo. Il suo comportamento è stato considerato apologia del nazismo, un reato punibile penalmente in Austria, in quanto il ragazzo "era consapevole di ciò che stesse facendo", affermano le autorità. Non uno scherzo quindi, né la satira di un artista di strada, ma la follia di un giovane che non ha avuto buoni esempi evidentemente, in famiglia o a scuola, e si ritrova ad osannare la rappresentazione del Male in persona.



Alberto Pento
I tedeschi e gli austriaci dovrebbero incominciare ad accettare la loro storia nazista senza più farsi tanti problemi e ossessioni al punto da arrestare una persona come in questo caso. Devono riconoscere gli errori fatti, liberarsi da ogni senso di colpa e andare avanti. Il passato è passato. Questo venticinquenne mascherato da Hitler non mi pare che abbia detto e fatto alcunché di antisemita. Ricordare il passato, a modo suo, non è un reato. Queste sono situazioni assurde e patologiche. L'Europa è piena di nostalgici di Napoleone e di Giulio Cesare e sì che ne hanno combinate questi due; non parliamo poi dei nostalgici di Stalin. E nel mondo gli imitatori dell'assassino e terrorista Maometto, fondatore del nazismo maomettano, persecutori e sterminatori di ebrei, di cristiani e di ogni altro diversamente religioso e pensante, dovrebbero essere arrestati tutti, l'Europa ne è piena.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » mar feb 14, 2017 9:02 pm

???

No, signora Le Pen questo è antisemitismo
di Fiamma Nirenstein
14 febbraio 2017
http://www.italiaisraeletoday.it/no-sig ... isemitismo

Quando la signora Le Pen dice che poiché la cittadinanza israeliana comunque segnerebbe uno sgarro rispetto all’idea che un cittadino europeo debba avere soltanto la cittadinanza europea e che sarà proibito ai francesi avere i due passaporti francese e israeliano, da un segnale molto allarmante rispetto alle sue dichiarazioni di affidabilità a fronte dei sospetti di antisemitismo che si possono ragionevolmente attribuire a lei, il suo partito, la sua stessa famiglia.

Infatti una discriminazione, qualsiasi discriminazione, nei confronti di un Paese, di un’etnia, di una religione, devono, per essere accettati da uno schieramento democratico come quello cui la Le Pen dice di appartenere, partire da una motivazione concreta, sostanziale, storica. A me, pluralista e sempre impegnata nel campo dei diritti umani, occorre uno sforzo notevole per capire cosa fa Trump quando blocca l’ingresso ai detentori di certi passaporti: ma sono pronta a ragionare con calma e con comprensione sul fatto che Donald Trump, con cui comunque si può essere in disaccordo, ritenga opportuna l’esclusione di alcuni Paesi islamici dall’ingresso negli Usa: Trump la spiega col fatto che gli islamici, ed è vero, sono stati negli ultimi anni un pericolo sostanziale nell’ambito del terrorismo antioccidentale.

Invece l’esclusione di Israele dall’ambito del le nazioni con le quali si può avere un patto di doppia cittadinanza ha un carattere puramente ideologico, non sostanziale, è inspiegabile se non con un’ignobile mossa politica di captatio benevolentiae verso il ventre antisemita francese: infatti non c’è ragione al mondo di impedire una doppia cittadinanza francese-israeliana, non c’è nessun pericolo per la sicurezza né per l’identità francese in un cittadino israeliano; la sua religione, la sua ideologia, la sua storia sono chiaro segnale di amichevolezza, quasi di appartenenza (si è parlato tante volte, Pannella ne era l’alfiere) all’Europa stessa. Tanto meno ha un senso proibirgli la kippà, cui si sa benissimo che il Popolo Ebraico è legato da un impegno identitario imprescindibile.

Allora bisogna dedurre che la Le Pen ha una preclusione ideologica verso Israele: non è dunque sincera quando dice che l’antisemitismo è retaggio paterno con cui lei non ha niente a che fare.

Oppure è la sua passione per l’Europa, davvero mai percepita prima, che le fa velo? Strano, perché davvero l’Europa lei mostra in tante circostanze di non poterla soffrire. In sostanza c’è un elemento di smascheramento nella sua dichiarazione che dà da pensare: c’è il rischio che l’anti-islamismo delle nuove destre europee sia contaminato da un dato ideologico come sostiene la sinistra, e questo certo con gli ebrei non va. E’ antisemitismo, e lo combatteremo.




Mauro Saracco
Se ho capito bene (ho provato a documentarmi) le cose non starebbero proprio in questi termini. MLP sostiene che la doppia nazionalità non favorisce l'integrazione perché consente al soggetto di tenere un piede in due staffe, e comportarsi da francese quando gli conviene fare il francese e da per esempio algerino quando gli conviene dirsi algerino. È una sua opinione, discutibile, ma è una sua opinione. È evidente che l'obiettivo non sia quel mezzo milione di ebrei francesi, tutti tranquilli cittadini perfettamente integrati che non farebbero mai un attentato e nemmeno spacciano droga nelle banlieues, ma gli svariati milioni di arabi e africani per l'80% musulmani, tra cui - insieme a brave persone - ci sono potenziali terroristi, spacciatori, trafficanti e malviventi vari. Però se si sostiene una misura di legge, deve essere erga omnes, e lì l'intervistatrice ha colpito con la domandina maliziosa "e gli ebrei franco-israeliani?" in modo da poter girare la frittata e accusare la LePen di antisemitismo. Per inciso, alcuni paesi tra cui l'Italia ammettono la doppia nazionalità, altri tra cui la Germania non la ammettono, e nessuno mena scandalo. Quello che invece non sono riuscito a capire è l'eccezione per la Russia.


Alberto Pento
Anche per me non è antisemitismo. Fiamma Nirestein dimentica che anche in Israele gli ebrei devono difendersi dalla espansione demografica degli islamici e dal loro nazismo maomettano antiebraico e antidemocratico.
Anch'io sono contrario alla doppia cittadinanza che discrimina i cittadini nativi che hanno una sola cittadinanza.


La cittadinanza comporta l'esercizio dei diritti civili e politici come il voto amministrativo e politico; nonché i relativi doveri.
La doppia cittadinanza di un forestiero può costituire per il nativo una discriminazione in quanto il forestiero farebbe valere due volte la sua volontà politica una nel paese del nativo e un'altra nel suo paese di origine che nell'ambito dei rapporti internazionali e bilaterali tra paesi, potrebbe condizionare la vita del nativo che si troverebbe così discriminato rispetto al forestiero, non potendo far valere anche lui due volte la sua volontà.
Per me la doppia cittadinanza, laddove non vi sia reciprocità, laddove non vi sia vera democrazia, laddove si abbia a che fare con cittadini forestieri di paesi con politiche, ideologie, religioni intolleranti, violente, discriminanti, irrispettose dei diritti umani potrebbe costituire una grave lesione dei diritti umani del cittadino nativo.

Sicuramente sono questioni complicate, difficili e delicate però vanno affrontate innanzi tutto nell'interesse dei cittadini nativi che non debbono assolutamente essere penalizzati i cui diritti vanno salvaguardati per primi.
Io che sono veneto vorrei la doppia cittadinanza: quella veneta e quella mista italo-europea.



Stati dove non è permessa la doppia cittadinanza:
https://www.cittadinanza.biz/gli-stati- ... ttadinanza
In Europa:
Andorra, Austria, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Botswana, Danimarca, Estonia, Georgia, Irlanda, Islanda, Norvegia, Ucraina
Quelli citati sono gli Stati dei quali si perde la cittadinanza d’origine senza alcuna eccezione, mentre per il i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca si devono fare delle eccezioni.

Atri grandi paesi del Mondo
Cina Repubblica Popolare, Congo Repubblica Democratica, Congo Brazzaville, Corea del Sud, Costa d’Avorio, Cuba, Etiopia, Filippine, Giappone, India, Indonesia, Iran, Iraq, Malesia, Mali, Mauritania, Messico, Nigeria, Pakistan, Sudafrica, Tunisia, Ucraina, Uganda, Venezuela.
Quelli citati sono gli Stati dei quali si perde la cittadinanza d’origine senza alcuna eccezione, mentre per il Brasile, l’Ecuador si devono fare delle eccezioni.

Paesi islamici o nezzo islamici che non riconoscono la doppia cittadinanza
Bosnia Erzegovina, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Liberia, Madagascar, Malesia, Mali, Pakistan, Tunisia.

L’Arabia saudita riconosce la doppia cittadinanza?
http://www.ambriad.esteri.it/ambasciata ... _frequenti
Le autorità saudite non riconoscono la doppia cittadinanza e normalmente ritirano il passaporto italiano dei connazionali che ottengono la nazionalità saudita. Ciò non comporta la perdita della cittadinanza italiana, ed i nostri uffici consolari provvedono di norma alla restituzione del passaporto ai connazionali e, a fronte di apposita richiesta, all'emissione di un visto d'ingresso Schengen di lunga durata sul passaporto saudita degli interessati.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » mer feb 22, 2017 8:41 pm

Questo mi pare un sano nazionalista e un sano nazionalismo non fascista, non nazista, non antisemita

Geert Wilders, il populista olandese
Feb 21, 2017

http://www.occhidellaguerra.it/geert-wi ... a-olandese

Geert Wilders è nato a Venlo nel 1963, da padre olandese e madre indonesiana. Proveniente da una famiglia cattolica, è poi diventato agnostico. Ha lavorato nel settore assicurativo prima di scendere in campo. Il cimentarsi con la politica comincia, infatti, negli anni Novanta, quando fa da “ghostwriter” per il VVD, il partito liberale, all’epoca guidato dall’ex commissario europeo Frits Bolkestein.

Nel ’98 viene eletto parlamentare, ma la notorietà arriverà solo nel 2004, quando venne espulso dal VVD per i primi bagliori di quelle che poi sarebbero divenute le sue classiche posizioni anti-islam. Bisogna infatti arrivare alla morte di Pim Fortuyn affinché Wilders acquisisca un ruolo centrale nello scacchiere politico olandese.

Nel 2006, infatti, Wilders fondò quello che sarebbe divenuto il suo partito: il Partij voor de Vrijheid (Partito per la Libertà). Sempre nel 2006, dunque, Wilders si presenta alle elezioni legislative con la sua creatura politica e conquista nove seggi. In Olanda, allora, comincia ad affermarsi quello spirito euroscettico promosso da Wilders stesso che aveva già contribuito nel 2005 ad affossare con un referendum la Costituzione europea.

Wilders continua ad accrescere i propri consensi ed il picco lo tocca tra il 2009 e il 2010, quando raccoglie percentuali superiori al 15% sia alle regionali sia alle europee. Tra il 2010 ed il 2012, poi, Wilders dà il suo appoggio esterno al governo di minoranza olandese formato da VVD e CDA (Appello Cristiano Democratico), un esecutivo guidato da Mark Rutte.

Quando Wilders ritira i suoi voti dalla maggioranza dell’esecutivo, questo cade e costringe il sistema politico olandese ad indire nuove elezioni. Nel 2012, dunque, si torna a nuove elezioni, ma a Wilders non riesce l’exploit e, anzi, ottiene solo il 10% dei consensi.

Wilders non ha mai preso spunto dai partiti o dai movimenti ultranazionalisti, tuttavia è stato incriminato per incitamento all’odio e processato in Olanda, mentre in Gran Bretagna, almeno per alcuni anni, è stato considerato una “persona non grata”.

Tuttavia, su Israele (dove ha anche vissuto), l’antisemitismo e gli omosessuali ha posizioni molto morbide ed anzi si è più spesso autodefinito un sionista. Tra le sue sottolineature pubbliche c’è anche quella che ha voluto eleggere a modello Margaret Thatcher.

La difesa dei diritti dei gay rappresenta, per Wilders, un tratto valoriale tipicamente olandese non derogabile in nessun modo. In questo senso può essere davvero definito il leader più simile a Donald Trump nel continente europeo: fiscale sull’immigrazione, ma aperto in materia di diritti.

Wilders è convintamente euroscettico: tra gli obiettivi del suo programma c’è quello di indire un referendum per l’uscita dell’Olanda dall’Ue, dall’euro e dal mercato unico. Ha più volte dichiarato di voler tornare al fiorino. Solitamente distribuisce finte e vecchie banconote olandesi ritraenti la sua faccia. Le sue idee sull’islam sono abbastanza lapalissiane: vorrebbe bandire il il Corano, che associa al “Mein Kampf” di Hitler; vorrebbe impedire l’immigrazione da Paesi musulmani. In questi anni, inoltre, ha girato un film di cui si è molto parlato,“Fitna”, una produzione che metterebbe in correlazione diretta l’islam ed il terrorismo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » dom nov 26, 2017 12:25 pm

FORZA NUOVA E NEGAZIONISMO. DI MALE IN PEGGIO.

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... tif_t=like

"Guardate che ci sono molti ebrei che la pensano in un altro modo. Pensano che c’è un’industria , un business sull’Olocausto e che le camere a gas non sono esistite. Ci sono molti ebrei antisionisti che dicono questo”. ha affermato Leonardo cabras, coordinatore Toscano di Forza Nuova, durante una intervista a La Zanzara su Radio 24. "Non c’erano nemmeno sei milioni di ebrei in Europa, da dove li hanno tirati fuori? Questi sono dati storici.. Io so che in alcuni campi di concentramento c’erano i cinema, la musica di Wagner, c’erano le piscine. I forni non lo so, non ho mai visto un campo di concentramento e non intendo nemmeno farci una gita per poi pulirmi la coscienza. Personalmente ho molti dubbi sull’esistenza delle camere a gas. Non ritengo ci fosse la volontà di sterminare il popolo ebraico. In realtà abbiamo avuto campi di concentramento americani, dove ci stavano i giapponesi. E anche in Italia c’erano persone che stavano nelle gabbie sotto il sole, sotto la pioggia, sono state fatte delle cose anche dai cosiddetti vincitori”

Dichiarazioni incredibili che si aggiungono a una serie di lodi nei confronti di Benito Mussolini. Ma qua siamo oltre le ideologie politiche, arriviamo addirittura al Revisionismo storico. Una vergogna che certe figure, antistoriche e ignoranti abbiano il privilegio di far sentire la propria voce dentro un'arena politica.



Alberto Pento
Mi chiedo spesso:
perché questi nazionalisti odiano gli ebrei e Israele?
per quale arcana ragione o che bisogno abbiano molti movimenti e partiti nazionalisti europei di essere anche antisemiti e antisionisti ?
come può il naturale e buon sentimento nazionalista per la loro terra, il loro paese, la loro Heimat, la loro comunità, come può essere compatibile e di cosa può mai beneficiare mescolandolo con l'antisemitismo e l'antisionismo?
Io, per esempio, sono un nazionalista indipendentista veneto e non sento affatto il bisogno e non trovo proprio alcuna ragione per essere antisemita, antisionista e antisraeliano, anzi il mio nazionalismo veneto trae senso e vigore dall'umanissimo nazionalismo ebraico di Israele, dal popolo ebraico con la sua millenaria e incredibile storia e dal suo infinito amore per la sua terra di Sion o di Israele o Palestina; popolo civilissimo e terra ebraica che hanno dato agli europei e al mondo la fede e l'etica cristiana.
Per me questi nazionalisti nostalgici del fascismo e antisemiti sono solo stupidi che danneggiano anche i nazionalisti sani e non antisemiti (che sono la maggioranza degli europei) e che danneggiano pure se stessi. Personalmente non potrei mai fraternizzare con questa gentaglia demente.


Luca Cuor Di Leone
Considerando che normalmente i partiti di destra si rifanno ai canoni del Romanticismo di identità, terra, sangue e cultura , cosa su cui si basa anche il Sionismo che nasce durante appunto il Romanticismo.

Jacopo Busdon
Alberto condivido pienamente. Penso che purtroppo questi "nazionalismi" siano figli dell'italia che ci occupa, sia il mio Stato (Trieste) che il tuo. La propaganda italiana, da quanto possiamo vedere qui da noi almeno, distrugge e distorce qualsiasi cosa in modo da mantere coesi i popoli sotto il suo dominio. Divide et impera.
Fortunatamente però esistono movimenti come il mio ed il tuo che escono dalle tenebre della tirannia italica e che cercano di autodeterminarsi come risposta a quest'ondata di ignoranza e rancore forzati.
Piena solidarietà al popolo veneto e a quello ebraico, da Trieste e dal suo popolo tutto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » mar dic 05, 2017 8:04 am

LA COMUNITÀ STORMFRONT.
LISTE DI PROSCRIZIONE E ANTISEMITISMO IN RETE.
di Andrea Palladino
(La Stampa, 1 dicembre 2017)

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 5136825509

Non si è mai fermato Stormfront, la comunità virtuale neonazista gestita da gruppi suprematisti Usa. Nonostante due inchieste della Procura romana - condotte dal pm Luca Tescaroli - e la condanna definitiva per quattro esponenti dell'organizzazione, il gruppo italiano non ha mai cessato l'attività. Anzi. Da qualche mese sono tornate le liste di proscrizione (lo scorso marzo è stato diffuso un elenco di giornalisti indicati come di religione ebraica) e da alcuni giorni diversi messaggi hanno ripreso a diffondere materiale violentemente antisemita e negazionista. Immagini crude, fotomontaggi dell'ingresso del campo di sterminio di Auschwitz, diffusione di pubblicazioni della destra neonazista su Anna Frank, fatte circolare subito dopo il ritrovamento degli adesivi antisemiti nella zona della Curva Sud dello Stadio Olimpico. E ancora, un lungo testo dell'utente «Futurista» (autore di 650 post, attivo dal novembre 2015) intitolato «Le 10 peggiori creazioni ebraiche», pubblicato sul canale «Stormfront Italia». Un testo che si apre con «la Shoah non è mai esistita come tale, e dico purtroppo», per chiudersi con la teoria complottista su «virus modificatori del genoma umano», diffusi per distruggere la «Razza Bianca». La lista di «scrittori e giornalisti ebrei italiani» è stata pubblicata dall'utente «Ataru» e apre un lungo testo che si chiude con l'altra antica ossessione nel nazifascismo: «Zingari e omosessuali».
Il gruppo italiano di Stormfront era stato colpito da una prima indagine della Digos romana nel novembre del 2012, con quattro arresti. II processo - che si è concluso in Cassazione due anni fa con la conferma delle condanne, in parte alleggerite - è stato il primo caso in Italia ad aver riconosciuto l'istigazione all'odio razziale attraverso Internet. Nel 2012 l'inchiesta si era allargata con 35 perquisizioni e altri indagati. Nella sentenza di primo grado era stato confermato il sequestro preventivo del sito, con il blocco dell'accesso dall'Italia. Oggi continuano a partecipare al gruppo anche utenti indagati nel 2012: «Adesso ricomincio a scrivere col mio account che la Digos conosce benissimo e quindi anche io posso dire: me ne frego!», scriveva la user Joeyskingirl lo scorso agosto.


Gino Quarelo
Non confondiamo i sani nazionalismi con questi assurdi e immotivati estremismi antisemiti e non dimentichiamo gli internazionalismi nazicomunisti e nazi maomettani antisemiti e antiisraeliani. Gli ebrei americani ed europei dovrebbero schierarsi con i sani nazionalismi europei che difendono i diritti umani dei nativi o autoctoni o indigeni occidentali, dimostrando di avere a cuore l'umanità dei popoli europei così da togliere ogni ombra di sospetto pregiudiziale che possa gravare su di loro e alimentare l'odio antisemita.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » sab dic 09, 2017 9:41 am

Mises sul nazionalismo, il diritto all'auto-determinazione ed il problema dell'immigrazione
Ludwig von Mises
2017/04/28

http://vonmises.it/2017/04/28/mises-sul ... migrazione

Nella discussione in corso sull’immigrazione, Ludwig von Mises è spesso invocato dai libertari come un sostenitore convinto del libero scambio nel senso più ampio per quello che riguarda la libera circolazione delle merci, dei capitali e del lavoro. Mises è stato anche proclamato da alcuni libertari come un fautore delle frontiere aperte. Tuttavia, le idee di Mises sulla migrazione libera del lavoro, attraverso i confini politici esistenti, erano accuratamente sfumate e improntate da considerazioni politiche basate sulla sua conoscenza diretta dei conflitti profondi e duraturi tra le nazionalità, negli Stati poliglotti dell’Europa centrale e orientale, che portarono alla Prima Guerra Mondiale e durante il successivo periodo tra le due guerre. Così Mises non ha valutato l’immigrazione in termini di posizione puramente economica, come massimizzare la produttività del lavoro umano, a prescindere dal contesto politico. Piuttosto, ha valutato gli effetti dell’immigrazione dal punto di vista del regime liberale classico della proprietà privata. Il mio scopo in questo breve saggio è di esporre le idee di Mises in materia di immigrazione come lui li ha sviluppati ed elaborati come parte integrante del programma liberale classico. Non tenterò di criticare o valutare le sue opinioni.

Il nazionalismo liberale

Per Mises, il liberalismo prima emerse e si è espresse nel XIX secolo come movimento politico, sotto forma di “nazionalismo pacifico”. I suoi due principi fondamentali erano la libertà o, più concretamente, “il diritto di autodeterminazione dei popoli” e l’unità nazionale o il “principio di nazionalità”. I due principi sono stati indissolubilmente legati. L’obiettivo primario dei movimenti nazionalisti liberali (italiani, polacchi, greci, tedeschi, serbi, etc.) è stato la liberazione dei loro popoli dal governo dispotico del re e dei principi. La rivoluzione liberale contro il dispotismo, necessariamente, assunse un carattere nazionalista per due motivi. In primo luogo, molti dei despoti reali erano stranieri, ad esempio, gli Asburgo d’Austria ed i Borboni francesi, che hanno governato gli italiani, il re di Prussia e lo zar russo che soggiogarono i polacchi. In secondo luogo, e più importante, il realismo politico dettato “dalla necessità di fissare l’alleanza degli oppressi contro l’alleanza degli oppressori, al fine di raggiungere la libertà per tutti, ma anche la necessità di tenere insieme, al fine di trovare, nell’unità, la forza di conservare la libertà”. Questa alleanza degli oppressi è stata fondata dall’unità nazionale sulla base di un linguaggio comune, la cultura ed i modi di pensare e di agire.

Anche se forgiato nelle guerre di liberazione, il nazionalismo liberale era per Mises sia pacifico, sia cosmopolita. Non solo i movimenti di liberazione nazionali separati vedono l’altro come fratelli, nella loro lotta comune, contro il dispotismo reale, ma hanno abbracciato i principi del liberalismo economico “che proclama la solidarietà di interessi tra tutti i popoli”. “Mises sottolinea la compatibilità del nazionalismo, il cosmopolitismo e la pace”:

Il principio di nazionalità include solo il rifiuto di ogni sovranità; richiede l’autodeterminazione e l’ autonomia. Poi, però, il suo contenuto si espande; non solo la libertà, ma anche l’unità è la parola d’ordine. Ma anche, il desiderio di unità nazionale è soprattutto a sfondo pacifico … Il nazionalismo non si scontra con il cosmopolitismo per la nazione unificata e non vuole discordia con i popoli vicini, ma la pace e l’amicizia. (1)

Come liberale classico, Mises ha cura di specificare che il diritto di autodeterminazione non è un diritto collettivo, ma un diritto individuale: “Non è il diritto all’autodeterminazione di un’unità nazionale delimitato, ma piuttosto il diritto degli abitanti di tutti i territori di decidere lo stato a cui desiderano appartenere”. Mises rende chiaro che l’autodeterminazione è un diritto individuale che avrebbe dovuto essere concesso ad “ogni singola persona … se fosse in ogni modo possibile”. E si deve anche notare, a questo proposito, che Mises raramente parla del “diritto di secessione”, forse a causa della sua connotazione storica del diritto di un governo di unità politica subordinato a recedere da quella superiore.

Mentre difendere l’autodeterminazione come diritto individuale, Mises sostiene che la nazione ha una esistenza, fondamentale e relativamente permanente, indipendente dallo stato transitorio (o stati), che può governare in un dato momento. Così si riferisce alla nazione come “un’entità organica (che) non può essere né aumentata né diminuita dai cambiamenti negli stati”.” Di conseguenza, Mises caratterizza i “compatrioti” di un uomo come “quelli dei suoi simili con i quali condivide una terra comune, una lingua e con i quali ha spesso una forma di comunità etnica e spirituale”. Allo stesso modo, Mises cita l’autore tedesco J. Grimm (1785-1863 filosofo), che si riferisce alla “legge naturale … che né i fiumi e né le montagne formano le linee di confine dei popoli e che per un popolo che si è spostato, sulle montagne e sulle rive dei fiumi, solo la lingua può imporre un limite”. Il principio di nazionalità implica quindi che glii stati-nazione liberali possono comprendere un popolo monoglotta che abita regioni, province e perfino villaggi geograficamente non contigui. Mises sostiene che il nazionalismo è quindi una conseguenza naturale di e in completa armonia con i diritti individuali: “La formazione degli stati (liberaldemocratici) comprende tutti i membri di un gruppo nazionale ed è il risultato dell’esercizio del diritto di autodeterminazione, non il suo scopo”. (2)

Qui, deve qui notare che, a differenza di molti libertari moderni che vedono gli individui come esseri atomistici (concezione filosofica greca secondo cui la materia non è divisibile all’infinito … ndt) che non hanno affinità emotive e legami spirituali con altri esseri umani selezionati, Mises afferma la realtà della nazione come “un’entità organica”. Per Mises la nazione comprende gli esseri umani che capiscono e agiscono uno verso l’altro in un modo che li separa dagli altri gruppi di persone in base al senso ed al significato che i compatrioti attribuiscono a fattori oggettivi come il linguaggio condiviso, le tradizioni, la discendenza e così via. L’appartenenza a una nazione, non meno che ad una famiglia, comporta atti concreti di volontà sulla base di percezioni soggettive e preferenze rispetto ad un complesso di circostanze storiche oggettive. Concorda Murray Rothbard, che condivide la visione di Mises della realtà della nazione separata dall’apparato statale:

I libertari contemporanei spesso presumono, erroneamente, che gli individui siano legati gli uni agli altri solo dal nesso dello scambio di mercato. Ci si dimentica che tutti sono necessariamente nati in una famiglia, con una lingua ed una cultura. Ogni persona nasce in una delle diverse comunità che si sovrappongono, di solito tra un gruppo etnico, con valori specifici, culture, credenze religiose e tradizioni … La “nazione” non può essere definita con precisione; si tratta di una complessa e varia costellazione di diverse forme di comunità, lingue, etnie o religioni … La questione della nazionalità è resa più complessa dal gioco della realtà oggettivamente esistente e dalle percezioni soggettive.

Il colonialismo come la negazione del diritto di autodeterminazione

A differenza di molti liberali cinquecenteschi, tra fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, Mises è stato un appassionato anticolonialista. Come liberale radicale, ha riconosciuto l’universalità del diritto di autodeterminazione ed il principio di cittadinanza per tutti i popoli e le razze. Ha scritto accuse potenti e sferzanti contro la sottomissione europea ed il maltrattamento dei popoli africani ed asiatici e ha chiesto lo smantellamento rapido e completo dei regimi coloniali. Vale la pena citare Mises, a lungo, su questo argomento:

L’idea di base della politica coloniale è stata quella di sfruttare la superiorità militare della razza bianca sui membri di altre razze. Gli europei figurano, dotati di tutte le armi ed i dispositivi che la loro civiltà ha messo loro a disposizione, per soggiogare i popoli più deboli, per derubarli delle loro proprietà e per assoggettarli. I tentativi sono stati fatti per attenuare e sorvolare sul vero motivo della politica coloniale con la scusa che il suo unico scopo era quello di rendere possibile, per i popoli primitivi, di condividere le benedizioni della civiltà europea … Ci potrebbe essere una prova più dolente della sterilità della civiltà europea rispetto a quella che può essere diffusa da nessun altro mezzo (strumento) che non sia da fuoco e di spada?

Nessun capitolo della storia è ulteriormente ricco di sangue rispetto alla storia del colonialismo. Il sangue è stato versato inutilmente e senza senso. Terre fiorenti devastate; interi popoli distrutti e sterminati. Tutto questo non può in alcun modo essere attenuato o giustificato. Il dominio degli europei, in Africa ed in importanti parti dell’Asia, è assoluto. Si trova in maggior contrasto con tutti i principi del liberalismo e della democrazia e non ci può essere alcun dubbio che dobbiamo lottare per la sua abolizione … conquistatori europei … avere armi e portare nelle colonie macchine di distruzione di ogni tipo; rispettivamente hanno inviato i peggiori e più brutali individui, quali funzionari ed ufficiali, e puntando la spada alla loro gola hanno istituito un regime coloniale che nella sua crudeltà sanguinaria rivaleggia con il sistema dispotico dei bolscevichi. Gli europei non devono essere sorpresi se il cattivo esempio, che essi stessi hanno creato nelle loro colonie, ora porta frutti cattivi. In ogni caso, non hanno alcun diritto di lamentarsi faresaicamente (lavandosene le mani) per il basso stato di morale pubblica tra gli indigeni. Né dovrebbero essere giustificati nel sostenere che gli indigeni non sono ancora sufficientemente maturi per la libertà e hanno ancora bisogno di almeno diversi anni di ulteriore istruzione sotto la sferza di dominatori stranieri prima che siano in grado di essere lasciati a loro stessi.

Nelle zone in cui i popoli indigeni erano abbastanza forti da montare una resistenza armata al dispotismo coloniale, Mises ha sostenuto con entusiasmo ed acclamato questi movimenti di liberazione nazionale: “in Abissinia, in Messico, nel Caucaso, in Persia, in Cina, ovunque si vedeva gli aggressori imperialisti in ritirata, o almeno già in grande difficoltà”.

Per far scomparire completamente il colonialismo, Mises ha proposto l’istituzione di un protettorato temporaneo sotto l’egida della Società delle Nazioni. Ma ha messo in chiaro che un tale accordo era quello di “essere visto solo come una fase transitoria” e l’obiettivo finale doveva essere “la completa liberazione delle colonie dalla regola dispotica in cui vivevano”. Mises ha basato la sua richiesta sul riconoscimento del diritto di autodeterminazione e nel rispetto del principio di nazionalità tra i popoli colonizzati sulla base di diritti individuali:

Nessuno ha il diritto di intromettersi negli affari degli altri al fine di favorire il proprio interesse e nessuno dovrebbe, quando ha i propri interessi in vista, far finta di agire altruisticamente solo nell’interesse degli altri.
La ripartizione del nazionalismo liberale: la regola della maggioranza ed i conflitti della nazionalità

Questo ci porta alla intuizione fondamentale di Mises nell’inconciliabile “conflitto di nazionalità” originato da regole, anche di maggioranza, in costituzioni democratiche liberali. Come un acuto osservatore della pre e post Grande Guerra degli Stati dell’Europa centrale e orientale poliglotti, Mises ha osservato che “le lotte nazionali possono sorgere solo sul terreno della libertà”. Così come prima della guerra l’Austria si avvicinava alla libertà, “la violenza della lotta tra le nazionalità è cresciuta”. Con il crollo del vecchio stato monarchico, queste lotte sono state solo più amaramente, “trasportate nei nuovi stati, in cui la maggioranza di governo si confronta con le minoranze nazionali senza la mediazione dello stato autoritario, che mitiga con molto durezza”. Gli attributi di Mises per un esito così contro-intuitivo, lo si devono al fatto che il principio di nazionalità non è stato rispettato nella creazione di nuovi stati. Il punto di Mises è illustrato nei moderni conflitti etnici scoppiati a seguito del crollo del comunismo e la disgregazione dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia. (3)

Mises sostiene che due o più “nazioni” non possono coesistere pacificamente sotto un governo democratico unitario. Le minoranze nazionali, in una democrazia, sono “del tutto politicamente impotenti” perché non hanno alcuna possibilità di influenzare pacificamente il gruppo linguistico di maggioranza. Quest’ultimo rappresenta “un circolo culturale che è chiuso” a minoranze nazionali e le cui idee politiche sono “il pensiero, il parlato e lo scritto in una lingua che non capiscono”. Anche quando rappresentanza il proporzionale prevale, la minoranza nazionale “rimane ancora esclusa dalla collaborazione nella vita politica”. Secondo Mises, perché la minoranza non ha alcuna prospettiva di conseguire un giorno potere, l’attività dei suoi rappresentanti “rimane limitata dal principio alla critica inutile … quella … non può portare ad alcun obiettivo politico”. Così, conclude Mises, anche se il membro della nazione di minoranza, “secondo i dettami della legge, è un cittadino con pieni diritti … in realtà egli è politicamente senza diritti, un cittadino di seconda classe, un paria”.

Mises caratterizza la regola della maggioranza come una forma di colonialismo, dal punto di vista delle minoranze della nazione in un territorio poliglotta: “(Il) che significa qualcosa di molto diverso in un uniforme livello nazionale territoriale; qui, per una parte del popolo, non si tratta di una regola popolare, ma di una regola straniera”. Il nazionalismo liberale tranquillo, quindi è inevitabilmente soffocato nei territori poliglotti, governati da uno stato unitario, perché, sostiene Mises, “la democrazia sembra come un’oppressione alla minoranza. Dove solo la scelta è aperta a se stessi per sopprimere o essere soppresso, si decide facilmente per il precedente”.

Così, per Mises, democrazia significa la stessa cosa per la minoranza come “sottomissione al dominio degli altri”, e questo “vale ovunque e, finora, per tutte le volte”. Mises respinge “spesso il citato contro-esempio della Svizzera come irrilevante, perché l’autogoverno locale non è stato disturbato da “migrazioni interne” tra le diverse nazionalità.La migrazione significativa era fondata dalla presenza sostanziale di minoranze nazionali in alcuni dei Cantoni: “la pace nazionale della Svizzera sarebbe già scomparsa molto tempo fa”.

Pertanto, per quanto riguarda le regioni abitate da diverse nazionalità Mises conclude che “il diritto di autodeterminazione va a vantaggio solo di coloro che compongono la maggioranza”. Questo è particolarmente vero, ad esempio, negli stati interventisti dove l’istruzione è obbligatoria ed “i popoli che parlano lingue diverse convivono insieme, a fianco a fianco, e mescolati in confusione poliglotta”. In queste condizioni, l’istruzione formale è una fonte di “costrizione spirituale” ed “uno dei mezzi di nazionalità che opprimono”. La stessa scelta della lingua di insegnamento è in grado di “alienare i bambini dalla nazionalità a cui i loro genitori appartengono” e “nel corso degli anni, determinare la nazionalità di un’intera area”. La scuola diventa così fonte di conflitti nazionali inconciliabili ed “un premio politico della massima importanza”. Per quanto riguarda il dibattito, oltre l’istruzione obbligatoria, Mises sottolinea che l’unica soluzione efficace è quella di depoliticizzare la scolarizzazione

abolendo entrambe le leggi sull’istruzione obbligatoria ed il coinvolgimento politico con le scuole, lasciando l’educazione dei bambini “per tutto ai genitori, alle associazioni ed alle istituzioni private”.

L’istruzione obbligatoria è solo un esempio estremo di come l’interventismo aggravi l’inevitabile conflitto tra le diverse nazionalità che vivono insieme sotto la giurisdizione di un singolo stato. In una tale situazione, Mises argomenta: “Ogni interferenza da parte del governo nella vita economica può diventare un mezzo per perseguitare i membri della cittadinanza a parlare una lingua diversa da quella del gruppo dirigente”. Forse l’intuizione più importante di Mises è che anche nell’ambito di un sistema di laissez-faire, in cui il governo è rigorosamente limitato a “proteggere ed a preservare la vita, la libertà, la proprietà e la salute del singolo cittadino”, l’arena politica farà ancora più degenerare in un campo di battaglia le cittadinanze più disparate che risiedono nell’ambito della sua giurisdizione territoriale. Anche le attività di routine della polizia ed il sistema giudiziario in questo regime liberale ideale “possono diventare pericolose in aree in cui alla base tutto può essere trovato per discriminare tra un gruppo o l’altro nella conduzione degli affari ufficiali”. (4) Ciò è particolarmente vero in cui “le differenze di religione, di nazionalità o simili hanno diviso la popolazione in gruppi separati da un abisso così profondo da escludere ogni impulso di equità o umanità e di lasciare spazio a nient’altro che all’odio”. Mises fa l’esempio di un giudice “che agisce consapevolmente, o ancora più spesso inconsciamente, in modo parziale” perché crede che: “Egli sta compiendo un dovere più alto quando si fa uso dei poteri e delle prerogative del suo ufficio, al servizio del suo gruppo.”

Non solo è il membro di una minoranza nazionale sottoposta a pregiudizi radicati e di routine nella sfera politica, egli non è in grado di cogliere il pensiero e l’ideologia che forma gli affari politici. La sua visione del mondo sociale e politico, così come i suoi atteggiamenti culturali e religiosi, riflettono le idee formulate e discusse nella letteratura nazionale di una lingua straniera e queste idee divergono, forse radicalmente, da quelle del gruppo linguistico di maggioranza. Secondo Mises, anche se le idee politiche e culturali vengono trasmesse e condivise tra tutte le nazioni, “ogni nazione sviluppa correnti di idee a suo proprio modo e le assimila in una modalità diversa. Questo in ogni popolo che incontrano con un altro carattere nazionale e con un altro insieme di condizioni”. Mises dà l’esempio di come l’ideale politico del socialismo differiva tra la Germania e la Francia e tra questi ultimi due e la Russia.

Il risultato di questa “nazionalizzazione” naturale, per differenziare anche da idee simili, da tendenze intellettuali è che il membro della nazione di minoranza si confronta con una barriera linguistica e intellettuale che gli impedisce di capire il significato e di partecipare alla discussione politica che plasma le leggi in cui vive. Mises spiega:

Generato nella forma di legge statuto, l’esito delle discussioni politiche (della maggioranza) acquista un significato diretto per il cittadino che parla una lingua straniera, dal momento che deve rispettare la legge; tuttavia ha la sensazione che è escluso dalla partecipazione effettiva nel plasmare la volontà del legislatore o almeno che non gli è permesso di collaborare per dare forma nella stessa misura di quelli la cui lingua madre è quella della maggioranza di governo. E, quando compare, davanti ad un magistrato o ad un funzionario amministrativo come parte in causa o per un ricorso, egli si trova davanti agli uomini il cui pensiero politico è a lui estraneo perché si è sviluppato in diverse influenze ideologiche … In ogni momento il membro di una minoranza nazionale si fa sentire che vive tra stranieri e che egli lo è, anche se la parola della legge lo nega, è un cittadino di seconda classe.

Il risultato della impotenza politica della minoranza cittadina, in una democrazia maggioritaria, è che si percepisce essere un popolo conquistato o colonizzato. Infatti, come fa notare Mises: “La situazione di dover appartenere ad uno stato in cui non si vuole appartenere non è meno oneroso se è il risultato di un’elezione che uno deve sopportare come la conseguenza di una conquista militare …” Nel 1920 Mises aveva già identificato il fenomeno di quella che oggi viene erroneamente chiamato “razzismo istituzionale” – perché il problema non è con tutte le istituzioni, dei soli politici – ma è meglio descritta come “sottomissione democratica” Nel 1960, Malcolm X (1925-1965 attivista diritti degli afroamericani e dei diritti in generale ndt), (1963) ha dato un’espressione pregnante al desiderio di autodeterminazione da parte della minoranza di nazionalità africana negli Stati Uniti, gravato da uno stato interventista controllato da popolazioni di estrazione Europea:

Questo nuovo tipo di uomo nero non vuole l’integrazione; vuole la separazione. Né la segregazione, né la separazione. Per lui, la segregazione … significa che viene imposto agli inferiori dai superiori … Nella comunità bianca, l’uomo bianco controlla l’economia, la sua economia, le sue politiche, il suo tutto. Ecco la sua comunità. Ma allo stesso tempo, mentre il negro ancora vive in una comunità a parte, si tratta di una comunità segregata. Significa che è tutto regolato dall’esterno da parte di estranei. L’uomo bianco ha tutte le imprese della comunità negra. Gestisce la politica della comunità negra. Egli controlla tutte le organizzazioni civiche nella comunità negra. Questa è una comunità segregata … Non ci piace la segregazione. Noi siamo per la separazione. La separazione è ciò che vogliamo. È possibile controllare la propria economia, è possibile controllare le proprie politiche, è possibile controllare la propria società, è possibile controllare il proprio tutto. Voi avete la vostra e controllate la vostra, noi abbiamo la nostra e controlliamo la nostra.

Nell’analizzare le cause e le soluzioni dei conflitti di cittadinanza, Mises ha coniato il termine “militante” o il nazionalismo “aggressivo”, in contrasto con “liberale” o “pacifico” nazionalismo. Così per Mises, la scelta non è mai stata tra nazionalismo e un blando atomistico (frammentario, disorganico) “globalismo”; la vera scelta era o il nazionalismo, che era cosmopolita e ha abbracciato i diritti individuali universali ed il libero scambio o l’intento nazionalismo militante soggiogando e opprimendo altre nazioni. Ha attribuito l’ascesa del nazionalismo anti-liberale alla mancata applicazione del diritto di autodeterminazione e del principio di nazionalità coerente e al massimo grado possibile la formazione di nuove entità politiche sulla scia del rovesciamento del dispotismo reale di guerra o di rivoluzione. La conseguenza fu che i popoli si differenziarono per lingua, tradizione, religione, ecc. artificialmente e legati, involontariamente, da dispotici legami politici. L’inevitabile risultato di questi poliglotti, misti stati nazionali fu la soppressione delle minoranze da parte della cittadinanza maggioritaria, una lotta amara per il controllo dell’apparato statale e per la creazione di una reciproca e profonda diffidenza e di odio. (5) Questo stato di cose è spesso culminato nella violenza fisica omologato dallo stato, tra cui l’espropriazione e l’espulsione ed anche l’assassinio di popolazioni minoritarie.
Libertà di movimento contro il diritto di auto-determinazione dei popoli

Mises sostiene che tutto questo si sarebbe potuto evitare solo se il completo programma liberale che comprende, oltre a una politica economica di prodotti interni, il laissez-faire e del libero scambio internazionale di beni, il diritto fondamentale di autodeterminazione ed il principio di nazionalità a cui essa dà luogo. Mises non usa mezzi termini nel descrivere la situazione delle minoranze in un sistema illiberale, interventista:

Se il governo di questi territori (abitati da membri di diverse nazionalità) non è condotto lungo linee completamente liberali, non c’è alcun dubbio anche di un approccio alla parità di diritti nel trattamento dei membri dei vari gruppi nazionali. Ci possono essere, quindi solo i governanti e quelli governati. L’unica opzione è chi sarà il martello e chi l’incudine.

Mises, tuttavia, va oltre e sostiene che anche la fine dell’interventismo non risolve il conflitto di cittadinanza. Quasi da solo, tra i liberali classici della sua epoca ed i moderni libertari, Mises riconosce chiaramente che il capitalismo del laissez-faire e del libero scambio sono necessari ma non sufficienti a garantire la pace tra i diversi gruppi di individui costretti a vivere sotto un sistema politico unitario che volontariamente e naturalmente per auto-riconoscere i popoli o le nazioni diversi, in base alla lingua, ai costumi ed alle tradizioni condivise, quali la religione, il patrimonio o di qualsiasi altro fattore oggettivo è soggettivamente significativo per loro. Secondo Mises sugli stati:

Tutti questi svantaggi (vissuti dalle minoranze) si fanno sentire in modo molto opprimente, anche in uno stato con una costituzione liberale in cui l’attività del governo è limitata alla tutela della vita e del bene dei cittadini. Ma diventano intollerabili in uno stato interventista o socialista.

Per Mises il meglio che si può dire di un governo, le cui funzioni sono strettamente limitate alla tutela della persona e della proprietà e all’adempimento degli impegni è di non “aggravare artificialmente l’attrito che deriva da questa convivenza di gruppi diversi.”

Mises difende il completo programma liberale – il laissez-faire dei principi di nazionalità – contro coloro che banalmente attribuiscono gli “antagonismi violenti” tra le nazioni che abitano una singola giurisdizione politica ad una “innata antipatia” tra popoli di differenti nazionalità. Al contrario, sostiene Mises, nonostante gli odi che possono esistere in natura tra i vari gruppi di persone della stessa nazionalità, sono in grado di andare d’accordo pacificamente quando si vive sotto la giurisdizione dello stesso stato, mentre le diverse nazionalità che vengono forzatamente legate insieme, sotto accordi politici comuni, sono in costante conflitto:

Il Bavarese odia il Prussiano; Prussiano, il Bavarese. Non meno feroce è l’odio che esistente tra i gruppi individuali all’interno sia in Francia e sia in Polonia. Tuttavia, i tedeschi, i polacchi ed i francesi riescono a vivere in pace all’interno dei propri paesi. Ciò che dà l’antipatia del polacco per il tedesco e del tedesco per il polacco è uno speciale significato politico, l’aspirazione di ciascuno dei due popoli di prendere per sé il controllo politico delle aree di confine in cui i tedeschi ed i polacchi vivono fianco a fianco e usarlo per opprimere i membri dell’altra nazionalità. Ciò che ha acceso l’odio tra le nazioni, il fuoco che consuma, è il fatto che la gente vuole usare le scuole per allontanare i bambini dalla lingua dei loro padri e fare uso dei tribunali, degli uffici amministrativi, delle misure “politiche ed economiche ed espropriarli a titolo definitivo per perseguitare coloro che parlano una lingua straniera.

Quindi non sono le antipatie naturali fra i popoli – che possono o non possono esistere – ma la causa dei conflitti nazionali è la negazione politica del diritto di autodeterminazione. In tale ottica, Mises emette un terribile e, a ben vedere, avvertimento profetico: “Finché il programma liberale non è completamente realizzato nei territori di nazionalità mista, l’odio tra i membri di diverse nazioni diventa sempre più agguerrito e continua ad accendere nuove guerre e ribellioni”. Questo è certamente vero del mondo di oggi, soprattutto in Asia e Africa, dove gli imperialisti europei ed i colonialisti perseguitano le diverse “Nazioni” (tribù, capitanati, gruppi linguistici, etnie, religioni) politicamente unite, ma profondamente disfunzionali. La maggior parte delle quaranta guerre attualmente in corso, condotte su questi continenti, sono “intra-statali” o guerre civili e, di queste, la maggior parte sono “alimentate tanto dalla animosità razziale, etnica o religiosa, quanto dal fervore”. Alla loro radice si trovano i tentativi dei gruppi di minoranza di resistere o di far terminare l’oppressione della maggioranza prendendo l’apparato statale esistente, separandosi con uno stato a parte, o con la creazione di uno stato completamente nuovo, per esempio, l’ISIL (Stato Islamico).

Questo ci porta alla annosa questione dell’immigrazione. Mises respinge sommariamente le argomentazioni puramente economiche contro l’immigrazione gratuita e fallace. Egli sottolinea che, dal punto di vista globale, la migrazione aumenta la produttività del lavoro umano, la fornitura di beni e gli standard di vita, perché facilita la ridistribuzione del lavoro (e del capitale) da regioni con condizioni naturali meno vantaggiose nella produzione a quelle con condizioni naturali più vantaggiose. Le barriere alla migrazione di manodopera, pertanto causano una cattiva allocazione del lavoro e la sua geografica mal-distribuita, con un eccesso di offerta relativa in alcune aree ed una penuria in altri settori. Gli effetti alle barriere di migrazione sono, quindi, esattamente come gli effetti delle tariffe ed altre barriere al commercio internazionale di merci: perché la riduzione di efficienza produttiva e di reddito e le opportunità relativamente sfavorevoli per la produzione, sono sfruttate in alcune regioni, mentre le opportunità, relativamente favorevoli, rimangono inutilizzate in altre.

Anche se Mises sostiene che la libera circolazione delle merci, dei capitali e del lavoro tende a massimizzare la produttività del lavoro e della produzione totale dei beni e dei servizi, non prevede questo come obiettivo finale del liberalismo. Come Mises argomenta, in un altro contesto, è stato un errore credere “che l’essenza di programmi liberali non sia proprietà privata, ma “libera concorrenza (cioè, libera dal “potere economico” delle grandi imprese)”. Lo stesso vale anche al momento di valutare la desiderabilità sociale della migrazione di manodopera: lo standard di benessere per Mises ed i liberali classici non è l’“economicistico”, gli obiettivi della scuola di Chicago dell’efficienza produttiva e la massima produttività del lavoro misurato in termini pecuniari, ma la garanzia di un completo regime di proprietà privata. Perché è il funzionamento del mercato, senza ostacoli, basato sulla proprietà privata che meglio questo è il fine ultimo di ogni attività economica. Nella sua analisi brillante ma trascurata del mercato del lavoro nel suo trattato economico, Human Action, Mises fa notare che anche la migrazione, completamente senza ostacoli del lavoro attraverso i confini politici, non porta alla massima produttività del lavoro ed alla distribuzione del lavoro che rende uguali il valore dei salariali dello stesso tipo e qualità di lavoro dei servizi in tutta l’economia globale. La ragione?

Il lavoratore ed il consumatore sono la stessa persona … Gli uomini non possono scindere le loro decisioni riguardanti l’utilizzazione del loro potere di lavorare da quelle relative al godimento dei loro guadagni. La discendenza, la lingua, l’istruzione, la religione, la mentalità, i legami familiari e l’ambiente sociale legano il lavoratore in modo tale che egli non sceglie il luogo ed il ramo del suo lavoro solo per quanto riguarda l’entità dei salariali. …

Mises, nel discutere la migrazione della manodopera sposta, quindi l’attenzione dalla astrazione analitica del “lavoratore” nel cercare i salari più alti, in accordo con le sue preferenze di piacere del vero attore umano, dimostrando preferenze attraverso una vasta gamma di obiettivi che includono beni non scambiabili, come vicinanza e l’associazione con i membri della stessa famiglia, l’appartenenza religiosa, l’etnia o gruppo linguistico. Di conseguenza, Mises, riconosce esplicitamente che una volta che le ipotesi obsolete alla base della dottrina di libero scambio, avanzate da Ricardo ( David 1772-1823 economista) e dagli economisti classici, vengono eliminate e sono considerate la mobilità internazionale dei capitali e del lavoro, nonché le merci, la tesi del libero scambio, mentre resta valido “dal punto di vista puramente economico … presenta un punto di partenza molto cambiato per testare le ragioni extra-economiche a favore o contro il sistema di protezione”. Mises riassume così l’analisi delle migrazioni, oltre la materia delle considerazioni strettamente economiche e lo porta in contatto con la realtà politica concreta della democratica mescolanza Stato-nazione e della sua caratteristica repressione e violazione dei diritti di proprietà sulle minoranze nazionali da parte dei cittadini di maggioranza.

Questa analisi porta Mises a visualizzare l’“immigrazione” di massa, che è migrazione di lavoro attraverso i confini di stato, anche quando si verifica per ragioni puramente economiche, come comportanti l’inerente problema. Mises sostiene che la creazione della mescolanza Stato-nazione, derivante dalla immigrazione di lavoratori di nazionalità straniera, “fa sorgere ancora una volta tutti quei conflitti che in genere si sviluppano nei territori poliglotti” ed “in particolare i conflitti caratteristici tra i popoli”. Mises fa riconoscere che la pacifica assimilazione culturale e la politica può avvenire “se gli immigrati non arrivano tutti in una volta, ma a poco a poco, in modo che il processo di assimilazione tra i primi immigrati sia già stata completata o almeno già in corso, quando i nuovi arrivati giungono”. Egli cita l’esempio dell’immigrazione cinese negli Stati Uniti nel XIX secolo, che si è verificata in un modo suscettibile di assimilazione. Osserva Mises: che “forse” i cinesi hanno “ottenuto il riconoscimento nella loro nuova casa. … negli stati occidentali dell’Unione se la legislazione non avesse limitato la loro immigrazione nel tempo”. Ma questa è strettamente una dichiarazione positiva e Mises non opera alcuna delle implicazioni politiche da esso.

In effetti, Mises espone argomenti economici per limitare l’immigrazione protezionistica proposta dai sindacati relativamente ai paesi ad alto costo del lavoro, come gli Stati Uniti e l’Australia, in modo autoreferenziale trasparente e dannoso per gli interessi economici dei loro connazionali, nonché in contrasto con gli insegnamenti profondi della teoria economica. Mises prende un tono più misurato quando considera l’argomento extra-economico in favore della restrizione dell’immigrazione che è maliziosamente ricorsa a dai protezionisti come una posizione di ripiego. Secondo quest’ultimo argomento, in assenza di barriere all’immigrazione, “orde di immigrati” non-anglofoni europei e di nazionalità asiatiche potrebbero “inondare l’Australia e l’America”. Perché questi immigrati sarebbero arrivati rapidamente ed in gran numero, l’argomento asserisce, che non potevano essere assimilati e che gli anglosassoni, nei paesi di accoglienza, si troverebbero in minoranza ed il loro “dominio esclusivo … sarebbe stato distrutto”.

Nel valutare questo argomento, Mises sottolinea i problemi politici che sorgerebbero in una nazione-stato mista, creata durante la notte per l’immigrazione di massa:

Forse, questi timori possono essere esagerati per quanto riguarda gli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Australia, certamente non lo sono … Se l’Australia è spalancata all’immigrazione, si può desumere, con grande probabilità. che la sua popolazione sarebbe in pochi anni composta da giapponesi, cinesi e malesi … Tuttavia l’intera nazione (non solo i lavoratori) è unanime nel timore di invasione da stranieri. Gli attuali abitanti di quelle terre privilegiate (Stati Uniti e Australia) temono che un giorno potrebbero essere ridotti ad una minoranza nel loro stesso paese e che dovrebbero poi subire tutti gli orrori della persecuzione nazionale come, per esempio, i tedeschi di oggi (1927) sono esposti con la Cecoslovacchia, l’Italia e la Polonia.

Mentre Mises non prende una posizione esplicita circa l’opportunità di una politica di controllo dei flussi dell’immigrazione di massa, che è indotta da opportunità economiche, riconosce che “queste paure” della cittadinanze, che abitano il paese ricevente, “siano giustificate”, soprattutto in un mondo di stati interventisti. Mises, che per molti anni ha osservato in prima persona i maltrattamenti eclatanti delle minoranze nazionali in Europa centrale ed orientale, esprime vividamente la base della paura per la maggior parte della nazione di essere trasformata in una minoranza nazionale.

Fino a quando allo Stato sono attribuiti i vasti poteri che esso ha oggi e che l’opinione pubblica considera un suo diritto, il pensiero di dover vivere in uno stato il cui governo è nelle mani di membri di una nazionalità straniera è effettivamente terrificante. E’ spaventoso vivere in uno stato in cui ad ogni passo si è esposti a persecuzioni, mascherate dall’apparenza di giustizia da una maggioranza di governo. E’ terribile essere portatori di handicap, come un bambino a scuola, a causa della propria nazionalità e di essere dalla parte del torto ancor prima davanti all’autorità giudiziaria ed amministrativa, perché si appartiene ad una minoranza nazionale.

Così, Mises vede l’immigrazione, come sempre e ovunque, un “problema” a cui “non c’è soluzione”, a patto che i regimi politici interventisti siano nella consuetudine. Solo quando il passaggio dei confini di uno Stato, da parte dei membri di una nazione diversa presagisce i pericoli politici per la nazionalità indigena e vedrà il “problema dell’immigrazione” scomparire ed essere sostituita da migrazione benigna del lavoro che crea vantaggi economici purissimi e reciproci per tutti gli individui ed i popoli. Dal punto di vista di Mises, quindi, la soluzione al problema dell’immigrazione è di non legiferare qualcosa di vago, ma proprio ad hoc per la “libertà di movimento” tra i confini esistenti. Meglio è quello di completare la rivoluzione liberale del laissez-faire e garantire i diritti di proprietà privata, prevedendo la ridefinizione continua dei confini di stato in conformità con il diritto di autodeterminazione ed il principio di nazionalità. Poi – e solo allora – la riallocazione può continuare creando la ricchezza del lavoro in tutto il mondo, richiesto da un’economia capitalista dinamica ed essere tranquillamente sistemati senza precipitare in un conflitto politico.

Conclusione

Mises era un nazionalista, liberale radicale e cosmopolita, il cui obiettivo generale era quello di promuovere le politiche che hanno facilitato l’estensione pacifica della divisione sociale del lavoro, fondata sulla proprietà privata, a tutti gli individui e alle nazioni. Ha riconosciuto la realtà di nazioni separate e la sua significatività per l’analisi politica ed economica. Egli ha riconosciuto che i confini politici non si sono formati in base al principio di nazionalità ed erano un impedimento insormontabile alla realizzazione più completa del concetto di libero scambio ed una importante fonte di conflitti nazionali come il protezionismo che ha distrutto ricchezza. In particolare, Mises, si rese conto che “l’immigrazione” non era la soluzione al problema della distribuzione spaziale antieconomica del lavoro, ma la causa del problema. Il problema dell’immigrazione sarebbe stato risolto solo con la consumazione della rivoluzione liberale classica nel riconoscimento universale del diritto di autodeterminazione. Allora il problema ed – il vero fenomeno – di im-migrazione presto scomparirebbe, come i confini degli Stati sposterebbe la migrazione dei popoli e delle nazioni.

Ulteriori letture

Mises, Ludwig von. 1983. Nation, State, and Economy: Contributions to the Politics and History of Our Time. Trans. Leland B. Yeager. New York: New York University Press.

1985. Liberalism in the Classical Tradition. Trans. Ralph Raico. 3rd ed. Irvington-on-Hudson, NY and San Fancisco: The Foundation for Economic Education, Inc. and Cobden Press (co-publishers)
1996. Critique of Interventionism. Trans. Hans F. Sennholz. 2nd ed. Irvington-on-Hudson, NY: The Foundation for Economic Education, Inc.
1998. Human Action: A Treatise on Economics. Scholar’s Edition. Auburn, AL: The Ludwig von Mises Institute.
Rothbard, Murray N. 1993. “Hands Off the Serbs.” RRR: Rothbard-Rockwell Report. Pp. 1-5.
1994. “Nations by Consent: Decomposing the Nation-State.” Journal of Libertarian Studies 11:1 (Fall): 1-10.

Mises (. 1983, pag 34) dà l’esempio affascinante dei nazionalisti italiani che gridarono ai soldati imperiali austriaci: “Tornate indietro, attraversate le Alpi e diventeremo ancora fratelli”.
2. Tuttavia, Mises (1983, p. 37), ammette che in rari casi, “dove la libertà e l’auto- governo già prevalgono e sembrano fiduciosi senza di essa”, come la Svizzera, il diritto all’autodeterminazione non può comportare uno stato nazionale a livello unitario.
3. Sui conflitti etnico-religiosi nella ex Jugoslavia vedi Rothbard (1993; 1994).
4.Rothbard (1994, pp. 5-6) lo rende un punto simile sugli inevitabili conflitti politici che sorgono in una situazione dove diverse nazionalità sono legate insieme sotto la giurisdizione di un unico governo liberale del laissez-faire: “ma anche sotto un piccolissimo stato, i confini nazionali potrebbero ancora fare la differenza, spesso grande, per gli abitanti della zona. Per la cui lingua… ci saranno nella zona: cartelli stradali, elenchi telefonici, procedimenti giudiziari o classi scolastiche?
5.Un termine più eufonico di “mescolanza di stati-nazione”, per queste entità politiche, sarebbe “stati multinazionali”, ma data la sua attuale connotazione, quest’ultimo termine è probabile che sia fuorviante.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 7:55 am

???

"La questione ebraica esiste ovunque, là dove vive un considerevole numero di ebrei.

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 1263177098

Là dove non esiste, viene importata dagli ebrei che vi si trasferiscono. Naturalmente emigriamo in paesi, dove non veniamo perseguitati: ma è proprio a causa della nostra presenza che esplodono poi le persecuzioni.
Questo è vero e continuerà ad esserlo ovunque, perfino nei paesi civilizzati-prova ne è la Francia- fino a quando la questione ebraica non verrà risolta politicamente......
Non considero la questione ebraica nè una questione sociale, nè...religiosa. Anche se assume questi ed altri aspetti. È una questione nazionale, e per risolverla la dobbiamo trasformare soprattutto in una questione politica mondiale che verrà regolata dalla consesso dei popoli civili. Noi siamo un popolo, un popolo. Dappertutto abbiamo onestamente tentato di integrarci nel tessuto sociale del popolo con cui convivevamo e di conservare solo la fede dei nostri padri. Non ci viene permesso. Inutilmente siamo stati patrioti e in alcuni casi persino fanatici. Inutilmente sacrifichiamo i nostri beni ed il nostro sangue come i nostri connazionali, inutilmente ci sforziamo di contribuire ad aumentare la gloria delle nostre patrie nelle arti e nelle scienze, la loro ricchezza con il commercio e con i trasporti.
Nelle nostre patrie, in cui viviamo ormai da secoli, ci viene gridato in faccia che siamo stranieri, spesso da gente la cui stirpe non si era ancora insediata lì, quando i nostri padri già vi conducevano una vita di sofferenza....
Ovunque, se solo ci lasciassero vivere in pace almeno per due generazioni potremmo forse scomparire senza lasciare traccia nei popoli che ci circondano. Ma non ci lasceranno in pace. Dopo brevi periodi di tolleranza l'ostilità contro di noi si risveglia sempre e comunque.
Il nostro benessere sembra avere in sè qualcosa di provocante, perché da molti secoli il mondo era abituato a vedere in noi i più spregevole tra i poveri.
Ma non si accorge, per ignoranza o per meschinità, che il nostro benessere ci indebolisce in quanto ebrei e cancella le nostre peculiarità. Solo l'oppressione risveglia in noi il senso di appartenenza alla nostra stirpe, solo l'odio dell'ambiente in cui viviamo, ci fa di nuovo sentire stranieri. Così siamo e restiamo, volere o no, un gruppo storico con affinità ben evidenti.
Siamo un popolo- è il nemico a renderci tale, anche senza che noi lo vogliamo.....
Oppressi rimaniamo insieme -e all'improvviso scopriamo la nostra forza. Sì abbiamo la forza di costruire uno stato, anzi uno stato modello.
Possediamo tutti i mezzi umani e materiali necessari a questo scopo...
Ci venga data la sovranità su di un pezzo della superficie terrestre sufficiente a soddisfare i nostri giusti bisogni, tutto il resto ce lo procureremo da soli."

*Theodor Herzl "Lo stato ebraico" traduzione di Valenti, Il Melangolo, Genova,1992, pp.15,18, 21, 22, 27, 38
Ho voluro riportare alcuni passi di uno studioso ebreo che nel 1896 scrisse parole nate dalla visione di una triste realtà storica e profetizzò la possibilità che si creasse uno Stato israeliano.
Non è stato facile, ma quello Stato c'è e deve continuare a esistere!
Opinione personale, che difenderò sempre!


Gino Quarelo
Mi chiedo con chi si schierano e sono schierati o potrebbero schierarsi gli ebrei laddove vi sono delle istanze indipendentiste:
in Catalogna, in Scozia, nei Paesi Baschi, in Veneto, in Kurdistan, in Sudtirolo, ...
sicuramente se si schierassero contro le istanze dei popoli che desiderano la loro libertà e una sovranità indipendente rischierebbero di farsi odiare da costoro. E non è una questione di lana caprina.
Anche sulla questione della difesa dei diritti dei nativi o indigeni europei e contro l'invasione dall'Africa e dall'Asia e dei nazisti maomettani per cui si battono taluni movimenti europei nazionalisti di destra gli ebrei europei si giocano la simpatia o l'avversione.




Sebastian Kurz, nuovo Cancelliere austriaco, riconosce Israele come Stato ebraico
Rebecca Mieli
17 dicembre 2017

http://www.linformale.eu/sebastian-kurz ... to-ebraico

Il nuovo governo austriaco parte bene.
Oggi il Cancelliere Sebastian Kurz ha parlato di Israele come di uno stato ebraico. Il chiaro riferimento ha solo un precedente in Europa: quello di Angela Merkel. Un trentenne nazionalista che fa ben sperare per il futuro. Per il resto, la democratico-fallimentare europa ha ancora molto da imparare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » lun dic 18, 2017 9:24 am

Antisemitismo, ebrei in fuga. Ora è allarme in tutta Europa
Marco Cobianchi - Dom, 17/12/2017

http://www.ilgiornale.it/news/antisemit ... 74884.html

La decisione di Trump su Gerusalemme riaccende le tensioni. In Francia un atto razzista su tre è contro un israeliano: ecco perché chi può torna in patria

Tra gli ebrei francesi è ancora viva la memoria di Ilan Halimi: il primo uomo ad essere sequestrato, torturato e ucciso da un'organizzazione chiamata «banda dei barbari» solo per il fatto di essere ebreo.

Era il 2006. Nel 2012 a Tolosa quattro persone, delle quali tre bambini, sono state uccise all'ingresso di una scuola ebraica. Nel 2016, secondo il Servizio di protezione della Comunità Ebraica (Spcj) «un atto razzista su tre è stato rivolto contro un ebreo mentre gli ebrei rappresentano meno dell'1% della popolazione». Questo spiegherebbe il senso di insicurezza che pervade la comunità ebraica francese i cui membri sempre più numerosi decidono di lasciare il Paese ed emigrare in Israele. Ma il Spcj è di parte. Per capire davvero se in Europa sta montando un'onda antisemita bisogna rifarsi ai numeri ufficiali e considerare solo quelli. È importante, perché la decisione del presidente americano Donald Trump si spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola come capitale dello Stato ebraico, non solo rischia di dare il via ad una nuova stagione di guerra nell'area, ma rischia anche di rinfocolare un sentimento antisemita in tutto il mondo.

Sentimento antisemita che può essere «calcolato» attraverso i numeri ufficiali delle aggressioni agli «ebrei in quanto ebrei» e che sono stati raccolti e analizzati dal sito di datajournalism Truenumbers.it. Tutte le polizie europee, ogni anno, diffondono il rapporto sulla criminalità all'interno del proprio Paese e dal 2006, casualmente l'anno dell'omicidio di Ilan Halimi, contengono una sezione dedicata proprio alle aggressioni antiebraiche. In queste pagine sono illustrati gli atti antisemiti nei quattro principali Paesi europei: Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. In Gran Bretagna i casi sono in drammatico aumento: tra il primo aprile del 2015 e il 31 marzo del 2016 sono stati 786 dai 629 dello stesso periodo dell'anno precedente. Solo tre anni prima erano meno della metà. In Germania l'andamento è più discontinuo. C'è stata una crescita di atti antisemiti tra il 2015 (1.366) e il 2016 (1.468) ma nel 2006 il dato era molto più alto: 1.809. Nel primo semestre di quest'anno c'è stata una fiammata di violenza antiebraica: 681 episodi, più 6% rispetto allo stesso periodo del 2016. E poi c'è la Francia, il Paese dal quale gli ebrei stanno fuggendo anche perché non vedono di buon occhio le prime mosse del presidente Macron. Quando Trump ordinò di trasferire l'ambasciata, Macron è stato il primo (al mondo) a criticarlo cercando di creare un blocco occidentale contrario. Nel 2016 gli atti antisemiti sono stati appena 335 (comunque: poco meno di un atto al giorno) rispetto agli 808 del 2015 quando il presidente socialista Hollande dichiarò una mobilitazione nazionale contro l'antisemitismo (Grand cause nationale) e ai 571 del 2006. Stando ai numeri della Digos, l'Italia non sta vivendo una situazione particolarmente allarmante. Nel 2015 (i dati del 2016 non sono stati resi disponibili) i reati antisemiti sono stati solo 50, ma sono di «qualità» peggiore rispetto ai 335 registrati in Francia perché la Digos registra solo i veri e propri reati. Da noi ci sono state 23 persone indagate e nel 2012, quando i casi registrati furono solo 28, con anche 6 arresti.

In Germania la stragrande maggioranza degli atti antisemiti sono stati opera di gruppi dell'estrema destra. Nel resto dell'Europa, invece, si tratta di atti perpetrati da musulmani. L'ufficio statistico di Israele tiene meticolosamente il conto delle persone uccise a causa dell'eterno conflitto ebrei-palestinesi nelle due aree più «calde» che sono Striscia di Gaza e West Bank. In 8 anni la stragrande maggioranza dei morti si è avuta nella Striscia di Gaza dove le forze dell'ordine israeliane hanno ucciso 2.709 palestinesi. Un numero spaventoso che corrisponde a poco meno di un morto al giorno per otto anni. Nella stessa Striscia di Gaza, e nello stesso periodo, i palestinesi hanno ucciso 45 soldati israeliani ma hanno ucciso anche 61 palestinesi, spesso accusati di essere spie di Israele.

I numeri dell'eterno conflitto rivelano un fatto piuttosto indiscutibile: mantenere lo status quo in Israele significa accettare che una persona muoia ogni giorno. Il prezzo da pagare per dare una svolta a una situazione apparentemente inestricabile, come il riconoscimento di Gerusalemme capitale, consiste nel rischio di vedere in Europa crescere gli atti di violenza contro gli ebrei. Che già ora non mancano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Nasionałixmi ouropei antisemidi e antisionisti

Messaggioda Berto » dom dic 31, 2017 6:40 pm

Liberté, Égalité, Fraternité
di Michael Sfaradi
31 dicembre 2017

http://www.ticinolive.ch/2017/12/31/lib ... fraternite

Una di quelle notizie che fino ad oggi, almeno per quanto mi risulta, non ha trovato spazio sulla stampa italiana, e che sicuramente continuerà a non trovarla anche sul resto della stampa europea, l’ha raccontata ieri il Jerusalem Post riprendendo un articolo pubblicato dalla rivista finanziaria Globes.

Gli articoli rivelano che il governo francese, per la precisione il Ministero delle Finanze, ha assunto 20 impiegati che conoscono alla perfezione la lingua ebraica per indagare sulla legittimità delle ricchezze delle famiglie francesi di religione ebraica che si stanno trasferendo in Israele.

Si tratta di un dipartimento, che doveva rimanere segreto, locato al 13 ° piano del Ministero delle Finanze in Boulevard de Bercy, sulle rive della Senna, e creato con l’unico scopo di gestire l’evasione fiscale da parte degli ebrei francesi.

Chiaramente ogni nazione ha il sacrosanto diritto di controllare i redditi dei suoi cittadini e verificare che siano state pagate tutte le imposte e le tasse che la legge prevede, ma le autorità fiscali di una nazione democratica non istituiscono dipartimenti che prendono di mira uno specifico gruppo di persone accumunato da particolari caratteristiche e la Francia, che è costituzionalmente definita come una repubblica laica e democratica, dovrebbe, anche qui il condizionale è d’obbligo, astenersi dal “segnare” le persone secondo la loro religione o gruppo etnico.

È vero che le autorità fiscali di quasi tutto il mondo stabiliscono team di specialisti per trattare settori i cui rapporti fiscali sono particolarmente difficili come ad esempio il settore immobiliare o quello dei preziosi, ma l’istituzione di un dipartimento che si occupi dei contribuenti in base alla nazionalità, religione o gruppo etnico è una pratica abietta che non può essere accettata da nessuna nazione, meno che mai da una come la Francia di oggi.

Quello che è intollerabile non è che le autorità francesi facciano controlli e sanzionino chi ha evaso il fisco, ci mancherebbe, ma il modo in cui le indagini vengono svolte. Ciò che fa veramente indignare è che basta essere di religione ebraica per essere controllato da un dipartimento speciale, questo nel 2017 è inaccettabile.

Sono molti gli ebrei francesi che stanno lasciando la loro patria e si stanno trasferendo, armi e bagagli, in Israele, si tratta di un fenomeno degli ultimi anni anche se lo Stato Ebraico esiste dal 1948. Inutile girarci intorno: questa migrazione che sta diventando di massa e sta trasformando Israele una nazione francofona, è una realtà degli ultimi anni e la ragione, o le ragioni, non si annidano nella religiosità o negli ideali politici legati al sionismo ma alla paura del nuovo antisemitismo che sta dilagando a macchia d’olio in tutto il vecchio continente.

La Francia, e anche il resto d’Europa, dovrebbe davvero chiedersi perché sta perdendo i suoi ebrei e, invece di creare dipartimenti speciali per cercare eventuali evasori fiscali, dovrebbe, dopo un approfondito esame di coscienza, valutare se davvero è stato fatto abbastanza per permettere ai cittadini francesi di religione ebraica di continuare a vivere in maniera dignitosa e alla pari dei diritti e doveri rispetto ai loro connazionali di altri fedi o appartenenti ad altri gruppi etnici.

Il fatto è di una gravità estrema ed è ancora più grave che l’istituzione di un dipartimento dedicato agli ebrei, nella comunità franco – israeliana viene chiamato la ‘Gestapo’ del fisco, sia stato istituito durante il mandato di Emmanuel Macron, l’uomo che ha battuto il fascismo della Le Pen.



Gino Quarelo
Così gli ebrei di Francia sono serviti. Credendo di far bene hanno sostenuto Macron l'internazionalista contro la Le Pen nazionalista e oggi il loro campione antisemita e antisraeliano li ripaga. Non si finisce mai di imparare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Ebraismo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 7 ospiti

cron