Palestina: Le ragioni di Israele

Palestina: Le ragioni di Israele

Messaggioda Berto » sab apr 09, 2016 5:19 pm

Strika de Gaxa (e i nasirasisti xlameghi co łi so sostenidori e conpliçi cristiani)

viewtopic.php?f=188&t=2142

Immagine
https://it.wikipedia.org/wiki/Striscia_ ... _-_ITA.svg

Tra le tante fonti di informazione, questa mi pare tra le più equilibrate e le meno schierate e faziose (anche Israele ha le sue ragioni).

Operazione piombo fuso
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Piombo_fuso
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab apr 09, 2016 5:32 pm

Rasixmo e rasisti contro łi ebrei e Ixrael e i crimini de l'ONU
viewtopic.php?f=25&t=1413


Le ensemense só e contro łi ebrei
viewtopic.php?f=197&t=2178



L'Ouropa fiłoxlamega e antisemita ła boicota Ixraełe, mi no!
viewtopic.php?f=92&t=2010

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Israel.jpg
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mer apr 13, 2016 7:43 pm

Miti da sfatare su Israele: 21 domande, 21 risposte, di Luciano Tas
Alex Zarfati
18 maggio 2008

http://www.focusonisrael.org/2008/05/18 ... poste/1246


Le cinque bugie su Israele
26 maggio 2008

http://www.focusonisrael.org/2008/05/26 ... su-israele
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab mag 07, 2016 8:18 am

Ecco perché i palestinesi non vogliono riconoscere Israele come stato ebraico
Per molti palestinesi, Israele è un unico grande insediamento da rimuovere: una posizione che impedisce qualunque accordo di pace
Di Khaled Abu Toameh
(Da: Gatestone Institute, 1.5.16)

http://www.israele.net/ecco-perche-i-pa ... to-ebraico

Israele in quanto stato nazionale del popolo ebraico continua a essere detestato dalla comunità palestinese. È un atteggiamento che nasce dai vertici e che viene costantemente espresso dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Il rifiuto palestinese di riconoscere Israele come stato ebraico è motivato dalla tesi che una mossa del genere significherebbe rinunciare al “diritto al ritorno” in Israele per milioni di “profughi”. Il rifiuto, inoltre, è dettato dalla continua negazione di qualsiasi legame storico tra gli ebrei e questo paese.

Nelle ultime settimane, Abu Mazen ha reiterato la sua ferma opposizione al riconoscimento di Israele come stato ebraico. Questo rifiuto rappresenta uno dei principali ostacoli alla pace tra Israele e i palestinesi. In questo senso, le recriminazioni dell’Autorità Palestinese per le costruzioni negli insediamenti non sono altro che una cortina fumogena.

In questi ultimi giorni si parla molto dell’intenzione dell’Autorità Palestinese di far approvare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione che condanni Israele per le costruzioni negli insediamenti. Non è ancora chiaro se l’Autorità Palestinese metterà in atto la minaccia. Una cosa però è certa, ovvero che questa ossessione per gli insediamenti distoglie l’attenzione dalle questioni fondamentali, come il riconoscimento palestinese di uno stato ebraico. Molti palestinesi continuano a considerare Israele come un unico grande insediamento che deve essere rimosso dal Medio Oriente.

Abu Mazen: “Abbiamo detto: noi non riconosceremo Israele come stato ebraico”

Perché, in effetti, i palestinesi si rifiutano di accettare Israele come stato ebraico? Abu Mazen ha sempre evitato di spiegare le ragioni del suo netto rifiuto. Nel gennaio 2014, dichiarò: “I palestinesi non riconosceranno il carattere ebraico dello stato d’Israele e non lo accetteranno. Gli israeliani affermano che se noi non lo faremo, non ci sarà alcuna soluzione. E noi diciamo che non riconosceremo né accetteremo il carattere ebraico dello stato d’Israele e abbiamo tanti motivi per questo rifiuto”. In un’altra occasione, Abu Mazen disse: “Nessuno può obbligarci a riconoscere Israele come stato ebraico. Se vogliono, che vadano alle Nazioni Unite a chiedere di cambiare il loro nome con un altro che preferiscono, anche stato sionista ebraico se vogliono”. Ma ancora una volta Abu Mazen non spiegò le ragioni della veemente opposizione palestinese a tale richiesta.

Il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha gettato un po’ di luce sulla questione. “Abbiamo già riconosciuto l’esistenza di Israele sui confini del 1948 della Palestina occupata”, ha spiegato. E ha aggiunto che, durante un incontro a Monaco, aveva ribadito chiaramente a Tzipi Livni, all’epoca ministro degli esteri israeliano, che i palestinesi “non cambieranno la loro storia, religione e cultura riconoscendo Israele come stato ebraico”.

Se i capi palestinesi sono piuttosto riluttanti a spiegare i motivi della loro intransigenza, altri palestinesi sono molto più prodighi al riguardo. Uno di questi è la politologa Saniyeh Al-Husseini, che di recente ha pubblicato un articolo intitolato: “Perché i palestinesi rifiutano di riconoscere il carattere ebraico dello stato d’Israele”. L’articolo è stato ripreso integralmente dall’agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese Wafa, un segnale preciso del fatto che la dirigenza palestinese approva le sue opinioni. Nel suo pezzo, Al-Husseini sottolinea che gli Stati Uniti sostengono la richiesta israeliana, che lei definisce “una pretesa paralizzante”. L’articolo ammonisce che “accettare l’ebraicità di Israele significa rinunciare a tutti i diritti palestinesi sulle terre palestinesi, comprese le terre che furono occupate nel 1967”.

Secondo l’autrice, sono due i motivi per i quali i palestinesi si oppongono alla richiesta israeliana. Il primo ha a che fare con il “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi nei loro antichi villaggi dentro Israele. Il secondo è legato allo status dei cittadini arabi d’Israele. Circa la prima motivazione, Al-Husseini scrive: “Se i palestinesi accettassero la narrazione israeliana, abdicherebbero ai diritti palestinesi sulla terra di Palestina e giustificherebbero le guerre d’Israele contro i palestinesi. Riconoscere il carattere ebraico dello stato d’Israele significherebbe accettare la narrazione israeliana sul diritto degli ebrei alla terra di Palestina ed esonererebbe Israele da ogni responsabilità per le conseguenze morali e giuridiche di tutti i crimini contro i palestinesi”. Quindi, secondo Al-Husseini, i palestinesi rifiutano di riconoscere uno stato ebraico perché ritengono che questo legittimerebbe “i diritti degli ebrei sulla terra di Palestina” e comprometterebbe la rivendicazione palestinese del “diritto al ritorno” in Israele per milioni di profughi palestinesi.

Soffermiamoci un momento per chiarire questo punto. L’Autorità Palestinese vuole uno stato palestinese accanto a Israele e rivendica allo stesso tempo il diritto di inondare Israele con milioni di profughi e discendenti di profughi. Ovviamente questa è una cosa che nessun governo israeliano potrebbe mai accettare. Ma ancora più cruciale è il rifiuto dei palestinesi di riconoscere qualunque diritto territoriale degli ebrei. Tale rifiuto è un vecchio pilastro della narrazione ufficiale palestinese. Anche quelli che dicono d’aver accettato la soluzione a due stati non sono disposti a riconoscere che gli ebrei hanno un legame o una storia in questa terra.

La seconda ragione, che riguarda i cittadini arabi d’Israele, è altrettanto rivelatrice. Secondo Saniyeh Al-Husseini, la richiesta israeliana “tradisce” l’obiettivo ultimo di Israele che sarebbe quello di sbarazzarsi di tutti i suoi cittadini arabi. E’ vero che qui “si tradiscono” intenzioni nascoste, ma non sono quelle di Israele. Innanzitutto, ripubblicando l’articolo della Al-Husseini, l’Autorità Palestinese rivela di esseri autoproclamata custode e rappresentante dei cittadini arabi d’Israele. Essendo Israele una democrazia – diversamente dai regimi dittatoriali palestinesi – i cittadini arabi d’Israele hanno i loro leader e rappresentanti in seno alla Knesset. L’ultima cosa di cui gli arabi israeliani hanno bisogno è che l’Autorità Palestinese, Hamas o qualsiasi altra fazione palestinese si intrometta nei loro affari interni.

Ma il tradimento non finisce qui. I cittadini arabi d’Israele sono rappresentati da esponenti, compresi alcuni parlamentari alla Knesset, che si preoccupano così tanto dei palestinesi che vivono in Cisgiordania e Gaza da dimenticarsi degli interessi dei loro elettori. Basti pensare al deputato Zouheir Bahloul, che impiega tempo prezioso a ridiscutere la definizione della parola “terrorista”. Bahloul, membro del partito laburista, sembra compiacersi dell’indignazione pubblica che ha suscitato di recente quando ha dichiarato che un palestinese che cerca di accoltellare i soldati israeliani non è un terrorista. È come se Bahloul e gli altri parlamentari arabi alla Knesset avessero risolto tutti i problemi della comunità araba d’Israele e non avessero nient’altro da fare che assicurarsi che nessuno dica che un accoltellatore palestinese è un terrorista. Inutile dire che tale diatriba non è esattamente in cima alla lista delle preoccupazioni dei cittadini arabi d’Israele.

Il tradimento è dunque ampio e profondo. I leader arabi israeliani tradiscono i loro elettori privilegiando quelli che considerano essere gli interessi degli arabi palestinesi, mentre i leader arabi palestinesi tradiscono la loro gente continuando a negare qualsiasi legame tra gli ebrei e la terra d’Israele. Queste posizioni garantiscono il fallimento di ogni tentativo di fare la pace. Quando la comunità internazionale viene interpellata con recriminazioni sugli insediamenti e cose del genere, farebbe bene a considerare questi dettagli piccoli, ma cruciali.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab mag 07, 2016 8:22 am

Obiettivo: minare alla base il diritto di Israele ad esistere
A questo serve negare la Shoà e i legami storici fra gli ebrei e la loro terra
Di Dan Margalit
(Da: Israel HaYom, 4.5.16)

http://www.israele.net/obiettivo-minare ... d-esistere

Israele non è stato creato come una risposta alla Shoà, né come una compensazione per la Shoà, né tantomeno come un’assoluzione per il male fatto in Europa durante la Shoà. Israele è la realizzazione di un’aspirazione alla sovranità nella terra dei padri che risale ai tempi biblici, supportata dal diritto all’auto-determinazione nello spirito dei 14 punti del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson e dalle decisioni adottate dalla Società delle Nazioni. E tutto questo avvenne prima della Shoà.

Israele non è frutto della tragedia più terribile nella storia del genere umano. In un certo senso è vero il contrario: è la Shoà che fu resa possibile dall’assenza di Israele. Lo stato degli ebrei arrivò troppo tardi per salvare i sei milioni di vite umane annichilite a Babi Yar, ad Auschwitz e in ciascuna delle altre infernali macchine della morte.

La Shoà è stata la peggiore di tutte le persecuzioni subite dagli ebrei nel corso della storia, quando erano deboli e indifesi. Non fu l’unico sterminio, ma fu unico nelle sue modalità e proporzioni. E si è ancorato nella vita quotidiana d’Israele in un modo cruciale: il primo compito dello stato ebraico è quello di impedire il ripetersi di aggressioni e tormenti arbitrari.

Se tutto quello che era accaduto prima della Shoà chiarisce e giustifica la necessità di difendersi del popolo ebraico, la Shoà ha portato tale necessità al massimo livello possibile: sino al punto di legittimare il fatto che persino le armi nucleari facciano parte dello scudo che si sono dati gli ebrei.

Pertanto, la negazione della Shoà non è un argomento di discussione accademica come un altro, così come non sono parte di una semplice e legittima discussione tra storici e archeologi le ripetute negazioni di ogni legame storico e culturale fra ebrei e Terra d’Israele. Un tema di discussione può essere quali fossero esattamente le dimensioni dei regni d’Israele, o quando esattamente i nazisti vararono il piano di sterminio della soluzione finale. Invece lo scopo della negazione della Shoà e dei legami fra ebrei e Terra d’Israele è un altro: è quello di cancellare l’ingiustizia fatta agli ebrei e cancellare i loro diritti, con il risultato di minare il diritto di Israele ad esistere come entità sovrana forte, entro confini sicuri e riconosciuti. La falsificazione, in tutte le sue forme, delle pietre miliari della storia e dell’esperienza ebraica fa parte dello sforzo complessivo – anche se non necessariamente organizzato – di mettere in discussione la giustezza e la legittimità dell’esistenza di Israele.

Questa è la perfida ricetta che sta dietro alla calunnia secondo cui sionismo e nazismo avrebbero basi comuni. Una calunnia che si aggrappa sempre agli stessi appigli. Il cosiddetto accordo Haavara degli anni ’30, che in effetti non fu altro che un debole tentativo di arginare i danni dell’espulsione forzata degli ebrei tedeschi dal loro paese e del sequestro dei loro beni, altro che cooperazione. E la tragica vicenda di Rudolf Israel Kastner, processato in Israele nel 1954 per aver disperatamente trattato con Adolf Eichmann e i suoi gorilla il rilascio in Svizzera, in cambio di oro e denaro, di un treno che trasportava 1.684 ebrei ungheresi. Lo stesso Kastner raccontò al procuratore Shmuel Tamir e al giudice Benjamin Halevy che aveva chiesto ad Eichmann se alcuni di quegli ebrei potevano essere inviati in Israele, e si era sentito rispondere da Eichmann che non poteva farlo perché a Gerusalemme nel 1937 aveva promesso al Gran Mufti Haj Amin al-Husseini che la Germania non avrebbe mandato nessun ebreo in Israele. Ma di che diavolo di collaborazione fra sionisti e nazisti vanno dunque cianciando questi farabutti?

Tutte queste diatribe – dalla negazione della realtà storica e archeologica ebraica in Terra d’Israele alla negazione dello sterminio subito dal popolo ebraico durante la Shoà – non hanno lo scopo di delineare i giusti contorni di eventi passati: hanno lo scopo di delineare i contorni dell’ingiustizia che si intende fare agli ebrei di oggi. La minaccia non è tramontata.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mar lug 12, 2016 6:49 pm

Golan, Netanyahu promette: "Da qui non ci muoviamo"
Niram Ferretti
21/04/2016

http://www.linformale.eu/2844-2

Benjamin Netanyahu guarda davanti a sé verso la Siria, o meglio verso ciò che fu la Siria e che oggi è uno stato in decomposizione dove proliferano in lotta tra di loro formazioni integraliste islamiche.

E’ il 17 aprile e Netanyahu non è solo sulle alture del Golan. Insieme a lui c’è il suo gabinetto ministeriale. E’ la prima riunione di un governo israeliano a tenersi qui, ed è la risposta plateale di Netanyahu a ciò che Barack Obama e Vladimir Putin avrebbero deliberato, il ritorno delle alture alla Siria. Solo che la Siria non esiste più.

La risposta di Netanyahu è stata questa. Convocazione dei principali rappresentanti del governo in carica all’aperto e una dichiarazione perentoria, “Le alture del Golan resteranno a per sempre a Israele”. E non poteva essere che così, con questo premier, con questo governo soprattutto in un momento così critico.

Dal 1981 le alture sono sotto la giurisdizione israeliana nonostante l’ONU dichiari che la decisione presa dal governo Begin, in carica all’epoca, non sia legale mentre Israele fa appello alla risoluzione 242 secondo la quale ciascuno stato ha diritto alla “propria integrità territoriale, a confini sicuri e riconosciuti, liberi dalla minaccia e dall’uso della forza”. La minaccia rappresentata oggi dall’ISIS, Hezbollah, Al Qaida-Al Nusra.

Fa sorridere la spregiudicata disinvoltura con cui il Presidente americano, il cui paese si è annesso una parte del Messico e l’attuale premier russo che, con l’annessione della Crimea ha violato il Memorandum di Budapest, includano in una trattativa con la Siria un territorio sul quale non hanno alcuna competenza. Un territorio il quale ha radici ebraiche che risalgono a diversi millenni fa insieme alla Giudea, la Samaria, la Galilea e il Negev. Fa sorridere ma non meraviglia. L’ostilità protratta di Obama nei confronti di Israele non è un mistero per nessuno, così come è dichiarato l’appoggio di Putin al regime sanguinario di Assad.

Quella di Netanyahu è stata una mossa teatrale da maestro consumato dello show politico. Convocare una riunione sul Golan e sfidare un’altra volta il detestato presidente americano in exitu. Con Putin si vedrà a Mosca e l’intangibilità delle alture del Golan sarà sicuramente messa a tema. “Da qui non ci muoviamo. Vediamo chi ci viene a spostare”.



SIRIA - ISRAELE
Alture del Golan, Israele sostiene gruppi fondamentalisti islamici nella lotta contro Damasco
Pierre Balanian

13/09/2016

http://www.asianews.it/notizie-it/Altur ... 38568.html

L’aviazione israeliana ha bombardato postazioni dell’esercito siriano in risposta al lancio di un razzo. Cresce la tensione fra Damasco e lo Stato ebraico lungo i confini nel Golan. Fonti locali parlano di un coinvolgimento diretto di Israele nel conflitto con raid aerei, colpi di artiglieria e rifornimento di armi ai mujaheddin.

Damasco (AsiaNews) - Questa mattina l’aviazione israeliana ha bombardato postazioni dell’esercito di Damasco, in risposta al lancio di un proiettile dal territorio siriano e caduto nella zona delle Alture del Golan sotto il controllo di Israele. Un portavoce dell’esercito con la stella di David sottolinea che la caduta del proiettile “non era intenzionale” ed è con tutta probabilità conseguenza di un “conflitto interno in Siria”.

A seguire, le forze armate di Damasco avrebbero abbattuto un caccia e un drone israeliano nel sud-ovest del Paese. Pronta la replica di Israele, che ha smentito con forza la notizia.

Il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu considera Damasco responsabile della caduta di qualunque razzo sui propri territori nel Golan sebbene, come in questo caso, l’esercito siriano non sembra essere l’autore del lancio. Quello di ieri è il quarto episodio negli ultimi nove giorni.

A dispetto della tregua frutto del cessate il fuoco entrata in vigore ieri, non si attenuano le tensioni sul fronte meridionale, nella zona di al Qunaytara, a ridosso di Israele. Ieri le milizie irregolari dei gruppi armati mujaheddin, i combattenti della fede islamica, che si battono contro il governo centrale, hanno cercato di avanzare e occupare le posizioni dell’esercito siriano. In risposta, Damasco ha bombardato Tal Al Himariya, a sud di Hadar e i dintorni delle fattorie Amal, nella pianura settentrionale di Qunaytara. Colpiti anche convogli di uomini armati anti-governativi che stavano percorrendo la strada che collega Tarnaja a Jabana el Khashab.

In questa zona della provincia siriana di al Qunaytara, situata a ridosso delle Alture del Golan occupate da Israele, lo Stato ebraico ha aperto un passaggio per trasportare i feriti tra i mujaheddin siriani verso gli ospedali israeliani. A riferire la notizia è il Canale 10 della tv israeliana e trova conferme anche fra le fonti locali contattate da AsiaNews. Un testimone riferisce che finora sono stati trasportati in Israele per cure mediche almeno 283 miliziani ribelli, colpiti dai bombardamenti o feriti durante gli attacchi sferrati contro l’esercito governativo siriano.

Se confermato, questo numero sarebbe superiore persino al totale dei feriti trasportati in Israele per cure durante tutto l’arco del 2016.

Di contro, la stampa siriana pur confermando la notizia relativa al trasferimento di feriti da parte dello Stato ebraico, si spinge oltre e parla di sostegno aperto e incondizionato di Israele ai combattenti anti-siriani. Un aiuto che va oltre una mera operazione di soccorso dei feriti, così come va oltre il passaggio di informazioni e di monitoraggio attraverso l’aviazione, inglobando anche “un intervento diretto con l’artiglieria e raid dell’aviazione militare”.

Le forze armate di Damasco hanno inoltre accusato l’aviazione israeliana di aver compiuto, nei giorni scorsi, un bombardamento aereo contro le postazioni dell’artiglieria siriana a Tal Ashaar; un sostegno in piena regola ai ribelli siriani, in quella che hanno definito la battaglia della “Qadissiya meridionale”. Il riferimento storico è alla battaglia di Al Qadissiya contro la Persia avvenuta nei primi anni delle invasioni islamiche; essa è considerata dalla storiografia della religione di Maometto come la più importante per “islamizzare” l’Iraq. Essa si è consumata fra il 16 e il 19 novembre del 636 d.C. ed è terminata con la vittoria dei musulmani e l’uccisione del comandante persiano Rustum Farkhazad.

Secondo Ghassan Muhammad, esperto di affari israeliani intervistato da una emittente televisiva panaraba, “Israele ha paura del successo degli esiti dei colloqui di pace russo-americani e dell’eventualità di giungere ad una soluzione politica in Siria”. Questo, aggiunge, significherebbe che Israele finirebbe per perdere “i propri strumenti nella regione e fallirebbe nell’obiettivo di raggiungere gli scopi strategici prefissati. Fra questi il crollo dello Stato siriano e la disintegrazione delle forze armate e dell’esercito siriano”.

Secondo un giornalista arabo, Husam Zaydan, presente nella zona degli scontri, il sostegno dell’esercito israeliano alle milizie armate siriane “nell’hinterland di al Qunaytara è evidente”. Esso sta a dimostrare la volontà di “far rivivere il progetto dell’innalzamento di un muro divisorio ad Al Tayeb, nel sud della Siria”.

La sera dell’11 settembre migliaia di persone sono scese in strada a Majdal Shams, nel Golan siriano occupato da Israele, per manifestare contro l’appoggio militare, logistico e medico dato dallo Stato ebraico ai gruppi armati uniti. Questo ultimi autori di un attacco a Hadr contro l’esercito siriano.

Secondo informazioni non confermate, Israele ha perfino consegnato ai combattenti mujahiddin anti Regime armi moderne e droni.

Israele teme che a ridosso dell’Altipiano del Golan - in un’area di 1200 km occupata nel 1967 durante la guerra dei Sei giorni - possa sorgere una formazione di opposizione simile a quella creata dagli Hezbollah nel Sud del Libano, durante gli anni di occupazione israeliana. Un incubo durato anni, che ha infine costretto Israele a ritirarsi dal sud del Libano senza avere, per la prima volta nella sua storia, nessun accordo di pace in cambio di territori occupati evacuati.

Ora l’incubo del sud del Libano perseguita i sonni israeliani anche intorno al Golan.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mar lug 12, 2016 6:49 pm

Di Stefano, Di Maio e l'ossessione anti-Israele dei grillini
Deborah Fait
12/07/2016

http://www.linformale.eu/3572-2

Manlio Di Stefano, dalla sua pagina facebook, annuncia il viaggio del Movimento 5 stelle in Israele e “Palestina” come un prosieguo del dialogo intrapreso da lui durante la sua prima visita in “Palestina”, luglio 2013, e continua il suo elenco di baggianate oscene assicurando che la soluzione del conflitto passi “solo” per le scelte del governo israeliano, smantellamento delle “colonie” e ritiro dello stato ebraico ai confini del ’67. Parlare di confini del ’67 significa soltanto imbrogliare la gente che non sa, che non è obbligata a conoscere la situazione e che quindi non si rende conto di essere raggirata in modo cinico e vile. I confini del ’67 non sono altro che una perfida menzogna per non dire che Israele dovrebbe tornare alla situazione territoriale del 1949, alle linee armistiziali, non certo confini, dell’epoca successiva alla prima guerra di indipendenza senza tener conto di tutte le altre guerre e aggressioni arabe per la distruzione totale di Israele che si sono succedute negli anni fino ad oggi.

I vigliacchi non hanno il coraggio di dire la verità e ammettere che chiedere a Israele di ritirarsi nei confini del 49, “i confini di Auschwitz” come li ha chiamati Aba Eban, equivalga a decretarne la fine. Lo sanno perfettamente che per Israele sarebbe un suicidio perché tutti i territori regalati ai palestinisti diventerebbero un’enorme Gaza. Luigi Di Maio spudoratamente dichiara “Esistono alcuni esempi di integrazione sia culturale che religiosa cui è importante guardare con fiducia. Uno di questi è la città di Betlemme dove, sotto la guida della sindaco Vera Baboun, convivono pacificamente cristiani, musulmani ed ebrei“. Convivono pacificamente cristiani, musulmani ed ebrei? Ma cosa sta dicendo? Come si può mentire in modo così vergognoso? Chissà, forse nella sua ignoranza non pensa di mentire, forse è convinto di dire la verità così come gliela raccontano i palestinisti, geni della manipolazione che trovano terreno fertile proprio in chi è digiuno di nozioni storiche e ha l’animo aperto all’odio.

A Betlemme vivono ebrei? Dove? Ce lo dica Di Maio dove ha visto ebrei a Betlemme e ci dica anche se i suoi amici palestinisti gli hanno raccontato che i cristiani, dal 99% del periodo in cui Betlemme era israeliana, sono scesi al 7% sotto il dominio dell’ANP. Scommettiamo che non glielo hanno detto!
Continua Di Maio: “Questa mattina, dopo aver visitato il campo profughi palestinesi di Aida, uno dei più grandi creatisi dopo la guerra del 1948, nonché simbolo della lotta palestinese per il diritto al ritorno, abbiamo incontrato la prima cittadina e abbiamo visitato la Basilica della Natività. Un luogo storico e simbolico per la cristianità“. Occupata e dissacrata da Hamas nel 2002, ricoperta di immondizie e di escrementi umani, acquesantiere distrutte a martellate… si sa ma non si dice, vero Di Maio?
“Betlemme porta con sé tutta la pazzia di questo conflitto anacronistico: vi si celebra insieme la storia di Gesù ed è considerata una delle sedi della spiritualità delle più antiche religioni. Nello stesso tempo però si vede divisa, spaccata e umiliata da un muro, alto otto metri, che corre tra le sue strade e la taglia fuori dal mondo ricordandoci che non ci può essere pace senza integrazione e dialogo. Non ci può essere pace senza il rispetto del diritto internazionale e umano. Non ci può essere pace all’ombra di un muro illegale“.

Dunque un muro costruito per salvare la vita degli israeliani sarebbe illegale. Certo i grillini possono considerarlo tale dal momento che i kamikaze, ahiloro, non possono più entrare in Israele per fare stragi. “E dopo l’incontro con il primo cittadino abbiamo avuto modo di far visita ai nostri carabinieri della missione TIPH a Hebron. Qui abbiamo ascoltato le parole del responsabile della missione e dei vertici del contingente italiano. Ci hanno spiegato come circa l’80% dei conflitti nella zona siano dovuti ai comportamenti dei coloni israeliani.” Beh, i carabinieri non potevano dire altro, sarebbe impossibile vivere a Hebron e incolpare i palestinisti! Molto più prudente e sicuro gettare la colpa sugli ebrei e ricordiamo come i carabinieri inviati in missione a Gaza, dopo l’uscita dell’ultimo soldato di Zahal, abbiano resistito finché hanno potuto ma alla fine hanno dovuto abbandonare il territorio diventato incontrollabile e estremamente pericoloso. Hebron è diventata la succursale di Gaza in Giudea.

“Come già ricordato tante volte le colonie israeliane in territorio palestinese sono illegali secondo tutta la comunità internazionale e dunque ostacolo alla pace. Ce lo ha ricordato l’Onu con numerose risoluzioni. Questo è un elemento fondamentale se si vuole la pace in questa terra martoriata.”
Le “colonie” non esistono se non nel linguaggio “cattocomunista” italiano, in ebraico e in inglese si chiamano “insediamenti” peraltro legalissimi poiché Giudea e Samaria non sono ancora “territorio palestinese” e non erano mai appartenuti, prima, a nessun altro stato. Il trattato di Sanremo del 1920 recita che Giudea e Samaria, come tutta quella che viene chiamata Cisgiordania, doveva far parte del “Focolare ebraico” . Inoltre i palestinisti hanno sempre rigettato con sdegno ogni tipo di offerta israeliana per arrivare alla fine del conflitto e da anni rifiutano di incontrare il Governo.

Naturalmente il Movimento dei grillini non sa niente di terrorismo palestinista, non conosce lo statuto di Hamas che parla della distruzione di Israele. Potete qui leggere lo statuto in tutta la sua delirante realtà, richiama alla mente l’ideologia dell’Isis di Al Baghdadi e fa venire i brividi.

Lo statuto è tradotto da Hamza Picardo, padre di quel Davide Picardo rappresentante dei musulmani in Lombardia, che tutti i media televisivi fanno passare per “moderato”.
Il Movimento 5 Stelle non conosce l’incitamento all’odio che si fa quotidianamente nelle scuole palestinesi? Non glielo ha detto nessuno? Dalla scuola materna dove si insegna a bimbetti di 4, 5 anni che gli ebrei vanno sgozzati, all’università dove si insegna come legarsi candelotti di esplosivo e pallini di acciaio intorno alla vita e farsi saltare in mezzo a gente innocente urlando Allahu Akhbar.
L’ignoranza storica, l’arroganza e l’odio antisemita del Movimento 5 Stelle fanno paura se si pensa che è diventato il primo partito italiano e che, se si votasse oggi, andrebbe al governo.
Un governo guidato da un un comico come Grillo il cui pensiero politico si condensa tutto nei Vaffa urlati nelle piazze italiane, che mandavano tutti in visibilio. Ridevamo allora, credevamo fosse una gran pagliacciata, forse sorridevano anche i tedeschi quando Hitler urlava dalle piazze, forse anch’essi pensavano “non durerà” invece ha distrutto l’Europa con guerra e odio infinito.

Il destino dell’Italia sarà questo? I grillini al governo? Se sì, sarà colpa degli italiani che li voteranno… come i tedeschi hanno votato per Hitler e il nazismo.
Pare che i tre della delegazione grillina, Di Maio, Di Stefano e una sconosciuta donna, siano andati a visitare lo Yad Vashem, il Memoriale della Shoà. Una decisione ipocrita e sconcertante!
Non si può accettare che chi auspica la distruzione dello Stato di Israele, con l’eliminazione inevitabile di altri milioni di ebrei, si metta in testa la kippà del popolo che odia e vada ad accendere la fiamma nella grotta dove sono scritti i nomi dei campi della morte dell’Europa nazista. Fuori i grillini da Yad Vashem!
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mer feb 15, 2017 9:08 pm

Il profilo legale di Giudea e Samaria
Nadav Shragai, "The legal case for Judea and Samaria", su Israel Hayom del 13 dicembre 2013.
lunedì 16 dicembre 2013

http://ilborghesino.blogspot.it/2013/12 ... maria.html

Da anni, il mondo considera Giudea e Samaria un territorio palestinese occupato illegalmente da Israele. Ma ora un gruppo di giuristi israeliani e di tutto il mondo sta combattendo una battaglia legale per il riconoscimento della verità storica e giuridica.

Se la legittimità internazionale dell'impresa degli insediamenti fosse un cavallo, si potrebbe affermare è che rimasto troppo tempo fuori dalla stalla. Chi occupa le stanze del potere in tutto il mondo - dalla Casa Bianca di Barack Obama e John Kerry, alle Nazioni Unite - ha per anni liquidato Giudea e Samaria come territori palestinesi attualmente sotto occupazione.
L'atteggiamento ostile verso gli insediamenti è una conseguenza diretta e immediata di questa logica. Se dovessimo compiere una generalizzazione, dovremmo dire che il mondo ha adottato la retorica palestinese per definire lo status legale dei Territori. Anche chi negozia per conto dello stato israeliano, uomini e donne che ufficialmente sottoscrivono la tesi secondo cui Giudea e Samaria - la culla della civiltà e del popolo ebraico - non siano territori occupati; hanno da tempo cessato di affermarlo in pubblico, per non sopportare la seccatura di elencare la lunga lista di considerazione legali e storiche che supportano questa tesi.
Sebbene possa sembrare che questo treno ha lasciato da tempo la stazione, siamo sorpresi nell'apprendere d'un tratto che da alcuni mesi è stata promossa una campagna finalizzata a svelare la "verità storica e legale". È un'iniziativa promossa da centinaia di giuristi da Israele e da tutto il mondo, che nulla a che vedere con le argomentazioni "dei diritti dei nostri avi", o del "sionismo", che trovano scarsi sostenitori a livello internazionale e nell'Alta Corte di Giustizia.
L'estate scorsa, organizzazioni di destra e coloni hanno raggruppato un numero di autorevoli esperti di diritto - inclusi coloro che non sono proprio considerati simpatizzanti delle posizioni di destra. Questi individui hanno avviato una missione finalizzata a modificare la terminologia e le argomentazioni legale impiegate dalla sinistra; inclusi gruppi come Peace Now, che hanno fino ad ora condotto la discussione.


La battaglia contro la narrativa

I cosiddetti "nuovi giuristi" si stanno in effetti limitando a rimuovere la polvere da argomentazioni che circolarono e furono accettate negli anni successivi alla Guerra dei Sei Giorni. Questa linea di pensiero respinge categoricamente la definizione di "territori occupati". Lo stato di Israele ha conquistato Giudea e Samaria nel 1967 in conseguenza di una guerra di auto-difesa, ma dal punto di vista legale questi territori non sono occupati, dal momento che la potenza straniera che deteneva questi territori fra il 1948 e il 1967 (Giordania), lo faceva illegalmente.
Questi giuristi rilevano che, eccezion fatta per Gran Bretagna e Pakistan, la comunità internazionale si rifiutò di riconoscere l'annessione giordana del West Bank. Pertanto, la condizione legale di questi territori è "contesi". Dal punto di vista del diritto internazionale, c'è una enorme differenza fra territori "occupati" e territori "contesi".
Chi sostiene questa argomentazione - e diversi giuristi lo fanno - con quello che è riferito come "il diritto storico del popolo ebreo alla sovranità sulla Terra di Israele", aggiunge un ulteriore elemento legale a sostegno della loro tesi: «richiedendo il diritto a questa sovranità, che eclissa ogni contro-richiesta da parte palestinese».
Giuristi come la professoressa Talia Einhorn, o il professor Eliav Shochetman, fra i più attivi in questo gruppo di esperti di diritto, notano che questo diritto è stato riconosciuto dalla comunità internazionale ai tempi del mandato britannico in Medio Oriente. Questo documento legale garantisce e prevede diritti nazionali al popolo ebraico; diritti ribaditi nell'articolo 80 dello statuto delle Nazioni Unite.
«Pertanto, quando il segretario generale delle Nazioni Unite afferma che "gli insediamenti sono illegali e rappresentano un ostacolo alla pace", o quando il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas impone ad Israele di smantellare gli insediamenti costruiti sul territorio palestinese dal 1967 in poi, in quanto illegali; e quando il Segretario di Stato USA John Kerry si riferisce agli insediamenti come illegittimi; tutti essi basano le loro affermazioni su una visione legale errata dei fatti», conclude Hagai Winitzki del Sha'arei Mishpat College.


Una causa legale

Il rinascimento che questi "nuovi giuristi" stanno tentando di infondere nella discussione sulle rivendicazioni di Israele per la Giudea e la Samaria, hanno campeggiato per anni sul sito del ministero degli Affari Esteri. È anche stato articolato in una dottrina codificata da parte dell'ex presidente della Corte Suprema, Meir Shamgar. Questo caso si basava su una serie di risoluzioni internazionali e di fatti storici che sono stati praticamente rimossi dalla memoria pubblica, ma che negli anni più recenti sono stati praticamente resuscitati da diverse organizzazioni.
Due di questi gruppi, che hanno cominciato ad attivarsi di recente, stanno catturando la maggior parte delle attenzioni. In primo luogo, c'è il Regavim Institute's Center for Zionism, Justice, and Society. Da anni il Regavim fornisce assistenza nelle cause legali intentate da organizzazioni di sinistra nei confronti degli insediamenti in Giudea e Samaria. Impressionò particolarmente il sistema giudiziario avanzando una propria petizione contro gli insediamenti palestinesi, nel tentativo di difendere quelli ebraici in quell'area.
L'altra organizzazione è il Legal Forum for the Land of Israel, fondato originariamente come gruppo dedicato ad adire alle vie legali per impedire il piano di disimpegno.
La seduta inaugurale tenta dal Center for Zionism ha avuto luogo alcune settimane fa a Gerusalemme. Nell'occasione è stato promosso un sensazionale nuovo libro che approfondisce il diritto di proprietà e il diritto internazionale in Giudea e Samaria. Il libro, di 560 pagine, include diversi articoli da parte di rinomati studiosi del diritto come il professor Haim Sandberg e il professor Einhorn. Uno degli articoli che vi campeggiano è stato scritto dal colonnello riservista Daniel Reisner, esperto di diritto internazionale e già capo del dipartimento di diritto internazionale presso il Military Advocate General's Corps. Oggi, Reisner è partner dello studio legale Herzog Fox Neeman.
La posizione di Reisner è interessante non solo per la sua esperienza, ma anche perché si tratta di un giurista non allineato con la destra politica, e che riconosce che anche i palestinesi vantano proprie rivendicazioni su Giudea e Samaria. Nel suo articolo, Reisner esprime comprensione per la posizione ufficiale di Israele, poiché «dal momento che i territori di Giudea e Samaria non hanno mai fatto legittimamente parte di alcuno stato arabo, anche considerando il regno di Giordania, è impossibile stabilire che Israele sia un occupante nel senso tecnico-giuridico del termine. Senza considerare che gli ebrei hanno un legame storico, legale e fisico alle terre di Giudea e Samaria».
Reisner è un giurista navigato, che ha preso parte a tutti i principali negoziati dagli Accordi di Oslo in avanti. Oggi lavora come consulente per organizzazioni impegnate nella pace. Crede che la posizione adottata da molti esperti di diritto internazionale, avversa alle posizioni di Israele, non poggi sulla debolezza delle argomentazioni legali dello stato ebraico; quanto sia il risultato del fatto che molti stati al mondo hanno adottato la retorica palestinese secondo cui le terre di Giudea e Samaria sarebbero appartenute al popolo palestinese: «Benché sembri che la battaglia sia persa; ciò non vuol dire che sia il caso di abbandonare le reali argomentazioni giuridiche», ha affermato. «Israele non ha strappato il controllo di queste terre ad altri stati perché il controllo della Giordania del West Bank era illegale», aggiunge. «Se il controllo israeliano della Tomba di Rachele a Betlemme assunto nel 1967 era illegale perché è illegittimo appropriarsi con la forza di un territorio; ne consegue che anche l'occupazione giordana iniziata nel 1948 soffre dello stesso difetto. Al contrario, se si ritiene che l'occupazione giordana del 1948 sia legittima perché questo territorio non era in precedenza sotto la sovranità di alcun altro stato; di conseguenza ciò non fa che rafforzare le argomentazioni israeliane», conclude.

Da Gerusalemme ad Al-Khader

Reisner suggerisce di non considerare Giudea e Samaria come entità a se' stanti: «non c'é un diritto uniforme che si applica in egual modo a Ramallah - dove non c'è mai stata una presenza ebraica - ad Hebron - dove una presenza secolare è stata stroncata da un orrendo massacro. Non c'è un diritto uniforme che si applica egualmente ad Al-Khader, che era e rimane un villaggio arabo, come agli insediamenti di Gush Etzion, i quali al pari della Tomba di Rachele sono stati esclusivamente ebraici da prima della Guerra di Indipendenza (del 1948, NdT). E naturalmente non c'è un diritto uniforme che si applica egualmente alla Città Vecchia di Gerusalemme, il luogo storico che ha ospitato i due templi ebraici, e ai dintorni di Abu Dis».
In aggiunta, Reisner argomenta un sostegno giuridico per la distinzione fra territori e specifici siti in Giudea e Samaria. Questo ragionamento trova ospitalità nella Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che parla di «ritiro delle forze armate israeliane da territori conquistati» nell'ambito della Guerra dei Sei Giorni. Non parla di ritiro "dai" territori: «ciò conferma come non vi sia enfasi nel ritirarsi da tutti i territori acquisiti durante la guerra», argomenta Reisner. «In ogni caso, nonostante ciò che afferma l'opinione pubblica, non è possibile etichettarci come occupanti di queste terre senza alcun diritto, e chi ignora la storia sta semplicemente deformando la verità».
Questo argomento, per quanto fondato possa essere, risulta adesso rilevante; ora che il mondo e persino lo stato di Israele adottano un diverso linguaggio? non è troppo tardi? Ecco Reisner: «il conflitto assume una dimensione politica, e una legale. Ciononostante, la soluzione al conflitto non sarà applicata ad ambo le dimensioni, ma a mio avviso occorrerà un approccio completamente differente: un equo compromesso che nel tempo creerà una realtà stabile. Le probabilità che un contendente riesca a convincere l'altro ad accettare posizioni legale e politica confliggenti sono nulle».
Ciò malgrado, Reisner è convinto che «Israele deve sostenere le sue tesi coerentemente dal punto di vista legale, storico e politico; semplicemente perché la sua tesi è sostenuta dai fatti. Sarà la soluzione basata sulla verità? è la verità rilevante ai fini del negoziato? non ne sono completamente sicuro».
Se ci sono argomentazioni legali da avanzare, perché lo stato di Israele non le adotta nelle discussioni nell'ambito dei negoziati di pace? «Perché nelle stanze che ospitano i negoziati sono pressoché irrilevanti. Il diritto internazionale ha sempre giocato un ruolo marginale negli accordi fra israeliani e palestinesi. Ma alla fine si tratta dell'aspetto con cui le due parti devono conciliarsi. Le argomentazioni legali forniscono un valido appiglio, e fino ad ora sono state un argomento marginale. Tuttavia, queste rivendicazioni non si sono neutralizzate o indebolite, perché spetta agli interessati avanzarle con vigore. Se si dispone della verità, e si crede nella verità, bisogna urlarla!»


Basta giustificazioni

Alan Baker, procuratore e membro del Comitato Levy istituito nel 2012 per esaminare lo stato legale degli outpost (non autorizzati dal governo di Gerusalemme, NdT) e degli insediamenti, e che è giunto alla conclusione che Giudea e Samaria non sono territori occupati; echeggia buona parte delle argomentazioni di Riesner. Baker, ex consulente legale del ministero degli Esteri e già ambasciatore in Canada, presiede un nuovo gruppo di esperti di diritto internazionale che ha già preso contatti con Kerry e con il responsabile della politica estera europea Catherine Ashton, denunciando le loro posizioni «errate e fuorvianti».
Due settimane fa Baker era a Parigi, dove ha incontrato diecine di altri giuristi esperti provenienti da tutta Europa, e che condividono questa posizione. Il gruppo includeva Yaakov Neeman, ex ministro della Giustizia di Gerusalemme; la baronessa Ruth Deech, membro della Camera dei Lords britannica e docente di diritto ad Oxford; e Meir Rosenne, ex ambasciatore israeliana in Francia e Stati Uniti. «Il governo israeliano per anni si è astenuto dall'intraprendere una campagna informativa basata sul sostenere i propri diritti», afferma Baker; «al contrario, ha intrapreso una campagna di comunicazione basata sulle scuse proposte. La cosa corretta da fare era agire senza remore proponendo i propri diritti: i diritti del popolo ebraico da sempre residente nella Terra di Israele. Gli ebrei sono la popolazione qui di più antico insediamento, ma non sempre lo stato di Israele lo menziona. Non sempre ricorda il fatto che queste terre sono calpestate dal popolo ebraico da tempi immemorabili. E di rado menziona documenti internazionali come la Dichiarazione Balfour, la Dichiarazione di Sanremo, lo statuto istitutivo dell'ONU, e il mandato britannico approvato dalla Lega delle Nazioni; tutti elementi fondamentali nel confermare il diritto degli ebrei (in Giudea e Samaria, NdT).
Aspetto più importante, si è astenuto dall'enfatizzare che quello di cui stiamo discutendo non è occupazione».


Stiamo parlando di storia. Ma chi se ne occupa più, al giorno d'oggi?

Baker: «Se iniziamo a farlo noi, gli altri ci seguiranno. È un processo che richiede del tempo».

Anche la Procura di Stato è completamente slegata da questo approccio quando difende la posizione dello stato davanti all'Alta Corte di Giustizia...

Baker: «Esiste un problema con la Procura di Stato. C'è un gruppo di persone che ha una visione a senso unico quando si parla della condizione giuridica dei territori contesi e dei coloni».

Ma si suppone che essa sia la voce dello stato...

Baker: «Non esattamente. Il portavoce dello stato è il Ministero degli Esteri e l'Ufficio del Primo Ministro. Queste persone implementano la legge: è il loro lavoro. Non sono incaricati di fare propaganda o politica. Siamo d'accordo con i palestinesi che il destino dei territori deve essere il punto di arrivo di negoziati, per cui da questo punto di vista, dobbiamo raggiungere un compromesso. Ma da qui ad allora, e per il bene della nostra gente, c'è una cosa che si chiama "diritti" e che dobbiamo sostenere nelle discussioni».
«È inconcepibile che il mondo intero ripeta il mantra a proposito di Giudea e Samaria come territori occupati, quando dal punto di vista fattuale non c'è alcun sostegno legale a supporto di ciò. Quando Kerry argomenta, ancor prima che i negoziati si concludano, che non abbiamo alcun diritto nei Territori di cui stiamo discutendo, e che gli insediamenti sono illegittimi, di fatto sta adottando la posizione palestinese e deragliando i negoziati. Anche se sei un Segretario di Stato, non devi arrecare pregiudizio ai negoziati affermando che gli insediamenti sono illegittimi».

Bezalel Smotritz, un esponente di spicco del Regavim, afferma che sebbene il motto della sua organizzazione sia "la migliore difesa è l'attacco", quando argomenta le sue ragioni davanti all'Alta Corte di Giustizia; ammette che assieme ai suoi colleghi è stato molto impegnato nello "spegnere incendi": «la questione degli insediamenti in Giudea e Samaria esiste oggi entro i limiti di una situazione giuridica insostenibile, risultata il sottoprodotto della delegittimazione giudiziale condotta per anni dalla sinistra nei confronti delle comunità ebraiche di Giudea e Samaria. Senza considerare che la legge applicata oggi negli insediamenti risulta datata e non ai passi dei tempi moderni. Stiamo parlando di residui dell'impero ottomano, del mandato britannico in Medio Oriente, della legge giordana, e dei decreti dell'esercito israeliano».



Gli insediamenti nel West Bank sono legali
fonte: Elad Benari, Arutz Sheva
martedì 10 aprile 2012

http://ilborghesino.blogspot.it/2012/04 ... -west.html

Meir Rosenne, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e in Francia, ha affermato mercoledì che le comunità ebraiche in Giudea e Samaria sono legittime, secondo il diritto internazionale.
Rosenne ha commentato con Arutz Sheva la decisione della Corte Penale Internazionale con sede all'Aja, che ha respinto una istanza dell'Autorità Palestinese nei confronti di Israele, per presunti crimini di guerra durante l'operazione Piombo Fuso a Gaza nel 2009.
Il procuratore ha evidenziato che soltanto gli stati sovrani possono fare un esporto alla CPI, mentre l'AP è soltanto un osservatore in seno alle Nazioni Unite, e non un membro effettivo.
Rosenne ha notato come "l'AP non è uno stato. C'è l'Autorità Palestinese, e poi c'è Hamas che controlla Gaza, ma essi non sono definibili uno stato. Tutti i documenti ufficiali dell'ONU connessi alla Risoluzione 242 non citano mai l'aggettivo "Palestinese". E ha aggiunto che secondo il diritto internazionale le comunità ebraiche residenti in Giudea e Samaria hanno una piena legittimità giuridica: «i giuristi americani affermano che Israele è titolare di più diritti su questo territorio. Qualunque esperto di diritto che esamina questi documenti rileverà che non si fa alcuna menzione di concetti come il "West Bank" o i "territori occupati", ma casomai di Giudea e Samaria. E' questa la terminologia che compare nei documenti ufficiali dell'ONU».
Secondo la Convenzione di Ginevra tutte le comunità ebraiche sono legittime: «l'articolo 49 afferma che una potenza occupante non può forzare la propria popolazione ad occupare i territori contesi. E' quanto occorse durante la II Guerra Mondiale, quando la Germania costrinse con la forza i tedeschi a risiedere nella Polonia occupata. Ma nel nostro caso, Israele non ha mai occupato la Giudea e la Samaria: questa è un'area mai appartenuta ad alcun altro stato. L'occupazione giordana (fra il 1948 e il 1967, NdT) non è mai stata riconosciuta, al pari dell'occupazione egiziana della Striscia di Gaza. Il destino di queste aree dovrebbe risultare da negoziati fra le parti. I coloni non sono mai stati costretti ad entrare in questi territori, per cui agiscono nella piena legittimità».
Sempre secondo il diritto internazionale, i terroristi detenuti in Israele non devono essere considerati prigionieri di guerra: «la Convenzione di Ginevra afferma che un prigioniero di guerra è tale quando impiega manifestamente armi, indossa una uniforme e rispetta il diritto di guerra. I terroristi non mostrano apertamente le armi, non vestono uniformi e non rispettano certo il diritto di guerra quando ammazzano i bambini (o li usano come scudi umani, NdT)». Ciononostante, Israele comunque consente loro di vedere i propri avvocati, pur se terroristi.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mer feb 15, 2017 9:09 pm

Se Israele è l’eterno nemico - Accettare la narrazione iper-semplicistica palestinese significa sostenere che Israele è un crimine in se stesso, e chiudere gli occhi su tutto il resto
Di Marc Goldberg
sabato 3 dicembre 2016

http://www.israele.net/se-israele-e-leterno-nemico

Nei minuti in cui state leggendo questo articolo delle persone vengono uccise in Siria. Nello stesso momento in cui il regime di Assad sta schiacciando la resistenza ad Aleppo e si consuma una delle peggiori crisi civili dalla seconda guerra mondiale, il tema più discusso nei campus universitari del mondo occidentale rimane la questione israelo-palestinese. Un conflitto fra opposte narrazioni.

Conosco bene la versione palestinese. So che è una narrazione iper-semplicistica che suona più o meno così: un giorno arrivarono gli ebrei che cacciarono via i palestinesi e ora li opprimono sulla terra che hanno rubato loro e, quel che è peggio, hanno la sfacciataggine di dire che quella terra è il loro paese.

Credere a questa narrazione significa credere nella colpa intrinseca dello stato d’Israele. Anche i paesi in cui libertà e democrazia non sono mai esistite, anche quelli in cui le minoranze vengono sistematicamente perseguitate, dove le persone vengono sommariamente giustiziate in pubblico, anche i paesi i cui conflitti hanno causato e continuano a causare un numero di vittime e distruzioni infinitamente più alto del conflitto arabo-israeliano, tutti questi paesi sono più accettabili di Israele. Perché le loro guerre potrebbero finire, i loro governi dispotici e sanguinari potrebbero cadere, le loro politiche retrograde potrebbero cambiare. Non è così per Israele. La narrazione palestinese sostiene che l’esistenza stessa di Israele è un crimine, frutto di pulizia etnica, spargimenti di sangue e razzismo. Perché tutto vada a posto nel mondo, Israele in quanto tale deve scomparire.

Celebrando ogni anno all’Onu la “Giornata di Solidarietà col Popolo Palestinese” proprio il 29 novembre (giorno in cui l’Onu approvò la spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e uno ebraico) i palestinesi ribadiscono il loro rifiuto dell’esistenza di Israele, come confermano tutte le mappe della loro propaganda

La narrazione palestinese, se la si accetta, significa che tutta la Palestina doveva diventare un unico stato arabo affrancato dal dominio coloniale, come gli altri stati insieme ai quali avrebbe celebrato il conseguimento dell’indipendenza. In questo contesto, tutti gli interrogativi su democrazia, guerra e pace, diritti delle minoranze, sviluppo economico e sociale diventano insignificanti: sono tutte cose (teoricamente) temporanee, mentre l’esistenza di un paese viene vista come un dato permanente e definitivo, ed è per questo che è così importante condurre una perpetua campagna contro Israele indipendentemente da tutto quello che succede nel mondo. Poco importa se in Siria infuria una guerra civile devastante: prima o poi finirà e in qualche modo tutto si aggiusterà. Ma nulla può aggiustarsi per i palestinesi finché esiste Israele.

Ma questa non è l’unica narrazione. Non potendone più d’essere costretti nei ghetti, d’essere additati al disprezzo e all’odio dei loro concittadini, d’essere usati come capro espiatorio per qualunque male, gli ebrei riacquistarono la propria dignità reclamando il diritto alla loro patria ancestrale, dove sono nati come popolo, dove non hanno mai smesso del tutto di abitare, dove hanno sempre sperato di poter tornare. In un mondo che li aveva traditi e abbandonati più e più volte, gli ebrei si resero conto che potevano contare solo su se stessi, che dovevano prendere nelle loro mani il loro destino. E così ricostruirono il loro stato, riscattando un paese sottosviluppato e semi-abbandonato, e si guadagnarono la libertà che difesero da attacchi letali. Grazie all’autodeterminazione nazionale, gli ebrei non vivono più alla mercé del potere altrui, tirannico o democratico; non vivono più nel timore d’essere prelevati nel mezzo della notte per essere portati in un lager o in gulag. Con il loro esercito che li difende, noi devono più temere d’essere di nuovo soggiogati; con la loro voce tra le nazioni del mondo non devono più temere di restare di nuovo inascoltati, di poter essere di nuovo perseguitati o assassinati mentre il mondo sostiene di non sapere niente, di non poter fare nulla.

In questo scontro fra narrazioni ogni fatto, ogni missile, ogni bomba, ogni posto di blocco, persino ogni dichiarazione diventa semplicemente un’occasione per sostenere la stessa narrazione. E così arriviamo al punto in cui una serie di incendi che hanno imperversato nel paese mettendo in pericolo allo stesso modo cittadini ebrei e arabi e l’habitat in cui vivono, diventa solo un ennesimo pretesto per proclamare che Israele non dovrebbe esistere. E la Siria viene totalmente dimenticata quando un giovane soldato israeliano in visita ad un campus universitario di Londra diventa il fulcro di un’enorme manifestazione anti-israeliana che non ha niente a che fare con il miglioramento della condizione dei palestinesi che vivono in Cisgiordania e Gaza, e ha tutto a che fare con la volontà di imporre la narrazione iper-semplicistica per la cancellazione di Israele.

Pensateci, la prossima volta che vedete in tv la devastazione di Aleppo e gli studenti in un campus che gridano: “Palestina libera dal fiume al mare”.

(Da: Times of Israel, 1.12.16)
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » gio feb 16, 2017 2:13 pm

I veri insediamenti illegali
di Bassam Tawil
Pezzo in lingua originale inglese: The Real Illegal Settlements
Traduzioni di Angelita La Spada
9 dicembre 2016

https://it.gatestoneinstitute.org/9524/ ... i-illegali

Mentre la comunità internazionale continua a stigmatizzare Israele per la costruzione di insediamenti ebraici, i palestinesi sono tranquillamente impegnati nella massiccia costruzione di interi quartieri in molte parti della Cisgiordania e di Gerusalemme. Oltre a ignorare il progetto edilizio palestinese, l'Occidente trascura chiaramente una differenza cruciale tra le due attività: mentre la costruzione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e nei quartieri di Gerusalemme è da sempre realizzata in base alla legge e conformemente agli appositi permessi rilasciati dalle autorità competenti, l'attività edilizia palestinese è abusiva a tutti gli effetti.

In questa impresa subdola, che non soddisfa il benché minimo requisito fissato da ingegneri, architetti e progettisti, l'obiettivo palestinese è quello di creare fatti compiuti irreversibili.

Una breve panoramica delle zone che circondano Gerusalemme da nord, est e sud mostra chiaramente gli enormi palazzoni che continuano a sorgere lì. Nella maggior parte dei casi, questi grattacieli sono costruiti alla bell'e meglio, senza permessi, un'adeguata pianificazione o senza porsi alcun problema di sicurezza.

Un esempio di illegale edilizia selvaggia palestinese nei pressi di Shufat e Anata, alla periferia nord-est di Gerusalemme.

L'avamposto ebraico di Amona, nella Cisgiordania centrale, che ospita 42 famiglie, è attualmente oggetto di violente polemiche sia in Israele sia in ambito internazionale. Nel 2006, l'Alta Corte di Giustizia israeliana dichiarò illegale l'avamposto perché costruito su proprietà privata palestinese. Nel 2014, la Corte Suprema ordinò al governo di evacuare e demolire l'intero avamposto entro due anni.

In Israele, come dimostra Amona, nessuno è al di sopra delle legge. Israele vanta un sistema giudiziario indipendente che non è secondo a nessuno.

Tuttavia, proprio mentre in Israele si accende il dibattito sul destino di Amona, i palestinesi si fanno beffa della legge e dei regolamenti edilizi lanciandosi nella massiccia costruzione di quartieri ed edifici abusivi. A quanto pare, gli insediamenti sono solo "un grande ostacolo" alla pace, quando sono costruiti dagli ebrei.

Negli ultimi anni e fino ad oggi, i palestinesi, con l'aiuto dei donatori occidentali per i quali solo la costruzione degli insediamenti ebraici è impensabile, stanno lavorando notte e giorno per creare fatti irreversibili sotto forma non solo di case unifamiliari ma di masse di grattacieli. L'imponenza del progetto solleva l'interrogativo: chi ha finanziato queste enormi città dentro le città? E perché? Ci sono buone ragioni per credere che dietro questa iniziativa palestinese ci siano l'Olp, alcuni arabi e musulmani, ma soprattutto l'Unione Europea.

Paradossalmente, questo accade anche quando ciò implica che i palestinesi hanno rubato la terra alla nostra gente.

Le strutture palestinesi sono edificate in quella che viene chiamata Area C della Cisgiordania, che, ai sensi degli Accordi di Oslo, dovrebbe essere sotto il controllo esclusivo di Israele. Anche gli edifici proliferano in molti quartieri – o in interi villaggi – che circondano Gerusalemme da nord, est e sud, per poi espandersi verso ovest, formando in tal modo un gigantesco collare di cemento volto a circondare e soffocare Gerusalemme.

Di recente, interi quartieri arabi con affollati grattacieli crescono rapidamente a vista d'occhio intorno a Gerusalemme. Solo una manciata di gradini separano alcuni edifici e la maggior parte di essi è sprovvista di idonee reti fognarie. I costi degli appartamenti si aggirano dai 25.000 ai 50.000 dollari. Sono prezzi ridicoli se paragonati al costo reale degli appartamenti nei (legali) quartieri arabi ed ebraici di Gerusalemme. Oggi, è pressoché impossibile acquistare un appartamento di tre stanze in città a meno di 250.000 dollari.

I nuovi quartieri sorgono a Kufr Akab, Samiramis, Kalandya, Beit Hanina, Shufat, Ras Khamis e Anata, a nord di Gerusalemme.

Nella parte meridionale e in quella orientale della città, nuovi quartieri sono spuntati come funghi a Ras Al-Amoud, A-Tur, Al-Zaim, Jabal Mukaber, Um Tuba e Jabal Mukaber. Queste aree rientrano nei confini municipali di Gerusalemme. Tuttavia, non riuscendo a fermare l'attività edilizia illegale e lasciando la città assediata da nord, est e sud, i funzionari della municipalità di Gerusalemme ammettono che Israele perderà la guerra contro l'edilizia abusiva palestinese se non si interviene immediatamente.

Preoccupato per l'edificazione illegale in corso, il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha preso di recente la misura senza precedenti di chiedere all'Alta Corte di Giustizia israeliana di approvare l'immediata demolizione di 14 strutture costruite abusivamente a Gerusalemme Est.

E soprattutto, non esiste alcuna emergenza abitativa della popolazione araba; non è una crisi abitativa araba che induce all'abusivismo edilizio selvaggio. Piuttosto, l'obiettivo è politico: occorre mostrare al mondo che Gerusalemme è una città araba e non ebraica. Generalmente, gli appartamenti rimangono vuoti semplicemente perché non esiste una domanda effettiva.

Ma chi c'è dietro l'ondata senza precedenti di edilizia abusiva? Secondo i residenti arabi di Gerusalemme, molti "costruttori" sono in realtà ladri di terra e furfanti che mettono le mani su terreni privati palestinesi o su quelli i cui proprietari vivono all'estero. Ma fanno anche notare che l'Unione Europea, l'Olp e alcuni governi arabi e islamici finanziano il progetto.

"Individuano un appezzamento di terreno vuoto e rapidamente se ne appropriano", ha detto un residente la cui terra gli è stata "confiscata" da costruttori abusivi.

"Ti dicono che se non sei d'accordo, finisci in tribunale, sapendo che prima della fine del procedimento giudiziario essi saranno riusciti a costruire un altro palazzone e anche a vendere alcuni appartamenti.

"Molti proprietari terrieri arabi si sentono impotenti. Ci dicono che è loro dovere nazionale edificare quanto più possibile su ogni terreno vuoto, altrimenti gli ebrei ci costruiranno sopra".

I palestinesi stimano che negli ultimi anni sono riusciti a costruire più di 15.000 unità abitative illegali nelle zone circostanti Gerusalemme come parte di un piano per accerchiare la città. L'attività edilizia continua e non accenna a diminuire. I finanziamenti provengono in parte dall'Autorità palestinese (Ap) e da qualche paese arabo e islamico, come il Qatar, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e altri paesi del Golfo Persico ricchi di petrolio. Tuttavia, i palestinesi continuano a lamentarsi del fatto che i finanziamenti arabi e islamici sono inferiori alle aspettative.

Nell'Area C, una striscia di terra pari al 60 per cento della Cisgiordania, l'Unione Europea, condanna aspramente la costruzione di insediamenti ebraici, definendola illegale, finanzia apertamente le opere edilizie abusive realizzate dai palestinesi. L'UE afferma che il sostegno a favore dell'edilizia palestinese rientra nella categoria "aiuti umanitari" ed è ammissibile secondo il diritto internazionale.

Il vero obiettivo è quello di aiutare i palestinesi a creare fatti compiuti irreversibili prima di ogni eventuale futuro accordo di pace tra i palestinesi e Israele. Esso consiste nel facilitare il compito dei palestinesi di confiscare quanta più terra possibile, anche se ciò significa finanziare l'edilizia abusiva o fornire case mobili alle comunità palestinesi di questa area.

In breve, l'UE e alcuni arabi e musulmani sono i finanziatori della costruzione di insediamenti palestinesi illegali, pur chiedendo a Israele che smetta di costruire nuove abitazioni per le famiglie ebree nei quartieri di Gerusalemme o di ampliare gli insediamenti esistenti in Cisgiordania.

L'ipocrisia e la cruda cattiveria dell'Unione Europea e del resto della comunità internazionale verso la questione degli insediamenti sono palesemente evidenti. Eppure, si assiste anche all'ipocrisia di molti media mainstream occidentali, che vedono coi loro occhi la costruzione di insediamenti palestinesi in ogni zona di Gerusalemme, ma preferiscono scrivere e parlare solo degli insediamenti ebraici.

Le 42 famiglie ebree di Amona hanno catturato l'attenzione mondiale, ma che cosa pensa la comunità internazionale dell'appropriazione illegale di terra da parte dei palestinesi? È ora di gridare questo tradimento, questa illegalità e questo principio discriminante e di esigere che i palestinesi smettano di costruire insediamenti illegali che sono progettati con un unico obiettivo in mente: precondizionare l'esito di qualsiasi futuro accordo di pace.

Bassam Tawil è uno studioso che vive in Medio Oriente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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