Palestina: Le ragioni di Israele

Palestina: Le ragioni di Israele

Messaggioda Berto » mer lug 24, 2019 6:08 am

Ma quali guerrafondai: Netanyahu e Trump hanno sbagliato tutto
Adrian Niscemi·
Luglio 23, 2019·

https://www.rightsreporter.org/ma-quali ... IJvXZUd5zI

Se c’è un appunto che si può fare a Benjamin Netanyahu, a dispetto di come viene descritto in giro per il mondo, è che fino ad oggi è stato troppo poco “guerrafondaio”.

Ha risparmiato per troppe volte Hamas e oggi i terroristi che tengono in ostaggio la Striscia di Gaza possono definirsi “la prima linea di difesa dell’Iran”.

Si è mosso bene in Siria, ma pochi attacchi isolati su obiettivi iraniani non hanno impedito a Teheran di consegnare armi e missili a Hezbollah e di posizionare migliaia di miliziani a ridosso del confine con Israele.

Ha navigato in acque pericolose con il freno a mano tirato quando invece avrebbe dovuto accelerare e questo ha aumentato i rischi per Israele che oggi si trova letteralmente accerchiato.

Vero, Israele è sempre stato accerchiato, ma mai come ora rischia un attacco su più fronti proprio perché Netanyahu con la sua politica di cercare di evitare lo scontro aperto ha permesso ai suoi nemici di rafforzarsi e di diventare sempre più minacciosi lungo tutti i confini.

È lo stesso appunto che si potrebbe fare al Presidente americano Donald Trump. Anche lui viene descritto come un “guerrafondaio” ma fino ad oggi ha abbaiato tanto ma non ha mai morso. Anzi, a ben vedere ha morso molto meno di un certo Barack Obama premio Nobel per la pace.

Solo che l’oste presenta sempre il conto. Questo tergiversare, questo agire di fioretto quando bisognerebbe usare la scimitarra, rischia di peggiorare le cose.

La prudenza di Netanyahu e di Trump non ha dato alla fine i frutti sperati. Oggi Israele ha decine di migliaia di missili puntati contro, sia da nord che da sud. Decine di migliaia di miliziani legati a Teheran spingono sul Golan pronti ad entrare in Israele alla prima occasione.

Hamas e la jihad Islamica a sud, Hezbollah e la Brigata di Liberazione del Golan a nord, continuano a costruire tunnel e a ricevere armi nonostante le decine di raid aerei compiuti dall’aviazione israeliana.

Israele si è messo nella posizione di perdere molta della sua supremazia militare e della sua deterrenza perché quando era il momento Netanyahu ha esitato.

Certo, quello israeliano rimane l’esercito più potente in Medio Oriente, ma essendo un esercito regolare e non una manica di terroristi, non può agire senza tenere conto delle conseguenze delle sue azioni. E questo purtroppo limita di molto il vantaggio militare israeliano, una limitazione che i terroristi legati a Teheran non hanno.

Diciamocelo chiaramente, l’Iran si è mosso molto bene in questi anni e ha creato le condizioni per poter diventare una minaccia credibile e pericolosissima per lo Stato Ebraico. E lo ha fatto sfruttando al meglio le esitazioni di Netanyahu e di Trump.

Teheran non si sporca nemmeno le mani, paga e arma i suoi numerosi proxy per farlo.

E adesso come se ne esce?

Negare l’accerchiamento militare di Israele è un errore, esattamente come confidare sulla schiacciante supremazia militare solo come mezzo di deterrenza. Ora le minacce non servono più a niente. È troppo tardi.

Ora servono i fatti.

Prima di tutto è ora che Netanyahu cominci ad ascoltare i suoi consiglieri militari. Avidgor Lieberman si è dimesso perché Netanyahu non ha voluto schiacciare Hamas quando era il momento giusto. All’epoca difendemmo la scelta del Premier, sbagliando la nostra valutazione. Oggi possiamo dire che se Netanyahu avesse seguito Lieberman con molta probabilità Israele sarebbe molto più sicuro.

Certo, ci sarebbero state una infinità di critiche internazionali, ma tanto quelle ci sono sempre e comunque, qualunque cosa faccia Israele.

È vero anche che sicuramente ci sarebbero state delle perdite umane, ma oggi quelle perdite potrebbero essere maggiori.

Netanyahu continua a voler trattare con Hamas per scongiurare l’apertura di un fronte a sud. Beh, lo shopping che i terroristi di Gaza sono andati a fare a Teheran e le loro dichiarazione confermano che trattare con Hamas è un errore.

Se davvero vuoi evitare un fronte sud devi schiacciare Hamas e nel farlo devi usare tutta la tua potenza militare. Chi pensa di attaccarti deve vedere a cosa va incontro. Diversamente la deterrenza va a farsi benedire. Dimostri solo di essere vulnerabile.

La visita dei dirigenti di Hamas a Teheran offre a Netanyahu un’altra occasione per agire. Ci saranno perdite? Si, come in ogni guerra. Moriranno dei civili palestinesi? Sicuramente, Hamas li usa come scudi umani. Ci saranno le condanne internazionali? Che ve lo dico a fare? Ma continuare a tergiversare e sperare in un accordo con Hamas significa fare il gioco iraniano.

Più si aspetta e più alto sarà il numero delle perdite da mettere in conto. Qui non si tratta di fare un atto di prepotenza, si tratta di difendere Israele da una minaccia credibile e sempre più incombente.

Il tempo della diplomazia è finito, ora bisogna diventare guerrafondai. Ora il nemico va schiacciato usando tutta la potenza che si ha a disposizione. E se la comunità internazionale non è d’accordo se ne dovrà fare una ragione. D’altra parte se si è arrivati a questo punto è anche colpa della cosiddetta “comunità internazionale”.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » dom lug 28, 2019 6:39 am

Gli israeliani ritengono che l’establishment della sicurezza sia “troppo riluttante”
Daniel Pipes
27 Luglio 2019
Nota: Questo è un estratto esclusivo dal nuovo libro di Robert Spencer, The History of Jihad From Muhammad to ISIS. Tutte le citazioni sono contenute nel libro.
Traduzione in italiano di Angelita La Spada

http://www.linformale.eu/gli-israeliani ... bYQNzeRZqA

Nel 1948, il nascente Stato di Israele sconfisse gli eserciti di Egitto, Iraq, Siria, Transgiordania, Libano, Arabia Saudita e Yemen che volevano distruggerlo completamente. Il jihad contro Israele proseguì, ma lo Stato ebraico tenne duro, sconfiggendo ancora Egitto, Iraq, Siria, Giordania e Libano nella guerra dei Sei Giorni nel 1967 e l’Egitto e la Siria ancora una volta nella guerra dello Yom Kippur del 1973. Nell’ottenere queste vittorie contro enormi difficoltà, Israele riscosse l’ammirazione del mondo libero, vittorie che comportarono l’attuazione più audace e su più ampia scala nella storia islamica del detto di Maometto: “La guerra è inganno”.

Per distruggere l’impressione che il piccolo Stato ebraico stesse fronteggiando ingenti nemici arabi musulmani e che stesse prevalendo su di loro, il KGB sovietico (il Comitato sovietico per la sicurezza dello Stato) inventò un popolo ancora più piccolo, i “palestinesi”, minacciato da una ben funzionante e spietata macchina da guerra israeliana. Nel 134 d.C., i Romani avevano espulso gli ebrei dalla Giudea dopo la rivolta di Bar Kokhba e ribattezzarono la regione Palestina, un nome tratto dalla Bibbia, il nome degli antichi nemici degli Israeliti, i Filistei. Ma il termine palestinese era sempre stato riferito a una regione e non a un popolo o a una etnia. Negli anni Sessanta, tuttavia, il KGB e il nipote di Hajj Amin al-Husseini, Yasser Arafat, crearono tanto questo presunto popolo oppresso quanto lo strumento della sua libertà, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

Ion Mihai Pacepa, già vicedirettore del servizio di spionaggio della Romania comunista durante la Guerra Fredda, in seguito rivelò che “l’OLP era stata una invenzione del KGB, che aveva un debole per le organizzazioni di ‘liberazione’. C’era l’Esercito di liberazione nazionale della Bolivia, creato dal KGB nel 1964 con l’aiuto di Ernesto ‘Che’ Guevara (…) inoltre, il KGB creò il Fronte democratico per la liberazione della Palestina, che perpetrò numerosi attacchi dinamitardi. (…) Nel 1964, il primo Consiglio dell’OLP, composto da 422 rappresentanti palestinesi scelti con cura dal KGB, approvò la Carta nazionale palestinese – un documento che era stato redatto a Mosca. Anche il Patto nazionale palestinese e la Costituzione palestinese nacquero a Mosca, con l’aiuto di Ahmed Shuqairy, un influente agente del KGB che divenne il primo presidente dell’OLP”.

Affinché Arafat potesse dirigere l’OLP avrebbe dovuto essere un palestinese. Pacepa spiegò che “egli era un borghese egiziano trasformato in un devoto marxista dall’intelligence estera del KGB. Il KGB lo aveva formato nella sua scuola per operazioni speciali a Balashikha, cittadina a est di Mosca, e a metà degli anni Sessanta decise di prepararlo come futuro leader dell’OLP. Innanzitutto, il KGB distrusse i documenti ufficiali che certificavano la nascita di Arafat al Cairo, rimpiazzandoli con documenti falsi che lo facevano figurare nato a Gerusalemme e, pertanto, palestinese di nascita”.

Arafat potrebbe essere stato marxista, almeno all’inizio, ma lui e i suoi referenti sovietici fecero un uso copioso dell’antisemitismo islamico. Il capo del KGB, Yuri Andropov, osservò che “il mondo islamico era una piastra di Petri in cui potevamo coltivare un ceppo virulento di odio antiamericano e antisraeliano, cresciuto dal batterio del pensiero marxista-leninista. L’antisemitismo islamico ha radici profonde… . Dovevamo solo continuare a ripetere i nostri argomenti – che gli Stati Uniti e Israele erano ‘paesi fascisti, imperial-sionisti’ finanziati da ricchi ebrei. L’Islam era ossessionato dall’idea di evitare l’occupazione del suo territorio da parte degli infedeli ed era assolutamente ricettivo al ritratto da noi fatto del Congresso americano come un rapace organismo sionista volto a trasformare il mondo in un feudo ebraico”.

Il membro del Comitato esecutivo dell’OLP, Zahir Muhsein, spiegò in modo più esaustivo la strategia in una intervista del 1977 al quotidiano olandese Trouw:

Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele per la nostra unità araba. In realtà, oggi non c’è alcuna differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni politiche e strategiche parliamo oggi dell’esistenza di un popolo palestinese, dal momento che gli interessi nazionali arabi esigono che noi postuliamo l’esistenza di un distinto “popolo palestinese” che si opponga al sionismo. Per ragioni strategiche, la Giordania, che è uno stato sovrano con confini definiti, non può avanzare pretese su Haifa e Jaffa mentre, come palestinese, posso indubbiamente rivendicare Haifa, Jaffa, Bee-Sheva e Gerusalemme. Tuttavia, nel momento in cui rivendicheremo il nostro diritto a tutta la Palestina, non aspetteremo neppure un minuto a unire Palestina e Giordania.

Una volta che era stato creato il popolo, il loro desiderio di pace poteva essere facilmente inventato. Il dittatore romeno Nicolae Ceausescu insegnò ad Arafat come suonare l’Occidente come un violino. Pacepa raccontò: “Nel marzo del 1978 condussi in gran segreto Arafat a Bucarest per le istruzioni finali su come comportarsi a Washington. ‘Devi solo far finta di rompere con il terrorismo e riconoscere Israele, ancora, e ancora e ancora’, disse Ceausescu ad Arafat. (…) Ceausescu era euforico all’idea che Arafat e lui potessero riuscire ad accaparrarsi un Premio Nobel per la pace con la loro farsa del ramoscello d’ulivo. (…) Ceausescu non riuscì a ottenere il suo Premio Nobel per la pace. Ma nel 1994 Arafat lo ricevette, proprio perché continuò a interpretare alla perfezione il ruolo che gli avevano affidato. Aveva trasformato la sua OLP terrorista in un governo in esilio (l’Autorità palestinese), fingendo sempre di porre fine al terrorismo palestinese, pur continuando ad alimentarlo. Due anni dopo la firma degli accordi di Oslo, il numero degli israeliani uccisi dai terroristi palestinesi era aumentato del 73 per cento”.

Questa strategia ha continuato a funzionare alla perfezione, attraverso i “processi di pace” negoziati dagli Stati Uniti, dagli accordi di Camp David del 1978 alla presidenza di Barack Obama e oltre, senza posa. Le autorità occidentali non sembrano mai riflettere sul perché siano tutti falliti così tanti tentativi di raggiungere una pace negoziata tra Israele e i “palestinesi”, la cui esistenza storica oramai tutti danno per scontata. La risposta, ovviamente, sta nella dottrina islamica del jihad. “Cacciateli da dove vi hanno cacciato” è un ordine che non contiene alcuna mitigazione e che non accetta nessuno.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » dom feb 23, 2020 4:35 am

I palestinesi: storia di un popolo completamente inventato
L'Informale
Niram Ferretti
31 Dicembre 2015

http://www.linformale.eu/i-palestinesi- ... RklKgZRdMk

Come Atena nacque dalla testa di Zeus, la fantastoria nacque dall’ideologia. Il nome “Palestina” deriva dai filistei, una popolazione originaria del Mediterraneo Orientale (forse dalla Grecia o da Creta) la quale invase la regione nell’undicesimo e dodicesimo secolo A.C. Parlavano una lingua simile al greco miceno. La zona nella quale si insediarono prese il nome di “Philistia”. Mille anni dopo, i Romani chiamarono la zona “Palestina”. Seicento anni dopo gli Arabi la ribattezzarono “Falastin”.

Per tutta la storia successiva non ci fu mai una nazione chiamata “Palestina” né ci fu mai un popolo chiamato “palestinese”. La regione passò dagli Omayyadi agli Abassidi, dagli Ayyumidi ai Fatimidi, dagli Ottomani agli Inglesi. Durante questo millennio il termine “Falastin” continuò a riferirsi a una regione dai contorni indeterminati e MAI a un popolo originario.

Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.

Reland pubblicò a Utrecht nel 1714 un libro dal titolo “Palaestina ex monumentis veteribus illustrata”, nel quale non c’è alcuna prova dell’esistenza di un popolo palestinese, né di un’eredità palestinese né di una nazione palestinese. In altre parole, nessuna traccia di una storia palestinese.

Stiamo parlando di un testo uscito nel 1714, non duemila anni fa. Un testo moderno dal quale si evince che all’epoca non esisteva alcun “popolo palestinese”.

Quando nasce dunque questa realtà di cui si parla da decenni?

Dobbiamo avvicinarci ai nostri tempi, più precisamente al periodo in cui gli inglesi crearono, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dell’impero ottomano (durante il quale nessuno aveva ancora sentito parlare di questa fantomatica entità), la Palestina mandataria.

Gli arabi protestarono in modo acceso nei confronti della nuova realtà chiamata “Palestina”. Infatti, per loro, la Palestina era inestricabilmente collegata alla Siria. Gli arabi chiamavano la regione “Balad esh sham (la provincia di Damasco) o “Surya-al-Janubiya” (Siria del sud). Per i nazionalisti arabi la Palestina non era altro che la Siria del sud. Punto. I siriani, ovviamente, non potevano che annuire.

Il Congresso Generale Siriano del 1919 sottolineò con forza l’identità esclusivamente siriana degli arabi della “Siria del sud”, quella che gli inglesi chiamavano “Palestina”.

Nel suo libro, “Il Risveglio Arabo” del 1938, George Antonious, il padre della storiografia moderna araba, documenta il tumulto sorto tra gli arabi della “Grande Siria” e dell’Iraq quando inondarono le strade delle città siriane, Gerusalemme inclusa, per protestare contro la divisione geografica che gli inglesi, per ragioni geopolitiche, avevano imposto alla Siria. Antonious, come Reland prima di lui, non fa alcuna menzione di un “popolo palestinese”. Motivo? Di nuovo, non esisteva.

Facciamo un passo indietro. Nel 1920, la Francia conquista la Siria. E’ in questo periodo, durante il controllo francese della Siria, che inizia a prendere forma l’idea di una “Palestina” come stato arabo-musulmano indipendente, e fu il famigerato Mufti di Gerusalemme, Amin-al-Husseini, la personalità di maggior spicco tra i leaders arabi dell’epoca, a creare un movimento nazionalista in opposizione all’immigrazione ebraica determinata dal movimento sionista. In altre parole, fu il sionismo a fare da levatrice al palestinismo nazionalista. Anche allora, tuttavia, nessuno parlava di un “popolo palestinese”. Siamo nel 1920.

Ancora nel 1946, Philip Hitti, uno dei più eloquenti portavoce della causa araba dichiarava al Comitato di Inchiesta Anglo-Americano che un’entità nazionale chiamata Palestina…non esisteva.

Nel 1947, quando le Nazioni Unite stavano valutando la spartizione della Palestina mandataria in due stati separati, uno ebraico, l’altro arabo, numerosi politici e intellettuali arabi protestarono in modo acceso poiché sostenevano che la regione in questione fosse parte integrante della Siria del sud. Non c’era una popolazione “palestinese” in senso proprio, ed era dunque un’ingiustizia smembrare la Siria per creare un’altra entità che di fatto le apparteneva di diritto.

Nel 1957, Akhmed Shukairi, l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite dichiarò che, “È conoscenza comune che la Palestina non è altro che la Siria del sud“. Concetto ribadito da Hafez-al-Assad nel 1974, “La Palestina non solo è parte della nostra nazione araba ma è una parte fondamentale del sud della Siria”.

Dal 1948 al 1967, i diciannove anni intercorsi tra la Guerra di Indipendenza e la Guerra dei Sei Giorni, tutto quello che restava del territorio riservato agli arabi della Palestina mandataria britannica, era la West Bank (nome dato dai giordani alla Giudea e alla Samaria), che si trovava in quegli anni sotto il dominio illegale giordano, e Gaza, sotto il dominio illegale egiziano.

Durante questo periodo nessuno dei leader arabi prese neanche lontanamente in esame il diritto all’autodeterminazione degli arabi “palestinesi” che si trovavano sotto il loro dominio. Perché? Ancora, perché un “popolo palestinese” per i giordani e gli egiziani…semplicemente non esisteva.

Persino Yasser Arafat fino al 1967 usò il termine “Palestinesi”, unicamente come riferimento per gli arabi che vivevano sotto la sovranità israeliana o avevano deciso di non essere sottoposti ad essa. Nel 1964, per Arafat la “Palestina”, non comprendeva né la Giudea e la Samaria né Gaza, le quali, infatti, dopo il 1948 appartenevano reciprocamente alla Giordania e all’Egitto.

Lo troviamo scritto nella Carta fondante dell’OLP all’articolo 24, “L’OLP non esercita alcun diritto di sovranità sulla West Bank nel regno hashemita di Giordania, nella Striscia di Gaza e nell’area di Himmah”.

L’articolo 24 venne cambiato nel 1968 dopo la Guerra dei Sei Giorni, dietro ispirazione sovietica. Ora la sovranità “palestinese” si estendeva anche alla West Bank e a Gaza. Libero da possibili attriti con la Giordania e l’Egitto, Arafat, protetto dai russi, poteva allargare il campo della propria azione. La “Palestina”, adesso, inglobava anche Giudea, Samaria e Gaza.

La Guerra dei Sei Giorni è stata lo spartiacque per la creazione del “popolo palestinese”. Dopo la Guerra dei Sei Giorni tutto cambia. Da Davide, Israele diventa Golia e i “palestinesi” entrano ad occupare il proscenio della storia come popolo autoctono espropriato della propria terra dai “sionisti imperialisti”.

Questa è la narrazione ormai consolidata e che, come un parassita, si è incistata nella mente di una moltitudine. Potere della menzogna. Potere della propaganda.

“Nella grande menzogna c’è una certa forza di credibilità poiché le grandi masse di una nazione sono molto più facilimente corruttibili nello stato più profondo della loro materia emozionale di quanto lo siano consciamente o volontariamente, e quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie per piccole cose, ma si vergognerebbero di utilizzare menzogne su larga scala. Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falistà colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”. (Adolf Hiltler, “Mein Kampf”)

Per creare questa nuova realtà del “popolo palestinese”, priva di qualsiasi aggancio con il passato era necessario che il passato venisse interamente fabbricato, o meglio, come in “Tlon, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, bisognava fare in modo che il reale venisse risucchiato dalla finzione.

Dunque ecco apparire i “palestinesi”, i quali fin da un tempo immemorabile hanno sempre vissuto nella regione e addirittura si possono fare risalire ai gebusei o, a piacimento, ai cananei. Questo popolo mitico sarebbe stato poi cacciato dagli invasori sionisti.

Il 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.

Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.




Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.

L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.

Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.

Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.

Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.

Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.

Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.

Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.

Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.

Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.

Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.

Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.

Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.

Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica

Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.

In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.


Onu, cosa ha detto un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Anniversario delibera spartizione Onu, le parole di un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Ugo Volli
4 Dicembre 2019

https://www.progettodreyfus.com/onu-isr ... CskS7rqgOk


Giovedì scorso, nel palazzo della Mukata a Ramallah, si è svolto un evento rievocativo della votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ne 1947 stabilì la partizione del mandato britannico (già suddiviso nel ‘21 dalla Gran Bretagna la dare agli arabi “il loro stato”).

Come è noto Israele accettò la divisione, anche se era era tracciata in maniera da rendere difficilissima la sopravvivenza della parte ebraica, gli arabi la rifiutarono, il giorno stesso con la complicità britannica iniziarono attacchi terroristici agli insediamenti ebraici e ad aprile del ‘48, quando Israele proclamò finalmente il suo stato alla vigilia della partenza degli inglesi, le armate di tutti gli stati arabi circostanti tentarono di invadere e distruggere il neonato stato di Israele; ma con grandi sacrifici furono sconfitte dall’esercito israeliano nel ‘49 dovettero ritirarsi dietro una linea armistiziale ben più arretrata, la cosiddetta linea verde.

Da questa storia l’evento della Mukata, amministrato dal noto filoterrorista Jibril Rajoub, non ha tratto motivi di riflessione sulla necessità di un accordo, ma al contrario ha voluto rilanciare la narrativa palestinista sull’”occupazione israeliana”. L’aspetto più curioso di questa riunione è la presenza di circa 300 ebrei israeliani. Erano i soliti ultraortodossi antisionisti di Naturei Karta, che hanno usato l’occasione per dichiarare che l’”entità sionista” non rappresenterebbe il popolo ebraico, sarebbe odiata da “Allah” (questo è il nome con cui il loro leader Meir Hirsh ha scelto per l’occasione di chiamare la Divinità) e costituirebbe la violazione di tutte le leggi internazionali: un piccolo gruppo di estremisti che frequenta con piacere tutti gli antisemiti da Corbyn a Achamadinedjad, e la cui presenza non poteva meravigliare.

Dall’altro lato, però, c’era una folte rappresentanza di militanti di sinistra: alcuni cani sciolti, ma soprattutto Mosi Ratz l’ex leader e ancora influente dirigente del partito israeliano di sinistra Meretz, l’unico che abbia ufficialmente abiurato il sionismo, alla guida di una delegazione di alto livello.

Raz ha parlato avendo alle spalle una foto di Yasser Arafat e ha detto: “Siamo venuti qui per esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese nei territori occupati, in esilio nella speranza che i ministri palestinesi entrino presto nel prossimo governo. Sostengo uno stato palestinese entro i confini del 67 con uno scambio di territori concordato a fianco dello Stato di Israele, la cui capitale dev’essere Gerusalemme est. Questo marzo andremo alle elezioni in cui Netanyahu sarà sconfitto e Gantz sarà eletto.”

È una dichiarazione molto significativa, non solo per il luogo e l’occasione, ma anche per il contenuto. Meretz, pur avendo pochi seggi, è un pezzo centrale della coalizione di Gantz che certamente non può farne a meno. Si è molto parlato del pericolo di un accordo fra il partito bianco-azzurro e gli arabi filoterroristi, ma non abbastanza dell’influenza delle estrema sinistra ebraica.

La dichiarazione di Raz spiega molto sulle ragioni reali del braccio di ferro che è in corso nella politica israeliana da un anno. Non è detto che Ganz sia d’accordo, ma è chiaro che il progetto di alcune forze che lo appoggiano e di cui egli avrà certamente bisogno consiste nel cancellare o minimizzare la natura ebraica dello stato di Israele, rovesciando le scelte di settant’anni fa.



Informazione corretta: Palestina, ecco l'origine del nome di uno Stato arabo che non è mai esistito
Vivi Israele
Fabrizio Tenerelli
21 febbraio 2018

http://viviisraele.it/2018/02/21/inform ... -esistito/


Cari lettori, io cerco di parlare poco della questione arabo-israeliana, perchè la mia mission è soprattutto approfondire i temi legati a Israele e all’ebraismo. Tuttavia, talvolta è doveroso far chiarezza su alcuni aspetti che riguardano la cosiddetta “corretta informazione”. La disinformazione dilagante in materia (il suo esatto opposto), purtroppo contribuisce a dare una cattiva immagine di uno Stato che da vittima, passa come carnefice.

Ciò senza nulla togliere all’aspirazione ultima che è quella della pace in Medio Oriente e della convivenza di due popoli. Utopia? Una pace che, a mio modestissimo avviso, potrà giungere soltanto, quando il mondo arabo riconoscerà il diritto ad Israele di esistere.

Detto ciò, dopo un mio primo approfondimento in tema di informazione corretta (LEGGI QUI) vi propongo questa sorta di “upgrade”, che riguarda i concetti di “Palestina” e “palestinese”. Molto spesso chi non studia abbastanza, attacca con estrema arroganza il popolo ebraico, sulla base di falsi presupposti e di clamorosi equivoci.

In attesa di preparare un digest, tratto da “Arabi ed Ebrei”, del buon Bernard Lewis, ho pensato di scrivere queste poche righe, invitandovi a divulgarle, condividerle e via dicendo, affinchè si faccia chiarezza su una questione importante.

La prima cosa che va detta è che non c’è mai stata una nazione araba di nome “Palestina”. Questo, in realtà, è il nome che gli antichi romani diedero a Eretz Yisrael, con l’espresso proposito di umiliare gli ebrei, dopo la conquista. Gli inglesi chiamarono così la terra sulla quale avevano avuto il mandato, dopo lo scioglimento dell’Impero Ottomano.

Gli arabi, in disputa con gli ebrei, decisero allora di raccontare che quello era l’antico nome della loro terra, “malgrado non fossero capaci a pronunciarlo in modo corretto, ma trasformandolo in Falastin”, come disse nel 1995, Golda Meir, in una intervista a Sarah Honig del Jerusalem Post. Ma soprattutto va detto che non esiste una lingua palestinese, non una cultura e neppure una terra governata da palestinesi.

Quest’ultimi non sono altro che arabi non distinguibili dai giordani o dai siriani, dai libanesi o dagli iracheni. A ciò aggiungiamo che il mondo arabo controllo il 99,9 per cento del Medio Oriente. Israele, pensate, che rappresenta soltanto un decimo dell’uno per cento del totale. Ma ciò è troppo per gli arabi, che vogliono anche quella minuscola parte. Non importa, dunque, quanti territori un domani potrebbero concedere gli israeliani: in ogni modo non saranno mai abbastanza. Ma allora, da dove deriva questo termine? Palestina ha da sempre designato un’area geografica, che deriva da “Peleshet”, un nome che appare di frequente nella Torah, successivamente chiamata “Philistine”.

Il nome inizia ad essere usato nel tredicesimo secolo a.e.v. da una serie di migranti del mare, provenienti dal mar Egeo e dalle isole greche, i quali si insediarono nella costa sud della terra di Canaan. Laggiù istituirono cinque città-stato indipendenti, inclusa Gaza, in una stretta striscia di terra chiamata “Philistia”, i greci e i romani la chiamarono “Palastina”.

I palestinesi, dunque, non erano arabi e neppure semiti; non avevano alcun legame etnico o linguistico e neppure storico con l’Arabia e il termine Falastin non è altro che la pronuncia araba del termine “Palastina”. Dunque, chi si può considerare palestinese? Durante il mandato britannico era la popolazione ebraica ad essere considerata palestinese, inclusi coloro che hanno servito l’esercito britannico nella Seconda Guerra Mondiale. L’indirizzo britannico fu quello di limitare l’immigrazione di ebrei. Nel 1939, il Churchill White Paper (3 giugno 1922) mette fine all’ammissione di ebrei in Palestina. Uno “stop” che avviene nel periodo in cui c’era più disperatamente bisogno di emigrare in Palestina, quello dopo l’avvento del nazismo in Europa.

Nello stesso tempo in cui sbattevano la porta in faccia agli ebrei, gli inglesi permettevano (o facevano finta di niente) il massiccio ingresso clandestino nella Palestina occidentale di arabi provenienti da Siria, Egitto, Nordafrica e via dicendo. In questo modo, sembra che dal 1900 al 1947, gli arabi sulla sponda ovest del fiume Giordano si siano quasi triplicati. Il legame degli ebrei con la Palestina risale ai tempi biblici. Quello tra gli ebrei ed Hebron, ad esempio, corre indietro ai tempi di Abramo, ma nel 1929, gruppi di arabi in rivolta cacciano la comunità, uccidendo numerosi ebrei.

A supporto della tesi che non esiste uno stato arabo chiamato Palestina, c’è una letteratura fiume. Noi ricordiamo alcune dichiarazioni, tra le più significative, come quella del professore di storia araba, Philip Hitti (uno dei più illustri), secondo cui: “There is no such thing as Palestine in history, absolutely not”, dichiarò al Anglo-American Committee of Inquiry (1946). E poi. “It is common knowledge that Palestine in nothing but southern Syria”, affermò nel 1956: Ahmed Shukairy (United Nations Security Council).




L'inesistente storia della Palestina arabo maomettano palestinese
https://www.facebook.com/HalleluHeb/vid ... 0838079851


La Mappa della Palestina: Un Falso Creato dell'AIC
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
http://www.progettodreyfus.com/la-mappa ... a-un-falso

La Mappa della Palestina è un clamoroso falso creato ad hoc negli anni’60 da un ufficio di propaganda arabo. Spesso definita come “mappa dell’occupazione israeliana in palestina” e in tanti altri modi, questa mappa ha una storia molto lunga e completamente diversa da quella che viene raccontata su molti libri, dossier, siti e social media. Dedicando due minuti alla lettura di questo articolo, avrete a disposizione tutti gli elementi per mettere a tacere il prossimo amico o lontano conoscente che condividerà questo assurdo falso storico.


Palestina: le ragioni di Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2271


Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.


Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2765

Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2774

Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2558
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » ven apr 16, 2021 6:49 am

Fantastoria e propaganda: La nascita di un popolo
15 aprile 2021

http://www.linformale.eu/fantastoria-e- ... un-popolo/


In risposta alla dichiarazione IHRA, recentemente è stato pubblicato un documento, la Jerusalem Declaration on Antisemitism, sottoscritto da duecento studiosi internazionali che si occupano di antisemitismo, della Shoah e delle vicende mediorientali. Perché la necessità di questo documento? Viene spiegato nello stesso preambolo.

“La definizione IHRA include 11 “esempi” di antisemitismo, 7 dei quali incentrati sullo Stato di Israele. Anche se questo pone un’enfasi indebita su un campo, c’è un bisogno ampiamente sentito di chiarezza sui limiti del discorso e dell’azione politica legittima riguardante il sionismo, Israele e la Palestina. Il nostro obiettivo è duplice: (1) rafforzare la lotta contro l’antisemitismo chiarendo cos’è e come si manifesta, (2) proteggere uno spazio per un dibattito aperto sull’annosa questione del futuro di Israele / Palestina. Non condividiamo tutti le stesse opinioni politiche e non stiamo cercando di promuovere un’agenda politica di parte. Determinare che una visione o un’azione controversa non sia antisemita non implica né che la sosteniamo né che non lo facciamo”

Dunque il problema è Israele. La JDA recepisce quelli che l’IHRA considera forme di antisemitismo mascherate da critiche rivolte a Israele. Ovvero:

Applicare i simboli, le immagini e gli stereotipi negativi dell’antisemitismo classico (vedi linee guida 2 e 3) allo Stato di Israele.

Ritenere gli ebrei collettivamente responsabili della condotta di Israele o trattare gli ebrei, semplicemente perché sono ebrei, come agenti di Israele.

Richiedere alle persone, in quanto ebree, di condannare pubblicamente Israele o il sionismo (ad esempio, in una riunione politica).

Supporre che gli ebrei non israeliani, semplicemente perché sono ebrei, siano necessariamente più fedeli a Israele che ai loro paesi.

Negare il diritto degli ebrei nello Stato di Israele di esistere e prosperare, collettivamente e individualmente, come ebrei, in conformità con il principio di uguaglianza.

Fin qui non ci sarebbero problemi. I problemi sorgono successivamente, quando i redattori del documento offrono le proprie glosse come esempi legittimi di critica a Israele. Vediamoli singolarmente.

Sostenere la richiesta palestinese di giustizia e la piena concessione dei loro diritti politici, nazionali, civili e umani, come incapsulato nel diritto internazionale.

La frase è generica e fumosa. Cosa significa “sostenere la richiesta palestinese di giustizia”?

Secondo l’OLP la giustizia per i palestinesi è rappresentata dalla scomparsa di Israele come Stato ebraico, idea condivisa da Hamas. Secondo l’Aautorità Palestinese, la giustizia per i palestinesi consisterebbe in uno Stato palestinese che comprendesse l’intera Cisgiordania e il ritorno in Israele di circa sei milioni di cosiddetti profughi, moltiplicatesi per discendenza nei decenni, sotto l’egida dell’UNRWA. Va sottolineato che le mappe della Palestina pubblicate nei libri di testo studiati nelle scuole che dipendono dall’Autorità Palestinese, mostrano una regione in cui Israele è assente.

Cosa significa, altresì “piena concessione dei loro diritti, politici, nazionali, civili e umani”? Se ci si riferisce ai cittadini arabi che vivono in Israele, questa serie di diritti e loro già concessa. L’unica discriminate è che agli arabi-israeliani non è richiesto di servire nell’esercito, con l’eccezione dei Drusi. Se ci si riferisce agli arabi dimoranti in Cisgiordania, il loro statuto, per quanto riguarda l’Area A, B, e C, è regolato dagli Accordi di Oslo del 1993-1995, i quali prevedono tutele separate. La maggioranza dei cittadini arabi dimoranti in Cisgiordania sono sotto il controllo diretto dell’Autorità Palestinese. Non esiste nessuna norma di diritto internazionale che accolga una richiesta palestinese relativa ai loro “diritti politici, nazionali, civili e umani”.

Criticare o opporsi al sionismo come forma di nazionalismo, o sostenere una varietà di accordi costituzionali per ebrei e palestinesi nell’area tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Non è antisemita sostenere accordi che garantiscano la piena uguaglianza a tutti gli abitanti “tra il fiume e il mare”, sia in due stati, uno stato binazionale, uno stato democratico unitario, uno stato federale, o in qualsiasi forma.

Il sionismo nasce nell’alveo dei movimenti di emancipazione della fine dell’Ottocento, allo scopo di offrire a un popolo una terra dove dimorare. Perchè il sionismo dovrebbe essere più criticabile di qualsiasi forma di identità geografica di un popolo? E’ evidente che qui non si vuole colpire il sionismo in quanto tale, ma la stessa idea di Stato nazione, e di identità nazionale, vista, nell’ottica dell’universalismo progressista, come una realtà superata dalla storia. Si tratta di una posizione prettamente ideologica e politica.

Dello stesso conio astratto e magniloquente sono formule come “piena eguaglianza”, “stato democratico unitario”, “stato federale”. Come concliare queste forme vuote con le istanze suprematiste islamiche contenute nello Statuto di Hamas, o con la costante indisponibilità dell’Autorità Palestinese, e prima di essa dell’OLP a qualsiasi forma di compromesso con Israele?

Ma è altrove che casca l’asino sulla natura eminentemente ideologica di questo documento, che tenta goffamente di mascherare con una falsa equidistanza. Vediamo dove. Non sarebbe antisemita, La critica basata sui fatti nei confronti di Israele come Stato. Ciò include le sue istituzioni e i suoi principi fondanti. Include anche le sue politiche e pratiche, nazionali e internazionali, come la condotta di Israele in Cisgiordania e Gaza, il ruolo che Israele gioca nella regione o qualsiasi altro modo in cui, come Stato, influenza gli eventi nel mondo. Non è antisemita sottolineare la discriminazione razziale sistematica. In generale, le stesse norme di dibattito che si applicano ad altri stati e ad altri conflitti sull’autodeterminazione nazionale si applicano nel caso di Israele e Palestina. Quindi, anche se controverso, non è antisemita, di per sé, confrontare Israele con altri casi storici, incluso il colonialismo dei coloni o l’apartheid.

No non è antisemita criticare uno Stato per la “discriminazione razziale sistematica”, e non lo è nemmeno paragonarlo al colonialismo e a Stati dove si è praticato l’apartheid. Significa semplicemente sposare una ben precisa linea pregiudizialmente avversa, basata sulla propaganda e sulla menzogna, in base a cui Israele sarebbe accostabile al Sud Africa di de Klerk, o sarebbe l’ultimo avamposto del colonialismo europeo. E’ la ben nota linea filo-araba della sinistra nella sua declinazione massimalista.

Ma la vera gemma di questo documento che si propone come integrativo A quello dell’IHRA ritenuto troppo filo-israeliano, è la seguente:

Il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni sono forme comuni e non violente di protesta politica contro gli Stati. Nel caso israeliano non sono, di per sé, antisemiti.

Il BDS ha la sua matrice nella Risoluzione 3379 del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo e che si propaga poi negli anni Ottanta e Novanta nella guerra diplomatica contro Israele allo scopo di criminalizzarlo e di isolarlo. Le istanze esplicite del BDS sono, 1) porre termine alla colonizzazione di tutte le terre arabe, smantellare il cosiddetto “muro”, ovvero la barriera di protezione fatta costruire da Israele a salvaguardia della propria sicurezza durante la Seconda Intifada, e permettere il ritorno dei cossidetti profughi, ovvero i circa sei milioni di profughi artfatti creati dall’UNRWA, che, se effettivamente affluissero in Israele, metterebbero fine, demograficamente, alla sua identità di Stato ebraico.

Appare quindi del tutto falso e risibile quanto scritto nel preambolo della JDA,“Non condividiamo tutti le stesse opinioni politiche e non stiamo cercando di promuovere un’agenda politica di parte”. E’ vero esattamente il contrario. Si tratta chiaramente di un documento con un netto orientamento ideologico e una ben precisa agenda politica, il quale recepisce in toto la narrativa mainstream avversa a Israele, ravvisando in esso uno Stato nel quale si praticherebbe la discriminazione razziale e si violerebbero i diritti fondamentali dei cittadini arabi, e che, in quanto tale rende legittime le azioni di boicottaggio come quella intrapresa dal BDS.
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