Palestina: Le ragioni di Israele

Palestina: Le ragioni di Israele

Messaggioda Berto » lun lug 30, 2018 8:12 pm

Sceicchi in difesa di Gerusalemme contro l’avanzata dei turchi
di Maurizio Molinari · 29 luglio 2018

http://www.italiaisraeletoday.it/sceicc ... dei-turchi

È il Grande Gioco su Gerusalemme che tiene banco in Medio Oriente: un discorso del re saudita a Dahran, la visita di una delegazione del Bahrein in Israele e l’arresto di alcuni militanti turchi nella Città Vecchia descrivono il braccio di ferro in corso fra Riad e Ankara, portabandiera di posizioni opposte rispetto allo Stato ebraico e all’assetto strategico della regione. Con il discorso di Dahran il re saudita Salman si è impegnato a sostenere con almeno 150 milioni di dollari alcune istituzioni religiose musulmane di Gerusalemme al fine di contrastare la crescente presenza di investimenti e militanti turchi dentro la Città Vecchia.

La preoccupazione di Riad per le infiltrazioni turche a Gerusalemme, condivisa dai leader di Amman e Ramallah, è stata recapitata attraverso canali diplomatici a Israele, dove nelle ultime settimane sono stati arrestati più cittadini turchi militanti del partito di Recep Tayyp Erdogan che, entrati con regolari visti turistici, andavano sulla Spianata delle moschee per partecipare a proteste e disordini di matrice islamica.

Ciò che più preoccupa l’Arabia Saudita sono le acquisizioni immobiliari di società e individui turchi a Gerusalemme perché le interpreta come la volontà di Erdogan di trasformare la Città Vecchia in una trincea della sua politica mediorientale tesa a strappare a Riad la leadership dell’intero mondo sunnita.

Ovvero un tassello di una sfida più ampia che vede al momento Riad alla guida di un fronte composto da Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto duellare con Ankara, sostenuta da Qatar e Sudan con alle spalle il gigante sciita dell’Iran. Non a caso a condividere i timori sauditi sulle mire di Erdogan a Gerusalemme sono Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, i due Paesi del Golfo protagonisti delle più evidenti aperture allo Stato ebraico.

Manama ha accolto una delegazione israeliana per un recente evento dell’Unesco e una missione di suoi dignitari ha svolto una visita ufficiale a Gerusalemme mentre Abu Dhabi ospita una sede permanente israeliana presso l’Agenzia internazionale per l’energia rinnovabile che svolge il ruolo di ambasciata de facto presso i Paesi del Golfo.

E ancora: gli stessi Emirati Arabi Uniti, secondo notizie trapelate su media arabi, sarebbero impegnati a fare acquisizioni immobiliari a Gerusalemme per contrastare le mosse di Ankara operando attraverso Mohammed Dahlan, ex capo della sicurezza palestinese inviso al presidente Abu Mazen.

Se a tali tasselli aggiungiamo le insistenti indiscrezioni su un incontro segreto già avvenuto fra il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman e il premier israeliano Benjamin Netanyahu è facile arrivare alla conclusione che le aperture del fronte saudita allo Stato ebraico si sovrappongono al timore che Erdogan voglia sfruttare Gerusalemme per contendere a Riad la guida dei sunniti.

Tanto più che Ankara, assieme a Doha e Teheran, è il maggior sostenitore economico della Striscia di Gaza governata da Hamas e considerata dall’Egitto di Abdel Farrah al-Sisi un tassello del mosaico islamista-rivoluzionario dei Fratelli musulmani.

Insomma, Erdogan punta a cavalcare le istanze palestinesi più ostili a Israele mentre Riad è protagonista di numerose aperture – spesso al riparo dei riflettori – allo Stato ebraico a testimonianza che la questione mediorientale – e in primo luogo Gerusalemme – è uno dei tasselli dello scontro regionale fra i giganti sunniti: i sauditi alleati di Washington e i turchi partner della Nato ma tentati da legami privilegiati con Mosca e Teheran.

Al centro di questo Grande Gioco su Gerusalemme c’è il Waqf, l’ente religioso musulmano che gestisce la Spianata delle moschee e risponde alla monarchia hashemita di Giordania in forza di un accordo con Israele siglato dopo la guerra del 1967 e riconosciuto dall’Autorità nazionale palestinese.

Il saudita Iyad Madani, segretario generale dell’Organizzazione della conferenza islamica, ha visitato la Spianata in gennaio e in precedenza Riad aveva contestato ad Amman la sua gestione arrivando anche a condividere l’iniziativa israeliana – poi rientrata – di posizionare metal detector agli accessi per ostacolare le violenze.

Riad non si spinge fino a chiedere di sostituire Amman nella gestione del Waqf ma i generosi aiuti economici – 2,5 miliardi di dollari – versati ad Amman, assieme a Bahrein ed Emirati, per consentire al sovrano di fronteggiare le recenti proteste di massa, potrebbero facilitare un accordo più ampio. Un’ipotesi, che rimbalza da Washington, è la presenza di rappresentanti sauditi ed emiratini nel Waqf nell’ambito di un’intesa regionale fra Arabia Saudita ed Israele per tentare di affrontare in maniera inedita il conflitto arabo-israeliano. A dispetto del rivale disegno strategico di Ankara.

Il presidente turco Erdogan (al centro) con l’emiro del Kuwait al-Sabah, il re di Giordania Abdullah e il presidente palestinese Abu Mazen

In attesa di sapere come e quanto il Waqf potrà mutare, possono esserci pochi dubbi sul fatto che in Medio Oriente c’è una novità: la diplomazia religiosa saudita. Ovvero, gli sceicchi custodi dei luoghi santi dell’Islam a Mecca e Medina vogliono impedire alla Turchia erede dei sultani ottomani di insediarsi nella Città Vecchia di Gerusalemme e per riuscirci stanno ponderando una possibile, storica, intesa con lo Stato ebraico. Per questo un alto dignitario saudita ha recentemente detto: «Come arabi dobbiamo riconoscere che Gerusalemme è sacra per gli ebrei come Mecca e Medina lo sono per i musulmani».
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » lun lug 30, 2018 8:43 pm

Israele Stato ebraico: la Chiesa cattolica: "Legge discriminatoria"
Raffaello Binelli - Lun, 30/07/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/isr ... 59849.html

Il Patriarcato latino di Gerusalemme esprime "grande preoccupazione" perché la legge non fornisce adeguate garanzie alle minoranze ed ai nativi

La legge sullo "Stato-nazione del popolo ebraico", varata di recente dal parlamento israeliano, non piace alla Chiesa cattolica.

Il Patriarcato latino di Gerusalemme la definisce "discriminatoria" ed esprime "grande preoccupazione" perché la norma non fornisce adeguate garanzie alle minoranze.

Vediamo nello specifico il nodo centrale dell'accusa. "La legge - si legge in un comunicato - non fornisce una qualche garanzia costituzionale ai diritti dei nativi e delle altre minoranze che vivono nel Paese. I cittadini palestinesi di Israele, che costituiscono il 20%, sono esclusi in maniera plateale".

Per la rappresentanza cattolico-latina in Terra Santa la legislazione è più "esclusiva che inclusiva, più controversa che di consenso, più politicizzata che radicata nelle regole di base che sono comuni e accettabili per tutti i segmenti della popolazione"

La legge in questione definisce Israele "patria del popolo ebraico" e riconosce solo a quest’ultimo "il diritto all’autodeterminazione".


Alberto Pento
Questi sono cristiani dementi antisemiti e antisareliani. Se non ci fosse Israele e i suoi ebrei i cristiani sarebbero dhimmi, perseguitati e uccisi, come ovunque capita nei paesi a dominio nazi-maomettano. I cristiani del Medio Oriente hanno solo da ringraziare gli ebrei e Israele il loro stato che protegge anche loro e tutti i diversamente religiosi.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » dom set 16, 2018 7:51 am

Storica sentenza in Israele: Autorità Palestinese responsabile attentati
Sarah G. Frankl -
Gerusalemme, Israele (Rights Reporter)

https://www.rightsreporter.org/storica- ... -attentati

È una decisione senza precedenti quella assunta ieri dal Tribunale Distrettuale di Gerusalemme che con una sentenza storica ha ritenuto l’Autorità Palestinese (AP) direttamente responsabile della morte di Gadi e Tzipi Shemesh, uccisi in un attacco suicida avvenuto nel marzo del 2002 a Gerusalemme.

Gadi e Tzipi Shemesh, uccisi in un attacco suicida a King George Street a Gerusalemme nel marzo 2002

La causa contro l’Autorità Palestinese era stata intentata dai due figli rimasti orfani della coppia rimasta uccisa in un attentato suicida avvenuto in King George Street a Gerusalemme nel 2002. In quell’attentato oltre a Gadi e Tzipi Shemesh (lui sergente maggiore del IDF lei incinta di due gemelli) morì anche Yitzhak Cohen, padre di sei figli, e vi furono circa 80 feriti.

Secondo il Tribunale Distrettuale di Gerusalemme non solo l’Autorità Palestinese è responsabile per aver incitato l’attentatore a compiere l’attentato, ma a dimostrazione di essere il mandante del grave atto di terrorismo, in questi 16 anni ha pagato regolarmente la famiglia dell’attentatore come risarcimento/premio per aver ucciso e ferito cittadini israeliani.

La causa venne intentata dalla famiglia della coppia uccisa 16 anni fa contro l’Autorità Palestinese e contro la OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) in quanto ritenevano i due organismi mandanti morali e materiali dell’attentato avvenuto a seguito di precise indicazioni a compiere attacchi contro cittadini israeliani inermi e che il terrorista avesse agito quindi su loro precise indicazioni, un fatto che secondo il Tribunale Distrettuale di Gerusalemme viene confermato dal fatto che in tutti questi anni la Autorità Palestinese a regolarmente provveduto a pagare un cospicuo vitalizio alla famiglia dell’attentatore. La corte israeliana ha quindi accolto in pieno la teoria della famiglia delle vittime.


Perché è una sentenza storica?

La sentenza emessa dal Tribunale Distrettuale di Gerusalemme è storica non solo perché per la prima volta viene riconosciuto il ruolo attivo della Autorità Palestinese negli attentati che in questi anni hanno insanguinato Israele, ma anche perché apre le porte a denunce da parte di altre famiglie che hanno avuto congiunti uccisi in attentati terroristici. Non solo, viene riconosciuto che il pagamento di vitalizi da parte della Autorità Palestinese ai famigliari degli attentatori è di fatto la prova che la AP è la mandante oggettiva degli attentati terroristici avvenuti in tutti questi anni in Israele.

«Con nostra grande gioia, la corte ha mostrato coraggio e ha dato la colpa alla Autorità Palestinese e ha stabilito che è direttamente responsabile di questo spregevole atto di omicidio» ha detto Yigal Shemesh, fratello di Gadi, alla stampa. «Ora ci aspettiamo altri atti di coraggio per le altre vittime del terrorismo palestinese» ha poi aggiunto.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab set 29, 2018 8:45 pm

Netanyahu: “La vera domanda è: cosa sarà lo stato palestinese? Un Costa Rica o un Iran?”
27 settembre 2018

https://www.israele.net/netanyahu-la-ve ... -o-un-iran


Prima del suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, il premier israeliano fissa alcuni punti fermi su stato palestinese e Unesco. Poi, nel discorso, svela nuovi segreti atomici iraniani

Durante gli incontri con la stampa alla vigilia del suo discorso all’Assemblea Generale, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha precisato la propria posizione rispetto alle recenti dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Mercoledì scorso, infatti, dopo un incontro con Netanyahu, Trump aveva espresso per la prima volta un esplicito sostegno per la soluzione “a due stati” del conflitto israelo-palestinese. Rispondendo ai giornalisti, Trump aveva detto di ritenere che una soluzione “a due stati”, Israele accanto a uno stato palestinese, “funziona meglio”. Nelle precedenti occasioni Trump non aveva mai manifestato una preferenza precisa, dicendo che avrebbe appoggiato qualsiasi accordo venisse sottoscritto dalle due parti. Poco più tardi, durante una conferenza stampa, Trump ha precisato che a suo parere una soluzione a due stati è “più difficile” da conseguire, ma potrebbe funzionare meglio perché con essa “la gente si autogoverna”. Riafferrando la sua posizione tradizionale, Trump ha aggiunto che in ogni caso sosterrà la decisione che vorranno prendere insieme israeliani e palestinesi. “In conclusione – ha detto – se israeliani e palestinesi vogliono due stati, per me va bene. Se vogliono uno stato solo, per me va bene lo stesso. Sono contento se loro sono contenti”.

Dal canto suo, Netanyahu ha detto di non essere sorpreso dalle parole del presidente Donald Trump. “Stiamo conducendo trattative – ha spiegato in conferenza stampa – Sono pronto ad accettare che i palestinesi abbiano tutti i poteri per governare se stessi, purché non abbiano il potere di minacciarci o nuocerci. A parte Gaza, il controllo generale della sicurezza a ovest del fiume Giordano deve rimanere nelle nostre mani. Questo punto è fuori discussione fintanto che sarò primo ministro. Sono fiducioso che qualsiasi iniziativa americana includerà questo principio”. Netanyahu ha aggiunto d’aver detto a Trump, durante il loro incontro, che “stato palestinese” di per sé non vuol dire molto. “Ci sono molte possibilità – ha detto Netanyahu – e a me interessa la sostanza, non l’etichetta. La vera domanda è: cosa si intende per stato palestinese? Sarà un Costa Rica o un Iran? Chi avrà il controllo sulla sicurezza?”.

(Da: YnetNews, Times of Israel, Jerusalem Post, 27.9.18)

I tentativi di delegittimare Israele sono una forma di antisemitismo. Lo ha detto mercoledì il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in un forum contro l’odio pregiudiziale anti-ebraico organizzato dall’Unesco a margine dell’Assemblea Generale. Il moderno antisemitismo, ha affermato Guterres, si esprime “nel tentativo di delegittimare il diritto d’Israele di esistere, come il fatto di invocarne la distruzione, usando come pretesto la situazione in Medio Oriente per attaccare ebrei e simboli ebraici”. Da quando si è insediata, lo scorso anno, la nuova Direttrice Generale dell’Unesco Audrey Azoulay ha sottolineato l’importanza di combattere l’antisemitismo: l’evento di mercoledì rientra in questo sforzo.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tuttavia declinato l’invito a partecipare alla conferenza, spiegando che proprio il trattamento riservato dall’Unesco allo stato d’Israele equivale a una forma di antisemitismo. “Pur apprezzando gli sforzi in corso per combattere l’antisemitismo – ha dichiarato Netanyahu – ho deciso di non partecipare a questa conferenza dell’Unesco sull’antisemitismo a causa del persistente, macroscopico pregiudizio dell’organizzazione contro Israele. Dal 2009 l’Unesco ha approvato 71 risoluzioni che condannano Israele e solo due risoluzioni contro tutti gli altri paesi messi insieme. Ciò è semplicemente vergognoso. Un tempo, il marchio dell’antisemitismo prendeva di mira con attacchi e calunnie il popolo ebraico. Oggi, il marchio dell’antisemitismo prende di mira con attacchi e calunnie lo stato ebraico. Se l’Unesco vuole sbarazzarsi di questo marchio d’infamia – continua il comunicato del primo ministro israeliano – deve fare di più che ospitare una conferenza sull’antisemitismo. Deve smettere di praticare l’antisemitismo. E deve porre fine all’assurdità dell’approvazione di risoluzioni che disconoscono il legame tra il popolo ebraico e la Terra di Israele, tra il popolo ebraico e la sua eterna capitale Gerusalemme. Indipendentemente da quello che dice l’Unesco, il Muro Occidentale [“del pianto”] non è ‘territorio palestinese occupato’ e la Grotta dei Patriarchi, luogo di sepoltura di Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Leah, non è un sito ‘del patrimonio palestinese’. Ritirandosi dall’Unesco nel 2017 – ha concluso Netanayhu – Israele e Stati Uniti hanno preso la netta posizione morale per cui l’antisemitismo dell’Unesco non verrà più tollerato. Se e quando l’Unesco porrà fine al suo pregiudizio contro Israele, cesserà di negare la storia e inizierà a difendere la verità, Israele sarà onorato di rientrare. Fino ad allora, Israele combatterà l’antisemitismo nell’Unesco e in ogni altro luogo”.

Intervenendo alla conferenza di mercoledì, la Direttrice dell’Unesco Azoulay ha convenuto che la disinformazione attorno al conflitto israelo-palestinese ha contribuito ad alimentare l’antisemitismo contemporaneo, aggiungendo che l’antisemitismo “mina i diritti umani fondamentali in generale, e deteriora e corrompe l’intera società: è una delle forze ideologiche più potenti e secolari dell’estremismo violento. Questo odio – ha detto Azoulay – non può essere combattuto solo dalle istituzioni ebraiche. È fondamentale mobilitare l’intera comunità internazionale. Come disse una volta Albert Einstein, è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. L’educazione, che è al centro del mandato dell’Unesco, è un potente fattore per rompere tali pregiudizi”.

Dal canto suo, il Segretario Generale Guterres ha detto che le Nazioni Unite hanno un obbligo speciale di combattere l’antisemitismo giacché l’organizzazione stessa venne creata all’indomani della seconda guerra mondiale per contribuire a prevenire tragedie come la Shoà. “L’origine delle Nazioni Unite – ha detto Guterres – è radicata nella necessità di apprendere la lezione della Shoà. Essere fedeli alla nostra Carta significa combattere l’antisemitismo e l’odio con tutta la nostra energia e volontà. Gli ebrei continuano ad essere attaccati per nessun’altra ragione che la loro identità. L’antisemitismo è in aumento in tutte le parti del mondo in cui vivono le comunità ebraiche, ma è presente anche in paesi in cui non ci sono ebrei. L’antisemitismo – ha concluso Guterres – è sopravvissuto al passaggio del millennio, ma non dovrebbe avere nessuno spazio nel XXI secolo”.

(Da: Jerusalem Post, 27.9.18)



Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante il discorso all’Assemblea Generale dell’Onu giovedì sera

Intervenendo giovedì sera davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha svelato “un’altra struttura atomica segreta” iraniana, cinque mesi dopo aver presentato in un video le prove degli imbrogli iraniani sottratte a Teheran dai servizi di sicurezza israeliani. “Quello che sto per dire non è stato mostrato in pubblico prima d’ora – ha detto Netanyahu, dopo una breve introduzione in cui ha ribadito l’opposizione di Israele all’accordo del 2015 sul nucleare iraniano – Oggi rivelo qui il sito di una seconda struttura, un magazzino atomico segreto dell’Iran. Quando ho parlato a questa Assemblea, tre anni fa, Israele era solo tra le nazioni: dei quasi duecento paesi che siedono in questa sala, solo Israele si opponeva apertamente all’accordo sul nucleare dell’Iran. Ci opponevamo perché quell’accordo minaccia il nostro futuro, persino la nostra stessa sopravvivenza. Ci opponevamo perché quell’accordo spianava la strada dell’Iran verso un arsenale nucleare, e la revoca delle sanzioni alimentava la campagna di massacri e conquiste dell’Iran in tutto il Medio Oriente. Ci opponevamo perché l’accordo era basato su una menzogna fondamentale. Israele ha sbugiardato quella menzogna”.

Netanyahu ha poi continuato, sollevano pannelli con foto satellitari, mappe e immagini ravvicinate: “Permettete che vi mostri come si presenta esattamente il magazzino atomico segreto. Eccolo qui”. Netanyahu ha spiegato che quest’altro sito segreto si trova vicino a un impianto per la pulitura di tappeti, che ora potrebbe essere radioattivo. Rimproverando l’AIEA per non aver effettuato subito ispezioni sulla base dei documenti trovati da Israele nell’archivio iraniano, Netanyahu ha detto: “Da quando abbiamo fatto irruzione nel loro archivio, sono impegnati a ripulire questo magazzino atomico: solo il mese scorso hanno sgomberato 15 kg di materiale radioattivo da questo sito. L’hanno rimosso e lo hanno distribuito in giro per Teheran per nascondere le prove. L’AIEA non ha ancora intrapreso alcuna azione, non ha posto una sola domanda all’Iran e non ha chiesto di ispezionare un singolo nuovo sito scoperto in quell’archivio segreto. Ecco perché ho deciso di svelare oggi qualcos’altro di ciò che abbiamo rivelato alla AIEA e ad altre agenzie di intelligence”.

Elencando una serie di minacce poste dall’Iran e da Hezbollah, il gruppo terroristico ad esso affiliato che fa base in Libano e che secondo Netanyahu ha acquisito da Teheran il know-how per convertire missili imprecisi in missili di precisione in grado di colpire le città israeliane, il primo ministro israeliano ha aggiunto: “Ho un messaggio per i tiranni di Teheran e per Hezbollah: Israele sa cosa state facendo, Israele sa dove lo state facendo. Non vi permetteremo di farla franca. Israele farà tutto ciò che deve fare per difendersi dall’aggressione dell’Iran. Continueremo ad agire contro di voi in Siria, agiremo contro di voi in Libano e continueremo ad agire contro di voi in Iraq, ovunque e in qualsiasi momento, per difendere il nostro Stato e la nostra popolazione”.

Netanyahu ha accusato Teheran di usare i soldi incassati grazie alla fine delle sanzioni economiche, a seguito all’accordo sul nucleare, “per alimentare la sua vasta macchina da guerra”. Ma l’aggressività dell’Iran, ha detto Netanyahu, non si limitata al Medio Oriente, arriva anche a New York e in Europa. Eppure, ha denunciato, le nazioni europee continuano ancora ad “accondiscendere e vezzeggiare” la repubblica islamica, cercando di ridurre l’impatto finanziario delle sanzioni statunitensi. “Questi leader europei non hanno imparato nulla dalla storia? Apriranno mai gli occhi? – si è chiesto – Noi in Israele non abbiamo bisogno di campanelli d’allarme perché l’Iran ci minaccia ogni giorno; perché, a dispetto delle tante speranze, quell’accordo sul nucleare iraniano non ha allontanato la guerra: l’ha portata sempre più vicino ai nostri confini”.

(Da: YnetNews, Jerusalem Post, 27.9.18)
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mer ott 17, 2018 7:59 pm

Benjamin Netanyahu
Giulio Meotti

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 3066818877

Davanti a 140 giornalisti stranieri, Benjamin Netanyahu ha appena tenuto un grande discorso: “Chi sta combattendo la conquista iraniana della Siria? Israele. Chi sta combattendo l'Isis? Negli ultimi tre anni Israele ha fermato 40 attacchi terroristici dell'Isis in tutto il mondo. Israele è l'avanguardia della libertà nel Medio Oriente. Senza Israele, l'Islam radicale invadrebbe il Medio Oriente. Israele è l'unico paese del Medio Oriente in cui la comunità cristiana prospera”. Netanyahu ha detto le verità più esplosive su Israele nella sua relazione con il mondo civilizzato. Solo Israele oggi è in grado di impedire la proliferazione di armi di distruzione di massa in Medio Oriente (due volte Israele ha fermato una bomba atomica arabo-islamica). Solo Israele è in grado di combattere l'ideologia islamica radicale. Solo Israele è in grado di promuovere lo sviluppo capitalistico della regione. Solo Israele è in grado di espandere i valori dell'Occidente, in competizione con quelli dell'Islam radicale. Se Israele dovesse sparire, l'Iran estenderebbe la sua egemonia totalitaria a tutto il Medio Oriente e umilierebbe l'Occidente controllando il petrolio. Se i gruppi islamisti come l'Isis non sono ancora stati in grado di conquistare la Giordania è solo grazie alla presenza israeliana. La conquista islamista di Gerusalemme darebbe agli islamisti una vittoria da libri di storia, come la caduta di Constantinopoli nel 1453. Abbiamo avuto un assaggio di questa destabilizzazione negli ultimi anni, con la presa del potere dei Fratelli Musulmani in Egitto, l'uccisione dell'ambasciatore americano Chris Stevens in Libia, la decapitazione dei cristiani nelle coste mediterranee, la guerra civile siriana, l'avvento dell'Isis su un terzo del territorio iracheno. Israele è l'unico cuscinetto contro uno tsunami islamista che travolgerebbe l'Europa. Sfortunatamente, l'Occidente, delegittimando Israele, è diventato sempre più vulnerabile, non ha capito che il minuscolo stato ebraico è una parte gigantesca dell'Occidente e la personificazione dei migliori valori della nostra civiltà.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mer ott 17, 2018 8:07 pm

Storie di profughi siriani accolti in Israele

Riprendiamo da SHALOM settembre-ottobre 2018, a pag. 20 con il titolo "Storie di profughi siriani accolti in Israele" l'analisi di Fiamma Nirenstein.
Fiamma Nirenstein
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... o.facebook

Lungo le alture del Golan il vento soffia furiosamente su una situazione che può prendere fuoco da un momento all’altro. L’incendio che ne deriverebbe può portare a una guerra sul fronte siriano, stavolta con attori internazionali: l’Iran, la Russia, le milizie degli Hezbollah L’ultima offensiva di Bashar Assad per scalzare dal sud della Siria i gruppi ribelli composti sia dalla opposizione democratica che da gruppi estremisti fino all’Isis, ha le solite caratteristiche di spietato attacco a tutta la popolazione civile fino alla città di Daraa, grosso modo nel punto di incontro fra il confine Israeliano e quello Giordano con la Siria.


La prima assistenza prestata da un medico israeliano a un profugo siriano ferito

Centinaia di migliaia di persone, si dice 600mila, sono in fuga.
I profughi in movimento, uomini donne e tanti bambini si accalcano oramai soprattutto sul confine israeliano: quello giordano è diventato impraticabile, il re Abdullah ha consentito l’ingresso di un milione di siriani nei sei anni passati (siamo al settimo anno di conflitto siriano) e non intende ammetterne altri. Israele naturalmente non ha nessuna possibilità di ospitare profughi arabi piccolo com’è e tuttora in stato di guerra con la Siria, la cui popolazione è stata cresciuta in un clima di furioso antisemitismo. Ma vuole e può aiutarne la gente in stato di bisogno, e lo fa con una passione e con una larghezza che ancora restano, per evidenti motivi di pregiudizio, sconosciuti alla gran parte del mondo. Ma basta andare a vedere quello che accade lungo il confine del Golan e in tutto il Nord del Paese, specie in Galilea a Naharia dove gli ospedali sono mobilitati nella cura dei feriti e dei malati che vi vengono trasportati, rilevati nottetempo dai soldati israeliani che rischiano la vita per salvarli, per rendersi conto di trovarsi in presenza di qualcosa di inconsueto e straordinario, che solo la pietà e il senso di fratellanza di cui il popolo ebraico deve andare fiero nei millenni possono suggerire.
Si chiama "Operazione Buon Vicino", il padre ne è un alto ufficiale dell’esercito, il colonnello Marco Moreno che ci racconta come sette anni fa l’operazione fu iniziata in termini di scambio, e con molta cautela: "Ci rivolgemmo agli uomini di là dal confine, sapevamo che milizie pericolose si aggiravano presso il Golan, e proponemmo una specie di trattato non scritto di non aggressione, loro avrebbero trattenuto i terroristi, noi avremmo fornito tutto l’aiuto umanitario possibile. Ed è andata così bene che quello che era conveniente è invece diventato, per noi, molto bello, molto significativo. Loro avevano all’inizio paura di noi, noi ci andavamo cauti: poi è nata una fiducia per cui essi si affidano completamente alle nostre cure in caso di bisogno drammatico, vengono con fiducia nei nostri ospedali finché non li restituiamo alla loro casa guariti: intanto le famiglie, le donne, i bambini che stanno di là dal recinto ricevono tonnellate di aiuti. Cibo, vestiti, tende, generatori, acqua, medicine. E tanti giocattoli per i bambini. Un ragazzino che è arrivato ferito per la seconda volta da una granata quando si è sentito dire "non devi giocare con le granate" ha risposto "dici bene tu, i tuoi figli hanno tanti giocattoli. Noi giochiamo con quello che abbiamo". Tutti nel Golan si sono mobilitati per aiutare i profughi, mentre sentono gli scoppi in lontananza: 32 cittadine e kibbutz si sono riuniti al Consiglio Regionale e hanno messo in piedi un grande movimento di raccolta di coperte, cibo non deteriorabile, vestiti e balocchi. Un post su Facebook dice "I balocchi e le buste di beni necessari verranno donati a quei bambini che attraversano un periodo tanto difficile della loro vita". "Facciamo del nostro meglio" ci ha detto a Nahariya il chirurgo Eyal Sela "ma quando diciamo ai bambini siriani ’cosa farai da grande’, loro ti guardano un pò beffardi e ti chiedono se davvero penso che ’saranno grandi’". Al centro medico della Galilea Occidentale, nell’ospedale di Nahariya, si fanno le operazioni più difficili: ho visto miracoli che non credevo possibili.

I chirurghi quando le ambulanze o gli elicotteri portano i feriti nella notte, devono aspettarsi il peggio. Ho visto dalle foto che mi sono state mostrate persone che non avevano più la faccia, il naso, il mento, la bocca, le ossa della mandibola, per non parlare di quanti sono arrivati ciechi, monchi, zoppi, ormai senza arti, piedi e mani. E ho visto sulle foto mostratemi da Sela i vari processi di incredibile ricostruzione, le più spericolate operazioni alla testa, col viso su cui vengono innestate ossa, e su di esse tesi pezzi di pelle gonfiati per estenderli come palloncini. Alla fine si vede il risultato: c’è di nuovo, un naso, un mento, una mascella, delle labbra, la pelle. C’è chi resta per anni, a volte viene mandato su e giù dentro il confine per vedere la famiglia e torna per un ennesimo trapianto. Uno di loro, Hani, che ha moglie e due figli piccoli, è un ragazzo di una trentina d’anni, ha un occhio ormai cieco, ma ha un buon aspetto, la testa è stata risistemata, ha un viso contento dopo tanto patire. Racconta come ferito quasi mortalmente a Ghoutta due anni fa gli chiesero se volesse essere portato dagli israeliani, si agitò incerto, gli spiegarono che erano gli unici che lo potevano aiutare, lo buttarono su un cavallo che con tre ore di viaggio lo portarono al confine. Là i soldati lo mise su un’ambulanza. I siriani sanno solo cose orribili degli israeliani, così gli insegnano ovunque: "Ma si svegliano all’ospedale" dice Sela "sono spaventati, e subito si accorgono che i medici per metà sono arabi, e così gli infermieri e anche i pazienti. Dopo poco si affidano completamente, capiscono chi siamo veramente, e io mentre li opero penso che si avvera in noi quello che dice Maimonide: "Che io non possa vedere nel mio paziente altro che un essere umano mio compagno di strada che soffre". E poi mi dico, egoisticamente, che desidero che quando torna a casa dica la verità su Israele". E certamente sia pure a basa voce, perché è molto pericoloso altrimenti (la richiesta ai giornalisti è di non usare mai l’immagine o il nome vero dei ricoverati) qualcosa di buono uscirà da questo sforzo di un Paese tanto piccolo e affaticato come Israele. Un altro ragazzo,. Nawras non ha più le mani nè un occhio: 22 anni, è stanco e spaurito, si trova all’ospedale solo da due settimane, ha ormai delle protesi al posto delle mani, chissà che sorte lo aspetta quando tornerà di là dal confine. Questo popolo disperso spera ormai, paradossalmente solo in Israele. Vogliono restare a casa loro, in Siria, non desiderano restare in Israele forse anche perché sanno che non è possibile, ma come dice il cinquantenne Musa Abu al Bara’a da una delle tende che vediamo a un paio di centinaio di metri di distanza mentre di quando in quando si odono degli scoppi, dice che solo Israele ha a cuore la vita umana e i diritti civili. Musa spera che Assad venga allontanano, ha anche molta preoccupazione per l’avanzare degli iraniani e degli hezbollah. Questo è un elemento primario nella paura della gente che fugge. Gli stranieri sciiti che vogliono, dicono, la morte di tutti i sunniti. E quindi Musa chiede che Israele vada all’Onu e imponga una zona demilitarizzata lungo il confine in cui i profughi siano salvati e accuditi in pace. Ma si è mai visto che l’ONU ascolti Israele? Eppure la sua enorme generosità in questa difficile circostanza dovrebbe creare il più sacro dei diritti.



Nella intricata e torbida questione siriana, come orientarsi e con chi stare?
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab ott 20, 2018 9:14 pm

Perché gli israeliani evitano la vittoria, di Daniel Pipes
19 ottobre 2018

http://www.linformale.eu/perche-gli-isr ... niel-pipes

Immaginate che un bel giorno un presidente americano dica a un primo ministro israeliano; “L’estremismo palestinese danneggia la sicurezza americana. Abbiamo bisogno che tu vi ponga fine conseguendo la vittoria sui palestinesi. Fare ciò che serve entro i limiti legali, morali e pratici”. E il presidente continua: “Imponi la tua volontà su di loro, inducili a pensare di essere stati sconfitti in modo che rinuncino al loro sogno settantennale di eliminare Israele. Vinci la tua guerra”.

Come potrebbe rispondere il primo ministro? Coglierà l’attimo e punirà l’incitamento e la violenza sponsorizzati dall’Autorità palestinese (Ap)? Informerebbe Hamas che ogni aggressione porrebbe temporaneamente fine a tutti i rifornimenti di acqua, cibo, medicine ed elettricità?

O declinerebbe l’offerta?

La mia previsione a riguardo è la seguente: dopo intense consultazioni con i servizi di sicurezza israeliani e le accese riunioni di governo, il primo ministro risponderebbe al presidente dicendo: “No grazie, preferiamo lasciare le cose come stanno”.

Davvero? Non è quello che ci si aspetterebbe, visto come l’Ap e Hamas cercano di eliminare lo Stato ebraico, vista la violenza persistente contro gli israeliani e visto come la propaganda palestinese danneggia la posizione internazionale di Israele. Sì. E per quattro ragioni: una diffusa convinzione israeliana che la prosperità mini l’ideologia, la soggezione della determinazione palestinese, il senso di colpa ebraico e la riluttanza dei servizi di sicurezza. Ognuna di queste argomentazioni può essere facilmente confutata.

La prosperità non pone fine all’odio

Molti israeliani ritengono che se i palestinesi traessero sufficienti benefici economici, medici e legali e di altro genere che il sionismo apporta loro, cederanno e accetteranno la presenza ebraica. Fondata sull’assunto marxista secondo cui il denaro è più importante delle idee, questa visione sostiene che le scuole eccellenti, i nuovi modelli di automobili, appartamenti confortevoli siano l’antidoto ai sogni nazionalisti islamisti o palestinesi. Come gli abitanti di Atlanta, i ricchi palestinesi saranno troppo occupati per odiare.

Questa idea ebbe origine oltre un secolo fa, raggiunse il culmine all’epoca degli accordi di Oslo del 1993 ed è strettamente associata all’ex ministro degli Esteri Shimon Peres, autore del libro Il Nuovo Medio Oriente. Peres mirava a trasformare Israele, la Giordania e i palestinesi in una versione mediorientale del Benelux. Ancora più grandiosa, la sua visione sperava di emulare l’accordo franco-tedesco siglato dopo la Seconda guerra mondiale, quando i legami economici servirono a porre fine a una inimicizia storica e a formare alleanze politiche positive.

In questo spirito, i leader israeliani hanno lavorato a lungo per costruire le economie della Cisgiordania e di Gaza. Hanno esercitato pressioni sui governi stranieri per finanziare l’Ap. Hanno aiutato Gaza finanziando l’approvvigionamento di acqua ed elettricità, promuovendo altresì gli impianti di desalinizzazione dell’acqua. Hanno proposto un sostegno internazionale alla creazione di un’isola artificiale al largo delle coste di Gaza con tanto di porto, aeroporto e strutture alberghiere. Hanno persino concesso a Gaza un giacimento di gas.

Ma questi tentativi sono falliti in modo spettacolare. La furia palestinese contro Israele rimane immutata. Inoltre, i gesti di buona volontà non sono stati accolti con gratitudine, ma con rifiuto. Ad esempio, dopo il ritiro unilaterale di tutti gli israeliani da Gaza nel 2005, le serre di questi ultimi sono state consegnate ai palestinesi come un gesto di buona volontà, per poi essere immediatamente saccheggiate e distrutte.

Forse quelli più eclatanti sono i casi dei palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani che mostrano la loro gratitudine tentando di uccidere i loro benefattori. Nel 2005, una donna di Gaza di 21 anni fu curata con successo dopo aver riportato delle ustioni in seguito all’esplosione di un serbatoio di benzina, per poi restituire il favore tentando di attaccare l’ospedale con un attentato suicida. Nel 2011, una madre di Gaza il cui figlio aveva una malattia del sistema immunitario ed era stato salvato in un ospedale israeliano disse davanti a una telecamera che voleva che il bambino crescendo diventasse un attentatore suicida. Nel 2017, due sorelle entrate in Israele da Gaza affinché una delle due si sottoponesse a delle cure contro il cancro hanno tentato di contrabbandare esplosivi per conto di Hamas.

Perché questi tentativi sono falliti? Il modello franco-tedesco includeva un fattore non presente nella scena israelo-palestinese: la disfatta dei nazisti. La conciliazione non avvenne con Hitler ancora al potere, ma dopo che lui e i suoi obiettivi erano stati polverizzati. Al contrario, la grande maggioranza dei palestinesi crede ancora di potere vincere (ossia di eliminare lo Stato ebraico). Questi palestinesi vedono anche con sospetto gli sforzi volti a costruire la loro economia, mentre Israele ottiene in modo subdolo il controllo egemonico.

Già nel 1923, il leader sionista Vladimir Jabotinsky previde questo fallimento, definendo infantile “pensare che gli arabi acconsentiranno volontariamente alla realizzazione del sionismo in cambio dei vantaggi culturali e economici che potremo accordare loro”.

Più in generale, l’aver incrementato i finanziamenti ai palestinesi non ha creato consumismo e individualismo, ma rabbia. Come ci si potrebbe aspettare, aiutare un nemico a sviluppare la sua economia mentre la guerra è ancora in corso, significa fornirgli le risorse necessarie per continuare a combattere. Il denaro è stato utilizzato per incitare, indottrinare al “martirio”, acquistare armi e costruire tunnel per compiere attacchi terroristici. Una decina di anni fa, Steve Stotsky dimostrò la stretta correlazione esistente tra i finanziamenti per l’Autorità palestinese e gli attacchi contro gli israeliani; ogni 1,25 milioni di euro in aiuti, come da Stotsky riportato sul grafico, si sono tradotti nell’uccisione di un israeliano l’anno.

Nonostante la perenne delusione,, persiste la convinzione israeliana legata all’idea che la prosperità palestinese conduca alla conciliazione. Ovviamente, la vittoria non desta alcun interesse negli israeliani che sognano, per quanto tristemente, la magia dei nuovi modelli di automobili.

Le guerre finiscono, come mostra l’esperienza storica, non arricchendo il nemico, ma privandolo delle risorse, riducendo le sue capacità militari, demoralizzando i suoi sostenitori e incoraggiando le rivolte popolari. A tal fine, gli eserciti, nel corso degli anni, hanno tagliato le strade per i rifornimenti, costretto le città alla fame, stabilito blocchi e applicato embarghi. In questo spirito, se Israele avesse intrapreso una guerra economica trattenendo alla fonte il denaro dei contribuenti, negando l’accesso ai lavoratori e interrompendo le vendite di acqua, cibo, medicine ed elettricità, le sue azioni avrebbero portato alla vittoria.

Quanto all’argomento secondo cui la rovina economica palestinese porta a più violenza, beh, è una fandonia. Solo le persone che sperano ancora di vincere continuano con la violenza; coloro che hanno perso si arrendono, si leccano le ferite e cominciano a ricostruire intorno ai loro fallimenti. Si pensi all’America del Sud nel 1865, al Giappone nel 1945 e agli Stati Uniti nel 1975.

La determinazione palestinese

Alcuni osservatori sostengono che la resilienza (sumud) palestinese sia troppo vivace per una vittoria israeliana. In una lettera dell’aprile 2017 indirizzata al sottoscritto, lo storico Martin Kramer spiegava così questa visione:

Nel 1948, metà della popolazione palestinese (700 mila) fuggì. Ogni centimetro della Palestina fu perso nel 1967, quando altri 250mila palestinesi fuggirono. Il loro movimento di “liberazione” fu successivamente guidato da una forza schiacciante dalla Giordania e dal Libano. Secondo i palestinesi, gli israeliani uccisero il loro leader-eroe, Arafat. Tuttavia, nulla di tutto questo li ha persuasi del fatto che loro sconfitta fosse definitiva. In questa luce, non so come le misure relativamente modeste che Israele può prendere in tempo di pace potrebbero convincerli che hanno perso.

Se i palestinesi hanno sopportato un secolo di batoste, come afferma questa linea di pensiero, sono in grado di assorbire tutto ciò che ora Israele offre loro. Qualunque sia la ragione – la fede islamica; l’influenza duratura di Amin al-Husseini; l’unica rete di sostegno globale – questa straordinaria forza d’animo indica che la determinazione palestinese non si spezzerà.

La risposta a questo? Israele era sulla buona strada per la vittoria fra il 1948 e il 1993, ma poi i disastrosi accordi di Oslo lo fecero deragliare. La determinazione palestinese fu distrutta nel 1993, in seguito al crollo sovietico e alla sconfitta di Saddam Hussein, quando Arafat strinse la mano del primo ministro israeliano e riconobbe Israele.

Poi, anziché basarsi su questa vittoria, gli israeliani procedettero al ritiro unilaterale dal territorio (Gaza-Gerico nel 1994, Aree A e B della Cisgiordania nel 1995, Libano nel 2000 e Gaza nel 2005), e questo fece credere ai palestinesi di aver vinto. Dopo questi ritiri, nel 2007, Gerusalemme abbandonò qualsiasi piano a lungo termine e affrontò i problemi più impellenti. Qual è, dunque, l’attuale obiettivo di Israele per Gaza? Non ne ha nessuno.

Pertanto, la storia israeliana si divide in 45 anni volti a puntare alla vittoria e 25 anni di confusione. Ritornare all’obiettivo della vittoria rimedierà a quegli errori.

Il senso di colpa ebraico

Essendo i più perseguitati della storia – vittime di persecuzioni religiose, razzismo, pogrom e dell’Olocausto – gli ebrei hanno sviluppato un forte senso della moralità. La prospettiva di costringere i palestinesi a sopportare l’amaro crogiolo della sconfitta è un’idea che la maggior parte degli ebrei israeliani e dei loro sostenitori nella Diaspora sono restii a mettere in atto. Prevalentemente, gli ebrei preferirebbero usare la carota anziché il bastone, la ragione e non la coercizione.

Questo aiuta a spiegare perché, durante la guerra tra Hamas e Israele del 2014, la società elettrica israeliana inviò dei tecnici per riparare i cavi elettrici che furono distrutti a Gaza da un razzo lanciato da Hamas, mettendo a rischio la vita dei propri dipendenti.

Allo stesso modo, quando la situazione economica di Gaza è peggiorata all’inizio del 2018, ci si immaginava che gli ebrei israeliani, oggetto delle intenzioni omicide di Hamas, fossero indifferenti o persino compiaciuti dei problemi dei loro nemici. Ma non è stato così. Come recita un titolo: “Mentre Gaza è prossima alla ‘carestia’, Israele, e non il mondo intero, sembra più preoccupato”. In parte, ciò è dovuto a motivi pratici – perché Israele si preoccupa del prezzo che pagherebbe per un collasso economico a Gaza – ma questo ha anche una dimensione morale: i prosperi ebrei di Israele non possono stare a guardare mentre i loro vicini, per quanto ostili, affondano nella melma.

Anche mesi dopo, quando Hamas ha messo a punto il lancio degli aquiloni incendiari e l’esercito israeliano non ha fermato questo attacco, Gadi Eizenkot, capo di stato maggiore dell’Idf, le Forze di difesa israeliane, ha spiegato per quale motivo ciò non sia accaduto, in uno scambio di opinioni con il ministro dell’Istruzione Naftali Bennett, nel corso di una riunione di gabinetto a porte chiuse.

Bennett: Perché non sparare a chi maneggia armi utilizzate per via aerea [palloncini e aquiloni incendiari inclusi] contro le nostre comunità? Non ci sono vincoli legali. Perché non sparargli invece di sparare colpi di avvertimento? Stiamo parlando di terroristi da ogni punto di vista.

Eizenkot: Non penso che sparare a bambini e ragazzi che a volte fanno volare i palloncini e gli aquiloni sia la cosa giusta da fare.

Bennett: E che dire di quelli chiaramente identificati come adulti?

Eizenkot: Proponi di sganciare una bomba su persone che fanno volare palloncini e aquiloni?

Bennett: Sì.

Eizenkot: Questo è contrario alla mia posizione operativa e morale.

Tale “posizione morale” ovviamente ostacola la vittoria.

Tuttavia, mentre le tendenze di voto e i dati dei sondaggi elettorali indicano che questa posizione rimane ferma come sempre tra gli ebrei della Diaspora, soprattutto negli Stati Uniti, gli ebrei israeliani sono diventati più forti e resistenti. Quando le dolorose concessioni fatte ai palestinesi non hanno portato benefici, ma violenza, molti ebrei israeliani hanno perso le speranze nell’approccio delicato ed erano pronti a imporre la loro volontà ai palestinesi attraverso misure approssimative. L’osservazione di Eizenkot ha destato furore. Un recente sondaggio ha mostrato che il 58 per cento degli ebrei israeliani concorda sul fatto che “sarà possibile raggiungere un accordo di pace con i palestinesi, quando questi ultimi riconosceranno di aver perso la loro guerra contro Israele”.

La riluttanza dei servizi di sicurezza

Coesistono due apparati di sicurezza israeliani: uno che combatte per ottenere la vittoria sull’Iran e altri nemici lontani; e uno difensivo, in stile polizia, che si occupa dei palestinesi. Il primo punta alla vittoria, il secondo a mantenere la calma. È Entebbe contro Jenin. È sottrarre l’archivio nucleare dell’Iran contro il lasciare che coloro che lanciano aquiloni incendiari esercitino il loro mestiere.

L’apparato di sicurezza di tipo difensivo conta enormemente perché spesso ha l’ultima parola sulla politica palestinese, come mostrato dall’episodio avvenuto sul Monte del Tempio del luglio 2017. Dopo che i jihadisti palestinesi avevano ucciso due poliziotti israeliani con le armi nascoste nella sacra spianata, il governo israeliano installò dei metal detector all’ingresso del Monte del Tempio, una decisione apparentemente indiscutibile. Ma Fatah chiese la loro rimozione e nonostante la popolazione e i politici israeliani desiderassero nella stragrande maggioranza che questi dispositivi rimanessero posizionati, essi scomparvero rapidamente perché l’apparato di sicurezza – compresi la polizia, la polizia di frontiera, lo Shabak, il Mossad e l’Idf – avvertì che lasciarli in loco avrebbe irritato i palestinesi e provocato violenze, caos e persino un collasso.

I servizi vogliono evitare accoltellamenti, attentati suicidi, una raffica di missili da Gaza e una intifada; ma soprattutto temono il collasso dell’Autorità palestinese o di Hamas, chiedendo un governo diretto israeliano sulla Cisgiordania e Gaza. Come afferma l’ex parlamentare Einat Wilf,

Se l’apparato di difesa pensa che (…) i finanziamenti a Gaza comprino la calma, si farà tutto il possibile per assicurare che i fondi continuino a fluire, anche se ciò significa che la calma viene acquistata al costo di una guerra che andrà avanti per decenni.

Nel privilegiare la calma, i servizi di sicurezza respingono le misure severe e considerano la vittoria come irraggiungibile.

Questa riluttanza spiega molte altre circostanze, peraltro sorprendenti, riguardanti il governo israeliano, in particolare perché quest’ultimo:

Consente le illegali attività edilizie.
Chiude un occhio sul furto di acqua ed elettricità.
Evita di prendere misure che potrebbero provocare la rabbia della leadership palestinese, come bloccare gli introiti in nero, applicare la legge, diminuire le loro prerogative o punirli.
Si oppone alla decisione del governo statunitense di tagliare gli aiuti ai palestinesi.
Non ferma la distruzione dei tesori archeologici del Monte del Tempio.
Rilascia gli assassini condannati e consegna le salme degli assassini.
Consente a Hezbollah di acquisire oltre 100 mila razzi e missili, e poi elabora piani per evacuare 250mila israeliani.
Da decenni incoraggia i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA).

Queste precauzioni hanno diverse cause.

Innanzitutto, i governi israeliani fondati su coalizioni con molti partner tendono, come afferma Jonathan Spyer, “a evitare di concentrarsi su questioni strategiche a lungo termine, preferendo far fronte alle minacce immediate”. Perché farsi carico di un problema quando si può rimandarne la soluzione?

In secondo luogo, i servizi di sicurezza israeliani sono orgogliosi del dover occuparsi del presente, e non delle astrazioni. Leah Rabin, moglie di Yitzhak Rabin, una volta spiegò così la mentalità del marito: “Era molto pragmatico, odiava occuparsi di una cosa che sarebbe accaduta nel futuro. Pensava solo a cosa sarebbe successo nel presente, in un futuro molto prossimo”. O, come esplicato dall’ordine imperituro di un tenente alle sue truppe: “Proteggete questa zona sino alla fine del vostro turno”.

In terzo luogo, così come la polizia ritiene che i criminali siano degli incorreggibili piantagrane, allo stesso modo i responsabili dei servizi di sicurezza israeliani vedono i palestinesi come nemici simili ad animali. Incapaci di immaginare che i palestinesi possano fare altro che attaccare gli israeliani, essi rifiutano l’obiettivo della vittoria, un po’ come dire: i leoni possono ottenere una vittoria duratura sulle iene? Gli schemi di sicurezza spesso sembrano di sinistra, ma non lo sono. Per questo motivo Commanders for Israel’s Security, un movimento costituito da circa 300 ex generali dell’Idf, che rappresentano l’80 per cento dei responsabili delle forze di sicurezza israeliane, propugna una soluzione dei due stati, quasi il doppio rispetto alla popolazione ebraica israeliana favorevole a tale soluzione.

In quarto luogo, gli schemi di sicurezza in genere ritengono che le attuali circostanze siano accettabili e non vogliono modificarle. L’Autorità palestinese sotto Mahmoud Abbas, nonostante tutte le sue carenze (e contrariamente all’era di Arafat), è un partner. Sì, è vero, l’Ap incita all’uccisione degli israeliani e delegittima lo Stato di Israele, ma meglio tali aggressioni che rischiare di punire Abbas, ridurre la sua autorità e fomentare una intifada. Questo atteggiamento induce a essere diffidenti nei confronti dei cambiamenti, scettici verso un approccio più ambizioso e riluttanti riguardo alle iniziative che potrebbero provocare l’ira palestinese.

In quinto luogo, poiché i palestinesi non dispongono del potere militare, sono visti come criminali e non come soldati; di conseguenza l’Idf da forza militare si è trasformato in una forza di polizia, con tanto di mentalità difensiva. I generali puntano alla vittoria, ma i capi della polizia mirano a tutelare la vita umana. Salvare vite umane si traduce nel considerare la stabilità come un obiettivo in sé. I generali non combattono con l’obiettivo di salvare la vita dei loro soldati, ma è così che un capo della polizia vede uno scontro con i criminali.

In sesto luogo, il Movimento delle Quattro Madri tra il 1997 e il 2000 traumatizzò l’Idf riuscendo a scatenare una forte reazione emotiva contro l’occupazione del sud del Libano, portando a un ignominioso ritiro. Questa enfasi sull’obiettivo di salvare le vite dei soldati anziché sul perseguimento di obiettivi strategici continua a essere una preoccupazione costante per la leadership dell’Idf.

Complessivamente, la principale opposizione alla vittoria di Israele non arriva dalla sinistra, ma dai servizi di sicurezza. Fortunatamente, l’establishment della difesa ha dissidenti che ambiscono alla leadership politica e alla vittoria di Israele. Gershon Hacohen, il quale chiede che i leader politici esprimano giudizi indipendenti, è un buon esempio; Yossi Kuperwasser ne è un altro.

Conclusioni

Tutti coloro che sperano in una soluzione del problema palestinese dovrebbero esortare il governo israeliano a esercitare pressioni sull’Autorità palestinese e su Hamas. Ciò favorisce gli interessi palestinesi, liberando questi ultimi dalla loro ossessione per Israele in modo da poter costruire il loro stato, la loro economia, la società e la cultura. Tutti trarrebbero vantaggio da una vittoria di Israele e da una sconfitta palestinese.

Quando un presidente degli Stati Uniti dà il via libera, il primo ministro israeliano deve agire di conseguenza.

Aggiornamento del 30 agosto 2018: Caroline Glick conferma la mia argomentazione al punto 4 in una mordace analisi su due dei quattro candidati in lizza per ricoprire il ruolo di capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane. Yair Golan ritiene che Israele si sia nazificato e Nitzan Alon giustifica i crimini palestinesi, addossando la responsabilità alle provocazioni israeliane.

Aggiornamento del 14 ottobre 2018: Il ministro della Difesa Avigdor Liberman e l’establishment di sicurezza continuano la loro lotta in merito ai rifornimenti a Gaza. Si osservino due titoli del Times of Israel:

Liberman: No fuel or gas will enter Gaza until all violence stops – Liberman: Nessun gas o carburante entrerà a Gaza fino a quando non cesseranno tutte le violenze.
Defense establishment opposed cutting off Gaza fuel – report – L’establishment della Difesa sarebbe contrario a tagliare il carburante a Gaza.

Il sommario del secondo articolo recita così: “Funzionari avrebbero affermato di essere stati colti di sorpresa dalla decisione di Liberman di subordinare tutte le consegne alla cessazione delle violenze, dopo gli scontri di venerdì e gli attacchi alla barriera difensiva”.

Commenti: Sembrerebbe, finalmente, che ci sia una reazione negativa da parte dei fautori dell’Israel Victory Project contro i timidi burocrati.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mar ott 23, 2018 9:42 pm

Medio Oriente: la difficile situazione di Israele spiegata in tre punti
Franco Londei -
ottobre 22, 2018

https://www.rightsreporter.org/medio-or ... -tre-punti


Israele è a una svolta, deve decidere cosa fare con le fabbriche di missili di Hezbollah in Libano, deve decidere cosa fare con la presenza iraniana in Siria protetta dall’ombrello russo, deve decidere cosa fare con Hamas nella Striscia di Gaza, il tutto ben sapendo che è da solo a dover prendere queste gravi decisioni visto che l’alleato americano sembra sparito dalla scena mediorientale mentre la Russia diventa sempre più ago della bilancia.

Il fronte nord

Ieri l’intelligence militare israeliana ha confermato che l’Iran ha aumentato considerevolmente i voli da Teheran a Beirut, voli di morte perché portano con se componenti per aumentare la precisione dei missili di Hezbollah nonché nuovi missili a lungo raggio.

In Iran pensano di approfittare dell’ombrello fornito loro dai russi dopo l’incidente nel quale venne abbattuto un aereo russo durante un attacco israeliano a basi iraniane in Siria, un episodio che alla luce dei fatti sembra sempre più “non casuale”.

Israele potrebbe fermare questa “consegna” in un attimo, ma in Siria ci sono gli S-300 russi a coprire i voli della morte. Tuttavia il problema non sono le batterie antimissile russe che i caccia israeliani potrebbero eliminare facilmente, quanto piuttosto chi è a gestirle. Se ci fosse la sicurezza che a gestire le batterie di S-300 siano i siriani o addirittura gli iraniani, attaccarle non sarebbe un problema. Diventa un problema se a gestire quelle batterie sono i russi. La mancanza di certezze su questo punto fondamentale frena la reazione israeliana e gli iraniani ne approfittano.

Il fronte sud

Meno problematico a livello militare è il fronte sud. Hamas non ha la pericolosità di Hezbollah. Tuttavia su questo fronte il problema è di natura diversa. Dare il via a una azione di terra nella Striscia di Gaza vorrebbe dire tirarsi addosso le critiche di mezzo mondo oltre che a mettere in pericolo le vite di molti soldati israeliani. Israele è già isolato di suo (l’ultimo brutto colpo sono state le dimissioni di Nikki Haley), un attacco alla Striscia di Gaza (che in tanti chiedono) isolerebbe ancora di più lo Stato Ebraico.

In questo caso la situazione è quindi molto delicata. Israele si trova nella necessità di mettere un freno alle violenze lungo il confine con Gaza senza tuttavia dare il via a un conflitto di vaste proporzioni che oltre a distrarre forze dal più pericoloso fronte nord, metterebbe lo Stato Ebraico in una delicatissima posizione a livello internazionale. Il sostanziale disinteresse americano a questa delicatissima situazione aumenta ancor di più l’indecisione vista i queste ore a Gerusalemme.


Il disinteresse americano

In questa delicata situazione militare-diplomatica non si può non notare il disinteresse americano. Fatto il compitino del trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, Trump si è disinteressato completamente di quello che nel frattempo avveniva in Medio Oriente lasciando campo libero a Putin. Ha appena fiatato sulla consegna di S-300 in Siria senza controbilanciare la minaccia russa, nemmeno con un atto simbolico che potrebbe essere, per esempio, lo spostamento di navi in zona operativa. Se ne è proprio disinteressato lasciando stupefatto e sorpreso il Governo israeliano.

Tempo fa su queste pagine di parlava di una tempesta perfetta che incombeva su Israele. Beh quella tempesta si fa sempre più minacciosa e sebbene su certe cose il Premier Netanyahu possa essere criticabile (penso alla troppa pazienza con Hamas), alla luce di questo quadro è indubbio che si sta muovendo come meglio può.

Ora però si tratta di prendere decisioni difficili in tempi brevi perché l’Iran, protetta dalla Russia, non rimane con le mani in mano e sta preparando quello che è il suo obiettivo dichiarato, l’attacco a Israele. Adesso è più che mai necessario far capire al consesso internazionale il rischio rappresentato dalle azioni iraniane e di Hezbollah in Libano e in Siria, e far capire con chiarezza che Israele non può rimanere inerme di fronte a queste minacce esistenziali. Ma fa fatto in fretta perché le azioni difensive necessarie non sono più rinviabili.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » lun ott 29, 2018 10:21 pm

L'Oman su Israele: "Bisogna riconoscerlo per raggiungere la pace"
Jacopo Bongini - Dom, 28/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lom ... tYmPB0mMfs

In seguito ad una visita a sorpresa di Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri dell'Oman ha affermato come sia necessario accettare lo Stato d'Israele all'interno del gruppo dei paesi del Medio Oriente, affinché si possa garantire un naturale confronto politico verso una pace duratura

Proseguono gli sforzi dei paesi mediorientali per assicurare una pace duratura nella regione, capitanati dallo stato che più di ogni altro negli ultimi decenni si è speso come mediatore tra le varie parti in causa.

Nella giornata di sabato le autorità del Sultanato dell'Oman, per bocca del ministro degli Esteri del paese Yusuf bin Alawi bin Abdullah, hanno infatti accettato Israele come uno Stato del Medio Oriente a tutti gli effetti. Una presa di posizione forte quella del sultanato, che avviene il giorno seguente la visita a sorpresa del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e pochi giorni dopo quella del capo dell'Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. Quella di Netanyahu, accompagnato per l'occasione dal direttore del Mossad Yossi Cohen e dal direttore generale del Ministero degli Affari Esteri Yuval Rotem, è la terza visita di un capo di governo israeliano nel paese arabo - che attualmente non riconosce lo stato ebraico in maniera ufficiale - dopo quelle di Yitzhak Rabin nel 1994 e di Shimon Peres nel 1996 (grazie a quest'ultima venne inoltre istituito un accordo diplomatico per l'apertura di uffici di rappresentanza commerciali nei rispettivi paesi).

Nella sua dichiarazione, avvenuta durante un vertice internazionale sulla sicurezza tenutosi nel vicino Bahrain, il ministro bin Abdullah ha inoltre ribadito l'importanza del riconoscimento di Israele al fine di una risoluzione effettiva del conflitto israelo-palestinese, affermando: "Pur non volendo agire esplicitamente come mediatore, l'Oman è disposto ad offrire idee per aiutare israeliani e palestinesi a confrontarsi. Israele è uno stato presente nella regione e tutti noi comprendiamo benissimo questo, il mondo stesso è consapevole di questo fatto. Forse è giunta l'ora per Israele di essere trattato allo stesso modo degli altri paesi della regione, pretendendo però da esso gli stessi obblighi." - concludendo - "Sappiamo bene che la strada da percorrere non è semplice e non è ricoperta di fiori, ma la nostra priorità ora è cercare di porre fine al conflitto per poi poterci muovere verso un nuovo mondo, l'Oman fa affidamento sugli Stati Uniti e sugli sforzi del Presidente Donald Trump nel giungere all'accordo del secolo".

Simili parole sono state spese anche dal ministro degli Esteri del Bahrain Khalid bin Ahmed Al Khalifa e da quello dell'Arabia Saudita Adel al-Jubeir, che hanno espresso sostegno nei confronti del loro omologo omanita affermando come il processo di pace sia la chiave per la normalizzazione definitiva delle relazioni con Israele. Sempre nello stesso summit, al quale hanno partecipato anche i ministri della Difesa di Stati Uniti, Germania ed Italia, il rappresentante speciale del governo americano per le negoziazioni internazionali Jason Greenblatt ha accolto positivamente la crescente cooperazione tra i partner della regione, dichiarando: "Questo è un utile passo in avanti per i nostri sforzi di pacificazione oltreché essenziale per favorire un clima di stabilità, sicurezza e prosperità tra Israele, i palestinesi ed i loro vicini. Non vedo l'ora di assistere ad altri incontri come questo".

Da decenni ormai l'Oman viene considerato in ambito geopolitico come un abile mediatore di dispute internazionali riguardanti gli stati del Medio Oriente. Questa sua caratteristica è favorita da tre fattori principali: la relativa stabilita politica ed economica del Paese (nel 2010 il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo ha menzionato l'Oman come lo stato che ha avuto il maggior sviluppo socio-economico negli ultimi quarant'anni), la politica estera indipendente - seppur tendenzialmente filo occidentale - e l'atipicità della fede religiosa maggiormente praticata nel paese, l'islam ibadita. Una peculiarità quest'ultima che gli consente di poter assumere ruoli super partes nella mediazione politica tra stati a maggioranza sciita e sunnita. Proprio in questo frangente in passato il Paese ha contribuito a coordinare i colloqui tra Stati Uniti ed Iran che portarono alla firma degli storici accordi sul nucleare due anni dopo.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » lun ott 29, 2018 10:22 pm

Lieberman: la maggioranza del governo si oppone a un attacco su Gaza
29 ottobre 2018

https://breaking.rightsreporter.org/lie ... co-su-gaza

La maggioranza del governo israeliano si oppone a un duro attacco su Gaza. A dirlo è il Ministro della Difesa Avidgor Lieberman commentando tra le altre cose anche le proteste di ieri sera a Tel Aviv organizzate dai residenti del sud di Israele.

«La mia posizione sulla situazione al sud di Israele è chiara a tutti» dice Lieberman «chiunque conti su un accordo con Hamas si sbaglia di grosso. Ma alcuni membri del Governo sono contrari a dare un duro colpo militare ad Hamas anche se il passato ci dice che sbagliano. Abbiamo già visto dove ci porta questo atteggiamento» prosegue Lieberman.

Il Ministro della Difesa israeliano sostiene che Israele non deve aspettare la prossima crisi lungo i confini con Gaza ma deve infliggere un duro colpo ai terroristi. «Non c’è modo di raggiungere un accordo con Hamas» dice Lieberman «e senza dar loro un colpo durissimo non riporteremo la calma nel sud di Israele e nella Striscia di Gaza. Ma la maggioranza del consiglio dei Ministri non la pensa come me» conclude il Ministro della Difesa israeliano.
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