Ebrei antisionisti vergogne umane

Ebrei antisionisti vergogne umane

Messaggioda Berto » mer mar 02, 2016 10:33 pm

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Ebrei contro il militarismo d'Israele
di Michele Basso
25 agosto 2006

http://www.nwo.it/militarismo_israele.html

La stampa ufficiale italiana, salvo poche eccezioni sempre più allineata con gli Stati Uniti e Israele, nasconde persino l’esistenza di ebrei che dissentono apertamente dalla politica sciovinista del governo di Tel Aviv. Proprio dal mondo ebraico, però, giungono alcune delle critiche più radicali a tale politica.

Un primo esempio è rappresentato da Neturei Karta International, un movimento di ebrei antisionisti. In occasione della manifestazione contro la visita di Sharon alla Casa Bianca, il 7 febbraio 2002, una sua delegazione si unì alle Organizzazioni Arabo-Americane e Musulmane, per protestare contro lo Stato Sionista.

Si tratta di ortodossi, convinti che il Talmud vieti agli ebrei di formare uno stato in terra santa, perché i loro peccati devono essere espiati con l’esilio. La vita politica mette di fronte a contraddizioni estreme. Chi ha una visione meccanica, pensa che a posizioni tradizionaliste in religione debbano necessariamente corrispondere comportamenti arretrati nel campo politico. Ma non si possono vedere le cose con gli occhi del farmacista massone dell’ottocento, campione d’anticlericalismo. Bisogna saper vedere, al di là del velo della religione, le autentiche posizioni sociali e politiche. Ad esempio, nella storia del Cristianesimo, i movimenti con più forti caratterizzazioni sociali furono proprio quelli più tradizionalisti, che si richiamavano al Cristianesimo primitivo.

Il legame con lo stato israeliano costringe molti ebrei a difendere, anche contro forti propri convincimenti, le sue azioni militari, e il fatto che questo movimento sia libero da tale influenza gli permette di lottare accanto ai palestinesi. Da qui la loro richiesta di smantellare lo stato d’Israele: “Il sionismo è una deviazione di proporzioni nefaste che trascina le sue vittime in conflitti infiniti con altri popoli”. “Oggi ci siamo riuniti con il popolo palestinese per manifestare la nostra simpatia per le sue sofferenze. La presenza del Primo Ministro Sharon a Washington è un affronto per gli ebrei credenti e per i palestinesi sofferenti”.

Hanno partecipato alla manifestazione palestinese per il Diritto di Ritorno, tenutasi il 26 luglio 2002 davanti al Consolato Israeliano, e a chi chiedeva perché manifestavano per i palestinesi, pur essendo ebrei, rispondevano: “È proprio perché siamo ebrei che stiamo chiedendo il ritorno dei palestinesi alle loro case e la restituzione delle loro proprietà… Cosa c'è di più ingiusto del programma del movimento sionista, in atto da un secolo, di invadere le terre di un altro popolo, di espellere la gente ed espropriarla dei suoi beni ?”. “I primi sionisti hanno dichiarato di essere un popolo senza terra, diretto verso una terra senza popolo…. Ma le parole erano totalmente e profondamente false. La Palestina era una paese appartenente ad un popolo”. Per Neturei Karta, l’ONU non aveva nessun diritto di presentare il piano di spartizione nel 1947, e, a maggior ragione, hanno rifiutato “i progetti di spartire la Cisgiordania e di tagliarla in pezzi, come fu proposto da Barak a Camp David” e la proposta di offrire giustizia per meno del 10% dei profughi. Chiedono la restituzione della Palestina intera, Gerusalemme inclusa, alla sovranità dei palestinesi, e che siano i palestinesi a decidere se gli ebrei e quanti di loro rimarranno nel Paese.

“Occorre chiedere scusa al popolo palestinese, in modo chiaro e preciso. Il sionismo… vi ha rubato le vostre case. Il sionismo vi ha rubato la Vostra terra”. “Che atroce bugia dire che i palestinesi in particolare ed i musulmani in generale avrebbero in odio gli ebrei ! Voi odiate l'ingiustizia, non gli ebrei”.

Non si tratta di una novità, il movimento sionista è stato contrastato dagli ebrei ortodossi osservanti sin dall’inizio.

Sharon è definito “Ministro del Crimine”. “Dappertutto nel mondo si trovano numerosi ebrei credenti che si dichiarano inorriditi dal comportamento criminale e razzista verso i palestinesi da parte dei sionisti”. “Noi vogliamo vivere nella terra della Palestina come ebrei anti-sionisti, risiedere qui come cittadini palestinesi leali e pacifici”.(1) Posizioni così chiare contro il sionismo non le troviamo certo spesso tra i politici italiani “laici”, neppure tra quelli che pretendono d’essere comunisti.

Quanto agli israeliani, non tutti sono sionisti, ma vi sono varie correnti politiche, anche d’estrema sinistra, che ovviamente la grande stampa italiana si guarda bene dal far conoscere. L’8 agosto, durante una dimostrazione promossa dagli Anarchici israeliani contro la guerra in Libano, di fronte alla base aerea di Ramat David, 12 attivisti della sinistra sono stati arrestati. Portavano cartelli su cui c’era scritto: "stop all’uccisione di civili", "stop ai crimini di guerra". Chiedevano l’immediato cessate il fuoco ed il rilascio di tutti i prigionieri civili e dei prigionieri di guerra, e la chiusura della base da cui partivano gli aerei che bombardavano i civili. Uno degli arrestati, Hagay Matar, dichiarava: “Invece di arrestare i criminali di guerra, la polizia ha deciso di trasformare noi in criminali". Hagay, insieme con altri 4 attivisti, era già stato condannato a più di 2 anni di prigione per essersi rifiutato di assolvere gli obblighi di leva nell’esercito israeliano. Un altro degli arrestati - Jonathan Polak, ha detto: “Secondo la legge dobbiamo fermare questi crimini di guerra – altrimenti saremo tutti ritenuti complici di tali crimini”. “Questa è una guerra premeditata che non ha alcuna connessione con i soldati rapiti o con gli sforzi per farli liberare; questa guerra fa parte della strategia di ridisegnare il medio Oriente”.(2)

A Roma c’è stato un incontro con i familiari di soldati e con i soldati che si oppongono alle guerre in corso, venuti da Stati Uniti, Israele, Palestina e Italia. Dato il tema del nostro articolo, evidenziamo, tra i vari interventi, quello degli israeliani: Ory Yossur, riferisce Stefania Frezza, “dopo la sua esperienza di combattente, durante la quale si esercitava anche su come occupare i villaggi palestinesi, consapevole che nella realtà si trattava di combattere anche donne e bambini, ha capito che i due popoli erano coinvolti in un circolo vizioso di violenza, la violenza dell’uno che alimenta la violenza dell’altro…”. Yonathan Shapira, israeliano, refusenik, ex pilota d’elicotteri, ha detto: “La politica di assassini mirati del governo Sharon mi ha fatto riflettere, dicevano che erano politiche di prevenzione, invece sono crimini di guerra... ho cercato di coinvolgere altri piloti a rifiutarsi di eseguire questi assassini.”. “Il prossimo passo sarà quello di andare al di là delle linee, cercare altri con i quali dialogare, per cambiare la realtà, e se collaboreremo, israeliani e palestinesi, credo che potremo davvero cambiare le cose.”(3)

Il Manifesto del 6 luglio 2006 parla della presentazione del documentario sui “Refusenik” di Giorgio Riva. Interessanti i dati: sono state 180 le guerre seguite alla fine del secondo conflitto mondiale, quasi tutte nel Terzo Mondo, e mosse dall'Occidente. Hanno provocato 40 milioni di morti e centinaia di milioni di rifugiati. Il film, tra l’altro, parla di donne israeliane che rifiutano il regime militare, che cerca di condizionarle fin dall’infanzia.

Lo studente Asraf Shtuff Trauring afferma: “In Israele, quello che per alcuni miei amici sarebbe l'esercito più etico del mondo, uccide i bambini nei territori occupati e controlla la vita di 3,5 milioni di palestinesi”.

Le famiglie dei palestinesi morti nell’Intifada hanno scritto ai refusenik israeliani - oltre 1.000, tra soldati e ufficiali - “Siete la nostra speranza”.(4)

Persino una parte dei sionisti non può tacere di fronte alle continue violazione dei più elementari diritti dei palestinesi. Indymedia riporta una relazione, presentata al congresso della Federazione sionistica italiana tenuto a Roma nel marzo del 2004, in coincidenza con il centenario della morte di Theodor Herzl, fondatore del sionismo. Dopo una lunga apologia di Herzl e della creazione della stato d’Israele, deve però concludere: “Dobbiamo ricordare che le sofferenze dei palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana, quali che siano le responsabilità della maggioranza della loro classe dirigente, sono disperate come quelle degli ebrei d'Europa orientale al tempo del primo congresso di Basilea. Il futuro dello Stato ebraico è legato a quello della nazione palestinese che vive accanto e all'interno dello Stato stesso”.(5)

Da questa rassegna di posizioni, alcune vicine alle nostre, altre assai diverse, si può ricavare una riflessione: l’antimilitarismo è particolarmente efficace quando si sviluppa nel cuore stesso dello stato imperialista. Tutto lascia sperare che negli Stati Uniti si sviluppi un movimento contro la guerra. Al tempo della guerra del Kossovo, a giornalisti europei che, recatisi nelle università che erano state all’avanguardia delle lotte contro la guerra del Vietnam, con l’intento di cogliere segni di ribellione, molti studenti rispondevano che la guerra non li riguardava e che pensavano a fare soldi giocando in borsa. Oggi non è più così, e il governo sta già approntando misure preventive per arginare le proteste. Quanto ad Israele, per ora prevale una protesta di destra per la conduzione fallimentare della guerra, ma la crisi economica, causata dalle spese enormi, necessariamente farà sorgere una protesta di segno contrario. E i coraggiosi refusenik, - ben diversi da certi nostri “pacifisti”, o “pacifinti”, per usare un termine che sta diventando sempre più diffuso – sono i precursori di un movimento che darà filo da torcere ai successori di Olmert.

Note

1) I brani citati sono presi dai seguenti scritti trovati sul sito di Neturei Karta International (Jews united against Zionism): a) Ebrei ortodossi invitano a smantellare lo stato di Israele. Discorso pronunciato dal Rabbino Dovid Weiss in Freedom Plaza, Washington DC, in occasione della manifestazione contro la visita del Primo Ministro Ariel Sharon alla Casa Bianca, giovedì 7 febbraio 2002. b) Lo dobbiamo da ebrei. Discorso del Rabbino Mordechi Weberman per la manifestazione della Coalizione Palestinese per il Diritto di Ritorno (Al-Awda NY/NJ) tenutasi il 26 luglio 2002 davanti al Consolato Israeliano. c) Dichiarazione di solidarietà degli ebrei di Neturei Karta con il popolo palestinese in occasione della commemorazione della Nakba ( cioè la cacciata dei palestinesi dalle loro terre dopo la nascita dello Stato di Israele).

2) “Nord di Israele, azione diretta contro la guerra in Libano” di Ilan Shalif - AATW Tuesday, Aug 8 2006, 5:26pm. (traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali, da http://www.anarkismo.net

3) Soldati Iniziative 18 marzo 2006. 18 marzo 2006. Giornata internazionale contro la guerra e le occupazioni. Soldati contro la guerra da Usa, Gran Bretagna, Israele-Palestina, Turchia, Russia, Italia. Sintesi dell'incontro a cura di Stefania Frezza.

4) “Voci contro la guerra” Il Manifesto, 6 luglio 2006 “Refusenik” Viene presentato oggi alla Casa delle culture il documentario di Giorgio Riva sul dissenso militare, Geraldina Colotti.

5) Quesito sulla teoria sionista. Ma Herzl si era sbagliato? Di Giuseppe Fianchetti, in Indymedia 15 agosto 2006.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » mer mar 02, 2016 10:51 pm

GLI "haredim" - I TALEBANI D'ISRAELE BREVE VIAGGIO TRA COLORO - CHE "tremano davanti alla parola di Dio”

Gli ebrei ultraortodossi si considerano i veri credenti, l'immagine ideale da cui tutti gli altri ebrei derivano. La Israele laica vede in loro dei
"Talebani ebrei", la cui influenza cresce.

(A cura di Claudio Prandini)

http://www.parrocchie.it/correggio/asce ... sraele.htm


INTRODUZIONE

È dalla fondazione dello stato d'Israele, nel 1948, che il conflitto arabo e israeliano insanguina il Medio Oriente. La stessa questione palestinese che sembra non trovare una reale soluzione di pace non fa che acuire un clima da guerra perpetua, dove l'odio e la diffidenza reciproca sembrano entrate perfino nel DNA della gente. I bambini palestinesi imparano nelle strade polverose dei loro villaggi, teatro spesso di conflitti armati con l'esercito occupante, dalla povertà delle loro famiglie e dalla morte che passa spesso davanti ai loro occhi ad odiare Israele. Così, una volta divenuti adulti, saranno già pronti per diventare dei martiri o dei pacchi bomba per il loro nemico. Ma anche il bambino ebreo cresce in questo clima che è un misto di odio e d'insicurezza perpetua.

E così l'odio, l'insicurezza e la violenza si trasmettono di generazione come una maledizione, tanto che se questa catena non verrà presto spezzata, essa sarà sicuramente fonte di altre guerre e di altri lutti in tutto il Medio Oriente. Israele, fin dalla sua nascita, ha sempre vissuto con la sindrome da accerchiamento che lo ha portato ad avere il terzo o quarto esercito più forte del mondo. E in effetti il mondo arabo circonda per tre quarti il territorio israeliano, ma tuttavia non verrà dal mondo arabo il colpo fatale. Il suo vero nemico si trova al suo interno, coccolato, protetto e favorito. È cresciuto a dismisura in questi ultimi anni grazie alle ondate immigratorie dagli Stati Uniti e dall'Europa orientale ed alle loro donne prolifiche (anche dieci figli per famiglia), tanto che tra quindici anni potrebbe diventare un serio problema per lo stesso Stato d'Israele.

Stiamo parlando degli Haredim (che significa “coloro che tremano davanti alla parola di Dio”), cioè di tutta quella vasta galassia di gruppi religiosi che formano il cosiddetto fondamentalismo ebraico, che considerano perfino lo stesso Stato d'Israele una eresia vivente e peccaminosa. Essi, non da meno dei talebani del Corano (vedere qui), mettono la Torah come guida suprema ed assoluta della loro vita. Odiano la democrazia, il Cristianesimo, l'Islam e vorrebbero obbligare tutti gli israeliani a seguire le loro leggi. Tra qualche anno più della metà della città di Gerusalemme sarà nelle loro mani, così come anche il loro peso politico è destinato a crescere nella vita politica israeliana, anche se non partecipano direttamente alla vita politica del paese. I governi che si sono succeduti nei decenni passati hanno favorito una politica degli insediamenti (sulla terra destinata ai palestinesi secondo le risoluzioni ONU), creando intere città per coloro che non vogliono contaminarsi con gli altri israeliani peccatori. Questo fatto ha sempre rappresentato non solo un'ulteriore fonte di conflitto con i palestinesi, ma ora rappresenta sempre di più un vero e proprio suicidio politico dello Stato ebraico.

Gli ultraortodossi si dividono in due grandi gruppi:

a) il primo gruppo sono gli "Haredim", che non danno allo Stato alcuna legittimazione religiosa, lo reputano infatti un'eresia, ma lo accettano perché questi gli permette di vivere secondo i loro costumi e ne ottengono un sacco di agevolazioni, come si vedrà più avanti;

b) il secondo gruppo sono i "datiim" (o religiosi), cioè coloro che invece vedono nello Stato d'Israele l'unico luogo adatto per attendere il Messia. Entrambi tuttavia odiano l'Israele laico e democratico. Questo secondo gruppo rappresenta la maggioranza nell'esercito israeliano (fonti israeliane) ed è presente in buona misura anche nella Knesset (il parlamento israeliano).

Questi gruppi fondamentalisti sono visti sempre più spesso, dal resto della popolazione israeliana, come un peso e una minaccia per l'esistenza stessa dello Stato. Pensate che gli ultraortodossi considerano coloro che non seguono alla lettera la loro rigidissima fede religiosa alla stregua di miscredenti senza alcun valore, anche se sono ebrei come loro. Secondo questa visuale, soprattutto da parte dell'ultra-destra religiosa che fa capo ai datiim, non è fuor di luogo pensare che una volta eliminata la questione palestinese (naturalmente non solo fisicamente, ma inducendoli all'esodo), essi costituirebbero il vero problema interno dello Stato israeliano senza escludere con ciò una sanguinosa guerra civile (lo stesso Sharon la temeva), per l'imposizione della loro "sharia" su tutto Israele.

In fondo l'ebraismo esiste per un'identità di tipo religiosa ed essi, gli ultraortodossi, si sentono i veri depositari della purezza religiosa, ed è qui che si rischia la probabile degenerazione della società israeliana. Seguendo la storia nei secoli dell'ebraismo, sarà difficile, da parte della componente "laica" israeliana, opporre valide argomentazioni antagoniste. Sì! Credo proprio che il futuro "interno" d'Israele sarà alquanto duro. Ma è anche lo stesso concetto storico di sionismo (visto come Stato laico e democratico a maggioranza ebraica) ad avere un futuro sempre più incerto.

Tutto dipenderà da quale gruppo ultraortodosso prevarrà in Israele, gli Haredim (antisionisti) o i datiim (nazionalisti) ed alle alleanze interne che si riuscirà ad attuare con la parte laica e araba del paese, tenendo conto che anche la popolazione arabo-israeliana di fede islamica è in costante aumento. La domanda allora è: gli equilibri all'interno della società israeliana resisteranno alle contraddittorie e sempre più forti sollecitazioni del fondamentalismo religioso senza esplodere?

Per concludere, se volete avere un esempio di come la pensano certi rabbini ecco una notizia di questi giorni: «GERUSALEMME - Ad appena due settimane dalla commemorazione di quelli che Israele considera i suoi eroi di guerra, il rabbino Ovadia Yosef, guida spirituale del partito di governo ultraortodosso “Shas”, ribalta questa interpretazione: I soldati israeliani caduti un anno fa durante la guerra in Libano contro gli Hazbollah “sono morti perché non osservavano i comandamenti ebraici”.

Nessun atto di eroismo sembra emergere dalle sue parole, al contrario. “Perché stupirsi che siano morti?”, si è chiesto il rabbino durante il suo sermone. “Loro non rispettavano lo Shabat (il giorno di risposo ebraico, ndr), non osservavano la Torah (il libro sacro, ndr) e non pregavano tutti i giorni. Qualcuno può quindi stupirsi che siano stati uccisi? No, non si è stupito nessuno”, ha affermato il rabbino. Quando al contrario “i soldati credono e pregano - ha concluso Ovadia Yosef - Dio li aiuta in guerra, e questi soldati non vengono ammazzati”». (vedere qui)

Claudio Prandini


Un po' di storia sul fondamentalismo religioso ebraico

Questione centrale nel fondamentalismo ebraico è quella della terra, intesa come idea metafisica, luogo in cui le grandi comunità si stringeranno intorno al loro maestro nel rispetto della pratica dei loro precetti. Il sionismo, quale movimento volto alla ricostruzione dello stato di Israele, ha costituito terreno di divisione tra le diverse posizioni fondamentaliste.
Da parte loro, gli ultraortodossi o haredin (“coloro che tremano davanti alla parola di Dio”) sono contrari a questo ritorno perché viola i Tre giuramenti fatti promettere da Dio al popolo ebraico: 1) non usare la forza per entrare in Israele; 2) avere fiducia nella giustizia divina; 3) non precipitare la fine dei tempi. Dopo la Shoah, questa posizione radicale viene, in parte, rivista: se molti haredin vanno in USA, altri guardano alla sicurezza di una patria e si recano in Israele. Con questo, però, non riconoscono allo stato di Israele legittimazione religiosa, ma lo accettano solo perché permette la riproduzione del loro sistema comunitario – ad esempio, negoziano un sistema di istruzione privato e ottengono l’esenzione dal servizio militare. Nascono partiti politici ultraortodossi, che dal 1977 in poi fanno parte di tutti i governi, in quanto necessari al costituirsi di qualunque maggioranza.
Una posizione contrapposta è rappresentata dal sionismo religioso che vede nella costruzione di Israele elemento decisivo per la Redenzione, in quanto permette di riunire il popolo in attesa del Messia. Dalla corrente sionista religiosa radicale, che non ammette negoziazioni sulla cessione dei Territori, nascerà poi il movimento del “Blocco dei fedeli” che considera un obbligo religioso il possesso dell’intera terra di Israele. Questo movimento si legittima istituzionalmente nel 1977 con l’arrivo della destra nazionalista al potere. Quando, nel 1992, salgono al potere i laburisti, le frange radicali del movimento nazionalreligioso non accettano l’intesa con l’OLP di Arafat e la conseguente restituzione di parte dei Territori ai palestinesi. Fino ad arrivare al gesto estremo di un militante nazionalreligioso che nel 1995 uccide Rabin, accusato di aver venduto il suo popolo e interrotto la Redenzione. (da “I fondamentalismi alla conquista del mondo? Il fondamentalismo e le tre grandi religioni monoteiste”)


Talebani a Gerusalemme
Viaggio nel mondo ultraortodosso israeliano, dove anche lo Stato è considerato eretico e peccaminoso
di Lorenzo Cairoli

Sull’aereo che mi portava a Tel Aviv consultavo freneticamente le mie guide. Ne avevo tre. Oltre alla solita Lonely e a una Guida Mondadori su Gerusalemme e la Terra Santa acquistata in una libreria del duty-free di Fiumicino, viaggiavo con la guida di Israele del Touring Club, la versione italiana delle ineguagliabili Guides Gallimard. Quest’ultima mi era stata prestata da O.R. con le note a matita della sua grande amica Fernanda Pivano. Ho notato che anche lei aveva sottolineato i chassidici e Meah Shearim. Ho pensato spesso alla Pivano in tutto il mio viaggio in Israele: “Le sarebbe piaciuta questa faccia? - mi chiedevo - Lo avrebbe assaggiato questo piatto? Di che rabbia sarebbe stata capace al cospetto del Muro? Come avrebbe descritto l’amico etilista di Jawad? E’ stato il re dei borseggiatori di Gerusalemme. Ha insegnato l’arte dello scippo a generazioni. Se qualcuno mentre passeggi nel suq, ti sfila il portafoglio dallo zaino, non maledire chi te l’ha preso, maledici il maestro. Adesso è in balìa dell’alcool. Passa gli inverni in carcere e nella bella stagione urla cose oscene agli ultra-ortodossi che sciamano verso il Muro del Pianto. Jawad ogni sera gli allunga un piatto di carne e i soldi per bere”.


Nelle due ore e venti di volo, della Touring, ho guardato quasi sempre le stesse pagine, la 262 e la 263 coi bei disegni sui costumi chassidici di Domitille, Jean-Olivier e Jean-Benoît Héron. Me’a She’arim è il luogo in cui li avrei visti tutti quanti in una volta sola. Un po’ il Serengeti dell’ultraortodossia. Sull’aereo, fantasticavo un safari ottico in quel quartiere di Gerusalemme in cui il fanatismo ha fermato il tempo e costringe la sua gente a tirare indietro le lancette dell’orologio di almeno un secolo.

A Tel Aviv c’è un avamposto ultra-ultraortodosso che è B’Nei Brak, collegato con Me’a She’arim grazie a un capillare servizio di taxi-collettivi, gli sherut, ma Erez si rifiutò di accompagnarmi.
“E’ inutile che perdi tempo con questi. A Gerusalemme e a Me’a She’arim di cappotti neri ne farai un’indigestione” . Come sempre il mio geniale amico aveva ragione.
Gerusalemme è il loro habitat e a Gerusalemme si riproducono con una fertilità impressionante. Se adesso mi mettessi a raccontare gli ultraortodossi in ogni dettaglio, dagli hasidim ai mitnaggedim, dai zaddik agli admor e così via, più di un lettore perderebbe il senno. Sono ancora pochi gli abitanti di Israele, ma non dimenticatelo mai: dove c’è un ebreo c’è una sciarada.

L’espressione ebraica per definire gli ultraortodossi è haredim, i trepidanti, parola derivata dal verso ‘ascoltate la parola del Signore, voi che trepidate alla sua parola‘ ( Isaia, 66:5 ). Le comunità haredim sono mondi chiusi e protetti che danno ai loro membri un senso di appartenenza e la sensazione di essere tra persone che si prendono cura le une delle altre. Mentre gli uomini studiano nelle accademie rabbiniche, gli yeshivot, le donne sfornano figli e cercano di rendere il ritorno dei coniugi nelle case il più gradevole possibile. Nelle coppie haredi, lituane o chassidiche ci si sposa presto – il 70% delle donne prima dei vent’anni, il 90% prima dei ventidue – e in queste famiglie non è inusuale avere dai sei ai dieci figli. Già da molti anni si parla di un’ascesa degli ultraortodossi nella vita politica israeliana. Molta responsabilità di questa ascesa va al governo di Menachem Begin che nel 1978 fece ai rabbini la più grande delle concessioni: esentare dal servizio di leva tutti gli studenti degli yeshivot. Esenzione totale. In un paese dove gli uomini sono chiamati nell’esercito per almeno tre anni e dove fino a 35 anni sono soggetti a richiami di almeno un mese all’anno, senza contare le emergenze Intifada, l’esenzione ha rappresentato una svolta clamorosa che negli anni successivi ha fatto lievitare il numero degli studenti nelle accademie rabbiniche.
Alla fine degli anni novanta, in Israele ce ne erano più di 40.000 più di quanti ce ne siano mai stati in tutta l’Europa Orientale.

All’esenzione, va aggiunto il contributo che lo Stato israeliano riconosce a questi studiosi. Il 60% degli uomini della comunità ultraortodosse si è posto volontariamente fuori dal mercato del lavoro. Ma in qualità di studiosi rabbinici non devono, come i russi, per fare un esempio, ingegnarsi a sopravvivere con lavori sotto pagati o indebitandosi con lo stato con prestiti e sussidi. Una famiglia con sei figli i cui genitori sono disoccupati riceve in aiuto dallo Stato più di 2000 dollari al mese esentasse, cifra superiore al reddito medio di una famiglia israeliana. Nella filistea di Tel Aviv l’aiuto agli ultraortodossi è contestato aspramente. Disapprovano che il sostegno a questi parassiti avvenga a spese dei contribuenti israeliani. Provate a mettervi nei panni di un Erez Komarovsky. L’idea che una parte dei soldi che versa allo Stato, per quanto piccola venga dirottata a Me’a She’arim o a B’Nei Brak, gli leva il sonno. L’idea che il suo pane aiuti questi fanatici a condizionare sempre di più la vita pubblica e politica di Israele, gli fa sputare veleno. Lo sapevate che quando la Knesset decise di conferire il prestigioso premio Wolf al fisico Stephen Hawking, i cappotti neri fecero un putiferio in Parlamento? Ce l’avevano a morte con la sua teoria del Big Bang perchè sbugiardava la Genesi.

E cosa ne pensa dei cappotti neri, Abu Walid Dajani?
Lascio la mia camera, scendo le scale, passo davanti a quella specie di tempietto che i Dajani hanno eretto in onore di Selma Lagerlöf – una bandiera svedese srotolata sulla parete sotto alla quale sono allineate foto incorniciate della scrittrice e sempre incorniciate, pagine del suo libro e ritagli di giornali - attraverso la sala delle colazioni, dai soffitti alti e con tre vestiti di donne palestinesi appesi alle pareti a mò di arazzi. Sono tutti e tre nello stile di Gaza perché in tutti è presente la bordatura a bande di seta a righe verdi e magenta che simboleggia l’inferno e il paradiso. L’odore del New Imperial Hotel la mattina è un odore di fiori secchi, di nobiltà sfiorita, di vecchie signore con abiti larghi e fruscianti di canfora e di tè. Nel riverbero del sole la polvere sembra polline e ristagna nelle stanze in pulviscoli densi e cristallizzati.
Entro nel suo studio, passo sotto la foto di Bocuse, un Bocuse benedicente come un Roncalli lionese e mi siedo davanti a lui. Ora che lo guardo meglio, Abu Walid Dajani, più che un Omar Sharif di Palestina, mi ricorda molto il giudice Borsellino. Gli chiedo degli haredim.
“Nemmeno i conigli sono così prolifici - il signor Dajani ha una voce calda, modi affabili, ma quando c’è da essere lapidari, non si fa pregare - Ancora qualche anno e più della metà di Gerusalemme sarà in mano a loro“
“Tra poco passerà Hatem. Ci accompagnerà a Me’a She’arim“
“ Fate attenzione quando filmerete quella gente “
“ Gireremo quasi tutto con la videocamera. So che dovremo rubare molte immagini…
“ Fate attenzione anche con la videocamera “ - ribatte serio.
“ C’è il rischio che ci prendano a sassate ? “
“ Sono come cani alla catena. C’è sempre il rischio che mordano. E i primi ragazzini a lanciare i sassi non sono stati i nostri. Prima dell’Intifada, molto prima, hanno cominciato i loro figli… “
“ Ah, sì ? “
“ Contro le macchine che circolavano di Shabbat, contro gli archeologi che portavano in superficie le fondamenta della città di David, contro tutti i locali che tenevano aperto il venerdì sera. Vogliono condizionare la vita pubblica di questo paese. Dipendesse da loro, oscurerebbero anche la televisione… “
“ Shabbat dura dal tramonto di venerdì al tramonto del sabato ? “
Dajani annuisce
“ E in quelle 24 ore, vorrebbero che la vita si fermasse. Come negli incantesimi delle fiabe. E’ vietato maneggiare denaro, è vietato scrivere, è vietato lavorare.
Ce l’hanno a morte anche con chi di Shabbat si fa una grigliata nel giardino di casa… “
“ All’indice anche i barbecues ? Non ci posso credere! “
“ L’accensione di fuochi, e quindi di barbecues, di sabato, è in conflitto con le leggi rabbiniche “
“Ho sentito parlare delle guerre del sabato. E’ vero che ci andò di mezzo anche la Cineteca di Gerusalemme?“
“ Sì è vero “
“ L’ho letto sul libro di Mordecai Richler. Dichiararono guerra alla sua fondatrice… “
“ Lia van Leer? E’ una donna molto in gamba. Ed è anche la direttrice del nostro Festival del Cinema di Gerusalemme. Sì. Hanno provato a renderle la vita impossibile “
“ Presero a sassate la cineteca, vero ? “
“ Fecero anche questo, i primi tempi, perché lei si ostinava a organizzare proiezioni il venerdì sera… “
“Richler l’ha intervista nel suo libro. Lei gli confidò che un rabbino pretese che mettesse una porta girevole proprio come all’ospedale Hadassah così che le anime vaganti che risalivano la valle non restassero intrappolate nella cineteca “
“La cineteca è stata costruita su un altura che sovrasta una delle più belle valli di Gerusalemme, la valle di Hinnon. E’ il luogo secondo la tradizione musulmana dove inizierà la resurrezione dei morti e che da ebrei e cristiani è considerato per antonomasia la porta dell’aldilà. Per essere più chiari, questa era la valle in cui si bruciavano vivi i bambini in onore del Dio Moloch e in cui i sacerdoti battevano i tamburi per coprire le loro urla”
“ Forse – azzardo con una smorfia – un po’ di feng-shui prima di costruire la cineteca o la consulenza di un buon geomante, non sarebbe stata una cattiva idea… “
Dajani sorride
“ Non sarebbe cambiato nulla. Comunque la van Leer è stata bravissima a non cedere “
“ Le risulta che poco dopo, quando ci fu l’Intifada, sostennero che era stata colpa sua, una punizione divina per non aver chiuso di Shabbat ? “
Il signor Dajani adesso ride
“ È vero. Tappezzarono Gerusalemme di manifesti in cui scrissero che l’Intifada l’aveva provocata lei. Quella donna ha passione e carattere da vendere. Un altro al suo posto, avrebbe lasciato Israele di corsa… “
“ Non è facile vivere a Gerusalemme… “
“ Non è facile, no, e non solo per colpa loro. Loro sono le gocce d’acqua che fanno traboccare il vaso, ma non è il loro fanatismo che ha riempito il vaso. Penso a loro come a dei tafani. Le punture di un tafano possono essere molto dolorose, mai però quanto il morso di una tigre - mi strizza l’occhio ; la sua metafora non fa una grinza – Ma c’è anche chi se ne frega degli haredim. I russi, per esempio. Nei locali di Shalomgrad, i russi si ubriacano di vodka e vanno a puttane anche di Shabbat “

“ A Shalomgrad ? “

Ha-Neviim Street, la via dei profeti, collega la perdizione con la redenzione, Shalomgrad con Rabbinoburgo. Comincia a sud con l’area russa e coi suoi ristoranti e i suoi locali notturni che se ne infischiano di Shabbat, delle pietre e degli anatemi dei rabbini, concentrati, quasi tutti, intorno a Heleni-ha-Malka, la Petchburi gerosolimita e finisce a nord col quartiere-ghetto di Me’a She’arim. Arriviamo sulla via dei profeti dopo aver superato la scuola di Hatem, il Notre-Dame, che il nostro amico ci mostra con orgoglio. Ci racconta che fu costruita nel 1884 da padri avventisti cattolici per dare ospitalità a pellegrini francesi, ma le sembianze non sono quelle di un ospizio, bensì di una fortezza. Mi ricorda la fortezza Bastiani e mi aspetto, da un momento all’altro, che il tenente Drogo o il volto emaciato di Jacques Perrin si affacci da una delle due torri merlate. Tra il 1948 e il 1967 , quando Gerusalemme era divisa in due, l’ala sud del Notre-Dame fu utilizzata dall’IDF, l’esercito nazionale, come bunker e come posto di frontiera. Quando raggiungiamo il consolato etiope con la sua facciata mosaicata in cui riluce un leone di Giudea oro-blu, Hatem ci informa che siamo entrati nel territorio dei cappotti neri. Il safari è cominciato.

Me’a She’arim fu fondato nel 1875 per accogliere ebrei lituani e polacchi e costruito in tre fasi su un progetto di Conrad Schick. Oggi è la roccaforte dell’ultra-ultraortodossia e la sua comunità rifiuta lo Stato di Israele reo di essere eretico e peccaminoso. La Congregazione Haredi boicotta lo Stato, le elezioni e non accetta sussidi da Israele, quegli assegni familiari che invece altri haredim incassano tutti i mesi dalla previdenza sociale senza alcun imbarazzo. Questo estremismo conferiva grande autorità morale alla Congregazione ma negli ultimi anni anche i cappotti neri di Me’a She’arim sono stati costretti a scendere a compromessi; adesso che anche loro sono sul libro paga degli eretici e dei peccatori il loro carisma si è un po’ offuscato.
Nonostante questo i rabbini di Me’a She’arim continuano a considerarsi un gradino sopra tutte le altre congregazioni. Parafrasando Ernest Rutheford, padre della fisica nucleare che sosteneva che : “Nella scienza c’è solo la fisica ; tutto il resto è collezione di francobolli “ i rabbini del ghetto pensano che Dio si debba vivere, pregare e concepire esattamente come lo vivono lo pregano e lo concepiscono loro e che tutto il resto ‘è collezione di francobolli‘.
All’interno della Congregazione oltre ai gerosolimitani (coloro che vivono a Gerusalemme da molte generazioni) ci sono chassidici come gli ungheresi di Satmar che fanno capo alla comunità di Williamsburg, feudo incontrastato per anni del rabbino Moses Teitelbaum e la comunità chassidica di Toldot Aron principale ispiratrice e fomentatrice delle guerre del Sabato. La lingua ufficiale del ghetto è l’yiddish; l’ebraico si utilizza solo nelle funzioni sacre. Nel Novecento le porte di Me’a She’arim venivano chiuse per isolare il quartiere dal resto della città. Oggi i cancelli non esistono più, ma quando è Shabes, nessun turista si azzarda a metter piede nel quartiere, per timore di imbattersi nelle ronde armate di vigilantes che lo presidiano.
Nel quartiere la Halakla è seguita alla lettera, il che significa che la religione irrompe in ogni aspetto della vita quotidiana anche nel più banale.
A cominciare da quando ti vesti la mattina. Prima si infila la scarpa sinistra e poi la scarpa destra, e peste ti colga se fai il contrario. Poi c’è anche, chi non contento di tutte le imposizioni dell’Halakla, ha deciso di personalizzarla, come i rabbini polacchi di Gur che si sono inventati un anti-kamasutra : trentanove regole per non peccare quando si copula con la moglie. Qualche esempio ? Vietato baciare il corpo della donna. Camera da letto completamente oscurata. Coppia coperta dalla testa ai piedi. L’amplesso suggerito dai rabbini di Gur è intimo come un addestramento per palombari in una camera iperbarica. Non tutti i rabbini però la pensano così e c’è chi ha attaccato aspramente questo codice come il rabbino Stapler che ha messo all’indice tutti quegli uomini che non cercano di soddisfare sessualmente la propria moglie. Una cosa è certa. La morale sessuale terrorizza gli haredim più di quanto non li terrorizzi Hamas. Eravate al corrente che alle ragazzine proibiscono di cantare in pubblico? Solo di fronte alla propria famiglia. Il motivo? Perché le loro voci sono considerate organi sessuali.


Tra 12 anni maggioranza antisionista in Israele?
Fonte web

Molto presto lo Stato d’Israele, così come la conosciamo, potrebbe non esistere più. Tra appena dodici anni, infatti, se le statistiche sono corrette, la maggioranza della popolazione israeliana sarà anti-sionista. Del fattore demografico, una vera e propria bomba a orologeria per i sostenitori dell’ideale sionista, si è già detto e scritto molto: dopotutto, fu anche la crescita costante della popolazione araba israeliana a spingere Ariel Sharon al ritiro da Gaza. Eppure, a guardare bene i numeri, non sono gli arabi a minacciare l’attuale assetto di Israele, almeno non solo. Il problema sono gli ultra-ortodossi, che non riconoscono Israele come lo Stato degli ebrei. Se n’è accorto, di recente, un giornalista di Haaretz, Nehemia Shtrasler, il quale ha notato che già oggi ultra-ortodossi e arabi raggiungono, insieme, la maggioranza della popolazione israeliana.

Moltissimi sono ancora bambini, ma Shtrasler ha calcolato che già nel 2019 arabi israeliani e ultra-ortodossi costituiranno la metà della popolazione votante, con un conseguente stravolgimento della politica israeliana: «Sarà la fine del sionismo», sostiene il giornalista. Il corollario sionista si basa sul concezione di uno Stato, laico e democratico, a maggioranza ebraica: Theodor Herzl, dopotutto, parlava di uno Stato degli ebrei (Judenstaat), e non di uno Stato ebraico (il termine, spesso usato impropriamente per indicare Israele, fa ancora accapponare la pelle ai sionisti duri e puri). Non appena viene a cadere uno di questi tre elementi - laicità, democrazia e maggioranza ebraica - il progetto sionista viene meno. Gli ebrei ultra-ortodossi (in ebraico haredim) sono una comunità in continua espansione, come gli arabi israeliani fanno molti più figli degli ebrei laici e come gli arabi israeliani, pur vivendo pacificamente con il resto della popolazione, non riconoscono la natura sionista di Israele. La maggioranza degli ultraortodossi, che non vanno confusi con i sionisti religiosi (in ebraico datiim, o religiosi, a colpo d’occhio li si riconosce per l’abbigliamento più moderno), non riconosce la sovranità di Israele. La loro opposizione da un lato nasce da una fisiologica antipatia per le autorità secolari, dall’altro da credenze specifiche.

Il Talmud (Ketubot 111) spiega che gli ebrei non devono ritornare alla loro terra prima della venuta del Messia. Per chi segue un’interpretazione letterale del Talmud, quindi, il sionismo è una vera e propria eresia. L’atteggiamento degli ebrei ultra-ortodossi non è però così univoco. Tecnicamente, tutti respingono il sionismo. Ma di fatto alcune correnti ostacolano apertamente Israele, per esempio i Latvish Satmar, o i Neturei Karta (questi ultimi vantano pure una sincera amicizia con Ahmadinejad), mentre altre (per esempio i Lubacitch, considerati molto moderni) hanno accettato di fatto l’esistenza di Israele, chiudendosi in quello che potrebbe definirsi un «silenzio assenso». Alcuni accettano persino di votare, nel tentativo di rendere Israele quanto meno eretica possibile, e hanno fondato persino un partito, chiamato “Bandiera della Torah”. Insomma, anche i più rigidi osservanti delle scritture possono dimostrare un certo senso pratico, ed è difficile pensare che quando gli ulta-ortodossi saranno la maggioranza della popolazione propongano di smantellare lo Stato di Israele. Il rischio, piuttosto, è che la crescita della popolazione ultra-ortodossa possa comprometterne la laicità. E anche questo, in fondo, sarebbe una sconfitta per Herzl e per il suo sogno di uno Judenstaat. Insomma, la fine del sionismo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » mer mar 02, 2016 10:56 pm

RabbinoYaakov Shapiro: "Netanyahu non ci rappresenta" Dai "veri Ebrei della Torah"
24 Marzo 2015 Cristina Bassi

http://www.thelivingspirits.net/chi-con ... senta.html

"Netanyhau ha affermato di essere venuto al Congresso Americano, non solo come Primo Ministro di Israele, ma come un emissario del popolo ebreo. È d'accordo?" " Certo che no. Non rappresenta tutti gli Ebrei".

Sintetizzo e traduco nel seguito una interessante intervista che trovate qui su youtube (e si spera a lungo...) con il Rabbino Yaakov Shapiro ed un giornalista o interlocutore anch'egli ebreo. Il video sponsorizza www.thetruetorahjews.org. (The True Torah Jews against Zionism : I veri Ebrei della Torah, contro il Sionismo)

Come ampiamente pubblicizzato, Benjamin Netanyhau ha affermato di essere venuto al Congresso Americano, non solo in veste di Primo Ministro di Israele, ma come un emissario: quello del popolo ebreo. Tale affermazione -dice l’intervistatore- è stata ripudiata da molti Ebrei, ortodossi o meno.

D : Quale è dunque la storia qui: Netanyahu rappresenta veramente tutti gli Ebrei [l’intervistatore è egli stesso un ebreo]?

R: Certo che no. Non rappresenta tutti gli Ebrei. E’ un leader eletto. È il leader di un paese straniero. Io sono un ebreo praticante di cittadinanza americana. La mia famiglia è originaria dalla Polonia ma vive qui da secoli. Come potrebbe Netanyahu rappresentarmi? E rappresentare tutti gli altri Ebrei nel mondo? Io non ho mai chiesto questo. Netanyahu non è nemmeno un ebreo praticante. Non l’ho eletto e non mi rappresenta, come per altri nel mondo.
[Si tratta qui della questione sionista] . Dall’inizio questo movimento sionista dice di rappresentare gli Ebrei e di parlare in nome loro. Si definiscono il Movimento di Liberazione Nazionale per gli Ebrei. Parlano in termini di “noi”, come nazione ebrea nel mondo, che vogliamo questo paese e questa terra . Chi dice che questo è vero? Per poter fare questa affermazione relativa al territorio, dovevano trovare un modo per affermare che rappresentano tutti gli Ebrei. Non volevano solo essere un gruppo di persone che volevano una terra. Vogliono essere gli Ebrei di 2000 anni di storia che vogliono quella terra.

Oggigiorno il fatto che affermino che il Sionismo rappresenti gli Ebrei, deriva da un paio di ragioni.
La prima: la correlazione con l’olocausto, quando l’altro interlocutore ricorda l’olocausto, quanto ha sofferto e quanto hanno sofferto gli Ebrei. Con questo vogliono conquistarsi compassione per Israele e per i Sionisti. Menzionando l’olocausto e affermando di essere gli Ebrei, o i loro rappresentanti, quel che dicono è che tutto il senso di colpa e compassione per l’olocausto, i Gentili non dovrebbero dirigerlo verso tutti gli Ebrei del mondo, ma verso Israele, cosi noi abbiamo diritti come popolo ignorato, il diritto di essere arrabbiati, turbati e tutta la compassione e risarcimento che volete dare agli Ebrei, perché vi sente in colpa, lo date ad Israele.

La seconda ragione per cui Sionisti affermano di parlare a nome di tutti gli Ebrei, è una sorta di minaccia velata, quando un rappresentante Sionista si trova in relazione con il rappresentante di una carica, per esempio il Presidente Obama. “Mr Presidente dovreste sapere che non sono un emissario di una ambasciata ma del popolo ebreo. Ovvero che milioni di persone nel suo paese saranno al mio fianco .” Cosi di questo passo, qualsiasi insulto al Presidente Netanyhau non sarebbe solo contro di lui ma contro tutti gli Ebrei del mondo…perché come lui stesso ha detto è il leader degli Ebrei del mondo. In questo modo sta cercando di mandare un messaggio a tutti i paesi in cui vivono degli Ebrei. “Abbiamo persone nel suo paese che sarebbero dalla nostra parte” . Una sorta appunto di minaccia velata”.

Netanyhau: "Parlo a nome di tutti gli Ebrei" Ma davvero?
Che ne è di tutti quelli che non sono senza cuore, che non hanno cancellato l'empatia, che non sono psicopatici razzisti assetati di sangue?
www.davidicke.com

D: Non è stata una buona idea per Netanyahu venire in questo Paese [USA]: è stato attaccato non solo dagli Ebrei ma anche da membri del Congresso . La percentuale di preferenza per Netanyahu in questo paese è scesa al 45%, quello della metà degli anni’ 30. Quindi : sono solo questioni politiche quelle create da Netanyahu che hanno causato “scandalo”, o c’è dell’altro nelle sue affermazioni sul fatto di rappresentare un giuri mondiale?

R: No lo scandalo è perché le dichiarazioni di Netanyahu sono state sia diffamatorie che pericolose per gli Ebrei. Diffamatorie perché lui non è il nostro emissario. Noi siamo cittadini americani. E sia come ebrei che americani, siamo fedeli al nostro paese, agli USA. Ora, non ha importanza se qualcuno concorda o meno sulla politica del Presidente, non importa se sono Democratici o Repubblicani, in nessuno di questi casi significa che Netanyahu è un nostro emissario, né che noi siamo i suoi costituenti. L’affermazione che gli Ebrei [americani] sono fedeli ad una forza straniera, è profondamente diffamatoria. Noi non lo siamo. Non solo è diffamatorio ma anche pericolosa, perché sta alimentando carburante dentro il tema antisemitismo. Netanyahu è tornato in Israele ora, dove cerca di essere eletto [intervista precedente alle recenti elezioni] e ci ha mollato qui questo bagaglio.

“ Mentre Theodor Herzl affermò che creare uno stato ebraico avrebbe curato l’antisemitismo, altrettanto egli promuoveva l’antisemitismo per perorare la sua causa [sionista]”.

Ci ha lasciato qui come scudi umani per tutti i proiettili antisemitici che ha lasciato, al di là di quale sia la sua agenda. “No noi non saremo i tuoi scudi umani e non saremo incastrati in questa assurdità. Né collaboreremo con le tue false affermazioni di rappresentarci: non ci rappresenti".

D: cosa possiamo fare? Dall’inizio del movimento sionista, quasi tutti i rabbini presenti nei media hanno parlato molto ferocemente contro. Tuttavia la macchina sionista è enorme. Ha potere e denaro: che possiamo fare per combatterla?

R: Prima di tutto: Netanyahu e gli Sionisti possono avere molto denaro e potere e influenze, ma con la nazione ebrea… noi abbiamo Dio dalla nostra parte. Lo stesso che ci ha protetto dai Romani, dalla estinzione, negli ultimi 2000 anni in esilio…ci proteggerà anche dal Sionismo. In altre parole Netanyahu con i sui Sionisti sta cercando di danneggiare gli Ebrei, di nutrire l’antisemitismo per i loro personali programmi, ma gli Ebrei sono sopravvissuti e continueranno a farlo. Dobbiamo concentrarci su noi stessi, Dio vuole che noi siamo persone migliori , che siamo cittadini fedeli del nostro paese, Dio vuole che ci concentriamo sulla nostra crescita spirituale, religiosa e morale e lui ha i modi per prendersi cura delle cose. Ma a parte questo, cio' che abbiamo bisogno di fare è molto semplice: immaginatevi che il Re di Bulgaria venisse in America e dicesse: rappresento tutti gli Ebrei. Tutti gli Ebrei alzerebbero la loro voce e direbbero: “ma è matto? Come puo’ rappresentarci, che collegamenti abbiamo con lui? ” Dovremmo fare la stessa cosa...

Abbiamo qui un problema di ignoranza. Israele produce enorme quantità di propaganda perché vogliono far credere alla gente che gli Ebrei in tutto il mondo, sono rappresentati da Israele e ovviamente non lo sono! E’ una falsa rappresentazione, è un furto di identità. Dobbiamo dirlo alla gente, se qualcuno ha un pubblico che lo dica a questo pubblico, se avete collaboratori ditelo a loro, informare ed educare la gente su questo. Bisogna dire alla gente che Israele è Israele e che gli Ebrei sono gli Ebrei, che iI Giudaismo è una religione e che Israele è una entità politica. Nella nazione giudaica abbiamo componenti etniche varie. Noi siamo cittadini americani e semplicemente Netanyahu non ci rappresenta. Costui non parla a nome di nessuno se non di se stesso e dei suoi eletti"

www.thetruetorahjews.org. (The True Torah Jews against Zionism : I veri Ebrei della Torah, contro il Sionismo)


VEDI ANCHE l'intervista (mandata in onda dalla NBC in versione MOOLTO accorciata) con il Ministro degli Esteri Iraniano. Le parti non trasmesse dell'intervista:
"(...) stiamo parlando di Netanyahu, che ha macellato bambini innocenti a Gaza. Non stiamo parlando dell'annientamento degli Ebrei . Non l'abbiamo mai detto e mai lo faremo. Se avessimo voluto annientare gli Ebrei... abbiamo un gran numero di Ebrei nella popolazione dell'Iran, che non solo vivono in pace ma hanno anche dei rappresentanti nel Parlamento iraniano . ...Ogni 150.000 Musulmani iraniani hanno un rappresentante in Parlamento , laddove meno di 20.000 Ebrei in Iran hanno un rappresentante in Parlamento.Con i nostri Ebrei abbiamo una storia di tolleranza, cooperazione e convivenza". Della intervista SOLO 90 secondi sono stati trasmessi dalla americana NBC...

Migliaia di ebrei ortodossi protestano a New York City per il discorso di Netanyahu
piu' di 3000seguaci di Satmar Rebbe, manifestano fuori dal consolato israeliano a Manhattan, causa l'affermazione del Primo Ministro Israeliano, di essere un emissario del popolo ebreo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » gio mar 03, 2016 2:29 pm

IL SIONISMO:
UN MAGNIFICO SOGNO O UN TERRIBILE SCACCO ?

http://www.doncurzionitoglia.com/Sionis ... Scacco.htm


DON CURZIO NITOGLIA
Col presente articolo, attraverso l'analisi del pensiero e delle conquiste del Sionismo, si intende far vedere come la formazione dell'attuale Stato di Israele non risponda alle promesse divine.
All'analisi dell'evolversi dell'idea sionista seguirà lo studio del movimento sionista e dei suoi rapporti con le Superpotenze e con i vari Stati europei, compresi quelli nazifascisti, per arrivare alla questione teologica e dottrinale e al rapporto con la Chiesa.

1
Introduzione

Verso la seconda metà del XIX secolo si sviluppava il flusso migratorio di ebrei verso la Palestina, che non era tuttavia un fenomeno spontaneo, ma il prodotto del SIONISMO (1), col concorso di duecento delegati ebrei riunitisi a Basilea e l'adesione di più di cinquantamila ebrei, e con lo scopo di "lavorare al riscatto della Palestina, per crearvi uno Stato israelita" (2).
Il Sionismo non inizia però nel XIX secolo, ma "è l'espressione moderna del sogno vecchio di millenovecento anni, di ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza ebraica in terra d'Israele" (3).

Varie tappe dell'idea sionista

a) Primo periodo: dalla caduta di Gerusalemme fino alla morte di Giuliano l'Apostata (70- 363).
Sotto il regno di Traiano (Ý 117) un falso Messia, chiamato Andrea, eccitò il fanatismo di alcuni ebrei al punto che, fra greci e romani, "duecentomila uomini perirono uccisi dalla spada e dal furore dei giudei" (4). Marco Turbo attaccò i rivoltosi e fece pagare loro col sangue un giorno di trionfo.
Sotto il regno di Adriano (130-135) si ebbe un secondo tentativo, quando un certo Bar-Cozbad si fece passare per il Messia e i Romani furono cacciati da Gerusalemme, che tuttavia ricadde ben presto nelle loro mani; ma mentre Tito aveva lasciato ancora qualche casa intera, con Adriano la città fu rasa al suolo e al suo posto fu costruita Elia Capitolina, che solo più tardi riprese il nome di Gerusalemme.
Sia il terzo tentativo di rivolta, avvenuto sotto il regno di Antonino (138-161), sia il quarto sotto Marco Aurelio (174-175) non ebbero successo e furono repressi.
Un'altra volta - la quinta - gli Ebrei, animati dalla speranza di restaurare politicamente il Regno di Israele, al tempo di Settimio Severo (193-211), cospirarono in Siria con i Samaritani contro la dominazione romana, ma ottennero solo di appesantire il giogo cui erano sottoposti.
Il sesto tentativo di riscossa si verificò sotto Costantino (321-327), ma venne anch'esso soffocato e "S. Giovanni Crisostomo nella seconda orazione contro i Giudei, ci racconta che Costantino, convinto che gli ebrei non avevano rinunciato al loro spirito di rivolta, fece tagliare loro una parte dell'orecchio, affinché, dispersi nell'Impero, portassero dappertutto su di sé il segno della loro ribellione" (5).
Sotto Costanzo si ebbe una settima rivolta, ma Gallo volò in Giudea, dove sconfisse i rivoltosi e rase al suolo Diocesarea, seggio dell'insurrezione: gli ebrei furono uccisi a migliaia e molte città, tra cui Tiberiade, furono bruciate.
L'ultimo tentativo di questo primo periodo è uno dei più celebri ed ha come cooperatore Giuliano l'Apostata, che non solo permise agli Ebrei di ricostruire il Tempio, ma li aiutò con tutti i mezzi: sull'esito finale si veda Sodalitium n° 39 e 40 (6).
Se un ruolo importante in tutti questi tentativi di rivolta è da attribuirsi alla tenacia ebraica, il fattore principale è dovuto, secondo l'ebreo convertito Augustin Lémann, ad una "interpretazione di certe profezie bibliche"(7); anzi "è proprio fondandosi su tali profezie che gli ebrei hanno sempre sperato di ritornare a Gerusalemme, di restaurarvi il Tempio (8), per gioirvi col Messia una piena e inalterabile prosperità" (9).

b) Secondo periodo: dalla morte di Giuliano l'Apostata fino alla Rivoluzione francese (363- 1789).
Questo lungo periodo fu marcato dalla rassegnazione, anche se si mantenne sempre una se pur sopita speranza, come afferma anche l'abbé Lémann: "con la morte di Giuliano l'Apostata e il trionfo definitivo del Cristianesimo, fino alla Rivoluzione francese, gli ebrei vivono un periodo di rassegnazione, ma sempre pieno di speranza" (10). Durante questo periodo "la capacità finanziaria e commerciale degli ebrei si sviluppa e si estende su tutte le nazioni, in maniera straordinaria [essi] divengono i finanzieri dei re Ma in mezzo alle preoccupazioni dei loro traffici e dei loro negozi, non smettono di pensare a Gerusalemme (11).
Verso il XVI e XVII sec. gli ebrei amanti della Terra Santa si spostarono verso Safed, a pochi chilometri da Betsaida; nel XVII sec. si contavano a Gerusalemme circa cento famiglie ebree e, a partire da quel periodo, i pellegrinaggi alla Città santa cominciarono a diventare sempre più numerosi.

c) Terzo periodo
Col filosofismo tedesco del XVIII secolo e con la Rivoluzione francese si assiste all'ABBANDONO dell'idea del ritorno a Gerusalemme e del dogma del Messia personale.
Quali furono le cause di un tale mutamento?
La prima è proprio il filosofismo impregnato di quello scetticismo settecentesco, che è stato agente corrosivo di tutte le religioni, compresa la talmudica, prima con Spinoza e poi con Mendelshon, che può essere considerato il fondatore di una sorta di neo-Giudaismo, mascherato da deismo. Comincia così a diffondersi nei ghetti l'idea che il Messia potrebbe essere un concetto, un regno, un popolo, ma non una persona, e sorge anche il problema della collocazione fisica e geografica di tale regno. È la Rivoluzione francese che concretizza questo mito. Nel 1791 fu concessa l'EMANCIPAZIONE agli ebrei francesi, che videro il Messia nei Diritti dell'uomo proclamati dalla Rivoluzione.
Dalla fine del XVII secolo fino al 1848 il mito del Messia impersonale ha avuto due scuole principali, di cui la prima fiorì in Germania sotto l'egida del filosofismo. Nel 1843 a Francoforte sul Meno si organizza un comitato ebraico riformista, al quale seguirono tre sinodi, uno nello stesso anno a Brunswick, uno ancora a Francoforte nel 1845 e un terzo a Breslau nel 1846, nei quali si affermava che l'unico Messia atteso era la libertà di essere ammessi tra le Nazioni; da questo il partito talmudista tedesco fu ferito a morte.
La seconda scuola si formò in Francia, sotto l'egida dell'emancipazione, che segna anche l'elemento diversificante delle due scuole. Infatti in Germania, dal momento che l'ebreo non era ancora emancipato civilmente, il suo pensiero era da considerare ardito e prematuro: la libertà civile, non ancora conquistata, era la perla per la quale si era pronti a sacrificare ogni cosa, anche il Messia personale. In Francia, invece, gli ebrei fin dal 1791 godevano della libertà civile ed erano quindi più moderati nell'evoluzione della fede circa il Messia. Nel Gran Sionismo del 1807 Napoleone era stato riverito ed insignito dei titoli riservati esclusivamente al Messia, anche se il partito talmudista era ancora abbastanza forte per fare da contraltare. Fu soltanto a partire dal 1848 che ogni "repressione" da parte della Sinagoga talmudica divenne inefficace anche in Francia. Infatti durante il regno di Luigi Filippo il razionalismo tedesco aveva esercitato un notevole influsso sull'Ebraismo francese. Nel 1846, durante l'insediamento del gran Rabbino di Parigi, il colonnello Cerf-Beer, in un discorso di circostanza gli fece comprendere che era ormai ora di iniziare con le riforme ("l'aggiornamento") anche in Germania: il partito talmudista non ebbe più la forza di reagire come in passato. Ormai anche il mondo ebraico francese affermava che la "La Rivoluzione era il vero Messia per gli oppressi" (12).
"La nuova Gerusalemme sarebbe stata la Gerusalemme del denaro, con un banchiere per Messia, con i fondi pubblici al posto della Thorà, la Borsa al posto del Tempio" (13). Quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale e degli USA in cui gli ebrei conobbero l'emancipazione civile, accolsero tali idee sul Messia impersonale, col conseguente abbandono del dogma del Messia personale e del ritorno a Gerusalemme.

Breve storia del movimento sionista

Il Canale di Suez e la Gran Bretagna. Il progetto di aprire il canale di Suez suscitò, verso la metà dell'800, un vivo interesse in Europa, perché il Mediterraneo avrebbe riacquistato una notevole importanza. Erano interessate al progetto soprattutto la Francia, l'Impero asburgico e l'Italia. L'Inghilterra invece sarebbe stata svantaggiata. Chi si assunse l'onere economico dei lavori fu, in massima parte, il pascià d'Egitto Said, ma le finanze egiziane furono dissestate dall'enorme quantità degli esborsi. Nel 1863 gli succede suo nipote Ismail, al quale «vennero in aiuto le banche ebraiche Oppeneim e Rothschild, le quali, bloccato ogni diverso accesso al credito, strinsero in breve il sovrano in un abbraccio mortale Agli egiziani è imposto il controllo congiunto anglo-francese sulle loro finanze; è l'anticamera dell'occupazione coloniale La bancarotta egiziana e le difficoltà politiche che essa genera coincidono col destarsi dell'interesse britannico per il canale» (14). La Gran Bretagna incomincia così a cambiare politica nei confronti dell'Impero Ottomano, e dopo averlo difeso gelosamente, in chiave antirussa e antifrancese, decide di non opporsi la suo declino. Nel 1878 occupa Cipro e s'impossessa delle dogane turche. La situazione col passare degli anni degenera in violenti disordini e gli inglesi decidono di intervenire manu militari, per cui il 10 luglio 1882 le navi inglesi aprono il fuoco su Alessandria d'Egitto. Con la grande guerra (1914-1918) l'Inghilterra coglie l'occasione per assestare il colpo di grazia all'Impero Ottomano, prendendo il controllo della penisola arabica e della Siria, assicurandosi così la chiave d'accesso dal mediterraneo verso la Mesopotamia e il Golfo Persico. La Palestina avrebbe messo al sicuro le comunicazioni con l'India tramite il Canale di Suez. Il 18 dicembre 1814 la Gran Bretagna occupa l'intero percorso del canale. Gli inglesi, per essere più sicuri di aver debellato definitivamente l'Impero Ottomano, svolgono una politica atta a guastare i rapporti tra i turchi e le popolazioni dell'ex Impero Ottomano, (15). Contattano inoltre lo sceicco della Mecca Hussein, discendente della figlia di Maometto Fatima e perciò carico di un gran prestigio spirituale nel mondo islamico. (16). Si ruppe così la compattezza del fronte musulmano. Dopo tre anni di lotta la partita contro i turchi è vinta dagli arabi. Gli inglesi occupano Gerusalemme e Hussein Damasco. L'11 novembre 1918 un comunicato anglo-francese rassicura gli arabi promettendo loro dopo la lunga oppressione turca, l'insediamento di governi e amministrazioni arabe. Tuttavia gli arabi dovettero ricredersi e constatare che la Gran Bretagna non aveva per nulla in vista la liberazione dei popoli arabi dall'oppressore turco, quanto piuttosto desiderava imporre il proprio volere ai paesi dei Medio Oriente. Dalla dissoluzione dell'Impero Ottomano trassero vantaggio soprattutto l'Inghilterra e la Francia; il trattato di Sévres (10 agosto 1920) segna la fine definitiva dell'Impero Ottomano, la ratifica inglese di Cipro e dei poteri sul Canale di Suez. Estromessi i turchi, il destino dell'Arabia passa nelle mani anglo-francesi. Gli arabi non vogliono rinunciare all'indipendenza, ma il 24 luglio 1920 i siriani sono sopraffatti dai francesi e Damasco viene occupata. (17).
Frattanto la nascita del Sionismo, lungi dal risolvere l'eterna questione ebraica, la complicherà, trasportandola, in un'ottica conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo odio tra Islàm e Giudaismo, che prima, teologicamente, non esisteva e che si afferma per motivi nazionalistici e di indipendenza territoriale. L'Ebraismo internazionale mobilita i propri correligionari inglesi per ottenere l'intervento nella prima guerra mondiale degli USA. La Gran Bretagna concede ai capi sionisti impegnatisi a far scendere in guerra l'America, privilegi eccezionali. (18). Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri britannico lord Balfour consegna al presidente della federazione sionista britannica lord Rothschid una lettera che asserisce: . Questo focolare ebraico è una parola polisemantica, dietro la quale si cela il concetto di STATO EBRAICO. Tale progetto costerà caro soprattutto ai palestinesi, anche se l'insediamento ebraico non godrà mai sonni tranquilli in quella che si rivelerà in oriente, come già lo era stata in Occidente, un'avventura priva di certezze fin dal giorno in cui i capi del popolo dissero "Sanguis eius super nos et super filios nostros", assumendosi una terribile responsabilità per i figli di Israele fino a quando non si convertiranno e non rientreranno nella Chiesa di Dio.
La Palestina: un paese isolato. «Rompere l'unità della Grande Siria ed enucleare da esssa la Palestina è il primo passo per assicurare il buon esito del progetto sionista è una politica che genera nei palestinesi grande disorientamento. Essi si trovano d'improvviso in un paese occupato militarmente e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento amministrativo e politico. La nuova entità territoriale che aveva sempre fatto parte di organizzazioni statuali più vaste e mai aveva manifestato aspirazioni autonomiste, è creata, fin dall'inizio, con l'obiettivo dello snaturamento etnico. L'originaria popolazione araba è destinata ad essere sommersa e sostituita» (19).
La reazione araba contro l'immigrazione e l'occupazione ebraica (che gli stessi inglesi autorizzavano) offrirà all'Impero britannico larghe possibilità d'ingerenza. Dietro l'alibi del mantenimento della pace, l'Inghilterra avrebbe potuto nascondere facilmente la sua volontà di presenza militare in Palestina sine die. Solo il processo di decolonizzazione iniziato alla fine della seconda guerra mondiale spingerà gli inglesi a lasciare la Palestina. Allora al colonialismo inglese subentrerà quello sionista.


Il "Libro Bianco". Il 17 maggio 1939 l'Inghilterra annuncia di voler abbandonare l'idea della spartizione della Palestina e il Foreign Office con un suo Libro Bianco, s'impegna a concedere ai palestinesi l'indipendenza; l'effettivo passaggio dei poteri, tuttavia, sarebbe avvenuto solo dieci anni dopo. Gli arabi pensano di intravvedere la fine delle loro sofferenze, ma la proposta inglese è condizionata all'esito della seconda guerra mondiale. Infatti il Libro Bianco segue di pochi giorni le garanzie antigermaniche rilasciate dall'Inghilterra a Polonia, Grecia e Romania, per cui rappresenta solo un diversivo o un espediente atto a accaparrarsi, in un momento così difficile, la simpatia e la neutralità del mondo arabo, la cui posizione è di estrema rilevenza strategica. L'Inghilterra in sostanza con il Libro bianco ha voluto solo tergiversare e congelare la questione palestinese e rinviare ogni decisione al termine del conflitto. Gli ebrei di Palestina si vedono accordare così una tregua provvidenziale di parecchi anni, una proroga all'eventuale sfratto e possono continuare ad accogliere nuovi immigrati. Nel maggio 1942 a New York, all'Hotel Biltmore, si riunisce una conferenza sionista che reclama la costituzione dello Stato ebraico e pretende l'annullamento di qualsiasi limite all'immigrazione, ed infine l'affidamento della supervisione sull'immigrazione alla Jewish Agency. «In Palestina intanto l'Haganah, l'organizzazione militare ufficiale dei sionisti che dal 1929 al 1939 si era armata con la connivenza della potenza mandataria (la Gran Bretagna), rafforza i suoi reparti e si prepara alla lotta contro gli inglesi nel caso costoro insistano a dare applicazione a quel Libro Bianco del 1939 col quale avevavo promesso ai palestinesi l'indipendenza. L'Irgun e la Banda Stern scatenano una campagna terroristica che si propone di piegare definitivamente gli inglesi al volere del Sionismo. Prima vittima illustre della Banda Stern è il ministro britannico per il medio Oriente, Lord Moyne, che viene assassinato nel novembre 1944» (20). Con la fine della seconda guerra mondiale assistiamo al coincidere de facto delle aspirazioni del Sionismo con quelle delle due superpotenze, (USA e URSS). Russi e americani hannno capito che uno Stato ebraico in Palestina è un valido elemento destabilizzante in una delle zone geopolitiche più importanti del mondo, che permetterà loro di interferire negli affari interni di tutti i paesi del Medio oriente e di innescarvi una grave conflittualità tra Europa e mondo arabo. Il compito dell'occupante britannico è ormai finito, ad esso subentreranno sionisti, USA e URSS. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale dell'ONU, con la risoluzione 181, approva il piano che prevede la spartizione della Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebarico. (21). Il 14 maggio 1948 il consiglio Nazionale Ebraico proclama lo Stato d'Israele, mettendo il mondo davanti al fatto compiuto. (22). Mentre USA e URSS dietro lo schermo della guerra fredda collaborano sottobanco alla spartizione dell'Europa e del Medio Oriente, la stampa filo-ebraica presenta Israele come il bastione contro il comunismo - mentre in realtà era uno stato laico e socialista nato col consenso sovietico - tacendo però che il comunismo era fuori legge in tutti i paesi arabi, e creando il consenso del pensiero moderato e liberalconservatore. Con la guerra del 1967 l'intera Palestina è di Israele, compresa Gerusalemme, che secondo la risoluzione 181 avrebbe dovuto essere posta sotto amministrazione internazionale (23). Gli Ebrei non rispettano la decisione dell'ONU, le cui risoluzioni ingiungono il ritiro dell'esercito israeliano e che restano però lettera morta. Il 10 novembre 1975 l'ONU, per non perdere la faccia, è costretta a varare una risoluzione che equipara Sionismo e razzismo, ma Israele non si ferma, confidando nella irresolutezza dell'ONU, che di lì a qualche tempo sopprime la risoluzione.


La vittoria del Sionismo fallisce però il suo obiettivo principale, quello cioè di dare vita ad uno Stato nazionale pacificato e compatto anche etnicamente, come ha rilevato anche il giornalista ebreo Paolo Guzzanti in un recente articolo su La Stampa di Torino: «Questi giovani [di tel Aviv] così euroamericani, così laici, non hanno affatto l'aria di coltivare il nostalgico patriottismo dei padri e dei nonni Questa città sta perdendo la memoria Tel Aviv si va sempre di più costruendo dentro di sé come una minuscola simbolica New York l'intera città pullula di locali per gay, per lesbiche, per transessuali Le sfrenate passioni adolescenziali di molte ragazze di Tel Aviv per i Che Guevara di Hamas sono leggendarie Passioni in genere corrisposte da giovani palestinesi con spirito predatorio a senso unico: non si ha notizia di sciagurati sbandamenti delle ragazze palestinesi per i giovani soldati israeliani e matrimoni nei due sensi seguono la stessa legge: marito palestinese e moglie israeliana, sì. Marito israeliano e moglie palestinese, no. ()Un uomo che ha combattuto tutte le guerre mi dice: "La pace non è la fine dell'incubo I nemici che un tempo erano incapaci di combattere contro di noi che potevamo sconfiggere in un attimo OGGI SONO BRAVI COME ED ANCHE PIÙ DEI NOSTRI SOLDATI; sanno per che cosa combattere, sono bene armati ed addestrati. Da noi il patriottismo cede il passo al senso di colpa. Gli arabi ci odiano, ma parlano perfettamente l'ebraico. Noi non parliamo una parola di arabo e vorremmo essere amati da loro» (24).

IL SIONISMO: nascita e sviluppo del movimento sionista

a) Il primo Congresso di Basilea (agosto 1897).
Le origini del Sionismo attuale vanno ricercate nell'opera del giornalista viennese Theodore Herzl che, insieme al parigino Max Nordan, organizzò tre congressi a Basilea. Nel primo fu definito il programma del Sionismo, cioè "creare al popolo ebreo un domicilio garantito dal diritto pubblico in Palestina". Molto forti e vivaci furono le reazioni, quasi "una sollevazione massiccia del rabbinato contro tale progetto" (25), al punto che si parlò di DIVORZIO TRA SINAGOGA E SIONISMO. "La prima, soddisfatta dell'emancipazione, non voleva essere nient'altro che una religione. Il secondo, risvegliato dall'esplosione misteriosa dell'antisemitismo, proclama: noi siamo un popolo e vogliamo ricostruire la nostra nazionalità La prima non ha più la fede integrale di Mosé e dei profeti. IL SIONISMO NON CONSIDERA GLI EBREI CHE COME UN POPOLO, INVECE DI RICONOSCERE CHE È IL POPOLO, IL POPOLO DI DIO" (26).
Infatti è "unicamente in un FINE POLITICO E SENZA RIFARSI AL PASSATO RELIGIOSO D'ISRAELE che il Sionismo vorrebbe rientrare in possesso di Gerusalemme e resuscitarvi la nazionalità ebraica" (27).
D'altra parte il Rabbinato occidentale, pur avendo per lo più abbandonato la speranza di un Messia personale, rifiuta di associarsi al Sionismo e di incamminarsi verso Gerusalemme. Questo è il cuore del problema sionista e il principio della sua soluzione alla luce della fede cristiana, come vedremo in seguito.
Il Gran rabbino di Francia, Zadoc-Fahn spiega mirabilmente che "Il Sionismo risale alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito Ma vi è un'enorme differenza tra il Sionismo attuale e quello di diciotto secoli fa. PER I FEDELI DEI TEMPI ANTICHI ERA IL MESSIA INVIATO DA DIO CHE DOVEVA MIRACOLOSAMENTE RICOSTRUIRE SION NESSUNO AVREBBE MAI NEPPUR LONTANAMENTE PENSATO A COGLIERE TALE FINE MEDIANTE VIE NATURALI. Un tale spirito non poteva resistere all'influsso della Rivoluzione francese L'idea messianica si trasformò Il Messia divenne il simbolo del progresso, della fraternità umana, infine realizzata dal trionfo delle grandi verità morali e religiose che il Giudaismo ha sparso dappertutto" (28).
Se il Rabbinato occidentale, oramai ben integrato in Europa, rifiutava anche lo PSEUDO SIONISMO LAICO di Herzl, vi era ancora una frangia ebrea che attendeva un Messia figlio di David, ma "non avrebbe mai accettato di ritornare a Gerusalemme fino a che il Messia non fosse comparso" (29). RISTABILIRE UNO STATO D'ISRAELE CON MEZZI UMANI - come è avvenuto - NON ERA ACCETTABILE PER GLI EBREI TALMUDISTI. Gli Archives Israëlites scrivevano a questo riguardo: "Se per Sionismo si intende coloro che perseguono attualmente prima del tempo promesso la ricostruzione della nazionalità ebrea possiamo affermare che i sionisti di questa specie sono rari nantes in gurgite vasto" (30). Ed ancora: "Ricostruire il Regno di Giuda? Noi ebrei ortodossi, fedeli all'idea messianica, crediamo alla venuta del Messia fondatore di un impero universale. Ma quale rapporto vi è tra questo ideale religioso e il progetto del dottor Herzl e dei suoi amici?" (31).

b) Il secondo Congresso di Basilea (agosto 1898).
Durante il secondo Congresso apparve ancora più chiaro il nodo del problema e la contraddizione immanente al Sionismo moderno, per il quale il Giudaismo deve essere una nazione e non una religione, mentre per il rabbinato esso era una religione piuttosto che una nazione. Perciò il Rabbinato occidentale emancipato, benché liberal non voleva avere rapporti con il Sionismo, poiché quest'ultimo era soltanto un nazionalismo razionalista laicista e naturalista che non aveva alcuna radice nel suo passato religioso: "Noi non ci immaginiamo facilmente uno stato ebreo laico, di cui la Thorà non sia la carta necessaria non si riesce a capire l'esistenza di una società israelitica che non abbia la fede per suo fondamento. Tale nazionalismo puramente razionalista sarebbe la negazione della storia e delle profezie bibliche!" (32).
In sintesi il secondo Congresso segna l'abbandono di Gerusalemme da parte dei rabbini e l'abbandono della religione, e quindi del passato di Israele, da parte del Sionismo.

c) Il terzo Congresso di Basilea (agosto 1899).
L'ostilità del rabbinato esplode per la terza volta e la maggior parte degli ebrei d'Occidente si mostra fermamente contraria ai progetti dei sionisti. Tuttavia gli ebrei orientali, non ancora emancipati civilmente e quindi non assimilati, restano fedeli, per la maggior parte, all'idea del Messia personale e del ritorno miracoloso a Gerusalemme (33).

Il periodo di rassegnazione speranzosa è sempre sussistente nel Giudaismo orientale

Migliaia e migliaia di ebrei dell'Austria, della Romania, Polonia, Russia, dell'Asia e dell'Africa restano fedeli al Talmudismo, restano cioè estranei all'influsso del filosofismo, delle idee moderne e non hanno conosciuto la rivoluzione emancipatrice; perciò mantengono una fede cieca in un Messia bellicoso e conquistatore che li riporterà a Gerusalemme. Essi sono più numerosi degli ebrei occidentali. "Su sette, otto milioni di ebrei che esistono oggi [1901] come all'epoca di Gesù Cristo, la maggior parte risiede fuori dell'Europa occidentale" (34). È significativo l'appello indirizzato agli studenti ebrei dell'università di Praga dal Consiglio eletto del Corpo degli studenti della nazione ebrea: "Compagni Israeliti, gli ebrei non sono né tedeschi, né slavi, essi sono UN POPOLO A PARTE. Gli ebrei sono stati e restano un popolo autonomo per unità di razza, di storia, di sentimenti! Basta con le umiliazioni! ebreo, non sei uno schiavo!" (35).

il Sionismo e Il B'naÏ B'rith

Se lo scopo del presente articolo è quello di affrontare il discorso sul Sionismo alla luce delle profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento ad esso inerenti, occorre tuttavia fare un costante riferimento al processo storico della realizzazione del Sionismo in Palestina dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, rimandando il lettore per gli argomenti più specifici alla bibliografia indicata alla fine.
Emanuel Ratier ha presentato recentemente uno studio molto interessante e ricco di documenti inediti sul B'naï B'rith (36), nel quale vi è un intero capitolo dedicato al Sionismo, la cui documentazione servirà ora per analizzare quale influsso la potente loggia dei "Figli dell'Alleanza" abbia avuto nella nascita dello Stato di Israele.
Fin dalla sua origine il B'naï B'rith è di ispirazione sionista, fin da quando due rappresentanti del B'naï B'rith romeno parteciparono nel 1898 al secondo congresso sionista di Basilea. Tuttavia le logge americane, a differenza di quelle europee, tutte filosioniste, erano su posizioni molto più moderate; ma l'evoluzione verso un atteggiamento favorevole al Sionismo fu rapida e già nel 1917 il giornale ufficiale del B'naï B'rith americano affermava che la dichiarazione di Balfour era (37). Anche le logge londinesi esercitarono una capitale influenza sullo sviluppo del Sionismo, come testimonia anche Paul Goodman nella storia della prima loggia del B'naï B'rith d'Inghilterra: (38). Anche il distretto di Germania, inizialmente ostile al Sionismo si avvicinò successivamente alle posizioni londinesi filosioniste. Nel 1897 in una dichiarazione del 27 giugno, il Comitato generale del B'naï B'rith tedesco, si dichiarò totalmente contrario al Sionismo, ma successivamente in una seconda risoluzione del Comitato generale del 22 maggio 1921 si schierò su posizioni assolutamente favorevoli alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina.


Il B'naï B'rith in Palestina
(39). Da centinaia di anni il Giudaismo d'oriente viveva in uno stato quasi letargico sotto il regime ottomano: (40).
Nel 1865, ventitré anni prima della nascita del Movimento sionista di Herzl, il B'naï B'rith organizzò una grande campagna di aiuti alle vittime ebree del colera in Palestina e da allora non ha mai cessato di finanziare iniziative private in Israele. Non appena le circostanze politiche lo permisero, l'ordine si impiantò in Medio Oriente; in Egitto nel 1887 furono create due logge e l'anno seguente fu fondata la prima loggia di Palestina, il cui primo segretario fu Elieser Ben-Yehouda, il padre dell'ebraico moderno, allora considerato una lingua morta, nel quale tradusse la costituzione e il rituale segreto del B'naï B'rith. (41).
Nell'aprile del 1925 l'Ordine inaugurò la prima Università ebraica.
La grande Loggia di Palestina
Il B'naï B'rith aveva sempre temuto che la creazione di un distretto di Palestina insospettisse il regime turco, per cui la sede del distretto d'Oriente era stata posta a Costantinopoli. Il mandato inglese e la dichiarazione Balfour autorizzarono la creazione del XIV distretto il cui primo gran Presidente fu David Yellin. Nel 1948 il B'naï B'rith contava in Israele quarantotto logge, nel 1968 centotrentotto, mentre oggi il loro numero supera le duecento.
Durante il regime turco, tra il 1873 e il 1917, erano già state fondate sei logge massoniche in Palestina... di cui la prima, denominata Loggia del re Salomone, a Gerusalemme nel maggio 1873; durante il mandato britannico (1921-1947) la Massoneria conobbe un rapidissimo sviluppo.
La loggia inglese del B'naï B'rith e la Palestina
Il primo presidente del B'naï B'rith Herbert Bentwich era stato uno dei primi a condividere le tesi di Theodor Herzl sul Sionismo e nel 1897 aveva organizzato un pellegrinaggio di ebrei in Palestina tramite l'Ordine degli anziani Maccabei, a nome del quale aveva vi acquistato un terreno, a Gezer, dando inoltre alla First Lodge un orientamento spiccatamente sionista.
All'inizio della prima guerra mondiale fu creato un Comitato ebraico d'urgenza, composto esclusivamente da membri del B'naï B'rith, con lo scopo di fare pressione sui futuri negoziatori di pace, per ottenere nel dopoguerra una home nazionale ebraica in Palestina (42).
Henry Monsky
In America l'Ordine fu il principale luogo d'incontro e fusione tra gli ebrei di origine tedesca (borghesi e riformisti) e gli ebrei provenienti dall'Europa dell'Est (più poveri, ortodossi e filosocialisti), che si opponevano all'idea di fusione degli ebrei con il popolo americano. L'ascesa al potere di Hitler nel 1933 rilanciò l'interesse per la home nazionale ebraica in Palestina. «Il vecchio antisionista è così divenuto - scrisse Alfred Cohen, presidente del B'naï B'rith americano - un non-sionista. Egli guarda senza ostilità l'operazione Palestina Sarà tuttavia sempre contro il Sionismo politico, che apparirà, per il momento, come una causa per la quale non ci può infiammare. Le discussioni accese tra sionisti e antisionisti si sono raffreddate» (43).
Henry Monsky, eletto presidente del B'naï B'rith nel 1938, approfittò della seconda guerra mondiale per rilanciare l'Eretz Israel e dal 1941 rimase in stretto contatto con i principali dirigenti sionisti. Il B'naï B'rith nel 1942 approvò il programma di Baltimora.
Il 29 agosto 1943 si tenne una storica riunione dell'Ebraismo americano, voluta da Monsky, alla quale erano presenti sessantaquattro organizzazioni nazionali ebraiche, con cinquecentoquattro delegati - di cui almeno duecento fratelli del B'naï B'rith - in rappresentanza di un milione e mezzo di ebrei. La riunione fu tuttavia boicottata da due tra le principali organizzazioni ebraiche antisioniste, il Comitato ebraico americano e il Comitato del lavoro ebraico.
Monsky fu correlatore della risoluzione a sostegno del programma di Baltimora, approvata quasi all'unanimità (408 voti contro 3), e divenne il presidente della nuova struttura ebraica unitaria, la Conferenza ebraica americana, che ebbe termine nel 1949, ma che fu rimessa in piedi nel 1955 da un organismo più modesto, la Conferenza dei presidenti delle grandi organizzazioni ebraiche, in seguito al riconoscimento dello Stato di Israele. Samuel Happerin ha scritto: «Pur non avendo mai ufficialmente avocato a sé l'ideologia sionista le azioni effettive del B'naï B'rith hanno compensato tutte le esitazioni. Per valutare l'aumento di potere del Sionismo americano bisogna tener conto in maniera preminente della guida, del numero dei membri e dell'assistenza finanziaria del B'naï B'rith» (44). Il B'naï B'rith non aveva infatti preso ufficialmente posizione in favore del Sionismo fino al 1947, volendo evitare ogni divisione in seno all'Ebraismo americano al cui interno permaneva una minoranza antisionista.

Il B'naï B'rith fa riconoscere Israele

È stato il "B'naï B'rith" che ha provocato il riconoscimento (de facto) dello Stato d'Israele da parte del presidente americano Harry Truman, che era ostile ad un riconoscimento rapido d'Israele, e che a causa del suo "ritardismo" veniva accusato dai dirigenti sionisti di essere un traditore. Nessuno dei leaders sionisti era ricevuto, in quei frangenti, alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank Goldman, presidente del "B'naï B'rith", che non riuscì però a convincere il Presidente. Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff, consigliere di Jacobson, amico personale del presidente Truman. Jacobson, un "B'naï B'rith", pur non essendo sionista, scrisse tuttavia un telegramma al suo amico Truman, chiedendogli di ricevere Weizmann (presidente del Congresso Sionista mondiale). Il telegramma restò senza risposta, allora Jacobson chiese un appuntamento personale alla Casa Bianca. Truman lo avvisò che sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione che non gli avesse parlato della Palestina. Jacobson promise e partì. Arrivato alla Casa Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue "Memorie": «Delle grandi lagrime gli colavano dagli occhi... allora gli dissi: "Eddie, sei un disgraziato, mi avevi promesso di non parlare di ciò che sta succedendo in Medio Oriente". Jacobson mi rispose: "Signor Presidente, non ho detto neanche una parola, ma ogni volta che penso agli ebrei senza patria (...) mi metto a piangere" () Allora gli dissi: "Eddie, basta". E discutemmo d'altro, ma ogni tanto una grossa lacrima colava dai suoi occhi (...) Poi se ne andò» (13).
Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette Weizmann in segreto e cambiò radicalmente opinione, decidendo di riconoscere subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio 1948 Truman chiese al rappresentante degli Stati Uniti di riconoscere de facto il nuovo Stato. E quando il Presidente firmò i documenti di riconoscimento ufficiale d'Israele, il 13 gennaio 1949, i soli osservatori non appartenenti al governo degli Stati Uniti erano tre dirigenti del "B'naï B'rith": Eddie Jacobson, Maurice Bisyger e Frank Goldman.
È poi da ascrivere al B'naï B'rith il mutamento della politica americana riguardo alla questione palestinese: infatti se negli anni cinquanta essa era stata globalmente favorevole agli Arabi, essa cambiò rapidamente in seguito alle continue pressioni dell'Ordine sul governo americano per ottenere enormi aiuti economici e bellici in favore dello Stato di Israele.
Con la "guerra dei sei giorni" si assiste infine alla sionizzazione definitiva de facto e de jure del B'naï B'rith e dell'A.D.L.; «Questa vittoria miracolosa ha permesso un'identificazione tra ebrei e Stato di Israele, del tutto diversa da quanto era avvenuto agli albori di tale Stato. È in questo frangente che l'A.D.L. e il B'naï B'rith pongono come pietra di paragone l'asserto che l'antisionismo equivale all'antisemitismo» (45).

il Laicismo sionista

L'idea sionista di Teodoro Herzl è assolutamente laica e (46), come testimoniano le sue parole: (47).
(48).
Ma l'idea sionista era molto forte, al punto da rasentare in tanti fondatori di Israele l'indifferenza verso il genocidio, come denuncia lo storico israeliano Tom Segev nel suo libro Le septiem million (49), e come scrive Barbara Spinelli su La Stampa: (50). Anche Fiamma Nirestein qualche giorno prima aveva ricordato, sullo stesso quotidiano, che Ben Gurion aveva fatto affondare una nave carica di giovani militanti dell'Irgum, perché erano di ostacolo al riconoscimento dello Stato di Israele.
Vana era stata anche la speranza, di Teodoro Herzl, di ottenere un riconoscimento da parte della Santa Sede, nonostante l'incontro con San Pio X il 25 gennaio 1904, preceduto da quello con il cardinale Merry Del Val il 22. (51).

La conquista della Terra Santa

"Questo piano - scrive il Lémann - sembra essere stato adottato dai promotori del Sionismo. È così che l'infiltrazione lenta e dissimulata preparerebbe, a colpo sicuro, gli elementi costitutivi dello Stato ebraico in Palestina, fino al giorno in cui un avvenimento propizio ed improvviso [la seconda guerra mondiale, n.d.r.], permetterà al Sionismo, sia mediante un tentativo ardito, sia mediante un'abile diplomazia, di mettere definitivamente la mano sul suolo tanto desiderato di tutta la Giudea" (52).
Con la dissoluzione dell'Impero ottomano (durante la prima guerra mondiale) il mondo cattolico cominciò a sperare che la Palestina sarebbe tornata in mani cristiane: (53). E Pasquale Baldi, uno dei più noti studiosi della questione dei luoghi santi, così scriveva: «Oggi per un prodigioso combinarsi di eventi, che noi riteniamo provvidenziale, Italia, Francia, Inghilterra, tre nazioni che ebbero tanta parte nelle guerre sante, tengono Gerusalemme sotto il proprio dominio. Oggi a ragione dunque i cattolici di tutto il mondo possono attendersi che suoni finalmente l'ora della giustizia; che per i Santuari della Palestina si rinnovino gli splendori dell'era costantiniana, gli splendori del primo secolo delle crociate!» (54).
Ciò che della questione dei Luoghi Santi maggiormente colpì l'attenzione dell'opinione pubblica europea fu la loro liberazione dal dominio musulmano e poi le controversie delle diverse confessioni cristiane circa il loro possesso. La Santa Sede agì diplomaticamente in vista di questi due obiettivi principali, situare la Palestina nella sfera di controllo delle potenze cattoliche, e porre un riparo alle usurpazioni compiute dai greci ortodossi nel 1757 (55). Quando gli Stati dell'Intesa, ormai in procinto di vincere il conflitto, manifestarono un orientamento favorevole alla INTERNAZIONALIZZAZIONE della Terra Santa, il mondo cattolico pensò che il primo obiettivo fosse quasi raggiunto.
L'idea di affidare la Terra Santa ad un governo internazionale non era nuova, ma fu soltanto nel corso della prima guerra mondiale che queste proposte assunsero un carattere di attualità. Con la caduta del regime zarista cessò anche ogni possibilità di intervento russo-ortodosso in Medio Oriente. (56).
Il Vaticano tuttavia non riteneva che la soluzione di affidare il governo della Terra Santa ad un governo internazionale fossa la migliore; lo stesso card. Gasparri puntualizzò che alla S. Sede sembrava più corretto parlare di «carattere di nazionalità intendendo sottolineare che i luoghi santi, anziché essere sottoposti al governo di più nazioni, avrebbero dovuto essere sottratti al controllo di qualsiasi organismo politico ed affidati ad istituzioni religiose come la Custodia di Terra Santa. In questo contesto potrebbero trovare spiegazione le voci - non però confermate - relative all'eventualità di un governo pontificio in Palestina. Tuttavia la consapevolezza dell'impossibilità di tradurre in pratica questo progetto ne aveva impedito qualsiasi elaborazione concreta ed aveva indotto la S. Sede a ripiegare sull'ipotesi di un regime internazionale» (57).
«Dopo la prima guerra mondiale gli sforzi della Santa Sede si erano indirizzati nel senso di realizzare un progetto di riaffermazione del Cattolicesimo ispirato dal "proposito di procedere ad una cristianizzazione non soltanto degli individui, ma della società e degli Stati da compiere con tutti i mezzi" (58). La codificazione canonica del 1917, dominata dall'immagine della Chiesa come societas juridice perfecta, e la politica concordataria degli anni venti e trenta, volta a restituire alla Chiesa quelle funzioni pubbliche che le erano state sottratte in epoca liberale, costituirono le manifestazioni salienti di questo intendimento, cui era sottesa una ecclesiologia che mirava ad instaurare visibilmente il regno di Cristo in ogni sfera della vita umana, compresa quella politica» (59).
Tuttavia le speranze della S. Sede ebbero vita breve, perché tra il 1917 e il 1918 il quadro politico subì radicali cambiamenti che portarono all'accantonamento del progetto d'internazionalizzazione.
Vi fu quindi la famosa dichiarazione Balfour, che impegnava la Gran Bretagna a favorire la creazione di una Casa nazionale ebraica in Palestina. (60). Il cardinal Gasparri stesso, nel dicembre 1917, aveva detto al rappresentante diplomatico del Belgio che , aggiungendo anche: (61). Lo stesso pontefice Benedetto XV intervenne pubblicamente ed affermò che deprecava l'eventualità di un (62).
Il Papa temeva soprattutto che (63).
Il Consiglio supremo Alleato riunito a Sanremo nell'aprile del 1920 pose definitivamente fine alla speranza di una internazionalizzazione della Palestina assegnandone il controllo alla Gran Bretagna, proprio a quel paese, cioè, di cui la S. Sede diffidava maggiormente, non solo per il sostegno promesso alla causa sionista, ma anche per l'influenza che la chiesa anglicana avrebbe potuto esercitare in Terra Santa (64).

La Santa Sede e la "Teologia del Sionismo"

La Santa Sede vedeva nella dichiarazione Balfour per la creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina la conferma del timore già espresso da Benedetto XV, che si intendesse cioè concedere agli ebrei in Palestina. Il cardinal Gasparri da parte sua, aggiungeva in una lettera ai timori prettamente religiosi espressi dal Pontefice, una nuova motivazione, la difesa delle "popolazioni indigene" e delle "nazionalità" minacciate dalle aspirazioni sioniste (65). (66).
L'Osservatore Romano si occupò ampiamente dei problemi della Terra Santa e del Sionismo, non sottovalutando affatto l'enorme importanza e la portata escatologica della questione sionista. «In Europa - scriveva il suo corrispondente da Gerusalemme - si è troppo facili, con una superficialità che irrita, a guardare al nuovo fenomeno semitico palestinese con aria scettica di compatimento. Ma la realtà è una sola: gli ebrei lavorano con eroica serietà di propositi L'eventualità di un argine da parte degli arabi non ha nessuna consistenza. La loro opposizione di prammatica non arresterà nemmeno di un passo l'avanzata del Sionismo» (67).
Da questa osservazione nascevano due linee interpretative, l'una privilegiava una lettura in chiave religiosa del Sionismo, giudicato un punto di passaggio verso "la conversione degli ebrei al Cristianesimo" (68); l'altra, invece, insisteva piuttosto sui pericoli che derivavano alla presenza cristiana in terra Santa, dal rafforzamento del Sionismo.
La Civiltà Cattolica si segnalò per aver dato una visione teologica del problema sionista, definendo chimerico il disegno perseguito dal Sionismo: (69), oltreché ingiusta, perché (70). Il Sionismo inoltre, per i gesuiti della Civiltà Cattolica, si mostra incapace di dare una risposta convincente al problema ebraico: (71). Soprattutto costituiva (72). Il rimedio proposto per riportare la pace in Palestina non sarà che (73).
Nel 1943 Mons. Tardini, Segretario per gli affari straordinari della Santa Sede, confermò tale visione teologica sul Sionismo, asserendo che (74).
La condanna dell'antisemitismo razzista e biologico espressa da Pio XI nel 1928 «non implicava in alcun modo l'adozione di orientamenti più favorevoli al Sionismo. Essa infatti nasceva dalla preoccupata reazione della S. Sede per il dilagare in Europa di movimenti e dottrine ispirati a principi di esasperato razzismo e nazionalismo, ma non presuppone alcuna revisione della tradizionale concezione cattolica che negava al popolo ebraico, dopo la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella storia della salvezza, che non fosse quello di testimoniare, con le sue sofferenze, la verità della Rivelazione cristiana. "Dopo la morte di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della Rivelazione", disse nel 1933 l'arcivescovo di Monaco, card. Faulhaber» (75).
Nel 1938 La Civiltà Cattolica ribadì in modo più esteso la sua posizione: «Tutto il valore del Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione dell'Avvento del Messia Venuto il Messia, in persona di Gesù Cristo, cessò necessariamente e automaticamente il valore del Giudaismo tutt'insieme, e quale popolo "eletto" e quale religione» (76).
(78).
Come aveva scritto L'Osservatore Romano «il Sacrificio di Cristo, voluto da un popolo che se ne proclamò responsabile per sé e per i suoi figli, nei secoli, davanti al giudice umano come a quello divino, costituiva di fronte alla storia e alla civiltà mondiale una tale prescrizione di qualsiasi diritto sulla terra promessa da non avere certo bisogno di invocare venti secoli ormai trascorsi a suo favore per essere ratificato da qualsiasi tribunale politico» (79). Su tale base di natura teologica si innestavano poi precise ragioni di ordine politico, che confermavano l'avversione al movimento sionista della Santa Sede, il cui obiettivo prioritario era quello di mantenere in mani cristiane il controllo dell'intera Palestina e per la quale il mandato britannico appariva il male minore a fronte della costituzione di due stati non cristiani in Terra Santa: (80).

IL VATICANO E LA QUESTIONE PALESTINESE

La Santa Sede continuò a ribadire la sua ferma opposizione alla costituzione di una home ebraica in Terra Santa. In una lettera al delegato apostolico a Washington il Segretario di Stato vaticano il 25 maggio 1943 sosteneva esplicitamente che (81). Anche Mons. Tardini scriveva: «La Santa Sede si è sempre opposta alla dominazione ebraica sulla Palestina. Benedetto XV si è adoperato con successo per evitare che la Palestina divenisse uno Stato ebraico. In effetti dal punto di vista religioso (il più importante) la Palestina è una terra sacra, non solo per gli ebrei, ma molto di più per tutti i cristiani e specialmente per i cattolici. Darla agli ebrei significherebbe offendere tutti i cristiani e violare i loro diritti» (82). L'avversione alla costituzione di una home ebraica in Palestina non significava però che la Santa Sede fosse favorevole ad una dominazione araba sulla Terra Santa, (83). Tutta la politica vaticana riguardo alla Palestina era ispirata dal timore che sia una dominazione araba sia una dominazione ebraica risultassero pregiudizievoli per gli interessi cattolici in Terra Santa (84).
Ma la risoluzione approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947 introdusse un fatto nuovo nello scenario mediorientale: la creazione di uno Stato ebraico indipendente, prevista per l'ottobre del 1948. La prospettiva della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina ebbe un'eco profonda in tutto il mondo cristiano. La proclamazione dell'indipendenza di Israele fu accolta in Vaticano con molto riserbo. L'Osservatore Romano asserì che (85).

i rapporti tra Sionismo e nazionalsocialismo

Nel 1922 Vladimir Jabotinsky si ritirò dall'esecutivo dell'Organizzazione sionistica e fondò nel 1924 il Partito Revisionista. Il Nuovo schieramento combatteva la politica dell'Esecutivo sionista troppo disponibile al compromesso con gli inglesi e con gli arabi e (86).
A questo proposito il Blondet è più esplicito e ricco di informazioni: (87).
(88). Conobbe poi un ex ufficiale zarista, mutilato, certo Joseph Trumpeldor e con lui ideò l'organizzazione di una "legione ebrea" all'interno di non importa quale esercito alleato. Proprio Trumpeldor ha dato il suo nome alla principale organizzazione di gioventù sionista revisionista, il BÉTAR o B'RITH TRUMPELDOR (Alleanza di Trumpeldor). Bétar è anche il nome della fortezza dove Bar Kochba condusse la rivolta contro le legioni di Roma nel secondo secolo.
Durante il dodicesimo Congresso sionista del settembre 1921 a Karlovy Vary, Jabotinsky, senza informare i dirigenti sionisti, firmò un accordo con Maxime Slavinsky, rappresentante del leader del governo ucraino in esilio, Simon Petlioura (accusato oggi di antisemitismo). Questo accordo con un regime che favoriva i pogrom, fu giustificato da Jabotinsky con l'affermazione che se l'Armata Rossa gli avesse fatto la stessa proposta, l'avrebbe egualmente accettata (89). L'alleanza con l'Ucraina costrinse Jabotinsky a dimettersi dall'Esecutivo sionista e dall'Organizzazione sionista. Nel 1923 pubblicò una serie di articoli in cui mirava ad intraprendere una sorta di REVISIONE del Sionismo, affermando che si trattava di un ritorno alle tesi originarie di Herzl. Sostenne così posizioni di ACCESO NAZIONALISMO, il cui unico fine era di trasferire milioni di ebrei in Israele facendo della Palestina uno Stato ebraico di fatto. Gli arabi, (91). Jabotinsky è convinto che lo stato abbia il primato sull'individuo, per cui non bisogna assolutamente rifarsi all'etica biblica ma attingere le proprie forze alle teorie del NAZIONALISMO INTEGRALE; (92). Jabotinsky è assolutamente contrario alla diaspora e PER IMPEDIRE L'ASSIMILAZIONE degli ebrei, SARÀ ANCHE PRONTO AD ACCOGLIERE favorevolmente LE IDEE ANTISEMITE, che avrebbero spinto gli ebrei a ritornare nella loro terra e a riscoprire l'identità che stavano perdendo. «Per Jabotinsky ogni assimilazione ai goyim è non solo infausta ma impossibile "La fonte del sentimento nazionale si trova nel SANGUE dell'uomo nel suo TIPO FISICO-RAZZIALE È inconcepibile che un ebreo possa adattarsi alla visione spirituale di un tedesco o di un francese"» (93). Inoltre elimina l'idea di un Dio trascendente e la sostituisce con quella di nazione, minando alla base le fondamenta stesse del Giudaismo ortodosso. A tutto ciò unisce un odio viscerale per il socialcomunismo, mentre vede, di conseguenza, la forza principale del Sionismo nel supercapitalismo.

a) Il Bétar (94)
Nel 1923 Jabotinsky fondò il braccio armato del Revisionismo sionista il Bétar B'rith Trumpeldor, i cui membri (95). Dal 1934 al 1937 una scuola navale del Bétar funzionerà in Italia, a Civitavecchia, con 153 cadetti diplomati. Per Marius Schattner (96). Il Bétar è un'organizzazione rigida, con un rituale stretto e severo: ogni betariano deve impegnarsi a consacrare i due primi anni del suo insediamento in Palestina alla militanza a tempo pieno nel Bétar, il quale si fonda sostanzialmente sul mito della forza, sulla potenza del cerimoniale, su una struttura paramilitare.
Negli anni 1931-32 Jabotinsky visse a Parigi, (97). Nel 1935 fondò a Vienna, durante un congresso, la Nuova Organizzazione Sionista (N.O.S.), che inaugurava una politica molto discussa con tutti i governi (anche antisemiti) PURCHÉ FOSSERO INTENZIONATI A REGOLARE LA QUESTIONE EBRAICA IN SENSO SIONISTA, consentendo cioè l'emigrazione ebraica in Palestina. Ciò non impedirà per altro a Jabotinsky di pronunciarsi, negli anni della guerra, a favore della creazione di un esercito ebreo destinato a combattere la Germania hitleriana.

b) Menahem Begin
Fino alla vittoria di Begin nel 1977 a capo del Likud, formazione politica erede del Bétar di Jabotinsky, la maggior parte degli storici del Sionismo avevano relegato il Revisionismo nel ghetto spirituale dei fanatici o addirittura dei lunatici esaltati. Ma nel 1977 il "fascista" Begin sale al potere in Israele e, fin dal suo primo discorso, si rifà esplicitamente alle idee di Jabotinsky, anche se aveva fatto parte dell'ala più radicale del Revisionismo, quella più vicina al fascismo e associata al B'ritj Ha Biryonim (il gruppo dei bruti), scavalcando a destra lo stesso Jabotinsky!
Dopo la seconda guerra mondiale Begin come leader del partito Hérout (Libertà) farà lavorare al quotidiano del partito il suo amico Abba Ahimert, ideologo estremista revisionista, che aveva scritto: (98).
Quando Begin si recò per la prima volta negli USA nel 1948, alcuni intellettuali ebrei, tra cui Einstein, Hannah Arendt e Sydney Hook, scrissero una lettera aperta al New York Times (4 dicembre 1948) in cui affermavano che il partito di Begin era . Begin non rinnegherà in nulla le sua vecchie idee estremiste: dopo di lui diverrà primo ministro di Israele il suo amico (e terrorista) Yitzhak Shamir, per il quale (99).

c) Revisionismo e nazismo
Nella primavera del 1936 una coppia di ebrei, i Tuchler, inviati dalla Federazione Sionista di Germania, ed una coppia di nazisti, i von Mildenstein, inviati dal N.S.D.A.P. e dalle SS., si ritrovarono alla stazione di Berlino dove presero il treno per Trieste e s'imbarcarono sulla Martha Washington per la Palestina. Lo scopo del viaggio era quello di fare un'indagine il più possibile completa e documentata sulle POSSIBILITÀ DI INSEDIAMENTO DI EBREI TEDESCHI IN PALESTINA. «Malgrado le dichiarazioni di principio e diverse misure specifiche (boicottaggio degli ebrei tedeschi a partire dal 1 aprile 1933), tutti gli storici sono d'accordo nell'ammettere che Hitler non aveva una politica d'insieme precisa sulla questione ebraica fino alla notte dei cristalli del 9-10 novembre 1938. Ciò lasciò campo libero all'Ufficio degli Affari ebraici delle SS, per esplorare le diverse politiche attuabili. Il viaggio del barone von Mildenstein fu una di esse. Ora Mildenstein era ufficiale superiore delle SS s'era interessato da molto tempo alla questione ebraica Fervente sionista, entrò nelle SS. e fu reputato uno dei più qualificati specialisti del Giudaismo. Fu lui che vide per primo l'interesse che si poteva trarre dalle organizzazioni sioniste, specialmente revisioniste Scrisse una serie di dodici lunghi articoli, molto documenteti, sul quotidiano berlinese Der Angrif di Goebbels, dal titolo Un nazista viaggia in Palestina. Vi esprimeva la sua ammirazione per il Sionismo e concludeva che "il focolare nazionale" ebreo in Palestina "indica un mezzo per guarire una ferita vecchia di molti secoli: la questione ebraica". Per commemorare tale visita fu coniata una medaglia, su richiesta di Goebbels. Una faccia era ornata dalla svastica nazista e l'altra dalla stella di David Le SS. erano divenute la componente più filosionista del partito nazista» (100). In seguito a questo viaggio il giornale delle SS. Das schwarze Korps proclamò ufficialmente il suo appoggio al Sionismo (101). Il 26 novembre lo stesso quotidiano rinnovava il suo appoggio al Sionismo: (102). Ancora, nel maggio 1935 Heyndrich in un articolo distingueva gli ebrei in due categorie dimostrando una forte predilezione per quelli che e Alfred Rosemberg scriveva che (103). Con l'avvento al potere di Hitler il Bétar fu la sola organizzazione a continuare ad uscire in parata in uniforme nelle strade di Berlino. Il 13 aprile 1935 la polizia della Baviera (feudo di Himmler e di Heyndrich) ammetteva eccezionalmente che gli aderenti al Bétar potessero indossare la loro uniforme. Questi cercavano così di spingere gli ebrei di Germania a CESSARE DI IDENTIFICARSI COME TEDESCHI e a farli innamorare della loro nuova identità nazionale israeliana (104). La Gestapo fece tutto il possibile per favorire l'emigrazione verso la Palestina; ancora nel settembre 1939 autorizzò una delegazione di sionisti tedeschi a partecipare al 21° Congresso sionista di Ginevra. Jabotinsky invece si era pronunciato per il boicottaggio della Germania, mentre Kareski, membro del movimento revisionista, perseguiva una politica di collaborazione con la Germania in vista di poter costituire lo Heretz Israel. Nel 1942 restava ancora in attività nella Germania un Kibbutz a Nevendorf per esercitare dei potenziali emigranti verso la Palestina. (105).

d) Un patto segreto tra la banda Stern e il terzo Reich
I dirigenti ebrei della gang Stern - incredibile ma vero - fecero ai nazisti una proposta di alleanza nel 1941 per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele. «Lo scarso equipaggiamento militare dell'Italia, sia in Libia che in Grecia, convinse Stern che l'Italia non aveva i mezzi per condurre a termine la sua politica, mentre la Germania nel 1940, riportava vittoria su vittoria. Tali successi impressionarono Stern, che si lanciò in un'avventura folle e senza uscita: formare un'alleanza con la Germania hitleriana. Stern lavora fino al febbraio 1941 (quando fu ucciso dagli inglesi) a concretizzare questo obiettivo, fondandosi su un'analisi insolita della situazione del Giudaismo. Per lui l'Inghilterra è il vero nemico, mentre la Germania è solo un OPPRESSORE che appartiene alla linea dei PERSECUTORI che il popolo ebreo ha incontrato durante la sua storia. Questo è l'errore più grande di Stern: vede nel Nazismo un movimento animato da un antisemitismo ragionevole» (106). All'inizio del 1941 Lubentchik, agente segreto della banda Stern, propone un patto militare tra l'Organizzazione militare sionista Irgun (una scissione della stessa banda) e la Germania, proposta nota col nome di testo di Ankara (107), trasmesso a Berlino l'11 gennaio 1941 e ritrovato tempo fa negli archivi dell'ambasciata tedesca in Turchia. In esso si legge: «I principali uomini di stato della Germania nazionalsocialista hanno spesso insistito sul fatto che un Ordine Nuovo in Europa richiede come condizione previa una soluzione radicale della questione ebraica, mediante l'emigrazione. L'evacuazione di masse ebree d'Europa è la prima tappa della soluzione della questione ebraica. Tuttavia, il solo mezzo per cogliere tale fine è l'installazione di queste masse nella patria del popolo ebraico, la Palestina, mediante lo stabilimento di uno Stato ebraico nelle sue frontiere storiche» (108). Lo Stato maggiore tedesco, tuttavia, decise di appoggiarsi nella lotta alla Gran Bretagna, agli arabi che erano milioni, piuttosto che agli ebrei, che non erano che un pugno di uomini (109). La veridicità di questo documento è stata messa in dubbio, ma Israël Eldadsnab, uno dei capi storici del gruppo Stern, ha confermato la verità dei fatti (110) e il settimanale Hotam affermò che tale documento era stato consegnato personalmente da Shamir e Stern. Quando il 10 ottobre Shamir divenne primo ministro dello Stato di Israele dopo il dicastero Begin, l'Associazione Israeliana dei combattenti antifascisti e delle vittime del Nazismo manifestò la sua indignazione in un telegramma al presidente Herzog nel vedere il posto di primo ministro occupato da (111). Se la banda Stern fu l'unico gruppo sionista revisionista a negoziare col Terzo Reich in piena guerra, le organizzazioni sioniste moderate non avevano esitato a farlo prima della guerra, in gran segreto. «I circoli nazionalisti ebrei sono molto soddisfatti della politica della Germania, poiché la popolazione ebrea in Palestina sarà da tale linea politica talmente accresciuta che in un futuro prossimo gli ebrei potranno contare su una superiorità numerica di fronte agli arabi» (112).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » gio mar 03, 2016 2:30 pm

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I rapporti tra Sionismo e Fascismo

a) La scuola navale del Bétar nell'Italia fascista
Già negli anni precedenti la prima guerra mondiale Jabotinsky aveva sviluppato una teoria sui FONDAMENTI RAZZIALI DELLE NAZIONI (Razza e nazionalità), i cui postulati coincideranno con la Dottrina dello Stato di Mussolini (113). «Sprovvisto di animosità nei confronti degli ebrei, Benito Mussolini considerava le organizzazioni sioniste revisioniste come movimenti fascisti. Fu così che fece allenare, a partire dal novembre 1934, dietro domanda di Jabotinsky, uno squadrone completo del Bétar a Civitavecchia, presso la scuola marittima, diretta dalle camicie nere. Durante l'inaugurazione del quartier generale degli squadroni italiani del Bétar, nel marzo 1936, un triplice canto ordinato dal comandante dello squadrone risuonò; "Viva l'Italia, il Re, il Duce!". Esso fu seguito dalla "benedizione" che il rabbino Aldo Lattes invocò, in italiano e in ebraico, per Dio, il Re, il Duce "Giovinezza" (l'inno del partito fascista) fu intonata dai betariani con molto entusiasmo. Mussolini ricevette inoltre la promozione di betariano nel 1936» (114). Mussolini fu anche il primo Capo di Stato a proporre la divisione della Palestina e la creazione di uno Stato ebraico (115). Jabotinsky tuttavia, al contrario dei suoi luogotenenti, non si proclamò mai fascista o nazista, anche se prese le difese di Mussolini in una serie di articoli scritti negli USA nel 1935 (116), mentre tale era considerato da molti capi israeliani, al punto che Ben Gurion lo chiamava Vladimir Hitler. Nel 1935 Mussolini confidò a David Prato, futuro gran rabbino di Roma che (117). I dirigenti sionisti non revisionisti fin dal 1922 avevano preso contatti con Mussolini, che ricevette i primi sionisti poco dopo la marcia su Roma, il 20 dicembre 1922, assicurando il gran rabbino di Roma che non avrebbe tollerato alcuna manovra antisemita (118). Ahimeir, principale leader del movimento revisionista palestinese negli anni trenta, riaffermò nel marzo 1962: (119).
b) Mussolini e il Sionismo
Occorre tuttavia precisare con De Felice che (120).
D'altronde «Dopo le sanzioni votate dalla Società delle Nazioni contro l'Italia, Mussolini tagliò i rapporti che fino ad allora aveva intrattenuto con i dirigenti sionisti e si avvicinò agli arabi, nel tentativo di scalzare le posizioni britanniche e francesi nel Medio Oriente» (121).
Per comprendere meglio l'attitudine di Mussolini verso il Sionismo giova leggere l'interessante Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo del De Felice, nella quale si vede come l'atteggiamento di Mussolini sia stato ondivago, a seconda se si trattava del Sionismo in Palestina o della partecipazione di cittadini italiani al movimento sionista (122).
«Verso il SIONISMO ITALIANO Mussolini nutriva tutti i pregiudizi e le diffidenze così diffusi tra nazionalisti e fascisti La convinzione che i sionisti avessero due "patrie" e neppure sullo stesso piano tra loro, per cui la prevalente sarebbe stata quella palestinese, urtava profondante il suo concetto monolitico ed esclusivistico della patria e gli rendeva automaticamente antipatici e sospetti i sionisti Verso il SIONISMO INTERNAZIONALE Mussolini nutriva invece, se non simpatia una certa benevolenza egli vedeva nel Sionismo (specie nei suoi gruppi di destra più accesi e antinglesi) un prezioso mezzo per inserire l'Italia negli avvenimenti mediterraneo-orientali e soprattutto un mezzo per creare difficoltà in quel settore all'Inghilterra La carta "Sionismo", così come da un certo momento in poi quella degli "arabi" era per Mussolini soprattutto un elemento del suo gioco mediterraneo... Che i sionisti, da parte loro, non rifiutassero il "rapporto" con l'Italia fascista è ovvio. Prima che Mussolini "cadesse sotto l'influsso di Hitler", l'Italia era uno dei paesi europei più liberali verso gli ebrei» (123).

Antisemitismo pagano e Sionismo

Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca (1906-1975) ha scritto considerazioni di grande interesse sulla natura del Sionismo: (124). E ancora: (125). La Arendt critica la definizione stessa del Sionismo data da Herzl, per il quale una nazione e afferma che «la conclusione cui giunsero questi sionisti fu che SENZA L'ANTISEMITISMO IL POPOLO EBRAICO NON SAREBBE SOPRAVVISSUTO per cui SI OPPOSERO A QUALUNQUE TENTATIVO DI LIQUIDARE L'ANTISEMITISMO SU LARGA SCALA. Al contrario, dichiararono che "I NOSTRI NEMICI, GLI ANTISEMITI, SAREBBERO STATI I NOSTRI AMICI PIÙ FIDATI E I PAESI ANTISEMITI I NOSTRI ALLEATI L'antisemitismo era una forza irresistibile e gli ebrei AVREBBERO DOVUTO UTILIZZARLA o ne sarebbero stati divorati (L'antisemitismo) era la forza motrice responsabile di tutte le sofferenze degli ebrei, e avrebbe continuato a causare sofferenza FINCHÉ GLI EBREI NON AVESSERO IMPARATO AD UTILIZZARLA A LORO VANTAGGIO. IN MANI ESPERTE QUESTA FORZA MOTRICE SI SAREBBE DIMOSTRATA IL FATTORE PIÙ SALUTARE NELLA VITA EBRAICA Tutto ciò che occorreva fare era usare la FORZA MOTRICE dell'antisemitismo che come l'onda del futuro avrebbe portato gli ebrei nella terra promessa» (126).

i rapporti tra sionismo usa e urss

«Il periodo della guerra [1939-1945] trasformò la comunità ebraica di Palestina in un organismo più forte, cosciente, proteso verso l'affermazione concreta dei propri ideali Gli anni della guerra avevano reso l'opinione pubblica americana estremamente sensibile al dramma dell'Ebraismo europeo ed avevano trasformato notevolmente la comunità ebraica che si era fatta più omogenea, influente ed aperta al Sionismo. In pochi anni l'interesse per questo movimento da sentimento prettamente filantropico si trasformò in una forma di partecipazione concreta» (127).
Paul Johnson ha affermato recentemente che (128).
Dopo la guerra il gioco decisivo era nelle mani delle grandi superpotenze (USA e URSS). L'America presentava lo Stato d'Israele come baluardo del mondo occidentale nel Medio Oriente. La politica miope dei liberalconservatori vedeva (e continua a vedere) come UNICO pericolo quello comunista (che è certamente enorme e non va sottovalutato neppure oggi), ma non riusciva a scorgere la portata apocalittica e teologica della fondazione dello Stato di Israele, e forse ignorava che: «Nell'immediato dopoguerra Stalin si presentò più volte come il paladino dei popoli colpiti dalla dominazione nazista, mostrandosi propenso a considerare le istanze degli ebrei che con sei milioni di vittime rivendicavano i propri diritti. Il rappresentante sovietico alle Nazioni Unite, Andrey Gromiko, sostenne che non si potava negare al popolo ebraico il diritto di avere uno Stato Approvò quindi il piano UNSCOP tra la sorpresa generale» (129). Secondo il Johnson «se complotto vi fu per fondare Israele, FU L'UNIONE SOVIETICA AD ESSERNE MEMBRO INFLUENTE. Durante la guerra, per ragioni tattiche, Stalin aveva sospeso la sua politica antisemita, creando perfino un Comitato ebraico antifascista. Dal 1944, per un breve momento, aveva adottato un atteggiamento filosionista in politica esteranel maggio 1947, Andrey Gromiko sorprese tutti annunciando che il suo governo era favorevole alla creazione di uno Stato ebraico» (130).
Chi invece comprese molto bene la portata della fondazione dello Stato d'Israele furono proprio gli ebrei: «In quella circostanza [la risoluzione del 1948, n.d.r.] gli ebrei di Roma, che tradizionalmente si erano imposti di non passare più sotto l'Arco di Tito, testimone del loro asservimento, in una solenne cerimonia ruppero questo simbolico divieto, attraversando l'Arco di Tito in senso opposto a quello del trionfo dell'imperatore romano» (131). (132).
Tuttavia con il 1949 i rapporti tra URSS e Israele cominciano ad incrinarsi.
Andrew e Leslie Cockburn, in un recente e ben documentato libro, gettano nuova luce sui rapporti tra USA, URSS e Sionismo: «Dopo molti decenni ed una guerra fredda, Andrei Gromyko, alzando una mano avrebbe dichiarato: "Con questa mano ho creato lo Stato di Israele" L'eloquenza di Gromyko si manifestò su ordine di Giuseppe Stalin, che, rispetto alla fondazione dello Stato d'Israele, non si era certo fatto influenzare dai sentimenti I russi avevano ottime ragioni per sostenere sia la resistenza armata ebraica contro il dominio britannico in Palestina, che la creazione dello Stato sionista, dal momento che lo Stato arabo era allora decisamente nella sfera di influenza dell'occidente. () Il sostegno diplomatico non fu l'unica forma d'incoraggiamento che Stalin diede alla lotta d'Israele per costruirsi e sopravvivere come Stato» (133). Lo Stato di Israele inoltre, ricevette aiuti bellici «dal regime comunista che prese il potere in Cecoslovacchia nel febbraio del 1948, un governo sotto l'occhio attento e vigile di Stalin. Nei mesi che precedettero la dichiarazione di indipendenza di Israele (maggio 1948), i servizi segreti militari statunitensi scoprirono l'esistenza di un regolare ponte aereo per il trasporto di armi tra Praga e il medio oriente (134). () Entro l'autunno del 1948 furono addestrati nelle varie basi cecoslovacche non meno di cinquantamila militari israeliani e quando questi partirono alla volta di Israele, il loro reparto prese il nome di Klement Gottwald, il dirigente comunista ceco» (135). Israele rese inoltre il favore alla Cecoslovacchia, fornendole preziose informazioni sulle più moderne armi americane, veri gioielli di un settore di tecnologia bellica altamente avanzata, nel quale i sovietici erano ancora assai arretrati. «Nel 1948, in almeno due occasioni, gli israeliani consegnarono ai cecoslovacchi esemplari di moderne armi americane Quando e come gli israeliani avessero ottenuto questi prodotti della tecnologia occidentale, poi consegnati ai sovietici, non si è mai saputo, ma evidentemente per lo Stato ebraico si trattava di un'operazione che valeva la pena di compiere» (136). Tuttavia il rapporto privilegiato con l'Est sovietico non doveva essere esclusivo poiché non era da solo sufficiente a fornire al Sionismo , al cui vertice vi era il presidente Trumann che inizialmente non si mostrò entusiasta ad appoggiare la creazione di uno stato ebraico in Palestina (137). Fu solo nel corso del suo secondo mandato che Trumann riconobbe formalmente lo Stato ebraico: «Spingere il presidente americano nel campo filo-israeliano era stata una mossa importante, ma ciò non comportò affatto per Israele la rottura dei suoi legami con i paesi dell'Est ed il suo passaggio nel blocco occidentale [in quanto] Israele voleva sia i capitali americani sia i due milioni di ebrei dell'Unione sovietica, ma non sembrava possibile ottenerli entrambi allo stesso tempo. E d'altra Parte il denaro serviva subito. La comunità ebraica americana aveva contribuito di tasca propria, e con ingenti somme, ad operazioni come l'acquisto di armi cecoslovacche» (138). Se l'Unione Sovietica si accontentava della neutralità di Israele, nel corso della guerra fredda gli Stati Uniti non erano per nulla soddisfatti di tale posizione. Tuttavia gli israeliani «nel timore di alienarsi del tutto i sovietici, tentarono di mantenere comunque un profilo basso e una certa neutralità Israele si trovava in un vicolo cieco: da una parte non osava impegnarsi troppo apertamente con gli americani per timore di tagliare tutti i legami con l'Est dall'altra, si trovava di fronte al problema di come continuare a mungere la "mucca" americana senza essere disposta né capace di dare qualcosa in cambio (139). In realtà c'era qualcosa che Israele poteva dare alla "mucca" americana, ma ciò doveva rimanere segreto» (140). Se era molto difficile per gli USA e la CIA contattare direttamente gli abitanti dell'Est ed averne preziose informazioni, «non rimaneva altro che trovare un posto dove vi fosse molta gente che avesse vissuto di recente in un territorio controllato dai sovietici. Tanto meglio poi se quel paese (Israele) aveva anche una consolidata esperienza di lavoro clandestino in quella parte del mondo ed un'organizzazione di servizi segreti altamente efficiente e ansiosa di collaborare con gli USA» (141). Questa tesi trova conferma anche nel libro di Ostrovsky, il quale asserisce che il Mossad dipende totalmente dagli ebrei che vivono fuori da Israele, i cosiddetti Sayanim, e non potrebbe funzionare senza di loro (142).

il sionismo e l'antico testamento

Ma qual è il piano di Dio? Gerusalemme è destinata dal Signore a ridiventare capitale di uno Stato ebraico? Il modo in cui si è realizzata la formazione dello Stato d'Israele corrisponde a ciò che deve essere il regno di Giuda secondo le profezie? Questa è la chiave della questione sionista: è una chimera o è una realtà? Lo studio teologico del piano di Dio darà una risposta.
La risposta si trova nelle profezie bibliche, che vanno però bene interpretate, in senso spirituale (e non temporale); infatti esse non predicono il ristabilimento del regno temporale d'Israele, ma preannunciano la fondazione della Chiesa romana, regno anzitutto e principalmente spirituale e celeste.
Già ai tempi della venuta di Cristo i dottori gli scribi e i farisei, interpretando alla lettera le profezie, si facevano un'idea del tutto terrestre e materiale del regno del Messia, ed è per questo che condannarono a morte Gesù, che predicava un regno principalmente spirituale (la Chiesa in terra e il Cielo nell'al di là) per tutti gli uomini. I sionisti di allora non furono contenti ed eliminarono il vero Messia. Ed è ancora con tale falsa interpretazione delle profezie messianiche che gli ebrei, sin dalla distruzione di Gerusalemme (70) e fino ai giorni nostri, continuarono a sperare nella ricostituzione del regno d'Israele.
La causa di tali false interpretazioni è, per la teologia cattolica, il disconoscimento del duplice oggetto di tali profezie: uno temporale, riguardante la restaurazione di Gerusalemme e dello Stato ebraico dopo la cattività babilonese (586 a. C.) e non dopo la morte del Messia e la distruzione di Tito (70); l'altro spirituale e riguardante la fondazione della Chiesa, l'Israele spirituale che deve condurre gli uomini di tutti i popoli in Cielo (la Gerusalemme celeste).
L'insigne teologo ed esegeta mons. Lémann scrive a questo riguardo: "È dopo aver misconosciuto il duplice oggetto delle profezie messianiche, l'uno temporale, relativo all'antica Gerusalemme terrestre, e l'altro spirituale, relativo alla Gerusalemme delle anime, opera del Messia, che il popolo ebraico s'è ingannato e s'inganna ancora. () Purtroppo il popolo ebraico si è attaccato e si attacca ancora alle IMMAGINI che rivestono la VERITÀ delle profezie Ed è una seconda e nuova riedificazione di Gerusalemme e del Regno di Giuda che molti di loro persistono a volere. CHIMERA! Il duplice oggetto delle profezie essendosi avverato, uno venticinque secoli fa, grazie alla riedificazione materiale di Gerusalemme dopo l'esilio babilonese, sotto Esdra e Nehemia; l'altro, diciannove secoli fa, grazie alla fondazione della Chiesa: Gerusalemme spirituale
Cercare di ricostruire una Gerusalemme terrestre è lo stesso che voler edificare l'ombra della realtà. Ora da diciannove secoli e per sempre la realtà, che è la Chiesa, ha dissipato l'ombra. Umbram fugat veritas!" (143).
Già Sant'Alfonso Maria de' Liguori aveva individuato questi errori: «Due furono gl'inganni de' Giudei circa il Redentore che aspettavano: il primo fu che quanto predissero i profeti de' beni spirituali ed eterni, de' quali dovea il Messia arricchire il suo popolo, essi vollero intenderlo de' beni terreni e temporali: Et erit fides in temporibus tuis, divitiae salutis, sapientia et scientia, timor Domini, ipse est thesaurus eius (Is. XXXIII, 6). Ecco i beni promessi dal Redentore, la fede, la scienza delle virtù, il santo timore: queste furon le ricchezze della salute promesse. Inoltre Egli promise che avrebbe recata la medicina a' penitenti, il perdono a' peccatori e la libertà a' cattivi del demonio: Ad annuntiandum mansuetis misit me, ut mederer contritis corde et praedicarem captivis indulgentiam et clausis apertiorem (Is. LXI, 1).
L'altro inganno de' Giudei fu che quello ch'era stato predetto da' profeti della seconda venuta del Salvatore, quando Egli verrà a giudicare il mondo nella fine de' secoli, vollero intenderlo della prima venuta. Scrisse bensì Davide del futuro Messia ch'egli dovea vincere i principi della terra ed abbattere la superbia di molti e, colla forza della spada, distruggere tutta la terra: Dominus a dextris tuis: confregit in die irae suae reges. Iudicabit in nationibus conquassabit capita in terra multorum (PS. CIX, 5 et 6). Ed il profeta (Gioele II, 11) [leggi Geremia XII, 12] scrisse: Gladius Domini devorabit ab extremo terrae usque ad extremum eius. Ma ciò s'intende già della seconda venuta, quando verrà da giudice a condannare i malvagi; ma parlando della prima venuta, nella quale dovea venire a consumare l'opera della Redenzione, troppo chiaramente predissero i profeti che il Redentore dovea fare in questa terra una vita povera e disprezzata. Ecco quel che scrisse il profeta Zaccaria parlando della vita abbietta di Gesù Cristo: Ecce rex tuus venit tibi iustus et salvator: ipse pauper et ascendens super asinam et super pullum filium asinae (Zach. IX, 9)» (144).

il sionismo e il nuovo testamento

Gesù, per ben quattro volte, ha profetizzato riguardo al futuro del Tempio di Gerusalemme; una prima volta ha annunciato il suo abbandono da parte di Dio (Lc. XII, 34,35): "ecco che la vostra casa sarà ABBANDONATA" (l'aggettivo deserta riportato nella Vulgata non si trova nel testo greco). Tale sentenza annuncia l'abbandono del Tempio da parte di Dio: Gesù non chiama più il Tempio la MIA casa o la casa del PADRE MIO, ma la VOSTRA casa.
Una seconda volta Gesù predice la distruzione da cima a fondo del Tempio: "Non lasceranno (i tuoi nemici) di te PIETRA SU PIETRA" (Lc. XIX, 41-44).
Una terza volta Gesù predice che il Tempio sarà reso come deserto: "Ed ecco che la vostra casa vi sarà lasciata DESERTA" (Mt. XXIII, 37-38). Questo è un nuovo annuncio, più solenne, che Dio avrebbe abbandonato il Tempio dove abitava. Gesù ripete due volte tale abbandono del Tempio, poiché gli ebrei avevano la folle confidenza che il Tempio, essendo la casa di Dio, li avrebbe risparmiati da qualsiasi calamità. Gesù perciò vuole togliere loro una tale fiducia, ripetendo l'annuncio dell'abbandono ed anzi per far meglio capire la gravità di tale abbandono aggiunge qui la terribile parola deserta, a significare che il Tempio è destinato a cadere in rovina.
Gesù infine si è pronunciato una quarta volta, giurando addirittura che il Tempio sarebbe stato distrutto insieme con le sue stesse rovine: "In verità vi dico non resterà pietra su pietra CHE NON SIA DISTRUTTA" (Mt. XXIV, 2). Ebbene Dio ABBANDONÒ il Tempio quando Gesù fu messo a morte ed il velo del Tempio si strappò in due (Mc. 15, 38; Lc, 23, 45). Il Tempio fu DISTRUTTO da Tito, che fece demolire dai soldati le mura del Tempio incendiato. Restavano le FONDAMENTA, che, al tempo di Giuliano l'Apostata, FURONO DIVELTE proprio dagli ebrei stessi i quali le avevano dissotterrate nella speranza di scavarne delle nuove e di ricostruire il Tempio, cosa che non fu possibile a causa di un fuoco sprigionatosi dalla terra e di numerosi terremoti, "che inghiottironociò che restava delle fondamenta del Tempio" (145). Ecco compiuta la quarta promessa, le rovine stesse del Tempio sono state distrutte: "Lapis super lapidem qui non destruatur" (Mt. XXIV, 2). Tale distruzione, secondo la Tradizione, non è soltanto totale, ma DEFINITIVA! San Giovanni Crisostomo asserisce: "nessuno può distruggere ciò che Gesù Cristo ha edificato, così nessuno può riedificare ciò che ha distrutto. Egli ha fondato la Chiesa e nessuno potrà mai distruggerla; Egli ha distrutto il Tempio e nessuno potrà mai riedificarlo" (146).

CiÒ che GesÙ ha profetizzato riguardo a Gerusalemme

Due cose ha profetizzato Gesù: la distruzione di Gerusalemme e la sua sorte dopo la distruzione, quando essa dovrà essere "calpestata dai pagani, sino a che i tempi delle nazioni siano compiuti" (Lc. XXI, 24).
Dopo la distruzione, operata da Tito nel 70, Gerusalemme fu effettivamente ancora occupata, saccheggiata, calpestata e dominata da diversi popoli pagani. Venti volte conobbe l'invasione e il saccheggio! Cominciarono le legioni di Adriano nel 130; nel 613 fu la volta dei persiani, ai quali seguì nel 627 Eraclio e nel 636 il califfo Omar. Una quinta ed una sesta volta fu occupata tra il 643 e l'868, quando la dinastia degli Omniadi cadde e fu sostituita dagli Abassidi. Nell'arco di circa duecento anni subì nove invasioni: nel 868 dal sovrano egiziano Ahmed, nel 905 dai califfi di Baghdad, nel 936 da Maometto-Ikhschid, nel 968 dai Fatimiti, nel 984 dal turco Ortok, e in seguito dal califfo d'Egitto, nel 1076 dal turco Meleschah, poi dagli Orokidi e ancora nel 1076 dai Fatimiti. La sedicesima volta furono i crociati che entrarono a Gerusalemme alle quindici del venerdì 15 luglio del 1099, alla stessa ora della morte di Gesù Cristo. Nel 1188 fu Saladino che tolse ai cristiani i luoghi santi, nel 1242 il sovrano d'Egitto Nedjmeddin, nel 1382 i Mammalucchi e infine nel 1516 i Turchi con Séhim I.
Sul versetto evangelico che segue la predizione della soggezione di Gerusalemme ai pagani "fino a che i tempi delle nazioni non siano compiuti" si danno due interpretazioni: per la prima, sostenuta da S. Giovanni Crisostomo (II oratio contra Judeos) le parole di Cristo significano "fino a che non vi siano più nazioni", cioè FINO ALLA FINE DEL MONDO, e quindi esclude la possibilità che Gerusalemme possa diventare mai la capitale di uno Stato ebraico. Per la seconda, invece, Gerusalemme sarà calpestata fino a che la pienezza delle nazioni non sia entrata nella Chiesa con la conversione di Israele, in base alle parole di San Paolo (Rm. XI, 25-26): "L'accecamento ha colpito in parte Israele, fino a che la pienezza dei gentili sia entrata, e così tutto Israele sia salvato". Questa tesi esclude anche, con l'entrata progressiva delle nazioni nella Chiesa e la salvezza finale di Israele, la ricostruzione del regno d'Israele, come dimostrano anche l'abbé Lémann e Mons. Spadafora (147).

GESÙ E IL REGNO DI ISRAELE

Il giorno dell'Ascensione gli Apostoli, non ancora ripieni di Spirito Santo, erano imbevuti di sogni di gloria e felicità temporale, come tutti gli ebrei di quell'epoca che aspettavano un Regno terrestre del Messia guerriero e conquistatore. E siccome Gesù aveva parlato loro in quel giorno del Regno di Dio e della discesa dello Spirito Santo, ecco che le loro speranze di regalità temporale si risvegliarono e chiesero a Gesù: "Maestro, è ora che realizzerai il Regno di Israele?" (148). Nella risposta di Gesù ["Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato al suo potere. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo che scenderà su di voi e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino alle estremità della terra" (149)] vi è un insegnamento indiretto riguardo al ristabilimento del regno di Israele, in quanto nell'eleggere i discepoli come suoi testimoni fino alle estremità del mondo, Nostro Signor Gesù Cristo faceva loro capire che NON SI TRATTAVA per Lui DI RENDERE ALLA NAZIONE EBREA IL SUO REGNO TEMPORALE, ma di fondare, tramite il loro ministero apostolico, il Regno di Israele spirituale, la Chiesa (Verus Israël) che da Gerusalemme avrebbe dovuto diffondersi in tutto il mondo.
Questo è il Regno di Israele che Gesù Cristo è venuto a fondare, Regno delle anime, Regno dei Cieli: la Chiesa qui in via, e il Paradiso in Patria! Nessun accenno ad uno Stato di Israele che riapparirà a Gerusalemme.
Alla obiezione spontanea che attualmente Gerusalemme è nuovamente la capitale di uno Stato ebraico, che la Palestina è il Regno d'Israele occorre dare una risposta ampia e articolata.
Il fatto che Dio abbia permesso il ritorno di una gran massa di ebrei in Terra Santa non solo non contraddice le profezie di Gesù Cristo ma LE COMPIE, in quanto le Scritture ci parlano, anche della conversione di Israele al Cristianesimo. E Mons. Lémann stesso vedeva in tale movimento verso la Palestina una PREPARAZIONE AL RAGGRUPPAMENTO imponente di ebrei che sarà necessario perché LA LORO CONVERSIONE IN MASSA appaia EVIDENTE AL MONDO INTERO.
E il ritorno in massa del popolo ebraico nella Terra Santa implica veramente la realizzazione STRETTA E FORMALE del Sionismo? Prima della sua conversione al Cristianesimo il popolo ebraico ritroverà il possesso COMPLETO ED INDIPENDENTE del paese dei suoi avi? La storia fino ad ora ha risposto. Il possesso non è PIENO, COMPLETO ed ESCLUSIVO. Inoltre lo Stato di Israele per essere VERO E LEGITTIMO Regno d'Israele dovrebbe essere teocratico ed avere perciò il terzo Tempio. Ora, come affermano tutti gli ebrei ortodossi, il Sionismo attuale non è riuscito a far rivivere tale stato di cose, anzi non ha voluto neppure provarci per principio; pertanto lo Stato di Israele è soltanto MATERIALMENTE, ma non FORMALMENTE, il Regno sognato dai talmudisti. Inoltre gli ebrei non hanno ancora il pieno possesso della Terra Santa, che devono spartire, in stato di guerra continua, con lo Stato palestinese (150).
Secondo Mons. Lémann, anche DOPO LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO, gli ebrei non potranno ristabilire il Regno d'Israele, non saranno cioè rimessi da Dio nel paese dei loro avi in cui godranno la pace più profonda, perché il ritorno di Israele nella terra promessa deve essere interpretato in senso spirituale e metastorico, cioè come la conversione e il rientro d'Israele nella Chiesa di Cristo, il Verus Israël.
Altri esegeti affermano invece che Israele sarà ristabilito in Palestina e che vi formerà uno Stato [cristiano, dal momento che si parla di Israele convertito] (151).
La conversione futura degli ebrei è ammessa comunemente dai teologi cattolici, tra i quali alcuni affermano che gli ebrei, ritornati a Cristo e incorporati alla Chiesa, saranno ricondotti provvidenzialmente in Palestina dove restaureranno Gerusalemme ed anche il Tempio, ma in onore di Gesù Cristo. S. Beda afferma, ad esempio: "Quando Israele si convertirà non è temerario sperare che ritornerà sul suolo dei suoi padri, che riprenderà il possesso di Gerusalemme per abitarvi" (152). Questa opinione tuttavia, anche se riprende quelle profezie che annunciano il ristabilimento del Regno d'Israele ed è seguita da alcuni esegeti, sembra rinnovare nel fondo l'errore del Giudaismo talmudico, che si ferma al significato letterale delle profezie senza coglierne quello spirituale. Anche l'opinione che gli ebrei convertiti ricostruiranno il Tempio in onore di Gesù Cristo è respinta da Mons. Lémann in quanto contraria a tutta l'economia del Nuovo Testamento: infatti il Tempio aveva, oltre la destinazione immediata al culto divino dell'Antica Alleanza, - ormai revocata - un significato simbolico (153), era figura del TEMPIO FUTURO fondato da Dio stesso, la Chiesa romana. Il Santo rappresentava la Chiesa militante e il Santo dei Santi quella trionfante. Ora che la realtà ha sostituito la figura non vi è più motivo di ricostruire un Tempio che era eminentemente figurativo.

La sorte di Gerusalemme fino alla fine del mondo.

Su questo argomento esistono due tesi; la prima afferma che quando i tempi delle nazioni saranno compiuti Gerusalemme non conoscerà la convivenza con l'Islàm e diverrà una capitale cristiana, mentre l'altra, più sicura, asserisce che GERUSALEMME SARÀ CALPESTATA FINO ALLA FINE DEL MONDO a causa del deicidio.
Anche le parole di Gesù "Gerusalemme sarà calpestata dai pagani, fino a che i tempi delle nazioni siano compiuti" (154), vengono spiegate in modo diverso: per alcuni significano che Gerusalemme cesserà di essere calpestata quando il Vangelo sarà predicato ovunque nel mondo intero e Israele si convertirà divenendo uno Stato cristiano; la maggior parte degli esegeti, però, sostiene che Gerusalemme sarà calpestata fino alla fine del mondo, secondo la tesi di san Giovanni Crisostomo: «Mai Gerusalemme gioirà di un pieno e tranquillo splendore Essa presenterà sempre i segni della desolazione decretata. Se arrivasse l'Anticristo, nell'avvenire, e riuscisse a darle uno splendore anticristiano, esso sarà soltanto FITTIZIO E PASSEGGERO. Credere il contrario significa illudersi Se "l'uomo del peccato, il figlio della perdizione"(II Tess. 2,3), per cercare di far mentire le profezie, tenterà di rendere a Gerusalemme il suo splendore passato, immediatamente essa cadrà sotto il colpo di una maledizione simile a quella che pronunciò Giosuè contro chiunque tentasse di ricostruire le mura di Gerico: "maledetto sia davanti al Signore" Lo stesso avverrà per il tentativo dell'Anticristo Per far sparire lo splendore che Gerusalemme non deve più conoscere [e qui si vede la gravità del piano di Giovanni Paolo II in Tertio Millennio Adveniente] (155) un miracolo di vendetta divina colpirà l'Anticristo e bloccherà il suo braccio» (156).

Roma contro Gerusalemme

«Vi sono due città quaggiù riguardo alle quali le macchinazioni degli uomini resteranno impotenti: Roma e Gerusalemme Roma sede del Vicario di Cristo, non cesserà mai di esserlo. Leone XIII lo ha proclamato una volta di più nella sua Enciclica relativa al Giubileo del 1900: "Il segno divino, che è stato impresso a questa città, non può essere alterato né dalle macchinazioni umane né da alcuna violenza. Gesù Cristo Salvatore del mondo, ha scelto, sola tra tutte, la città di Roma per una missione più alta ed elevata che le cose umane, e se l'è consacrata. Ha deciso che il trono del suo Vicario vi restasse in perpetuo". Ma se Roma deve restare fino alla fine del mondo la sede indistruttibile del regno di Cristo e del Papato, Gerusalemme, al contrario, non ridiverrà mai la capitale né il seggio di un nuovo regno d'Israele. Un marchio divino è stato ugualmente impresso su di essa, quello del castigo. Né le combinazioni umane, né alcuna violenza non saprebbe farlo scomparire» (157).

Il Sionismo e l'Anticristo

È sentenza comune dei Padri della Chiesa (158) che gli ebrei devono ricevere e acclamare l'Anticristo come loro Messia e che Gerusalemme non ridiverrà la capitale di uno stato ebraico (perfettamente e completamente) neanche sotto il Regno dell'Anticristo e grazie al suo aiuto. Per ben capire la portata di tale asserzione occorre prima risolvere la questione di quale sarà la sede dell'Anticristo, per la quale esistono due opinioni.
Secondo la prima l'Anticristo avrà come sede del suo regno Gerusalemme; molti sono i sostenitori di questa tesi e tra questi S. Ireneo (159), Lattanzio (160), Sulpizio Severo (161), San Roberto Bellarmino (162), Cornelio a Lapide (163), Francisco Suarez (164). Essa si fonda sull'Apocalisse in cui san Giovanni afferma che Enoch ed Elia, avversari dell'Anticristo, saranno uccisi (165), cioè a Gerusalemme dove quindi l'Anticristo, avrà prima posto la sede del suo regno.
La seconda opinione afferma invece che la capitale del regno dell'Anticristo sarà Roma, perché, per i sostenitori di questa tesi, il testo dell'Apocalisse non si riferisce necessariamente a Gerusalemme come sede dell'Anticristo, il quale potrebbe ordinare la soppressione dei due testimoni in quella città, avendo però altrove la sua sede; anzi per opporsi meglio a Cristo (166). Coloro che preparano il suo regno (gli anticlericali di ogni sorta), sembrano averlo compreso molto bene, infatti «è CONTRO ROMA che si sono coalizzati, da svariati anni gli sforzi dei massoni e degli ebrei, questi formidabili preparatori della potenza dell'Anticristo. Una volta stabilitosi a Roma, "terra di gloria" nulla sarà più facile all'Anticristo che rendersi a Gerusalemme. È là, in effetti che l'attende, secondo la profezia di Daniele, la vendetta di Dio» (167).
Ma anche nel caso in cui l'Anticristo si stabilisse a Gerusalemme, non per questo si realizzerà il sogno del Sionismo, perché questi non avrà come fine quello di ristabilire il Regno di Israele e di realizzare così le profezie, ma solo di farsi adorare come Dio, per cui (168) e aperti gli occhi si convertirà a Gesù Cristo guardando Colui che hanno trafitto.
Per quanto riguarda il Tempio, poi, ci si può chiedere se l'Anticristo arriverà a ricostruirlo in odio alle profezie di Gesù Cristo e per cercare di smentirle o screditarle; alcuni Padri ed esegeti, tra cui san Ireneo, san Cirillo di Gerusalemme, Suarez, lo affermano, interpretando alla lettera le parole di san Paolo (169). Molti altri Padri invece intendono metaforicamente la parola Tempio, che non è quello di Gerusalemme. Per san Girolamo siederà nel Tempio di Dio: vale a dire o in Gerusalemme, o nella Chiesa e ciò mi sembra più vero [vel in Ecclesia, ut verius arbitramur] (170). Della stessa opinione sono anche san Giovanni Crisostomo (171) e Teodoreto che spiega anche il modo in cui avverrà: (172).
Ma pur ammesso che l'Anticristo cerchi di ricostruire il terzo Tempio, non per questo si avvereranno le speranze del Sionismo, perché lo scopo non sarà la gloria di Jahwé, ma il suo culto personale in sostituzione di quello di Dio. Inoltre «tale tentativo sarà talmente imperfetto che il Tempio non sarà ricostruito NEL SENSO STRETTO o proprie loquendo Il Tempio non potrà essere ricostruito FORMALITER, poiché l'impresa avrà per oggetto non il culto del vero Dio, ma quello dell'Anticristo. Poiché benché all'inizio, l'Anticristo, per ingannare gli ebrei, simulerà di voler ricostruire il Tempio per il culto di Dio, in realtà e nel segreto del suo cuore, agirà solo per la sua gloria e per farsi adorare» (173).

Conclusione: l'attuale Stato di Israele È il regno messianico?

Il Sionismo attualmente realizzatosi è l'avverarsi di un BEL SOGNO o è una CHIMERA? Dopo aver visto la risposta dell'ebreo convertito Augustin Lémann nel 1901 esaminiamo quanto affermano oggi storici e politologi di diversa estrazione di pensiero. Secondo Paul Johnson la nuova Sion era stata concepita come risposta all'antisemitismo del XIX secolo e pertanto non aveva alcun fondamento né fine religioso, ma era solo «uno strumento politico e militare per la sopravvivenza del popolo ebraico L'essenza del Giudaismo era che l'esilio sarebbe finito per un evento metafisico, in un momento stabilito da Dio, non per una soluzione politica escogitata dall'uomo. Lo Stato sionista era semplicemente un nuovo Saul, suggerire che fosse una forma moderna del Messia era non soltanto sbagliato, ma blasfemo. () Poteva soltanto generare un altro falso messia» (174). Gershom Scholem, grande studioso di mistica ebraica, ammoniva: (175).
«Il Sionismo non aveva posta - secondo il Johnson - per Dio come tale ecco perché fin dal principio la maggior parte degli ebrei osservanti considerarono il Sionismo con sospetto o con decisa ostilità e alcuni ritennero che fosse OPERA DI SATANA La creazione dello Stato sionista non era un reingresso ebraico nella storia, un Terzo Stato, ma l'inizio di un esilio nuovo e molto più pericoloso Il Sionismo era 'ribellione' contro il Re dei re lo Stato ebraico sarebbe finito in una catastrofe peggiore dell'olocausto» (176).
Le ultimissime recenti stragi hanno fatto scrivere a Fiamma Nirestein: «SMARRIMENTO. Israele, che ha per pietra angolare il concetto della sicurezza dello Stato ebraico, che è nato deciso a riscattare per sempre la storia giudaica dal sentimento di inevitabile e continuo pericolo, si trova forse per la prima volta dal 1948, anno della sua fondazione, a non sapere che fare, a percepire, a causa degli attacchi omicidi-suicidi che si susseguono implacabilmente, un senso di vuoto, di perdita, di SMARRIMENTO appunto» (177).
Lo stesso disagio evidenzia, sempre su La Stampa, Avraham Ben Yehoshua:
Negli ultimi tempi la stampa israeliana dedica molto spazio all'eventualità di una guerra civile. Il trauma di una guerra fratricida si accompagna al ricordo della perdita della sovranità Nell'anno 70 Gerusalemme fu conquistata ma alla disfatta militare conribuì una guerra fratricida combattuta tra coloro che si erano scelti per nome 'zeloti' e i cosiddetti 'sadducei'. Questa guerra interna indebolì lo Stato ebraico e preparò il terreno alla sconfitta militare definitiva, ed è per questo che ogni sintomo di possibile lotta di questo genere risveglia un ricordo doppiamente traumatico In fondo i motivi di divisione erano gli stessi che si riscontrano oggi nella società israeliana. Si tratta della lotta tra due diversi codici il codice religioso e quello nazionale Si è tornati [oggi] in un certo senso all'antico conflitto tra i due codici non ci si deve stupire perciò se tra i più violenti oppositori al governo attuale ci sono numerose persone che esibiscono la propria religiosità. Sono loro gli esponenti di punta di un'opposizione che rischia di diventare violenta. Perché il codice religioso, che si esprime nella sacralizzazione della terra di Israele, ha la meglio su quello nazionale Come per gli zeloti non era assurdo ribellarsi contro l'Impero romano. Così per i religiosi contemporanei non c'è niente di male nel continuare l'assurda dominazione su un popolo che rappresenta circa il cinquanta per cento della sua stessa popolazione senza concedere i diritti civili C'è quindi la possibilità che questi fattori [USA e Europa, n.d.r.] contribuiscano ad impedire che i sostenitori del codice religioso scatenino una guerra civile dagli esiti DIFFICILMENTE PRONOSTICABILI» (178).
«Israele il giorno dopo la grande sciagura [la morte di Rabin, n.d.r.] la grande paura degli israeliani ha un nome blasfemo: guerra civile. Inutile nascondersi dietro un dito. Israele corre e correrà codesto rischio mostruoso, devastante, se colui che ha raccolto il testimone non agirà in fretta» (179).
Sembra quasi di cogliere il dubbio o il timore che il Sionismo, lungi dal rappresentare un magnifico successo, possa trasformarsi in un TERRIBILE SCACCO.
Al termine dell'analisi del Sionismo si ritorna al punto iniziale: tutto ciò che riguarda il problema ebraico è problema esclusivamente religioso: già san Gregorio Magno affermava che (180). Il motivo può essere trovato nelle parole stesse della Nirenstein: Israele ha rigettato la vera pietra d'angolo Nostro Signor Gesù Cristo (che avrebbe dovuto riunire gli ebrei ai pagani nell'unica chiesa di Dio, come la pietra d'angolo fa da base a due muri della casa) e ve ne ha sostituita un'altra, il concetto della SICUREZZA dello Stato ebraico; ma mai l'uomo sarà sicuro se non fonda ogni sua speranza in Dio e nel suo Unigenito Gesù Cristo (181). Allora la sostituzione di un Messia personale con un'idea astratta è alla base dello scacco del Sionismo, è la ragione profonda della situazione di SMARRIMENTO constatata dalla Nirenstein, nonostatnte l'opulenza e la potenza attuale dello Stato d'Israele, perché il cuore dell'uomo non troverà pace finché non riposerà in Colui che l'ha redento e che nel Vangelo aveva predetto: «La pietra [Cristo] che riprovarono gli edificanti [i giudei] è diventata PIETRA ANGOLARE [che unisce in una sola Chiesa i due popoli, il pagano e l'israelita]. Chiunque cadrà su questa si sfracellerà ed essa stritolerà colui sul quale cade [cioè colui che per disprezzo l'avrà voluta rimuovere]» (182).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » gio mar 03, 2016 2:30 pm

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Bibliografia

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- Bidussa, Il Sionismo politico, Unicorpi Milano 1993.

Note

1) "Negli ultimi venticinque anni del XIX secolo, un nuovo tipo di movimento prese forma nell'Europa orientale con l'obiettivo di promuovere il ritorno degli ebrei nella terra d'Israele Molte autorità ortodosse si opposero a quanto secondo loro era un'arrogante appropriazione del ruolo del Messia Nel 1890 un giornalista viennese, Theodor Herzl, fu inviato a Parigi per riferire dell'affare Dreyfus Herzl, un ebreo non religioso, fu indignato dall'antisemitismo di molti oppositori di Dreyfus. Divenne profondamente convinto che non poteva esservi libertà e uguaglianza per gli ebrei se non nella loro terra. Così Herzl fondò il Movimento sionista, un'organizzazione dedicata a promuovere la causa di uno stato ebraico in terra d'Israele allora dominato dalla Turchia Durante la prima guerra mondiale (1917) la Gran Bretagna emanò un documento in cui appoggiava il concetto di Palestina come sede di un focolare nazionale ebraico. Così dopo aver conquistato quella terra ai turchi, la Gran Bretagna ricevette un mandato sui territori della Società delle nazioni Nel 1947 la Gran Bretagna informò le Nazioni Unite di voler abbandonare il suo mandato sulla Palestina l'ONU votò la spartizione della Palestina in due stati separati: uno ebraico e l'altro arabo e mise Gerusalemme sotto una giurisdizione internazionale. I paesi arabi si rifiutarono di accettare questa soluzione e cinque di essi mandarono i loro eserciti in Palestina appena se ne andarono via gli inglesi La dirigenza ebraica proclamò la nascita dello Stato d'Israele al termine della sovranità britannica il 14 maggio 1948. Le forze militari israeliane riuscirono a sconfiggere sul campo gli eserciti arabi, e Israele si appropriò di un territorio più vasto di quello previsto dal piano di spartizione dell'ONU. Lo Stato ebraico riuscì ad occupare anche una parte di Gerusalemme a eccezione della Città Vecchia [essa] ed alcuni territori abitati dalla maggioranza di arabi rimasero occupati dalle forze militari giordane e furono chiamati la Riva occidentale (West bank) Nel 1967 Israele lanciò una azione preventiva contro l'Egitto Le forze militari israeliane riuscirono ad occupare la penisola del Sinai, la Riva occidentale e la città vecchia di Gerusalemme, il conflitto durò sei giorni. Nel 1973 l'Egitto attaccò le forze militari israeliane nel Sinai: in quell'occasione l'esito non fu conclusivo come per il passato l'Egitto era riuscito a rspingere un'avanzata israeliana sui suoi territori". Cfr.R. A. ROSEMBERG, l'Ebraismo, storia, pratica, fede, Mondadori, Milano 1995, pagg. 170-174.
2) A. Lémann, L'avenir de Jerusalem, Paris 1901, pag. 3.
3) Che cos'è il Sionismo, a cura del Centro d'informazione di Israele, Gerusalemme 1990.
4) A. Lémann, op. cit., pag. 11.
5) A. Lémann, op. cit., pag. 353.
6) Sodalitium, n° 39, pagg. 58-61; n° 40, pagg. 54-56.
7) A. Lémann, op. cit., pag. 26.
8) Cfr. M. Blondet, I fanatici dell'Apocalisse, Il Cerchio, Rimini 1992.
9) A. Lémann, op. cit. , pag. 26.
10) Ibidem, pag. 41.
11) Ibidem, pag. 43. Si veda anche, a questo proposito: L. Poliakov, I banchieri ebrei e la Santa Sede, Newton Compton, Roma 1974.
12) Archives isräelites, anno 1862, pag. 309.
13) A. Lemann, op. cit., pag, 65.
14) P. Sella, Prima d'Israele, ed. L'uomo libero, Milano 1990, pagg. 19-21.
15) P. Sella, op. cit, pag. 25.
16) P. Sella, op. cit, pagg. 26.
17) P. Sella, op. cit, pag. 36.
18) P. Sella, op. cit, pag. 162.
19) P. Sella, op. cit, pag169.
20) P. Sella, op. cit, pag. 224.
21) P. Sella, op. cit, pag. 234.
22) P. Sella, op. cit, pag.240.
23) Non può non sorprendere a questo proposito, l'intervista concessa dall'on. Fini al Jerusalem Post e riportata dal Secolo d'Italia col titolo Abbiamo un amico a Roma, a cura di Dennis Eisemberg e Uri Dan, ex agente del Mossad e autore di Mossad, 50 ans de guerre secrète (Presse de la cité, Paris 1995). Alla dichiarazione di Fini che [4 luglio 1995, pag. 5] gli intervistatori commentano: .
24) P. Guzzanti, Tel Aviv, anima ribelle d'Israele, in La Stampa. 15 /7/1995, pag. 9.
25) A. Lemann, op. cit., pag. 70.
26) A. Lemann, op. cit., pag. 71. Si veda anche Le Réveil d'Israël, luglio 1898.
27) A. Lemann, op. cit., pag. 71.
28) Archives israëlites, 23 settembre 1897.
29) A. Lemann, op. cit., pag. 77.
30) Archives israëlites, 20 settembre 1897.
31) M. Dreyfuss, Gran rabbino di Parigi, in Archives israëlites, 23 settembre 1897.
32) Archives israëlites, 15 settembre 1898.
33) Cf. Le Réveil d'Israël, ottobre 1899.
34) A. Lemann, op. cit., pag. 122.
35) La croix, 10 marzo 1895.
36) E. Ratier, Mystères et secrets du B'naï B'rith, ed. Facta, Paris 1993.
37) A. Lemann, op. cit., pag. 180 .
38) B'naï B'rith, The first Lodge of England, 1910- 35, Paul Goodman, stampato dalla Loggia, Londra 1936.
39) M. Honigbaum, B'naï B'rith journal, giugno 1988.
40) B'naï B'rith Magazine, supplement, febbraio 1925
41) E. Ratier, op. cit., pag.183.
42) E. Ratier, op. cit., pag.188.
43) E. RATIER, op. cit., pag. 190.
44) Samuel Happerin, The Polittical World of American Zionism, edito da Informations Dynamics Inc., 1985.
45) E. Ratier, op. cit., pag. 202.
46) F. Tagliacozzo-B. Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, La Nuova Italia, Firenze 1993, pag. 114.
47) Teodoro Herzl, Lo Stato Ebraico, Roma 1955, pag. 77.
48) F. Tagliacozzo- B. Migliau, op. cit., pag. 115.
49) Tom Segev, Le septiem million, ed. Liana Levi, Jerusalem, 1991 (1993).
50) Barbara Spinelli, in La Stampa, 27 aprile 1995, pagg. 1-6.
51) F. Tagliacozzo-B. Migliau, op. cit., pag. 120.
52) A. Lemann, op. cit., pag. 136.
53) S. Ferrari, Vaticano e Israele, Sansoni, Firenze 1991, pag. 9. Cfr. H. F. Köck, Der Vatikan und Palëstina, Wien-München, Herold 1973, pag. 40.
54) Pasquale Baldi, La Questione dei Luoghi Santi in generale, Bona, Torino 1919, pagg. 85-87.
Cfr. A. Baudrillart, Jérusalem délivrée, Beauchesne, Paris 1918 ed E. Julien, La délivrance de Jérusalem, Imprimerimeries reunies, Boulogne-sur-Mer 1917.
55)S. Sayegh, Le Statu quo des Lieux Saints, Pontificia Università Lateranense, Roma 1971.
56) S. Ferrari, op. cit., pag. 11.
57) S. Ferrari, op. cit., pag. 12. cfr. anche: S. I. Minerbi, Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, Bompiani, Milano 1988, pag. 39.
58) G. Verrucci, La Chiesa nella società contemporanea, Laterza, Bari 1988, pagg. 10-11.
59) S. Ferrari, op. cit., pag. 13. Cfr. Anche: G. Alberigo-A. Riccardi, Chiesa e papato nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari 1990.
60) S. Ferrari, op. cit., pag. 13-14.
61) S. I. Minerbi, Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, Bompiani, Milano 1988, pag. 189. Dello stesso autore vedasi anche Il Vaticano e la Palestina durante la prima guerra mondiale, in Clio 1967, pagg. 433-435, e E. Farhat, Gerusalemme nei documenti pontifici, Città del Vaticano 1987, Libreria editrice Vaticana.
62) Allocuzione Causa nobis, 13 giugno 1921, AAS, XII, 1921, pagg. 281-285.
63) Ibidem.
64) Su questo argomento vedasi G. Castelli Cavazzana, L'opera per la preservazione della fede in Palestina, ed. Cavalieri del Santo Sepolcro, Milano 1933;
C. Crivelli, Protestanti e cristiani orientali, ed. La Civiltà Cattolica, Roma 1944, pagg. 397-429;
Osservatore Romano, 20 novembre 1924.
65) Cfr. Osservatore Romano 30 giugno 1922.
66) S. Ferrari, op. cit., pag. 16.
67) L'Osservatore Romano, 14 novembre 1924, "Dalla Palestina. Le avanguardie dei missionari".
68) Cfr. L'Osservatore Romano, 15 novembre 1924, "Come divenni cattolico. Hans Herzl, figlio del fondatore del Sionismo, racconta la sua conversione dal giudaismo". Cfr. Anche: La Civiltà Cattolica 1937, III, pag. 37, "La questione giudaica e l'apostolato cattolico".
69) La Civiltà Cattolica 1938, VI, pag. 78, "Intorno alla questione del Sionismo".
70) La Civiltà Cattolica 1922, III, pag. 117, "Il Sionismo dinanzi all'opinione dei non ebrei".
71) La Civiltà Cattolica 1937, II, pag. 431, "La questione giudaica e il Sionismo".
72) La Civiltà Cattolica 1934, IV, pag. 136, "La questione giudaica e l'antisemitismo nazista".
73) La Civiltà Cattolica 1938, II, pag. 81, "Intorno alla questione del Sionismo". Vedasi anche La Civiltà Cattolica 1924, IV, pag. 487, "Un episodio del Sionismo in Palestina". Cfr. E. Caviglia, Il Sionismo e la Palestina negli articili dell'Osservatore Romano e della Civiltà Cattolica, in Clio 1981, pagg. 79-90; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Milano 1961, pagg. 60-61.
74) Acta Diurna Sancta Sedis, IX, pag. 184, 13 marzo 1943.
75) S. Ferrari, op. cit., pag. 20.
76) La Civiltà Cattolica 1938, II, pag. 76, "Intorno alla questione del Sionismo".
77) M.J. Dubois, The Catholc Viecu, in Encyclopedia Judaica Yearbook, 1974, Jerusalem, pag. 168.
78) S. Ferrari, op. cit., pag. 21.
79) L'Osservatore Romano, 20 settembre 1921.
80) S. Ferrari, op. cit., pag.22.
81) Lettera del card. Maglione al card. Cicognani, 18 maggio 1944, in Acta Diurna Sanctae Sedis,IX, pag. 302.
82) Acta Diurna Sanctae Sedis,XI, pag. 509.
83) S. Ferrari, op. cit., pag. 42.
84) Si possono consultare al riguardo:
G. Vanzini, Il Sionismo e la divinità di Gesù Cristo, Artigianelli, Pavia 1933; A. Grassi, Contributo alla soluzione della questione dei Luoghi Santi, Tipografia dei Padri francescani, Gerusalemme 1935;
dalla Civiltà Cattolica: La rivoluzione mondiale e gli ebrei, 1922, IV, pag. 111 e segg.; Il pericolo giudaico e gli Amici d'Israele, 1928, II, pag. 342 e segg.; La questione giudaica, 1936, IV, Pagg. 37-88; la questione giudaica e il Sionismo, 1937, II, pagg. 418-99;
G. De Vries, Cattolicesimo e problemi religiosi nel prossimo Oriente, Roma 1944, La Civiltà Cattlica.
85) L'Osservatore Romano, 28 maggio 1948. Già il 14 maggio, giorno della nascita di Israele aveva scritto: .
Vedasi anche J. Parkers, Il problema ebraico nel mondo moderno, Nuova Italia, Firenze 1953 e G. LoGiudice, L'essenza dell'Ebraismo liberale, in Civiltà Cattolica, 1952, III, pagg. 411-15.
86) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 192.
87) M. Blondet, I fanatici dell'Apocalisse, Il Cerchio, Rimini 1992, pag. 26.
88) E. Ratier,Les guerriers d'Israël, ed. Facta, Paris 1995, pag. 29.
89)Cfr. J. Schechtman, The Jabotinsky-Slavinsky agreement, Jewis Social Studies, ottobre 1955.
90) Cfr. P. Giniewski, in Cactus, maggio 1991.
91) E. Ratier, op. cit., pag. 39.
92) E. Ratier, op. cit., pag. 41.
93) E. Ratier, op. cit., pagg. 41-42.
94) Il Bétar, presentato ufficialmente a Parigi [dove il 25 aprile 1925 era stata fondata anche l'Alleanza dei Sionisti revisionisti] il 5 dicembre 1929 col nome di Berich Trumpledor-Jeunesse sioniste révisioniste, è nato dal Movimento sionista revisionista fondato nel 1923 da Jabotinsky a Riga. . (L'événement du jeudi, 26 settembre 1991). Tagar in ebraico significa sfida; in Francia rappresenta l'organizzazione più militante del Bétar e riunisce esclusivamente studenti dai diciotto ai ventitre anni. La sua sede parigina è nello stesso edificio del Bétar, 59 Boulevard de Strasbourg, Xeme arrondissement, e sulla sua carta intestata figura un'altra organizzazione, il Movimento degli studenti sionisti (che è in realtà il Tagar stesso). Secondo Emanuel Ratier è un'organizzazione paramilitare i cui membri hanno il diritto di indossare l'uniforme; possiede inoltre un suo giornale, il Cactus, che esce solo sporadicamnete e a cui collabora il giornalista ultrasionista Paul Giniewski, autore del libro La croix des Juifs (ed. MJR, Genève 1994 di cui ha trattato don F. Ricossa in Sodalitium n° 41, pagg. 42-57). A partire dal settembre 1992 il Tagar pubblica anche L'Étudiant juif; inoltre intrattiene rapporti abbastanza buoni con lo Tsahal, l'esercito israeliano.GLI ARGOMENTI DEL BÉTAR SONO SIMMETRICI A QUELLI DEGLI ANTISEMITI: GLI EBREI NON POTREBBERO MAI ESSERE FRANCESI (O TEDESCHI O ITALIANI) COME GLI ALTRI. QUESTO PUNTO È MOLTO IMPORTANTE PER GLI ULTRASIONISTI, PERCHÉ DISTRUGGE COMPLETAMENTE OGNI IDEA DI INTEGRAZIONE O DI ASSIMILAZIONE E SEMBRA CONFERMARE COME IL SIONISMO E L'ANTISEMITISMO BIOLOGICO COLLIMINO IDEOLOGICAMENTE. L'HÉRUT francese è il rappresentante in Francia del partito di Begin e Shamir e riunisce i sionisti revisionisti seguaci di Jabotinsky. Fu eretto in associazione legale nel 1905 ed è la casa-madre del Bétar-Tagar. Il LIKUD (alleanza di diversi partiti di estrema destra) ha come elemento motore proprio l'Hérut. Chi controlla ad altissimo livello l'autodifesa ebraica è il MOSSAD, il cui fondatore Isser Harel ha dichiarato nel 1992, in seguito ad alcune manifestazioni dei naziskin tedeschi, che se le autorità germaniche sono incapaci di fermare l'ascesa del neonazismo: (Le Monde, 26/XI/1992). Harel spiega anche come abbia organizzato dei gruppi di autodifesa in tutta Europa: «Abbiamo deciso di soccorrere tutte le comunità ebraiche nei paesi in cui i governi non potevano o non volevano frenare l'ondata antisemita. L'abbiamo fatto in Europa e nel mondo intero creando delle organizzazioni ebraiche di difesa. () Ciò non è stato fatto in coordinazione con le autorità locali, abbiamo preso questa iniziativa unilateralmente» (Tribune Juive, 26/I/1993).
95) E. Ratier, op. cit., pag. 46.
96) Cit. in E. Ratier, op. cit., pagg.41-42.
97) E. Ratier, op. cit., pag.50.
98) Citato in Ratier, op. cit., pag.58.
Cfr. Y. Shavit, Jabotinsky and the Revisionist movement, FrancK Cass, 1988;
A. Dielhoff, L'invention d'une nation, Gallimard, Paris 1993.
99) Citato in Ratier, op. cit., pag. 60.
100) E. Ratier, op. cit., pagg. 75-77.
Cfr. L. Brenner, Zionism in The age of dictators, Corcum Hell, 1983;
E. Ben elissar, La diplomatie du Troisième reich et les juifs, Julliard 1969.
101) 15/III/1935, pag. 1.
102) Cit. in E. Ratier, op. cit., pag. 77.
103) Citazioni da E. Ratier, op. cit., pag. 78.
104)Cfr. F. Nicosia, The Third Reich and the Palestine Question, Tauris [London] 1985.
105) E. Ratier, op. cit., pag. 93.
106) A. Dieck Hoff, L'invention d'une natoin, Israël et la modernité politique, Gallimard 1993 citato in E. Ratier, op. cit., pagg. 97-98.
107) Il testo originale è stao pubblicato da D. Yisraëli, Le problème palestinien dans la politique allemande, Bar Ilan University, 1974.
108) citato in E. Ratier, op. cit., pag. 98.
109) Cfr. N. Yahim-Mor, Israël, La rainessance, 1978.
110) Cfr. Yediot Aharonot, 4/II/1983.
111) Cfr. Jerusalem Post, 18/IX/1983.
112) L. Brenner. Zionism in the Age of the Dictators, Corcun Hell, 1983.
113) Cfr. M. Cohen, Du rêve sioniste à la réalité israélienne, La Découverte, 1990.
114) Ratier, op. cit., pag. 66.
Cfr. la rivista L'idea sionista, in L. Brenner, Zionism in the Age of the Dictators.
115) Cfr. B. Mussolini in Il Popolo d'Italia, 8/IX/1933 e 17/II/1934.
116) Cfr. Jewish Daily Bulletin, 1935.
117) M. Bar Zohar, Ben Gurion, le prophète armé, Fayard 1966.
118) Cfr.E. Ratier, op. cit., pag. 68.
119) Cit. in E. Ratier, op. cit., pag. 70.
120) R. De Felice, op. cit., pag. 174.
121) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 198.
122) « Mussolini non era mai stato antisemita, almeno fino al 1936. Aveva trattato col Sionismo con grande apertura e spregiudicatezza, ogni volta che gli era stato utile nella sua prospettiva di penetrazione nel Medio Oriente e di contrapposizione alla prevalenza anglo-francese. Aveva esaltato il contributo degli ebrei al Risorgimento». Da G. Spadolini, Gli anni della svolta mondiale, Longanesi, Milano 1990, pag. 250.
123) R. De Felice, op. cit., pag. 159-161..
124) Hannah Arendt, Ripensare in Sionismo in Ebraismo e modernità, Feltrinelli, Milano 1993, pag. 26.
125) Hannah Arendt, op. cit., pag. 87.
126) Hannah Arendt, op. cit., pagg. 98-134.
127) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 405-413.
128) Paul Johnson, Storia degli ebrei, Longanesi, Milano 1987, pag. 580.
129) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 419.
130) Paul Johnson, op. cit., pag. 587-588.
131) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 421.
132) F. Tagliacozzo, op. cit., pag. 438.
133) Andrew e Leslie Cockburn, Amicizie pericolose, Gamberetti editrice, Roma 1993, pagg. 45-46.
134) Cfr. S. Green, Taking Sides, William Mozzow, New York 1984.
135) A. E L. Cockburn, op. cit.,pagg. 46-47.
136) A. E L. Cockburn, op. cit.,pag. 47. Cfr. S. Green, Living by the sword, Brattleboro, VT, Amana Books, 1988, pagg. 217-219.
137) cfr. M. J. Stone, Truman and Israel, University of california press, Berkeley 1990.
138) A. e L. Cockburn, op. cit., pag. 49-55, passim.
139) cfr. U. Bialer, Between East and West, Cambridge University Press, New York 1990.
140) A. e L. Cockburn, op. cit., pag. 59.
141) A. e L. Cockburn, op. cit., pag. 67.
142) V. Ostrovsky, Mossad. Un agent des services secrets israeliens parle, Presse de la Cité 1990. Il libro dell'Ostrovsky, nonostante sia di un agente dei servizi segreti, sembra essere attendibile, in quanto - come scrive Actualité juive - «Un ex agente del Mossad, Vistor Ostrovsky, condannato a trent'anni di prigione per contumacia, persegue legalmente una catena di televisione candese "per incitamento all'omicidio" Vistor Ostrovsky è l'autore di due libri di successo sul Mossad, basati su cinque anni passati nei servizi israeliani La suddetta catena televisiva denunciata dall'Ostrovsky riceveva il 5 ottobre 1994 il giornalista israeliano Yosef Lapid che, qualche giorno prima aveva scritto sul quotidiano israeliano Ma aziv che Ostrovsky non dovrebbe avere il diritto di vivere. Durante l'intervista televisiva Lapid ha dichiarato che il Mossad non assassinerebbe Ostrovsky per non compromettere le relazioni israeliano-candesi.» da Actualité Juive, n° 417, febbraio 1995, pag. 13.
143) Ibidem, pagg. 165-169.
144) S. Alfonso Maria de' Liguori, Passione di Nostro Signor Gesù Cristo, Alfonsianum, Roma 1934, pagg. 188-189.
145) A. Lemann, op. cit., pagg. 177-8.
146) S. Giovanni Crisostomo, Homiliae contra Judeos. Cf. V. Messori, Pati sotto Ponzio Pilato, Sei, Torino 1992 e M. Blondet, I fanatici dell'Apocalisse, Il Cerchio, Rimini 1992.
147) F. Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1950.
148) Atti, I, 6.
149) Atti, I, 7-8.
150) Cfr. J. Pignal, Le Sionisme palestinien et, son attitude religieuse, in Christus, Lyon 1935, pagg. 482-507.
151) Cfr. T. De Saint Just, Les frères Lémann juifs convertis, Duculot, Gembloux 1937, pag. 442.
152) Beda, In Luc. XXI, 24 In Rom. XI, 25-26.
153) S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, 1a 2æ q 102 a 2.
154) Lc. XXI, 24.
155) Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica spiega che stiamo per entrare nel terzo millennio della Nuova Era e che il Concilio Vaticano II è stato l'avvenimento che ha dato inizio alla preparazione del Giubileo del secondo millennio. (Tertio Millennio Adveniente, n° 20). Il Concilio è una specie di "Avvento" che ci prepara alla venuta del Messia (come se il Messia non fosse già venuto nella persona di Gesù Cristo!). La preparazione dell'anno duemila è una chiave ermeneutica per capire le encicliche di Giovanni Paolo II, per il quale (Ibidem, n° 24), che per Giovanni Paolo II (cfr. N. Lohfink, L'alleanza mai revocata, Queriniana, Brescia 1991). Il Duemila dovrà essere accuratamente preparato con una fase PREPARATORIA (dopo quella IMMEDIATA del Concilio Vaticano II) articolata in due fasi: a) , dal 1994 al 1996 con carattere ANTEPREPARATORIO (n° 31), che . In questo periodo non solo si è creato un apposito Comitato di studio, ma « è giusto che la Chiesa si faccia carico del peccato dei suoi figli in tutte quelle circostanze in cui si sono allontanati dallo spirito di Cristo Tra i peccati che esigono conversione devono essere annoverati quelli che hanno pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo Popolo». (Come se la Chiesa non fosse più UNA come recita il Credo!). Tale periodo servirà a superare le divisioni del secondo millennio della storia della Chiesa. L'altro peccato di cui si deve chiedere perdono è il ricorso a (n° 35). Questi peccati dei cattolici (n° 35). La Chiesa anteconciliare quindi non è pienamente la Chiesa di Cristo e ciò per almeno un millennio!
La seconda fase propriamente preparatoria va dal 1997 al 1999. Nel primo anno (1997) si rifletterà su Gesù Cristo, nel secondo sullo Spirito Santo e nel terzo sul Padre, il tutto alla luce del dialogo specialmente con ebrei e musulmani (che negano il Padre il Figlio e lo Spirito Santo!). Sono poi previsti incontri comuni a Gerusalemme. Il 1999 [e basta capovolgere le cifre per avere il numero della Bestia '666] è il trampolino di lancio per il Giubileo del Duemila «che avverrà contemporaneamente in Terra Santa e a Roma (n° 55). (n° 55). Se si legge Tertio Millennio Adveniente alla luce di quanto la Tradizione ha insegnato sulla conversione di Israele, preceduta dall'avvento dell'Anticristo, non si potrà non restare terrificati.
156) A. Lémann, op. cit., pag. 333.
157) Ibidem, pagg. 333-334
158) Cfr. Sodalitium,n° 21, pagg. 3-14.
159) S. Ireneo, Adversus Haereses, lib. V, cap. 25.
160) Lattanzio, Institutiones, lib. VI, cap. 15.
161) Sulpizio Severo, Vita Sancti Martini, dial. II.
162) San Roberto Bellarmino, De romano Pontifice, lib. III, cap. 13.
163) Cornelio a Lapide, In II ad Thessalonicenses, Ii in Dom., IX, 27.
164) Francisco Suarez, Disputationes LIV, De Antichristo, sectio V, obj. VI.
165) Apocalisse, XI, 7,8.
166) A. Lémann, op. cit., pag. 220.
167) A. Lémann, op. cit., pag. 220-221.
168) A. Lémann, op. cit., pag. 222.
169) San Paolo, II Tess. , II, 4.
170) San Girolamo, Ad Algasiam, q. II.
171) II ad Thessalonicenses, II.
172) Teodoreto, in II ad Thessalonicenses, II.
173) A. Lémann, op. cit., pag. 229-230.
174) P. Johnson, op. cit., pag. 611.
175) 'With Gershon Scholem: An Interview' in W.J. Dannhauser, G. S.: Jesus and Judaism in crisis, New York, 1976.
176) P. Johnson, op. cit., pagg. 612-615.
177) Da La Stampa, 10/IV/1995, pag. 7.
178) La Stampa, 22/VIII/1995, pagg. 2-3.
179) Igor Man, Contro la grande paura, in La Stampa, 6/11/95, pag. 1.
180) Comm. In I Reg., II.
181) recita il salmo.
182) Lc. 20,17-18.



Encoerense:
Scanviar par fanatixmo ła łota e łe goere partexane e de łeberasion ebraeghe contro l'envaxion e l'ocupasion romana. Li ebrei par sto prete catołego-cristian no łi xe degni de esar on popoło, na nasion, de ver ła so tera e ła so rełijon ła saria endegna ...
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » lun mar 14, 2016 6:37 am

???

Moni Ovadia: “Lascio la Comunità ebraica di Milano, fa propaganda a Israele”
di Silvia Truzzi

"Ho deciso di lasciare, come ha fatto Gad Lerner, a causa della mancata presa di posizione dei vertici milanesi dopo l’uscita di Berlusconi al binario 21, nel Giorno della Memoria". I capi, prosegue, "considerano 'amici' i 'sinceri democratici' come La Russa, che fino a poco tempo fa facevano il saluto romano inneggiando a quelli che hanno sterminato la nostra gente"
di Silvia Truzzi | 5 novembre 2013

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11 ... ele/766554

Diceva don Primo Mazzolari che “la libertà è l’aria della religione”. Non era ebreo, come non lo era George Orwell che in appendice alla Fattoria degli animali scrive: “Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire”. L’eco di queste frasi si sente entrando nella casa di Moni Ovadia a Milano. Per dar seguito al nome pacifista, il cane Gandhi si accomoda sul divano insieme a un paio di gatti; il caffè bolle, l’attore con il capo coperto racconta la storia del festival promosso dalla comunità ebraica che si è svolto alla fine di settembre a Milano, Jewish and the city. “Qualcuno, durante una riunione tra gli organizzatori ha posto il veto alla mia presenza. E gli altri hanno ceduto”.

Perché?
Per le mie posizioni critiche nei confronti del governo Netanyahu. Le violazioni del diritto internazionale, mi riferisco al-l’occupazione e alla colonizzazione dei territori palestinesi, durano da oltre cinquant’anni. Ho imparato dai profeti d’Israele che bisogna essere al fianco dell’oppresso. Io esprimo opinioni, non sono depositario di nessuna verità. Penso però che questa situazione sia tossica. Per i palestinesi, che sono le vittime, ma anche per gli israeliani: non c’è niente di più degradante che fare lo sbirro a un altro popolo. Aggiungo però che io m’informo esclusivamente da fonti israeliane. Non palestinesi: gli ultrà palestinesi sono i peggiori nemici della loro causa. Apprezzo molto due giornalisti israeliani di Haaretz, Gideon Levy e Amira Hass. Quello che dico io, rispetto a quello che scrivono loro, è moderato. Bene: vivono in Israele, scrivono su un quotidiano israeliano, sono letti da cittadini israeliani e pubblicati da un editore israeliano.

È iscritto alla Comunità ebraica di Milano?
Sì, per rispetto dei miei genitori. Ma ho deciso di andarmene. Io non voglio più stare in un posto che si chiama comunità ebraica ma è l’ufficio propaganda di un governo. Sono contro quelli che vogliono “israelianizzare” l’ebraismo. Ho deciso di lasciare, come ha fatto Gad Lerner a causa della mancata presa di posizione dei vertici milanesi dopo l’uscita di Berlusconi al binario 21, nel Giorno della Memoria.

Dicono che le sue critiche a Israele nascono dal desiderio di avere consensi, successo, denaro.
Ma oggi chi è a favore della causa palestinese? La sinistra? Nemmeno più Vendola lo è! E allora dove sarebbe il grande pubblico che mi conquisto? Più ho radicalizzato le mie critiche, più il mio lavoro è diminuito, mi riferisco agli ingaggi e non al pubblico. Il teatro è per tutti, il teatrante è un cittadino e come tale ha diritto alle sue idee.

Lei non è abbastanza “carino”?
Per niente, ma non si parla di cose carine. Il comportamento della comunità internazionale nei confronti del popolo palestinese è semplicemente schifoso. Nel 2000 intervistai per il Corriere della Sera un colonnello della Golani, le teste di cuoio d’Israele. Mi disse: “Se tu hai un bazooka in mezzo ai denti e un mitragliatore tra le chiappe, ci sono almeno due modi per uscirne”. Da militare m’insegnò che se si vuole fare la pace, si riesce. Se io dicessi che il governo Netanyahu è un po’ birichino, ma non così tanto, diventerei immediatamente il più grande artista ebreo italiano. Invece offendono i miei spettacoli.

È vero che riceve minacce?
Appena scrivo qualcosa, sul mio sito arriva di tutto: minacce, insulti, parolacce. I termini sono sempre “rinnegato”, “traditore”, “nemico del popolo ebraico”. Ho criticato l’episodio del bimbo palestinese di cinque anni che aveva lanciato una pietra ed era stato portato via da undici militari israeliani. Mi hanno scritto: “Avesse potuto quella pietra arrivare sul tuo cervello marcio”. Questi sono i termini, mai risposte nel merito. Mia moglie, che gestisce la mia pagina Facebook, spesso non me li fa leggere, li cancella e basta.

Sono ebrei quelli che la insultano?
La gran parte sì.

Aver subito la discriminazione non è servito a nulla?
Si, ma paradossalmente questo ha un aspetto positivo. Significa che gli ebrei sono come tutti gli altri. Si trovano in una condizione in cui il nazionalismo è a portata di mano? Diventano i peggiori nazionalisti, malgrado la Torah condanni l’idolatria della terra. L’ebraismo è una cosa, lo Stato d’Israele un’altra. Qualcuno ha sostituito la Torah con Israele. Il buon ebreo, dunque, non è quello che segue la Torah, ma quello che sostiene Tel Aviv. I sinceri democratici – tipo La Russa – sono amici d’Israele. E non importa se fino a poco tempo fa facevano il saluto romano inneggiando a quelli che hanno sterminato la nostra gente.

Dell’affaire Vauro cosa pensa?
La vignetta su Fiamma Nirenstein prendeva in giro la disinvoltura con cui una donna, appassionatissima della causa israeliana, può sedere in Parlamento accanto a uno come Ciarrapico, che non ha mai smesso di dirsi fascista. Ha fatto benissimo Vauro a querelare chi gli dava dell’antisemita. Non solo perché ha vinto in due gradi di giudizio, ma perché l’accusa di antisemitismo è troppo grave per usarla a sproposito.

Lei cosa chiede?
Vorrei essere criticato – non calunniato o insultato – ma rispettato. Vorrei semplicemente avere il diritto di dire la mia opinione e potermi confrontare.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » lun mar 14, 2016 6:38 am

La vecchia bufala dei “300 sopravvissuti alla Shoah che criticano Israele”
21 dicembre 2015 Davide Simone

http://www.linformale.eu/la-vecchia-buf ... no-israele

“Gaza, oltre 300 sopravvissuti alla Shoah contro Israele”.
Anzi, no. Anzi, sì. Anzi, forse.
Astuzie e distorsioni della propaganda.

Secondo numerose ed autorevoli fonti giornalistiche, nazionali come internazionali, oltre 300 sopravvissuti alla Shoah l’estate scorsa avrebbero pubblicato una lettera a pagamento sul New York Times per condannare “il massacro di palestinesi a Gaza” e, contestualmente, gli USA e l’Occidente per il loro appoggio a Tel Aviv.
Un gesto carico di significato, dunque, dal momento in cui la critica ad Israele arriverebbe, questa volta, dal suo interno e, per di più, dai reduci della più grande tragedia abbattutasi sul popolo ebraico nella sua storia conosciuta.
Il ricorso al “fact checking”, tuttavia, farà emergere e consentirà di evidenziare alcune manipolazioni e distorsioni della notizia tese ad alterarne la sostanza, insieme alla forma, a scopo propagandistico.

Dei 327 sottoscrittori, infatti, soltanto 32 sono “survivors” (persone nate prima del genocidio nazista e che vi hanno assistito, sopravvivendogli) e la stragrande maggioranza di loro vive e risiede lontano da Israele, non a diretto contato con il conflitto in corso con l’elemento arabo-musulmano, oggi come dal 1948.
Abbiamo assistito e stiamo assistendo, dunque, ad un caso di propaganda “grigia” (parzialmente falsa), elaborata allo scopo di “caricare” la componente emotivo-emozionale della lettera.





Gaza, oltre 300 sopravvissuti alla Shoah contro Israele
Hanno pubblicato una lettera a pagamento sul New York Times per condannare "il massacro dei palestinesi" e "l'abuso della nostra storia". Il riferimento è al premio Nobel Elie Wiesel che ha paragonato Hamas ai nazisti
24 agosto 2014

http://www.repubblica.it/esteri/2014/08 ... h-94355223

NEW YORK - Oltre 300 sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti all'Olocausto hanno pubblicato una lettera a pagamento sul New York Times per condannare "il massacro di palestinesi a Gaza" e per criticare gli Stati Uniti per il sostegno che danno a Israele nelle sue operazioni militari nella Striscia, nonché l'Occidente in generale per la protezione dalle condanne che forniscono al governo israeliano. "Il genocidio comincia sempre con il silenzio", si legge nel testo. L'iniziativa rappresenta la risposta a uno scritto pubblicato da molti media internazionali in cui il premio Nobel Elie Wiesel paragona Hamas ai nazisti e accusa l'organizzazione islamista di "sacrificare bambini".

"Come ebrei sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti e vittime del genocidio nazista, inequivocabilmente condanniamo il massacro di palestinesi a Gaza e l'attuale occupazione e colonizzazione della storica Palestina", affermano i 327 firmatari della lettera pubblicata del quotidiano newyorkese e sponsorizzata dall'International Jewish Anti-Zionist Network.

L'iniziativa rappresenta la risposta a uno scritto pubblicato da molti media internazionali in cui il premio Nobel Elie Wiesel paragona Hamas ai nazisti e accusa l'organizzazione islamista di "sacrificio di bambini".

"Siamo disgustati e oltraggiati dall'abuso fatto da Wiesel della nostra storia... per giustificare l'ingiustificabile: gli sforzi all'ingrosso di Israele per distruggere Gaza e l'uccisione di oltre 2.000 palestinesi, tra cui centinaia di bambini. Nulla può giustificare il bombardamento di rifugi dell'Onu, case, ospedali e università. Dobbiamo tutti alzare la voce e usare il nostro potere collettivo per arrivare alla fine di ogni forma di razzismo, compreso il genocidio di palestinesi in corso", scrivono i 327 che concludono con un appello per "la fine immediata dell'embargo a Gaza" e "un totale boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele".

Nell'inserzione a pagamento pubblicata a inizio agosto su New York Times e Washington Post, Wiesel aderiva a una campagna della "Rete dei valori" fondata dal rabbino
ortodosso Shmuley Boatech. "Nella mia vita", scriveva il premio Nobel sopravvissuto ad Auschwitz, "ho visto bambini ebrei gettati nel fuoco. E adesso vedo bambini usati come scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro che veneravano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. E' una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. E' la civilizzazione contro la barbarie".


Chi c’è dietro l’appello dei “sopravvissuti alla Shoah contro Israele”?
Emanuel Baroz 7 settembre 2014
Gli ingiusti
Chi c’è dietro l’appello dei “sopravvissuti alla Shoah contro Israele”? Altro che “nonnine”. Organizzano il boicottaggio e flirtano con Hamas.
di Giulio Meotti
(Fonte: Il Foglio, 6 Settembre 2014)

http://www.focusonisrael.org/2014/09/07 ... ro-israele

Il titolo su Repubblica faceva un certo effetto: “Gaza, oltre 300 sopravvissuti alla Shoah contro Israele”. Purtroppo, i sopravvissuti non erano “oltre”, e neppure “trecento”. Ma venti. Gli altri erano figli o nipoti o lontani parenti. Eppure, la storia è dilagata sui media di tutto il mondo. La Bbc: “Famiglie dell’Olocausto criticano Israele su Gaza”. Poi l’Independent: “Sopravvissuti all’Olocausto e loro discendenti accusano Israele di genocidio”. E così via. Ma chi c’è dietro a questa campagna apparsa addirittura a tutta pagina sul New York Times?

La polemica è scoppiata in risposta a una iniziativa del più noto dei sopravvissuti alla Shoah, lo scrittore e premio Nobel Elie Wiesel. In un annuncio a pagamento sul New York Times e il Washington Post, l’autore de “La notte” ha scritto: “Nella mia vita ho visto bambini ebrei gettati nel fuoco e adesso vedo bambini usati come scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro che venerano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. E’ una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. E’ la civilizzazione contro la barbarie“. A Wiesel rispondono con un’altra pagina a pagamento sul New York Times e altri giornali 327 firmatari. “Come ebrei sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti e vittime del genocidio nazista, inequivocabilmente condanniamo il massacro di palestinesi a Gaza e l’attuale occupazione e colonizzazione della storica Palestina“.

La lettera pubblicata dal quotidiano newyorchese non è spontanea, ma è una iniziativa lautamente sponsorizzata dall’International Jewish Anti-Zionist Network. Una organizzazione dichiaratamente ostile a Israele, “antisionista”. I 327 concludono con un appello per “un totale boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele“. Studiosi della Shoah che hanno analizzato il manifesto e i firmatari dicono che di questi 327, soltanto una ventina sono dei sopravvissuti. Gli altri sono “figli di sopravvissuti”, “nipoti di sopravvissuti”, “parenti di sopravvissuti” o semplicemente ebrei che hanno lasciato l’Europa in tempo. In Israele chiunque può dirsi tale.

I firmatari dell’appello contro Israele sono diversi da Edgar Morin, che sul Monde ha scritto un appello perché la Francia interrompa gli accordi economici con Israele (gli ha risposto il regista Claude Lanzmann, in un articolo ripubblicato dal Foglio). Sono diversi da Zygmunt Bauman, un altro sociologo dalla parte sbagliata della storia che paragona Gaza al ghetto di Varsavia.

I firmatari dell’appello dei “sopravvissuti” sono attivisti dell’odio, militanti sempreverdi delle campagne contro Israele sulle piazze e persino a bordo delle flottiglie del terrore. Hajo Meyer, il primo nella lista, è un noto militante olandese, autore di un libro intitolato “The end of Judaism”, in cui spiega, nemmeno fosse l’allievo di Mahmoud Ahmadinejad, che sionismo e giudaismo sono incompatibili. Meyer paragona Israele al “fascismo” e alla Germania nazista (“ci sono molte similarità”, scrive). Meyer ha dichiarato che “la prima causa dell’antisemitismo è lo stesso ebraismo”, e che “molti ebrei sono così concentrati sulla Shoah da essere incapaci di riconoscere la sofferenza altrui”, per esempio quella palestinese, e via delirando. Meyer non ha esitato a comparire nella televisione del regime iraniano, Press Tv, la voce dei pasdaran nel mondo, gli stessi che condannano Israele a scomparire dalla mappa geografica.

L’appello è firmato anche da Hedy Epstein, uno dei volti più noti delle Freedom Flotilla lanciate in solidarietà di Hamas. Giornali come Newsweek gongolano quando c’è lei. La “nonnina” è volata persino al Cairo il mese scorso per partecipare alle manifestazioni contro Israele. E di recente ha intrapreso uno sciopero della fame per Gaza. Epstein fa parte del Free Gaza Movement, che il giornalista americano Jeffrey Goldberg ha definito “il leader della campagna internazionale per delegittimare Israele”. Sono note le parole della fondatrice del movimento, Greta Berlin: “I sionisti hanno organizzato e gestito i campi di concentramento per uccidere milioni di ebrei innocenti”. Sembra di sentire il proclama di un mullah iraniano.

Nell’appello c’è il nome della poetessa yiddish Irena Klepfisz, scampata al ghetto di Varsavia e figlia dell’eroe bundista Michael Klepfisz, rimasto ucciso durante la rivolta. La scrittrice è una delle animatrici del “Jewish Women’s Committee to End the Occupation of the West Bank and Gaza”. C’è poi Susan Slyomovics, che ha fatto una brillante carriera come docente di Antropologia alla Ucla, dove il suo nome spicca in cima alla lista dei firmatari del boicottaggio accademico di Israele. Alcuni mesi fa una delle più gloriose e storiche associazioni accademiche statunitensi, l’American Studies Association, ha votato il boicottaggio di università e scuole superiori israeliane. La mossa porterà all’annullamento di ogni rapporto accademico e culturale con lo stato ebraico. Prevede che i professori cancellino ogni collaborazione con gli insegnanti e gli istituti israeliani. E’ uno dei successi di Slyomovics. Il 16 aprile 2010, durante un convegno alla Ucla, Slyomovics disse: “Se gli ebrei possono prendere le riparazioni di guerra dalla Germania, allora i palestinesi dovrebbero prendere le riparazioni da Israele. Dopo tutto, quello che i tedeschi fecero agli ebrei è quello che Israele sta facendo ai palestinesi”. Che c’è di meglio della volgarizzazione della Shoah da parte di una nipote di sopravvissuti che dirige un centro di “Middle East Studies”?

Campeggia il nome di Felicia Langer, avvocato tedesco comunista, che paragona Israele al regime nazista e che i boicottaggi li organizza in Germania. C’è la francese Suzanne Weiss, nota per la sua iniziativa “Not in our name”, ovvero “le voci ebraiche contro il sionismo”. Weiss accusa Israele di una “forma di genocidio”. C’è Alfred Grosser, l’autore di un violento pamphlet antisraeliano intitolato “Von Auschwitz nach Jerusalem”. Grosser paragona ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei a ciò che gli israeliani starebbero facendo ai palestinesi. Il primo di questi sopravvissuti ai lager che inscenarono proteste contro Israele fu Shlomo Schmalzman, che nel 1982, quando l’esercito israeliano entrava a Beirut, intraprese uno sciopero della fame allo Yad Vashem. E nazificò il suo stesso stato, allora sotto assedio terroristico in Galilea, dicendo: “Vedo Beirut e ripenso a Varsavia”.

Molti di questi sopravvissuti fanno parte dell’International Solidarity Movement, i pacifisti più duri e militanti, quelli che in Cisgiordania sfidano l’esercito israeliano e ne ostacolano le operazioni antiterrorismo. Ma è anche un movimento che durante la Seconda Intifada non ha esitato a dare ospitalità a un componente del commando che si sarebbe fatto saltare in aria a Mike’s Place, un celebre locale sul lungomare di Tel Aviv. Molti leader del movimento sono andati in Libano a fare da “scudi umani” per Hezbollah. E i giovani occidentali di cui è composto si fanno spesso fotografare con i fucili Ak47 dei terroristi palestinesi.

Dell’appello antisraeliano fa parte “il nipote di sopravvissuti” Daniel Boyarin, che da docente dell’Università della California guida la campagna accademica americana contro Israele, uno stato che per lui non doveva essere fondato e andrebbe rimosso. C’è Renate Bridenthal, insegna al Brooklyn College e vuole che gli Stati Uniti interrompano gli accordi militari con lo stato ebraico. C’è soprattutto il docente del Bard College, Joel Kovel, l’autore di “Overcoming Zionism”, dove afferma che “la creazione di Israele è stata un errore”. Le edizioni dell’Università del Michigan hanno interrotto la distribuzione del libro dopo la denuncia della comunità ebraica. Lo stato ebraico, nelle parole di Kovel, è “maligno”. E “una macchina per la produzione di abusi dei diritti umani”.

Le proteste sulla stampa contro questi sopravvissuti è stata dura. La migliore è venuta da un cantante, Peter Himmelman, anche lui parente di reduci dei campi, che ha scritto sull’Huffington Post: “Conosco molti sopravvissuti all’Olocausto, uomini e donne, sia negli Stati Uniti sia in Israele. Il giudizio secondo cui Israele sta commettendo in qualche modo sui palestinesi le stesse atrocità che i nazisti commisero sugli ebrei nella Seconda guerra mondiale proviene da una minoranza estrema tra i sopravvissuti all’Olocausto. Sono tanto pochi da essere difficilmente degni di nota. Equiparare l’assassinio sistematico di sei milioni di innocenti con la difesa legittima della propria patria da gente assetata di sangue è un calcolo morale folle“.

Dello stesso tenore un saggio dello scrittore americano Jack Engelhard, che scrisse la sceneggiatura del film “Proposta indecente”: “Nessuno di noi possiede’ l’Olocausto. Mi sono sempre proposto di non giudicare i sopravvissuti all’Olocausto, soprattutto quelli che hanno sopportato i campi. Hanno diritti speciali. Ma tali diritti si estendono fino a bestemmiare apertamente contro lo stato ebraico? Non posso rimanere in silenzio. Chiunque essi siano, questi sopravvissuti, se pensano di aver acquistato per se stessi la sicurezza avvolgendosi con la bandiera palestinese, sono invitati a rifletterci nuovamente. Nessuna fratellanza di questo tipo con Hitler li ha risparmiati dai forni“.

E’ quella che è stata chiamata “la sindrome Norman Finkelstein”, dal nome dell’autore del libro bestseller “L’industria dell’Olocausto”. Suo padre, Zacharias, era un sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz. Sua madre, Maryla, era una sopravvissuta del ghetto di Varsavia e del campo di Majdanek. Dunque Finkelstein è un tipico “figlio della Shoah”. Ma questo non ha impedito che lavorasse alacremente per escludere Israele dalla famiglia delle nazioni.

Nei giorni scorsi a rinfocolare però il sentimento antisraeliano è stata anche la vicenda di Henk Zanoli. Sempre dalle colonne di Repubblica è Gad Lerner, immancabile bastonatore dolente dello stato ebraico, a riprendere la storia, originariamente uscita sul New York Times: “Il Giusto e le terribili lezioni della storia fra Israele e Gaza”. Zanoli è un anziano signore olandese, che fino a qualche giorno fa era un “Giusto fra le nazioni”. Ovvero uno di quei non ebrei che durante l’Olocausto rischiarono la propria vita per salvare quella di un ebreo. Zanoli ha appena restituito la medaglia di “Giusto” ricevuta dalle autorità israeliane e ha chiesto la cancellazione del suo nome dal Giardino dello Yad Vashem. Motivo? La guerra di Gaza.

La nipote di Zanoli, la diplomatica olandese Angélique Eijpe, ha sposato un palestinese di Gaza. Alcuni suoi familiari sono rimasti uccisi in un raid israeliano. “E’ davvero terribile che oggi, quattro generazioni dopo, la nostra famiglia debba sopportare l’uccisione di altri suoi membri“, ha scritto Zanoli in una lettera consegnata all’ambasciata d’Israele ad Amsterdam. “Uccisioni di cui è responsabile lo stato di Israele. Per me, dunque, conservare questa medaglia sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre“. Soltanto che l’encomiabile vicenda dell’anziano olandese nasconde una verità rimossa.

La stampa non ha citato il fatto che i familiari del bambino ebreo Elchanan Hameiri salvato da Zanoli, tutti cittadini di Israele, abbiano condannato il gesto dell” Ingiusto” olandese. Rivka Ben-Pazi, una nipote di Hameiri, ha detto che “Zanoli non vede i missili e i tunnel di Hamas”. O non vuole vederli. Ma soprattutto la stampa non ha scritto che nei bombardamenti israeliani in cui sono morti quattro membri della famiglia Ziadah-Zanoli, è rimasto ucciso anche un certo Mohammed Maqadmeh. Che, si è scoperto poi, era uno dei capi militari di Hamas (i terroristi lo hanno pianto con un martirologio in grande stile). Non sappiamo ancora se la famiglia di Zanoli stava volutamente proteggendo il suo “ospite” o se i suoi componenti sono stati utilizzati come scudi umani.

Di certo c’era un terrorista pluriricercato nella casa dei parenti dell’Ingiusto fra le nazioni”, il nuovo darling del sentimento antisraeliano in Europa. Ma questo non doveva comparire nell’eroica iniziativa dei “trecento sopravvissuti contro Israele”. Né tanto meno nei titoli di Repubblica. Come non doveva comparire la vera identità dei firmatari dell’appello dei sopravvissuti all’Olocausto. Cosa c’è di più struggente e ammaliante di una pagina a pagamento sul New York Times di 327 sopravvissuti”, veri o presunti non importa, che hanno dedicato la loro vita a voler distruggere il paese dove oggi vive il settanta per cento dei sopravvissuti all’Olocausto?
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » lun mar 14, 2016 2:15 pm

Il peggior nemico di Israele e le sue difficoltà
Ugo Volli
15/03/2016

http://www.informazionecorretta.com/mai ... o.facebook

Cari amici,

classificare i nemici di Israele, che sono tanti, può essere un passatempo acidamente curioso. Ce n’è di interni e di esterni, di armati e di politici, di vicini e di lontani. E naturalmente di più o meno pericolosi. Interni armati ma poco pericolosi sul piano militare sono gli accoltellatori di quest’ondata di “terrorismo popolare”. Esterni politici lontani ma molto pericolosi sono gli obamiti e la dirigenza europea. Esterni lontani (ma in avvicinamento) armati e pericolosi sono gli iraniani. Interni per lo più lontani e variamente pericolosi (ma quanto fastidiosi…) sono i diversamente ebrei, da Chomsky, Butler, Goldstone, Falk, Pappé, fino ai loro ridicoli nipotini italiani; ma naturalmente ce n’è anche una variante interna, quelle Ong pagate da stati nemici di Israele di cui vi ho raccontato le imprese (o solo alcune, giusto l’altro ieri il presidente di “Peace Now”, Yariv Oppenhaimer, ha protestato per l’autodifesa dagli attentati di questi giorni, definendola “esecuzioni extragiudiziarie”, subito naturalmente citato con soddisfazione dai palestinisti: http://english.palinfo.com/site/pages/d ... emid=77309 ).

La bandiera di Hezbollah: islam e armi per distruggere Israele e imporre una teocrazia sciita

I pericoli più urgenti vengono però dai nemici esterni, vicini, pesantemente armati e aggressivi. Che sono grosso modo tre: Hamas al Sud e in Giudea e Samaria, Hezbollah al Nord, le bande legate all’Isis, ad Al Qaeda e ad altre centrali del terrore in Siria e Sinai. Questi ultimi al momento sono soprattutto occupati a lottare contro nemici prossimi: il governo siriano e quello egiziano (che proprio per questa ragione si sono riavvicinati), altre bande e sette musulmane. Vanno tenuti d’occhio, ogni tanto fanno dichiarazioni di guerra a Israele e sparano qualche razzo o colpo di mortaio, ma non sono un pericolo imminente. Hamas sta facendo un grosso sforzo per rimettersi in condizione di fare la guerra a Israele, fra l’altro sottraendo tutte le risorse alla popolazione di Gaza che controlla per dedicarle a missili e tunnel. Ma ha alcuni problemi. Intanto il governo egiziano è ben determinato a chiudere le sue fonti di rifornimento e questo incide sull’industria missilistica, che ormai ha per lo più prodotti “fatti in casa” e dunque di cattiva qualità. In secondo luogo, un anno dopo che l’esercito israeliano aveva annunciato uno sforzo decisivo per risolvere il problema dei tunnel d’attacco di Gaza, che sono stati la principale difficoltà nell’ultima operazione contro Hamas e soprattutto minacciano le cittadine e i villaggi prossimi alla Striscia, i tunnel dei terroristi hanno cominciato a crollare qua e là, facendo decine di vittime fra coloro che li scavano, tanto che a quanto pare ne è nato una specie di sciopero, il rifiuto o almeno la paura a lavorarci ancora. Questi sono tutti argomenti segretissimi, naturalmente, magari l’arma anti-tunnel di Israele non c’è ancora e i crolli sono dovuti a errori; ma già il dubbio cambia il gioco.

Più pericoloso di Hamas è Hezbollah, che ha più di centomila missili puntati contro Israele e capaci di raggiungerne tutto il territorio, truppe ben allenate e esperte e una base di massa fra gli sciti libanesi, alimentata anche con le notizie più ridicole, come quella che l’esercito israeliano ruberebbe le capre dei villaggi libanesi (http://www.jewishpress.com/news/breakin ... 016/02/14/). Ma anche qui il gioco è complicato. Sembra che l’organizzazione terroristica sciita, pesantemente impegnata nel conflitto siriano, vi abbia subito perdite per un terzo delle sue truppe, comunque pesantissime (http://www.algemeiner.com/2015/12/15/re ... s-in-syria , http://www.timesofisrael.com/a-third-of ... d-in-syria ).

Ma i danni politici non sono minori. Gli stati del Golfo, compresa l'Arabia Saudita, hanno inserito Hezbollah nella lista dei gruppi terroristi (http://www.jpost.com/Middle-East/Gulf-A ... oup-446625), la Lega Araba intera ha accolto all'unanimità questa decisione, salvo alcune riserve del Libano che è dominato da Hezbollah (http://www.timesofisrael.com/arab-leagu ... anization/), come del resto avevano già fatto da molti anni gli Stati Uniti - ma non l'Unione Europea, soprattutto per la resistenza di un gruppetto di Stati guidati dall'Italia, limitandosi a mettere in quarantena la sua "ala militare", il che non ha conseguenze pratiche (http://www.theguardian.com/world/2013/j ... orist-wing). Un aspetto interessante di questa storia è che i partiti arabi della Knesset si sono dissociati da questa decisione (http://www1.cbn.com/cbnnews/insideisrae ... -Hezbollah), anche se le armi di Hezbollah minacciano pure i loro elettori, com'è accaduto quando un mese fa Hezbollah ha minacciato di bombardare le fabbriche chimiche di Haifa, la città più multietnica di Israele, circondata da villaggi arabi, definendole "la nostra bomba atomica" (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/208143).

Infine c'è una decisione della corte penale internazionale per il Libano, che è stata scandalosamente taciuta dalla stampa europea. La corte è stata istituita per indagare sull'omicidio del premier libanese Hariri, avvenuto una dozzina di anni fa, con un'autobomba, secondo le abitudini della dialettica politica del Paese dei Cedri (http://www.ilpost.it/2015/02/14/rafiq-hariri/). La corte aveva già identificato nel 2011 quatto miliziani di Hezbollah come responsabili (http://www.aljazeera.com/news/middleeas ... 63170.html). Ora però ha cambiato l'accusa e ha deciso di mettere sotto processo direttamente i vertici dell'organizzazione come mandanti dell'omicidio: un'altra prova del carattere terroristico del "partito politico" cui Massimo d'Alema ha spesso espresso solidarietà - è rimasta famosa la fotografia della passeggiata a braccetto per Beirut con il responsabile degli armamenti di Hezbollah (http://www.repubblica.it/2006/08/sezion ... ollah.html).

Insomma, anche il peggior nemico vicino di Israele (quello lontano è il suo burattinaio Iran) ha i suoi guai. Non sembra in grado in questo momento di muovere guerra anche a Israele, anche se vi si prepara apertamente, e Israele naturalmente prepara la difesa, che in una prossima guerra dovrà essere molto aggressiva. Peccato solo che tutti i difensori dei diritti umani e della pace (nemici non militari e lontani ma pericolosi) non si sognino affatto di dedicare ai delitti di Hezbollah un centesimo dell'attenzione che dedicano alla costruzione di qualche pollaio israeliano in Giudea e Samaria.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 12:08 pm

Ixraele el protexe anca sti so ebrei antisionisti, grande democrasia Ixrael e grande popoło coeło ebraego

Israele protegge anche questi ebrei antisionisti, grande democrazia Israele e grande popolo quello ebraico, se capitasse a Gaza o in Cisgiordania i dissidenti palestinesi sarebbero ammazzati all'istante

https://www.facebook.com/akhbaronacom/v ... 9056561266
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