Ebrei antisionisti vergogne umane

Ebrei antisionisti vergogne umane

Messaggioda Berto » gio giu 08, 2017 6:03 am

Le menzogne di Gideon Levy
Niram Ferretti
08/06/2017

http://www.linformale.eu/le-menzogne-di-gideon-levy

Leggere Gideon Levy, il giornalista di Haaretz che da anni continua a sputare veleno su Israele è una esperienza che si situa tra il disgusto e la risata. Il disgusto è provocato dal cumulo di falsità che egli è in grado di produrre (e se si diventasse ricchi dicendo menzogne, Levy sarebbe multimiliardario), e la risata è provocata dal fatto che sono di una tale grossolanità, sono così idiote che rasentano il grottesco.

Prendiamo come campione un suo ultimo articolo, in realtà una espettorazione rancida, pubblicato nell’edizione italiana de l’Internazionale. Il titolo del pezzo è “Cinquantanni di bugie sull’occupazione israeliana”.

Procediamo

“Tutto è cominciato con il dibattito su come chiamare la Cisgiordania e Gaza. Dai microfoni di radio Israele si decise di usare l’espressione “territori temporaneamente occupati”. È stata questa la prima bugia: lasciar credere che l’occupazione fosse temporanea e che Israele intendesse evacuare questi territori, presentati come una moneta di scambio nella ricerca della pace.”

Ecco qui un esempio luminoso di impostura tipica, così macroscopica e deforme da fare pensare che sia una parodia. No, non è una parodia.

Scrive Benny Morris in Vittime, Storia del Conflitto Arabo-Sionista 1881-2001, “Al summit di Khartum, [convocato dai paesi arabi, NdA] nell’agosto-settembre del 1967, i leader presenti approvarono una piattaforma di sfida e indisponibilità al dialogo che per decenni avrebbe impedito ogni progresso verso la pace nella regione…i partecipanti dichiararono di volersi attenere a una serie di principi ‘nessuna pace con Israele’, ‘nessun riconoscimento di Israele’ e ‘nessun accordo con Israele in vista di negoziati’…L’atteggiamento arabo contribuì alla parziale revoca della decisione presa dal Gabinetto israeliano il 19 giugno, in cui l’idea di ‘concessioni territoriali in cambio della pace’ era implicitamente affermata”.

Ma per Gideon Levy, smentito dai fatti e dalla storia:

“La verità è che Israele non ha mai avuto intenzione di porre fine all’occupazione. Il suo presunto carattere temporaneo non è stato altro che un inganno che ha anestetizzato il mondo”.

Il dispensatore di menzogne travestito da difensore della verità, mascheratura abituale di ogni propagandista, da quelli del Terzo Reich a quelli del Politburo a quelli di Hamas e Hezbollah ci dice anche che è una menzogna

“che l’occupazione servisse gli interessi di sicurezza d’Israele, che si trattasse di una misura di autodifesa presa da uno stato fragile e assediato dai nemici”.

In altre parole, nel 1967, dopo una guerra intentata dagli stati arabi contro il giovane stato ebraico e il cui scopo era quello di distruggerlo e la cattura di Israele della Cisgiordania a seguito di sedici anni di annessione giordana totalmente illegale, la presenza militare israeliana non sarebbe servita a preservare lo Stato ebraico da ulteriori attacchi e incursioni al suo interno da parte di quei nemici che nel 1948, nel 1967 e poi ancora nel 1973 lo attaccarono per annientarlo. Non è servita a garantire a Israele alcuna sicurezza, come non serve ora, dopo la Seconda Intifada e l’aumento del radicalismo jihadista. Siamo alle comiche finali di un truce cabarettista che si finge giornalista.

Per Levy, le colonie sarebbero una grande operazione fraudolenta.

“Tutto il progetto nasce e cresce fondandosi su bugie. Nessuna colonia è stata creata in maniera onesta. A cominciare dalla permanenza nel Park hotel di Hebron, orchestrata da alcuni coloni nel 1968 fingendosi turisti svizzeri, passando dai “campi di lavoro” ai “campi di protezione”, dagli “scavi archeologici” alle “riserve naturali”, dagli “spazi verdi” alle “firing zone” (zone militarizzate destinate alle esercitazioni israeliane), e poi le “zone d’esplorazione”, gli avamposti e le espansioni”.

Molti degli insediamenti sono stati stabiliti su siti che erano già stati domicilio della popolazione ebraica durante le generazioni precedenti. Hebron è un esempio classico. Gush Etzion venne fondato nel 1948 su terreni comprati negli anni Venti. Il diritto degli ebrei di risiedere nei territori oggi considerati occupati venne conferito dal Mandato Britannico e riconosciuto nel 1922 dalla Società delle Nazioni. Solo nel 1948-1967 gli insediamenti vennero proibiti, quando la Giordania invase la Cisgiordania.

Per quanto riguarda l’episodio citato del 1968, esso si riferisce al caso del rabbino Moshe Levinger il quale, con un gruppo di israeliani che finsero di essere turisti svizzeri, affittò il principale albergo di Hebron e poi si rifiutò di abbandonarlo. In seguito Moshe Dayan ordinò la l’evacuazione del gruppo e la sua collocazione in un insediamento che sarebbe poi diventato Kiryat Arba, edificato su un terreno militare abbandonato nel 1970.

Ma per il falsificatore di professione Levy “Nessuna colonia è stata creata in maniera onesta“, nemmeno quelle sorte su terreni regolarmente acquistati negli anni Venti. Tutto, infatti, per Levy è dei palestinesi “espropriati”, nonostante il fatto che il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 affermasse che gli ebrei avessero il diritto di risiedere in “tutti i territori a occidente del fiume Giordano”.

Ma Levy della storia se ne infischia. Al suo posto c’è la grande narrativa menzognera, la stregonesca trasformazione dei fatti in aborti ideologici al servizio della parte araba.

“I coloni hanno mentito. I politici hanno mentito. L’esercito e l’amministrazione civile hanno mentito. Hanno tutti mentito al mondo e a loro stessi. Con la scusa della protezione di un traliccio è stato costruito un enorme insediamento e da un fine settimana trascorso in quell’hotel è nata la peggiore di tutte le occupazioni, quella di Hebron. I ministri che l’hanno approvata, i componenti della knesset che hanno annuito e ammiccato, i funzionari che hanno firmato e i giornalisti che hanno insabbiato la faccenda, conoscevano tutti la verità. Gli statunitensi che hanno “condannato”, gli europei che si sono “infuriati” e il consiglio di sicurezza dell’Onu che “ha deciso”: nessuno di loro aveva alcuna intenzione di far seguire dei fatti alle parole. Anche il mondo mente a se stesso. Per tutti è conveniente comportarsi così”.

Il tono è ultimativo, apocalittico. Si sente il Grande Giustiziere, il Redentore degli oppressi. Peccato che invece si tratti di un falsario, di un ideologo allucinato.

Hebron, dopo Gerusalemme, è il più importante luogo sacro per gli ebrei. A Hebron la comunità ebraica ha continuato a vivere per secoli, anche dopo l’occupazione araba del VII secolo. Naturalmente, sotto l’occupazione araba, con lo status inferiore di “dhimmi”. Tuttavia, già nel sedicesimo secolo, ai dhimmi ebrei veniva interdetto dagli occupanti arabi (allora il termine “colonizzatori” non era d’uso) l’ingresso alla Grotta dei Patriarchi. Si trattava dell’antipasto per il futuro pogrom del 1929, quando cinquantacinque ebrei vennero linciati dalla folla araba. Seguì la cacciata degli altri e la confisca delle loro proprietà. Quando poi la Giordania invase la Giudea e la Samaria nel 1948 e si annesse abusivamente il territorio nel 1951 fino al 1967, quando Israele lo riconquistò, di ebrei non ce ne era più nemmeno uno. Ma queste sono storie vecchie.

Il Waye River Memorandum del 1998, integrativo degli Accordi di Oslo del 1993-1995, stabilì che ai palestinesi venisse concessa la piena responsabilità sull’80% di Hebron mentre agli ebrei venne lasciato il restante 20%. A tutt’oggi agli ebrei non è permesso entrare nell’Area H1 interamente palestinese, né nella parte dell’Area H2 dove una parte dei palestinesi risiedono. In altre parole, agli ebrei residenti a Hebron non è permesso l’accesso al 97% dell’area urbana, mentre ai palestinesi l’accesso non è consentito relativamente a una strada nell’Area H2, al-Shaduda Street, che congiunge tra di loro due quartieri ebraici.

Ma per il mentitore compulsivo Gideon Levy, vergogna ebraica e vergogna di Israele,“Quella di Hebron è la peggiore di tutte le occupazioni“. Non contento di essersi rotolato nel fango per buona parte dell’articolo Levy continua fino in fondo, la sua voluttà dell’abiezione è grande. Il romanzo criminale su Israele, sua specialità da anni, scritto a puntate su Haartez, deve continuare:

“L’unica democrazia del Medio Oriente ricorre a una brutale tirannia militare e il suo esercito uccide più di cinquecento bambini e 250 donne in un’estate: qualcuno è in grado di concepire una menzogna più grande di questa? Qualcuno può immaginare un’illusione più grande dell’opinione, dominante oggi in Israele, secondo la quale saremmo stati obbligati a tutto questo, non avremmo voluto tutto questo e la colpa è tutta degli arabi?”

Israele come la Romania di Ceaușescu come l’Argentina di Videla, come la Cambogia di Pol Pot. Fa sempre un certo effetto decontestualizzare da una guerra, quella del 2014 scoppiata a seguito del brutale assassinio da parte di Hamas di tre ragazzi ebrei e in risposta ai 4564 missili lanciati da Gaza su Israele dall’otto di luglio al ventisei di agosto, il numero dei morti tra i civili. Soprattutto quando si tratta di donne e di bambini. E’ un vecchio trucco da imbonitore da fiera, da prestigiatore di strada. Ovviamente viene omesso che la maggioranza dei morti tra civili sono stati intenzionalmente provocati da Hamas nella sua precisa politica di massimizzare le perdite tra la popolazione usandoli come scudi umani, e posizionando i missili dentro scuole e in prossimità di ospedali. Ogni civile morto, soprattutto e per ovvi motivi quando si tratta di un bambino, diventa una opportunità di straordinario lucro per chi si presenta come “vittima” o come “resistente” e all’opposto, come una inesorabile fonte di esecrazione e indignazione per chi ne abbia causato la morte.

Ci sono altre infamie nell’articolo di Levy, ma queste bastano. Appartengono al repertorio abituale di questo propagandista deragliato che, in una altra epoca, avrebbe fatto felice Joseph Goebbels e che oggi invece delizia Hamas e chi di Israele vorrebbe la distruzione.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » dom lug 09, 2017 8:48 pm

“L’Onu deve cancellare la risoluzione che ha permesso la creazione dello stato di Israele…”
8 luglio 2017
Rabbi-hirsh
di Costantino Leoni

http://www.italiaisraeletoday.it/lonu-d ... di-israele

Rav Meir Hirsch è il leader di Neturei Karta. Ci accoglie in casa con un sorriso nascosto dalla folta barba bianca. Porta un lungo abito nero, un cappello nero e una spilla con la bandiera palestinese appuntata sul petto.
Rabbino Hirsch, chi sono i Neturei Karta? Il Movimento Neturei Karta è nato ufficialmente nel 1935 ma in realtà l’ideologia antisionista è iniziata già nel 1917 quanto fu siglata la dichiarazione di Balfour. Gli ebrei ortodossi di Gerusalemme si opposero strenuamente alla dichiarazione di Balfour perché la creazione di uno stato ebraico avrebbe messo in pericolo l’ebraismo ortodosso (e la venuta del messia ndr). Nel 1935, mio nonno Aharon Katzenellenbogen fondò il movimento Neturei Karta. Neturei Karta è una parola in aramaico, significa “difensori della città”. Difendere la città dal sionismo dilagante. Per fare questo non usiamo armi. La nostra è una difesa ideologica.

Con quali modalità portate avanti questa lotta? Lo facciamo tramite eventi pubblici, conferenze, manifestazioni, e incontri insieme a diversi leader politici nel mondo. Vogliamo che a tutti risulti chiaro ed evidente che il sionismo e l’ebraismo sono due idee opposte e contrarie.

Qual è la differenza fondamentale tra voi e gli altri ebrei haredi? In generale tutti gli Haredi sono contrari al sionismo, ma i Neturei Karta pensano che sia indispensabile agire attivamente contro questo male. Questa è la vera grande differenza.

Alcuni Haredim però hanno creato un partito (lo SHAS ndr.) per dare una rappresentanza politica a queste idee. Cosa pensa di questa iniziativa? Siccome Israele ormai esiste, alcuni Haredim pensano che sia giusto combatterlo dall’interno. Noi siamo totalmente contro ogni forma di collaborazione politica col governo sionista. Non prendiamo soldi e non partecipiamo alle elezioni del parlamento. Non parliamo nella loro lingua, non serviamo sotto il loro esercito. Da parte nostra non facciamo nulla che possa legittimare l’esistenza di uno stato sionista.

Quindi voi non prendete soldi dal governo come invece fanno altri haredi? Assolutamente no! non prendiamo nulla.

E allora come fate a sopravvivere? Se non lavorate, con quali attività riuscite a mantenervi? Mandiamo persone a raccogliere fondi nei paesi stranieri. Esistono diverse personalità molto ricche all’estero che ci appoggiano. In questo modo riusciamo a sopravvivere.

Quali sono i fondamenti teologici del vostro pensiero? È scritto nel Talmud in Ketubot nel foglio 111: Dio fece giurare al popolo ebraico che durante la diaspora non avrebbero sovvertito l’ordine delle nazioni del mondo. In alcun modo avrebbero creato un nuovo stato. La vera Israele verrà ricostituita soltanto quando arriverà il Messia. Non si può in nessun modo accelerare la sua venuta. Per questo noi siamo contrari al sionismo, è la Torah stessa ad essere contraria. Il sionismo non viene per unire, ma per strappare il popolo ebraico dalle sue radici profonde e trasformarlo in un nuovo popolo diverso da quello originale. Un nuovo popolo che non ha nulla a che fare con le sue radici religiose.

Voi siete acerrimi nemici dell’esercito e contrastate in maniera molto forte la leva obbligatoria. Il governo però ha varato nuove leggi che agevolano l’ingresso degli ultra-ortodossi nelle forze armate. Molti giovani haredi iniziano ad arruolarsi… Per quanto riguarda l’arruolamento recente di alcuni haredi posso dirti che per noi chiunque si arruola diventa automaticamente un laico. Ti posso assicurare che non vi è alcun Haredi nell’esercito. Non sono Haredi, nemmeno se pregano e digiunano. Anche se porta i Peyot e gli TziTzit (i boccoli laterali e l’abito con le frange, tipici degli ebrei più ortodossi, ndr.), questo non fa di lui un ebreo credente.

Quali sono i vostri rapporti con i movimenti palestinesi? Oggi sembra che tra Fatah e Hamas si sia ormai arrivati allo scontro aperto, voi da che parte vi schierate? Noi non siamo un ente politico ma un’entità ideologica. Per questo siamo in contatto sia con Hamas che con Fatah, non giudichiamo le loro questioni interne, ci interessa la lotta comune che portiamo avanti contro Israele seppur con diverse modalità. Noi supportiamo attivamente la battaglia dei palestinesi per la liberazione di questa terra. Noi stessi ci sentiamo a tutti gli effetti palestinesi. Riteniamo che il sionismo non abbia alcun diritto di governare su questa terra. L’idea di due stati per noi non ha nessun senso. Deve esserci una sola Palestina per entrambi i popoli.

Voi ritenete che la Shoah sia stata architettata dai sionisti? Oggi se provate ad andare allo Yad Vashem vi raccontano che sionisti hanno salvato il popolo ebraico. Mentre invece hanno collaborato per sterminare parte del loro stesso popolo. Il leader dei sionisti ungheresi quando iniziò l’Olocausto disse: “Solo con il sangue potremo avere un nostro stato. Quanti più ebrei verranno uccisi nella Shoah, tanto più sarà facile ottenere uno stato”. E poi aggiunse “una vacca sul suolo israeliano per noi vale più di 1000 ebrei in Ungheria”.

Queste sono accuse molto forti. Molto simili a quelle espresse dall’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Che cosa risponde a chi vi accusa di negazionismo? Bisogna innanzitutto dire una cosa: gli iraniani non hanno mai negato che la Shoah sia avvenuta. Noi anni fa organizzammo una conferenza insieme con le autorità iraniane per analizzare l’Olocausto in maniera critica. Sono stati i sionisti a dire che la conferenza aveva il solo scopo di negare l’Olocausto. Questa è l’unica vera arma che i sionisti possono usare contro gli iraniani per metterli in cattiva luce agli occhi del mondo: accusarli di negazionismo. La cosa che fa sorridere è che in Iran oggi abitano più di 30.000 ebrei che hanno un uguaglianza completa nei diritti. Anche più dei musulmani!

Ha subito qualche pressione o minaccia da parte dello stato a causa di queste sue idee estreme? Sempre! Sono anni che vengo sorvegliato e minacciato. Dopotutto, io e gli altri Neturei Karta siamo in guerra contro lo stato Sionista.

Passando all’attualità. Qual è l’idea che vi siete fatti della situazione oggi in medio oriente anche rispetto alla Guerra in Siria e al terrorismo? Sono stati i sionisti a creare il problema dell’odio anti-ebraico nel mondo musulmano. La verità è sono loro il primo gruppo terrorista del medio oriente. Chi conosce un po’ di storia sa che coloro che per primi hanno sviluppato l’idea del terrore sono stati proprio i sionisti. Durante il mandato britannico hanno messo delle bombe al King David Hotel e compiuto numerosi attentati. E poi parlano degli arabi come fossero terroristi! Loro sono stati i maestri del terrorismo! Hanno insegnato al mondo come si fa il terrorismo! Come quando nel 1948 hanno preso i bambini palestinesi di Deir Yassin e li hanno trucidati nei modi più orrendi.

Ma la situazione oggi è ben diversa dall’epoca del mandato… Assolutamente no! Oggi la cosa si è solo istituzionalizzata anche grazie al supporto degli Stati Uniti che forniscono ai sionisti le armi più sviluppate e micidiali per continuare a fare terrorismo in tutto il mondo ma in modo diplomatico.

Allora sono tutti terroristi, sia i sionisti che i palestinesi che accoltellano civili e militari qui a Gerusalemme… Noi condanniamo sempre gli atti di violenza, ma riteniamo che i palestinesi non siano “terroristi”, per noi sono combattenti per la libertà.

Cosa pensa invece della situazione dei cristiani perseguitati in medio oriente? Crede che anche dietro questo odio ci sia una macchinazione sionista? Non ho nessun dubbio che si tratti di una invenzione sionista e americana. Per raggiungere i loro obiettivi gli israeliani vogliono mettere gli uni contro gli altri. Vogliono creare una Guerra di religione che non esiste.

medio_oriente_-_cristiani_e_liberta_religiosa

Ma nel Corano esistono passaggi in cui è evidente l’odio verso I cristiani e verso gli ebrei… Questo non è vero! Ho letto il Corano e non esiste nessun versetto in cui si dice questo. Non c’è scritto nulla contro ebrei e cristiani. È previsto che paghino una tassa in quanto “popoli del Libro” ma non c’è scritto da nessuna parte che tutti devono convertirsi all’Islam.

Riesce a prevedere una fine al conflitto tra Israele e Palestina? Secondo lei in quale modo avverrà questo? Io l’ho anche scritto al segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon. Per prima cosa l’ONU deve inviare qui un contingente internazionale che protegga I diritti del popolo palestinese contro l’occupazione sionista. Ma se si vuole essere razionali non bisogna coprirsi gli occhi e dire che va tuto bene. Bisogna a tutti i costi eliminare il governo sionista e riconsegnare la terra ai suoi legittimi proprietari cioè I palestinesi. Questa è la vera soluzione.

In che modo pensa che si debba eliminare il governo sionista? Non avete detto di essere contro la violenza? Non serve la violenza! L’ONU deve cancellare la risoluzione con cui ha permesso la creazione dello stato di Israele. È come quando si fa un contratto…se posso fare una firma posso anche cancellarla. Gli ebrei che vivono qui potranno tranquillamente vivere insieme ai palestinesi come prima della creazione dello stato ebraico.

Come può pensare che questo sia possibile? Certo che è possibile, il problema è che il mondo non guarda o non vuole vedere quello che avviene in Palestina. Il mondo parla, parla e non agisce. Nessuno fa nulla di concreto per risolvere questo problema.

Ultima domanda. Lei non ha mai visto il muro del tempio pur abitando a poche centinaia di metri questo. Quanto desidera andare a pregare nel luogo simbolo del giudaismo? Moltissimo! Ma per via dell’occupazione non posso farlo. Quando qualcuno prega al muro del Tempio dovrebbe provare gratitudine. Io non posso provare questo sentimento, non posso dire grazie a chi ha occupato il mio paese.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » gio ago 31, 2017 4:11 pm

???

Neturei Karta ed altri ebrei contro il sionismo
di Daniele Dal Bosco · 27 ottobre 2016
«Antisionismo non è antisemitismo: è pura critica delle azioni criminali di uno Stato» (N. Chomsky)

https://www.centrostudilaruna.it/neture ... nismo.html

Sarà capitato a molti di noi di vedere in tv, sui giornali o in Rete qualche manifestazione di protesta per le strade di importanti città, soprattutto nei paesi anglosassoni o in Israele, da parte di alcuni ebrei dalla lunga barba e con i boccoli laterali (payot), muniti di bandiere e spillette palestinesi, cartelli con diciture antisioniste e con al collo, talvolta, il capo d’abbigliamento simbolo dei palestinesi, e reso famoso nel mondo da Arafat, la kefiah.

I media israeliani, e molti media internazionali soprattutto anglosassoni ed europei, lo considerano un gruppo di ortodossi estremisti, che negano l’evidenza della connessione tra sionismo ed ebraismo. Ma in realtà, per quanto il loro gruppo consti di poche migliaia di persone, paiono essere molte di più quelle che, sia tra gli ebrei che tra i “gentili”, siano sostanzialmente allineate con le idee alla base delle loro proteste. Ma il timore di “ferire” le vittime dell’Olocausto, unito al timore di venir giudicati o peggio tacciati di razzismo, è ancora molto radicato, dopo oltre settant’anni e grazie ad un enorme lavoro di propaganda mediatica, nel subconscio collettivo dell’umanità.

I Neturei Karta fanno parte di un gruppo ortodosso di ebrei, gli haredim, che constano nel complesso di oltre un milione di persone, divisi in vari sottogruppi, più o meno estremisti, una buona parte dei quali sono contrari al sionismo, contrarietà che si manifesta, ad esempio, nel rifiuto di prestare servizio militare nello stato israeliano. I Neturei Karta, inoltre, rifiutano ogni rappresentanza politica ed ogni sussidio economico da parte dello Stato d’Israele.

Assieme al grande intellettuale e linguista Noam Chomsky, ed al meno conosciuto Norman G. Finkelstein, storico statunitense, i Neturei Karta rimangono comunque le espressioni ebraiche più forti di quell’antisionismo che in realtà, prima degli anni quaranta del secolo scorso, era condiviso dalla larga maggioranza degli ebrei. Un altro gruppo di haredim (in particolare, hasidico) antisionista, abbastanza diffuso, è quello Satmar, fondato in Romania nel 1905 da Rabbi Joel Teitelbaum, le cui idee antisioniste espresse nel suo testo Vayoel Moshe (1961) sono tuttora alla base della visione del Consiglio Ortodosso di Gerusalemme (Edah HaChareidis).

L’antisionismo dei Neturei Karta, come quello di altri gruppi ortodossi ebraici, è inteso come contrarietà alla presenza di uno Stato ebraico in terra palestinese, pur tuttavia riconoscendo la sacralità della terra palestinese (Eretz Yisrael). Essi si rifanno alle sacre scritture ebraiche, nello specifico al Talmud, secondo cui è vietato creare con l’uso della forza uno Stato ebraico prima della venuta del Messia (Mashiach ben David), ed è inoltre vietato dominare ed umiliare altri popoli. Il Talmud, nel trattato Ketubot 111a, afferma esplicitamente che gli ebrei non possono tornare in massa in Terra Santa, che non possono ribellarsi alla diaspora così come voluta da Dio né forzare la venuta del Mashiach.

Nella visione sionista, invece, terra palestinese, dell’antico Israele, e Stato d’Israele sono strettamente legati, secondo la influente visione del Rabbi Zvi Yehuda Kook, leader del sionismo religioso del dopoguerra; così come accade nel movimento postsionista ebraico, soprattutto in ambito accademico ed intellettuale, il quale, nella sua pur variegata conformazione, propone un superamento dell’ideologia sionista ma senza intaccare il legame tra terra e sovranità territoriale dello Stato d’Israele.

I Neturei Karta, in aramaico “Guardiani della Città”, hanno la loro sede nel quartiere Mea Shearim di Gerusalemme. Vennero fondati nel 1938 da Rabbi Amram Blau e Rabbi Aharon Katzenelbogen, e si rifanno all’antisionismo di Jacob Israel de Haan, giornalista ebreo ucciso dai sionisti a Gerusalemme nel 1924, che si oppose fortemente alla creazione dello Stato d’Israele. Il rabbino Meir Hirsch – figlio di Moshe Hirsch, già genero dello stesso Katzenelbogen, leader dei Neturei Karta e consulente di Arafat – sostiene che «Il sionismo per noi è la continuazione della Haskalah, ovvero l’illuminismo ebraico, che ha portato l’ebraismo a essere osservato solo nella vita privata e mai in quella pubblica. Theodor Herzl, considerato il fondatore del sionismo, è figlio della Haskalah. Nei suoi diari racconta che il sentimento sionista è nato in lui dopo uno scontro avuto con un passante nelle vie di Parigi, che l’ha offeso con pesanti parole antisemite. Herzl rimase molto colpito dall’evento e pensò che l’unica soluzione per gli ebrei fosse la creazione di uno Stato sotto la bandiera dell’Haskalah. Il sionismo però ha portato un intero popolo ad abbracciare la miscredenza, staccandolo dalla sua vera natura ebraica» (1).

Herzl, nel suo celebre Der Judenstaat (1896), si riallacciava a visioni proto-sioniste quale quella del sefardita (2) Rabbi Yehudah Alkalai (1798-1878) il quale già nel 1838 attraverso il pamphlet Shema Yisrael (“Ascolta o Israele”), propose un inizio di insediamento da parte degli ebrei nella terra di Israele, in preparazione dell’avvento del Messia. Idee simili le espresse un suo contemporaneo, l’ashkenazita Rabbi Tzvi Hirsch Kalischer (1795-1874). A quel tempo, la maggioranza degli ebrei considerava eretiche queste idee in quanto, come i Neturei Karta ancor oggi, credevano che solo l’intervento divino, attraverso l’avvento del Mashiach, avrebbe permesso un ritorno in Terra Santa.

Per i Neturei Karta la diaspora fu una punizione divina, e sostengono che gli unici proprietari della Palestina sono i palestinesi. Né vanno a pregare al Muro Occidentale (Kotel), noto anche come Muro del Pianto, poiché considerano tutta Gerusalemme Est come terra occupata (3). Intrattengono rapporti con Hamas, Hezbollah ed Iran, contestano ai sionisti la strumentalizzazione dell’Olocausto e comunicano spesso tra loro usando i pashkvil, quei comunicati in forma di manifesto che vengono attaccati sui muri per le strade, tipici di alcune comunità ebraiche ortodosse.

È curioso il richiamarsi di entrambe le parti alla figura di Amalek, il primo nemico degli israeliti dopo l’attraversamento del Mar Rosso. Amalek era nipote di Esaù, fratello gemello di Giacobbe (chiamato anche Israele (4)). Fu Esaù ad ordinare ad Amalek di perseguitare in eterno Giacobbe, accusandolo di averlo privato del diritto di primogenitura e del benvolere del padre Isacco. La figura di Amalek viene tuttavia usata in modo diverso da sionisti ed antisionisti: alcuni sionisti considerano i palestinesi figli di Amalek, mentre alcuni antisionisti, come i Neturei Karta, associano i sionisti stessi alla discendenza di Amalek. Al di là di queste antiche associazioni, usate per lo più a fine propagandistico, ci pare che la visione tradizionale dei Neturei Karta sia, in ambito ebraico, quella che più si avvicina ad un’idea di visione tradizionale e metafisica. Nella loro visione, il Popolo o Nazione d’Israele è una realtà metafisica, in quanto non può esistere senza la Torah e senza la Fede, e forzarlo su un determinato territorio, come già visto sopra, è contrario a quanto scritto nei testi sacri. In tal senso, si oppongono totalmente alla visione materialista del sionismo, che sradica il popolo ebraico dalle sue radici metafisiche (5).

L’opposizione all’abuso del termine Israele è, a tal riguardo, una ulteriore conferma della visione tradizionale dei Neturei Karta. Essi dichiarano esplicitamente che «lo Stato che viene chiamato Israele, dovrebbe cessare di esistere. Poiché ciò non accadrà, richiediamo che non venga più chiamato “Israele”, poiché la sua interna natura è in totale opposizione al vero Popolo di Israele. […] I leader sionisti non hanno alcun diritto di porsi come rappresentanti e portavoce del vero Popolo di Israele» (6).

Note

1 http://www.tpi.it

2 A dimostrazione che il sionismo non è una invenzione puramente ashkenazita, come spesso erroneamente si crede.

3 La parte orientale di Gerusalemme venne annessa da Israele nel 1967 dopo la guerra dei sei giorni.

4 «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!» (Genesi 32, 29).

5 L’interpretazione del popolo di Israele come entità metafisica è tipicamente kabbalistica, espressa nella Kabbalah moderna, ad esempio, da Michael Laitman, il quale è concorde con i Neturei Karta sul fatto che la vera Israele, quella metafisica, si potrà manifestare solo con l’avvento del Messia. Laddove il Messia è da intendersi, per Laitman ed il suo lignaggio, non come una specifica persona bensì come quella forza di Luce divina che spetta a noi, con il lavoro spirituale, attrarre nella nostra realtà. Tuttavia Laitman, e con lui molti kabbalisti ebrei, a differenza dei Neturei Karta, non si pongono in contrasto con il sionismo e con lo Stato di Israele, considerandolo anzi un passaggio necessario in preparazione della venuta del Messia, comunque lo si voglia intendere. Questa netta separazione tra metafisica e “fisica” della realtà, questa visione dualistica tipica della Kabbalah, esplicitata in un linguaggio tipicamente simbolico, alogico ed interpretabile, rende la visione tradizionale kabbalistica non facilmente confrontabile con quelle tipicamente studiate dai tradizionalisti, da quella cristiana, a quelle induista, islamica o taoista, o finanche quelle dell’antica Grecia e dell’antica Roma. Ciò che accomuna, in generale, le diverse visioni tradizionali, infatti, salvo che in una certa visione guénoniana moderna (si veda il nostro Sull’origine della visione economica in René Guénon), è la mancanza di separazione tra le parti del Reale, tra metafisica e “fisica”. La visione islamica, e ancor più sufica, è esemplificativa a tal riguardo.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » mar feb 20, 2018 8:46 pm

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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » mar feb 20, 2018 8:46 pm

L'odio interno del popolo ebraico è il lievito che dobbiamo eliminare
Michael-Laitman

http://www.michaellaitman.com/it/2017/0 ... -eliminare

Se esiste un odio più enigmatico dell’antisemitismo, questo è proprio l’antisemitismo ebraico. Il nostro odio interno è sinistro, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere fino a quando non troveremo l’innesco che lo disinnescherà.

La storia è piena di esempi di ebrei che odiavano così tanto la loro gente, da dedicare tutta la loro vita a distruggerli. La ribellione dei Maccabei avvenuta all’incirca nell’anno 160 a.C., era rivolta, prima di tutto, contro gli ebrei ellenizzati, piuttosto che contro l’impero Seleucido.
Allo stesso modo, il comandante degli eserciti romani che conquistò Gerusalemme ed esiliò gli ebrei, fu Tiberio Giulio Alessandro, un ebreo di Alessandria il cui padre aveva donato oro e argento per le porte dello stesso Tempio che Alessandro distrusse. Secondo quanto riportato dallo storico ebreo-romano Tito Flavio Giuseppe, prima della rovina di Gerusalemme, Giulio Alessandro aveva distrutto la propria comunità ebraica di Alessandria, provocando “in tutto il quartiere un’inondazione di sangue a causa dei 50.000 cadaveri che erano stati ammucchiati”. Allo stesso modo, durante l’inquisizione spagnola, il capo inquisitore Tomás de Torquemada era di recente discendenza ebraica, ma questo non mitigò il suo zelo nell’espellere ed uccidere gli ebrei. E proprio nel secolo scorso, l’Associazione degli Ebrei Nazionali Tedeschi sostenne e votò per Hitler e per il partito nazista.

In verità, non sono stati George Soros e Noam Chomsky ad inventare l’odio degli ebrei per il proprio popolo, noto anche come antisemitismo ebraico. Infatti, proprio la scorsa settimana, abbiamo assistito ad un’irritante manifestazione di questa mania. In primo luogo, abbiamo appreso che la maggior parte delle minacce di attentati contro i Centri delle Comunità Ebraiche, che avevano avuto un singolo autore, non erano partite da un fanatico del movimento nazionalista o da un estremista islamico, bensì da un diciannovenne israelo – americano di Ashkelon, una piccola città nel sud di Israele. In seguito, abbiamo visto decine di presuntuosi ebrei protestare durante il discorso del vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, all’American Israel Public Affairs Committee. Durante le proteste, i contestatori hanno affermato che se non c’è pace per i palestinesi, allora non ci sarà pace per Israele. Sappiamo tutti però che il popolo palestinese dichiara ogni giorno di non volere la pace con Israele, ma la sua distruzione.

Infine, mentre lo stato di Israele e alcune organizzazioni ebraiche hanno finalmente raccolto abbastanza consensi a livello internazionale per tenere una conferenza anti-BDS nella Sala dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il movimento BDS conta fra le sue fila numerosi attivisti ebrei e diverse organizzazioni ebraiche che lo supportano, come ad esempio: J Street, Jewish Voice for Peace, e Jews for Justice for Palestine.

In effetti, l’odio interno del popolo ebraico sembra essere una fontana inesauribile di sinistra ingegnosità. Se esiste un odio più enigmatico dell’antisemitismo, questo è proprio l’antisemitismo ebraico.

Come siamo diventati una nazione

Nel settembre del 2014 ho scritto un articolo sul The New York Times intitolato “Chi sei tu popolo d’Israele”, il quale parla dell’origine unica del popolo ebraico e del motive per cui esiste l’antisemitismo. A seguito di numerose richieste di approfondire l’idea dell’unione ebraica come soluzione all’antisemitismo e delle fonti che ho invocato per sostenere il mio punto di vista, ho scritto un saggio più elaborato dal titolo “Perché la gente odia gli Ebrei”. Il saggio è diventato rapidamente un mini-sito internet che contiene, oltre al saggio stesso, un video che spiega le mie idee e una copia gratuita del mio libro Like a Bundle of Reeds: Why Unity and Mutual Guarantee Are Today’s Call of the Hour. Con i limiti di un articolo di giornale, ho potuto dare solo una breve spiegazione, quindi per maggiori dettagli, siete tutti invitati a seguire uno dei link sopra riportati.

La nostra nazione è unica. Se cerchiamo un’origine ben precisa per il popolo ebraico, non la troveremo. La nostra nazione è basata su un’idea, non sulla parentela comune, né sull’affinità etnica o biologica. Il “progenitore” della nazione ebraica fu Abramo, questo è il motivo per cui ci riferiamo a lui come ad “Abramo Nostro Padre”. Il libro PirkeiDe Rabbi Eliezer (Capitolo 24) dice che Abramo era molto preoccupato per i babilonesi con cui viveva. Vedeva la loro crescente ostilità reciproca e si chiese perché tutto ciò stesse accadendo.

Mentre egli rifletteva sul loro odio, scrive Maimonide in Mishneh Torah, si rese conto che in tutta la natura vi è un perfetto equilibrio fra la luce e l’oscurità, fra l’espansione e la contrazione, e fra la costruzione e la distruzione. Tutto in natura ha una controparte che genera equilibrio. Allo stesso tempo, egli notò che a differenza del resto della natura, la natura umana è completamente squilibrata. Tra le persone regnano sovrane l’interesse personale, l’egoismo e la malvagità. L’odio reciproco che Abramo scoprì fra i suoi concittadini gli fece capire la verità sulla natura umana, perché “Il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza” (Genesi 8:21).

Abramo si rese conto che se le persone non avessero introdotto l’equilibrio della natura nella società umana di propria iniziativa, avrebbero distrutto se stesse e la propria società. Egli iniziò quindi a far circolare fra i babilonesi l’idea che, quando l’odio esplodeva, non dovevano combatterlo, ma aumentare invece i loro sforzi per unirsi. L’idea di Abramo cominciò a raccogliere seguaci, ma come ben sappiamo da Maimonide, Midrash Rabbah, e da altre fonti, Nimro Re di Babilonia fu invidioso del successo di Abramo e lo cacciò dall’antica Babilonia.

Abramo iniziò a peregrinare verso la terra di Israele e a parlare della sua idea con la gente che incontrava lungo la strada. La sua idea era semplice: quando scoppia l’odio, va coperto con l’amore. Secoli dopo, il Re Salomone riassunse questa idea nel versetto: “L’odio provoca liti, ma l’amore copre ogni crimine” (Proverbi 10:12).

I discepoli di Abramo incrementarono l’unione fra loro, ma non furono considerati ufficialmente una nazione fino a quando non raggiunsero un profondo livello di unione e solidarietà. Il nome Monte Sinai deriva dalla parola ebraica sinaa (odio). Solo quando il popolo di Israele si unì ai piedi del Monte Sinai e promise di essere “Come un solo uomo con un solo cuore”, allora meritò il titolo di “nazione”. Allo stesso tempo, gli fu affidato anche il compito di continuare a diffondere il metodo della connessione, proprio come Abramo aveva insegnato ai propri discepoli. Come ci dice la Torah, ebbero il compito di essere “Una luce per le nazioni”.

Il popolo ebraico ha continuato a sviluppare il metodo per la connessione, adattandolo alle mutevoli esigenze di ogni generazione, ma il principio del coprire l’odio con l’amore è rimasto lo stesso. Quando un uomo andò da Hillel il Vecchio per chiedergli di insegnargli la Torah, egli disse semplicemente: “Quello che odi, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah” (Talmud Babilonese, Masechet Shabbat, 31a).

L’antisemitismo ebraico: il profondo rifiuto del nostro ruolo

Nel corso delle generazioni, le fazioni del popolo ebraico che non poterono mantenere il principio dell’amore che copre l’odio si separarono dalla nazione. Queste persone assimilarono o svilupparono forme meno impegnative di Ebraismo che meglio si adattavano al loro crescente egocentrismo.

Mentre la maggior parte di queste fazioni scomparve fra le nazioni, alcune di esse, come ad esempio gli Ellenisti, divennero nemici giurati dell’Ebraismo. Ka’ab al-Aḥbār, per esempio, non solo era un ebreo, ma era un eminente rabbino dello Yemen che si convertì all’Islam e divenne una figura importante nella definizione dell’ortodossia islamica sunnita. Egli aveva accompagnato Khalif Umar nel suo viaggio a Gerusalemme. Quando Umar gli chiese consiglio sulla scelta della posizione per un luogo di culto, Ka’ab indicò il Monte del Tempio. Di conseguenza, la Cupola della Roccia di oggi è collocata proprio dove prima vi era il Secondo Tempio.

Quando gli ebrei diventano antisemiti, non si parla semplicemente del rifiuto di una fede. Si tratta piuttosto di una profonda obiezione al ruolo che hanno nei confronti del mondo intero: diffondere a tutto il mondo il metodo della connessione ideato da Abramo. Essere “Una luce per le nazioni” significa impostare un esempio di unione al di sopra dell’odio. Questa è una pesante responsabilità da portare perché significa che se non diamo l’esempio, il mondo non avrà alcun modo per raggiungere la pace e la gente ci darà la colpa per il proprio odio reciproco. Possiamo vedere che questo accade già in molti luoghi e in molte situazioni, ma anche come l’odio e l’egoismo si intensificano nelle nostre società; questo fenomeno diventerà sempre più comune e pericoloso, a meno che noi non forniamo l’antidoto dando l’esempio su come rendere inoffensivo l’odio lavorando sull’unione.

È così difficile cercare di dimostrare che non siamo diversi da qualsiasi altra nazione, ma veniamo sempre trattati come dei reietti. Proprio di recente, il Dott. Andreas Zick della Bielefeld University in Germania, ha rivelato che l’antisemitismo è ancora dilagante nel suo paese. Ma ancora più importante è il fatto che egli attribuisca l’onnipresenza dell’odio verso gli ebrei, al fatto che “non sono visti come parte integrante della società tedesca, ma piuttosto come degli stranieri”.

In effetti, noi continueremo ad essere degli emarginati fino a quando non ripristineremo la nostra responsabilità reciproca, il nostro senso di unione e di amore per gli altri, e diventeremo una luce di unione fra le nazioni. Allora, e solo allora, saremo i benvenuti ovunque. L’antisemita più noto nella storia americana, Henry Ford, espresse questa specifica richiesta nel suo libro L’ebreo internazionale: “I riformatori moderni, che costruiscono modelli di sistemi sociali, farebbero bene ad esaminare il sistema sociale con cui i primi ebrei si erano organizzati”.

Il lievito tra di noi

In questo periodo dell’anno, in cui le famiglie si ritrovano per festeggiare Pesach, che è la festa della libertà, dobbiamo ricordare che la schiavitù che dobbiamo ancora rigettare è l’odio verso i nostri fratelli. Il hametz (lievito) è il nostro odio infondato e rimuovendolo, anche se per una settimana soltanto, compiremo la più grande opera di pulizia mai avvenuta. Sarà anche il più grande regalo che potremo fare a noi stessi, alla nostra nazione e al mondo intero.

Essere “Una luce per le nazioni” significa essere un esempio di unione e fratellanza. Con il nostro odio reciproco, ora stiamo solo dando l’esempio sbagliato. Biur hametz [pulire tutto dal lievito] rappresenta la pulizia dei nostri cuori dall’odio e la loro preparazione per l’unione e la creazione della nostra nazione. Questo è il motivo per cui la festa della libertà, Pesach, viene prima della festa della ricezione della Torah (Matan Torà), che come abbiamo già detto è: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che ha dato inizio alla costruzione del nostro popolo.

In questo momento di profondo conflitto e alienazione, cerchiamo di essere dei veri ebrei, uniti nell’amore che copre tutti i crimini, e legati nella fratellanza e nella responsabilità reciproca.

Auguro a tutti una Pesach felice e kosher (libera dall’odio).
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » mar set 04, 2018 7:17 am

Ultraortodossi parassiti, non vogliono fare il servizio militare come fanno tutti gli Israeliani.
https://www.facebook.com/iki.ro/posts/10215875110783027

Ultraortodossi parassiti, non vogliono fare il servizio militare come fanno tutti gli Israeliani. Questi non lavorano, studiano tutta la vita la torah nelle scuole rabbiniche e sono mantenuti da tutti gli Israeliani inquanto hanno un paio di partiti che sono sempre l'ago della bilancia prima di formare un governo, e per questo se ne approfittano chiedendo la luna, e la ottengono. Ora basta! gli Israeliani sono stufi. Viva un sistema elettorale all'americana, cosiche questi andranno finalmente a fare il loro dovere come lo stano facendo dal 1948 tutti gli Israeliani.

https://www.facebook.com/Buzznet.co.il/ ... 8383434061

Francesco Birardi
Totalmente d'accordo! Questi parassiti sono la feccia d'Israele! Spero che possano presto essere costretti a guadagnarsi da vivere e a fare il loro dovere per la sicurezza di Israele, oppure andarsene. Loro sono come pulci e pidocchi su un corpo sano. Tutta la mia solidarietà e ammirazione a quella poliziotta!


Charedì/Haredì, ebrei ortodossi, ebrei antisionisti
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » mer dic 12, 2018 8:23 am

Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e Israele
viewtopic.php?f=197&t=2469


Il sionismo non è invasione degli ebrei e nemmeno colonialismo ebraico ma un recupero per gli ebrei rimasti in Israele e un ritorno per gli ebrei perseguitati della diaspora
viewtopic.php?f=197&t=2124
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » sab dic 15, 2018 8:25 pm

Il maquillage di Moni Ovadia, l’ebreo che si crede migliore di Israele
di Giulio Meotti
2013/11/11

https://www.ilfoglio.it/articoli/2013/1 ... aele-56324

Salomone Ovadia, detto “Moni”, è un grande dell’eloquio yiddish. Sbeffeggia e deride, con la tipica vena ebraica del rimpianto, e lo fa in modo fluido, ricco, affascinante, con gusto della parola incisiva che incanta. Ovadia trascina le platee. Bulgaro sefardita, Ovadia ha frequentato il tempio di Porta Romana (Sheerit Hapletat), ebrei non tutti ortodossi ma tradizionalisti, del quale Rav Rodal era l’animatore, e con la sua voce squillante e l’intonazione un po’ infantile è stato da esempio per Ovadia. Per questo un invito al festival organizzato dalla comunità ebraica di Milano a settembre avrebbe avuto un senso. Ovadia ha poi diritto alle proprie idee su Israele. Ma aveva diritto anche la comunità ebraica milanese a porre un veto sul suo nome. A boicottare le idee del saltimbanco di successo.

Ovadia è un caso di “emiplegia intellettuale”, come lo definì Jorge Semprún, qualcosa di più della malafede. Ovadia si è fatto portavoce e bandiera di un umore anti israeliano profondo. Un sentimento mascherato bene: nella kippà che indossa, nella capacità magnetica sul pubblico, nella dimensione affabulatoria, nel maquillage antifascista e umanitarista. E’ un uomo di pace, Ovadia, che crede che l’uomo sia un progetto etico (per questo la sua rubrica sull’Unità si chiamava “Mala Tempora”, per questo si accompagna ai corifei del dottor Gino Strada). La vocazione dell’avventura sionista non è mai stata unanime all’interno dell’ebraismo. Ma i modelli che Ovadia offre servono solo a esaltare la campagna di delegittimazione contro Israele. Due anni fa, quando terroristi palestinesi sgozzarono tre bambini e i loro genitori in un insediamento a Itamar, Ovadia fu accusato di non considerare le vittime come suoi “fratelli”, perché vivevano oltre i confini del 1967. Vecchie logiche intra ebraiche. In piena Intifada, il professor Ze’ev Sternhell, fratello questo sì intellettuale di Ovadia, scriveva su Haaretz: “Se i palestinesi avessero più buon senso punterebbero la loro lotta contro gli insediamenti, così potrebbero evitare di collocare cariche esplosive ad ovest della linea verde”. In altre parole, Sternhell, guru pacifista e di sinistra, si augurava che delle bombe esplodessero contro gli ebrei. Contro “quegli” ebrei. In una lettera sull’Unità nel 2006, mentre Haifa era sotto attacco di Hezbollah, Ovadia sostiene che Israele non deve pensare di “rappresentare la tragica eredità dello sterminio” mentre “rade al suolo intere città” libanesi. Lo scorso luglio, sempre sull’Unità, Ovadia celebra la decisione “salutare” dell’Unione europea di boicottare i prodotti israeliani che arrivano da oltre la linea verde. “A Milano c’è un pluralismo assoluto, tutti hanno diritto a dire ciò che pensano anche su Israele”, dice al Foglio Fiona Diwan, direttrice del Bollettino della comunità ebraica di Milano. “Ma Moni Ovadia ha accusato la comunità di essere l’ufficio di propaganda di Israele. E’ un fatto gravissimo e pericoloso, ci ricordiamo di Tolosa? In questo modo si fa degli ebrei un obiettivo”. Poi c’è l’aspetto culturale: “L’ebreo di Ovadia ha fatto la storia, è piatto, senza complessità, una caricatura”, conclude Diwan.

Come Gad Lerner, anche lui “uscito” dalla comunità di Milano, Ovadia non rinnega l’ebraismo, lo celebra come qualcosa che ha a che fare esclusivamente con la tolleranza, con l’esilio. Sono gli “ebrei migliori”, distinti dalla massa di israeliani, possessori di una saggezza cosmopolita, liberale, umanistica, quindi davvero ebraica. Più loro attaccano altri ebrei, più dimostrano di non esserlo più. Nulla dalle parole di Ovadia lascia trapelare orgoglio per come la costruzione del monoteismo giudaico abbia partorito democrazia e diritti umani in occidente. Non c’è mai allarme sulla volontà dell’Iran di liquidare Israele, “quel bastardo illegittimo”, come lo ha appena definito l’ayatollah Khamenei. Nell’eloquio di Ovadia non c’è alcuna traccia di generosità verso un paese che respira fra la vita e la morte restando una grandissima democrazia.

Diceva Amedeo Nazzari: “E chi non beve con me peste lo colga”. Ovadia la pensa così. Il cantore della miseria dello shtetl ha diritto alle proprie idee, ma anche gli ebrei a respingerle.


Salvini il sionista
Moni Ovadia
9 dicembre 2018

https://ilmanifesto.it/salvini-il-sionista


Il gentile sionista che non è un sionista gentile, bensì un non ebreo che potremmo definire, un sostenitore acritico delle ragioni dello Stato di Israele quali esse siano, ha compiuto una impressionante e stupefacente parabola.

Il primo di essi, dal venire all’esistenza dello stato ebraico, è stato il piccolo padre sovietico Jossip Vissarionovic Djugasvili, detto Stalin, che primo fra i potenti volle quello stato, lo armò e lo sostenne nelle istanze internazionali.

L’ultimo dei gentili sionisti, buon ultimo, è il nostro gagliardo ministro degli Interni, Matteo Salvini, il quale ancora prima di essere arrivato in terra santa ha già spiegato che la colpa è tutta dei palestinesi e nella fattispecie dei «nazisti» di Hamas che tengono in scacco milioni di uomini. Implicitamente egli riconosce che gli israeliani sono le vittime.

È il perfetto portavoce di Bibi Netanyahu.

Bibi sarà felice perché la futura composizione del parlamento europeo vedrà un rafforzamento dei partiti populisti, reazionari e fascistoidi che renderanno la già pavida Europa ancor più appiattita sui desiderata israeliani e non contrasteranno occupazione, colonizzazione ed estensione degli insediamenti.

Il sionismo ai suoi esordi fu sostenuto dalle forze progressiste fra cui socialisti, comunisti, anarchici e progressisti di ogni sorta, il sionismo era considerato un movimento decisamente di sinistra e questa nomea aveva portato al sionismo stesso non pochi problemi come quelli col maccartismo che equiparava un sionista a un comunista e con qualche ragione. Nell’esistenza dei primi due anni dello Stato ebraico nei cinema delle sue città, alla fine della proiezione dei film veniva diffuso l’inno israeliano Hatikvà (la speranza) e immediatamente dopo la sala si riempiva delle note dell’Internazionale seguite da quelle dall’Inno sovietico. La rossa epopea ebbe un brusco arresto quando Stalin nel 1949 scatenò una micidiale campagna antisemita che terminò solo nel marzo del 1953 con la sua morte. Il filo sionista per realpolitik si trasformò di colpo in un brutale antisemita per paranoia.

Eppure sotto Stalin gli ebrei avevano occupato posti importantissimi nell’industria culturale, nel partito e persino nell’esercito. Alcuni dei più stretti collaboratori del dittatore georgiano furono ebrei, fra essi il commissario ai gulag Kaganòvic. Ma si sa, l’antisemitismo aveva una sua corrente di sinistra che Lenin definiva «socialismo degli imbecilli». Ma malgrado la campagna staliniana Israele rimase ancora per anni il paese dei Kibbutz, ingenuamente visti come strutture di un progetto socialista. Questa fama cominciò a perdere colpi con la guerra dei sei giorni e con l’ascesa al governo delle destre dopo il conflitto del Kippur, Israele, con qualche interludio, ha cominciato a essere governato da destre ultra sioniste reazionarie alleate con il fanatismo religioso che lo ha progressivamente portato a diventare la nazione segregazionista, colonialista e razzista che è ora. Israele facendosi campione di violenza e rappresaglia ha trovato sempre più amici fra gli ex fascisti, i neo fascisti, i populisti della peggior specie.

Poteva non approfittare dell’occasione Matteo Salvini?

Demagogo di razza, politico con un istintivo senso del timing, opportunista di talento. Ha annusato lo zeitgeist, ha facilmente constatato la necrosi della sinistra e si è messo a cavalcare l’onda. Del resto è un ammiratore di Trump, considera Orban e i paesi di Visegrad i migliori alleati dunque è naturale che consideri Bibi un grande. Il nostro crociato verde si trova in perfetta sintonia con l’ibrido politico ossimorico della nuova ideologia, il filo sionismo antisemita. Pensate che goduria per tutta la feccia nazistoide, per la congrega suprematista e per l’internazionale razzista potere essere ferocemente antisemiti con la patente di amico di Israele. È il capolavoro della partnership the Donald & the Bibi.

A noi che siamo incorruttibilmente democratici non resta che porci una terribile domanda. Ma se gli ebrei del tempo di Hitler fossero stati come gli israeliani alla Nethanyahu, i nazisti avrebbero progettato la Endlösung? La mia risposta è: non credo. I nazisti odiavano l’ebreo ubiquo, apatrida, cosmopolita, dall’intelletto critico, attivatore di rivoluzioni, distruttore di idolatrie.


Alberto Pento

Il sionismo non è invasione degli ebrei e nemmeno colonialismo ebraico ma un recupero per gli ebrei rimasti in Israele e un ritorno per gli ebrei perseguitati della diaspora.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2124
I fondatori del sionismo non erano socialisti o comunisti.



Gaza, Moni Ovadia: "Io, ebreo, sostengo i diritti palestinesi. Ecco perché"
29 agosto 2014

https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/0 ... he/1102601

"Oltre alle ragioni che lo definiscono, il conflitto israelo-palestinese è importante perché evoca ripetutamente, nella dimensione fantasmatica, lo spettro dell’antisemitismo, quello del suo esito catastrofico, la Shoah, ma anche quello del suo doppio negativo, la vittima che diventa carnefice. I processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimano un’'industria dell’Olocausto'. Questa, a mio parere, è una delle derive più allarmanti e ciniche della memoria"

Il conflitto israelo-palestinese è uno dei problemi centrali del nostro tempo sul piano reale ma ancor di più sul piano della percezione simbolica, anche se tutto sommato riguarda un numero limitato di persone rispetto alle moltitudini dei grandi scacchieri incandescenti. Perché è tanto importante? A mio parere perché, oltre alle ragioni fattuali che lo definiscono, evoca ripetutamente nella dimensione fantasmatica, lo spettro dell’antisemitismo, quello del suo esito catastrofico, la Shoah, ma anche quello del suo doppio negativo, la vittima che diventa carnefice. La Shoah non solo ha espresso in sé il male assoluto, ma ha cambiato definitivamente la nostra visione antropologica del mondo e ha sconvolto le categorie del pensiero e del linguaggio. Oggi, la memoria della Shoah entra nel conflitto sul piano dell’immaginario producendo rebound psicopatologici che mettono in scacco non solo il dialogo fra posizioni diverse, ma la possibilità stessa di elaborare un approccio critico senza provocare reazioni isteriche o furiose.

Molti ebrei in Israele e nella diaspora, reagiscono psicologicamente a ogni riflessione severa come se, invece di vivere a Tel Aviv o a Parigi nel 2014, vivessero a Berlino nel 1935. Ora, essendo ebreo anch’io, per dovere di onestà intellettuale è giusto che dichiari la mia posizione perché essa è tutt’altro che neutrale. Sostengo con piena adesione i diritti del popolo Palestinese, non contro Israele, ma perché il loro riconoscimento è, a mio parere, precondizione per ogni trattativa che porti alla pace. Ritengo che la responsabilità principale (non unica) dell’attuale disastro, abbia origine nella cinquantennale occupazione da parte dell’esercito e dell’Autorità israeliana e la relativa illegittima colonizzazione delle terre che appartengono ai palestinesi secondo i decreti della legalità internazionale. Su Gaza, l’“occupazione” è esercitata sempre da parte dell’autorità civile e militare di Israele con un ininterrotto assedio e comporta il totale controllo dell’entrata e uscita delle merci e delle persone, dello spazio aereo, marittimo, delle risorse idriche, energetiche e persino dell’anagrafe. I tunnel, in qualche misura, sono una risposta a questo stato di cose. I missili lanciati contro la popolazione civile di Israele sono atto di guerra illegale secondo le convenzioni internazionali, ma non si può far finta di dimenticare che un assedio è esso stesso atto di guerra.

È stata pratica sistematica degli ultimi governi israeliani il mantenimento dello status quo attraverso la politica dei fatti compiuti e il mantenimento dello status quo impedisce, de facto, ogni altro sbocco come quello della trattativa. Lo dimostra il reiterato nulla di fatto con Abu Mazen che, in cambio della sua super disponibilità a trattare, ha ricevuto solo umiliazioni anche dal finto mediatore statunitense. Ora, la politica dello status quo significa contestualmente il suo peggioramento e l’ineludibile scoppio dei ciclici conflitti con Hamas che terminano con la devastazione di Gaza, una micidiale conta di vittime civili palestinesi e, fortunatamente sul piano umanitario, un esiguo numero di vittime israeliane, soprattutto militari. Ciò non significa che non siano vittime e che la loro morte non sia un lutto.

Gli zeloti pro israeliani quando ascoltano o leggono queste mie opinioni critiche, reagiscono immancabilmente con insulti, maledizioni e invettive. Il genere è: “Sei un rinnegato, nemico del popolo ebraico, ebreo antisemita o ebreo che odia se stesso”. La critica da parte di un ebreo della diaspora alla politica di governi israeliani può essere considerata tradimento, antisemitismo od odio verso se stessi solo se collocata nel quadro di un’identificazione nazionalista di ebreo, israeliano, popolo ebraico, popolo d’Israele, Stato d’Israele, suo governo e “terra promessa”. Ma se qualcuno osa fare notare, da posizioni critiche, tale pericolosa identificazione, ecco arrivare addosso all’incauto le accuse infamanti di antisemita o antisionista, che, per molti “amici di Israele” – anche persone di indiscutibile livello culturale –, sono la stessa cosa. Il carattere fantasmatico della percezione della critica come minaccia innesca irrazionali reazioni furiose che producono alluvioni di tweet, di email rivolte agli organi di stampa e di esternazioni su Facebook dove il diritto all’incontinenza mentale è garantita dell’indipendenza della Rete.

L’ossessione della nuova Shoah dietro la porta scatena processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimando un’“industria dell’Olocausto” che fa un uso strumentale e ricattatorio della memoria dell’immane catastrofe per fini di propaganda, come bene spiega un saggio fondamentale di Norman Finkielstein, uno scrittore ebreo statunitense. Questa, a mio parere, è una delle derive più allarmanti e ciniche della memoria stessa a cui si prestano non pochi politici europei reazionari o ex-post fascisti, magari facendosi intervistare all’uscita da una visita al memoriale di un lager nazista per dichiarare: “Mi sento israeliano!”. Questo è un modo per trarre “profitto” dall’orrore a vantaggio degli eredi delle classi politiche europee che non si opposero allora al nazismo e all’antisemitismo e oggi lasciano sguazzare indisturbati, nell’Europa comunitaria, neonazisti di ogni risma. L’infame Europa del mainstream delle sue classi dirigenti conservatrici allora stette a guardare lo sporco lavoro dei nazisti collaborando o, nel migliore dei casi, rimanendo indifferenti. Dopo la guerra questi signori hanno progressivamente trattato “il problema ebraico” “esportandolo” con piglio colonialista in medioriente. Oggi cercano credibilità e verginità israelianizzando tout court l’ebreo con una mortificante omologazione.

A questa operazione si prestano purtroppo le dirigenze della gran parte delle istituzioni ebraiche, come ha dimostrato il caso della cantante Noa. L’artista israeliana doveva tenere un concerto a Milano organizzato dall’Adei Wizo, un’organizzazione femminile ebraica. Ma Noa, per il solo fatto di avere espresso l’opinione che la colpa dell’ultimo conflitto di Gaza era degli estremisti delle due parti, si è vista cancellare il concerto. Questo episodio dimostra che neppure una dichiarazione equilibrata, neanche se fatta da una cittadina israeliana, sia accettabile per chi vuole omologare l’ebreo all’israeliano, salvo poi infuriarsi indignato con chi smaschera l’intento. Dall’altra parte, ultras “filopalestinesi” si esercitano nella gratificante impresa di fare di Auschwitz, del nazismo e della svastica, oggetti contundenti da scagliare contro l’ebreo in Israele e spesso contro l’ebreo tout court, ma soprattutto contro il vagheggiato ebreo onnipotente della mitica lobby ebraica. L’intento è quello di dimostrare che Israele è come la Germania di Hitler e che ebrei si comportano come SS. Sotto sotto c’è la vocazione impossibile e sconcia di pareggiare i conti per neutralizzare il deterrente della Memoria. Ma questa sottocultura pseudopolitica, prima di scandalizzare, colpisce per la sua deprimente rozzezza. Sarebbe facile dimostrare l’assurdità di simili farneticazioni, inoltre finisce sempre per rivelarsi una sorta di boomerang che danneggia la causa palestinese. Tutto ciò poco interessa a chi deve placare il proprio narcisismo militante, inoltre, questo tipo di militanza che si esprime con slogan di “estrema sinistra” e di roghi di bandiere ha inquietanti punti di contatto con quella dei neonazisti che, pur di soddisfare la loro inestinguibile sete di antisemitismo, si iscrivono fra gli ultras filopalestinesi. Per denunciare l’oppressione del popolo palestinese ci sono un linguaggio puntuale e concetti giuridici elaborati dal diritto internazionale. È dissennato proiettare l’immaginario della memoria della Shoah in paragoni inaccettabili. Anche i proclami di antisionismo sono poco sensati, poco centrati e non tengono conto delle articolazioni del fenomeno.

A mio parere, il sionismo in quanto tale si è estinto da un pezzo. Anche di esso sono rimaste proiezioni fantasmatiche mentre nella realtà l’ideologia della destra reazionaria dominante in Israele è un ultranazionalismo del “grande Israele” compromesso con il fanatismo religioso. Del sionismo è rimasto lo spirito dell’equivoco slogan delle origini: “Un popolo senza terra per una terra senza popolo”. Ancora oggi, a distanza di più di un secolo, la destra reazionaria di Netanyahu ha re-imbracciato quella miopia militante che vorrebbe cancellare nei palestinesi lo status di nazione e di popolo. Ma in questi ultimi giorni perfino il falco Bibi, mettendo la mordacchia ai più falchi di lui nel suo governo, ha intuito che nella sanguinosa polveriera mediorientale una tregua “duratura e permanente” con Hamas è più auspicabile che far scempio di civili innocenti. Secondo me, ciò di cui c’è vitale bisogno in Israele è che la sua classe dirigente si armi di coscienza critica e di lungimirante pragmatismo per dismettere vittimizzazione e propaganda e ascoltare anche le critiche più dure come un contributo e non come un pericolo. Certo, una tregua non fa primavera né la fa una manifestazione della fragile opposizione che in giorni recenti è coraggiosamente tornata a mostrarsi in piazza Rabin per fare ascoltare una lingua diversa da quella dello sciovinismo militare. Ma sono barlumi di una possibile alternativa all’asfissia della guerra.



"MONI OVADIA, LE SPIEGO COSA SUCCEDE QUANDO CRITICA ISRAELE"
di Gheula Canarutto Nemni
5 novembre 2013

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 2672637765


Caro Moni Ovadia,

mi perdoni per questa mia interferenza nei suoi piani di disiscrizione alla Comunità Ebraica di Milano. Dettati, secondo lei, dalla mancata accettazione da parte della comunità delle sue opinioni circa Israele. Gad Lerner ricorda ai suoi lettori di avere compiuto lo stesso passo a suo tempo.

Vede, che lei sia iscritto o meno alla Comunità riguarda solo lei e le sue scelte di vita. La presenza del suo nome nelle liste, nella mailing del Bollettino, negli inviti ad eventi e feste, impattano solo sulla sua casella postale di casa ed elettronica. Nessun altro subirà delle conseguenze da questa sua scelta.

Che lei invece faccia sentire la sua voce da artista seguito e ascoltato da molti, criticando la politica di Israele e dando vita a una vera e propria campagna negativa nei confronti dello stato dei suoi correligionari, non riguarda solo lei e le sue scelte di vita.

Purtroppo no.

Riguarda anche i miei bambini che girano per la città con la kippà in testa.

Riguarda anche i ragazzi che andando a scuola devono superare quattro volanti della polizia prima di entrare a studiare ogni mattina.

Riguarda anche le persone che frequentano una sinagoga in qualsiasi parte d’Italia e devono sottomettersi a perquisizioni per poter porgere il proprio cuore a D-o.

Riguarda tutti gli ebrei d’Italia e del mondo.

Perché quando lei si mette su un palco con la sua grande kippà colorata e da lì critica in maniera pesante lo stato d’Israele, lei non rappresenta un artista qualunque a cui sia saltato in mente di analizzare la situazione geo politica mediorientale. Lei rappresenta l’artista ebreo.

E se un ebreo critica in maniera così feroce i propri fratelli, se un ebreo racconta a gran voce cose che, a suo parere, sono errori della propria nazione, se un ebreo si schiera in maniera così decisa contro l’unico posto del pianeta che dà asilo all’ebreo in qualsiasi momento lo chieda, allora tutto il mondo si sentirà in diritto di farlo.

E, partendo dalle sue posizioni, le userà per giustificare tutti gli atti di antisemitismo a cui vorrà dare vita. Il mondo partirà dalle sue parole per rendere leciti gli attacchi agli ebrei, ovunque si trovino.

Lei è libero di esprimere le sue opinioni a tavola, circondato dai suoi cari amici. Ma non è libero di farlo davanti a un microfono. Perché lì, la sua libertà si scontra con la mia.

E si ricordi caro Ovadia, se un ebreo sputa sul proprio popolo, apre la porta perché l’intero mondo si senta legittimato a farlo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » dom mag 09, 2021 8:21 pm

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Re: Ebrei antisionisti

Messaggioda Berto » dom mag 09, 2021 8:21 pm

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