L'orrore dei cristiani antisemiti e filo nazi maomettani

L'orrore dei cristiani antisemiti e filo nazi maomettani

Messaggioda Berto » gio gen 21, 2016 5:07 pm

L'orrore dei cristiani antisemiti e filo nazi maomettani
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Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e nazi cristiano)
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La Corte Penale Internazionale contro Israele, Corte antisemita internazi comunista e filo nazi maomettana.
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L'ONU internazi comunista e nazi maomettano antisemita e antisionista
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Islamici e cristiani israeliani nemici degli ebrei e di Israele
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Cristo per gli ebrei
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Perché gli ebrei non hanno creduto a l'ebreo Cristo
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L'Italia antisemita e antisraeliana
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L'Italia sinistrata (atea e cristiana) antisemita: social fascista, social socialista e comunista, grillina e piddina
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Razzismo contro gli ebrei
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Le radici dell' odio contro gli ebrei
PIETRO CITATI
12 aprile 2002
http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... ebrei.html

LE ORIGINI dell' antisemitismo sono antichissime. Era già diffuso, lungo i paesi del Mediterraneo, nel quarto o terzo secolo avanti Cristo, quando ebbe luogo la prima emigrazione giudaica. Sugli ebrei circolavano leggende simili a quelle narrate dai cattolici sino alla fine del diciannovesimo secolo, e oggi ripetute dai musulmani. Persino Tacito, il più grande e severo tra gli storici, che non sapeva niente di Israele, raccontava che gli Ebrei - questa taeterrima gens, «pervicacemente superstiziosa», «odiata dagli dei» - venerava una testa d' asino. Un altro storico, Apione, diceva che nel loro Tempio compivano sacrifici rituali di stranieri, ingrassati a forza come Pollicino. Solo la menzogna è immortale. La spiegazione di questo antisemitismo è semplicissima. Tra i popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente, gli Ebrei erano (quasi) gli unici Monoteisti. Mentre gli altri popoli possedevano un pantheon colorato, che accoglieva sempre nuove figure, fuse e mescolate con quelle antiche, gli Ebrei avevano un solo Dio: unico, esclusivo, eternamente immutabile, che non nasceva come gli dei greci e non moriva come quelli egiziani. Questo Dio era possente e tremendo, e non poteva venire rappresentato con immagini umane o animali. Bisognava osservare la Legge, che egli aveva promulgato, i riti che aveva imposto, ed essere puri. Chi cercava di restare puro, doveva vivere separato: non condividere i pranzi con i vicini pagani, dove si mangiavano cibi che il rito proscriveva; e a volte nemmeno parlarne la lingua. Come dice Tacito, questi «misantropi» erano «separati a tavola». Nessuno straniero doveva entrare, pena la morte, nel Tempio di Gerusalemme. Nessun ebreo doveva venerare le statue degli altri dei o degli Imperatori, mentre i pagani veneravano sia Dioniso sia Osiride, sia Demetra sia Iside, Augusto, Nerone e Caligola. Così la vita degli Ebrei, per quanto attivi, mobili e curiosi (quali occhi chiari ed avidi spalancarono sul mondo!), era concentrata su un punto: quel Dio luminosooscuro, che si rivelò durante l' esodo tra le fiamme e le nuvole del cielo.

MAI un popolo portò sino a un punto così alto e profondo la passione religiosa: furibonda, ardente, meticolosa, capace di sottigliezze intellettuali meravigliosamente acute. Per questo, sebbene fossero le persone più tolleranti (come Filone d'Alessandria, vissuto al tempo di Cristo), furono anche i più fanatici: come gli Zeloti, che nel 66-70 d.C. difesero contro i Romani il Tempio di Gerusalemme. La passione religiosa dei cristiani e dei musulmani è, nel suo fondo, quasi completamente ebraica; e per questo alcuni di loro, oggi, odiano gli Ebrei. Si odiano soltanto i propri simili.
Molti parlano con sufficienza delle religioni politeistiche. Quale bellissimo cosmo era quello egiziano o greco, dove l'essenza divina si moltiplicava in migliaia di forme, il sacro veniva rappresentato in ogni figura, sia astratta sia animale sia umana; e dove cento rapporti legavano tra loro le divinità, fino a farci intravedere, dietro le differenze apparenti, la parola segreta di un solo Dio! Nel mondo greco, il fanatismo religioso era molto più raro che nei monoteismi ebreo, cristiano, ed islamico. Non c'è violenza peggiore di quella dell'imperatore cristiano Teodosio, che nell'anno 426 d.C. fece abbattere le bellissime colonne dei templi di Olimpia: il terremoto lo soccorse. Ora le colonne doriche e corinzie stanno a terra, tagliate come fettine d'arancia; e solo i pini, dolcemente smottati dalle vicine colline, le consolano in silenzio per le ferite della storia.
Proprio perché gli Ebrei vivevano separati, attraevano le immaginazioni dei popoli antichi. Molti stranieri portavano offerte votive e ordinavano sacrifici ai sacerdoti dell'immenso Tempio scintillante d'oro, due volte costruito, due volte distrutto: la seconda volta per sempre. Quale era il vero Dio d'Israele? Cosa accadeva nel Tempio di Gerusalemme, dove i pagani non potevano penetrare? Qual era il nome segreto di Jahwe, ignoto persino al suo popolo? Quando sarebbe venuto il Messia, il Cristo? Forse non ci fu evento che colpì le fantasie antiche come ciò che accadde nel 63 a.C.. Pompeo Magno entrò nel Tempio di Gerusalemme, penetrò sino al Santo dei Santi, la piccola stanza dove aleggiava lo Spirito di Dio, e dove solo il Sommo Sacerdote poteva insinuarsi una volta l'anno. Non scorse nulla. La stanza era completamente vuota. Dunque il cuore della religione giudaica era un bugigattolo pieno di ragni? Certo, alcuni Greci e Romani compresero che il Santo dei Santi era vuoto perché solo il Vuoto può alludere all'essenza inafferrabile e incomprensibile di Dio.

Nel primo secolo dopo Cristo, dall'ebraismo si distaccò, come un gracilissimo albero presto destinato a diventare una foresta rigogliosa, il Cristianesimo, questa eresia giudaica. Quasi tutto il Nuovo Testamento può essere commentato, come circa ottant'anni or sono hanno fatto due studiosi tedeschi, L. Strack e P. Billerbeck, con frasi che appartengono alla tradizione ebraica. L'Apocalisse di Giovanni è un testo giudaizzante scritto contro i Giudei. Certo, queste frasi non contengono mai l'affermazione che Gesù è il figlio di Dio incarnato (perché per gli Ebrei e l'Islam è scandaloso che Dio assuma un corpo umano); né che è morto e risorto (affermazione ancora più scandalosa). Queste furono le fondamenta della nostra fede. Per gli Ebrei, Gesù era soltanto un falso Messia: un Messia eretico; qualcuno di loro lo trovava "un uomo saggio"; qualche altro (non Pilato) lo fece uccidere. Una generazione più tardi, il sommo sacerdote sadduceo, Anano, ordinò di lapidare Giacomo, fratello di Gesù, capo della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme. Molti Farisei, ancora vicini ai giudeo-cristiani, non approvarono questa uccisione.
Oggi, colla nostra apparente tolleranza, condanniamo quei delitti religiosi: ma non posso dimenticare che quei morti innocenti si moltiplicarono durante venti secoli in milioni di morti ebrei (non conto quelli sterminati da Hitler). Purtroppo, la passione religiosa porta anche a questo. Malgrado ciò, è la migliore delle passioni: accende la fantasia, risveglia l'immaginazione, dà forza e movimento alle idee, costruisce edifici intellettuali, incanalando la follia umana. Nel secolo scorso, abbiamo visto che la pura passione politica - nazismo e comunismo - conduce ad Auschwitz e alla Kolyma: massacri incomparabili con qualsiasi pogrom.
Dopo la metà del secondo secolo dopo Cristo, Israele rinunciò (sebbene non completamente) a realizzare il regno di Dio in terra, qui ed ora: il più terribile dei desiderii. Cominciarono i secoli oscuri, nei quali la diaspora si moltiplicò in ogni direzione, perché gli Ebrei erano destinati a diventare il sale della terra. Israele accettò di porre il collo "sotto il gioco delle potenze terrene", come aveva detto Geremia. Israele visse bene, o relativamente bene, sotto il dominio dei Califfi e dei signori islamici, immerso nel profumo dell'Islam, come ha raccontato stupendamente Abraham B. Yehoshua in Viaggio alla fine del millennio (Einaudi). Gli Ebrei vissero male o malissimo sotto il dominio dei re, dei papi e dei sacerdoti cristiani, perseguitati per il deicidio che avevano commesso (e che avevano effettivamente commesso, senza saperlo): sfruttati, derubati, uccisi con la spada, sgozzati, bruciati, stuprati, costretti con la forza alla conversione. La causa principale di questa persecuzione sono i Vangeli, le Lettere di San Paolo, gli Atti degli Apostoli e soprattutto l'Apocalisse: testi fatalmente antisemiti, perché la nuova religione si liberava con violenza dalla antica Madre. La storia si ripeté quindici secoli dopo, tra luterani e cattolici.
Israele visse in segreto dal III al XVIII secolo, leggendo la Bibbia, interpretandola secondo la lettera, i simboli e le speculazioni numeriche, cercando testi arabi, cristiani e greci, creando grandiosi miti cosmogonici e teologici, come nel sedicesimo secolo la Cabala di Izchak Luria. Allora, gli ebrei immaginarono un doppio atto creativo da parte di Dio. In un primo momento, Egli si espande, si allarga, si apre, si manifesta, ispirato dalla forza dell'amore, gettando nello spazio la luce delle sue emanazioni, le dieci Sefirot. Questa luce è troppo sfolgorante, perché lo spazio possa sopportarla; e viene contenuta e fasciata in dieci "vasi". La sorte dell'universo resta in bilico per un istante. La forza della pura luce divina è così sovraeminente, così "tremenda e meravigliosa", che non sopporta adombramenti. I "vasi" delle sette Sefirot inferiori si frantumano sotto l'urto violentissimo della luce; e le scintille divine si sparpagliano in ogni angolo della futura creazione - negli uomini, ebrei o gentili, negli animali, nei laghi, nei ruscelli, nei fiumi, nei mari, nelle pietre, nelle erbe, nei cibi, nel Male. Le scintille divine sono dovunque: ma esiliate, degradate, avvilite, prigioniere delle potenze demoniache. Tutto viene macchiato, spezzato, frantumato. Tutto è desolazione e disperazione.
La Shechinà, il volto femminile di Dio, percorre esiliata le contrade dell'universo. Ora brilla soltanto di una debole, pallida, luce riflessa, come la "sacra luna": menomata, rimpicciolita, coperta d'ombra. Ora è una principessa che il padre e la madre hanno cacciato, senza colpa, dal regno: ora è una donna bellissima, che un pirata ha reso schiava; ora una vedova vestita di nero, che piange ai piedi del Muro di Gerusalemme; rapita, calunniata, esposta a tutte le debolezze umane. Avvolta in manti che le nascondono il viso, essa fugge, scompare, si nasconde - e sulla terra restano poche tracce: orme di passi, vesti abbandonate, fuscelli di paglia.
Durante uno dei suoi viaggi, un rabbi polacco arriva, verso il far della notte, in una piccola città dove non conosce nessuno. Non trova alloggio, fino a quando un conciatore lo conduce con sé, nel triste vicolo dei conciatori. Egli vorrebbe dire le preghiere della sera, ma l'odore della concia è così acuto che non riesce a pronunciare una sola parola. Esce e va alla scuola rabbinica, che tutti hanno già lasciato. Mentre prega a capo chino, comprende che anche la Shechinà è finita in esilio, abbandonata nel vicolo dei conciatori. Scoppia a piangere per l'afflizione, versa tutte le lacrime che la sofferenza e l'angoscia avevano raccolto nel suo cuore, finché cade a terra svenuto. Mentre giace esanime, la Shechinà gli appare nella sua gloria: una luce abbagliante in ventiquattro gradazioni di colori. "Sii forte, figlio mio", gli dice. "Grandi dolori ti attendono: ma non temere finché io sarò presso di te". Sebbene la gloria di Dio sia stata umiliata e ferita, essa splende come sempre. Le piccole scintille divine si sono diffuse in ogni luogo, come il lievito che penetra il pane. Tutto è diventato sacro.

Due secoli or sono, i ghetti si aprirono. Gli Ebrei vennero alla luce, ebbero un cognome, entrarono all'Università, scrissero, composero musica, studiarono la scienza e il diritto, insegnarono, diressero Banche, industrie e giornali. Fu l'esplosione più grandiosa della storia europea: una immensa vitalità e intelligenza percorsero all'improvviso le vene dei nostri paesi. Questa esplosione ha una sola analogia: quella dell'Islam, nel settimo, ottavo e nono secolo, quando gli Arabi conquistarono paesi, appresero il greco, studiarono le scienze, fabbricarono automi, costruirono moschee imitando le basiliche cristiane, assorbirono la eredità della religione zoroastriana, raccontarono al mondo le Mille e una notte. Quale forza trassero gli Ebrei da una vita vissuta, per diciotto secoli, sotto il segno dell'immaginazione religiosa e della intelligenza talmudica. La letteratura, la scienza e la psicologia del diciannovesimo e specialmente del ventesimo secolo sono, per metà, dovute ad ebrei, o a mezzi ebrei, nei quali la goccia del sangue giudeo dava nuovo vigore a quello cristiano.
Venuti dalla Russia, dalla Spagna, dalla Polonia, dal Medio Oriente, gli ebrei diventarono francesi, tedeschi, italiani, inglesi meglio dei francesi, dei tedeschi, degli italiani e degli inglesi. Con la loro straordinaria qualità di metamorfosi, diventarono come noi. Le sofferenze e i massacri erano dimenticati: non c'era più né Bibbia, né Shechinà vagabonda, né il suono delle trombe d'argento davanti al Tempio, né il nome segreto di Dio. Ricordo, per esempio, la famiglia di Simone Weil, completamente ebraica, dove c'era lo stesso profumo che nella casa di Proust: ma più antico e profondo, perché la famiglia della madre di Simone veniva dalla Galizia. C'era lo stesso sapore di Francia borghese: la buona cultura, l'agio nascosto, i bei modi eleganti, la finezza psicologica, la musica, l'arte della conversazione, la discrezione, la gaiezza sapientemente velata con la malinconia - come se soltanto il sangue ebraico potesse portare il genio della Francia borghese alla sua espressione più pura.
In questa entusiastica aderenza alla civiltà occidentale, gli Ebrei guadagnarono e persero molto. Qualcuno di loro, come Simone Weil, odiò (senza conoscerla) la propria eredità biblica. Qualcuno la ignorò completamente. Avevo un amico carissimo, Giorgio Bassani, che era vissuto a Ferrara, borghese ebreo tra borghesi cattolici, con appena un lieve ricordo di cucina giudaica e di candelabro dalle sette braccia. Molti anni fa, gli feci leggere un mio saggio su Nachman di Breslav, un narratore chassidico del diciottesimo secolo. Mi guardò coi suoi dolcissimi e durissimi occhi azzurri e mi disse: "Pietro, che cose strane hai raccontato!". Quasi soltanto Kafka comprese che qualsiasi sradicamento dalla tradizione si paga. Con ogni probabilità, anche noi, cristiani, lo pagheremo. Ma gli Ebrei lo pagarono troppo.
Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, l'antisemitismo fu soprattutto borghese. I medici, gli ingegneri, gli scrittori, gli avvocati, i giornalisti, gli scienziati cattolici o protestanti erano invidiosi degli ebrei, perché erano più intelligenti e fantasiosi di loro. Non invano essi portavano, occultata nel sangue, la Bibbia. La borghesia europea dell'Ottocento fu, in buona parte, antisemita: perfino mio padre, il più mite tra gli uomini. Tutto questo ha condotto ad Auschwitz. Alle vecchie leggende e ai nuovi rancori, bastò aggiungere il genio criminale di un pittorucolo austriaco.
Tra le scoperte degli Ebrei, oltre alla Recherche, Il Castello, la psicoanalisi e la Teoria della relatività generale, ci fu anche la Rivoluzione Russa. Non voglio scoprire dappertutto segni genetici: ma forse, come molti hanno scritto, Lenin e Trockij avevano il desiderio nascosto di realizzare con la forza il regno di Dio in terra, come venti secoli prima i giudei Zeloti, ribelli contro Roma. Ma Stalin li espulse, li esiliò, li massacrò, li accusò di congiure immaginarie. Anche in Russia, paese dell'impossibile, gli Ebrei restarono separati, diversi, stranieri: anche là non appartenevano alla terra, della quale non hanno mai veramente fatto parte. Questa è, per noi, la loro benedizione.

Mi scuso di una breve appendice contemporanea. Ho letto che, a Oslo, i giurati del Premio Nobel per la pace avrebbero voluto togliere il premio a Peres, perché partecipa al governo Sharon. Arafat, assediato a Ramallah con la sua patata bollita al giorno, come Pinocchio con le pere e le bucce di pera nella casina di Geppetto, è invece degno di qualsiasi Premio. Mi pare giusto che coloro che danno i Premi e conferiscono la Gloria contendendo con l'eternità, si coprano di vergogna più di qualunque essere umano.
L'Europa del 2002 non sopporta che venga meno un suo luogo comune. Dopo Auschwitz, l'ebreo è la vittima: gasata nei campi di concentramento nazisti, morta di gelo tra i pini nani della Kolyma, sulla quale si possono piangere dolcissime lacrime sentimentali. Nulla è più commovente che una gita ad Auschwitz con una scolaresca, a cui insegnare ad essere buoni. Non si tollera che questo popolo di vittime predestinate abbia dei carri armati. Il massimo che gli si può concedere è andare al ristorante o al bar, ordinare una spremuta di pompelmo e persino un whisky, camminare per le strade di Gerusalemme o di Haifa, saltando per aria sotto le bombe dei kamikaze, questi nuovi Cristi che si immolano, come dice soavissimamente Giulio Andreotti, per la salvezza del genere umano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » gio gen 21, 2016 5:08 pm

Dal giornale l'Avvenire:

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=61135


L'esercito israeliano e lo Shin Bet (la sicurezza interna), in un’operazione congiunta, hanno arrestato il palestinese ritenuto responsabile dell’uccisione a coltellate di Dafne Meir, un’infermiera israeliana di 38 anni aggredita domenica nella sua casa nell’insediamento ebraico di Otniel, in Cisgiordania. I militari hanno detto che si tratta di un ragazzo di 16 anni di Yatta, un villaggio vicino a Hebron. Secondo fonti palestinesi, il giovane si chiama Badr Abdullah Murad Adeis.

Ai media locali il padre ha detto che in nottata la sua abitazione è stata «invasa» dai militari arrivati per arrestare il figlio. «Sono fiero di lui» ha aggiunto. Le Forze di sicurezza avrebbero individuato il ragazzo grazie alle telecamere dell’insediamento. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha subito ordinato la distruzione della casa del palestinese. Misura, quest’ultima, ripetutamente adottata dalle autorità israeliane nel corso degli ultimi mesi, macchiati dal sangue della cosiddetta “Intifada dei coltelli”.

Misura che, però, non fa che esacerbare tensioni già fortissime tra le due parti in conflitto. «Terra» e «casa» sono le due parole che, più di ogni altra, sollecitano sensibilità e toccano ner vi scoperti. Le demolizioni delle abitazioni palestinesi, e soprattutto le costruzioni di case per gli israeliani negli insediamenti, restano l’ostacolo più grande al riavvio del negoziato.

Proprio ieri è stato pubblicato un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) che chiede ad aziende e compagnie di smettere di finanziare, fornire servizi e avere rapporti commerciali con le colonie israeliane nei territori occupati palestinesi. Il documento, di 162 pagine, si intitola «Occupazione S.p.A. Come le aziende delle colonie contribuiscono alla violazione dei diritti dei palestinesi da parte di Israele» e mette in evidenza che quelle attività commerciali «contribuiscono alla confisca di terre palestinesi da parte delle autorità israeliane e alle politiche discriminatorie che forniscono privilegi ai coloni a spese dei palestinesi, come l’accesso alla terra e all’acqua, i sussidi governativi e i permessi per sviluppare il territorio».

Per inviare la propria opinione a Avvenire, telefonare 02/6780510, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


Martiri ebreo israeliani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2167

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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » gio gen 21, 2016 8:41 pm

Striscia di Gaza (e i nazimaomettani con i loro sostenitori e complici cristiani)
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2142

Immagine
https://it.wikipedia.org/wiki/Striscia_ ... _-_ITA.svg



???

Don Nandino CAPOVILLA, “Un Parroco all’inferno”

http://www.amo-fme.org/amo-fme/it/voci- ... ll-inferno

«È la prima volta che esco da Gaza, dopo aver vissuto quattordici anni in prigione. Gaza è una prigione… ».

È vero, Gaza è una prigione, come dice don MUSALLAM, una prigione a cielo aperto: le porte vengono aperte quando lo decidono gli usurpatori, quelli che dal 1967 continuano a occupare militarmente la Cisgiordania e Gaza. Quelli che sui Territori Occupati hanno continuato a costruire colonie e a trasferirvi, contro ogni legalità internazionale, la propria gente. Ma parlare di prigione per Gaza non è forse corretto: in prigione dovrebbero starci quelli che hanno commesso crimini e che per questo devono pagare il prezzo della libertà. (No ghe xe pì l'ocupasion militar de Ixrael e gnanca coloni de ebrei, anca se l'ocupasion la ghe jera stà par via de la goera ke li arabi li gheva fato contro Israel ke però el gheva vinto).

Israele ha occupato la Striscia di Gaza nel giugno 1967 durante la guerra dei sei giorni. L'occupazione militare è durata per 27 anni, fino al 1994. ... Il 12 settembre 2005 il territorio della Striscia di Gaza passò in mano palestinese, e gli abitanti ebbero accesso alle aree che erano state loro precedentemente vietate. Alcuni palestinesi diedero fuoco alle sinagoghe abbandonate e ad infrastrutture varie (del valore di circa 10 milioni di dollari), fra cui alcune serre per coltivazioni. Il partito di al-Fatḥ governò in questo modo ufficialmente sulla striscia di Gaza, primo pezzo dello Stato di Palestina.

Ma a Gaza il prezzo viene pagato dalla popolazione palestinese che non ha commesso reati (ki xe ke ga eleto el terorista Hamas al governo?), che dovrebbe avere il diritto di muoversi liberamente, per viaggiare, per curarsi, per commerciare, per lavorare, per studiare e che invece viene assediata, bombardata, uccisa.

L’assedio di Gaza è una punizione collettiva. Non è punire i responsabili che hanno tirato rockets sulla popolazione civile israeliana, ma è vendetta contro donne, uomini, bambini. E questa punizione, oltre a essere crudele, è persecuzione, è il tentativo di distruggere ogni possibilità di sviluppo di una popolazione distruggendo, come è stato fatto non solo dopo la presa del potere di Hamas a Gaza, ma anche prima in tutti gli anni dell’occupazione militare, le industrie, il porto, l’aeroporto, i ministeri, gli alberi, strade, scuole. La politica israeliana sbandierata come difesa, oltre a continuare un’occupazione coloniale, vuole coltivare odio e violenza. (Me despiaxe tanto ma el terorista Hanas lè sta eleto da li arabopalestinexi xlameghi nasirasisti ke li odia li ebrei e ke li làsa ke Hamas el ghe spare i ràsi so Ixrael da postasion sconte drento i paexi e i coartieri de la Strika de Gaxa).

La testimonianza di Abuna Manuel MUSALLAM raccolta da don Nandino è una testimonianza preziosa, che, dice lui stesso, vuole «restituire verità e dignità a coloro che dall’inferno della prigione di Gaza e di tutta la Palestina occupata non hanno potuto e non possono essere ascoltati da chi vive fuori dalle sbarre».

Don Manuel racconta dei giorni dell’aggressione (agresion ?) dei soldati israeliani a Gaza: racconta storie, sofferenze di persone, racconta dell’essere cristiano in mezzo ai musulmani, si appella ai cristiani del mondo perché vedano la verità, perché aiutino la comunità cristiana, ma soprattutto gli esseri umani umiliati e offesi ai quali sono stati tolti tutti i diritti da un’occupazione militare che uccide tutto e tutti (no ghè pì ocupasion militar). Si indigna don Manuel come ci indigniamo noi, che seguiamo con trepidazione e dolore gli avvenimenti e cerchiamo di esortare a che la comunità internazionale, i nostri governi, si assumano la responsabilità di far sì che Israele rispetti i diritti umani e la legalità internazionale.
Ma non è solo Israele che deve rispettare la legalità: siamo anche noi, i governi, l’ONU, perché, quando permettiamo a Israele ogni sorta di sopruso e di violazione del diritto, siamo responsabili di non fare applicare quanto noi stessi sottoscriviamo nei trattati.
Non abbandonare Gaza, togliere l’embargo che, oltre a procurare sofferenza e ingiustizia, aliena le possibilità di pace e riconciliazione. La popolazione di Gaza non può continuare a morire per l’embargo, soffocata nei tunnel che oggi sono l’unico modo per procurarsi cibo.
(Dalla Prefazione dell’On. Luisa MORGANTINI, già Vicepresidente del Parlamento europeo)

“Un parroco all’inferno” è l’intervista-testimonianza ad uno dei leader protagonisti della storia palestinese degli ultimi anni, è uno dei rarissimi testi usciti ad un anno dalla guerra che tanti lutti ha portato e contiene anche alcune straordinarie lettere di Abuna Manuel alla sua gente e a Papa Benedetto. Un estratto di un’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza completa l’opera allargandone i focus.



Um Al-Amar, Striscia di Gaza, (testimonianza di don Nandino Capovilla)
venerdì 1 agosto 2014

http://www.bocchescucite.org/um-al-amar ... -capovilla

La data non conta: ho vivissimo il ricordo della visita alla bellissima scuola costruita dall’Ong italiana Vento di Terra con i finanziamenti della Cooperazione italiana e della Conferenza Episcopale. Sono circondato di bambini pieni di vita e fatico a convincerli a stare buoni mentre intervisto il presidente Massimo Annibale Rossi.
Ora che sono qui, due anni dopo, in questa terra di Palestina devastata da un massacro infinito, a pochi chilometri da Um Al-Amar, non riesco ad immaginare lo strazio degli stessi bambini in quella stessa scuola che in queste ore è stata rasa al suolo dai bombardamenti israeliani.
Ma ormai ogni aggiornamento del numero di scuole, come degli ospedali distrutti e soprattutto delle persone uccise, appena viene pubblicato è già vecchio. E a chi scrive mancano le parole e gli aggettivi per commentare una tragedia di fronte alla quale sembra che il mondo stia rendendosi conto a rallentatore, quello descritto dalla parola più pesante: genocidio.
Vorrei chiedere a Lucia, la bravissima inviata di Rai News, di andare cercare tra i sopravvissuti della scuola di Um Al-Amar gli amici che in quelle case mi avevano offerto un delizioso caffè al cardamomo. E vorrei amplificare la rabbia del presidente di Vento di Terra che ha tuonato: “Ma perchè il nostro Governo che ha pagato quella scuola non dice nulla ad Israele? E perchè non lo fanno i Vescovi italiani?
Lucia Goracci si distingue da tutti gli altri giornalisti perchè ai numeri impressionanti del massacro preferisce i nomi e le storie, mille volte più impressionanti, dei civili uccisi o di quelli miracolosamente scampati a questo mostruoso bombardamento senza fine. “Di notte aspettiamo il giorno e di giorno aspettiamo la notte. Attendiamo che arrivi il nostro turno di andare al macello. E vediamo il cielo illuminato da una palla di fuoco”-le ha raccontato Abdul, di Kan Yunis.

Ma cosa deve ancora accadere di più brutale, per far uscire il mondo da questo assurdo silenzio sulle responsabilità dirette dello Stato d’Israele? A che numero devono arrivare i civili uccisi perchè cessi questo indottrinamento planetario fatto di giustificazioni ossessivamente ripetute sul “diritto d’Israele di difendersi”, sulla vendetta di Stato per l’uccisione di tre coloni la cui responsabilità è stata ora riconosciuta non ad Hamas, ma ad una cellula estremista?

Yonathan, Daniela e le voci israeliane che si oppongono.
Perchè i nostri corrispondenti non sono andati, come abbiamo fatto con la Delegazione di Pax Christi, ad intervistare chi si oppone non solo a questa ennesima strage, ma alla lunga storia di oppressione del popolo palestinese che l’ha preparata? Potevano andare a chiedere ad uno dei tremila israeliani che sono scesi in piazza a Tel Aviv come il mio amico Yonathan Shapira, che già quando l’avevo conosciuto dieci anni fa mi scaricava addosso la sua protesta che in questi giorni ha ripetuto. Allora ricordo che a fatica tratteneva le lacrime, quando mi raccontava il suo disgusto al ritorno da una “missione compiuta” sul campo profughi di Jenin. Dal suo aereo aveva sganciato una bomba che aveva ucciso15 persone tra cui 9 bambini. E oggi, dieci anni dopo, papà Yonathan va a manifestare con la sua piccola bimba sulle spalle: “Non voglio essere strumento di oppressione e di morte per bambini innocenti come mia figlia, perpetrando cicli di violenze senza limiti.
Il mio Paese è talmente militarizzato da non riuscire più a pensare ad una soluzione politica del conflitto. Ma è assurdo chiudere in prigione un milione e ottocentomila persone e pensare che non reagiscano.
Ogni popolo ha diritto di difendersi e noi dovremo essere i primi a saperlo”.
Chissà se almeno un dubbio sfiora i giovani laureati e colti che dalla cabina degli F16 che qui in Palestina sentiamo sfrecciare notte e giorno sulle nostre teste. Dal loro videogioco di guerra osservano puntini neri che corrono in preda al panico sui tetti delle case sconvolti dalla paura e con un click avvolgono di una nube nera di morte. Forse no, non sono assaliti da un dubbio di coscienza, perché non possono vederne i pezzi dei corpi sparpagliarsi tra le macerie, come d’altra parte non hanno mai incrociato un inesistente aereo nemico palestinese in volo.
Chi darà voce a questi ebrei israeliani che, come Daniela Yoel, che abbiamo intervistato a Gerusalemme, rappresentano la parte più lucida di un popolo che ha ormai sulla coscienza l’uccisione di più di 1000 esseri umani? Fuori onda rispetto all’intervista, Daniela si è sfogata: “Siamo diventati una nazione dove il machismo del nostra potenza militare ha talmente innervato la società e la cultura, che quando vedo il grande ponte di Calatrava all’ingresso di Gerusalemme penso che invece dell’arpa di Davide sia un’inconscia rappresentazione fallica della nostra smania di dimostrare con la forza che possiamo annientare tutto e tutti”.
Noi di BoccheScucite intensificheremo ancora di più le occasioni per dar voce a questi israeliani che dicono NO, come faremo nella prossima Giornata ONU per i diritti del popolo palestinese, a Lucca, sabato 29 novembre 2014 http://www.giornataonu.it, con il giornalista israeliano Gideon Levy, che tra i suoi connazionali vorrebbe tanti altri Yonathan: “per un pilota israeliano la più grande dimostrazione di coraggio è rifiutarsi di uccidere civili”(Internazionale n.1060)

Neanche un centimetro verso la pace
Ma stando qui in Palestina ci chiediamo: com’è possibile che nessuno capisca che anche questa devastante “operazione” non servirà assolutamente a nulla? Ha ragione Daniela ad interpretare la macchina di morte del suo Paese come un folle esibizionismo che non potrà certo avere un esito diverso dai precedenti “interventi” nella Striscia.
Non solo la pace si allontana, ma anche il conflitto israelo-palestinese non potrà vedere un qualche inizio di soluzione. “Solo l’odio sarà il frutto certo di questa guerra. Odio moltiplicato per mille”. Come sempre lucidissimo, il Patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah ci ha accolto a Taybeh ringraziandoci di avere fisicamente portato loro quella solidarietà che noi sentiamo invece troppo debole dall’Italia, in particolare dai nostri governanti (meglio avrebbe fatto l’onorevole Mogherini a starsene a Roma piuttosto che comparire a fianco a Netanyahu, responsabile del massacro, impacciata, muta e connivente, incapace di aggiungere alla sua visita ad una casa israeliana con un foro nella parete per un razzo di Hamas, una casa palestinese qualsiasi, anche solo murata viva).
Efficace e pungente come uno spillo mons. Sabbah ha fatto precedere da un lungo silenzio questa sua amarissima affermazione: “Questo ennesimo massacro non ci farà compiere neanche un centimetro verso la pace!”

Un compito per tutti: diffondere la verità dei fatti
Nelle nostre case la TV e i giornali potrebbero contribuire ad invertire la tragica rotta di annichilimento totale intrapresa da Israele e incoraggiata dai nostri governi muti e conniventi, ma sappiamo bene quanto siano condizionati da chi, come Giuliano Ferrara, farnetica in una difesa senza se e senza ma di Israele. Nelle nostre case abbiamo però almeno una connessione internet attraverso cui far passare la voce dei palestinesi e degli israeliani che da tempo ci supplicano: raccontate! A Gerusalemme la Rete dei cristiani di Terra Santa ci ha affidato un Appello e tutti noi possiamo con grande facilità firmare e far firmare.

https://www.change.org/it/petizioni/al- ... e-for-gaza

E poi stampiamo alcune copie dell’Appello e andiamo domenica prossima a distribuirlo fuori della chiesa più vicina. E’ troppo poco? Restare spettatori è comunque più colpevole. E poi ancora dedichiamo del tempo per cercare le testimonianze disperate di chi è in Palestina per inoltrarle ad altri amici, per ascoltare il grido di chi in questi giorni ci ha condensato in una manciata di minuti una diversa lettura della realtà e passarle in tutti i modi possibili a chi incontreremo. su http://www.bocchescucite.org trovate alcuni link di queste voci: fatele entrare in più case possibili, ricordando che proprio nelle case dei nostri fratelli di Gaza un esercito pronto ad uccidere continua a telefonare intimando la distruzione delle bombe, anzi, qualche fantasioso stratega militare ha avuto tempo di studiare anche il nome di questa nuova “tecnica” di guerra, “knock on roof”: bussiamo sul tetto della tua casa e fra pochi minuti…



Palestina, Israełe e migranti ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1855

Canan, Palestina, Giudea, Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2075

Il sionismo non è invasione e nemmeno colonizzazione
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Gerusalemme ebrea, cristiana e musulmana
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » ven gen 22, 2016 8:00 am

Jihad o guerra "santa" islamica un crimine contro l'umanità
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=1381

Sharia o legge islamica per Maomettoe il Corano
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=1460

La guerra con l'ISIS (e con l'Islam ?)
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=1384

I crimini dell'Islam
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Islam e islamici
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... f=24&t=613

Islam è religione di guerra e violenza non di pace, è religione che viola i Diritti Umani Universali
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2024

Donne cristiane e mussulmane maltrattate dagli islamci
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Dove arriva l'Islam, se diventa una forte minoranza el distrugge i paesi con la guerra civile, la separazione e la secessione etnico religiosa.
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Maometto (santo o criminale terrorista ?)
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Le fosse e altri luoghi di sterminio islamici da Maometto a l'IS
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Islam (e creistianfobia co persecouzione e sterminio dei cristiani)
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Islamofascimo, nazislam e razzismo islamico
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Crimini contro l’umanità e il Corano
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Islam, palestinesi, ebraismo, ebrei, Israele
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » dom gen 24, 2016 9:50 pm

“Al Parlamento europeo, a favore di Israele si è presentato un sacerdote in abito talare, alto e maestoso, barba folta, Gabriel Naddaf.”

https://www.facebook.com/padregabrielit

Con queste parole il coraggioso giornalista e scrittore italiano Giulio Meotti ha voluto presentare Padre Gabriel Naddaf ai lettori del Foglio, in occasione della sessione di dicembre del Parlamento europeo sulla marchiatura dei prodotti israeliani dalla Cisgiordania, marchiatura contro cui il Foglio ha lanciato una campagna che ha raccolto oltre cinquemila firme.
Riportiamo per esteso l’articolo di Meotti raggiungibile a questo link: http://www.ilfoglio.it/…/scegliete-o-con-isis-o-con-israele…

“Si tratta di antisemitismo”, ha esclamato Naddaf. “La marchiatura dei prodotti israeliani tradisce il nucleo del patrimonio cristiano dell’Europa, ed è un ulteriore segno dell’indebolimento dei valori cristiani in Europa”.
Poi l’accusa di ipocrisia rivolta a Bruxelles: “Mentre l’Europa è occupata nella marchiatura dei prodotti israeliani, le terre in tutto il medio oriente e l’Africa sono inzuppate del sangue dei cristiani. In medio oriente c’è un solo paese dove i cristiani possono vivere in sicurezza, in cui possono prosperare, e dove ci sono la libertà di espressione e quella religiosa. In quel paese i cristiani sono in grado di praticare le loro tradizioni religiose, possono essere eletti al Parlamento e hanno pieni diritti democratici. È l’unico paese del medio oriente, dove la popolazione cristiana cresce e prospera.
Questa è la nazione ebraica, la nazione di Israele. E noi, i cristiani, dobbiamo proteggere questa terra santa, che è la fonte della fede cristiana”.

Non si era mai sentito nulla di simile in un’aula del Parlamento europeo. Naddaf è una figura unica in medio oriente. Leader carismatico della chiesa greco-ortodossa in Israele, il sacerdote deve andare in giro con la scorta messagli a disposizione dalle autorità israeliane. La “colpa” di Padre Naddaf è quella di denunciare la sorte dei cristiani nel mondo arabo-islamico e di essere filoisraeliano. Si capisce perché sulla testa di Naddaf pesa oggi una taglia promossa dagli islamisti. La sua vita è in pericolo. È stato definito “un traditore” e “un apostata”.

I suoi pneumatici sono stati trinciati più volte e stracci insanguinati vengono spesso lasciati fuori da casa sua. Il sacerdote viene regolarmente minacciato al telefono e il figlio è stato aggredito fuori casa da un giovane brandendo una mazza di ferro. “Gesù era ebreo, di famiglia ebraica e parlava aramaico, non arabo”, dice al Foglio Padre Naddaf. “Dobbiamo sempre ricordarcelo. Ogni cinque minuti un cristiano viene ucciso in quanto cristiano in medio oriente. In Siria, c’erano due milioni di cristiani, oggi sono solo duecentomila. In Iraq, nel 2000, c’erano quattro milioni di cristiani, mentre ora ce ne sono solo trecentomila. I massacri quotidiani vissuti dai cristiani hanno aperto gli occhi dei loro correligionari in Israele, dove invece c’è una comunità cristiana che cresce ogni anno di più”. Secondo il Central Bureau of Statistics di Gerusalemme, erano 158 mila i cristiani in Israele nel 2012. Alla fine del 2014 erano 163 mila, cinquemila in più. Ma soprattutto, dal 1948 a oggi il loro numero totale è più che quadruplicato.

“Il nostro debito verso la Terra Santa passa attraverso la protezione di Israele e della sua democrazia”, ci spiega Padre Naddaf.
“Altrove, i fanatici islamici sono ansiosi di uccidere cristiani. Soltanto in Israele possiamo prosperare. E’ il tempo della chiarezza. Cosa aspettiamo a dire la verità? Israele deve essere forte anche per noi minoranze. Ogni giorno rivolgiamo appelli per salvare i cristiani del medio oriente ma nessuno risponde. Perché?”.

A quanto risulta, il Dipartimento di stato americano intende designare come “genocidio” gli attacchi perpetrati dallo Stato islamico contro gli yazidi, escludendo così i cristiani. “Perché quando il califfo promise di eliminare la cristianità i nostri capi non dissero nulla?”, continua Naddaf. “Io non ho paura, andrò avanti a dire la verità, ovvero che come cristiani non possiamo che stare dalla parte del popolo ebraico e che Israele è l’unico paese che non cerca di buttare fuori i cristiani, costringendoli a cercare rifugio. Coloro che vogliono distruggere lo stato ebraico stanno firmando anche la condanna a morte degli ultimi cristiani liberi in Terra Santa”.



I NEMICI D'ISRAELE HANNO RUBATO IL NOME "PALESTINA"
https://www.facebook.com/padregabrielit ... 0018035352
La convinzione errata (ma comune) che gli ebrei colonialisti abbiano invaso un paese chiamato Palestina e ne abbiano sradicato gli abitanti autoctoni è completamente falsa. Innanzitutto, il popolo della Palestina che ha le radici più profonde in quella terra è il popolo ebraico, i cui parenti e antenati vi hanno vissuto (in varia misura) per diverse migliaia di anni. In secondo luogo, la maggior parte degli arabi che fuggirono dalla Palestina tra il 1947 e il 1949 lo fecero perché erano sicuri che i loro compatrioti arabi dell'Egitto, dell'Iraq e di altri paesi sarebbero riusciti a rendere la Palestina Judenrein.

E' giunto il momento di ricordare agli arabi e alla comunità internazionale che gli ebrei sono i veri palestinesi. Altrimenti, come mai esistono un Talmud palestinese e un giornale ebraico chiamato The Palestine Post? Come mai, fino alla creazione d'Israele, gli ebrei erano noti come "i palestinesi"? Come mai Immanuel Kant si riferiva agli ebrei in Europa come ai "palestinesi tra di noi"? Come mai c'è una Stella di Davide sulla bandiera della Palestina del 1939? Come mai la rivista dell'Organizzazione Sionista d'America si chiamava New Palestine? Come mai la Compagnia Elettrica Israeliana si chiamava originariamente Compagnia Elettrica Palestinese? Come mai il principale fondo di finanziamento dell'Organizzazione Sionista Mondiale si chiamava Palestine Foundation Fund?

La risposta è: "Perché la parola Palestina indica la terra che, per migliaia di anni, è stata l'incubatrice dell'identità ebraica".

Il nome Palestina era stato imposto agli ebrei dall'Impero Romano nel 135 d.C., quando l'imperatore Adriano aveva voluto cancellare ogni traccia ebraica da quella terra, che si chiamava Giudea. E' quindi più che comprensibile che nel 1948 i leader dell'Yishuv (la comunità ebraica che già abitava quella terra prima dell'indipendenza) non abbiano voluto mantenere il nome Palestina per lo Stato che finalmente l'ONU aveva deciso di riconoscere, ed abbiano scelto di chiamarlo Israele (anche Giudea era tra i nomi presi in considerazione). Ma non dobbiamo lasciare che gli arabi e i loro sostenitori israelofobici si approprino dei nomi "Palestina" e "palestinese" come parte della loro campagna di delegittimazione. La Palestina era ebraica, non è mai stata araba. Il linguaggio è tutto. Rinunciando all'uso corretto delle parole, e permettendone la rimozione dal contesto storico, la realtà dei fatti è sminuita o persa del tutto.
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » ven feb 12, 2016 8:44 am

Israele un paradiso di libertà anche per cristiani e maomettani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2208

Basta finanziare il terrorismo nazi palestinese contro gli ebrei di Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2193
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » ven feb 12, 2016 4:22 pm

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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 10:20 am

I papi contro gli ebrei

http://www.uaar.it/libri/papi-contro-ebrei

David Kertzer, figlio di un noto rabbino, è specialista in storia italiana e docente di antropologia e storia negli Stati Uniti. Nel 1996 ha pubblicato Prigioniero del Papa Re, storia di un bambino ebreo che a Bologna nel 1858 fu strappato alla sua famiglia perché, essendo forse stato battezzato segretamente da una domestica, per la chiesa era diventato cattolico e quindi non poteva più restare nella sua famiglia ebrea.

Il Vaticano nel 1998 per difendersi da reiterate accuse ha pubblicato una relazione in cui ha nettamente distinto l’antigiudaismo religioso, che ammette come sua passata colpa, dall’antisemitismo1 proprio di chi è contro gli ebrei per motivi razziali: di questo la Chiesa si dichiara assolutamente innocente. In base a ciò la Chiesa si è anche infine autoassolta da ogni colpa riguardante l’Olocausto2.

Il libro che qui presentiamo è stato scritto proprio per confutare l’autoassoluzione e per dimostrare come la distinzione tra i due tipi di avversione contro gli ebrei non regga ad un esame storico.

Le analisi dell’autore si focalizzano soprattutto dal 1800 in poi per dimostrare come l’operato della Chiesa, non solo in tempi antichi, ma anche in età moderna sia servito da preparazione e da solida base per l’affermazione dell’antisemitismo moderno. Questo appare palese leggendo la stampa cattolica che combatte modernismo, liberalismo, laicismo, e gli ebrei, ora visti in combutta con i massoni, ora associati al comunismo, ma comunque impegnati a realizzare l’opera del diavolo: loro scopo primario e finale è distruggere il cristianesimo.

Nel 1825 sul Giornale ecclesiastico di Roma fu pubblicato un lungo trattato contro gli ebrei poi riproposto in un opuscolo dalle molte ristampe. In esso c’erano le accuse mosse tradizionalmente dalla chiesa contro gli ebrei: colpevoli di deicidio, guidati dal desiderio di lucro, vogliono abbattere la cristianità, si lavano le mani nel sangue dei cristiani, danno fuoco alle chiese, calpestano le ostie consacrate, rapiscono bambini cristiani per scannarli, violentano battezzate e suore. Nonostante gli ebrei fossero solo lo 0,2 % della popolazione veniva loro attribuita un’influenza enorme e perniciosa: ingannano, frodano, solo ladri e assassini, vogliono ridurre i cristiani in schiavitù.

Attorno al 1870 solo in Italia si pubblicavano 130 periodici cattolici di cui 20 quotidiani. All’inizio del ventesimo secolo c’erano 500 periodici di cui 30 quotidiani. Tutte queste pubblicazioni erano scritte e dirette dal clero e sono sotto il controllo del Vaticano. Il periodico cattolico più influente nel mondo fu il bisettimanale dei gesuiti La Civiltà Cattolica fondato nel 1850 su richiesta di Pio IX (papa dal 1846 al 1878).

Questa pubblicazione fece una lunga campagna contro gli ebrei con 36 feroci articoli antisemiti stampati dal dicembre del 1880 per 40 mesi. Fin dal 1880 vi si sottolinea che il giudaismo non è solo una religione ma è una razza per cui anche se gli ebrei dovessero diventare liberi pensatori, atei, cattolici o protestanti resterebbero sempre e comunque una specifica razza distinta. Tra le altre affermazioni ricordiamo le seguenti. Gli ebrei sono costretti dalla loro religione ad odiare i non ebrei e ad uccidere i cristiani; la società deve proteggersi dagli ebrei con apposite leggi speciali contro questa «ebraica razza straniera» «sì eccezionalmente e sì profondamente perversa»; tutti i guai della moderna società vengono dall’aver aperto i ghetti dove gli ebrei erano vissuti per tanto tempo felici; fuori dai ghetti la razza ebraica diventa «persecutrice, vessatrice, tirannica, ladra e devastatrice» e gli ebrei sono comunque «insolenti, caparbi, sporchi, ladri, bugiardi, seccatori».

Nel 1882 La Civiltà Cattolica annunciò con soddisfazione le prime manifestazioni dei movimenti politici antisemiti moderni che organizzavano congressi internazionali. Nel 1890 nella stessa rivista apparvero tre lunghi articoli sulla «questione giudaica» che negli anni successivi furono riuniti in un libretto di 90 pagine diffuso per ogni dove. Le accuse sono le solite e vi si sottolinea che scopo degli ebrei è distruggere le nazioni in cui vengono lasciati liberi di vivere. Il ministro fascista Farinacci, dopo la promulgazione delle leggi razziali italiane (1938), sottolineerà come La Civiltà Cattolica già nel 1890 consigliasse, per difendersi dalla razza giudaica, l’annullamento di tutte le norme di eguaglianza politica e civile, la confisca dei beni e l’espulsione.

Sempre nella stessa pubblicazione, nel 1893 nell’articolo «La morale giudaica» sono presenti esplicitamente tutti i temi più cari all’antisemitismo moderno, ma il padre gesuita che ne è l’autore sottolinea che la Chiesa non sostiene queste cose perché antisemita ma perché gli italiani si mettano in allarme […] contro questi succhiatori di sangue. Nel 1892 L’Osservatore Romano dedica una serie di scritti alla questione ebraica giungendo a sostenere che dietro la violenza dei ripetuti pogrom ci sono gli stessi astuti ebrei che architettano questi sanguinosi eventi per suscitare pietà e simpatie. I lettori della stampa cattolica di tutta Europa all’inizio del XX secolo continuavano ad essere bombardati da riferimenti alla «razza ebraica» ed alle sue caratteristiche anche fisiche negative e pericolose.

Ma passiamo dalle parole ai fatti, dalla teoria alla pratica.

Pio IV (papa dal 1775 al 1779) trovava intollerabili le piccolissime libertà che, affogate in un mare di divieti, qualche suo predecessore aveva concesso agli ebrei ed appena eletto emise una bolla che fece tornare alle restrizioni del 1500. Questo regolamento fu punto fermo di riferimento per i successivi pontefici fino alla metà del XIX secolo.

Molti non sanno che la stella gialla che gli ebrei erano costretti a portare sotto il nazifascismo è una riedizione del distintivo giallo che era obbligatorio nello Stato Pontificio ancora nel XIX secolo. Inoltre il papa, nei territori italiani soggetti al suo potere temporale, trasferiva gli ebrei dalle zone senza ghetto alle città in cui poteva chiuderli nei ghetti. Similmente si sarebbero poi comportati i nazisti prima di svuotare anche i ghetti con la «soluzione finale».

Nel 1800 imperversava ancora la pratica dei battesimi forzati e se un ebreo diventava cristiano era costretto ad «offrire» alla Chiesa moglie, figli, nipoti, eccetera. Tra questi i bambini venivano battezzati forzatamente, gli adulti erano trattenuti dai funzionari della chiesa in una apposita «casa dei catecumeni» fino a quando non cedevano e se i genitori rifiutavano la conversione venivano per sempre separati dai figli oramai cristiani. Le donne incinte erano assistite nel parto da una inviata della Chiesa che, subito dopo la nascita, portava alla Chiesa il neonato per il battesimo e la definitiva separazione dalla madre ebrea.

Nel 1840 Gregorio XVI (1831-1846) ribadì l’obbligo delle prediche forzate. Gli ebrei dovevano uscire dal ghetto per andare in una specifica chiesa ad ascoltare accese prediche contro … gli ebrei.

Le prediche forzate erano sospese negli intervalli tra la morte di un pontefice e l’elezione del suo successore (periodo in cui scoppiavano sempre disordini) e nelle domeniche in cui nevicava e c’era neve sul terreno per evitare che i cristiani bersagliassero gli ebrei con palle di neve. Kertzer commenta «Tutto considerato, le palle di neve erano l’ultimo dei problemi per gli ebrei di Roma».

Tra le più gravi accuse ricorrenti contro gli ebrei c’è quella degli omicidi rituali. La Chiesa cattolica ha sostenuto a lungo che gli ebrei rapiscono i bambini cristiani, li crocifiggono, li mutilano, li torturano nel modo più crudele possibile per cavar loro il sangue, berlo e usarlo per impastare il pane azzimo. Gli ebrei accusati erano sottoposti a spaventose torture, molti ne morivano, altri alla fine si dichiaravano colpevoli per non essere ulteriormente torturati (è esattamente quello che succedeva anche con le «streghe»). Ad ogni nuova accusa se qualcuno si dichiarava scettico venivano ricordati, tra gli altri, questi precedenti.

A Trento, dopo tante prediche antiebraiche fatte dai frati francescani, nel 1475 gli ebrei furono accusati di aver massacrato un bambino cristiano di nome Simone; nel 1588 papa Sisto V dichiarò Simone santo e martire (il culto è stato abolito nel 1965 dopo il Concilio Vaticano II). Al 1485 risale invece il martirio di Lorenzino di Marostica (Vicenza): secondo la versione ufficiale della Chiesa una torma di ebrei lo aggredì, spogliò, crocefisse ad un albero e ne bevve il sangue. Pio IX nel 1867 ufficializzò il culto di Lorenzino e nel 1870 gli consacrò la seconda domenica dopo pasqua. Nel 1840 in Siria il vampirizzato di turno, anziché un bambino fu eccezionalmente un anziano monaco italiano.

Nel 1891 l’argomento dell’omicidio rituale ebraico era diventato un’ossessione per L’Osservatore Cattolico, quotidiano milanese, che nel 1892 su questo tema stampò 44 articoli che poi vennero ripresi in tutta Europa. Nell’ultimo decennio del XIX secolo ci fu un’impennata di accuse contro gli ebrei per omicidi di bambini cristiani e i numerosi processi furono raccontati con abbondanza di dettagli raccapriccianti dalla stampa cattolica.

Nel 1891 sul Piccolo Monitore il fondatore, sempre impegnato nella campagna antimodernista voluta da Pio IX, parlò della «razza rabbinica che sgozza in pieno 1891 i piccoli cristiani per la Pasqua della Sinagoga». Ancora nel 1899 ne L’Osservatore Romano fu stampato un articolo intitolato «L’omicidio rituale ebraico». Ed infine eccoci al XX secolo: nel 1914 su La Civiltà Cattolica si legge che cosa più importante per l’ebreo assetato di sangue cristiano è che il bambino che sacrifica muoia nel modo più doloroso possibile.

Chiunque volesse fomentare odio contro gli ebrei poteva citare anche le «prove» sugli omicidi rituali riportate negli articoli de L’Osservatore Cattolico in cui gli ebrei erano dipinti in senso proprio e metaforico come vampiri dell’umanità e sfruttatori del sangue cristiano oltre che monopolizzatori, usurai, speculatori disonesti, danneggiatori, calunniatori dei cattolici, insomma una genia da cui è necessario difendersi. Agli articoli si aggiungevano opuscoli e libri cattolici stampati con l’intento dichiarato di non far dimenticare i martiri dei vampiri ebrei e per sottolineare che gli svenamenti avveniva per osservare le leggi ebraiche e gli ordini della Sinagoga.

Ed ora passiamo ad alcuni degli ultimi papi pre-Olocausto.

Pio IX (1846-1878) nel 1864 scrisse il Sillabo, un elenco di 80 «errori» della civiltà moderna contro cui la chiesa deve combattere. Gli errori sono sostanzialmente le principali conquiste del pensiero moderno dal razionalismo al liberalismo, dalla libertà di religione alla separazione tra stato e chiesa, alla fine del controllo ecclesiastico sulle scuole pubbliche.
Tra i nemici indicati nel Sillabo ci sono i massoni e la «sinagoga di Satana» che vuole ridurre la chiesa in schiavitù per poi farla scomparire. Durante il Concilio Vaticano I (1869-1870) furono condannati razionalismo e materialismo e Pio IX ottenne la proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia.
L’acerrimo nemico dei patrioti italiani e dell’unità d’Italia sarà beatificato il 3 settembre 2000.

Il Vaticano proibisce la consultazione degli archivi posteriori a Benedetto XV (1914-1922) che nel 1914 scelse Achille Ratti per una missione diplomatica in Polonia. Ratti restò a Varsavia per 3 anni, il senso dei suoi rapporti a Roma è che causa di tutti i guai della Polonia sono… i giudei: la razza ebraica sfrutta la popolazione cristiana e ha un ruolo preponderante nel movimento bolscevico. Nelle relazioni sprona a non dar troppo peso alle notizie di massacri di ebrei, di incendi di case, industrie e sinagoghe perché, dopo tutto, di qualsiasi tipo di violenza siano oggetto […] la colpa è loro.

Se il popolo polacco è antisemita il clero cattolico polacco non è da meno. È convinto che ci sia una cospirazione mondiale ebraica e che sia necessario preservare la purezza razziale. Tra i suoi più importanti rappresentanti c’è anche chi diffonde l’idea che sia necessario eliminare gli ebrei ad uno ad uno.

Nel 1990 il Vaticano ha pubblicato un volume sulla relazione di Ratti da Varsavia. Il libro però ha spesso sunti al posto del testo originale e tagli ogniqualvolta lo scritto di Ratti sugli (contro gli) ebrei si fa un po’ troppo forte. Morto Benedetto XV nel 1922 Ratti diventò Pio XI ed ebbe (anche lui) l’appellativo di «papa buono».

Nel 1903 esce in Russia I Protocolli dei Savi Anziani di Sion; nel 1920 il libello viene pubblicato in Francia da un alto monsignore «Prelato di Sua Santità»; nel 1921 l’opera viene smascherata come un palese rozzo falso antisemita in cui si immagina un piano ebraico per conquistare il dominio del mondo; nello stesso anno il testo viene pubblicato in Italia come supplemento al diffuso settimanale cattolico Fede e Ragione. Gli argomenti dei Protocolli sono gli stessi che le pubblicazioni cattoliche avevano diffuso per decenni. Nel terzo millennio i Protocolli avranno ancora successo tra i neonazisti e nei paesi arabi.

La Civiltà Cattolica e L’Osservatore Romano continuarono anche negli anni Venti la loro battaglia sempre meno solitaria contro gli ebrei dipinti come nemici dell’umanità e in combutta con o essi stessi massoni, bolscevichi, comunisti, socialisti, atei, rivoluzionari. Dietro la decadenza di giornali, teatro, cinema ci sono gli ebrei con la loro visione materialistica, immorale e irreligiosa della vita, visto anche che sono particolarmente interessati al sesso e appassionati di pornografia. Per salvarsi la civiltà cattolica deve privare gli ebrei di ogni diritto, espellerli dalle nazioni cristiane, costringerli ad emigrare.

Le leggi razziali promulgate in Italia nel 1938 si differenziano pochissimo da quelle che la Chiesa aveva applicato nei suoi territori e, come i capi fascisti tengono a sottolineare, mettono in pratica ciò che la Chiesa chiedeva da tempo attraverso la sua stampa. Farinacci sosteneva: «se come cattolici siamo diventati antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti della Chiesa attraverso 20 secoli».

Pio XII (1939-1958) non disse una sola parola contro lo sterminio neppure quando furono deportati nei lager gli ebrei rastrellati nel ghetto di Roma. Quando vennero annullate le leggi razziali la Chiesa si batté perché almeno una parte delle restrizioni restasse in vigore. Tra XX e XXI secolo il processo di beatificazione di Pio XII subirà rallentamenti a causa delle accuse e delle proteste mosse da più parti.

Tantissimi altri problemi, questioni, accadimenti e persone vengo affrontati e raccontati in questo libro, documentato e rigoroso ma di semplice lettura, che consigliamo sia per saperne di più sulle colpe della Chiesa, sia per essere più informati sull’antisemitismo sempre strisciante e spesso risorgente.
Note

Nel testo in esame è usato questo termine coniato da un tedesco nel 1879. È d’uso comune ma quanto meno improprio: sono semiti anche gli arabi.
Altro vocabolo presente nel testo, comune ma inappropriato: indica il sacrificio di una vittima a una divinità.

L’AUTORE

David I. Kertzer (1948 New York, NY, USA), specialista di storia italiana, è professore di antropologia e storia presso la Brown University di Providence (Rhode Island). Tra i suoi libri, oltre a quelli citati nel presente sito, Riti e simboli del potere (Ritual, Politics & Power, Yale University Press 1989), apparso in edizione italiana nel 1989.

Marina Franceschini
Circolo UAAR di Milano
Giugno 2001
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 10:23 am

Quando che in Vaticano Roncalli poi divenuto papa Giovanni XXIII°, non voleva che gli ebrei avessero il loro stato di Israele

Perché questo Papa è così timido con gli attacchi dell’islam
La chiesa continua a ignorare il legame tra i paciosi ulema del dialogo interreligioso e i mitra del Califfato
di Carlo Panella | 10 Agosto 2014

http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/08 ... -_c147.htm

Roma. Non stupisce la timidezza di Papa Francesco a fronte della sanguinaria marea montante del Califfato. E’ coerente con mezzo secolo e più di equivoci ed errori della chiesa, e delle chiese, nei confronti del mondo musulmano. Un fraintendimento radicale dal doppio volto, politico e teologico. E quel che più stupisce e pesa è di sicuro il secondo.
Lungo 50 anni di dialogo interreligioso infatti, la chiesa ha deciso di ignorare il profondo legame teologico che unisce i paciosi ulema dei suoi tanti convivi interconfessionali – in primis i sauditi – ai feroci miliziani dello Stato islamico di oggi. Legame che ha un doppio riferimento, non a caso mai citato: Mithaq e Corano increato.

Il primo, il “patto primordiale”, ha un effetto devastante perché stabilisce che l’islam è la religione naturale dell’uomo. Nessun mistero della Fede, nessun libero arbitrio, nessuna “scelta”. Si nasce musulmani e monoteisti, ma genitori cristiani ed ebrei fanno deviare dalla Fede connaturata. Il Corano predica il monoteismo non soltanto come tradizione primordiale dell’umanità, ma come radicato nella pre-eternità dell’uomo per volontà indiscutibile di Allah. Prima ancora della sua nascita, l’uomo è già monoteista. Nasce musulmano per natura, affermano la tradizione e i teologi. Di conseguenza, l’infedeltà al monoteismo è vista come uno spergiuro. E idolatri e da combattere con la spada sono i cultori dei santi cristiani, dei 12 imam sciiti e del fuoco zoroastriano degli yazidi.

Questo è il legame profondo che unisce il jihadista dello Stato islamico, che crocifigge cristiani, a Hassan al Turabi, il teologo sudanese che fece impiccare Mohammed Taha per apostasia e che fu portato dalla Curia a stringere la mano di Papa Wojtyla. Un legame che unifica la teologia del Califfato osceno dello Stato islamico a quella del confinante regno saudita e wahabita, dove vieni arrestato se solo porti al collo un crocefisso ed è proibita ogni manifestazione di fede cristiana.

Ma non basta: se si intreccia il “patto primordiale” con il secondo dogma fondante del Corano increato è ben arduo convincere il miliziano del Califfato a scegliere più dolci maniere. Questo secondo dogma – di cui mai né Hans Küng, né il cardinale Martini, né i teologi di Sant’Egidio si sono occupati o preoccupati, non a caso – comporta la proibizione assoluta a qualsiasi esegesi del Libro. Questo perché, essendo incarnazione, materializzazione eterna del Verbo (quasi fosse il Cristo) il Corano preesiste all’uomo e vivrà oltre la Fine del Tempo. Conseguenza ovvia: Ratisbona. Fede e ragione non possono contemperarsi perché la seconda non può commettere il peccato luciferino di interpretare il Verbo. Dunque se il Corano definisce gli ebrei “porci e scimmie”, così è. Se il Corano accusa ebrei e cristiani di “avere tradito il Libro e ucciso i Profeti”, così è e vanno puniti in eterno.
Questa rozza teologia, in spregio ad Averroè, è stata elaborata nel XIII secolo da Ibn Taymmyya, a chiusura autocastrante della civiltà islamica dei secoli precedenti, ed è oggi egemone in tutto il mondo sunnita, non solo in quello wahabita. Ma mai, mai, è stata affrontata, discussa, presa in considerazione dalla chiesa nelle sue devastanti, possibili ricadute e conseguenze.
I miliziani del Califfato si incaricano ora di spiegarla e dispiegarla al mondo, in quella che concepiscono come una dovuta lotta all’idolatria di cristiani, sciiti e yazidi.

Ma la chiesa – e lo stesso Pontefice – si trovano oggi disarmati davanti alle sciabole del Califfato anche a causa di una spessa tradizione di opportunismo politico che emerse con dolorosa evidenza alla luce quando la Curia arrivò a dissociarsi di fatto e ipocritamente dal suo stesso Pontefice dopo Ratisbona. Le ragioni di questo opportunismo curiale erano e sono tante: la protezione delle minoranze cristiane sino al 2011 in qualche modo cooptate dai regimi; in alcuni casi, come in quello siriano, la piena complicità dei vertici della gerarchia locale e dei dirigenti della comunità cristiana con i regimi, anche quelli più feroci (si ricordi il ruolo di Tareq Aziz, il Beria cristiano di Saddam Hussein); il solido legame nelle votazioni sui temi etici nelle istanze internazionali e infine l’inerziale consuetudine. Su tutto, dopo la posizione di Giovanni XXIII sulla guerra d’Algeria, un’alea di pacato anti imperialismo che intravedeva nell’identità islamica una forza vitale di giustizia nel mondo. Infine, ma non per ultimo, il retaggio di un anti giudaismo, difficile da superare, che sullo “scandalo” dell’esistenza dello stato degli ebrei riemergeva e riemerge.

Quando il Vaticano si schiera

Francesco Cossiga ricordava un dispaccio del 1947 di Roncalli, nunzio a Istanbul, in prossimità del cruciale voto all’Onu sulla nascita di Israele, in cui il futuro “Papa buono” considerava “non opportuno” che l’ebraismo potesse contare sul baricentro di uno stato. Pregiudizio e diffidenza che hanno segnato la dura scelta del Vaticano di non associarsi a tutte le nazioni del mondo e di schierarsi con quelle islamiche, non riconoscendo Israele come stato con cui stringere relazioni diplomatiche sino al 30 dicembre 1993, dopo gli accordi di Oslo. Di fatto, la chiesa ha subordinato alle sciagurate scelte di Yasser Arafat i tempi del suo riconoscimento formale dello stato di Israele.

Di fatto, la chiesa, non conosce l’islam, quello vero, praticato, di oggi. Non vuole conoscerlo perché sarebbe costretta a decisioni devastanti. In primis, quella della “guerra giusta”. Un dramma che priva l’occidente di una guida indispensabile. E lascia i cristiani d’oriente nudi e indifesi di fronte al martirio.



Giovanni XXIII e gli ebrei
Un Convegno internazionale in Israele in omaggio al ''papa buono''

http://www.israele.net/giovanni-xxiii-e-gli-ebrei

«Giovanni XXIII è stato uno dei più grandi amici del popolo ebraico». Lo scrive Baruch Tenembaum, fondatore della Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg, sul Jerusalem Post, la prestiosa testata quotidiana israeliana di lingua inglese.
Tenembaum scrive: «Il prossimo 3 giugno il mondo commemorerà il 50° anniversario della morte di un uomo straordinario: Angelo Giuseppe Roncalli, meglio conosciuto come Papa Giovanni XXIII. È un peccato che il pubblico israeliano sappia così poco su di lui, dato che è stato uno dei più grandi amici del popolo ebraico. Negli anni ’40, quando era delegato apostolico del Vaticano a Istanbul, il Cardinale Roncalli non si è risparmiato per salvare il maggior numero possible di ebrei dallo sterminio nazista. Fece azioni straordinarie per il tempo e il contesto in cui viveva per aiutare gli ebrei, allora perseguitati. Tra queste ricordiamo l’emissione di “certificati di immigrazione” in Palestina tramite il corriere diplomatico del Vaticano. Intervenne anche apertamente a favore degli ebrei slovacchi e bulgari».
A testimonianza di ciò, Tenembaum ricorda che proprio oggi [mercoledì 29 aprile] in Israele si tiene un convegno internazionale, «Omaggio alla memoria di Papa Giovanni XXIII, la Shoah, gli Ebrei e lo Stato di Israele», dove egli presiede la sessione «Roncalli e la creazione dello Stato d’Israele».
La Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg ha fra l’altro presentato al museo Yad Vashem un voluminoso dossier di documenti e prove tangibili degli atti di salvataggio compiuti da Roncalli durante la Shoah. La Fondazione ha accompagnato il fascicolo con una forte raccomandazione affinché Roncalli sia riconosciuto come Giusto tra le Nazioni. Il dossier è ancora aperto.
Alla fine di quest’anno, insieme al presidente della Fondazione Wallenberg, Eduardo Eurnekian, Tenembaum sarà a Bergamo e a Sotto il Monte (il paese natale di papa Roncalli) per assegnare una medaglia appositamente coniata a monsignor Loris Capovilla, di 97 anni. Capovilla era il segretario personale di Papa Giovanni XXIII e ha dedicato tutta la sua vita a mantenere viva l’eredità del suo amato papa.
Tenembaum, nell’articolo del Jerusalem Post, ricorda altri aspetti in parte inediti dell’impegno di Roncalli a favore degli ebrei, tanto che la città israeliana di Ashdod gli intitolerà una strada.
(Da: L’Eco di Bergamo, 29.4.13)

Per l’articolo del Jerusalem Post (in inglese):
http://www.jpost.com/Opinion/Op-Ed-Cont ... -vu-310961
Nell’immagine in alto: Papa Giovanni XIII in un disegno di Giacomo Manzù
Un utile riferimento bibliografico:
“L’attività diplomatica di Astorre Mayer nei primi anni dello Stato” di Sergio I. Minerbi, in: “Per ricostruire e ricostruirsi. Astorre Mayer e la rinascita ebraica tra Italia e Israele”, FrancoAngeli, Milano, 2010, pagg. 17-38 (per informazioni rivolgersi a: Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme aug.it@tiscalinet.it).


Perché Giovanni XXIII non è stato proclamato Giusto tra le Nazioni?
Gelsomino Del Guercio

http://it.aleteia.org/2014/05/14/perche ... le-nazioni

Il 13 maggio 2014, il Parlamento di Israele (Knesset) ha celebrato una sessione straordinaria e senza precedenti dedicata alla memoria e all'eredità di Angelo Roncalli (papa Giovanni XXIII), canonizzato di recente da papa Francesco.

Roncalli è stato un grande amico del popolo ebraico, come ha dimostrato in molte occasioni storiche.

Come papa Giovanni XXIII, tra il 1958 e il 1963 ha rivoluzionato la Chiesa in molti aspetti, ma il suo impatto è andato ben al di là del mondo cattolico. Il suo contributo al dialogo interreligioso tra cattolici ed ebrei è stato incommensurabile. Nella sua enciclica Nostra Aetate, pietra angolare dalla quale è derivato il Concilio Vaticano II – che ha aperto la via alla creazione di un rapporto franco, aperto e solidale tra cattolici ed ebrei –, ha affermato che la Chiesa “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”.

È andato anche oltre, sopprimendo un commento offensivo contro gli ebrei (“perfidi giudei”) dalla preghiera del Venerdì Santo.

Meno noto è ciò che ha fatto per alleviare la difficile situazione degli ebrei europei durante la II Guerra Mondiale. Negli anni Quaranta, quando era delegato apostolico a Istanbul, si adoperò per salvare il più alto numero di ebrei possibile.

La sua porta era sempre aperta per i rappresentanti della comunità ebraica, soprattutto per Chaim Barlas, che andava non di rado da lui con le tante richieste di aiuto.

Roncalli intervenne anche per salvare gli ebrei di Slovacchia e Bulgaria, esortando i leader di quei Paesi a impedirne la deportazione e lo sterminio.

Non esitò a utilizzare la posta diplomatica per inviare documentazione di immigrazione di vitale importanza fornita dall'Agenzia Ebraica al collega cardinale Angelo Rotta a Budapest, che alla fine è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni per aver salvato la vita di molte persone in Ungheria.

Infine, e cosa non meno importante, Roncalli fu una sorta di portavoce degli ebrei assediati, presentandone la situazione in un'infinità di lettere ai suoi superiori in Vaticano.

Dopo la guerra, alla vigilia della votazione della risoluzione 181 dell'ONU (Piano di Ripartizione della Palestina), come nunzio a Parigi Roncalli aiutò il dottor Moshe Sneh (leader ebraico dell'epoca) a incontrare l'allora Segretario di Stato vaticano, il cardinale Domenico Tardini, con una supplica per non interferire nel sostegno atteso dai Paesi latinoamericani per il Piano di Ripartizione. Roncalli lavorò sodo per organizzare l'udienza a Roma e si recò anche nella capitale italiana per assicurarsi che tutto sarebbe andato secondo i piani. Sneh incontrò Tardini, e alla fine la maggior parte dei Paesi latinoamericani votò a favore o si astenne, spianando così la strada all'istituzione dello Stato di Israele.

Tornando ai suoi sforzi in tempo di guerra, la Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg ha presentato nel 2011 allo Yad Vashem un nutrito fascio di documenti intitolato “Il dossier Roncalli”, con una raccolta esaustiva delle sue azioni e una forte raccomandazione a che venisse dichiarato Giusto tra le Nazioni.

Purtroppo gli sforzi non hanno ancora dato frutto. Se lo Yad Vashem riconosce che Roncalli ha partecipato agli sforzi per salvare vite, l'istituzione israeliana incaricata di designare i Giusti tra le Nazioni afferma che “l'elemento di rischio non compare”.

Secondo lo Yad Vashem, perché un diplomatico (Roncalli agì in quanto tale) sia riconosciuto come Giusto, dovrebbe aver messo in pericolo la propria carriera nel processo di salvare persone. In altre parole, dovrebbe aver sfidato gli ordini emanati dai propri superiori.

Ovviamente non è questo il caso. Anche se il Vaticano non esortò Roncalli a salvare gli ebrei (l'iniziativa era chiaramente sua), è altrettanto chiaro che egli non agì contro il mandato dei superiori.

Detto ciò, se si analizzano i diplomatici che hanno ottenuto il titolo di Giusto tra le Nazioni, si può concludere che solo alcuni di loro agirono contro gli ordini espressi dal proprio Governo e misero la propria carriera in pericolo; ad esempio, il brasiliano Luis Martins de Sousa Dantas o il portoghese Aristides de Sousa Mendes.

La maggior parte degli altri diplomatici che hanno ricevuto il riconoscimento, tra i quali Frank Foley, Carl Lutz o lo stesso Raoul Wallenberg, non hanno contravvenuto alle politiche dei propri Paesi, ma sono stati comunque dichiarati Giusti.

Angelo Roncalli è un caso singolare, e quindi merita, a nostro giudizio, il titolo di Giusto tra le Nazioni.

Perché lo Yad Vashem non vuole riconoscerlo? Non possiamo fornire una risposta precisa. Alcuni credono che dietro questo rifiuto potrebbero esserci considerazioni politiche sensibili.

Malgrado gli ostacoli, crediamo che papa Giovanni XXIII debba ricevere un titolo speciale da parte dello Stato di Israele come rappresentante del popolo ebraico. Se la santità non è un'opzione della religione ebraica, devono esserci altre possibilità adeguate per rendere omaggio all'eroe. Una lettera ufficiale o un certificato di ringraziamento di Israele o dello Yad Vashem a questo nobile presule che tanto ha fatto per fermare l'Olocausto nazista degli ebrei, come “Insigne amico del popolo ebraico”, rappresenterebbe almeno un gesto appropriato di gratitudine.

Al di là di convincere o meno lo Yad Vashem, ci impegniamo a portare avanti i nostri sforzi incessanti per diffondere il suo messaggio di amore e solidarietà.

Lodiamo la Knesset israeliana per la celebrazione della sessione speciale ed esortiamo Israele, il mondo ebraico e tutte le persone che apprezzano i valori dei salvatori a mantenere viva la sua eredità.

Eduardo Eurnekian – Presidente
Baruj Tenembaum – Fondatore
Fondazione Raoul Wallenberg,http://www.raoulwallenberg.net/
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]



Vaticano contro Israele: quell'ostilità mai sopita della Chiesa contro gli ebrei
Editoriale del Foglio, cronaca di Marco Ansaldo, Paolo Rodari intervista Padre Samir Khalil, commento di Maurizio Molinari
4.05.2015
http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=58187

Testata:Il Foglio - La Repubblica - La Stampa
Autore: Marco Ansaldo - Paolo Rodari - Maurizio Molinari
Titolo: «Un po' troppa fretta, Santa Sede - 'La Palestina uno Stato' la mossa del Vaticano; ira di Israele: 'Reagiremo' - 'Basta con il conflitto, il Papa vuole la pace tra questi due popoli' - Tra i cristiani di Gerusalemme Est: 'Ora la Chiesa ci aiuti di più'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/05/2015, a pag. 3, l'editoriale "Un po' troppa fretta, Santa Sede"; dalla REPUBBLICA, a pag. 19, con il titolo " 'La Palestina uno Stato' la mossa del Vaticano; ira di Israele: 'Reagiremo' ", la cronaca di Marco Ansaldo; con il titolo "Basta con il conflitto, il Papa vuole la pace tra questi due popoli", l'intervista di Paolo Rodari a Padre Samir Khalil, prorettore dell'ateneo pontificio, con un nostro commento; dalla STAMPA, a pag. 11, con il titolo "Tra i cristiani di Gerusalemme Est: 'Ora la Chiesa ci aiuti di più' ", il commento di Maurizio Molinari.

Alla pagina http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=58186 abbiamo pubblicato il commento di Angelo Pezzana sulla vicenda.

Ecco gli articoli:

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Bandiere palestinesi a San Pietro

IL FOGLIO: "Un po' troppa fretta, Santa Sede"

È dal 2012 che il Vaticano, Papa Ratzinger regnante, nei suoi documenti ufficiali parla di “Stato di Palestina”. Dunque la decisione di ieri della Santa Sede di nominare questo stato in un documento bilaterale è l’esito di un percorso iniziato addirittura nel 2000 da Giovanni Paolo II. Il trattato è comunque il primo documento in cui il Vaticano parla di “Stato di Palestina” e non più di “Organizzazione per la Liberazione della Palestina” (Olp): si tratta, di fatto, di un riconoscimento ufficiale. Una svolta simbolica di un certo peso, proprio mentre i palestinesi sono impegnati in una campagna internazionale per il riconoscimento del loro stato senza passare dai negoziati con Israele, anzi disconoscendone le ragioni, e da ultimo, l’esistenza. E questo è il problema. Quando il Vaticano riconobbe Israele, agli inizi degli anni Novanta, lo fece all’interno della cornice degli accordi di Oslo: Israele riconosce l’Olp e la chiesa cattolica in cambio apre allo stato ebraico. Un baratto cinico, ma comprensibile nella cornice di politica estera realista da sempre seguita dal Vaticano, che pure deve tenere conto della fragile condizione degli arabi cristiani.

Oggi la situazione è ben diversa: i palestinesi stanno internazionalizzando il conflitto con Israele, mentre il mondo arabo islamico è percorso da un odio ipnotizzante verso “i sionisti” e vaste masse di cristiani sono cacciati dalle terre islamiche, palestinesi comprese. Oggi il Vaticano poteva permettersi di prendere tempo, adducendo numerose ragioni, prima fra tutte l’esposizione globale di Israele alla tagliola della umma islamica. Per sessant’anni, dopo che lo stato ebraico ottenne l’indipendenza nel 1948, il Vaticano ha adottato una politica diplomatica che non prescindesse dal raccordo anche con i nemici di Israele: non riconoscimento totale della statualità ebraica. Va detto che nel lungo contenzioso ha pesato la questione, estremamente sensibile per entrambi, dello status dei Luoghi santi. Nonostante l’accettazione da parte di tutte le nazioni occidentali, compreso all’inizio il blocco comunista, il riconoscimento reciproco tra Israele e Vaticano è avvenuto solo nel 1993. La chiesa cattolica ieri ha avuto un po’ troppa fretta nel riconoscere questo fantomatico “Stato di Palestina”. Si tratta di qualcosa in più di un semplice errore politico.

LA REPUBBLICA - Marco Ansaldo: " 'La Palestina uno Stato' la mossa del Vaticano; ira di Israele: 'Reagiremo' "

In testa al documento ufficiale la dicitura si legge chiaramente: “Stato di Palestina”. E il doppio termine finisce per irritare Israele, le cui autorità si dicono «deluse» dalla decisione del Vaticano di accostare le due parole. Ma non c’è nulla da fare. «Sì, è un riconoscimento che lo Stato esiste», spiega il portavoce della Sala stampa pontificia, padre Federico Lombardi. Così ieri, per la prima volta, la Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno siglato assieme un accordo internazionale. Da parte vaticana il riconoscimento era già avvenuto. E tuttavia, si fa rilevare Oltretevere, l’intesa rafforza in modo ulteriore i rapporti fra la Città del Vaticano e Ramallah, in continuità con quanto la Santa Sede dichiarò il 29 novembre 2012, al momento della risoluzione Onu che riconosceva la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite.

Sabato, inoltre, arriva in udienza da Papa Francesco il presidente Abu Mazen, che poi domenica parteciperà alla cerimonia di canonizzazione delle prime due sante palestinesi in epoca moderna, vissute nell’Ottocento, suor Marie Alphonsine Danil Ghattas di Gerusalemme e suor Mariam Baouardy di Betlemme, nata in Galilea. Ma che cosa riguarda il documento di ieri?

L’intesa prevede la firma «nel prossimo futuro » di un accordo bilaterale che definisca, fra le altre cose, lo statuto giuridico della Chiesa cattolica nel Paese mediorientale. Nel preambolo e nel primo capitolo del testo, non pubblicato, si esprime «l’auspicio per una soluzione della questione palestinese e del conflitto tra israeliani e palestinesi nell’ambito della “soluzione fra due Stati”», come ha detto il vice ministro degli Esteri vaticano Antoine Camilleri. L’irritazione e la delusione di Gerusalemme sono state per ora manifestate in modo informale da fonti ascoltate dai media locali: «Israele è delusa nel sentire la decisione della Santa Sede circa un testo finale di accordo con i palestinesi che comprenda il termine “lo Stato di Palestina”. Questa mossa non fa avanzare il processo di pace e non contribuisce a riportare la leadership palestinese al tavolo delle trattative bilaterali. Israele esaminerà l’accordo e soppeserà conseguentemente le proprie azioni». L’intesa aveva preso forma ieri dopo la riunione della Commissione bilaterale vaticano- palestinese.

Le due delegazioni, rappresentate da monsignor Camilleri e dall’ambasciatore Rawan Sulaiman, viceministro degli Affari Esteri dello Stato di Palestina, hanno «preso atto con grande soddisfazione dei progressi compiuti nella stesura del testo dell’accordo, che si occupa di aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina». Aspetti che lo stesso Camilleri ha poi spiegato in un’intervista all’ Osservatore Romano : libertà di azione della Chiesa, giurisdizione, statuto personale, luoghi di culto, attività sociale e caritativa, mezzi di comunicazione sociale, questioni fiscali e di proprietà.

LA REPUBBLICA - Paolo Rodari: "Basta con il conflitto, il Papa vuole la pace tra questi due popoli"

L'intervista a Padre Samir Khalid mette in evidenza la posizione del Vaticano su Israele, o meglio, contro Israele. Le sue dichiarazioni sono un concentrato in cui vengono riassunte le accuse più classiche fatte allo Stato ebraico, da quella di non volere e non cercare la pace a quella che lo vorrebbe potenza occupante delle terre palestinesi. Come se non bastasse, Khalil sostiene che il Vaticano sia stato sempre, ovvero dal 1948, favorevole all'opzione dei due Stati. Il dettaglio che il rappresentante di Bergoglio omette è che il Vaticano ha riconosciuto lo Stato di Israele soltanto nel 1993. Tanto durevole è stato l'odio teologico, che come vediamo è tutt'altro che estinto.

Ecco l'articolo:

«La Santa Sede, con la decisione annunciata ieri, riconosce lo Stato palestinese perché è consapevole che questo riconoscimento è l’unica via per una pace duratura. Ci sono stati troppi morti, troppe guerre, troppe discussioni in questi ultimi sessant’anni. E non si può continuare a rimanere gli uni vicini agli altri come nemici. Andando oltre gli estremisti palestinesi ed israeliani, la Santa Sede vuole percorrere la via dei moderati in scia a tutte le dichiarazioni fatte dall’Onu». Padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, pro rettore del Pontificio Istituto Orientale di Roma, recente autore di “Quelle tenaci primavere arabe” (Emi), e fra gli islamologi più ascoltati in Vaticano, riconosce il «passo storico» messo in campo ieri dalla Santa Sede e, insieme, auspica «nuove azioni da parte sia palestinese che israeliana».

Padre Samir, la posizione vaticana segue la linea della comunità internazionale? «Assolutamente sì. L’Onu già nel 1948, e successivamente nel 1967, ha parlato della necessità di riconoscere due Stati. La Santa Sede ha sempre mantenuto questo principio che nella fase attuale è l’unica soluzione percorribile, due Stati indipendenti che si riconoscono e sono riconosciuti da tutti i Paesi del mondo. Lo scopo è arrivare a una soluzione pacifica in Medio Oriente mantenendo provvisoriamente l’esistenza di Gerusalemme divisa fra palestinesi e israeliani».

Israele, infatti, ieri si è detto “deluso” della decisione annunciata dalla Santa Sede. «Israele si dice deluso perché rispecchia la visione di Netanyahu. Egli è stato eletto per quarta volta probabilmente perché il popolo non crede nella soluzione pacifica. Per me i terroristi sono coloro che rifiutano le decisioni internazionali. Hamas è terrorista, certo, ma lo Stato israeliano dovrebbe fare passi concreti verso la pace . Ogni mese Israele occupa una parte del territorio che non gli appartiene. Occorre invece che tutti riconoscano il valore delle decisioni internazionali e depongano le armi. Dobbiamo arrivare a chiedere il riconoscimento dei due Stati nell’interesse comune».

Con Francesco ritiene che molto possa cambiare? «Francesco continua la politica propria da sempre del Vaticano sui princìpi. Ora però si deve riconoscere a lui il tentativo di giocare questi princìpi sul campo, cercando l’amicizia e la cortesia di tutti, facendo atti positivi».

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Tra i cristiani di Gerusalemme Est: 'Ora la Chiesa ci aiuti di più' "

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Maurizio Molinari

A Porta Nuova, dove inizia il quartiere cristiano della Città Vecchia, la notizia del «riconoscimento dello Stato di Palestina da parte del Vaticano» arriva con i notiziari radio delle 18. «È un grande giorno ma provo tanta amarezza», commenta Michel, 69 anni, titolare di uno spaccio di alimentari a ridosso della Custodia di Terra Santa. «La gioia è perché il Santo Padre finalmente riconosce il nostro sogno - spiega - ma l’amarezza resta perché si tratta, ancora una volta, solo di parole, qui continua a non cambiare nulla». Pochi metri più avanti c’è il barbiere Mahmud, musulmano, che taglia corto: «È una questione fra cristiani, gli arabi ci riconoscono da tempo». Il dirimpettaio Morris, venditore di arance, suggerisce di entrare «da Tony», una piccola trattoria punto di incontro, a fine giornata, fra i commercianti del quartiere. Tutti conoscono la notizia che arriva dalla Santa Sede ma non c’è euforia. Ibrahim Faltas non trattiene lo sfogo: «Era ora! Ma quanto tempo ci hanno messo». Abido Durbash aggiunge: «Sono parole nel vuoto, qui restano gli israeliani, se la Chiesa vuole davvero aiutarci deve occuparsi delle nostre famiglie».

A spiegare di cosa si tratta è Tony, il proprietario, davanti a un piattino di salame piccante che mangia e ostenta, simbolo della differenza da musulmani ed ebrei. «In questo quartiere cristiano i cristiani sono ridotti all’1 per cento dei residenti - dice Tony - se ne vanno i giovani per trovare lavoro, i commercianti perché non ci sono abbastanza turisti e le famiglie perché i redditi bastano a malapena a pagare gli affitti, il Vaticano dovrebbe aiutarci a restare». È una polemica diretta verso la Custodia Francescana perché «è vero che tengono gli affitti bassi nei loro immobili - sottolinea Ibrahim Faltas - ma gli stipendi che pagano a chi lavora per loro bastano a malapena a pagarli».

I timori per il presente
L’interesse per lo Stato di Palestina passa in secondo piano rispetto ai timori per un presente fatto di «una fuga generalizzata» come la definisce Abido, secondo il quale «riconoscere Gerusalemme Est capitale della Palestina serve a poco se i cristiani non ci saranno più». Davanti agli hotel per pellegrini e agli edifici del patriarcato greco-ordodosso si incontra la piccola folla di chi ha chiuso ristoranti e negozi, e torna a casa. Ibrahim, 35 anni, musulmano, parla per tutti: «Questo termine “riconoscimento” non lo comprendiamo bene, lo Stato di Palestina qui ancora non c’è, il resto conta poco».

Il nodo sicurezza
A spiegare l’obiezione è Padre Carlos, un francescano di origine argentina da 20 anni residente nella Città Vecchia. Lo incrociamo mentre scende i gradini verso il Santo Sepolcro. «Sono anni che viene detto ai palestinesi che avranno, o già sono, uno Stato dunque per loro “riconoscimento” non significa molto - osserva - aspettano risultati concreti». Ma d’altra parte, aggiunge il francescano, «anche questa attesa è venata di pessimismo perché il mondo arabo è cambiato e i cristiani della Città Vecchia sanno che Israele è per loro lo Stato più sicuro dove vivere, lavorare». «Se lo Stato di Palestina nascesse subito, domani - si chiede Padre Carlos - cosa ne sarebbe dei tanti cristiani di Beit Tsaur, Beit Jalla e Betlemme che vivono a Gerusalemme con i permessi israeliani, dove andrebbero?».

Gli interrogativi del quartiere cristiano si concentrano sull’immediato perché nessuno se la sente di immaginare un futuro ravvicinato. Per trovare più entusiasmo per la decisione della Santa Sede bisogna varcare la soglia di «Champions», la palestra frequentata da trentenni, dove fra ritmi rock e immagini della Coppa di Campioni c’è chi grida «Viva il Papa!» mostrando i muscoli in segno di vittoria.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: L'oror de i cristiani antiebrei e proxlameghi

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 10:32 am

COMMISSIONE PER I RAPPORTI RELIGIOSI CON L'EBRAISMO - IV GIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA
RIFLESSIONI DEL CARD. WALTER KASPER - Antisemitismo: una piaga da guarire
L'Osservatore Romano del 7 settembre 2003.

http://www.vatican.va/roman_curia/ponti ... mo_it.html

Insieme alla fede dei Padri e alla Torà, il Tempio di Gerusalemme - almeno finché Tito non lo distrusse nel 70 - rappresentava il cuore dell'ebraismo, eccezion fatta per alcuni gruppi come gli esseni e i samaritani. Il Tempio costituiva uno dei luoghi di riunione e di preghiera anche per i primi discepoli del Risorto, guardati a volte dalle autorità con sospetto, con stima dal popolo, del quale condividevano la fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, di Sara e di Rebecca, di Rachele e Lia. C'era in tutti la consapevolezza di far parte dell'unico popolo di Dio, con il quale l'Altissimo aveva stretto alleanza, con il giuramento fatto ai padri, suggellato dopo il passaggio del Mar Rosso al Sinai, aperto alla promessa e alla speranza di rinnovamento e redenzione universale secondo l'annuncio messianico dei profeti. Il fariseo Gamaliele aveva saggiamente ammonito il sinedrio a non pretendere di spegnere con la forza un movimento spirituale nuovo, che trovava in Simon Pietro e Giacomo due leader carismatici, e che forse interpretava rettamente la tradizione ebraica e la speranza d'Israele. Un altro fariseo, discepolo di Gamaliele, il giovane Saulo di Tarso, si oppose dapprima con violenza ai seguaci di Gesù, ma dopo un'esperienza eccezionale di conversione aderì totalmente al Vangelo e divenne Paolo, l'apostolo dei pagani, percorrendo il Mediterraneo e l'impero fino al martirio in Roma. Sull'unico popolo di Dio, Israele, l'apostolo volle innestare l'olivo selvatico dei gentili, e lentamente ha preso più concreta forma la Chiesa di Cristo "sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti" (Efesini 2, 20), nei due rami di Ecclesia ex circumcisione e di Ecclesia ex gentibus, come si può ammirare nel mosaico paleocristiano di Santa Sabina sull'Aventino.

L'insieme delle Sacre Scritture - sia quelle ebraiche del TaNaKH (Torà, Nevi 'im e Ketuvim) che poi nel canone cristiano saranno dette Antico Testamento, sia quelle del Nuovo Testamento - è concorde nel testimoniare che Dio non ha abbandonato la sua Alleanza con il popolo ebraico (o "giudaico") delle dodici tribù d'Israele. Naturalmente quello che può apparire come un pericoloso particolarismo esclusivista è bilanciato, nelle stesse Scritture, da un duplice universalismo messianico, sia ad intra, nella tensione fra diaspora ebraica ed ebrei della Terra d'Israele (Erez Israel), sia ad extra, nella tensione fra il popolo ebraico ('am Israel) e tutti i popoli, chiamati a entrare nella stessa comunione di pace e di redenzione del popolo primogenito dell'alleanza.

La Chiesa, pertanto, in quanto "popolo messianico", non si sostituisce a Israele, ma vi s'innesta, secondo la dottrina paolina, mediante l'adesione a Gesù Cristo morto e risorto, salvatore del mondo, e questo legame costituisce un vincolo spirituale radicale, unico e insopprimibile da parte cristiana. La concezione opposta - di un Israele un tempo (olim) prescelto, ma poi per sempre ripudiato da Dio e sostituito ormai dalla Chiesa - benché abbia avuto larga diffusione per quasi venti secoli, non rappresenta in realtà una verità di fede, come si vede sia negli antichi Simboli della chiesa primitiva, sia nell'insegnamento dei principali concili, in particolare del Concilio Vaticano II (Lumen Gentium 16, Dei Verbum 14-16, Nostra Aetate 4). Del resto, neppure Agar né Ismaele furono mai ripudiati da Dio, che ne fece "una grande nazione" (Genesi 21, 13); e Giacobbe, l'astuto "soppiantatore", ricevette infine l'abbraccio di Esaù. Il più recente documento della Pontificia Commissione Biblica su Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana (2001), dopo aver riconosciuto la "forza sorprendente dei legami spirituali che uniscono la Chiesa di Cristo al popolo ebraico" (n. 85), conclude osservando che "Nel passato, tra il popolo ebraico e la Chiesa di Cristo Gesù, la rottura è potuta sembrare talvolta completa, in certe epoche e in certi luoghi. Alla luce delle Scritture questo non sarebbe mai dovuto accadere, perché una rottura completa tra la Chiesa e la Sinagoga è in contraddizione con la Sacra Scrittura" (ibidem).

Nel contesto attuale, che non può prescindere dall'orrenda strage della Shoà nel secolo XX, il cardinale Joseph Ratzinger, introducendo questo documento, pone di conseguenza l'interrogativo: "Non ha forse contribuito la presentazione dei giudei e del popolo ebraico, nello stesso Nuovo Testamento, a creare nei confronti di questo popolo una ostilità, che ha favorito l'ideologia di coloro che volevano sopprimerlo?". Il documento ammette onestamente che molti passi neotestamentari critici verso gli ebrei "si prestano a servire da pretesto all'antigiudaismo, e sono stati effettivamente utilizzati in questo senso" (n. 87). Alcuni anni prima lo stesso Papa Giovanni Paolo II aveva dichiarato che "nel mondo cristiano - non dico da parte della Chiesa in quanto tale - interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebraico e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo" (31 ottobre 1997). Accadde così che "sentimenti di antigiudaismo in alcuni ambienti cristiani, e la divergenza che esisteva tra la Chiesa e il popolo ebraico, condussero a una discriminazione generalizzata" verso gli ebrei, nel corso dei secoli, in particolare nell'Europa cristiana (Commissione della Santa Sede per i Rapporti religiosi con l'Ebraismo, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998).

Durante il secolo XIX, in un mutato contesto storico volto al superamento dell'antico regime che univa Chiesa e Stato, "cominciò a diffondersi in vario grado, attraverso la maggior parte d'Europa, un antigiudaismo che era essenzialmente più sociopolitico che religioso" (ibidem). Questa evoluzione dell'antigiudaismo, con l'aggiunta di confuse teorie sull'evoluzione e la superiorità della "razza ariana", ebbe per effetto quello che fu detto allora "antisemitismo", caratterizzato da esplosioni di violenza, pogrom e pubblicazioni di libelli antiebraici del tipo dei Protocolli dei savi anziani di Sion. In tale mentalità pervasa di disprezzo e perfino di odio verso gli ebrei, accusati di crimini orrendi come l'omicidio rituale, maturò l'indicibile tragedia della Shoà, il piano di sterminio orribilmente programmato dal governo nazista, che colpì le comunità ebraiche europee durante la seconda guerra mondiale. Le premesse ideologiche della Shoà, già ampiamente divulgate prima del conflitto, in opere come Mein Kampf e Der Mythus des zwanzigste Jahrhunderts (quest'ultimo messo all'Indice), non trovarono sufficiente opposizione né a livello culturale, né nell'ambito giuridico, né presso le comunità cristiane, anche se non mancarono reazioni, come quelle di G. Semeria, di G. Bonomelli o del giovane A. Bea. Purtroppo, però, tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, non mancarono esempi di riviste cattoliche anche molto autorevoli, che pubblicavano articoli di carattere antisemita, e "più in generale, i pregiudizi antiebraici furono sempre attivi, scaturendo dall'"insegnamento di disprezzo" medievale, che fu una sorgente di stereotipi e di odio popolare" (J. Willebrands), così che si può affermare, in questo senso, che tale atteggiamento ha offerto un contesto favorevole alla diffusione dell'antisemitismo moderno. E va pure notato che la responsabilità di queste radici di odio tocca, in vario modo, con rare eccezioni, sia la cristianità occidentale che quella orientale, perciò richiede oggi una comune reazione ecumenica.

Anche il documento vaticano Noi ricordiamo (II) dichiara che "il fatto che la Shoà abbia avuto luogo in Europa, cioè in paesi di lunga civilizzazione cristiana, pone la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli atteggiamenti dei cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli ebrei". Pur se ci furono, prima e durante la Shoà, episodi di condanna e di reazione all'antisemitismo, sia a livello personale con atti di eroismo fino al martirio, come nel caso del prevosto di Berlino Bernhard Lichtenberg, sia a livello istituzionale, con la condanna dell'antisemitismo (ad esempio da parte del S. Uffizio nel 1928 e da parte di Papa Pio XI nel 1938), in genere "la resistenza spirituale e l'azione concreta di altri cristiani non fu quella che ci si sarebbe potuto aspettare da discepoli di Cristo" (ibidem, IV). Anche in questo caso dunque, anzi in modo speciale a proposito dell'antisemitismo e della Shoà, possiamo a ragione parlare della necessità di compiere un processo di pentimento (teshuvà), che si concluda in atti esemplari e concreti, in quanto "come figli della chiesa, condividiamo infatti sia i peccati che i meriti di tutti i suoi figli" (ibidem, V). Certo uno di tali atti è stato quello che il Papa compì solennemente il 12 marzo 2000 nella basilica di San Pietro, e suggellò il 26 marzo a Gerusalemme al Muro del Tempio. Siamo però tutti chiamati a partecipare negli atteggiamenti interiori, nelle preghiere e nei fatti, a questo medesimo cammino di conversione e riconciliazione, perché si tratta di un'esigenza da vivere in capite et in membris, non limitata ad alcuni gesti autorevolmente significativi o a documenti di pur alto livello.

Questo primo fondamentale impegno, di carattere spirituale e morale, ci riguarda tutti in quanto cristiani, ed ha perciò, possiamo dire, una dimensione spiccatamente ecumenica. Una seconda conseguenza, egualmente di natura teologica, è quella che scaturisce dal profondo, radicale e peculiare legame che unisce la Chiesa e il popolo ebraico "primogenito dell'alleanza" (Preghiera Universale del Venerdì Santo). Tale vincolo, da una parte ci spinge a rispettare e amare il popolo ebraico, dall'altra ci permette di cogliere nell'antisemitismo una ulteriore dimensione, rispetto a quella generale del razzismo o della discriminazione religiosa, che pure l'antisemitismo ha in comune con altre forme di odio etnico, culturale o religioso, come è descritto nel documento La Chiesa di fronte al razzismo (Pontificia Commissione Iustitia et Pax, 3 novembre 1988, I, 15). Si tratta qui non solo della dimensione culturale, sociale, politica o ideologica - e più in generale "laica" - dell'antisemitismo, che pure deve molto preoccuparci, ma di un suo specifico aspetto, quello che già veniva fermissimamente condannato nel 1928 dalla Sede Apostolica quando definiva l'antisemitismo "odium adversus populum olim a Deo electum" (AAS XX/1928, pp. 103-104). Oggi, a settantacinque anni di distanza, l'unica modifica che ci sentiamo in dovere d'introdurre riguarda solo l'eliminazione di quell'olim ("un tempo"): non è una cosa da poco, perché riconoscendo la perenne attualità dell'alleanza tra Dio e il suo popolo, Israele, potremo riscoprire a nostra volta, insieme con i fratelli ebrei, l'irrevocabile universalità della vocazione a servire l'umanità nella pace e nella giustizia, fino al pieno avvento del Suo regno. È quanto raccomanda il Pontefice anche nella sua esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa del 28 giugno scorso, ricordando il "rapporto che lega la Chiesa al popolo ebraico e il ruolo singolare di Israele nella storia della salvezza" (n. 56). Papa Giovanni Paolo II continua osservando che "occorre riconoscere le comuni radici che intercorrono tra il cristianesimo e il popolo ebraico, chiamato da Dio a un'alleanza che rimane irrevocabile (Romani 11, 29), avendo raggiunto la definitiva pienezza in Cristo. È, quindi, necessario favorire il dialogo con l'ebraismo, sapendo che esso è di fondamentale importanza per l'autocoscienza cristiana e per il superamento delle divisioni tra le Chiese" (ibidem). Il dialogo e la collaborazione tra cristiani ed ebrei "implica, tra l'altro, che si faccia memoria della parte che i figli della Chiesa hanno potuto avere nella nascita e nella diffusione di un atteggiamento antisemita nella storia e di ciò si chieda perdono a Dio, favorendo in ogni modo incontri di riconciliazione e di amicizia con i figli di Israele" (ibidem). In questo spirito di ritrovata fraternità potrà rifiorire una nuova primavera per la Chiesa e per il mondo, con il cuore rivolto da Roma a Gerusalemme e alla terra dei Padri, perché anche là possa germogliare e maturare presto una pace durevole e giusta per tutti, come un vessillo innalzato in mezzo ai popoli.

Card. WALTER KASPER
Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani
Presidente della Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo
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