Martiri e eroi ebreo ixraełiani

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Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 10:03 pm

Martiri e eroi ebreo ixraełiani
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 10:04 pm

Ixlam, pałestinexi, ebraixmo, ebrei, Ixraełe
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Mussulmani e ebrei, Palestina e Israele
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 0147022373
Un'incompatibilità che nasce con Maometto e si protrae sino a oggi





https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 1963525726

In moschea l'imam brandisce il coltello e ordina di uccidere gli ebrei per ordine di Allah e di Maometto

Venerdì scorso in una moschea a Rafah, nella Striscia di Gaza controllata da Hamas, l'imam ha impugnato il coltello nel corso del sermone ordinando ai fedeli di uccidere gli ebrei nel nome di Allah ed emulando le gesta di Maometto.

Il ricorso al coltello, l'arma simbolo di quella che viene indicata come la “Terza Intifada”, la nuova rivolta palestinese caratterizzata da un'ondata di accoltellamenti di ebrei, trova riscontro nei versetti coranici:
«Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo (…) Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi». (8, 12-17)
“Quando [in combattimento] incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati”. (47, 4)
Così come è illuminante l'esempio di Maometto che nel 627, alle porte di Medina, partecipò di persona allo sgozzamento e alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Qurayza.

Nel dicembre 1987 esplose la Prima Intifada, ribattezzata “delle pietre”, l'arma con cui i shabab, i giovani, palestinesi colpivano coloni e soldati israeliani. Il 28 settembre 2000, quando l'allora leader dell'opposizione Ariel Sharon fece una passeggiata sulla Spianata delle Moschee (per i musulmani) o Monte del Tempio (per gli ebrei), è considerato come la data d'inizio della Seconda Intifada, connotata dall'uso del kalashnikov in azioni armate contro militari e civili israeliani. C'era stata, ancor prima, una sanguinosissima ondata di attentati terroristici suicidi, firmati da Hamas, Jihad Islamica e Al Fatah, dopo la storica stretta di mano tra Rabin e Arafat il 13 settembre 1993, per far fallire il neonato processo di pace israelo-palestinese.

Il Corano è un testo profondamente anti-ebraico, al punto da far impallidire il Mein Kampf di Hitler.
Gli ebrei sono presentati come “i più feroci nemici di coloro che credono”, “coloro che Allah ha maledetto”, perché “uccidevano ingiustamente i profeti”, “praticano l’usura”, “con falsi pretesti divorano i beni della gente”, che Allah “ha trasformato in scimmie e porci”, che “somigliano a un asino”.

La legittimazione dell'odio, della violenza e dell'uccisione degli ebrei e dei cristiani è sancita da Allah nel Corano:

«Dicono i giudei: “Esdra è figlio di Allah”; e i nazareni dicono: “Il Messia
è figlio di Allah”. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole
di quanti già prima di loro furono miscredenti. Li annienti Allah (…)”. (9, 30)

La “Terza Intifada dei coltelli” è l'onda lunga delle decapitazioni dei terroristi dello “Stato islamico” dell'Isis, meno eclatante mediaticamente perché manca l'ostentazione della testa mozzata, ma più diffusa tra la popolazione e che si conclude comunque con l'uccisione dei nemici dell'islam.
L'augurio è che la Sinistra non ripeta l'errore di schierarsi pregiudizialmente al fianco dei palestinesi, anche quando accoltellano a morte gli ebrei, immaginandoli come le vittime storiche ed eterne di un'ingiustizia che si sostanzia con la stessa presenza dello Stato di Israele.

L'augurio è anche che la Chiesa di Papa Francesco cessi di assecondare acriticamente una politica incentrata sul buonismo, che l'ha portata a riconoscere uno Stato palestinese inesistente e che non è mai esistito nella Storia. La pace vera, stabile, sicura e duratura tra israeliani e palestinesi ci sarà solo quando sarà sconfitto il terrorismo palestinese ed islamico, che disconosce aprioristicamente, nel nome di Allah e di Maometto, il diritto di Israele ad esistere come Stato del popolo ebraico.
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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 10:19 pm

TUNISI PARIGI GERUSALEMME - IO SONO YOAV | di Roberta Vital

È con fortissima emozione che ieri sera la Comunità Ebraica di Milano ha accolto il papà di Yoav Hattab, una delle quattro vittime dell'attentato islamico all'Hypercacher di Parigi. All'Anteo è stato proiettato il film documentario " Io sono Yoav " film girato dalle giornaliste Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amelia Visentini andato in onda su Rai 3. Abbiamo ancora nel cuore le parole della mamma di Ilan Halimi a Roma durante la proiezione del film "Je suis Ilan" e oggi ci troviamo ad ascoltare pietrificati le parole di Benjamin Hattab Rabbino Capo di Tunisi e padre di Yoav.

Un esempio straordinario di forza d'animo, di uomo che nonostante il dolore ineguagliabile che lo ha colpito, della vita cerca di cogliere i suoi aspetti più profondi, riesce nonostante le sue parole siano colme di dolore a trasmettere quella forza, quel valore immenso e profondo che la parola vita racchiude.

Prima di della proiezione del film gli ospiti in sala, On. Ricardo Franco Levi, Dounia Ettaib e Rav Alfonso Arbib, Rabbino Capo della Comunità di Milano si confrontano sul preoccupante quadro Europeo. Importanti le parole di Rav. Arbib che non nascondono preoccupazione per il momento difficile che stiamo vivendo. "L'indifferenza è il leit motif che corre in tutta la storia ebraica", indifferenza che non possiamo non percepire dinnanzi ad accordi convenienti con l'Iran. Sappiamo come l'Iran sia il maggior paese impegnato nella propaganda di antisemitismo, ma davanti ad un accordo conveniente si tace,si è indifferenti perché gli ebrei potrebbero diventare un problema. "Ecco quando gli ebrei vengono percepiti come un fastidio mi preoccupo" conclude Rav Arbib.

La storia di Yoav Hattab è la storia di un ragazzo tunisino ebreo arrivato in Francia dopo il diploma, un bellissimo ragazzo pieno di speranze per il futuro. Un film documentario che ben trasmette quale fosse la sua formazione, un insieme di identità, ebreo religioso, tunisino, cantava in arabo e pregava in ebraico, amava la vita...

[Continua a leggere l'articolo sul nostro blog >> http://www.progettodreyfus.com/tunisi-p ... sono-yoav/]



IO SONO YOAV

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 3134267265
Venerdì 9 gennaio 2015 nell’attentato all’hypercasher di Porte de Vincennes a Parigi persero la vita Philippe Braham zl, Yohan Cohen zl, Fracois-Michel Saada zl e Yoav Hattab zl perché colpevoli di essere ebrei.
Qualche mese fa, la Rai mandò in onda un documentario sulla vita di Yoav. Il ricordo dei fratelli e degli amici di quel ragazzo di appena 21 anni pieno di gioia per la vita, orgoglioso delle sue radici ebraiche e tunisine.
In allegato la breve intervista al padre, il rabbino Batou Hattab, che parlando di suo figlio ricorda quel tragico giorno.

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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 10:28 pm

Pochi giorni fa Roee Fogel ha celebrato il suo Bar Mitzvà. La sua famiglia nel marzo del 2011, fu sterminata ad Itamar, una città nella Cisgiordania. Morirono padre, madre e fratellini, il più piccolo di tre mesi.

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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 10:32 pm

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https://www.facebook.com/kikarashabat/v ... 2937004134

Si chiamava Dafna Meir. Era un’infermiera. Aveva 38 anni e sei figli, quattro suoi e due adottati. Ho tradotto alcune citazioni tratte da un articolo del suo blog, scritto in occasione dell'8 marzo.
"Tra tutti i miei impegni ho abbondanza di tempo libero, quanto ne ho bisogno per me stessa, per i miei studi, per il divertimento, per la creatività… Si, ragazze. Questa è la mia situazione anche se cresco sei bambini, sono presente quotidianamente nelle loro vite e nella vita del mio prezioso marito, abito in un insediamento lontano dal mio posto di lavoro, viaggio chiedendo passaggi (perdita di tempo\risparmio economico), lavoro 50 ore a settimana fuori casa.

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Questa situazione sono riuscita a crearmela dopo che ho inventato una mia scala graduata che chiamo chashuvometer (“importanziometro” n.d.t.). Il mio chashuvometer misura i luoghi, le situazioni e gli impegni della mia vita in cui io devo, secondo me, essere e agire di persona, finché sono in vita. Io - e non un angelo. Io - e non un serafino. Io - e non un intermediario.

Il chashuvometer misura anche i luoghi, le situazioni e gli impegni della mia vita in cui posso lasciare che un’altra persona, o una macchina, agisca al posto mio, e così lasciare del tempo libero per me. Inoltre, il chashuvometer misura le situazioni di importanza intermedia e le suddivide in base a un ordine di priorità.
Finché io sto attenta ad usare il mio chashuvometer, trovo il tempo, anche se non in quantità eccessiva, per leggere, scrivere, divertirmi e gioire."

"MIA MADRE HA COMBATTUTO FINO ALL'ULTIMO PERCHE' IL TERRORISTA NON CI FACCIA DEL MALE".L'AGGHIACCIANTE TESTIMONIANZA DI RENANA,LA FIGLIA DI DAFNA MEIR.

Renana Meir e' stata la testimone dell'assassinio di sua madre da parte di un terrorista nella loro casa ad Otniel. E comincia a raccontare:" Ero sdraiata a letto mentre ero nel bel mezzo di una telefonata con l'auricolare ", ricorda la figlia." Ho sentito mia madre urlare,ma ho pensato che doveva essere in preda al panico per aver visto un topo o uno scarafaggio, due cose che facilmente avrebbero portato mia madre ad urlare. Ma poi le urla sono aumentate. Mai cessate. E mi sono resa conto che qualcosa era successo. Quando sono scesa dalle scale mia madre era già sdraiata sul pavimento lottando contro il terrorista .
Ho visto che lui cercava di estrarre il coltello dal corpo di mia madre. Ho gridato ai miei due fratelli che erano in casa di non scendere in salotto", ha aggiunto." Ci sono voluti alcuni secondi fino a quando il terrorista ha capito che non riesce ad estrarre il coltello perche' mia madre non glielo ha permesso per non farci del male.Ho gridato. Ha avuto paura ed e' fuggito via. Sono corsa da mia madre, il coltello era ancora nel suo corpo,stavo per estrarlo ,ma poi mi sono ricordata del corso del MDA dove ci hanno sempre detto di non rimuovere corpi estranei ."
Renana e' la primogenita dei figli della coppia Meir, è stata lei a chiamare l'ambulanza ed ad aiutare le forze di sicurezza nell'identikit del terrorista ricordando nei minimi particolari il volto,l'altezza e quello che indossava. Ieri mattina e' stato catturato,un ragazzino di 16 anni,un coetaneo di Renana.

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Dopo due giorni di ricerche, le forze speciali israeliane con l'aiuto dei servizi segreti hanno arrestato questo ragazzino palestinese di 15 anni, autore dell'omicidio di Dafna Meir avvenuto nell'insediamento israeliano di Otniel la scorsa domenica. Il terrorista dopo aver fatto irruzione nell'abitazione della donna e averla violentemente accoltellata, si era nascosto in un villaggio arabo vicino.
Giustizia è fatta. Anche stavolta.

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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 7:57 am

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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 7:57 am

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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 7:58 am

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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 11:27 pm

Silvana De Mari – Nel giorno di San Valentino il mio ricordo di un ragazzo ebreo che per amore finì torturato, mutilato, sgozzato da una banda di islamici a Parigi

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https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 9435687980

Gentilissima Signora Halimi, oggi è San Valentino e come ogni giorno di San Valentino io penso a suo figlio, e penso a lei. Tutti gli anni a San Valentino penso a lui, Ilan Halimi, ragazzo ebreo francese ucciso il 13 febbraio 2009, dopo essere stato torturato in maniera atroce per 24 giorni da una banda di islamici autodefinitasi con orgoglio la “Banda dei Barbari”, torturato per 24 giorni in un condominio di 11 piani dove tutti hanno finto di non sentire le sue urla. Ci penso il giorno di San Valentino, il giorno successivo a quello della sua morte, perché è una festa un po’ ingenua, che, però, ai ragazzi piace e lui era un ragazzo. Oltretutto nella trappola maledetta è stato attirato da una ragazza, dal sogno di una storia. Ogni anno a San Valentino penso a lui e penso lei, sua madre. Io la porto nel cuore signora Halimi, a suo figlio ho dedicato un libro, che ha un titolo tremendo, La realtà dell’orco.

Per coloro che non conoscono questa storia, i media non ne hanno parlato molto, e quelli francesi ancora meno dei nostri, riporto l’articolo pubblicato sul FOGLIO del 03/07/2010, con il titolo "Auschwitz a Parigi", di Alessandro Schwed, che racconta l'assassinio di Ilan Halimi, dopo l'uscita in italiano del libro "24 giorni, la verità sulla morte di Ilan Halimi".


Finalmente esce in Italia per Salomone Belforte, antica casa editrice ebraica, il libro che racconta uno dei più atroci casi del presente antisemita: “24 giorni, la verità sulla morte di Ilan Halimi”. Quasi un diario postumo del rapimento, narrato dalla madre di Ilan, Ruth, ebraica mater dolorosa, la cui voce è rielaborata con discrezione da Emilie Freche. Ne esce un racconto in prima persona del rapimento del figlio, della sua disumana prigionia, della ferocia delle trattative. 20 gennaio, 13 febbraio 2006: ventiquattro giorni in cui Ilan “vive” nell’appartamento-mattatoio di un gruppo di orchi metropolitani che battono bandiera nazi-islamica, che leggono documenti di Hamas, sono in cerca di soldi facili e facile sangue juive. Intorno, una Francia inerte e complicemente sorda. E allora, c’è Ilan, sefardita parigino di ventitré anni, la famiglia di origine marocchina e di modesta condizione. Vivono in tre stanze di un quartiere popolare misto dell’est parigino. Lui fa il commesso in un negozio di telefonia della banlieue, sul boulevard Magenta. La banda di rapitori lo individua come ebreo, dunque un ricco da sequestrare. Lo sceglie dopo un tentativo analogo e a vuoto con un altro ebreo, dunque ricco e da sequestrare anche lui, che fa il commesso nello stesso negozio. Scatta il sequestro. Una bella ragazza bruna travestita da cliente entra nel negozio e prende al laccio Ilan. Ne scaturisce un appuntamento. Si incontrano di sera, a un bar. La ragazza dice di andare da lei per un ultimo bicchiere. Lasciano la macchina vicino alla facoltà Jean Monnet, a Sceaux. Camminano nel parco dell’edificio universitario. Si saprà che a un certo punto lei pronuncia la parola “chiave” e dai cespugli sbucano tipi col passamontagna, e saltano addosso a Halimi. Il sequestro ha inizio.

Sono ventiquattro giorni di inutili trattative. La famiglia è povera, la polizia contraria a trattare e convinta di intrappolare i rapitori. Il ragazzo intanto è in manette, la bocca incerottata. Poi nudo, con profondi tagli di coltello sul volto, nutrito con una cannuccia; fotografato simulando una violenza col manico di una scopa, in modo da terrorizzare la famiglia. Da ultimo, il capo-banda Fofana lo mette in un sacco e lo porta in un bosco. Qui lo accoltella ripetutamente, recide la carotide, inonda il suo corpo con una tanica di benzina, lo dà alle fiamme. Pare che Ilan avesse gli occhi scoperti e lo fissasse. Il corpo testardamente in vita viene lasciato lungo dei binari.

Prima di questo, una distrazione di ventiquattro giorni: la sordità del grande condominio dove si trova la prigione di Ilan, l’apatia della polizia, l’incomprensibile negazione dell’evidenza da parte della procura, la smisurata assenza della classe politica. Da ultimo, la cronaca al silenziatore dei media, che raccontano la morte di Ilan come un normale episodio di cronaca nera, alla stregua di un pieno di benzina, finito invece che in una macchina sopra il corpo di un ebreo marocchino. Cose di tutti i giorni in una megalopoli – e ognuno e tutti, lo Stato e i media, tesi a smorzare lo sputtanante orrore nel cuore del paese. I rapitori sono la cosiddetta Banda dei Barbari, originari della Costa d’Avorio. Vestono trendy, da rapper, come in un fumetto iperrealista.

Al processo, conclusosi con l’ergastolo al capobanda Youssouf Fofana, l’omicida entra in aula urlando che Allah vincerà. Alla domanda di prammatica di quando e dove lui sia nato, l’imputato risponde ieratico di essere nato nel giorno e nel luogo dell’omicidio: “Il 13 febbraio 2006, a Sainte- Geneviève-des-Bois”. Se da una parte il rapimento di Ilan traccia il profilo di un antisemitismo tribale per cui gli ebrei sono Israele e Israele gli ebrei, e tutti gli ebrei da abbattere, dall’altra il sequestro di Halimi avviene in una inquietante assenza del potere politico e mediatico, paurosamente girato da un’altra parte, mentre gli ebrei lasciano la Francia. I “pacifisti” negano che tale fenomeno sia in atto, dicono che è una menzogna lanciata da Ariel Sharon e da lui ritirata (ti pareva non fosse colpa sua anche questo). Ma se uno si legge il libro e come si sviluppi la continuata assenza di indagini vere sul rapimento di Ilan, il clima corrisponde esattamente a una situazione dove esistono due giungle sovrapposte, in mezzo alle quali vivono, credo con una certa apprensione, gli ebrei francesi: da una parte una giungla antisemita con aggressioni islamiste a chi porta la kippà, poi le sinagoghe imbrattate e talora incendiate, i cimiteri violati; dall’altra la giungla di uno Stato semigirato da un’altra parte, sospettabile di reticenze e manipolazioni.

Andiamo al punto, il caso raccontato nel libro su Ilan. Intanto, nel corso di quel rapimento i criminali – già denunciati per tentati sequestri di altri cinque ebrei e niente affatto indagati quanto al rapimento di Halimi, passeggiano spudoratamente impuniti nel quartiere dove tengono il prigioniero; secondo, appena emerge che Ilan è ebreo, ma ci vogliono tre giorni, il comandante della polizia minimizza il possibile movente antisemita con l’umile famiglia nordafricana, masticata da un razzismo al cubo, sia tribale che educatamente locale. E da questo inizio, vediamo la solitudine ebraica di una famiglia ebraica di origine marocchina – fragilità nella fragilità. Tra gli psicologi della polizia, i commissari, i magistrati, nessuno fa alcunché. E’ sciopero generale contro gli umili. E dunque, che gli Hilami siano ebrei, è giudicato ininfluente. Nella vantata società multietnica francese, gli ebrei sono ombre, gli ebrei marocchini, ombre di ombre. Esagerazione?

Vediamo l’indagine, dettagliatamente descritta dal libro: la polizia sa che poco tempo prima i rapitori di Ilan hanno tentato, a Parigi, non in Alaska, analoghi sequestri di medici ebrei, adescati anche loro da donne che conducevano le vittime dai rapitori – l’indizio, macroscopico, è ignorato come se negli archivi non esistesse una memoria delle indagini, i nomi dei criminali. Eppure, a suo tempo, la polizia ha schedato i criminali, esistono foto segnaletiche, c’è una denuncia nei loro confronti, la magistratura li indaga. Non basta: a causa dei tentati sequestri ebraici precedenti, dicasi ebraici, i rapitori di Ilan sono stati recentemente ospiti nelle celle dei commissariati dove la loro detenzione non è ricordata, e infatti non si sa a cosa servano gli schedari. Non basta ancora: quando ha inizio il rapimento di Halimi e vengono disegnati gli identikit, prima quello della donna adescatrice, poi del messaggero che invia tutte le sgrammaticate email sempre dai numerosi internet bar del quartiere (la prima, sadicamente firmata col cognome sacerdotale di Cohen), gli identikit non sono mai trasmessi ai commissariati locali; né avviene un riscontro sulle liste- viaggiatori delle compagnie aeree che operano tra Parigi e la Costa d’Avorio, da cui provengono le chiamate del capo-banda su un cellulare “pubblico” di uso comune in quel paese. Sarebbe bastato, penserà la madre di Ilan nel doloroso dopo, vagliare le liste dei viaggiatori e il cognome di Youssouf sarebbe emerso: piccolo criminale, accento africano, vive a due passi, è schedato. Questo sarebbe bastato, pensa Ruth, e adesso suo figlio sarebbe vivo. Invece, mentre le trattative si prolungano goffamente inutili, allo scopo mai raggiunto di intrappolare i rapitori, per venti giorni Ilan è nel mattatoio con il corpo a disposizione degli orchi. Fa freddo, e viene tenuto nudo. E’ stato totalmente rasato – cioè privato di identità. Gli occhi e la bocca sono incerottati. E’ coperto di tagli, inciso come i cadaveri alla facoltà di medicina, solo che è vivo. Nel grande condominio di Parigi, i rapitori sono a proprio agio. Grazie a un accordo col portiere in cambio di qualche migliaio di euro, sono installati in un appartamento vuoto. Qui, di giorno e di notte, “in mezzo” a centinaia di inquilini, Ilan viene sfregiato, gli spezzano le dita. E sulle scale, in ascensore, nessuno sente. Più tardi si verrà a sapere che le grida erano altissime. Intanto, probabilmente, la funzione reale della polizia non è trovare Ilan, ma insonorizzare l’accaduto e gestire la semplicità di una povera famiglia marocchina. Lungo le tre settimane, i due psicologi della polizia messi per fini pedagogici alle spalle del padre di Ilan – sempre al telefono coi rapitori – dirigono la trattativa come un ventriloquo che dia la voce a un pupazzo. Il solo fine, gli ripetono robotici, è che i sequestratori riconoscano chi è il più forte, e lui, ammaestrano, è chiaramente il più forte. E ciò, sino a smarrire la sola esigenza della famiglia – che il ragazzo rimanga vivo. Infatti, morirà. E grazie al protrarsi della trattativa a vuoto, morirà in una lunga macellazione progressiva.

???Quanto alla matrice “ideologica” del sequestro non è antisemita, spiega il procuratore della Repubblica ai familiari di Ilan, in una demenziale lezione a degli ebrei su cosa sia l’antisemitismo – i cui familiari nel frattempo non solo ricevono dai rapitori decine di email antisemite, ma sentono al telefono le urla di Ilan a cui viene bruciata la pelle, mentre una voce recita versi del Corano. I rapitori, spiega kafkianamente il funzionario, non possono essere antisemiti dato che “si trovano al grado zero del pensiero”.???

Questo leggiamo, domandandoci se allora i nazisti non si siano resi conto di che stessero facendo perché leggevano troppo. Eppure, è così: nella città dove il popolo ha assaltato la Bastiglia in nome di una società più giusta, regna il fallimento della Storia. Tutto questo ci parla. E’ come se l’uscita italiana del libro, nella sorvegliata traduzione di Barbara Mella, Elena Lattes e Marcello Hassan, sia reclamata dall’urgenza della cronaca antisemita dopo il boicottaggio delle Coop, dopo l’incidente della flottiglia e la successiva perdurante aggressione antiebraica di media e “pacifisti”, che ristagna nei social forum della rete, al grido di “voi ebrei”, “genocidi” e, naturalmente, “nazisti”.
In realtà, oltre alla realtà delle indagini a vuoto della polizia, alle trattative a vuoto coi rapitori, oltre a Ilan, ostaggio dei criminali, oltre ai suoi cari, anche loro come ostaggi ma della polizia – la quale non indaga, non vuole che si tratti e ha la pretesa di far fallire la trattativa – oltre dicevo a questa desolazione, si vede il pericolo di essere ebrei in una città francese che potrebbe essere olandese o tedesca: con gli ebrei attaccati perché girano con la kippà, le sinagoghe imbrattate, e talora date alle fiamme, i loro cimiteri profanati. E se qualcuno pensasse che siamo di fronte a un crimine antisemita – osserva Bernard- Henri Lévy in un suo veemente articolo apparso sul Corriere della Sera nel luglio 2009, poco prima della sentenza (articolo posto in apertura del libro) – questo qualcuno bada solo a togliersi l’idea dell’antisemitismo da davanti agli occhi.
Eppure, come nel corso di una guerra invisibile di cui si sente il rombo, tali possono essere le condizioni ebraiche nell’Europa multietnica. Giulio Meotti del Foglio scrive nella sua nitida introduzione che Ilan Halimi fu prigioniero in un campo di concentramento fatto in casa. E nelle prime pagine, Pierluigi Battista, editorialista del Corriere, ricorda un episodio di qualche anno fa, quando il ghetto di Roma fu messo sotto assedio da una manifestazione filo-palestinese in cui dei manifestanti si erano camuffati da “martiri”, con finte cinture di esplosivo. “… Cordoni di polizia erano schierati a difesa degli ebrei (…) il valore simbolico dell’assedio a quelle stesse case che avevano conosciuto l’infamia del rastrellamento e della deportazione del 16 ottobre del ’43, passò quasi inosservato. Quella volta, confesso, un po’ mi vergognai di essere italiano”.
Di questo, parla “24 giorni”: della saldatura strisciante tra l’Occidente e la società multietnica, contra iudeos: alleanza tra islamismo e media, islamismo e un quartiere, tra un mondo che elettoralmente pesa e la polizia, il governo, le istituzioni. Halimi non è stato semplicemente sacrificato da una banda naziislamica, nel cuore del XIX arrondissement: è morto in piena Francia, senza che nessuno ci facesse caso. Quanto ai media, a una certa omertà sociale verso l’islamismo, ci viene in soccorso un suggerimento su Facebook di Vanni Frediani da Israele, che rielaboriamo così: la casta culturale e politica che per anni ha utilizzato l’esistenza dell’Urss come contrappeso generale alla visione americana oggi ha intimamente sostituito l’Urss con l’Iran. Tale è la vertigine del mondo alla rovescia. Tuttavia non basta. Il libro scoperchia la verità quando i rapitori interpellano un rabbino perché trovi i 450.000 euro del riscatto con l’aiuto della comunità ebraica. Allora, il rabbino racconta, senza fare i nomi, un analogo caso di sequestro ebraico, risolto in modo incruento, probabilmente grazie all’esborso del riscatto. E la verità esplode come una polveriera con la semplice domanda su quante volte sia accaduto in modo sommerso e impaurito ad altri ebrei francesi di vivere pressioni, ricatti, oltraggi mai confessati o venuti a galla, nella Francia degli ultimi anni – la Francia, dico, la nazione da cui gli ebrei stanno andandosene nel silenzio d’Europa – dove molti dicono che non è vero, gli ebrei francesi stanno benissimo. Quando giunge l’ora tremenda di Ilan Halimi, la madre, Ruth della Francia ebraica, si sveglia nella notte con un soprassalto. Il cuore le tambureggia la verità: il suo agnello è stato sacrificato. Fuori, il silenzio della megalopoli è un potere occulto. Quando la banda abbandona il covo perché arrivano i veri inquilini, e a notte fonda deve traslocare a qualche centinaio di metri, e per le strade si snoda una placida processione che in un sacco reca in spalla il corpo tagliuzzato di Ilan – Parigi dorme. Il branco passeggia per la periferia deserta, Ilan viaggia gettato in spalla al capo degli orchi. Sono le quattro del mattino, e dalle finestre, dagli incroci, da una macchina che sarà pure passata, nessuno vede niente. Così come nessuno vedeva che dalle ciminiere di Auschwitz uscisse cenere o sentiva come l’aria fosse satura di quell’odore. L’ignoranza dei fatti non venne esibita durante il nazismo, ma dopo. Quando tutti sentimmo dire: non sapevo. Era la solita distrazione.
E dato che per Ruth i ventiquattro giorni del rapimento dureranno tutta la vita, vorremmo farle un poco compagnia. E con lei riconsiderare i fatti attraverso quelle sue domande sempre più stanche e senza risposta; e come lei ha dovuto aspettare il momento fatale, quasi passivamente, in taluni momenti anche a noi sembra che siamo qui ad aspettare una sconosciuta ora nefasta. “24 giorni, la morte di Ilan Halimi” è un libro-bomba a orologeria, leggiamo e intanto il contenuto sta per scoppiare. Tuttavia. La mattina del 13 febbraio 2006, a scorgere il corpo di Ilan che rantola lungo la ferrovia dove è gettato come una lattina vuota, è una donna francese di colore che si ferma mentre sta andando in macchina a lavorare. Telefona alla polizia, sta con Ilan che in un certo senso è vivo. Gli tiene compagnia sino all’arrivo dei soccorsi. Nel mondo non c’è solo odio.

L’articolo è lungo, ma vi prego leggetelo. Lo dobbiamo a questo ragazzo, lo dobbiamo a sua madre, e lo dobbiamo a noi, che non siamo Eurabia e non lo diventeremo. La folle storia di Ilan Halimi non è un crimine islamico, è un crimine eurabico, un crimine di Eurabia. Il non trovarlo è stato un crimine, il non cercarlo nemmeno è stato un crimine, il non mostrare le foto del suo corpo torturato fatte dagli stessi torturatori, il non compiangerlo, il non ricordarlo, il non andare tutti al suo funerale, tutti, gente comune e capi di stato.

Je suis Ilan Halimi.

Le mie condoglianze signora. Sto pregando per suo figlio e per lei. È tutto quello che posso fare, ma questo lo posso fare e per nulla al mondo rinuncerei a farlo. Sto pregando perché gli orchi si fermino e che gli uomini d'onore risorgano e ritrovino il coraggio.

Je suis Ilan Halimi.
Je ne suis pas Eurabia.
Io non sono Eurabia, e non lo sarò mai.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... alimi-.jpg


https://www.facebook.com/ProgettoDreyfus/?fref=nf

UNA PIAGA SEMPRE APERTA
Dieci anni fa iniziò il calvario di Ilan Halimi.

Ilan Halimi era un ragazzo francese di 24 anni che per la sua fede ebraica il 21 gennaio 2006 fu rapito e torturato per 24 giorni da un gruppo di ragazzi che si facevano chiamare la “banda dei barbari”. E’ scritto sul marmo di una placca affissa lo scorso anno a Bagneux, una cittadina nei pressi di Parigi, luogo del sequestro di Ilan: “Ilan vittima della barbarie, dell’antisemitismo e del razzismo”. La religione e il suo conseguente pregiudizio antisemita sono state le cause della sua morte orchestrata da coloro che pretendevano 450.000€ per la sua liberazione. “Perché gli ebrei hanno i soldi. Tutti. Se non ce li hanno, se li faranno prestare dalla loro comunità di appartenenza, dal loro rabbino”.

Il capo degli aguzzini, Youssouf Fofana, un ivoriano che si professa musulmano, fu arrestato e condannato all’ergastolo dalla polizia francese che in questa vicenda è colpevole di essersi attivata troppo tardi, a cose fatte, perché fino al ritrovamento di Ilan nei pressi di una rete ferroviaria dell’Essonne con profonde ferite da arma da taglio, con ustioni all’80% del corpo, l’amputazione di un dito e ammanettato, sottovalutò la matrice di odio antisemita derubricandolo ad un crimine comune che non andava reso pubblico per non alimentare inutilmente “l’amalgame”, termine ampliamente usato dalla politica francese il cui significato potrebbe essere ascrivibile a “frizione tra classi sociali o etnie” che però a distanza di anni non ha evitato gli attacchi di Toulose e Montauban e gli attentati alla redazione del Charlie Hebdo, all’Hypercasher e al Bataclan dello scorso novembre. L’omicidio di Ilan non rappresenta solo un triste episodio per il popolo ebraico, ma è stato un avviso per Francia e per l’Europa che qualcosa stava cambiando in peggio. Un avviso che fu ignorato e che a distanza di anni ha ci ha trascinati nella situazione attuale.

Nonostante le garanzie dei governi di destra o di sinistra che si sono succeduti, oggi la Francia è portatrice di un disagio europeo per la sua incapacità di gestire il terrorismo di matrice islamica che punta il dito e il grilletto contro gli infedeli che oramai da anni, non sono più solo gli ebrei ma chiunque non abbracci la loro causa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Martiri ebreo ixraełiani

Messaggioda Berto » gio gen 21, 2016 8:26 pm

Francia, cresce l’allarme antisemitismo: ucciso un consigliere comunale ebreo
12 gennaio 2016
http://www.linformale.eu/francia-cresce ... nale-ebreo

Alain Ghozland, 73 anni, consigliere comunale di Créteil, città francese di circa 90.000 abitanti, è stato trovato morto nel suo appartamento completamente devastato e saccheggiato. Numerose le coltellate sul suo corpo. Anche la sua auto sarebbe scomparsa.
In attesa dei risultati dell’autopsia, le indagini si concentrano sulla pista dell’omicidio di carattere antisemita.
Ghozland, di origini algerine, lunedì scorso non si era presentato in sinagoga facendo allarmare il fratello, che l’ha cercato e poi ne ha denunciato la scomparsa.
Secondo il CRIF, Consiglio dei Rappresentanti Istituzionali Ebrei di Francia, Alain Ghozland era un leader di spicco della comunità ebraica locale.
“La gente è sconvolta. Non sanno cosa pensare e fanno un sacco di domande”, ha dichiarato un suo parente ai giornali francesi. Ghozland aveva condiviso una foto su Facebook in segno di solidarietà contro gli attacchi di Parigi il 14 novembre 2015. Un amico aveva commentato: “Grazie a Dio tu stai bene”.
Il suo omicidio è solo l’ultimo episodio di violenza che vede come vittime gli ebrei francesi, che continuano a lasciare il Paese in massa.
Un esodo senza precedenti. Si stima che circa 8.000 ebrei francesi siano emigrati in Israele nel solo 2015, 1.000 in più rispetto ai 7.000 che hanno lasciato il paese per emigrare nello Stato ebraico nel 2014.
L’antisemitismo è prevalentemente citato come ragione principale che spinge gli ebrei a lasciare la Francia.
Anche prima dei quattro omicidi di Coulibaly nel gennaio 2015 all’Hyperkosher, immediatamente dopo la strage del Charlie Hebdo, le violenze contro gli ebrei francesi hanno destato allarme nelle Comunità.
Nel 2014, una donna ebrea proprio a Créteil è stata violentata e derubata dopo che uomini armati hanno fatto irruzione nel suo appartamento, dicendole di averlo fatto “perché sei ebrea”.
Nel 2012 tre bambini ebrei e un rabbino sono risultati tra le sette vittime di Mohammed Merah, giovane musulmano francese che ha sparato con due pistole diverse in una scuola ebraica di Tolosa.
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