Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » ven set 18, 2020 6:40 am

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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » ven set 18, 2020 6:43 am

L'alba di un nuovo ordine in Medio Oriente. Trump ha mostrato che un'altra via è possibile, palestinesi senza più alibi
Dorian Gray
17 settembre 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... piu-alibi/


Per comprendere gli Accordi di Abramo firmati a Washington il 15 settembre 2020 non bisogna partire dalla presidenza Trump, ma da quella di Barack Obama. È stato il presidente Obama a creare l’environment che poi, abilmente Trump ha sfruttato per arrivare all’accordo tra Israele e il mondo arabo sunnita moderato del Golfo.

Ma si badi bene: non è un certo complimento all’ex presidente Usa. Infatti, il contesto lasciato dall’amministrazione Obama è il risultato del fallimento della sua strategia in Medio Oriente, ma ha permesso ad una parte importante del mondo arabo – quella che nel 2002 aveva promosso la proposta di pace della Lega Araba – di comprendere definitivamente che Israele non è il vero nemico e che la questione palestinese non poteva più essere una conditio sine qua non per firmare un accordo con lo Stato ebraico.

Cosa voleva Obama? È presto detto: 1) un equilibrio del terrore in cui l’Iran fosse praticamente alla pari di Israele, bloccando soltanto parzialmente il programma nucleare di Teheran; 2) un nuovo equilibrio nel mondo sunnita, che de facto abbandonava a loro stesse le vecchie monarchie regnanti, considerate ormai quasi prive di legittimità. Nei fatti, la politica obamiana si è tradotta, stringendo al massimo, nel garantire libertà di movimento agli iraniani in tutto il Medio Oriente e nel garantire il sostegno dell’amministrazione Usa alla Fratellanza Musulmana, perché considerata erroneamente rappresentante delle istanze sociali dell’Islam (con buona pace dei diritti civili, dei diritti delle donne e delle minoranze sessuali). Insomma, come direbbero a Napoli “nu papocchio”.

Purtroppo per Obama, le forze politiche e le monarchie sunnite moderate del Golfo, che lui tanto disistimava, sono riuscite a tenere il timone, reagendo a quella che percepivano come una diretta minaccia alla loro esistenza. Sono riuscite a bloccare l’espansione dell’islamismo in Paesi come l’Egitto e hanno direttamente reagito alla minaccia iraniana in aree calde come il Libano, dove Hezbollah ormai la faceva da padrone. Se il Libano è fallito, non è solo perché è fallito il suo patto nazionale o perché è fallito l’ancoraggio al dollaro voluto da Rafiq Hariri, ma soprattutto perché le monarchie del Golfo – Arabia Saudita su tutte – hanno disinvestito da Beirut e le rimesse dei libanesi che vivono a Riad e Abu Dhabi sono venute meno. Una reazione costante e silenziosa al potere sciita khomeinista, che di fatto si è rivelata vincente (la crisi del Libano, ricordiamolo, non nasce con le esplosioni di Beirut, ma ben prima).

Ora veniamo a Trump. Il “cialtrone in chief” Trump, come qualcuno ama definirlo, ha proseguito sulla strada del disimpegno americano dal Medio Oriente, che va avanti da decenni e che era avanzato anche con Obama. Trump però, ha ribaltato il paradigma: ritiro sì, ma ricostruendo le alleanze tradizionali americane in quella regione e rimettendo al suo posto la reale minaccia all’instabilità di quell’area, ovvero l’Iran. In quattro anni, il regime iraniano è stato schiacciato economicamente, con una strategia che – nonostante il mega accordo tra Teheran e Pechino – sta costringendo anche la Cina a condizionare i suoi legami con la Repubblica Islamica in base ad alcuni limiti di rule of law (come per esempio la riforma del settore bancario iraniano richiesta da anni dal Financial Action Task Force).

La ricostruzione delle alleanze tradizionali americane, quindi, doveva andare di pari passo con la responsabilizzazione degli attori locali (così come Trump sta chiedendo ai partner Nato di avere un ruolo più attivo nella gestione delle spese e degli oneri dell’Alleanza Atlantica). Ovviamente, questa responsabilizzazione passava direttamente per un accordo geopolitico che fosse in grado di mettere insieme l’attore regionale più forte, Israele, con gli alleati sunniti moderati dell’Occidente, Arabia Saudita in testa, aumentando la sicurezza di tutti. Probabilmente, lo stesso Trump quando ha presentato “l’accordo del secolo” fra israeliani e palestinesi, sapeva già che l’annessione della Valle del Giordano sarebbe stata la buona scusa per normalizzare le relazioni diplomatiche tra lo Stato ebraico e alcuni Paesi del Golfo, mostrando come la questione palestinese restasse comunque dentro l’accordo (ovviamente i palestinesi hanno espresso il loro ennesimo rifiuto, ma ormai a questo ci siamo tutti abituati).

Così, pur condividendo con Obama la tendenza al progressivo disimpegno americano dal Medio Oriente, ma ribaltando la sua fallimentare strategia, che ha prodotto solo destabilizzazione, Trump è riuscito in una impresa storica, che promette di cambiare per sempre il volto del Medio Oriente. È forse l’alba di un nuovo ordine geopolitico regionale che, per l’appunto, ha nell’islamismo politico, di matrice sia sciita che sunnita, il nemico da combattere.

Se vogliamo, storicamente parlando, il Medio Oriente di oggi ha tradito Ben Gurion, per ritornare ai tempi di Feisal e Weizmann. Ben Gurion sognava una normale alleanza geopolitica tra Israele e i Paesi non arabi, Iran e Turchia in testa. Così è stato dall’inizio della Guerra Fredda, fino a quando è stato valido il Patto di Baghdad (1955). Ma le cose poi sono cambiate, prima con la rivoluzione iraniana del 1979 e poi con l’arrivo al potere di Erdogan ad Ankara. Così, il mondo ebraico è tornato a quell’intesa del 1919 tra l’allora presidente dell’Organizzazione mondiale sionista Weizmann, poi primo presidente di Israele, e il figlio di Hussein lo Sceriffo della Mecca. Un accordo in cui gli arabi, alleati degli inglesi, si dicevano favorevoli alla Dichiarazione Balfour e al progetto sionista in Palestina. Agli inglesi, oggi basta sostituire gli americani e il gioco, brutalizzando al massimo il paragone, è fatto.

Si badi bene: pensare che quello tra Israele e il mondo arabo sunnita sia un accordo solo contro l’Iran sarebbe una banalizzazione di qualcosa di enormemente più grande. Come già scritto, in ballo c’è la costruzione di un nuovo Medio Oriente e un dialogo stretto fra mondo ebraico e mondo sunnita moderato. Una partnership strategica, che passa per accordi finanziari, nel settore dell’edilizia, nel settore della scienza e dell’hi-tech e nel settore commerciale. Israele, da anni, aveva rilanciato il progetto del “railway for peace”, una grande linea ferroviaria che intende collegare il porto di Haifa con l’Arabia Saudita, passando per la Giordania. Oggi, guarda caso, nel porto di Haifa, vogliono investire direttamente gli emiratini (il quotidiano Haaretz parla di un prossimo accordo tra la società israeliana Israel Shipard e l’emiratina DC World). Il volume di scambi calcolato annualmente tra Israele e gli Emirati potrebbe raggiungere la cifra di 4 miliardi di dollari l’anno, mentre da Manama si dicono disposti ad investire nelle infrastrutture israeliane per un valore di almeno 500 milioni di dollari.

Come ha poi detto Trump, altri Paesi seguiranno (si parla di Marocco, Sudan, Oman e ovviamente Arabia Saudita). Per quanto concerne Riad, non sappiamo quando farà il passo finale verso la normalizzazione, ma è chiaro a tutti che il Bahrein è stato mandato avanti in questa partita con la piena benedizione di Mohammed Bin Salman. I sauditi potrebbero, come pare voler fare il Marocco, avviare prima voli diretti con Israele, per poi normalizzare le relazioni diplomatiche.

La mossa, dal punto di vista geopolitico, va quindi vista anche in chiave anti-turca. In questo caso, se guardiamo a quello che sta succedendo nel Mediterraneo orientale, l’Accordo di Abramo si potrebbe tranquillamente allungare verso la Grecia e Cipro, con la Francia primo Paese europeo disposto a benedirlo, al fine di contrastare l’attivismo di Erdogan e difendere gli interessi militari ed energetici di Parigi.

L’Italia, in questo contesto, potrebbe certamente giocare la sua partita, a patto che decida finalmente da che parte stare. Per ora, Roma gioca nel mezzo, consapevole di essere finita nella trappola di Erdogan, ma anche incapace di liberarsene in maniera netta. Quanto questa doppio gioco potrà durare, non è dato saperlo. Resta il fatto che in Italia potrebbe arrivare il gasdotto Eastmed, che permetterebbe all’Ue di diversificare i suoi approvvigionamenti di gas, soprattutto dalla Russia. Eastmed ad alcuni pare non conveniente economicamente, ma va considerato come un progetto geopolitico strategico, che tra l’altro potrebbe tranquillamente essere rivisto per congiungersi nella parte finale con il TAP proveniente dall’Azerbaijan.

Infine, due parole sui vertici europei: vergognosa la loro assenza alla firma a Washington dell’Accordo di Abramo. Un’assenza figlia dell’ideologia di Oslo, quella che vedeva solo nella questione palestinese la via per risolvere i problemi del Medio Oriente. Una lettura “dalemiana” delle relazioni internazionali, che si è sempre rivelata filosoficamente affascinante, ma praticamente fallimentare. Pochi ricordando, in questo senso, che il conflitto israelo-palestinese, prima di essere tale, è stato arabo-israeliano. L’Europa quindi può scegliere: o segue la via tracciata da chi ha capito che, falliti gli accordi di Sykes–Pikot, è tempo di ricostruire un ordine regionale fondato sulla pace e la convivenza pacifica, o resterà prigioniera della Dichiarazione di Venezia del 1980, quella con cui gli europei riconobbero l’Olp, ma che nei fatti ha reso la diplomazia del Vecchio Continente una macchina burocratica che ormai si è totalmente inceppata.

Come direbbe Vasco Rossi, “qui si fa la storia!”. Chi sarà in grado di salire su questo treno ora ne godrà i frutti, chi se lo lascerà scappare ne pagherà le conseguenze per decenni. Nella seconda categoria, quella che perde costantemente i treni, fino ad oggi ci sono stati i palestinesi…
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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2021 1:07 pm

(′′ La truffa della cabina di pilotaggio ′′)
Per due anni, i media (propaganda) hanno continuamente mentito, a tutti gli elettori Gantz-Ashkenazi, sulla ′′ capacità manageriale unita ′′ di 3 capi e ministri della sicurezza e sulla situazione bianco-bianco, scoperti come branco di incapaci Lizz - votanti!! Attenzione ai media!!

https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 4170805930

Importante da leggere
I media hanno volutamente mentito agli elettori di Gantz e Ashkenaziti.
I media israeliani inclinati a sinistra, (in Israele non esistono mezzi di comunicazione liberi) hanno mentito e nascosto agli elettori di Gantz e Ashkenaziti i loro colossali fallimenti e zero capacità di gestione economica di 3 capi e ministri della sicurezza, e le loro notevoli capacità ed economiche, solo per rovesciare da loro un premier in carica di successo.- Gli elettori di sinistra non capiscono quanto sia pericolosa l'adulazione dei media per loro e la sua voglia di portare Dalton in uno status di sinistra non è adatta a tutti i costi.
I media nascondono gli strappi nella cabina di pilotaggio
I media hanno nascosto quanto sia traballante la struttura tripartitica del blu e del bianco, la resilienza a Israele, e c'è un futuro in tutti i quali ci sono stati strappi partigiani (Ofer Shalah è stato buttato via) che sono stati nascosti, al punto di una disastrosa situazione in cui il partito di governo blu e bianco si candida alle elezioni da cancellare dopo che c'era un partito dal quale un futuro primo ministro ha piantato nel suo attuale stato di sicurezza. di Israele..
La reputazione dei capi non è mai stata schiacciata per questo tutto sotto l'egida della propaganda mediatica.
L' ufficio del procuratore di stato protegge i cospiratori.
I media si sono uniti all'ufficio del Procuratore di Stato che ha impedito di perseguire i ′′ candidati di sinistra ′′ per gli eventi economici in aziende fallite che hanno gestito e cancellato il petrolio e la quinta dimensione è tutta kosher per sostituire Netanyahu.
In questo modo, l'ufficio del Procuratore di Stato ha creato una falsa presentazione propagandistica tra tutti gli elettori di Benny Gantz Ashkenazi sulle loro capacità e ha impedito l'esposizione
L ' ufficio del Procuratore di Stato e i media stanno ancora gestendo Yair Lapid e Gideon Saar, la procura
Fortunato per il paese che non l'hanno gestito.
Oggi è del tutto chiaro che il gruppo dei ministri della difesa dei capi non è molto più adatto che correre sulle colline e un po ' di tiro negli arabi, e non hanno nessuna capacità manageriale altro pubblico economico.
L ' esercizio puzzolente di Nisenkorn si è concluso con un agguato: tace.
Per chi non ci ha fatto caso, perché avevamo previsto le azioni del ministro della Giustizia di Nisenkorn, abbiamo preparato per lui un ′′ agguato sotto copertura ′′ che gli è caduto addosso.
Per quelli che hanno notato da 24 ore che la voce di Lapid e Nisenkorn non si sente dai media, e infatti hanno eseguito solo 3 dei 5 compiti che volevano svolgere per far crollare Netanyahu, ma fallito in 2 missioni ′′ e il treno Nisenkorn ′′ sta per esplodere sul ponte sul fiume come nel film il ponte sul fiume Kawai. Non ha alcuna riabilitazione
Faremo saltare in aria la prova di Netanyahu con importanti rivelazioni molto presto e avremo bisogno del vostro aiuto!!
Un modesto contributo al finanziamento delle trasmissioni e alla ricerca approfondita.
Stiamo andando senza paura a un costosissimo processo che deciderà la campagna e il processo di Netanyahu, e saremo lieti di ricevere un modesto contributo al nostro sforzo per portare indagini e trasmissioni, e la verità nascosta che vedete solo qui al pubblico e decisori.
Aiutaci e sostieni un media investigativo indipendente senza paura e paura per rendere giustizia e scoprire la verità.
Per donare al Beat Avi Zelinger 0528010967 o contattatemi per qualsiasi altra domanda su questo telefono.
Per donare attraverso un bonifico bancario, potete farlo attraverso il link allegato in alto a tutte le nostre pagine Facebook.
C ' è il numero di conto corrente o contattatemi su questo telefono per informazioni o contattatemi su WhatsApp su questo telefono.
Apprezzeremmo qualsiasi aiuto per il grande sforzo che facciamo.
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Avi Zellinger
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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2021 1:08 pm

Bibi candidato a primo ministro? No, a presidente
1 gennaio 2020

http://www.linformale.eu/bibi-candidato ... residente/


Il fatto che in quattro mesi quattro Paesi arabi abbiano normalizzato le relazioni con Israele è un notevole sviluppo che apre alla possibilità che la guerra mossa a Israele dagli Stati arabi, iniziata nel 1948, stia per terminare.

Ma c’è un’altra buona notizia, meno evidente e anche potenzialmente epocale: un cambiamento in atto tra coloro che costituiscono il principale nemico di Israele, i suoi cittadini arabi. Questo segmento della popolazione potrebbe iniziare finalmente a porre fine al proprio autoisolamento politico e riconoscere lo Stato ebraico.

Innanzitutto, qualche cenno storico. Alla nascita di Israele, circa 600 mila arabi fuggirono dal Paese, tra cui la maggior parte delle persone istruite, e ne rimasero 111 mila, per lo più contadini. Quella popolazione si è moltiplicata nel corso dei decenni, integrata da un costante flussi di immigrati (in quella che io definisco “l’aliya musulmana”); gli arabi israeliani ora sono 1,6 milioni ovvero circa il 18 per cento della popolazione del Paese.

Quella popolazione molto tempo fa eluse i propri confini rurali, essendo diventata istruita, dinamica e ben introdotta. Essa oramai consta di un giudice della Corte Suprema e di un ministro del governo, di ambasciatori, di imprenditori, di docenti universitari e di molti altri personaggi illustri.

Nonostante questo progresso impressionante, la comunità ha costantemente votato candidati radicali e antisionisti che li rappresentassero alla Knesset, il Parlamento israeliano. Anche se i suoi parlamentari differivano notevolmente tra loro per quanto concerne l’ideologia, dividendosi in nazionalisti palestinesi, nazionalisti panarabi, islamisti e di Sinistra, tutti loro non accettano la natura ebraica di Israele.

Ciò li esclude dalla possibilità di esercitare una certa influenza nella governance del Paese. Non solo è loro impedito di prendere decisioni in merito a delicate questioni di politica estera e di difesa, ma non hanno di fatto alcuna voce in capitolo riguardo alla formazione dei governi e soltanto in occasioni più rare (come gli Accordi di Oslo del 1993) si fanno sentire nelle principali decisioni del governo. E così, tutti i tentativi compiuti finora dai politici arabi per superare questa impasse sono falliti.

E qui entra in gioco, Mansour Abbas, 46 anni, leader di un partito islamista, la Lista Araba Unita (conosciuta anche come Ra’am), che occupa 4 dei 120 seggi della Knesset. Abbas è originario della città di Maghar, in Galilea, e ha una laurea in odontoiatria conseguita alla Hebrew University di Gerusalemme; attualmente segue un corso di dottorato di ricerca in Politica alla Haifa University. Sposato e padre di tre figli, è odontoiatra a Maghar.

Abbas (da non confondere con l’85enne Mahmoud Abbas, capo dell’Autorità Palestinese) di recente si è fatto notare per essere un negoziatore pronto ad agire pragmaticamente per conto degli arabi israeliani. In un momento di turbolenza elettorale, con le nuove elezioni previste per il prossimo marzo 2021, Abbas è diventato un mediatore politico grazie alla sua disponibilità a cooperare con Benjamin Netanyahu e forse anche ad aiutarlo a rimanere in carica.

Abbas parla apertamente delle sue intenzioni, dicendo: “Netanyahu cerca di sfruttarmi, ma io faccio lo stesso con lui”. In particolare, vuole che il premier israeliano agevoli l’attività edilizia legale nelle città arabe e approvi i fondi per affrontare i problemi della criminalità araba. Il successo in questi ambiti potrebbe conferirgli abbastanza appeal per ottenere più seggi nella prossima legislatura.

Un recente sondaggio mostra che l’approccio di Abbas ha colpito nel segno. Anche Yousef Makladeh di StatNet, una società di consulenza, afferma: “Oltre il 60 per cento degli arabi israeliani appoggia l’approccio del parlamentare della Knesset Mansour Abbas, in modo che si possa cooperare con la destra [ebraica]”. E aggiunge che “una maggioranza dell’opinione pubblica araba è favorevole agli accordi di pace con gli Stati del Golfo”.

Mentre Ariel ben Solomon dell’Hebrew News Syndicate (JNS) liquida i cambiamenti di Abbas come una mera “mossa tattica”, Mazal Mualem di Al-Monitor lo definisce come “una delle persone più influenti della politica israeliana” Gil Hoffman del Jerusalem Post ipotizza che la sua alleanza con Netanyahu “potrebbe cambiare per sempre la politica israeliana”.

E in effetti potrebbe farlo. Abbas offre agli arabi israeliani una strada per abbandonare finalmente la vecchia e sterile negatività nei confronti dello Stato ebraico. La sua flessibilità potrebbe respingere l’influente studio del 2006, The Future Vision of the Palestinian Arabs in Israel, (“La futura visione degli arabi palestinesi in Israele”), in cui la fedeltà a Israele è subordinata alla rinuncia alla propria natura ebraica finchè non sarà diventato uno Stato bi-nazionale in cui la cultura e il potere palestinese godano di assoluta uguaglianza.

Questo sviluppo rafforza la crescente consapevolezza degli arabi israeliani della triste realtà della vita palestinese in Iraq, Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania e a Gaza, e riconosce, come nelle parole di un abitante di Gerusalemme, che “l’inferno di Israele è migliore del Paradiso di Arafat”. Inoltre, conferma il cambiamento tettonico negli atteggiamenti verso Israele, in base al quale arabi e musulmani accettano sempre più Israele, anche se la Sinistra mondiale si ostina a rifiutarlo.

Sebbene siano pochi e deboli, i cittadini arabi israeliani rivestono un’importanza eccezionale per il futuro di Israele. Possa essere di buon auspicio.

Traduzione di Angelita La Spada



https://www.facebook.com/permalink.php? ... y_index=19


Gino Quarelo
Non saprei cosa dire, però di una cosa sono certo che non mi fido assolutamente degli arabi maomettani d'Israele e in generale di tutti i maomettani e che gli ebrei di Israele mai dovrebbero mettersi nelle loro mani e rendersi così vulnerabili, sarebbe la fine di Israele e dei suoi ebrei.
Gli arabi devono scegliere o Maometto o Israele con i suoi ebrei; in Israele non vi è spazio per entrambi, i 1400 anni di storia del maomettismo lo insegnano e lo certificano in modo assoluto.

Shady El Mouine
Leggo con il sorriso sulla bocca la parola maomettani, e vedo trasformare le argomentazioni politiche in religiose al pari dei leader palestinesi di OLP e di Hamas che nulla ha a che fare col diritto di Israele ad esistere. Non è una tua scelta nascere ebreo o musulmano o cristiano. Ebrei e musulmani si somigliano moltissimo e se c'è da rimproverare qualcuno è l'Europa cristiana ad avere ucciso sei milioni di ebrei. Ti chiedo di abbandonare affermazioni che trasudano ignoranza, poiché sono molteplici gli ebrei di grande levatura culturale ad affermare che i musulmani non siano tanto lontano dagli ebrei. Ricordati che tra un miliardo e più di musulmani ci sono pochi che vogliono uccidere tutti e tutto dicendo di essere musulmani e chiedendo di uccidere ebrei, come se tutti gli altri che non lo fanno non siano per nulla buoni musulmani. Netanyahu invece sta subendo processi democratici, tipo elezioni e tipo procedimenti legali, in un contesto mediorientale dove nessun altro leader viene messo in discussione dall'apparato statale. Qualsiasi leader israeliano sarà considerato dai paesi guerreggianti un nemico, di qualsiasi fazione politica. Intanto gli arabi si stanno ammazzando tra di loro, e gli arabi israeliani sono considerati dei traditori se collaborano con Israele in caso che OLP o Hamas dovessero poter mettere mano su Israele. Pertanto viva Israele e forza.

Gino Quarelo
Islam è politica e idolatria religiosa insieme, inestricabilmente legati.
Io non sono ebreo e nemmeno israeliano, sono veneto, italiano, europeo ed ex cristiano, nato cristiano ma divenuto liberamente e volontariamente aidolo e per quanto riguarda i maomettani a me basta e avanza, quello che hanno fatto e che fanno in Italia e in Europa, quello che fanno in giro per il mondo da 1400 anni, quello che ha fatto e detto Maometto e quello che c'è scritto nel Corano.
Io amo gli ebrei e i cristiani perché non fanno del male perché nella loro dottrina politico religiosa non è prescritto di fare del male al contrario di quanto invece è prescritto nella dottrina politico religiosa maomettana.

Il fatto che vi siano centinaia di milioni di maomettani o mussulmani o islamici oggi pacifici che non ammazzano nessuno non è affatto una garanzia della bontà del maomettismo politico religioso.
Questo mi basta e mi avanza per non poterli considerare fratelli, amici, conoscenti affidabili e per non girar loro le spalle e per non potermi fidare minimamente e in nessun caso, di loro.
Poi la politica puo anche far finta che non sia così, per convenienza e opportunità, per riduzione del danno, per evitare conflitti maggiori e mantere le tensioni e i contrasti entro limiti sopportabili e gestibili.
Io comunque levo la mia voce affinché non ci si illuda e si mantenga alta la guardia. Di sicuro non faccio come Bergoglio che ha santificato il criminale Maometto, il mostruoso idolo Allah e la sua demenziale parola scritta nel Corano affermando che l'Islam eleva l'uomo a Dio e promuove la pace e la fraternità fra gli uomini e le nazioni, perché è ignobilmente falso.
Il pericolo per gli ebrei d'Israele e del mondo intero non è il morto nazismo hitleriano ma l'imperante nazismo maomettano che è un problema per il mondo intero, per ogni diversamente religioso, areligioso e pensante della terra.
Ed è questo nazismo maomettano antisemita che fa risorgere anche il nazismo hitleriano e fascista, e quelli comunista e cristiano.


Marco Limburgo
Gino Quarelo
ah si perfetto generalizziamo. Siccome sono arabi e musulmani sono degni di odio, sospetto e disprezzo. Onestamente non ne posso piu di questi fanatici, spesso nemmeno ebrei che interpretano la storia e la politica israeliana come un eterna crociata contro l Islam e i musulmani. Spero che ci affrancheremo prima o poi questo estremismo ignorante, questo razzismo da quattro soldi.


Gino Quarelo
L'insopportabilità è reciproca. Chi si fa complice del male nazi maomettano prendendo le sue difese fa ancora più schifo e orrore.
Chi ammazza la gente cristiana, ebrea e atea in giro per il mondo sono solo i maomettani e qualche nazista hitleriano che se la prende però solo con gli ebrei:
chi incendia le chiese cristiane, demolisce i crocefissi, decapita le madonne, taglia le mani alle statue dei santi, brucia i presepi, rapisce e stupra le donne cristiane sono solo i nazi maomettani e qualche cinese ma solo in Cina e indù ma solo in India;
chi perseguita e aggredisce Israele da oltre 100 anni a questa parte mi pare siano solo i nazi maomettani;
chi attacca gli ebrei in Israele con coltelli, pistole, bombe, aquiloni incendiari, auto lanciate all'impazzata, attentaori suicidi, bombe e razzi e che minaccia di distruggerlo con qualche ordigno nucleare sono solo i nazi maomettani;
chi taglia le teste agli armeni e li caccia dalla loro terra sono solo i nazi maomettani;
chi fa strage di copti in Egitto sono solo i nazi maomettani;
chi fa strage di cristiani in Nigeria sono solo i nazi maomettani;
e mi fermo per non farla troppo lunga.

Io sono un ex cristiano divenuto aidolo che ama gli ebrei e il loro Israele, ebrei che a me, alla mia gente e al mio paese non hanno mai fatto del male, mentre i nazi maomettani sì e tanto da Maometto in poi.
Da un paio d'anni al sabato mi metto la kippà in solidarietà con gli ebrei perseguitati e vedo l'odio negli occhi di molti quando mi incontrano, specialmente nazi maomettani.
Se permette gli amici me li scelgo io e tra questi non ci sono né fascisti, né nazisti, né inter nazi comunisti, né nazi maomettani che per me come seguaci di Maometto sono peggio dei seguaci di Hitler.
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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » sab gen 02, 2021 1:16 pm

Le strategie palestinesi contro Israele disarmate dalla normalizzazione
Ugo Volli
29 dicembre 2020

https://www.progettodreyfus.com/israele ... i-accordi/

Le strategie arabo palestinesi contro Israele ormai disarmate dagli accordi di normalizzazione. Nella condotta della guerra si distinguono la tattica, cioè il modo in cui vengono condotti e preparati i singoli concreti combattimenti e la strategia, cioè il modo in cui gli eserciti si schierano e si muovono per programmare, realizzare e sfruttare al meglio i combattimenti in vista degli obiettivi del conflitto. E poi c’è quella che si chiama “grande” o “alta” strategia, il cui ruolo “consiste nel coordinare e dirigere tutte le risorse di una nazione, o un gruppo di nazioni, verso la realizzazione dell’oggetto politico della guerra”. Per riuscirci, essa deve “sia calcolare che sviluppare le risorse economiche e umane di una nazione per sostenere i servizi bellici. Anche le risorse per il morale (per incoraggiare lo spirito di volontà delle persone) sono spesso importanti tanto quanto avere il controllo delle più concrete forme del potere [ma anche] impiegare il potere della pressione finanziaria, e (non ultima) la pressione etica per indebolire la volontà dell’avversario. [Infine] mentre l’orizzonte della strategia è legato alla guerra, la grande strategia guarda oltre la guerra, alla pace che seguirà” ( B. H. Liddell Hart, Strategy).

Queste definizioni si applicano molto bene per capire la guerra dei cent’anni in cui Israele (e l’yishuv [insediamento] sionista che l’ha preceduto) si difende dalle aggressioni provenienti da parti consistenti del mondo islamico e in particolare arabo. Episodi tattici sono stati gli infiniti attacchi terroristici, le rappresaglie, le battaglie. Le strategie sono state espresse dagli schieramenti dei terroristi, delle armate arabe, delle forze imperialiste iraniane negli ultimi anni, dalle azioni dell’esercito israeliano. A questo livello troviamo gli attacchi concentrici degli eserciti arabi fra il ‘48 e il ‘73, ma anche la “guerra d’attrito” egiziana negli anni Sessanta e Settanta, la campagna dei dirottamenti aerei nei primi anni dell’OLP, la costruzione dei tunnel di Hamas, l’accumulo dei missili da parte di Hezbollah e di Hamas, la marcia di avvicinamento e di accerchiamento delle milizie iraniane nell’ultimo decennio rispetto sia a Israele che ai paesi sunniti; ma anche la ricerca della superiorità aerea e la guerra di movimento dei carri armati che hanno caratterizzato le forze di difesa israeliane, lo costruzione della barriera difensiva e l’uso degli antimissili come Iron Dome.

Dietro a queste strategie vi sono da parte araba poche “grandi strategie”. La prima, che parte dalla primavera 1920 (battaglia di Tel Hai, 1.3.1920, in cui cade Joseph Trumpeldor; pogrom di Gerusalemme, 7.4.1920; pogrom si Jaffa, 1.5.1921) e dura fino alla “guerra del Kippur (ottobre 1973) è molto elementare, consiste nell’assalto frontale, nel tentativo di uccidere più ebrei possibile, nel distruggere case e villaggi, nel tentare di bloccare la loro immigrazione. Variano le strategie a seconda delle forze in gioco, dalle folle di teppisti convocate dal Muftì di Gerusalemme, alle bande di beduini agli eserciti di grandi stati; ma l’impostazione è la stessa, sconfitta dalla controstrategia israeliana di creare istituzioni difensive (Haganà, Palmach, l’esercito vero e proprio) e di affidarsi al controattacco preventivo, soprattutto aereo.

Dopo aver perduto l’ultima battaglia campale, nel ‘73, gli stati arabi capiscono che non possono sconfiggere frontalmente Israele e, anche su suggerimento dell’Unione Sovietica e dei servizi segreti suoi e dei satelliti (come si può leggere qui) nasce una seconda grande strategia, quella del movimento palestinista. Distruggere Israele viene presentato non più come l’obiettivo di stati che vogliono impadronirsi del suo territorio e impedire l’insediamento ebraico, ma come la “lotta di liberazione nazionale” di un “popolo” inventato per l’occasione, tanto inventato che perfino il suo nome prima inesistente viene tratto dalla definizione geografica europea del territorio, non da fonti autonome.

La prima strategia subordinata (ma sempre “grande”) che si adotta per dar corpo al disegno palestinista è terroristica, in parte inventata come nel caso dei dirottamenti aerei, in parte imitata dalle teorizzazioni maoiste e castriste (la “lotta di lunga durata”, la “campagna contro la metropoli”) o dalle esperienze di terrorismo suicida del movimento algerino. L’obiettivo è doppio: rendere invivibile lo stato degli ebrei e indurli a fuggire (perché tanto “gli infedeli sono vigliacchi”) e ottenere con la “lotta” la solidarietà nei movimenti “progressisti”, per esempio dell’ondata studentesca degli anni Sessanta (a questo si dedicavano i servizi segreti dell’Est, in particolare i tedeschi, come racconta un libro importante).

La strategia terroristica vera e propria produsse gravi danni, ma venne progressivamente neutralizzata, al costo di realizzare una sorveglianza in tutti gli aeroporti del mondo e in Israele di erigere una barriera di protezione, a sua volta criminalizzata dalla propaganda “progressista”.

Più efficace fu la presentazione della guerra razzista contro Israele come un ammirevole movimento di liberazione nazionale bisognoso di solidarietà, anche perché Israele cadde nella trappola degli accordi di Oslo e concesse ai terroristi sul terreno diplomatico ciò che non potevano conquistare militarmente: una base garantita dentro i confini controllati da Israele. Questo a sua volta incrementò per qualche tempo il terrorismo coi grandi attentati suicidi della “seconda intifada”. Ma, come ho già detto, questo terrorismo venne infine sconfitto e resta marginale o nello spazio (Gaza) o nelle dimensioni (lo stillicidio degli attacchi sanguinosi ma “a bassa intensità”).

La grande strategia palestinista entrò in una seconda fase, concentrandosi allora sulla costruzione della solidarietà internazionale con la “lotta di liberazione nazionale”, in particolare sulla finzione del “processo di pace” (usato astutamente con l’obiettivo di sottrarre a Israele fette successive di sovranità, “come si mangia un salame”, secondo l’espressione di Arafat), sulla conquista di legittimità internazionale e sulla riduzione di Israele a Stato-paria. Questa strategia si basava su una doppia premessa sottoscritta dalla “comunità internazionale”, o almeno dai grandi poteri come Usa, Russia, Cina, Europa e naturalmente dal mondo islamico e arabo: che cioè in primo luogo non può esserci pace in Medio Oriente senza un accordo fra Israele e “palestinesi”, e che in secondo luogo essa può essere a sua volta realizzata solo quando Israele cedesse abbastanza territori e sovranità per dar soddisfazione alle “legittime richieste del popolo palestinese”. Anche questa premessa fu disgraziatamente accettata dalla sinistra israeliana, che quando fu al potere offrì (per esempio con Barak e Olmert) tutta la terra al di là della linea verde e anche qualcosa in più ai palestinisti, promettendo loro uno stato, senza naturalmente ottenere la loro “soddisfazione”, anzi accumulando rifiuti sdegnosi. Perché la soddisfazione palestinista, come è chiarissimo da statuti, stemmi, simboli, propaganda televisiva, testi scolastici, non si poteva realizzare se non “riportando” la “Palestina” ai “suoi confini storici” (peraltro mai esistiti nella storia), vale a dire “dal fiume al mare”, con la conseguenza implicita della distruzione dello Stato di Israele e magari di un altro genocidio degli ebrei.

Insomma, questa grande strategia palestinista consisteva nel dirsi sempre oppressi e insoddisfatti, nel negare la pace e anche le trattative, attendendo che qualcuno facesse loro altri regali come quelli di Oslo, o semplicemente soffocasse Israele sul piano economico, politico e diplomatico, costringendolo ad accettare il proprio suicidio . E però le premesse di questa posizione sono molto deboli. Perché si è visto molte volte (con la guerra Iran-Iraq, con le due guerre del Golfo, con l’Isis, con la guerra civile che qualche sciocco dieci anni fa chiamò “primavera araba”, con l’imperialismo iraniano) che la pace in Medio Oriente non dipende affatto da Israele. E perché il popolo israeliano, facile a entusiasmarsi e dunque anche a farsi a ingannare, non è però affatto stupido e impara dall’esperienza, per cui non si affida più alle forze politiche del “fronte della pace”; e inoltre lavora sodo, è creativo e ha costruito un’economia e una difesa fra le prime al mondo. Ma, anche se le basi erano fragili, la seconda grande strategia palestinista (quella politica) ha retto molto più a lungo della prima (quella “terrorista”) sulla base del consenso,tutto sommato antisemita, dei potenti del mondo: i “progressisti” americani come Obama, la burocrazia europea, gli eredi del KGB che governano la Russia ecc.

Poi è arrivato qualcuno (Trump) che ha visto l’infondatezza di questa costruzione, con l’onestà e l’ostinazione del bambino che vede il re nudo. E la grande strategia palestinista, nel giro di pochissimi anni, è rimasta impotente e inerte. Biden appartiene da decenni allo stesso schieramento che sostiene “i legittimi diritti del popolo palestinese”. Ma difficilmente potrà far funzionare di nuovo quella strategia. Perché buona parte dei governi, e ormai anche dei popoli arabi, hanno capito che è insensato per loro far dipendere le loro sorti dai capricci dei vecchi ladri che tiranneggiano a Ramallah e dei fanatici religiosi (ma ladri anch’essi) che spadroneggiano a Gaza. Israele non è una costruzione politica effimera che si abbatta con una spallata militare o con un boicottaggio, è destinato a restare e con esso i popoli arabi hanno grandi interessi militari, economici, culturali, politici in comune da sviluppare assieme con grandi vantaggi reciproci: non solo il contenimento di Iran e Turchia, ma anche per esempio lo sviluppo tecnologico che permette a Israele l’autosufficienza energetica ed ecologica e può essere ben sfruttato nelle difficili situazioni climatiche degli stati arabi.

I palestinisti (e i loro alleati, europei in testa) hanno finora risposto a questi sviluppi solo dicendo di no, ma con una sostanziale impotenza. Riusciranno a inventarsi una nuova grande strategia? O dovranno alla fine prendere atto della situazione e seguire il copione della normalizzazione? Questo è il dilemma dei prossimi anni, che dipenderà anche molto dalla saggezza del governo israeliano. Finora Netanyahu, diffamato e odiato dalla sinistra (ma purtroppo non solo da essa) ha governato questo processo storico con abilità fenomenale. C’è solo da sperare che possa continuare o che chi verrà al suo posto abbia la stessa lucidità e la stessa comprensione della grande strategia israeliana.




Tutti fuori legge tranne il Mossad
Alberto Negri
29 Dicembre 2020

https://www.we-wealth.com/it/news/inves ... il-mossad/

L’intelligence israeliana avrebbe ucciso 2.700 “nemici” in tutto il mondo, per condurre la sua guerra contro l’Iran. Nessun altro servizio gode della stessa licenza di uccidere e della stessa impunità. sostenuta dagli Usa, accettata dalle monarchie assolute del Golfo e persino dall’Onu

L’anno della pandemia in Medio Oriente è finito come era iniziato. Il tre gennaio scorso gli americani uccidevano con un drone a Baghdad il generale iraniano Qassem Soleimani; mentre il Mossad, come hanno sostenuto tutti i media israeliani, ha concluso l’anno facendo fuori Mohsen Fakhrizadeh, scienziato che ha guidato i programmi nucleari di Teheran. Non solo. Trump ha promesso di mantenere, d’accordo con Israele, la “massima pressione” sull’Iran fino al giorno in cui resterà alla Casa Bianca. Le sorprese quindi possono non essere finite. Si può dire che da quelle parti pace e guerra sono in mano al Mossad. “Se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidilo per primo”, recita una frase del Talmud, il testo fondamentale dell’ebraismo. Fin dalla sua nascita, nel 1948, Israele ha fatto di questo insegnamento la propria parola d’ordine, forse a causa del trauma della Shoah e della sensazione che l’intero popolo ebraico sia in costante pericolo. Per cui il Mossad ha una licenza di uccidere di cui non gode nessun servizio al mondo e può condurre la sua guerra all’Iran come e quando vuole. E nessun Paese al mondo, se non Israele, gode di altrettanta impunità. Si chiama doppio standard: in fondo – questa è la sensazione che se ne trae – siamo tutti fuorilegge, tranne il Mossad.

Le monarchie assolute del Golfo hanno mangiato la foglia: se vogliono continuare ad avere la protezione Usa e le armi americane, questi Stati ricchi ma impresentabili per i parametri democratici devono entrare nel Patto di Abramo e accettare la supervisione dello stato ebraico. Che ormai si estende anche all’Onu: i grandi gruppi industrial-militari israeliani forniranno i sistemi di sicurezza e intelligence per la “difesa” della missione delle Nazioni Unite in Mali. E se Israele va bene all’Onu, va bene a tutti. Mai, ovviamente, Israele è stato condannato o sottoposto a sanzioni per le sue attività letali. E mai in Occidente si levano parole di condanna come è avvenuto anche per l’uccisione dello scienziato nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh, stigmatizzata da Russia, Cina e pochi altri, certo non in Europa che al massimo “esprime preoccupazione” per le tensioni regionali. Israele non si tocca: è anche la prima lezione delle scuole di giornalismo nostrane. Per fortuna gli israeliani hanno anche una stampa eccellente quindi attingiamo da loro per prendere informazioni. Il maggior esperto del Mossad, Ronen Bergman, inviato del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth e autore di “Uccidi per primo” (in Italia tradotto da Mondadori), ritiene che i servizi israeliani abbia ucciso almeno 2700 persone in tutto il mondo: una cifra mai smentita da Tel Aviv. Immaginate se l’intelligence di qualunque altro stato avessero condotto all’estero in questi decenni operazioni mortali del genere, cioè omicidi mirati, come ha fatto Israele: probabilmente questo Paese non sarebbe più da un pezzo sulla mappa.

I servizi dello stato ebraico, in collaborazione con gli americani e l’opposizione clandestina dell’Mko finanziata da Usa e Israele, hanno fatto fuori almeno quattro-cinque scienziati iraniani nell’ultimo decennio. Nel 2010 Usa e Israele hanno attaccato con un virus informatico micidiale, denominato Stuxnet, l’impianto nucleare di Natanz mettendo fuori uso circa 500 turbine. Soltanto nel 2020 Israele ha danneggiato con varie esplosioni la centrale di Parchin, ancora una volta quella di Natanz e pure quella di Isfahan.

Sarebbe utile ricordare che con l’accordo sul nucleare del 2015 voluto da Obama e stracciato da Trump nel 2018, su pressione di Israele e delle monarchie del Golfo, gli impianti iraniani erano sottoposti a regolari ispezioni da parte dell’Aiea. L’Iran ha firmato tra l’altro il Tnp, il trattato di non proliferazione nucleare, mentre Israele che al contrario di Teheran ha l’atomica e un centinaio di testate nucleari, non ha mai aderito a nulla. Lo stato fuorilegge sarebbe quello ebraico, non la repubblica islamica iraniana. Ma come si è detto vige il doppio standard: Israele fa quello che vuole, agli altri vengono imposte le sanzioni. E nessuno osa protestare: c’è una sorta di perenne sudditanza ai governi di Tel Aviv cui tutto è concesso. L’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh è stato un omicidio politico, non rispondeva a un pericolo immediato. La bomba atomica iraniana resta soltanto un ordigno virtuale altrimenti gli israeliani sarebbero già intervenuti, come fecero nell’81 quando con l’operazione Babilonia sferrarono un attacco aereo a sorpresa che distrusse il reattore nucleare iracheno di Osiraq. Lo stesso accadde nel 2007 con la distruzione da parte di una squadriglia di caccia israeliani di un reattore nucleare segreto nell’est della Siria di Bashar Assad.

L’omicidio di Fakhrizadeh aveva il solo scopo di provocare una reazione degli ultraconservatori, mettere spalle al muro i moderati come il presidente Hassan Rohani, in vista anche delle presidenziali del 2021, e tenere alta la tensione quando mancava un mese al primo anniversario dell’uccisione a Baghdad da parte degli americani del generale Soleimani.

Ma soprattutto questa operazione del Mossad è stato il messaggio che il premier Netanyahu d’accordo con Trump ha inviato a Biden, disponibile a riprendere un negoziato con l’Iran. Come sottolineava Thomas Friedman sul New York Times quello che Israele e le monarchie del Golfo temono davvero non è l’inesistente atomica di Teheran ma la precisione dei missili iraniani, forse gli stessi usati dagli Houthi yemeniti per colpire l’Aramco nel 2019. Per questo è nato il Patto di Abramo: Israele, sauditi ed emiratini vogliono evitare che il nuor presidente Joe Biden torni all’accordo sul nucleare con Teheran prima che sia raggiunta anche un’intesa sui missili.

Per questo il Mossad fa la sua guerra e la sua convincente e letale “diplomazia”. Ormai è sempre più complicato distinguere tra un tempo di pace e un tempo di guerra. Siamo di fronte a conflitti che non finiscono mai, come dimostra l’uccisione dell’ultimo scienziato iraniano. Con un’unica costante: solo il Mossad ha licenza di uccidere, gli altri sono “terroristi” o fuorilegge. Ma chi decide la legge?

È stato inviato speciale e corrispondente di guerra del Sole 24 Ore negli ultimi 30 anni per le zone Medio Oriente, Africa, Asia Centrale e i Balcani. Nel 2009 ha vinto il premio giornalistico Maria Grazia Cutuli, nel 2015 il premio Colombe per la pace. nel 2016 il premio Guidarello Guidarelli e nel 2017 il premio Capalbio saggistica per il libro "Il Musulmano Errante". Oggi è Senior Advisor dell’ISPI, Istituto degli Studi di Politica Internazionale.
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Gino Quarelo
La più che legittima difesa di Israele, un paese di 8 milioni di abitanti circondato da paesi a dominio islamico con centinaia e centinaia di milioni di abitanti, se non avesse la bomba atomica sarebbe già stato distrutto come hanno tentato di fare più volte nel passato senza mai riuscirci.
Questo giornalista è un demenziale antisemita/antisareliano che fa disinformazione,
Costui dimentica che l'Iran nazi maomettano aggredisce quotidianamente Israele e i suoi ebrei, sia dal Libano, sia dalla Siria, sia da Gaza, sia dall'Iran dove a Teheran vi è un orologio che scandisce il tempo stabilito per la distruzione di Israele e dove stanno tentando, per fortuna senza riuscirci grazie alla prevenzione Israeliana, di produrre armi nucleari per annientare Israele e i suoi ebrei con la criminale complicità degli USA di Obama, della Cina, della Corea del Nord, e di questa demenziale UE sovietizzante filo nazi maomettana e antisemita/antisraeliana.
Grande Israele che si difende ovunque da questi criminali nazi maomettani. Sempre con Israele e i suoi buoni ebrei che sono uno dei popoli più umani e civili della terra che a noi non ci hanno mai fatto del male al contrario invece dei nazi maomettani che da Maometto in poi ce ne hanno fatte più del diavolo, delle pestilenze e delle carestie.

Se non ci fosse il Mossad Israele sarebbe già stato costretto ad usare le armi atomiche, grazie al Mossad che fa del bene a tutti noi.
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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » gio feb 11, 2021 8:17 am

Israele, Netanyahu in Tribunale, il suo processo va avanti
8 febbraio 2021

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... 82996.html

Benyamin Netanyahu ha lasciato da poco il Tribunale di Gerusalemme dove è in corso il processo a suo carico e dove l'udienza è ancora in svolgimento, mentre centinaia di manifestanti fuori dall'edificio protestano contro il premier.

Netanyahu si è trattenuto nell'aula per una ventina di minuti confermando ai giudici l'impostazione delle osservazioni avanzate per iscritto dalla sua difesa. In questa memoria ha sostenuto che le indagini su di lui sono state effettuate senza l'autorizzazione preventiva del Procuratore di stato Avichai Mandelblit.

E che quindi l'impianto accusatorio è improprio.

Ora la giuria - composta dai giudici Rivka Friedman-Feldman, Moshe Bar-Am e Oded Shaham - procederà al dibattimento con la pubblica accusa rappresentata dall'avvocato Liat Ben-Ari e con gli avvocati del premier. Nell'aula sono presenti gli altri due imputati con Netanyahu per le inchieste che lo riguardano. Si tratta di Arnon Mozes - editore di Yediot Ahronot coinvolto nel cosiddetto Caso 2000 - e Shaul Alovitch - proprietario del sito di informazioni Walla e all'epoca anche dirigente della compagnia di comunicazioni Bezeq - implicato nel Caso 4000.

Nell'udienza, i giudici devono anche decidere le prossime date del procedimento. Secondo gli esperti e i media, ci potrebbe essere uno slittamento delle udienze di circa un mese e forse anche dopo le elezioni politiche del 23 marzo.

A distanza di poco più di un mese dalle elezioni politiche del 23 marzo in cui i sondaggi lo danno per vincente, Benyamin Netanyahu torna di nuovo in tribunale. Una data - quella dell'8 febbraio - decisa lo scorso 13 gennaio quando il processo fu rinviato a causa delle restrizioni imposte dal terzo lockdown dichiarato dal governo per fronteggiare i nuovi picchi di infezione da Covid-19.

L'accusa che il premier affronta è quella di corruzione, frode e abuso di potere in due distinte inchieste sempre contestate da Netanyahu nel metodo e nei contenuti. A testimonianza dello scontro in atto sul giudizio, il presidente della Knesset - terza carica dello Stato - Yariv Levin (Likud) ha apertamente chiesto ai giudici di rinviare il procedimento a dopo il voto. "Altrimenti - ha detto rivolto ai 3 togati detentori del giudizio - darete una mano ad una palese ingerenza nelle elezioni"."Il sistema giudiziario - ha insistito - in un Paese democratico, a differenza di quanto avviene in uno non democratico, è attento a non immischiarsi in alcun modo nel processo elettorale".

A maggio scorso Netanyahu arrivò in Tribunale per la prima udienza accompagnato da una serie di ministri del suo governo e da sostenitori. In un discorso molto forte definì "fabbricate" le accuse. Questa volta, tuttavia, è stato lo stesso premier a bloccare l'intenzione dei suoi sostenitori di accompagnarlo. "Non venite domani", ha detto sottolineando che Israele è alle prese con una nuova variante del virus e che bisogna fare attenzione.

Le due inchieste che coinvolgono il premier sono: il 'Caso 2000' sulla trattativa con l'editore del popolare tabloid Yediot Ahronot per una copertura più favorevole. Il 'Caso 4000' concerne invece i rapporti col proprietario del sito di informazione Walla (un magnate che all'epoca controllava la compagnia telefonica Bezeq) sempre per un trattamento giornalistico a lui favorevole.

La nuova seduta del processo cade tuttavia in un momento che vede Netanyahu navigare a vele politiche spiegate. Il premier ha messo in campo una campagna vaccinale che porta Israele al primo posto nel mondo come persone immunizzate rispetto alla popolazione. Un successo che sicuramente avrà peso nel voto. Inoltre, il fronte del centro sinistra è largamente indietro con il fallimento dell'unione di alcune forze e la perdita secca di consenso nei confronti del leader di Blu Bianco Benny Gantz, rimasto imprigionato nell'alleanza di governo con Netanyahu. Secondo alcuni sondaggi, è addirittura in difficoltà nel superare la soglia di sbarramento elettorale del 3,25%.

Il vero pericolo per il premier viene dal centro destra, dall'avversario, ex Likud, Gideon Saar che ha fondato 'Nuova speranza' e sembra l'unico in grado di saldare un fronte anti Netanyahu, soprattutto con Naftali Bennett, della destra religiosa. Fatto sta che i sondaggi per ora danno il Likud tra i 26-29 seggi avanti a tutti gli altri: un dato difficilmente eliminabile.
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Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » dom mar 21, 2021 9:16 am

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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » dom mar 21, 2021 9:17 am

ISRAELE DI NUOVO ALLE URNE: TUTTI CONTRO NETANYAHU
Ugo Volli
18 marzo 2021

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 4767134857

Mancano ormai pochi giorni alle quarte elezioni anticipate che Israele celebra in poco meno di due anni, e molti parlano di fallimento per questa incapacità del sistema politico israeliano di costituire un governo stabile, soprattutto in un contesto di crisi sanitaria e anche politica, con la perdita del grande alleato Donald J. Trump
alla guida degli Stati Uniti e l’avvento di un’amministrazione americana che cerca di riprodurre le politiche di Barack Obama , pericolosissime per Israele.
È chiaro che il problema esiste, sottolineato anche dal fatto che i sondaggi prevedono l’ingresso alla prossima Knesset (il parlamento monocamerale israeliano) di ben tredici partiti: quattro più o meno di sinistra (nell’ordine di estremismo: Meretz, i laburisti di Avodà, Yesh Atid di Yair Lapid, Kachol Lavan di בני גנץ - Benny Gantz , orfano di Yaalon e Askenazi, suoi soci delle elezioni precedenti) due arabi (la “Lista unita”, che a sua volta raggruppa tre partiti e gli islamisti moderati di Raam), due partiti caratterizzati dalla loro identità religiosa (Shaas, sefardita, e Utj, askenazita); tre che dalla destra si sono separati contro Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו (Israel Beytenu di Libermnan, Yamima di Bennett e Tikva Chadasha di Saar) un partito maggioritario di destra (il Likud di Netanyahu) e il partito nazional religioso di Smotrich.
Spesso è difficile precisare le sfumature politiche che dividono questi schieramenti, mentre è evidente che essi sono modellati sulla personalità e le insofferenze dei loro leader. Una delle caratteristiche che mostrano lo scarso senso politico di questa molteplicità è un gesto comune a Liberman, Saar e probabilmente anche Bennett, in passato anche a Olmert, Tzipi Livni e perfino ad Ariel Sharon, cioè lo scivolamento a sinistra, quasi sempre fallimentare, degli scissionisti della destra. Il fatto è che le posizioni politiche della destra liberale e nazionale sono solidamente presidiate fin dai tempi di Begin dal Likud e non vi è un grande spazio alla sua destra. Per spodestarlo e in particolare eliminare politicamente Netanyahu, com’è l’obiettivo di tutti i leader che hanno subito la sua egemonia negli ultimi trent’anni, la mossa più semplice è cercare alleanze a sinistra.
La sinistra in Israele è da molti anni sotto il 30% dei voti; anche unendosi ai partiti antisionisti prevalentemente arabi, che è operazione certamente non indolore, arriva a stento al 40%. Per governare ha bisogno degli scissionisti della destra. La maggior parte del paese non si fida della sinistra, dopo i disastri combinati dalla sua trasformazione in “campo della pace”, ed è contenta invece dei successi ottenuti dalle politiche della destra, che hanno portato il paese al successo economico e tecnologico; e anche a uno status diplomatico e militare di grandissimo successo. Chi avrebbe sperato, quarant’anni fa, nel riconoscimento di Gerusalemme capitale, che oggi si diffonde progressivamente? O nella normalizzazione con i paesi arabi? O nell’esportazione di energia e di acqua - le più preziose risorse attuali? O in una delle economie più sane del pianeta, in uno sviluppo tecnologico straordinario e in una gestione esemplare dell’epidemia in corso? I meriti sono di molti, ma è chiaro che questo processo è stato promosso e guidato soprattutto da governi del Likud diretti da Netanyahu.
E però lo spazio politico disponibile è a sinistra, e soprattutto a sinistra sono schierati i media, gli intellettuali e gli apparati giuridico e militare dello stato, il cosiddetto Deep State, che ha fatto tutto quel che poteva per insidiare l’egemonia della destra. Di qui le quattro elezioni a fila, cui è stato tolto il compito naturale di decidere l’orientamento politico (cioè economico, militare, diplomatico) dello stato, che avrebbe di nuovo premiato facilmente il Likud, per trasformarle in referendum per la detronizzazione di Natanyahu. Per tre vole questa operazione non ha funzionato e non è detto che abbia successo neppure ora. Certamente però ha paralizzato l’azione dello stato, il che è molto preoccupante. Per esempio,di recente, il progetto di Netanyahu di usare il surplus dei vaccini per rifornire alcuni paesi amici, un gesto diplomatico da un lato, dall’altro profondamente coerente con l’azione umanitaria che Israele compie sempre in tutto il mondo in occasioni di disastri e catastrofi naturali, è stato bloccato per l’azione congiunta di Gantz, nella sua qualità di vice primo ministro e del procuratore generale Avichai Mandelblit, che oltre a essere il titolare dell’accusa contro Netanyahu comprende nella sua carica anche la “consulenza legale” sugli atti di governo, con la possibilità di bloccarli se gli paiono per qualche ragione scorretta. Sarebbe stato un altro successo di Netanyahu, e allora è meglio evitare una bella figura per Israele. Ancora più grave è il caso, che forse è stato un sabotaggio, del principe giordano bloccato alla frontiera, con il risultato di bloccare per rappresaglia la visita di Netanyahu negli emirati, che l’avrebbe forse portato a un incontro decisivo con l’uomo forte dell’Arabia saudita, Mohammed bin Salman. Ho spiegato la vicenda in questo articolo: https://www.shalom.it/.../giordania-ter ... odo-tra....
Nessuno conosce naturalmente il risultato elettorale, anche perché gli incerti sono tanti (i sondaggi dicono oltre il 30%) e almeno tre partiti navigano sul bordo del limite minimo per entrare alla Knesset, che è del 3,25% su base nazionale. Una cosa è certa: il sistema politico necessita di riforme che gli permettano di non incantarsi com’è accaduto in questi anni. Occorrerebbe introdurre qualche dispositivo elettorale che sottragga potere ai partiti e ai loro leader per restituire all’elettorato la decisione su chi deve governare; alcuni parlano di elementi di sistema maggioritario, altri di elezioni basate su collegi locali. E bisognerà rimettere ordine nell’equilibrio dei poteri dello stato, dove vi sono state numerose invasioni di campo da parte del giudiziario sul legislativo. Un esempio è stata la recente sentenza della corte suprema sulla validità ai fini della cittadinanza di conversioni non ortodosse fatte in Israele; altre hanno paralizzato certi aspetti della lotta al terrorismo, come l’abbattimento delle case dei terroristi colpevoli di crimini gravissimi. E sul prossimo governo incombe anche il problema della leva degli charedim, su cui la Corte ha emesso un ultimatum.
Senza entrare nel merito di questi problemi, è chiaro che si tratta di scelte politiche, che in democrazia spettano all’elettorato e ai suoi rappresentanti, non a giudici non eletti. È vero che questo spazio di decisione è stato conquistato dai giudici ai danni di un sistema politico paralizzato, che non aveva preso decisioni richieste dalla Corte; ma anche la scelta di non decidere su certi temi e di continuare con lo status quo è politica e legittima. E non bisogna dimenticare che l’apparato giudiziario e in particolare Mandelblit hanno una responsabilità molto grande nella paralisi attuale. Il procuratore generale per esempio sta perseguendo Netanyahu (almeno in due casi su tre) sulla base di una definizione di corruzione del tutto inedita e forzata: il primo ministro è stato incriminato per corruzione col sospetto di aver cercato di ottenere una posizione positiva di certi giornali, promettendo di assumere certe posizioni politiche. È un modo di far politica diffuso in tutte le democrazie occidentali, che da nessuna parte è considerato un reato. Vale la pena di notare che queste trattative, ammesse che ci siano state, non si sono tradotte in nessuna azione di governo, mentre gli avversari di Netanyahu, fra cui Lapid, che non sono mai stati sottoposti a indagine, hanno presentato a suo tempo alla Knesset esattamente la proposta di legge per cui si vuole incriminare Netanyahu, il quale vi si è opposto fino allo scioglimento della legislatura.
Insomma, è abbastanza chiaro che a Gerusalemme come in buona parte del mondo e anche in Italia la magistratura gioca un ruolo politico. Dirlo e ragionarci sopra non vuol dire amare di meno Israele, ma cercare di contribuire con la discussione al miglioramento della situazione esistente. Naturalmente le decisioni in queste materie spettano solo ai cittadini israeliani, ma anche gli ebrei della diaspora, proprio per amore di Israele, possono sperare che finalmente i nodi politici dello sato ebraico si sciolgano e la dialettica parlamentare rispecchi il chiaro orientamento dell’elettorato.



Ancora una volta, ma non è strano per me, mi trovo in disaccordo con il pensiero di Gad Lerner che trovate qui di seguito riportato.
Emanuel Segre Amar
20 marzo 2121

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 2062338214

Per coloro che non fossero interessati a leggerlo interamente, eccone alcune frasi:

“Fra classe e nazione vince sempre la nazione”. Già, anche nell’URSS, vero? Ma Lerner lo dimentica.
“internazionalismo planetario”: ma ci crede ancora?
“ONG militanti dei diritti umani come B’Tselem e Breaking the silence”: militanti dei diritti umani o falsificatori della realtà? Ne ho incontrato alcuni dirigenti, ma con loro il dialogo è impossibile perché non ammettono di sbagliare mai.
“La sinistra israeliana, disgustata dal movimento dei coloni, s’è autoimposta un limite nel contrastarli”: o non è piuttosto stata abbandonata dai suoi elettori?
“Il labour ha preferito occuparsi di altro”: come nascondere la sconfitta...
“La lista araba unita avrebbe in Ayman Odeh un leader aperto al dialogo”: sicuramente, pur di eliminare dalla faccia della terra l’odiato e inaccettabile stato degli ebrei.
Ma questa verità a Gad Lerner non andrà mai giù.

Una regola fatale avvilisce la sinistra mondiale fin dai tempi della Grande guerra: fra classe e nazione, vince sempre la nazione. Solo rare volte la fratellanza degli oppressi è riuscita a smentirla. La mancata soluzione dei conflitti fra gli Stati finisce per averla vinta sull'internazionalismo proletario. Un caso di scuola, a tal proposito, è la dissoluzione della sinistra israeliana. Merita di venir esaminato perché - nonostante la specificità del quadro mediorientale - presenta caratteristiche che potrebbero ripetersi altrove. Anche in casa nostra.

Martedì prossimo si voterà in Israele per la quarta volta in due anni. Il sistema della rappresentanza politica si è frantumato. Sempre meglio votare che non votare, ma non è certo un bel segnale per la tenuta della democrazia. Tanto più che neppure stavolta emerge un'alternativa all"uomo forte" Netanyahu che ha interrotto la legislatura per restare aggrappato al potere. Ebbene, quand'anche Netanyahu non ce la facesse (improbabile), l'unica cosa sicura è che la sinistra israeliana resterà tagliata fuori dai giochi. Ridotta all'irrilevanza dal perpetuarsi del conflitto con i palestinesi e con il mondo islamico circostante.
Il Labour, erede del partito socialista che riuniva i fondatori dello Stato d'Israele, da anni non raggiunge il 6% dei voti. Alla sua sinistra, il Meretz oscilla intorno alla soglia minima del 3,5%. Irrilevanti, appunto. Eppure in Israele non mancano un'opinione pubblica progressista, una gioventù libertaria, autorevoli voci intellettuali laiche e pacifiste conosciute in tutto il mondo, Ong militanti dei diritti umani come B'Tselem e Breaking the Silence attive nella solidarietà con i palestinesi. Di più: nei suoi primi decenni di vita, lo Stato ebraico era permeato da esperienze comunitarie di modello socialista: forte presenza pubblica in economia, la realtà dei kibbutz, un'organizzazione sindacale potente, la sobrietà imposta come stile di vita della classe dirigente.

Com'è potuto accadere che tutto ciò non trovi più traduzione in politica? Un peso decisivo, certo, l'hanno avuto le trasformazioni economiche e sociali, uno sviluppo capitalistico impetuoso, l'immigrazione dall'este europeo e dagli Usa, l'espansione del sionismo religioso messianico che ispira il movimento dei coloni nei territori occupati. Resta il fatto che la sinistra israeliana, intimorita e perfino disgustata da questi fenomeni, s'è autoimposta un limite nel contrastarli: non potendo condividere la visione aggressiva della sicurezza nazionale della destra (basta dialogo coi palestinesi, da tenere a bada grazie alla supremazia militare, economica e tecnologica), è come se la sinistra avesse rinunciato a un suo progetto alternativo di soluzione pacifica del conflitto.

Dopo aver subito il trauma dell'assassinio di Rabin nel 1995, il fallimento degli accordi di Oslo con l'Anp, la scia di sangue del terrorismo islamista, il Labour ha preferito occuparsi d'altro, lasciando alla destra di gestire con la sua brutalità i destini del paese. Perfino il ritiro israeliano da Gaza, ultimo tentativo di distensione con i palestinesi, fu attuato nel 2005 dal "falco" Sharon. Alle elezioni successive, nel 2009, i laburisti guidati da Ehud Barak precipitarono per la prima volta sotto il 10%. E da allora a sinistra è stato tutto un succedersi di leader sempre più deboli, caratterizzati da quell'unico tratto comune: occuparsi di politica interna, di questioni economiche e sociali, lasciando alla destra le scelte strategiche. L'ultimo episodio di questa parabola discendente è stato addirittura spettacolare. Prima delle elezioni del marzo 2020 il candidato laburista Amir Peretz si fece tagliare i celebri baffoni davanti alle telecamere. Spiegò che lo faceva perché si vedessero meglio le labbra mentre pronunciava le parole: "Non andrò mai al governo con Netanyahu". Difatti, poco dopo, ne divenne il ministro dell'Economia. Ma il Labour nel frattempo era ridotto a tre seggi alla Knesset. Adesso gli è subentrata la giornalista femminista Merav Michaeli, meno screditata di Peretz, la quale preannuncia di essere pronta perfino ad alleanze innaturali con l'estrema destra se ciò consentisse la formazione di una maggioranza contro Netanyahu. Tutto è possibile? No. Un'ipotesi la sinistra israeliana l'ha proprio esclusa: quella di formare un'alleanza elettorale con la lista araba progressista, che pure avrebbe in Ayman Odeh un leader aperto al dialogo. Fra classe e nazione, vince sempre la nazione. La barriera etnica resta insuperabile e la sinistra arretra fin quasi a dissolversi.
Certo, in Italia, come del resto in Francia e in altri Paesi europei, l'elettorato non vive il medesimo clima di guerra permanente. Ma la lezione israeliana ci ricorda che la sinistra può anche scomparire. Dalla politica, se non dalla società.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » mar giu 01, 2021 8:42 pm

Elezioni Israele, testa a testa negli exit poll. Likud primo partito, resta il rebus alleanze
Sharon Nizza
23 marzo 2021

https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 293529350/

TEL AVIV – Anche le quarte elezioni in due anni non sciolgono il rebus delle alleanze e alla chiusura delle urne alle 22 locali, gli exit poll rispecchiano quanto pronosticato dai sondaggi: la strada verso il 35mo governo israeliano è tutta in salita. Il blocco Netanyahu conta 54 seggi, i suoi rivali 59, ossia nessuno raggiunge i 61 seggi (su 120) necessari a formare una maggioranza.

Nel mezzo ci sono 8 seggi che potrebbero essere l’ago della bilancia per cercare di sbloccare una situazione di stallo politico che si protrae dal dicembre 2018. Sono quelli di Naftali Bennett, la destra nazionalista che ammicca al centro. Oltre agli ultraortodossi (15 seggi tra due partiti), alleati tradizionali di Netanyahu, e alla destra nazionalista religiosa (7 seggi), Bennett è l’unico che non ha posto il veto a un nuovo governo del contestato premier in carica.

Sarà forse una strada meno tortuosa di quella apertasi con le elezioni precedenti, avvenute solo il 2 marzo 2020, che all’epoca ha impiegato due mesi e mezzo per instaurare un instabile governo di unità nazionale, con l’alleanza tra i due Benjamin, Netanyahu e Gantz. E se il “referendum su Netanyahu” non ha raggiunto il quorum, rispetto alle tre precedenti tornate elettorali il premier in carica incassa comunque una vittoria, nonostante il processo penale che lo vede coinvolto: il Likud resta il primo partito con 31 seggi, e ben 13 seggi lo separano dal secondo partito, Yesh Atid di Yair Lapid, che è dato a 18.

Una variabile non da poco con cui dovrà fare i conti il presidente Rivlin nello stabilire a chi assegnare per primo l’incarico di formare un governo dopo le consultazioni che inizieranno solamente il 31 marzo. Gli altri leader della “coalizione del cambiamento” ottengono numeri a una cifra: Gideon Saar, che a dicembre, appena fuoriuscito dal Likud per formare “Nuova Speranza”, era dato come il rivale più temuto, guadagna solo 6 seggi, così come Avigdor Lieberman; l’unica leader donna, Merav Michaeli, riesce a far resuscitare lo storico partito laburista, che oggi viaggia però sui 7 seggi; la Lista Araba Unita (Lau) si posiziona su 9 seggi, penalizzata dai 15 della Knesset uscente da una rottura interna e da un forte calo nell’affluenza alle urne in particolare dell’elettorato arabo.

L’approccio pragmatico di Mansour Abbas, il parlamentare arabo che si era posto come la grande novità dell’ultima campagna elettorale affermando che avrebbe sostenuto “il governo che offrirà di più”, senza quindi escludere un governo di destra di Netanyahu non è stato premiato dagli elettori, e in tutti gli exit poll è l’unico partito tra quelli in bilico che non passa la soglia di sbarramento (3,25).

Gli altri partiti dati per tentennanti stralciano invece le previsioni negative date dai sondaggi: 6 seggi per la sinistra di Meretz, 7 per Blu Bianco di Gantz (in caduta libera dai 33 delle scorse elezioni, prima della spaccatura con Lapid), e 7 pure per la coalizione sionista-religiosa di Betzalel Smotrich – che Bennett ha fatto fuori dal suo partito per ripulirsi da figure più oltranziste nell’eventualità di un’alleanza con il centro-sinistra.

Con Smotrich entrano esponenti dell’estrema destra che si oppongono a qualsiasi concessione territoriale, alcuni apertamente anti diritti lgbt, che si riveleranno critici per la formazione di un governo Netanyahu, e saranno la spina nel fianco delle reminiscenze liberali di questa possibile coalizione.

Tutti questi numeri potrebbero subire stravolgimenti con il conteggio di mezzo milione di schede doppie (positivi, quarantenati, diplomatici, soldati, tutti quanti non abbiano votato presso il proprio seggio di residenza), il cui spoglio inizia solo a 24 ore dalla chiusura delle urne e si concluderà venerdì, in quanto richiede una procedura di verifica anti-brogli più complessa. Se gli exit poll saranno confermati, il puzzle delle alleanze potrebbe formare diversi scenari per raggiungere i 61 seggi necessari a creare una maggioranza.

Con il sostegno di Bennett e dei partiti religiosi, Netanyahu arriva esattamente a 61: la coalizione più a destra della storia del Paese, ma la più plausibile. Se Bennett rimanesse con gli alleati del “tutto tranne Bibi” si tratterebbe di una coalizione di ben 67 seggi tra destra nazionalista, partiti arabi e sinistra progressista, dalla tenuta quindi molto improbabile. Infine, se i partiti ultraortodossi, noti per le loro posizioni pragmatiche, portassero in dote i propri 15 seggi alla compagine avversa a Netanyahu – ottenendo molti benefit in cambio – i giochi potrebbero essere fatti, con una coalizione di 63. Non è uno scenario così astruso, considerato che Rabin nel ’92 riuscì a fare sedere i laicissimi di Meretz con i haredim di Shas. E tra le opzioni sul piatto, nessuno esclude che si possa andare a quinte elezioni.




Il perpetuarsi dell'impasse
Niram Ferretti
25 marzo 2021

http://www.linformale.eu/il-perpetuarsi-dellimpasse/

La quarta tornata elettorale in Israele nell’arco di due anni fotografa una immagine già vista.

Benjamin Netanyahu non ha il numero sufficiente di seggi, 61, per potere governare. Anche se Yamina, la formazione di Naftali Bennett, decidesse di appoggiare la coalizione da lui guidata, si arriverebbe a 59 seggi.

Ra’am la formazione araba di Mansour Abbas che si pone come alternativa alla Lista Araba Unita e ha conquistato 150,000 voti, aggiudicandosi 5 seggi alla Knesset, consentirebbe a Netanyahu di restare in sella se decidesse di appoggiarlo. La stessa situazione si era verificata con le elezioni precedenti, quando, a parti invertite, sembrò che la coalizione Blu e Bianca guidata da Benny Gantz potesse governare in virtù dell’appoggio esterno della Lista Araba. L’ipotesi naufragò in fretta e Gantz fece il salto della quaglia.

In campagna elettorale Netanyahu ha dichiarato più volte che non si sarebbe mai alleato con Ra’am, ma sapendo quale è il peso delle dichiarazioni pre-elettorali, soprattutto quando è in gioco, come nel caso di Netanyahu, la sopravvivenza politica, va messa in conto poi la necessità di “sofferti” ripensamenti. Primum vivere deinde philosophari.

Per ora i veti sono incrociati. Su Ra’am pesa l’anatema del partito che fa riferimento al sionismo religioso, e sul movimento sionista religioso pesa, a sua volta, il veto del partito arabo filiato dalla Fratellanza musulmana.

Ze’ev Elkin, ex ministro del Likud passato nelle file di Nuova Speranza, la formazione di Gideon Sa’ar, anch’egli ex Likud e da anni antagonista di Netanyahu, incapace fino ad oggi di sostituirlo a destra, ha dichiarato che il partito non entrerà nella coalizione dell’attuale premier, soprattutto se Ra’am dovesse appoggiarlo dall’esterno.

Lo scenario è mobile, ma non prospetta soluzioni a lungo termine, come non le aveva prospettate il governo precedente, quando Benny Gantz, nello sconcerto di chi lo aveva sostenuto, aveva finito per abbracciare Netanyahu.

I tentativi elettorali di scalzare Netanyahu dalla scena finora sono falliti. Lui continua a resistere, seppure incapace di ottenere quel consenso ampio che gli permetterebbe di governare serenamente. Allo stesso tempo, egli rappresenta l’impedimento principale a un reale rinnovamento politico del paese.

Israele resta dunque consegnato al perpetuarsi di una instabilità politica che sembra, al momento, non avere alcuno sbocco.




A qualsiasi prezzo?
Niram Ferretti
4 Aprile 2021

http://www.linformale.eu/a-qualsiasi-prezzo/

Dopo avere dichiarato pubblicamente che mai ci sarebbe stata una alleanza con il partito islamista Ra’am, che considerare questa ipotesi era a dir poco fantasioso, tutto è cambiato. Si può benedire questa alleanza, in fondo, con un partito antisionista, il cui leader Mansour Abbas, in passato ha elogiato Hamas, e che, per il suo conservatorismo religioso non dispiace agli haredim.

Occorre qui fermarsi e fare una semplice considerazione. La conservazione del potere, essendo l’obbiettivo primario, legittima qualsiasi mezzo. Ma bisogna dunque dichiarare, “Netanyahu a tutti i costi!” e “Netanyahu per sempre!”?, anche al prezzo di allearsi con chi vorrebbe la fine dello Stato ebraico e al suo posto vorrebbe insediare uno Stato binazionale? A questa infima sponda conduce la necessità del più longevo leader israeliano, di continuare a restare in sella?

Occorre qualcos’altro, la franchezza di dire che oggi, parafrasando Indro Montanelli, il macigno che paralizza la politica israeliana è Benjamin Netanyahu.

Se non fosse per lui, per le sue necessità, per avere trasformato il Likud in un partito personale, per avere sempre evitato di designare un successore, per avere azzoppato chiunque cercasse uno spazio proprio all’interno del partito, per avere trasformato le sue vicende giudiziare in un giudizio divino sulle sorti di Israele, (e chi scrive ciò ritiene che queste stesse vicende siano in buona parte state usate artatamente dalla sinistra per farlo fuori), oggi Israele non si troverebbe nello stallo in cui si trova e non dovrebbe affrontare l’potesi sconcertante che pur di formare un altro governo a guida Bibi, sia buona cosa allearsi con il nemico.

Il più lucido e schietto di tutti è stato Bezalel Smotrich, leader del partito del Sionismo Religioso, il quale ha dichiarato senza mezzi termini: “La destra costituisce la maggioranza del pubblico ebraico in Israele, ma non nella società israeliana allargata. La regola della destra si basa su un consenso fondamentale esistente sin dalla fondazione dello Stato, che i partiti arabi, fintanto che rifiutano Israele come Stato ebraico e sostengono il terrorismo dei suoi nemici, non possano essere un partner legittimo per formare un governo e partecipare nel processo decisionale nazionale”.

In altre parole, Smotrch ha ribadito quella conventio ad excludendum graniticamente necessaria per la salvaguardia di Israele, che, nelle ultime ore, è stata messa in mora in virtù del postualto, “Purchè Netanyahu continui a governare”.

Questo “purché” ritagliato su misura per un leader in affanno e pericolante, costerebbe il prezzo di un disastro politico senza precedenti, la legittimazione, a destra, di un partito islamista antisionista.

Legittimati da un governo di destra, gli arabi incasserebbero una rendita governativa che in futuro sarebbe perfetta da spendere a sinistra, dove già Yair Lapid cerca la sponda araba, come venne già cercata dalla coalizione Blu e Bianca, per detronizzare Netanyahu durante le elezioni precedenti. Ma è appunto del tutto naturale che la sinistra cerchi la sponda araba, non che questa stessa mossa venga fatta scelleratamente dal premier in carica e dalla parte della destra a lui più fedele, all’unico scopo di blindare l’esistente.



Il processo di Netanyahu è la fase più importante nella storia dello stato israele, ed è anche in un enorme vuoto la fase più costosa

https://www.facebook.com/Netanyahu/post ... 5841127076

Finanziariamente netto, il processo di Netanyahu costa ai cittadini Israele decine di miliardi di shekel in danni al mercato dei media. Dopo sei anni in cui un procuratore con eccesso di motivazione e il procuratore generale si aggrappa alla gola ha bloccato una necessaria riforma nel progetto internet veloce, il Ministero delle Comunicazioni ha concluso che la riforma Netanyahu ha firmato (al termine di una lunga catena di permessi professionali) in realtà è necessario e impegnato nella realtà e l'ha approvata pienamente.
Ma il processo di Netanyahu non è solo una pena costosa, ma è di fatto il punto di esplosione tra democrazia e clero - una guerra di autorità sulla questione se a Masouda e Boris debba essere data piena libertà di scelta o sia limitata ai limiti di il settore da determinare da 15 giudici che si sono nominati.
Se Benjamin Netanyahu fosse corrotto, non ci sarebbe bisogno di un processo. Al contrario, il procuratore terrebbe la gola del primo ministro per trasformarlo in un burattino su una corda. Abbastanza da vedere Benny Gantz usare la salute dei cittadini israele come ostaggio e una pressione per le nomine politiche per capire perché un caso aperto sia meglio di una vetrina.
Chi vomita le borse di Netanyahu non può fare a meno di evadere il paradosso - la borsa 2000 vince Netanyahahu nel caso 4000, la borsa 4000 vincerà Netanyahua in borsa 2000. borsa e retromarcia, un tentativo di trasformare la quantità in qualità nella speranza che qualcosa si attacchi comunque.
Nel caso in cui a Netanyahu fosse stato offerto l'intero gruppo Yediot come uno schiavo è stato ucciso ai suoi piedi, se solo accetta di distogliere lo sguardo mentre Yair Lapid e Tzipi Livani chiudono oggi l'israele del giornale, si è rifiutato. Eppure la Procura ha sporto denuncia contro di lui perché si è preso il tempo per registrare Noni Mosè che lo ricattava e cercava di offrire mazzetta.
Improvvisamente, nel caso del 4000, la procura che ha registrazioni dimostrando che Netanyahu ha rifiutato un accordo di corruzione molto migliore, ha concluso che allo stesso tempo ha accettato di dare quasi 4000 miliardi di NIS in cambio di alcuni articoli di pettegolezzi su il sito Walla. Che troll, che perdita di temperamento.
Dopo anni di indagini, estorsioni di testimoni, investigatori in conflitto di interessi e un sistema giudiziario che ha fatto una mano con i media per rovesciare il premier attraverso precedenti casi di crimini inesistenti nel libro di legge, il momento della verità ha Vieni e cosa abbiamo preso? Una frase di pettegolezzo basata sull'udito testimonianza di udito.
Questo lo chiamano default, il tentativo di Grotesky di sollevare 333 testimoni per spiegare che hanno sentito da qualcuno che ha sentito da qualcun altro che Netanyahu è corrotto. Forse se riescono ad annerire abbastanza prove, distorcere abbastanza trascrizioni e cancellare le registrazioni di merito, riusciranno a trasformare il lavoro di un primo ministro di routine in un reato penale abbastanza da razionalizzare l'impeachment di un primo ministro in carica.
Chiunque abbia gli occhi nella sua testa dovrebbe capire, Netanyahu è solo l'ultimo ostacolo sulla strada per completare il golpe legale che Aaron Barak ha iniziato. Se riusciranno ad impedirlo attraverso casi cuciti, passerà immediatamente una legislazione che farà in modo che tale glitch non ritorni nel prossimo futuro.
Nel prossimo anno, il governo sarà tenuto ad approvare un procuratore generale, un procuratore e un certo numero di giudici alla Corte Suprema La loro identità modellerà la natura dello stato israele almeno nel prossimo decennio.
Accanto alla guerra all'Iran nucleare, questa è indubbiamente la più importante guerra della destra nel prossimo anno. Se lo perdiamo per lotte di ego o ambizione personale, le conseguenze della sconfitta ci accompagneranno molti anni dopo che il governo dei 7 mandati di Bennett e Saar crolla.
Attenzione, siete stati avvisati.
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Re: Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » mar giu 01, 2021 8:43 pm

Israele e Medio Oriente - Il Corano può risolvere l’impasse politica di Israele?
Daniel Pipes
28 Aprile 2021

http://www.linformale.eu/il-corano-puo- ... i-israele/

Ecco una nuova idea per risolvere l’impasse politica sempre più difficile in cui si trova Israele.

Il nocciolo del problema risiede nel fatto che uno dei potenziali partner della coalizione di Benjamin Netanyahu, il Partito Sionista Religioso, guidato da Bezalel Smotrich, rifiuta di sostenerlo se Netanyahu si affidasse in qualche modo al Partito islamista Ra’am per arrivare a una maggioranza di 61 deputati alla Knesset, il Parlamento israeliano. Pertanto, senza il Partito Sionista Religioso e Ra’am nella sua coalizione, Netanyahu non può ottenere i 61 seggi. Da qui l’impasse.

Finora, il rifiuto di Smotrich del Ra’am è stato assoluto e incondizionato, basato sul fatto che Ra’am rifiuta l’esistenza stessa dello Stato ebraico di Israele. Citando la sua Carta del 2018, il partito definisce il sionismo un “progetto di occupazione razzista ”, rifiuta la fedeltà allo Stato ebraico e invoca il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi. Abbastanza ragionevolmente, Smotrich teme che legittimare Ra’am in qualsiasi modo porterà a una serie di conseguenze disastrose per Israele. Ed è risoluto su questo punto.

Bene. Ma non sarebbe più produttivo se Smotrich e il Partito Sionista Religioso stabilissero le condizioni in base alle quali accettano il sostegno di Ra’am. Cosa dovrebbe modificare Ra’am nella sua Carta? In che modo, il leader di Ra’am, Mansour Abbas, dovrebbe parlare in arabo di Israele ai suoi elettori? Presumendo implicitamente che un tale cambiamento sia fuori questione, il Partito Sionista Religioso finora non ha nemmeno lanciato l’idea, il che è abbastanza comprensibile, perché presumibilmente nessun islamista in nessuna parte del mondo, tanto meno tra i palestinesi, riconosce Israele.

Ma, di fatto, esistono le basi per un tale riconoscimento. Non nel tumulto della politica attuale, ma nel testo fondante della fede islamica, il Corano del settimo secolo. Che si creda o no, il Corano è un documento proto-sionista, con versetti che approvano la presenza ebraica in quella che chiama la Terra Santa ( al-ard al-muqaddasa ), il territorio che più o meno costituisce il moderno Stato di Israele.

Ad esempio, il Corano 5:20-21 cita Mosè che dice agli ebrei: “O popol mio, entrate nella Terra Santa che Allah vi ha destinata”. Allo stesso modo, il Corano 7:137 dichiara: “E abbiamo fatto, del popolo che era oppresso, l’erede degli Orienti e degli Occidenti [del fiume Giordano] della terra che abbiamo benedetta. Così, la bella promessa del tuo Signore si realizzò sui Figli di Israele”. Altri versetti coranici (2:40, 7:159-160, 17:100-104) confermano questo tema, come pure gli Hadith e gli studiosi coranici di spicco dell’era premoderna.

(E si noti che il Corano si riferisce agli ebrei chiamandoli “Figli di Israele”.)

Ricerche approfondite su tale questione sono state condotte da studiosi come Nissim Dana dell’Università di Ariel, autore del libro in ebraico pubblicato nel 2013, A chi appartiene questa terra? Riesame del Corano e delle fonti islamiche classiche sul popolo di Israele, sui suoi insegnamenti e sul suo legame con Gerusalemme. Da parte islamica, Muhammad Al-Hussaini ex ricercatore presso il Leo Baeck College, Khaleel Mohammed della San Diego State University e Mohammad Tawhidi dell’Islamic Association of South Australia sono stati tra i primi nel promuovere la causa. Nelle parole di Khaleel Mohammed, “il fatto che la terra inizialmente appartenesse agli ebrei è nella coscienza musulmana”. Un altro pensatore islamico, Abdul Hadi Palazzi, va dritto al punto e afferma che “Allah è un sionista”.

Il Partito Sionista Religioso potrebbe considerare l’idea di proporre a Ra’am che accetterà la sua partecipazione a un governo di coalizione, se Ra’am si allineasse con questi principi fondamentali della fede islamica. Per evitare ambiguità, il Partito Sionista Religioso dovrebbe elencare in modo dettagliato e con estrema precisione le sue condizioni.

Non mi illudo che Ra’am possa accettare questa offerta, ma vale la pena provare, e per due ragioni. In primo luogo, Mansour Abbas ha mostrato un pragmatismo e una flessibilità senza precedenti, prospettando la possibilità che Ra’am potrebbe accettare i termini del Partito Sionista Religioso, e portando così alla formazione di un governo e a un aumento incommensurabile e storico dell’importanza di Ra’am. In secondo luogo, anche se Ra’am rifiuta questa opportunità, una tale sfida lanciata pubblicamente da Smotrich ad Abbas introdurrebbe finalmente la visione proto-sionista in gran parte sconosciuta del Corano in un’ampia discussione generale in Israele, e non solo, e costituirebbe un passo proficuo sia per gli ebrei sia per i musulmani.

Pur avendo io affermato che Benjamin Netanyahu dovrebbe essere il prossimo presidente di Israele, e non il suo prossimo primo ministro, le implicazioni positive del riconoscimento dello Stato ebraico da parte dei musulmani israeliani hanno la priorità su tale questione politica.

In breve, da questo passo innovativo ci saranno solo esiti positivi per il progetto di vittoria di Israele.

Traduzione di Angelita La Spada

http://www.danielpipes.org/20357/can-th ... al-impasse




"Sembra che il crepuscolo sia ormai imminente sul regno di Melek Bibi, durato per ben dodici anni. Salvo colpi di scena, per Israele si apparecchierà un governo di larghe intese o di unità nazionale che dir si voglia, guidato inizialmente da quello che non fu mai il delfino di Netanyahu, Naftali Bennett".
Niram Ferretti
31 maggio 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Sembra che il crepuscolo sia ormai imminente sul regno di Melek Bibi, durato per ben dodici anni. Salvo colpi di scena, per Israele si apparecchierà un governo di larghe intese o di unità nazionale che dir si voglia, guidato inizialmente da quello che non fu mai il delfino di Netanyahu, Naftali Bennett. Il rotante Bennett, che fino a poche ore fa appariva ancora tentato dalle sirene della vecchia volpe della politica israeliana, sembra adesso definitivamente pronto ad allearsi con Yair Lapid per un governo in cui si alterneranno alla guida dello stato Ebraico.

Dopo quatto elezioni inconcludenti e con lo spettro di una quinta elezione che giungerebbe allo stesso esito, e in rinnovo la presidenza del paese, si è deciso di procedere a dare a Israele un governo apparentemente stabile ma in realtà fragile dove entreranno tutti o quasi tutti, da Yisrael Beytenu alla colazione Blu e Bianca, da Nuova Speranza, il partito di un altro delfino che mai ci fu, Gideon Sa’ar, ai laburisti e perfino al residuale Meretz, ma anche, necessariamente, Ra’am, il partito islamico che pure Netanyahu corteggiava per averlo da puntello in una sua eventuale coalizione. Tutti dentro per mettere fuori Netanyahu, il quale, al momento, non si dà ancora per vinto e spera in smottamenti e pentimenti.

Il trambusto avviene sullo sfondo di veleni, rancori, anatemi, accuse di tradimento, ed è la conseguenza anche, e forse soprattutto, di non avere mai pensato neanche per un attimo, da parte di Netanyahu, di sganciare il Likud dalla sua presa, di preparare una successione, all’insegna del siamo tutti necessari ma nessuno è indispensabile, sopraffatta invece dalla convinzione e poi dall’esigenza di non potere essere sostituito, di incarnare lo Stato e le sue sorti ultime.

Netanyahu è un formidabile animale politico, possiede carisma e astuzia, è stato il migliore e più indefesso promotore di Israele in giro per il mondo che il paese abbia mai avuto, è riuscito a costruire a livello personale e professionale una rete di rapporti internazionali che nessuno dei suoi antagonisti, racchiusi nel proprio angusto perimetro parrocchiale, può nemmeno sognarsi lontanamente, ma non ha saputo coltivare politicamente nessun altro se non se stesso. Questa mancanza di generosità e di lungimiranza oggi produce un assai probabile fine regno all’insegna del rumore e della furia e di ultimi disperati e futili tentativi di restare in sella. Il futuro appare in dotazione di mediocri comprimari, figuranti, rodomonti, ma anche, se così fosse, il re esautorato non lascerà la scena facilmente, non è nel suo carattere.


Daniel Emme Rossi
Purtroppo quello che sta accadendo in Israele è una macchia indelebile di un paese che ha fatto della democrazia il suo cavallo di battaglia , la coalizione è semplicemente un tutti contro bibi , come chiamereste un governo che non ha vinto le elezioni ? Come chiamereste un premier che prende il potere con 6 seggi ? Come chiamereste una coalizione che ha dentro i peggiori traditori del popolo d’Israele ...... io lo chiamo semplicemente colpo di stato. Le elezioni vengono sovvertite da chi le ha perse .





Sullo sfondo dei progressi nei negoziati per l'instaurazione del governo Bennet-Lapid sostenuto dai partiti arabi, un nuovo sondaggio solleva che Bennett agisce contro la maggioranza assoluta dei suoi elettori.
Amitay Ben Shlomo
1 giugno 2021

https://www.facebook.com/groups/5780011 ... 4505775219

Secondo il sondaggio, il 61.4 % degli elettori di destra ha risposto che non voterebbero per il partito se sapessero che Bennett avrebbe formato un governo con Lapid e i partiti arabi. Solo il 34.3 % ha risposto che avrebbero votato Bennett però.
(lavorato a maglia)
Ora conta il numero di posti che Bennett avrebbe ricevuto se non fosse stato per la frode del secolo
0.343 * 7 = 2.4 posti!
La conclusione che abbiamo un premier falso al 100 % su un pieno che ha un sostegno effettivo di 2.4 poltrone dal popolo solo!! Meno della percentuale di blocco ad un livello che anche un partito non merita! Ed è il pericoloso primo ministro della sinistra e dei terroristi che hanno già iniziato a essere nominato dai ministri.
Davvero, non ci sono più parole per definire il fenomeno, se la destra soccombe alla follia e non esce per scuotere il paese, non potrà lamentarsi della situazione inconcepibile e dei disastri che verranno dopo, non
Sembra che fino a quando la destra non sentirà sulla sua carne qualche evacuazione violenta, o l'Iran nucleare, o attacchi terroristici che potrebbero tornare, o un enorme silenzio sulle reti di stile legale a Bidenberg, semplicemente non si sveglierà.
E si anche mettere la testa sotto la sabbia e dire che andrà bene non aver paura di oscurare la minaccia basata sulle promesse di Bennett è un'opzione. D ' altronde le sue parole hanno un significato.





Israele, il salto nel buio del governo anti-Netanyahu: troppe distanze tra i leader. ‘Bibi’ perde l’immunità: lo attendono 3 processi
Lorenzo Forlani
31 maggio 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/0 ... i/6215638/

Dopo 12 anni consecutivi, l’era Netanyahu sembra in procinto di tramontare: dopo una serie di tentennamenti e dubbi – specie nelle ultime settimane, durante l’operazione militare a Gaza – il leader di Yamina (“A destra”), Naftali Bennett, ha annunciato la formazione di un governo di unità nazionale con Yair Lapid, leader di Yesh Atid (“c’è un futuro”), formazione di centro. È però difficile capire dove sia diretta Israele con questa nuova prospettiva istituzionale, difficile capire su quale programma possa basarsi un governo di questo tipo. Che già genera forti malumori interni, come mostrato dalla delusione del parlamentare di Yamina, Amichai Chikli, che ha accusato Bennett di “aver violato le sue promesse, cioè la base della democrazia” (in riferimento alla promessa di non allearsi con Lapid, ndr). Sono le stesse che gli sta rivolgendo anche Netanyahu che accusa i suoi avversari di “tradimento” del loro elettorato e di essere guidati unicamente dalla sete di potere.

Governo di “unità nazionale” è, infatti, un termine riduttivo: essenzialmente tenuto insieme dalla crescente e generale ostilità verso il premier uscente, l’esecutivo che secondo lo stesso Lapid “verrà formato in un paio di giorni” raggruppa soggetti che si trovano sui lati opposti dello spettro politico. Si va dal “partito dei coloni” dello stesso Bennett – noto per le sue posizioni razziste e apertamente contrarie alla formazione di un qualunque Stato palestinese, da prevenire anche con l’allargamento degli insediamenti – a Tikva Hadasha (“nuova speranza”) di Gideon Sa’ar, forse il leader di destra più “moderato”, ultimo fuoriuscito dal Likud di Netanyahu, fino a Yisrael Beitenu di Avigdor Liebermann – capofila della destra xenofoba nazionalista e laica, ostile al sionismo religioso -, passando per i centristi di Yesh Atid e di Kahol Lavan (“blu e bianco”), guidato da Benny Gantz, per finire ai partiti di sinistra di Meretz e del Labour. Ci sarebbe anche l’appoggio esterno della Lista Araba Unita (Ra’am), a lungo considerata dai partiti di destra – che gli imputano la scarsa lealtà verso Israele, sotto forma della loro contrarietà all’ultimo bombardamento su Gaza – la ragione di Bennett per non entrare a far parte di questa esile maggioranza (61 seggi su 120, al momento).

“A nessuno verrà chiesto di rinunciare alle proprie idee, ma tutti dovranno posticipare la realizzazione di alcuni dei loro sogni. Ci concentreremo sul possibile, anziché discutere dell’impossibile”, ha detto Bennett nella serata di domenica. Il leader di destra, se l’incontro di Lapid col presidente Reuven Rivlin andrà a buon fine, assumerà l’incarico di primo ministro fino al 2023, per poi cedere il posto allo stesso Lapid per gli altri due anni, in una logica di rotazione precedentemente pattuita.

Secondo Ynet news, nel possibile esecutivo – c’è tempo fino al 2 giugno, poi la Knesset dovrà trovare un consenso su un nuovo primo ministro, col rischio della quinta elezione in due anni – proprio il partito di Gideon Sa’ar potrebbe svolgere formalmente il complesso ruolo di “equilibratore” tra anime che per molti versi risultano incompatibili: a Tikva Hadasha potrebbero infatti andare ben 4 ministeri – Giustizia, Istruzione, Politiche Abitative e Turismo o Comunicazioni -, molti se si considera che il partito esprime sei parlamentari.

Sui ministeri del Turismo e delle Comunicazioni esistono degli attriti con la stessa Yesh Atid. Disaccordo anche tra Kahol Lavan e Yisrael Beitenu sull’assegnazione del ministero dell’Agricoltura, così come tra questi ultimi e Ayelet Shaked – ex ministro della Giustizia, nonché fondatore di Yamina con Bennett – sul delicato ministero dello Sviluppo del Negev e della Galilea.

Se nella prospettiva dei due partiti di sinistra rimasti in Israele – Meretz e Labor – la partecipazione a questo governo suona come un suicidio politico davanti agli occhi del proprio elettorato, non sembra serena nemmeno la posizione degli altri leader coinvolti, soprattutto a destra: Bennet è stato a lungo vicino a Netanyahu – ha chiamato suo figlio come il fratello del premier, ucciso a Entebbe, e lo ha appoggiato tutte le volte che è andato al governo – ma negli ultimi anni ha rivendicato il suo superamento a destra, soprattutto rispetto alle politiche legate agli insediamenti in Cisgiordania. Benny Gantz ha provato anche a governare con lo stesso Netanyahu lo scorso anno, un tentativo rivelatosi poco fruttuoso e naufragato definitivamente di fronte al rifiuto di Netanyahu di approvare il bilancio per il primo biennio. Avigdor Liebermann ha invece sconfessato la sua posizione di incompatibilità con i partiti della destra religiosa come Tkuma.

Come ricorda il giornalista Barak Ravid, se questo esecutivo dovesse essere formato, si tratterebbe del più eterogeneo della storia di Israele, nonché, di riflesso, il più conflittuale: conflitti tra destra religiosa e destra liberista sulla politica economica, conflitti tra nazionalisti religiosi e laici sulle politiche sociali, sulla gestione del post-Covid e sui “confini” della sovranità israeliana, conflitti sulla gestione del dossier Gaza e sugli insediamenti. Poco dibattuta è poi la relazione tra Bennett e il nuovo presidente americano Joe Biden, che vanta rapporti personali di lungo corso con Netanyahu.

Se i suoi avversari sembrano mossi unicamente dal desiderio di porre fine al suo “regno” di dodici anni, lo stesso Netanyahu, dopo aver dilapidato le intese che aveva maturato in questi anni soprattutto alla sua “destra”, sollecitando in particolare i partiti ultraortodossi e altri che oggi gli si sono rivoltati contro, appare motivato ormai soprattutto dal desiderio, o meglio dalla necessità, di evitare i tre processi per corruzione e frode che pendono a suo carico dal 2016 e che secondo la legge israeliana si scontrano con l’immunità solo se il primo ministro è in carica.

Netanyahu sembra aver “perso il controllo della propria creatura razzista”, scriveva un mese fa su Haaretz Anshel Pfeffer, in riferimento alla vivacità e al rinnovato protagonismo dei partiti estremisti destinati a partecipare al prossimo esecutivo. Per Israele si apre una stagione ignota, non solo in relazione all’indirizzo di un governo così eterogeneo ma soprattutto per quel che riguarda il ricollocamento dell’elettorato del Likud, che con il tramonto di Netanyahu – negli ultimi anni su posizioni sempre più oltranziste rispetto a dieci anni prima – potrebbe spostarsi ancora più a destra, polarizzando il quadro sia interno che legato alla questione palestinese. Mai così marginale per l’arena politica israeliana.




Voglio spiegare di nuovo, perché ci sono alcuni che sono ancora confusi, qual è il punto peggiore e più imperdonabile del governo di sinistra che Bennett e Shaked e Saar Valkin si stanno preparando a realizzare ora con i nemici a sostegno dei terroristi del male.
1 giugno 2021

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Fanno molte cose brutte. Davvero un "reato trascinamento". Spaccano a sinistra, rubano le elezioni e gli elettori e infrangono tutte le promesse, mentono, rompono il campo nazionale, politica corrotta, prendono in giro la democrazia e spaccano quel poco di fiducia pubblica che ancora è rimasto esso, e sempre di più.
Ma tutti questi sono piccoli soldi rispetto al riciclaggio di nemici che sostengono il terrorismo e diventano il partner su cui si appoggia il governo.
Questo è l'evento strategico e tragico della notizia di questo nuovo governo e dobbiamo suonare tutti i campanelli d'allarme possibili.
Sbiancare/pulire/sdoganare i partiti arabi e farli diventare un legittimo partner del governo è un passo irreversibile, da cui non sarà possibile tornare e che cambierà la mappa politica in Israele, cambierà il carattere del paese e potrebbe gettare un'ombra pesante sulla sua identità ebraica. Mille volte peggio di dieci sistemi elettorali in più.
I partiti arabi cresceranno drasticamente e da qui in poi saranno una bilancia che determinerà come sarà il governo nello stato israele e quale sarà la sua politica. Questo ci accompagnerà per i prossimi decenni. È probabile che gli arabi di solito si uniscano alla sinistra e gli passino il potere per molti anni, e anche se a volte vanno con la destra (per lo più da considerazioni interne e per l'inimicizia interna tra loro e la tensione tra il male e il comune) , la destra dipenderà da loro e il carattere del paese cambierà dalla fine alla fine. Il bordo. Sarà molto difficile creare un governo di destra con una vera politica di destra.
Anche dopo che si è deciso di concedere agli arabi il voto a destra della Knesset, era chiaro che la Knesset - sì, al governo - no. Era chiaro che la politica e il processo decisionale pratico a livello di gestione statale non possono essere fatti da chi pagaia nella la direzione opposta rispetto a quanto siamo in corso.
Noi, ebrei di destra e di sinistra, vogliamo promuovere lo stato di Israele come stato ebraico. Rafforzalo, sviluppalo, costruiscilo. Possiamo essere molto sgradevoli sul modo di farlo e discuterne in modo concreto, ma l'obiettivo di tutti noi è condiviso. Né i Druze sono infedeli in questa causa e possono quindi essere un partner legittimo.
Ma l'obiettivo dei partiti arabi è completamente opposto. Privano l'esistenza dell'israele come stato ebraico, e come tale vogliono nuocere, indebolirlo e anche eliminarlo. A questo punto di provenienza non c'è differenza tra la lista comune e la RAM e anche Mansour Abbas. Fino a questo momento non è in grado di togliersi di bocca le parole stato ebraico. La differenza tra loro è nelle tattiche. In arrivo. Questa è una polemica storica tattica tra le diverse correnti islamiche ma non cambia l'essenza. Tutti abbiamo ricevuto un ricordo di questo nei disturbi del nemico arabo in Israele nelle ultime settimane. È sorprendente che anche ora ci siano altri ciechi che si rifiutano di vederlo.
Quando Abbas afferma di essere interessato ′′ solo a conquiste civili ′′ per l'israele arabo è come diciamo che siamo interessati solo alle questioni civili nell'insediamento in Giudea e Samaria. D ' altronde quello che chiediamo è solo la serie di piani, acqua, elettricità, strade, ecc. Non c'è nessuno al mondo che non capisca le conseguenze nazionali del ′′ regolamento civile ′′ del giovane insediamento. E allo stesso modo non c'è nessuno che non capisca le conseguenze nazionali del ′′ regolamento civile ′′ e dello sbiancamento dei beduini nel Negev, della costruzione illegale degli arabi al nord (abolendo la legge Kamenitz), e altro ancora. Abbas tra l'altro lo dice con la bocca piena di lingua araba. In ebraico conta sul fatto che siamo tutti idioti e questo è ancora prima del loro sostegno al terrorismo e hanno definito le rivolte arabe nelle ultime settimane come una legittima protesta.
Bennett e Shaked e Saar ed Elkin lo sanno bene. Non per niente hanno attaccato Netanyahu per i suoi legami con Abbas prima delle elezioni e hanno ripetutamente promesso di non formare un governo con lui. Ora stanno vendendo lo stato di israele con lo stufato di lenticchie per guadagni politici.
Non so se avete capito quanto sia drammatico. L'intero carattere dello stato ebraico sta per cambiare, Dio non voglia, verso lo stato di tutti i suoi cittadini. Guarda cosa fa la dipendenza dei governi in Europa dagli elettori musulmani per le loro posizioni contro israele in quasi tutte le aree. Questo è quello che succederà anche ai nostri governi da qui e dopo. Pensate a cosa farà alla politica sull'immigrazione e alla maggioranza ebraica del paese. Cosa farà alla legge sulla progettazione e costruzione e alla mappa dell'insediamento e del sionismo. Cosa farà questo all'identità ebraica? Cosa farà il trasferimento di potere alla sinistra al mondo della Torah, alla famiglia ebrea, e ancora e ancora. D'ora in poi i partiti arabi saranno un partner legittimo e anche tale che saràdifficile assemblare un governo senza di lui. Sarà molto difficile, fino all'impossibile, riavvolgere questa ruota.

Ora guarda, non ho difficoltà su persone esiliate come Gafni ed Eichler. Purtroppo non vivono ancora i concetti di nazionalismo e sovranità dello stato israele come noi. Per loro sono ancora in esilio e se Fritz si chiama Ivan o Abbas non importa. È doloroso e triste e ingrato nei confronti del Signore dei mondi, ma sappiamo che questa debolezza e benedetta da Dio stanno crescendo nel pubblico ortodosso comprendono questo errore e queste posizioni di Gafni ed Eichler non le rappresentano da tempo.
Ma i membri della Knesset di Yamina e Nuova Speranza lo capiscono benissimo. Non festeggiano. Si stanno davvero arrendendo, e non li perdonerà.
Naftali, Ayelet, Matan, Nir, Avir ed Eidit, Gideon, Yifat, Zeev, Yoaz Sharan e mio figlio. Ognuno a suo nome e foto. C ' è il Signore dei Mondi e c'è la storia. E ti giudicheranno.
Sarete ricordati per un'intervista mondiale nella pagina nera della storia del popolo ebraico e dello stato di Israele come coloro che hanno venduto l'anima e i valori e hanno sacrificato il futuro dello stato ebraico sull'altare del vostro odio e dei vostri interessi politici personali ..

E sì, Netanyahu ha anche un grande responsabile donatore. I risultati della sua condotta dimostrano l'articolo di Hazel "Pensieri duri da offesa". I suoi pensieri offensivi hanno sbiancato l'offesa dura di Bennett, Shaked e Saar Elkin e dei loro amici.
E ancora, lui ha parlato e loro si. E per questo non dimenticheremo e non perdoneremo.
E una parola per coloro le cui dure parole descrivo le azioni di Bennett Shaked e i loro partner si stanno agitando nelle orecchie. Hai ragione. È dura e non ci siamo abituati. Credetemi non mi piace nemmeno. Mi sono divertito molto di più a lavorare insieme ed essere amici. Ma non sono parole dure, sono azioni dure. Le parole le descrivono solo. Ecco come si sta in ebraico. Non conosco un modo per descrivere i fatti duri con parole bellissime.
E vorrei che fossero sobri nel momento della verità. Prenderanno il cervello, capiranno, e avranno il coraggio di fermarsi un attimo prima del baratro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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