Israele una buona democrazia e una grande civiltà

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Messaggioda Berto » sab nov 30, 2019 5:28 pm

Trump e Netanyahu: entrambi indagati per reati immaginari
30 novembre 2019

http://www.linformale.eu/trump-e-netany ... GEANZjYuXc

Nelle indagini condotte dal Congresso degli Stati Uniti contro il presidente americano Donald J. Trump e in quelle contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che è stato appena incriminato, si possono ravvisare tanto delle sorprendenti somiglianze quanto delle differenze importanti.

La somiglianza più eclatante è che entrambi sono sotto inchiesta per azioni che gli organi legislativi di entrambi i Paesi non considerano esplicitamente criminose. Inoltre, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi Paese governato in base al principio dello Stato di diritto avrebbe mai emanato una legge generale che criminalizza tale condotta. Le indagini condotte su questi due controversi leader politici si basano sull’utilizzo di leggi generali che mai prima d’ora erano state considerate applicabili ai casi in esame e si fondano sulla possibilità di estenderle per attaccare specifiche figure politiche.

Netanyahu è stato incriminato per corruzione in quanto avrebbe accettato di aiutare una società di telecomunicazioni in cambio di una copertura mediatica più favorevole e/o meno negativa. Sussistono punti controversi in merito ai fatti, ma anche se sono visti in un’ottica meno favorevole a Netanyahu, essi non costituiscono un reato di corruzione.

Né la Knesset avrebbe mai emanato una legge che consideri reato per un parlamentare esprimere un voto al fine di ottenere una copertura mediatica favorevole. Se una tale legge fosse mai approvata, tutti i membri della Knesset sarebbero in prigione. I politici desiderano sempre avere una copertura mediatica favorevole e molti votano in questa prospettiva. Alcuni addirittura negoziano una buona copertura prima del voto. Ecco perché hanno addetti stampa e media consultant.

Né si potrebbe abbozzare una legge adeguata per coprire la presunta condotta di Netanyahu, ma non quella di altri membri della Knesset che hanno barattato i loro voti in cambio di una buona immagine mediatica. Per tale motivo, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi paese governato in base al principio dello Stato di diritto ha mai fatto sì che una copertura mediatica favorevole diventasse il quid o quel qualcosa necessario per infliggere una condanna per corruzione, e pertanto l’incriminazione per corruzione nei confronti di Netanyahu non dovrebbe essere confermata dai tribunali.

Confermare una condanna basata su una copertura mediatica positiva metterebbe a repentaglio tanto la libertà di stampa quanto i processi di governance democratica. I pubblici ministeri dovrebbero evitare le interazioni tra politici e media, tranne nei casi specificamente concepiti come reati, e non in presenza di opinabili peccati politici, e nessuno dovrebbe essere perseguito per azioni che non sono mai state considerate criminose, né lo sarebbero mai, da parte dell’organo legislativo.

Anche il presidente Trump è sotto inchiesta per presunta corruzione. Inizialmente, i democratici pensavano di poterlo mettere in stato di accusa per comportamento non criminale, come una presunta cattiva amministrazione, un abuso di ufficio o una condotta immorale. Credo che ora siano stati convinti da me e da altri che nessun impeachment sarebbe costituzionale se il presidente non fosse ritenuto colpevole di reati specificati nella Costituzione, vale a dire “tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti”. Pertanto, la leadership democratica ha ora optato per la corruzione, intesa come un crimine per cui si può mettere sotto accusa il presidente Trump. Il problema di questo approccio – simile a quello dell’approccio israeliano contro Netanyahu – è che non è affatto un crimine per un presidente utilizzare il suo potere in politica estera per ottenere vantaggi politici, tanto per il suo partito quanto personali. Si provi a immaginare il Congresso che cerca di approvare una legge che definisce ciò che costituirebbe un uso criminoso di potere in politica estera, da non confondersi con un abuso politico o morale.

I presidenti hanno perfino intrapreso azioni militari per trarre vantaggi politici. Hanno fornito aiuto a Paesi stranieri per farsi eleggere. Hanno nominato ambasciatori non per la loro competenza, ma per contributi politici dati in passato e previsti nel futuro. Nessuna di tali azioni è stata mai considerata criminosa e il Congresso non si sarebbe mai sognato di farlo.

Il Congresso penserebbe a un crimine specifico basato sulla ricerca di un vantaggio politico anziché sul vantaggio politico di parte? Ne dubito. Ma anche se avesse potuto farlo, non l’ha fatto. E se non lo ha fatto, né il Congresso né i pubblici ministeri possono mirare alla criminalizzazione dell’esercizio del potere in politica estera da parte di un presidente perché loro non gradiscono il modo in cui lo ha usato o anche se ne ha abusato.

L’aspetto fondamentale dello Stato di diritto è che nessuno può essere indagato, perseguito o messo sotto accusa, a meno che la sua condotta non abbia violato divieti preesistenti e inequivocabili. E nemmeno il Congresso e i pubblici ministeri possono farla franca, perché anche loro non sono al di sopra della legge.

E ora passiamo alle differenze. Israele è una democrazia parlamentare in cui il primo ministro può essere rimosso con un semplice voto di sfiducia. Non è richiesto né è necessario un meccanismo di impeachment. Gli Stati Uniti, d’altra parte, sono una Repubblica dove esiste la separazione dei poteri e dove vige un sistema di controllo reciproco e di equilibrio. I Padri fondatori, guidati da James Madison, considerarono il potere di impeachment come un elemento fondamentale per preservare la nostra Repubblica e non trasformarla in una democrazia parlamentare. È per questo motivo che respinsero una proposta che avrebbe consentito l’impeachment sulla base della “cattiva amministrazione”. Secondo Madison, questi criteri aperti si sarebbero tradotti in una situazione in cui il presidente avrebbe esercitato le sue funzioni seguendo le volontà del Congresso. Ecco perché Madison insistette sulla necessità di fornire criteri specifici all’impeachment che i Padri fondatori finirono per accettare.

Sebbene le differenze tra Israele e gli Stati Uniti siano considerevoli, questi due Paesi sono accomunati dallo Stato di diritto. Detto ciò, in uno Stato di diritto, correttamente applicato, né Netanyahu né Trump dovrebbero essere ritenuti colpevoli di corruzione.

Traduzione di Angelita La Spada

https://www.gatestoneinstitute.org/1521 ... indictment
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven dic 06, 2019 8:05 am

Tutto quello che non torna nel processo a Netanyahu
Michael Sfaradi
5 dicembre 2019

https://www.nicolaporro.it/tutto-quello ... 1N18IW1raY

Al Professor Moshe Landau, che fu il Presidente del Tribunale Distrettuale di Gerusalemme che nel 1961 processò e condannò a morte Adolf Eichmann, “L’Architetto della Shoà”, l’esecutore dei piani nazisti di sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, servirono centocinquanta udienze e bastarono centododici testimoni per poter attaccare il gerarca nazista alla forca. Un dato importante che va tenuto a mente è che per ascoltare i centododici testimoni servirono quattro mesi e centocinquanta udienze. Una parentesi storica che qualcuno, riprendendo le parole di Hannah Arendt, ancora chiama “La banalità del male”, anche se secondo chi scrive in quella parentesi di banale non ci fu assolutamente nulla.

Vi chiederete come mai vado a scavare nella storia per descrivere un fatto di attualità, e la risposta è semplice: nei rinvii a giudizio nei confronti di Benjamin Netanyahu, Primo Ministro dello Stato di Israele, che Avichai Mandelblit, Procuratore Generale di Israele, ha presentato al Presidente della Knesset, il Parlamento israeliano, oltre all’informativa che il processo contro il Premier, sempre se si arriverà al processo, verrà celebrato davanti a una corte con tre giudici al Tribunale Distrettuale di Gerusalemme, lo stesso di Eichmann, c’è una lista di trecentotrentatré testimoni, sì, avete letto bene, duecentoventuno testimoni in più di quelli che servirono per condannare a morte il mostro nazista. Scusatemi se insisto, ma solo questo dato dovrebbe far riflettere: non è che per caso qualcuno ieri si è alzato male e ha fatto la cacca fuori dal vaso? Il dubbio nasce spontaneo.

Se per ascoltare centododici testimoni ci vollero circa quattro mesi, quanto tempo durerà il Processo dello Stato di Israele contro Benjamin Netanyahu? Per quanto tempo ancora il Primo Ministro che ha fatto ottenere a Israele i più grandi successi in tutti i campi e che da Ministro del Tesoro del Governo Sharon l’ha protetta dall’onda anomala della crisi finanziaria dovuta ai fallimenti delle banche d’affari americane, dovrà essere messo alla berlina davanti al mondo intero? Sono anni che Avichai Mandelblit indaga e che dal suo ufficio, a scadenza, escono informazioni in base alle quali la quasi totalità dei giornalisti israeliani si è guadagnato lo stipendio scrivendo articoli di inchiesta sulle candele, sui vuoti delle bottiglie di vino e anche sul gelato al pistacchio, quello che piace a Netanyahu, acquistato con i fondi della residenza del Primo Ministro.

Come se il Premier di una nazione come Israele non riceva in continuazione ambasciatori e politici stranieri ai quali deve fare gli onori di casa e che quando lo fa deve farlo al meglio perché la sua immagine è l’immagine dello Stato. Grazie a Dio sono finiti i tempi in cui Golda Meir riceveva il Segretario di Stato americano nella cucina del suo appartamento. All’epoca, il periodo in cui Israele stava nascendo e crescendo, poteva anche avere un senso, ma al giorno d’oggi, essendo diventati negli ultimi anni una delle nazioni più ricche e tecnicamente sviluppate al mondo, anche e soprattutto grazie al lavoro che proprio Netanyahu e il suo governo hanno fatto, mostrare ciò che siamo diventati non è solo necessario, ma obbligatorio.

Per certi giornalisti anti Netanyahu però tutto può essere usato pur di creare un’atmosfera negativa in vista del processo, gli stessi giornalisti che ebbero poco o nulla da ridire sulle spese, sempre di denaro pubblico, sostenute per la festa dei novanta anni di Shimon Peres o per quella del congedo del Generale Ganz, lo stesso che dopo vari fallimenti in affari privati vuole prendere, senza alcuna esperienza politica o parlamentare, la guida del paese. A sinistra non si bada a spese, a destra, invece, si ruba o si è corrotti, questo secondo una logica, anzi un canovaccio, che vediamo ripetersi in varie parti del mondo dove ci sono politici che non si toccano, a sinistra, e altri che sono fascisti o nazisti, ladri o corrotti, a destra. È notizia di ieri, ad esempio, che Avichai Mandelblit, sì, sempre lui, ha presentato al Presidente della Knesset, la richiesta per procedere a indagini anche contro Yisrael Katz, Ministro degli Esteri e uomo forte del Likud, lo stesso partito di Netanyahu.

Questa richiesta arriva dopo la chiusura di altre due indagini che erano state aperte contro Katz e che, a distanza di anni, sono state chiuse con un nulla di fatto. Yisrael Katz è fra i dirigenti del Likud quello che con tutta probabilità prenderebbe il posto di Netanyahu nel caso di una sua condanna, per cui avere anche il “delfino” nel mirino e non permettergli di dormire tranquillo, secondo qualcuno è cosa buona e giusta. Visto che le prime due inchieste sono finite in un nulla di fatto per mancanza di tutto, non solo di prove, in condizioni normali inchieste di quel tipo non sarebbero mai state aperte, si è decisa un’indagine per evasione fiscale. Perché un controllo del fisco prende molto tempo e non si nega mai a nessuno.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven dic 27, 2019 8:38 am

Israele, Netanyahu si proclama vincitore alle primarie del Likud
27 dicembre 2019

https://www.corriere.it/esteri/19_dicem ... 69d6.shtml

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu si è dichiarato vincitore delle primarie del suo partito, il Likud, sconfiggendo il rivale Gideon Saar. Lo riferiscono i media israeliani. Il voto si è concluso giovedì alle ore 23 locali, le 22 in Italia. La percentuale di voto è stata del 49,3 per cento degli oltre 100 mila aventi diritto. «Una grandissima vittoria! Grazie ai membri del Likud per la loro fiducia, il sostegno e l’amore», ha twittato Netanyahu un’ora dopo la chiusura delle votazioni. I primi risultati ufficiosi indicano che il premier ha vinto le primarie con un consistente margine su Saar. I risultati ufficiali arriveranno solo venerdì mattina. Netanyahu guiderà quindi il partito di destra israeliano alle elezioni politiche di marzo.


Israele, Benjamin Netanyahu travolge Gideon Saar nelle primarie del Likud: "Una vittoria enorme"
27 dicembre 2019

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... refresh_ce

Neanche le accuse di corruzione scalfiscono la leadership del primo ministro israeliano più longevo della storia, Benjamin Netanyahu, che rafforza ulteriormente la sua presa sul partito Likud, in vista delle nuove elezioni politiche di marzo: con il 72,5% delle preferenze il 70enne capo di governo ha vinto le primarie del blocco di destra, travolgendo lo sfidante Gideon Saar, fermo al 27,5%.

Ad annunciare ufficialmente il risultato del voto è stato lo stesso Likud.

Netanhyahu: "Una vittoria enorme"
"Una vittoria enorme", ha commentato su Twitter Netanyahu, "grazie ai membri del per la fiducia, il sostegno e l'amore". "Guidero' il Likud verso una grande vittoria alle prossime elezioni e continueremo a guidare Israele verso successi senza precedenti", si è detto convinto Netanyahu, alle prese non solo con le terze elezioni generali in 12 mesi, ma anche con l'incriminazione per corruzione.

Saar si congratula e garantisce appoggio
L'ex ministro degli Interni e dell'Istruzione Gideon Saar, ha riconosciuto la sconfitta e annunciato comunque l'appoggio a Netanyahu.

Gli exit poll avevano previsto il trionfo di Netanyahu. In Israele le legislative sono in programma per il 2 marzo.

Liebermann: "Niente di nuovo sotto il sole"
"Niente di nuovo sotto al sole. Le primarie del Likud non hanno cambiato niente", è il primo commento di Avigdor Lieberman, leader del partito laico di destra Israel Beitenu, che per due volte quest'anno si e' rifiutato di entrare in una coalizione guidata da Netanyahu. "Oggi e' chiaro più che mai che né Benyamin Netanyahu né Benny Gantz (leader del partito centrista blu bianco, ndr) sono interessati a formare un governo unitario liberale. Puntano entrambi ad un loro governo ristretto, col sostegno dei partiti ortodossi".

Da parte sua il presidente della Knesset Yoel Edelstein (Likud) - che non si era schierato né con Netanyahu nè con Saar - ha espresso la convinzione che dopo le primarie il partito saprà darsi la coesione necessaria per conseguire una netta vittoria nelle prossime elezioni politiche.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 10:09 pm

In Israele si avvicinano le terze elezioni in un anno
IC7 - Il commento di Enrico Fubini
Dal 6 all'11 gennaio 2020

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 4.facebook

Saranno il 2 marzo le terze elezioni nel giro di un anno. È l’unica cosa su cui i partiti si sono trovati d’accordo in Israele. In un regime democratico possono succedere tante cose e non tutte auspicabili, anche tre elezioni in meno di un anno! Ma se si leggono i giornali in questi giorni di crisi in cui sino all’ultimo minuto si sperava ancora in un miracolo e in un’intesa tra i due maggiori partiti che avrebbero dovuto essere i maggiori responsabili per trovare un accordo per il nuovo governo, non si può non rimanere stupiti per ciò che vi è di anomalo in questo terzo giro elettorale, che probabilmente rivelerà nei suoi risultati le stesse difficoltà delle precedenti tornate. Quando inizia la campagna elettorale in un paese democratico i partiti fanno la gara a chi è in grado di proporre le migliori soluzioni per risolvere i tanti problemi che presenta il loro paese. Israele non è da meno, o non dovrebbe essere da meno in questa gara: i problemi non mancano e la sua situazione richiede soluzioni non solo per l’ordinaria amministrazione ma anche, come sempre, per problemi drammatici per la sua sopravvivenza. In Israele vi sono problemi che riguardano la politica economica del governo, le forti diseguaglianze sociali per un paese tutto sommato ricco, i grossi divari tra stipendi forse troppo alti e stipendi troppo bassi, la scuola, gli ospedali, la mancanza di medici, la circolazione automobilistica assolutamente caotica nelle grandi città, come Gerusalemme, Tel Aviv o Haifa, i prezzi troppo alti delle case, e tanti altri problemi ancora che tutti conoscono; insomma i problemi che affliggono oggi tutti i paesi occidentali.

Ma Israele ha ancora molti altri problemi di natura ben più drammatica quali la difesa dei suoi confini, i missili che piovono sia a Sud che a Nord, le minacce alla sua esistenza, i pochi amici e i tanti nemici da cui difendersi e i quasi nemici tra cui deve abilmente barcamenarsi per poter sopravvivere. In altre parole Israele ha urgentemente bisogno di un governo forte ed efficiente per far fronte a questi problemi vitali che non tutti i paesi occidentali, per fortuna loro, devono fronteggiare. Scorrendo le pagine dei giornali in questi giorni in cui si è ormai aperta la campagna elettorale ci si aspetterebbe di trovare ampi servizi su come i vari candidati e i vari partiti intendono affrontare tutti queste numerose e pressanti sfide interne ed esterne. Ma ben raramente si trovano accenni che lascino anche solo intravvedere quale potrebbe essere la politica di chi vincerà le elezioni.

La maggior parte degli articoli che appaiono sui giornali di questi tempi sono esclusivamente centrati sulla persona di Netanyahu. C’è chi lo vuole ancora come primo ministro e c’è chi si batte per un cambiamento sia all’interno del Likud dove molti oggi sono i suoi nemici, sia nel partito rivale. Ma circa i grossi e pressanti problemi che oggi assillano Israele ci si pronuncia poco o nulla. Nelle precedenti due elezioni i candidati cercavano di delineare le loro prospettive politiche nei confronti di Gaza, di Hamas, dei palestinesi, dell’ipotetica annessione della Valle del Giordano, del Libano e della Siria, degli insediamenti e di tanti altri urgenti problemi. Oggi non si sente più parlare di queste pressanti questioni perché le elezioni si presentano sempre più come un referendum su Netanyahu. I due più grossi partiti, quelli tra cui si gioca il destino politico di Israele, non mostrano nessun interesse, oggi, a proporre o perlomeno a delineare una soluzione alle sfide che Israele dovrà affrontare in un prossimo futuro per la sua sopravvivenza. I due più grossi partiti – Kahol e Lavan da una parte e Likud dall’altra – mirano solo a far scegliere agli elettori la figura del futuro primo ministro: Netanyahu sì o Netanyahu no! Si può obbiettare che le differenze politiche tra i due avversari, Gantz e Netanyahu non sono così grandi, né drammatiche, né vitali per l’avvenire del paese e che si tratta soprattutto di differenze caratteriali. Magra consolazione dal momento che il buon senso direbbe che non si dovrebbe andare a votare per la terza volta quando è chiaro che non si va a scegliere tra due orizzonti politici diversi, ma piuttosto tra due personaggi la cui differenza è soprattutto caratteriale. Non sarà una bella sfida elettorale: si andrà a votare per decidere chi sarà il primo ministro senza sapere di preciso ciò che la scelta implichi sul piano politico. In democrazia le elezioni dovrebbero rappresentare non tanto la scelta di un personaggio piuttosto che un altro ma la politica che essi propongono per il proprio paese. Tutto ciò viene lasciato in ombra in questa ultima tornata elettorale. Forse nei poco più di due mesi che ci separano dalle elezioni il panorama politico si chiarirà e si spera che si andrà a votare su un programma politico e non solo sulla simpatia maggiore o minore che presentano due personaggi fin troppo famosi.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » dom feb 23, 2020 4:25 am

I palestinesi: storia di un popolo completamente inventato
L'Informale
Niram Ferretti
31 Dicembre 2015

http://www.linformale.eu/i-palestinesi- ... RklKgZRdMk

Come Atena nacque dalla testa di Zeus, la fantastoria nacque dall’ideologia. Il nome “Palestina” deriva dai filistei, una popolazione originaria del Mediterraneo Orientale (forse dalla Grecia o da Creta) la quale invase la regione nell’undicesimo e dodicesimo secolo A.C. Parlavano una lingua simile al greco miceno. La zona nella quale si insediarono prese il nome di “Philistia”. Mille anni dopo, i Romani chiamarono la zona “Palestina”. Seicento anni dopo gli Arabi la ribattezzarono “Falastin”.

Per tutta la storia successiva non ci fu mai una nazione chiamata “Palestina” né ci fu mai un popolo chiamato “palestinese”. La regione passò dagli Omayyadi agli Abassidi, dagli Ayyumidi ai Fatimidi, dagli Ottomani agli Inglesi. Durante questo millennio il termine “Falastin” continuò a riferirsi a una regione dai contorni indeterminati e MAI a un popolo originario.

Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.

Reland pubblicò a Utrecht nel 1714 un libro dal titolo “Palaestina ex monumentis veteribus illustrata”, nel quale non c’è alcuna prova dell’esistenza di un popolo palestinese, né di un’eredità palestinese né di una nazione palestinese. In altre parole, nessuna traccia di una storia palestinese.

Stiamo parlando di un testo uscito nel 1714, non duemila anni fa. Un testo moderno dal quale si evince che all’epoca non esisteva alcun “popolo palestinese”.

Quando nasce dunque questa realtà di cui si parla da decenni?

Dobbiamo avvicinarci ai nostri tempi, più precisamente al periodo in cui gli inglesi crearono, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dell’impero ottomano (durante il quale nessuno aveva ancora sentito parlare di questa fantomatica entità), la Palestina mandataria.

Gli arabi protestarono in modo acceso nei confronti della nuova realtà chiamata “Palestina”. Infatti, per loro, la Palestina era inestricabilmente collegata alla Siria. Gli arabi chiamavano la regione “Balad esh sham (la provincia di Damasco) o “Surya-al-Janubiya” (Siria del sud). Per i nazionalisti arabi la Palestina non era altro che la Siria del sud. Punto. I siriani, ovviamente, non potevano che annuire.

Il Congresso Generale Siriano del 1919 sottolineò con forza l’identità esclusivamente siriana degli arabi della “Siria del sud”, quella che gli inglesi chiamavano “Palestina”.

Nel suo libro, “Il Risveglio Arabo” del 1938, George Antonious, il padre della storiografia moderna araba, documenta il tumulto sorto tra gli arabi della “Grande Siria” e dell’Iraq quando inondarono le strade delle città siriane, Gerusalemme inclusa, per protestare contro la divisione geografica che gli inglesi, per ragioni geopolitiche, avevano imposto alla Siria. Antonious, come Reland prima di lui, non fa alcuna menzione di un “popolo palestinese”. Motivo? Di nuovo, non esisteva.

Facciamo un passo indietro. Nel 1920, la Francia conquista la Siria. E’ in questo periodo, durante il controllo francese della Siria, che inizia a prendere forma l’idea di una “Palestina” come stato arabo-musulmano indipendente, e fu il famigerato Mufti di Gerusalemme, Amin-al-Husseini, la personalità di maggior spicco tra i leaders arabi dell’epoca, a creare un movimento nazionalista in opposizione all’immigrazione ebraica determinata dal movimento sionista. In altre parole, fu il sionismo a fare da levatrice al palestinismo nazionalista. Anche allora, tuttavia, nessuno parlava di un “popolo palestinese”. Siamo nel 1920.

Ancora nel 1946, Philip Hitti, uno dei più eloquenti portavoce della causa araba dichiarava al Comitato di Inchiesta Anglo-Americano che un’entità nazionale chiamata Palestina…non esisteva.

Nel 1947, quando le Nazioni Unite stavano valutando la spartizione della Palestina mandataria in due stati separati, uno ebraico, l’altro arabo, numerosi politici e intellettuali arabi protestarono in modo acceso poiché sostenevano che la regione in questione fosse parte integrante della Siria del sud. Non c’era una popolazione “palestinese” in senso proprio, ed era dunque un’ingiustizia smembrare la Siria per creare un’altra entità che di fatto le apparteneva di diritto.

Nel 1957, Akhmed Shukairi, l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite dichiarò che, “È conoscenza comune che la Palestina non è altro che la Siria del sud“. Concetto ribadito da Hafez-al-Assad nel 1974, “La Palestina non solo è parte della nostra nazione araba ma è una parte fondamentale del sud della Siria”.

Dal 1948 al 1967, i diciannove anni intercorsi tra la Guerra di Indipendenza e la Guerra dei Sei Giorni, tutto quello che restava del territorio riservato agli arabi della Palestina mandataria britannica, era la West Bank (nome dato dai giordani alla Giudea e alla Samaria), che si trovava in quegli anni sotto il dominio illegale giordano, e Gaza, sotto il dominio illegale egiziano.

Durante questo periodo nessuno dei leader arabi prese neanche lontanamente in esame il diritto all’autodeterminazione degli arabi “palestinesi” che si trovavano sotto il loro dominio. Perché? Ancora, perché un “popolo palestinese” per i giordani e gli egiziani…semplicemente non esisteva.

Persino Yasser Arafat fino al 1967 usò il termine “Palestinesi”, unicamente come riferimento per gli arabi che vivevano sotto la sovranità israeliana o avevano deciso di non essere sottoposti ad essa. Nel 1964, per Arafat la “Palestina”, non comprendeva né la Giudea e la Samaria né Gaza, le quali, infatti, dopo il 1948 appartenevano reciprocamente alla Giordania e all’Egitto.

Lo troviamo scritto nella Carta fondante dell’OLP all’articolo 24, “L’OLP non esercita alcun diritto di sovranità sulla West Bank nel regno hashemita di Giordania, nella Striscia di Gaza e nell’area di Himmah”.

L’articolo 24 venne cambiato nel 1968 dopo la Guerra dei Sei Giorni, dietro ispirazione sovietica. Ora la sovranità “palestinese” si estendeva anche alla West Bank e a Gaza. Libero da possibili attriti con la Giordania e l’Egitto, Arafat, protetto dai russi, poteva allargare il campo della propria azione. La “Palestina”, adesso, inglobava anche Giudea, Samaria e Gaza.

La Guerra dei Sei Giorni è stata lo spartiacque per la creazione del “popolo palestinese”. Dopo la Guerra dei Sei Giorni tutto cambia. Da Davide, Israele diventa Golia e i “palestinesi” entrano ad occupare il proscenio della storia come popolo autoctono espropriato della propria terra dai “sionisti imperialisti”.

Questa è la narrazione ormai consolidata e che, come un parassita, si è incistata nella mente di una moltitudine. Potere della menzogna. Potere della propaganda.

“Nella grande menzogna c’è una certa forza di credibilità poiché le grandi masse di una nazione sono molto più facilimente corruttibili nello stato più profondo della loro materia emozionale di quanto lo siano consciamente o volontariamente, e quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie per piccole cose, ma si vergognerebbero di utilizzare menzogne su larga scala. Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falistà colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”. (Adolf Hiltler, “Mein Kampf”)

Per creare questa nuova realtà del “popolo palestinese”, priva di qualsiasi aggancio con il passato era necessario che il passato venisse interamente fabbricato, o meglio, come in “Tlon, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, bisognava fare in modo che il reale venisse risucchiato dalla finzione.

Dunque ecco apparire i “palestinesi”, i quali fin da un tempo immemorabile hanno sempre vissuto nella regione e addirittura si possono fare risalire ai gebusei o, a piacimento, ai cananei. Questo popolo mitico sarebbe stato poi cacciato dagli invasori sionisti.

Il 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.

Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.




Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.

L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.

Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.

Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.

Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.

Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.

Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.

Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.

Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.

Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.

Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.

Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.

Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.

Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica

Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.

In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.


Onu, cosa ha detto un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Anniversario delibera spartizione Onu, le parole di un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Ugo Volli
4 Dicembre 2019

https://www.progettodreyfus.com/onu-isr ... CskS7rqgOk


Giovedì scorso, nel palazzo della Mukata a Ramallah, si è svolto un evento rievocativo della votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ne 1947 stabilì la partizione del mandato britannico (già suddiviso nel ‘21 dalla Gran Bretagna la dare agli arabi “il loro stato”).

Come è noto Israele accettò la divisione, anche se era era tracciata in maniera da rendere difficilissima la sopravvivenza della parte ebraica, gli arabi la rifiutarono, il giorno stesso con la complicità britannica iniziarono attacchi terroristici agli insediamenti ebraici e ad aprile del ‘48, quando Israele proclamò finalmente il suo stato alla vigilia della partenza degli inglesi, le armate di tutti gli stati arabi circostanti tentarono di invadere e distruggere il neonato stato di Israele; ma con grandi sacrifici furono sconfitte dall’esercito israeliano nel ‘49 dovettero ritirarsi dietro una linea armistiziale ben più arretrata, la cosiddetta linea verde.

Da questa storia l’evento della Mukata, amministrato dal noto filoterrorista Jibril Rajoub, non ha tratto motivi di riflessione sulla necessità di un accordo, ma al contrario ha voluto rilanciare la narrativa palestinista sull’”occupazione israeliana”. L’aspetto più curioso di questa riunione è la presenza di circa 300 ebrei israeliani. Erano i soliti ultraortodossi antisionisti di Naturei Karta, che hanno usato l’occasione per dichiarare che l’”entità sionista” non rappresenterebbe il popolo ebraico, sarebbe odiata da “Allah” (questo è il nome con cui il loro leader Meir Hirsh ha scelto per l’occasione di chiamare la Divinità) e costituirebbe la violazione di tutte le leggi internazionali: un piccolo gruppo di estremisti che frequenta con piacere tutti gli antisemiti da Corbyn a Achamadinedjad, e la cui presenza non poteva meravigliare.

Dall’altro lato, però, c’era una folte rappresentanza di militanti di sinistra: alcuni cani sciolti, ma soprattutto Mosi Ratz l’ex leader e ancora influente dirigente del partito israeliano di sinistra Meretz, l’unico che abbia ufficialmente abiurato il sionismo, alla guida di una delegazione di alto livello.

Raz ha parlato avendo alle spalle una foto di Yasser Arafat e ha detto: “Siamo venuti qui per esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese nei territori occupati, in esilio nella speranza che i ministri palestinesi entrino presto nel prossimo governo. Sostengo uno stato palestinese entro i confini del 67 con uno scambio di territori concordato a fianco dello Stato di Israele, la cui capitale dev’essere Gerusalemme est. Questo marzo andremo alle elezioni in cui Netanyahu sarà sconfitto e Gantz sarà eletto.”

È una dichiarazione molto significativa, non solo per il luogo e l’occasione, ma anche per il contenuto. Meretz, pur avendo pochi seggi, è un pezzo centrale della coalizione di Gantz che certamente non può farne a meno. Si è molto parlato del pericolo di un accordo fra il partito bianco-azzurro e gli arabi filoterroristi, ma non abbastanza dell’influenza delle estrema sinistra ebraica.

La dichiarazione di Raz spiega molto sulle ragioni reali del braccio di ferro che è in corso nella politica israeliana da un anno. Non è detto che Ganz sia d’accordo, ma è chiaro che il progetto di alcune forze che lo appoggiano e di cui egli avrà certamente bisogno consiste nel cancellare o minimizzare la natura ebraica dello stato di Israele, rovesciando le scelte di settant’anni fa.



Informazione corretta: Palestina, ecco l'origine del nome di uno Stato arabo che non è mai esistito
Vivi Israele
Fabrizio Tenerelli
21 febbraio 2018

http://viviisraele.it/2018/02/21/inform ... -esistito/


Cari lettori, io cerco di parlare poco della questione arabo-israeliana, perchè la mia mission è soprattutto approfondire i temi legati a Israele e all’ebraismo. Tuttavia, talvolta è doveroso far chiarezza su alcuni aspetti che riguardano la cosiddetta “corretta informazione”. La disinformazione dilagante in materia (il suo esatto opposto), purtroppo contribuisce a dare una cattiva immagine di uno Stato che da vittima, passa come carnefice.

Ciò senza nulla togliere all’aspirazione ultima che è quella della pace in Medio Oriente e della convivenza di due popoli. Utopia? Una pace che, a mio modestissimo avviso, potrà giungere soltanto, quando il mondo arabo riconoscerà il diritto ad Israele di esistere.

Detto ciò, dopo un mio primo approfondimento in tema di informazione corretta (LEGGI QUI) vi propongo questa sorta di “upgrade”, che riguarda i concetti di “Palestina” e “palestinese”. Molto spesso chi non studia abbastanza, attacca con estrema arroganza il popolo ebraico, sulla base di falsi presupposti e di clamorosi equivoci.

In attesa di preparare un digest, tratto da “Arabi ed Ebrei”, del buon Bernard Lewis, ho pensato di scrivere queste poche righe, invitandovi a divulgarle, condividerle e via dicendo, affinchè si faccia chiarezza su una questione importante.

La prima cosa che va detta è che non c’è mai stata una nazione araba di nome “Palestina”. Questo, in realtà, è il nome che gli antichi romani diedero a Eretz Yisrael, con l’espresso proposito di umiliare gli ebrei, dopo la conquista. Gli inglesi chiamarono così la terra sulla quale avevano avuto il mandato, dopo lo scioglimento dell’Impero Ottomano.

Gli arabi, in disputa con gli ebrei, decisero allora di raccontare che quello era l’antico nome della loro terra, “malgrado non fossero capaci a pronunciarlo in modo corretto, ma trasformandolo in Falastin”, come disse nel 1995, Golda Meir, in una intervista a Sarah Honig del Jerusalem Post. Ma soprattutto va detto che non esiste una lingua palestinese, non una cultura e neppure una terra governata da palestinesi.

Quest’ultimi non sono altro che arabi non distinguibili dai giordani o dai siriani, dai libanesi o dagli iracheni. A ciò aggiungiamo che il mondo arabo controllo il 99,9 per cento del Medio Oriente. Israele, pensate, che rappresenta soltanto un decimo dell’uno per cento del totale. Ma ciò è troppo per gli arabi, che vogliono anche quella minuscola parte. Non importa, dunque, quanti territori un domani potrebbero concedere gli israeliani: in ogni modo non saranno mai abbastanza. Ma allora, da dove deriva questo termine? Palestina ha da sempre designato un’area geografica, che deriva da “Peleshet”, un nome che appare di frequente nella Torah, successivamente chiamata “Philistine”.

Il nome inizia ad essere usato nel tredicesimo secolo a.e.v. da una serie di migranti del mare, provenienti dal mar Egeo e dalle isole greche, i quali si insediarono nella costa sud della terra di Canaan. Laggiù istituirono cinque città-stato indipendenti, inclusa Gaza, in una stretta striscia di terra chiamata “Philistia”, i greci e i romani la chiamarono “Palastina”.

I palestinesi, dunque, non erano arabi e neppure semiti; non avevano alcun legame etnico o linguistico e neppure storico con l’Arabia e il termine Falastin non è altro che la pronuncia araba del termine “Palastina”. Dunque, chi si può considerare palestinese? Durante il mandato britannico era la popolazione ebraica ad essere considerata palestinese, inclusi coloro che hanno servito l’esercito britannico nella Seconda Guerra Mondiale. L’indirizzo britannico fu quello di limitare l’immigrazione di ebrei. Nel 1939, il Churchill White Paper (3 giugno 1922) mette fine all’ammissione di ebrei in Palestina. Uno “stop” che avviene nel periodo in cui c’era più disperatamente bisogno di emigrare in Palestina, quello dopo l’avvento del nazismo in Europa.

Nello stesso tempo in cui sbattevano la porta in faccia agli ebrei, gli inglesi permettevano (o facevano finta di niente) il massiccio ingresso clandestino nella Palestina occidentale di arabi provenienti da Siria, Egitto, Nordafrica e via dicendo. In questo modo, sembra che dal 1900 al 1947, gli arabi sulla sponda ovest del fiume Giordano si siano quasi triplicati. Il legame degli ebrei con la Palestina risale ai tempi biblici. Quello tra gli ebrei ed Hebron, ad esempio, corre indietro ai tempi di Abramo, ma nel 1929, gruppi di arabi in rivolta cacciano la comunità, uccidendo numerosi ebrei.

A supporto della tesi che non esiste uno stato arabo chiamato Palestina, c’è una letteratura fiume. Noi ricordiamo alcune dichiarazioni, tra le più significative, come quella del professore di storia araba, Philip Hitti (uno dei più illustri), secondo cui: “There is no such thing as Palestine in history, absolutely not”, dichiarò al Anglo-American Committee of Inquiry (1946). E poi. “It is common knowledge that Palestine in nothing but southern Syria”, affermò nel 1956: Ahmed Shukairy (United Nations Security Council).




L'inesistente storia della Palestina arabo maomettano palestinese
https://www.facebook.com/HalleluHeb/vid ... 0838079851


La Mappa della Palestina: Un Falso Creato dell'AIC
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
http://www.progettodreyfus.com/la-mappa ... a-un-falso

La Mappa della Palestina è un clamoroso falso creato ad hoc negli anni’60 da un ufficio di propaganda arabo. Spesso definita come “mappa dell’occupazione israeliana in palestina” e in tanti altri modi, questa mappa ha una storia molto lunga e completamente diversa da quella che viene raccontata su molti libri, dossier, siti e social media. Dedicando due minuti alla lettura di questo articolo, avrete a disposizione tutti gli elementi per mettere a tacere il prossimo amico o lontano conoscente che condividerà questo assurdo falso storico.


Palestina: le ragioni di Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2271


Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.


Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2765

Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2774

Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2558
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven feb 28, 2020 8:33 pm

La terza elezione consecutiva in Israele, che forse prelude alla quarta
Ugo Volli
26 Febbraio 2020

https://www.progettodreyfus.com/elezion ... PPvvtQBMyg

Elezioni Israele 2020. Mancano ormai pochissimi giorni alle nuove elezioni in Israele, il terzo tentativo in un anno di costruire una maggioranza parlamentare capace di dare un governo pieno al paese e i sondaggi, certamente fallibili ma numerosi, sembrano escludere che si possa ottenere questa maggioranza anche stavolta. Non è una situazione insolita: in Spagna si è costituito un governo con maggioranza molto debole dopo quattro elezioni in due anni; i governi italiano, francese, anche tedesco sono più o meno in crisi e dai sondaggi sembra che eventuali risultati elettorali non li confermerebbero, insomma c’è una crisi piuttosto diffusa della democrazia rappresentativa, che al di là delle peculiarità dei singoli partiti deriva da una perdita di egemonia dei tradizionali apparati ideologici (partiti tradizionali, stampa, “stato profondo” e cioè soprattutto sistema giudiziario, diplomatico e universitario), che pure conservano un potere predominante, su larghi strati della popolazione. Al di là delle singole forme in cui questa crisi si manifesta, vi sono sintomi comuni, come la messa sotto accusa da parte del sistema giudiziario o politico di leader che sono espressione di questa spinta (Netanyahu in Israele, Salvini in Italia, Trump negli Usa, Wilders in Olanda ecc.), la sostituzione della stampa con i social media quali mezzi principali di comunicazione politica, naturalmente condannata non solo dagli editori e dai politici, ma anche dagli intellettuali, la mancanza di consenso trasversale anche sui grandi tempi di interesse nazionale.

In Israele le cose sono rese più conflittuali da una serie di fattori, innanzitutto dalla presenza di quasi il 20% dell’elettorato che non si riconosce affatto nelle fondamenta sionista dello stato (non solo gli arabi, ma anche gli estremisti antisionisti di origini ebraiche, soprattutto di estrema sinistra). Vi è poi in generale un sistema politico estremamente parcellizzato in gruppi per così dire tribali, per cui fedeltà collettiva precede le scelte politiche. Per esempio i due partiti religiosi (haredì), che condividono buona parte del programma, sono irrimediabilmente divisi per affiliazione d’origine fra askenaziti e sefarditi; gli elettori di Israel Beitenu, tendenzialmente nazionalisti, continuano a seguire le posizioni del loro leader Lieberman, anche se da un paio d’anni egli ha reso impossibile la conferma dello schieramento di destra cui naturalmente essi appartengono, per odio a Netanyahu e contrapposizione con i religiosi. Di solito si incolpa delle difficoltà di formare il governo il sistema elettorale israeliano (proporzionale puro, con un collegio unico nazionale, liste degli eletti dipendenti dalle scelte dei partiti, barriera di ingresso piuttosto bassa (3,5%)), accusandolo di favorire la frammentazione politica; ma probabilmente è vero l’inverso: è la frammentazione dell’elettorato, la personalizzazione delle sue scelte, l’enfasi sulle differenze, che ha determinato questo sistema e la coseguente difficoltà nel produrre maggioranze, che dura da settant’anni, tanto che anche il padre della patria Ben Gurion ne fece più di una volta le spese.

Il paradosso vuole che nel paese permanga una maggioranza chiara a favore delle politiche che Netanyahu ha condotto negli ultimi dieci anni: contenimento della “questione palestinese”, senza rotture ma senza illusione di soluzioni magiche e cercando di gestire il conflitto e di limitare la violenza evitando nei limiti del possibile una guerra; resistenza diplomatica e militare all’imperialismo iraniano con la costruzione di alleanze larghe e in parte sottotraccia con i paesi arabi sunniti; collaborazione piena con chi sostiene Israele (per esempio Trump) e rifiuto di piegarsi alle imposizioni di chi lo avversa (Obama, l’Unione Europea), anche qui però cercando di non rompere e di gestire il conflitto; liberalismo in economia, investimenti in settori innovativi, relazioni non conflittuali con il mondo religioso anche a costo di ritardare la loro integrazione nelle forze armate e di non soddisfare le richieste degli ebrei americani prevalentemente non ortodossi eccetera.

Su questa linea sono infatti schierati non solo il Likud (che vale fra il 25 e il 30% dei voti), ma anche i religiosi (fra il 12 e il 15%) la destra (intorno al 6-8%), ma anche gli elettori di Israel Beitenu (intorno al 6-8%) e perfino qualche elettore del movimento Bianco-Azzurro (che vale anch’esso il 25-30%), ma che è la fusione di tre partiti o movimenti personali, per lo più di centrosinistra. Ha dunque senso sommare la quota elettorale di questo movimento con la sinistra unificata (intorno al 6-8%). A parte vanno considerati i partiti arabi federati: alcuni di essi sono chiaramente vicini a movimenti terroristi, come Hamas, altri sostengono l’Autorità Palestinese, ma anche i più “moderati” sono chiaramente antisionisti, disposti a collaborare eventualmente a un governo solo se per esempio non accettasse il piano Trump e se non esercitasse il diritto all’autodifesa di Israele.

Ecco il paradosso, dunque: esiste nel paese una maggioranza chiara a favore delle politiche incarnate da Netanyahu (elettori del Likud, della destra, dei religiosi, di Israel Beitenu); ed esiste nella rappresentanza politica una maggioranza che vuole “chiunque ma non Netanyahu): arabi, sinistra, bianco-azzurri, Lieberman, magari con l’appoggio di pezzi importanti del sistema giudiziario e mediatico. Il cuore della contraddizione, come è chiaro, è Israel Beitenu e il suo leader Lieberman. Anche perché un fronte incentrato sui bianco-azzurri avrebbe serissime difficoltà a proporre un programma di governo unitario e poi a mantenerlo: Lieberman e gli arabi si sono dichiarati a vicenda incompatibili; Gantz ha detto di volere approvare il piano Trump, che per gli arabi è inaccettabile; bisogna chiedersi che cosa direbbero gli stessi arabi ma anche l’estrema sinistra di Meretz se si rendesse necessaria una difesa militare attiva in Libano e Siria o un’operazione a Gaza.

Gantz ha già detto che non intende imbarcare al governo i partiti arabi, ma questo li lascerebbe solo la possibilità di un governo di minoranza, che non è affatto detto riuscirebbe a comporre e comunque sarebbe dipendente dalla loro astensione alla Knesset, ritirabile in qualunque momento. E del resto non è affatto detto che l’estrema sinistra “post-sionista” di Meretz presenterebbe meno difficoltà. Sia Gantz che Lieberman hanno fatto conto sulla possibile frammentazione dello schieramento di destra e sul tradimento di Netanyahu da parte del Likud; ma queste cose non sono accadute nei mesi scorsi e non si vede perché dovrebbero avvenire adesso, dopo gli ottimi risultati degli ultimi mesi di governo. Dunque è probabile che le consultazioni dopo il 3 marzo saranno di nuovo senza esisto e che si vada a nuove elezioni a settembre. Nel frattempo il processo a Netanyahu inizierebbe, ma non è affatto detto che questo vada a suo danno, perché nell’impostazione dell’accusa vi sono numerosi elementi problematici che emergerebbero a un dibattito pubblico che Netanyahu ha sempre voluto e mai ottenuto, come non ha mai ottenuto un confronto con Gantz. Insomma al momento non si vedono soluzioni per lo stallo del sistema politico israeliano. Non resta che sperare in una spinta innovativa dell’elettorato.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » mar mar 03, 2020 10:20 pm

Il regno ancora in corso - L'Informale Il regno ancora in corso
3 marzo 2020

http://www.linformale.eu/il-regno-ancor ... YJhUMFcnFA

Benjamin Netanyahu, torna prepotentemente in primo piano su quella scena che in realtà non aveva mai abbandonato. Il risultato della terza tornata elettorale israeliana in meno di un anno, dopo le elezioni del settembre e dell’aprile scorsi, conferisce al Likud un chiaro vantaggio sulla coalizione Bianco Blu guidata da Benny Gantz.

I risultati, dopo lo scrutinio del 90 % dei voti, indicano che la coalizione di centrodestra data dagli exit polls a 60 seggi ora ne avrebbe 59, solo meno due per avere la maggioranza che consentirebbe a Netanyahu di formare agevolmente un nuovo governo.

Circa settantamila voti separano il Likud, con il suo assestato 28,3% dalla coalizione Bianco Blu. Si rafforza la lista araba con il 13.7% e si rafforzano i partiti religiosi con un 7.8% ottenuto da Shas e un 6.8% ottenuto da Giudaismo Unito nella Torah.

Il risultato elettorale ci permette di fare due semplici considerazioni. Netanyahu, nonostante il rinvio a giudizio per frode, corruzione e abuso di ufficio con la prima udienza del processo che lo vede imputato, fissata il 17 marzo, ottiene la fiducia degli elettori. I reati di cui è accusato non sono dunque ritenuti sufficientemente gravi nella loro entità per screditarlo moralmente e politicamente e consentire a Benny Gantz di poterlo spodestare.

La forte sintonia personale con Donald Trump e i risultati ottenuti dall’amministrazione americana più vicina a Israele da sempre, hanno sicuramente influito sulla percezione generale che Netanyahu sia l’unico politico israeliano con le carte in regola per guidare il paese. L’unico in grado di tenere testa alle minacce circostanti, la principale quella iraniana.

Il ministro israeliano più longevo, che i suoi avversari politici speravano avviato a un declino inesorabile, l’uomo che con piglio cesarista è riuscito a trasformare il Likud in un partito personale e a tenere unita la coalizione di centrodestra, riesce ancora una volta a risorgere dalle sue presunte ceneri.

La resilienza di Netanyahu è il segno tangibile di una forza e un carisma che i suoi avversari politici non riescono a contrastare. Entrato nuovamente nell’agone elettorale con sulle spalle il fardello giudiziario che lo riguarda e un corto circuito istituzionale inedito per la storia del paese, quello di un primo ministro in carica il quale, da imputato, riceve per l’ennesima volta il favore dell’elettorato, “Melech Bibi”, “Re Bibi”, appare inaffondabile.

Detto questo, la maggioranza necessaria a governare, Netanyahu se la vede ancora sfuggire per un soffio.

Se i dati attuali saranno confermati definitivamente si dovranno nuovamente riaprire i negoziati. Benny Gantz dovrà riconoscere che, nonostante egli abbia ottenuto un buon risultato, non riesce a sfondare, ad accreditarsi come alternativa credibile al leader del Likud. Come novità egli è e resta un cavallo zoppo.

Comunque vada, una cosa è certa, il “regno” di Bibi, il più lungo della storia moderna di Israele, è ancora in pieno corso.



Elezioni in Israele: fallito il colpo di mano contro Benjamin Netanyahu
by Maurizia De Groot Vos
4 marzo 2020

https://www.rightsreporter.org/elezioni ... a2DnuiVE20


Le elezioni in Israele, le terze in un anno, dovevano essere, secondo i nemici del Premier, una sorta di referendum su Benjamin Netanyahu. Beh, il colpo di mano è fallito.

Anche se a scrutinio ancora in corso, appare evidente che il Likud è il primo partito e che se la coalizione messa in piedi da Netanyahu non arriverà a formare un nuovo governo da sola sarà solo per uno o due seggi.

Si ripropone quindi la stessa situazione vista nella ultime due elezioni ma con un fattore in più da tenere in considerazione: il mancato colpo di mano contro Netanyahu che anzi sembra rafforzarsi.

Chi ha voluto irresponsabilmente queste terze elezioni in un anno aveva proprio l’obiettivo di indebolire e persino delegittimare la leadership di Netanyahu che invece non solo a resistito al colpo di mano ma si è addirittura rafforzato.

Il messaggio inviato dagli elettori israeliani a chi voleva sbarazzarsi di Bibi è quindi evidente e ora, nel caso assai probabile che la coalizione del Premier non riesca da sola a formare un nuovo governo (servono 61 seggi), non potrà come in passato tenere sotto ricatto il Paese condizionando il loro appoggio a un governo di grande coalizione con la richiesta di escludere Netanyahu.

Ora le maschere sono saltate e con il Paese sotto attacco militarmente e con un serio rischio di epidemia da Coronavirus non potranno sottrarsi alle loro responsabilità verso lo Stato Ebraico e il popolo di Israele.



Netanyahu, la vittoria contro il golpe giudiziario
Michael Sfaradi
4 marzo 2020

https://www.nicolaporro.it/netanyahu-la ... KQaRVpFZfM


Per fermare Benjamin Netanyahu non sono bastati anni di trasmissioni televisive e di Prime Pagine ostili, come non sono bastati tre rinvii a giudizio, con accuse gravissime, e la chiamata, da parte del Procuratore Generale di Israele Avichai Mandelblit, di trecentotrentatré testimoni a carico.

Nulla di tutto ciò è riuscito a convincere la maggioranza del popolo israeliano a smettere di amarlo, o almeno, di rispettarlo. E se è vero che i cavalli di razza si vedono all’arrivo, Benjamin Netanyahu è sicuramente il politico vivente che può garantire il più lungo e dettagliato Pedigree.

La coalizione che lo ha sfidato nelle ultime tre tornate elettorali, è bene ricordarlo, è formata da tre ex Generali dell’esercito israeliano. Benny Gantz, Gabi Ashkenazi e Moshe Ya’alon, con l’aggiunta di Yair Lapid, giornalista, scrittore e politico, con un passato di conduttore televisivo e con alcune esperienze nel mondo del cinema. Famoso presso il pubblico femminile per la sua bellezza.

Ganz, Ya’alon e Ashkenazy, non sono stati dei semplici Generali, infatti tutti e tre hanno, in momenti diversi, ricoperto l’incarico di Capo di Stato Maggiore Supremo di tutte le forze armate dello Stato Ebraico. Ma nonostante questi ‘pezzi da novanta’, passato militare e volto che bucava lo schermo, il tutti contro uno, quando per tutti si intende sia la quasi totalità della stampa con la magistratura che è entrata più volte a gamba tesa nella politica, Benjamin Netanyahu non solo è riuscito a mantenere il numero di voti del Likud, il suo partito, ma anche ad aumentarli e, come una locomotiva, a farli aumentare anche ai partiti alleati della coalizione di centrodestra.

“È stata la più grande vittoria della mia vita”, queste sono state le parole con le quali Netanyahu ha definito l’esito del voto per le elezioni politiche per il rinnovo alla Knesset, il Parlamento dello Stato di Israele, aggiungendo: “Gli israeliani ci hanno dato fiducia perché sanno che abbiamo portato i migliori dieci anni della storia di Israele”. Concludendo il discorso ha rimarcato che la vittoria è stata sia per la destra sia, e soprattutto, per gli uomini del partito Likud.

Anche se al blocco di centrodestra mancano ancora i numeri per avere la maggioranza parlamentare per la formazione del nuovo governo, il Kahol Lavan, Blu e Bianco, il blocco di centrosinistra, quello per intenderci dei tre Generali, potrà soltanto sedere ai banchi dell’opposizione. Conoscendo le antipatie e l’odio personale che ha sempre impedito la formazione di un governo di Unità Nazionale e che ha portato per ben tre volte gli israeliani alle urne nel giro di pochi mesi, è facile prevedere che non sarà un’opposizione costruttiva ma distruttiva.

Il motto che hanno saputo ripetere, fino alla nausea, che comunque non ha avuto la presa che in molti speravano, era “No Bibi”. No Netanyahu, Bibi a casa o meglio in prigione, con la magistratura inquirente che intanto scalpita per ottenere in tribunale quello che gli amici degli amici non sono riusciti ad ottenere dalle urne elettorali.

Il Premier uscente, forte del successo ottenuto, avrà comunque il modo per formare il nuovo governo ed evitare una quarta tornata elettorale che, diciamolo francamente, sarebbe inutile, dannosa e servirebbe unicamente a mettere in luce gli ultimi dispetti degli sconfitti, dispetti da terza elementare a spese di una nazione intera. Anche se votare tanto e sempre meglio che non votare affatto.

Il dato straordinario di ieri è stato che, al contrario di quello che in molti si aspettavano, la percentuale dei votanti è stata fra le più alte registrate negli ultimi anni, un chiaro messaggio alla politica da parte della popolazione e, se vogliamo dirla tutta, il numero di seggi conquistato da Likud di Netanyahu è stato anche un chiaro messaggio alla magistratura da parte di una popolazione stanca di incriminazioni mirate e ad orologeria che scattano sempre alla vigilia di importanti appuntamenti elettorali.

Il popolo di Israele, nonostante tutto quello che si è detto o fatto, e nonostante i giudici siano già pronti, con il tocco in testa e il martelletto di legno in mano, a voler mettere il Primo Ministro sul banco degli imputati, ha accordato la fiducia a un politico che in molti, quelli che le elezioni le hanno perse, dicono essere corrotto.

Come ho già scritto in passato, in una lettera aperta al Procuratore di Stato Mendelbit, Alan Dershowitz, uno dei più importanti giuristi americani, aveva chiesto di far cadere le accuse perché in tutte le democrazie occidentali non avrebbero avuto rilevanza penale. Mentre la professoressa Ruth Gavison, già Premio Israele per la Giustizia, esternava i dubbi sulle possibilità di Netanyahu di ottenere un giusto processo.

“Sono preoccupata che Netanyahu non abbia la possibilità di ottenere un processo giudiziario. Ci sono stati così tanti processi sulla stampa che ora un processo vero non riuscirebbe ad avere una sentenza diversa da quella già decisa sui media. Questa è una tragedia per Bibi ma anche una brutta pagina per il paese e per la società”. Questo era stato il pensiero della professoressa Gavison, dubbi e timori che il popolo, con il voto di ieri, dovrebbe aver dissipato.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2020 3:44 pm

COLPO DI MANO
Niram Ferretti
5 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Dunque, in Israele, siamo arrivati al tentativo di sovvertire l'esito del voto. Non manu militari, hardcore, ma softcore, come si usa in democrazia, attraverso l'uso della legge.

Lo aveva già anticipato Benny Gantz l'altro giorno. "Fermeremo Neyanyahu con la legge".

Non era chiaro cosa intendesse dire, ma ora lo è.

Grazie a Avigdor Lieberman, il quale ha dato il suo assenso, la coalizione di centro-sinistra e il leader di Israel Beytenu, uniti agli altri partiti dell' opposizione, compresa la lista araba, avrebbero a disposizione 62 voti per fare passare alla Knesset una legge che impedisca a un premier sotto processo di potere formare un governo.

Precedentemente Lieberman non aveva dato la sua disponibilità, evidentemente confidando sul fatto che alla terza tornata elettorale, Netanyahu sarebbe stato sconfitto, ma visto l'esito attuale ha accettato. A estremi mali, la vittoria di Netanyahu, estremi rimedi, la cancellazione della sua vittoria.

Sono anni che Lieberman, politico di mezza tacca estremamente ambizoso e del tutto inaffidabile, cerca di fare le scarpe a Netanyahu senza esserci mai riuscito, ora gli si presenta l'occasione.

Così, i perdenti, hanno deciso di annullare l'esito della terza elezione in Israele che ha dato a Netanyahu una chiara vittoria seppure di misura, facendolo attraverso lo strumento legislativo.

Se questo tentativo di sovversione dell'esito elettorale dovesse passare si creerebbe un precedente sconcertante, quello di una opposizione sconfitta nelle urne che, indisponibile ad accogliere l'esito del voto, e dunque la volontà degli elettori, vara una legge per impedire al vincitore di governare.

Ma loro sono così. Devono tutelare la democrazia. Devono tutelare il decoro pubblico, devono salvaguardare la nazione. Non importa quello che pensano i cittadini i quali non sono abbastanza maturi da votare loro.

Se non vengono votati governeranno lo stesso, in qualche modo. Lo si vede anche da noi.

Vedremo se in Israele ci riusciranno.


Fabio Sermoneta
Ma difficile che i partiti arabi si alleino con liberman che è uno dei politici israeliani che ne propone il trasferimento.. E forse uno dei più estremisti

Niram Ferretti
Fabio, per togliere di mezzo Netanyahu farebbero un'alleanza anche con Hamas.

מרצ׳לו דל מונטה
Fabio Sermoneta Stai scherzando ? Liberman è un estremista di sinistra travestito.

Davide Cucciati
Stando a quanto ho letto negli articoli online (non ho studiato il testo del provvedimento), posso dire che tutto ciò sia semplicemente terribile.
Le tempistiche di questa legge sono la prova della ratio sottesa ad essa.
Se fosse stato un provvedimento di interesse generale, si sarebbe potuto approvare mesi fa.
Invece, dopo il tentativo fallito di battere il centrodestra politicamente, si tenta un colpo di mano parlamentare attuato da un'alleanza trasversale alquanto variegata.
Una scelta che metterà nelle mani della giustizia il futuro della politica israeliana.
Tutto questo passerà come il tentativo di salvare la democrazia, anche a costo di mutilarla.
Spero che ci sia qualche vero liberale in Kahol Lahvan, che si opponga a tutto ciò.


Niram Ferretti
L'infamia di questa iniziativa è proprio quella che sottolinei tu Davide, "Se fosse stato un provvedimento di interesse generale, si sarebbe potuto approvare mesi fa". Ma non lo è, ovviamente e palesemente.

Fabrizio Piola
Sono preoccupato seriamente. Il LIKUD non credo proprio che accetterà questo con le mani in mano sospirando mestamente. Questa gente vuole la guerra civile. Alla fine sembra proprio che la resa dei conti sia arrivata fra i nipotini di Ben Gurion e quelli di Jabotinsky. Io ho scelto da tempo la mia parte.

Donato Di Segni
Fabrizio Piola come dovrebbe fare il likud a bloccare una legge votata da 62 deputati su 120?


Fabrizio Piola
Non c'è una costituzione. Questo è un colpo di mano che travolge ogni regola. Non assisterò in silenzio alla distruzione dello Stato di Israele. Sia come giurista che come sionista. Tutti i nodi cruciali di 70 anni di storia vengono ora la pettine: la presenza dei religiosi, nemici dichiarati di israele e di qualsivoglia laicità, il loro strapotere senza controllo in base allo "staus quo"; la presenza di parlamentari arabi nemici dichiarati di israele e attivi per la sua distruzione nel Parlamento dello Stato-Nazione Ebraico di Israele. Aboliranno anche la Legge della Nazione? Ovviamente. A colpo di Stato si risponde con contro-colpo di Stato. Rivlin tuttavia sarebbe ora obbligato a rifiutare al Capo del partito più votato un tentativo di formare il governo con precedenza sul secondo partito? Quali sono le consuetudini costituzionali? Ma temo che se ci affidiamo alla giurisprudenza la parola finale ce l'avranno sempre i maiali con la toga.


Kinnereth Avram Genach
Daniela Rella gli israeliani si ribellano nessuno è mai riuscito a fargli fare quello che non vogliono, la storia lo insegna


Donato Di Segni
Kinnereth Avram Genach il voto ha espresso i nomi dei nuovi 120 membri della knesset. Di questi, 58 formano una coalizione mentre gli altri 62 si sono accordati, al di la delle differenze politiche, di votare uniti una legge che impedisca a un inquisito di diventare primo ministro. Non mi sembra difficile da capire.


Daniela Rella
Mi chiedo e vi chiedo: ci sono i tempi tecnici per far passare alla Knesset questa legge? Perché il capo dello Stato dovrà nei prossimi giorni attribuire un incarico per formare il Governo e in prima battuta non può che incaricare Netanyahu. La legge dovrà essere presentata, dibattuta, votata... ci sono i tempi per farlo?


Donato Di Segni
Daniela Rella non può che incaricare Netanyahu è una tua affermazione! Bibi oggi non è in grado di presentare un piano per il raggiungimento di quota 61, nessuno lo è, quindi Rivlin potrebbe decidere di passare direttamente a concedere un periodo di 21 giorni a qualsiasi membro della knesset in grado di allestire una maggioranza.


Daniela Rella
Donato Di Segni mi sembra più probabile però che il primo tentativo venga affidato a chi ha la maggior consistenza di seggi. Come è stato dopo le votazione precedenti, quando Netanyahu aveva ancor meno seggi a disposizione eppure è stato incaricato di tentare la formazione di un Governo. Se poi fallisce...


Donato Di Segni
Daniela Rella nelle votazioni precedenti non era completamente nota la frammentazione e i veti incrociati come si conoscono oggi. Non esiste nessuna ragionevole ipotesi di lavoro presentabile al Presidente della Repubblica sulla quale questi si possa basare per un incarico.


Daniela Rella
Donato Di Segni i tuoi argomenti sono solidi. Ma non c’è la possibilità che qualche transfuga del Likud, vista l’aria che tira (e cioè che Netanyahu è in difficoltà ma gli altri stanno peggio) non torni a più miti consigli? Io non credo che i deputati di Gantz vogliano gli arabi al Governo, e neppure quel disgraziato di Lieberman credo li voglia. Insomma il problema è grosso come una casa anche per loro.


Donato Di Segni
Daniela Rella ti dico solo che Ayalon ex likud attualmente kahol velavan, afferma di essere stato avvicinato da gente likud per aiutare a disfarsi di Netanyau. Cosa certa è che se la legge che dovesse bloccare Netanyahu fosse approvata, il likud farebbe immediatamente delle primarie per scegliere un nuovo leader. Questo consentirebbe al likud di esprimere il presidente incaricato oltre ad aprire una quantità di scenari oggi impossibili, come unità nazionale likud/KL, Liberman/likud e via dicendo. In parole povere, per trovare una soluzione Israele sembra debba prima privarsi del suo leader naturale, di per se un iattura; forse abbiamo qualche cosa da scontare!!!

Daniela Rella
Donato Di Segni sì, lo penso anch’io: parecchi considerano Netanyahu un fastidioso ingombro da rimuove. All’interno del Likud certamente alcuni scalpitano per farsi avanti e con l’ingombrante Netanyahu è pressoché impossibile.


Grazia Morisi
Daniela Rella non si puo' ssntire dire queste cose di Netanyahu. Netanyahu fastidioso? un peso?
avete solo un Netanyahu, poi vi ridurranno Israele una poltiglia. e tutto quello che ha ottenuto quel grande Leone ve lo vedrete sbranato e distrutto. ma non c'e' differenza fra sinistra e sinistra.

Daniela Rella
Grazia Morisi guardi che non è il mio sentire. Io spero che Netanyahu resti in sella come primo ministro. Ma non so quanto il Likud sia compatto nel sostenerlo: fino ad ora sembrerebbe di sì, ma ora i giochi di fanno duri.



Alberto Levy
io voglio fare la voce fuori dal coro, perché ci state andando sul pesante con politici israeliani che non si meritano tali parole. Io sono deluso da Netanyahu. Una volta incriminato avrebbe dovuto dare ad un altro del likud la possibilità di guidare il paese. Capisco che ha fatto tante cose buone, ma ora la situazione e' legale e morale e un capo di governo sotto processo penale avrebbe dovuto dimettersi. Mi spiace che tanti si incazzino con me, ma e' quello che penso. Tra l'altro : avrei votato likud se Bibi si fosse dimesso dal suo ruolo di leader.


Emanuel Segre Amar
Alberto Levy caro Alberto, pur nella libertà di ciascuno di noi di pensare ciò che ritiene giusto pensare, non posso non considerare le parole di Dershowitz, un uomo di sinistra, che considera risibili le accuse mosse. Anch’io, che non amo specialmente Netanyahu, pur riconoscendogli alcuni grandi meriti, non riesco a considerare serie le accuse mosse a lui (molto più severo sono con la moglie, ma questo è un altro discorso)




Grazia Morisi
Alberto Levy certo che allora basta che io ti incrimini che tu sei gia' spacciato. non c'entra niente vero che io voglio farti fuori eh? ma dai per piacere

Elio Cabib
Alberto Levy non è così, c'è la presunzione di innocenza, perché dovrebbe dimettersi? Lui è convinto di essere innocente, oppure che le accuse contro di lui non siano da dimissioni.

Alberto Levy
se non c'erano ragioni per incriminare, non l'avrebbero fatto. Mendelblitt e' un legale scelto da Netanyahu, e' un legale che non si e' mai opposto a Netanyahu, se ha deciso di processarlo, significa che c'e' abbastanza materiale per farlo. Io credo che Netanyahu abbia influito sul mercato azionario (cosi' il direttore generale di una grossa organizzazione israeliana mi ha spiegato) aiutando Alowich ad evitare la bancarotta, e questo non e' legale.


Alberto Levy
e perché Netanyahu ha detto che Olmert non può fare il primo ministro se incriminato ?

Daniela Rella
Alberto Levy Olmert è stato condannato in via definitiva, cioè è colpevole di quanto imputatogli. Netanyahu è innocente fino a sentenza definitiva, che può essere anche un’assoluzione (e infatti io penso che così sarà). Se si impedisse ad un politico l’accesso ad un incarico solo per un’accusa pendente, un giudice potrebbe decidere a chi stroncare la carriera, magari con un’accusa poco fondata che lui stesso sa che non porterà ad una condanna. Comunque anche Gantz ha una denuncia pendente. Quindi anche lui dovrebbe essere escluso dal confronto politico. Allora che facciamo, permettiamo alla magistratura di decidere chi governerà il Paese?


Alberto Levy
Daniela Rella quando Netanyahu aveva detto che Olmert avrebbe dovuto dimettersi, non era neanche stato incriminato ed era solo un sospettato.
Su di Ganz non e' stato ancora aperto nessun processo legale. La prima udienza del processo Netanyahu sara' il 17.3.20


Alberto Levy
Elio Cabib non viene chiesto di dimettersi, ma di ritirarsi dal tentativo di creare un governo. Se si ritirasse il governo sarebbe pronto in 10 minuti, ed il bene del paese lo richiede.


Daniela Rella
Alberto Levy comunque su Gantz pende un’accusa mica da ridere. Se la questione è etica, e non può che essere tale, dato che Netanyahu non ha alcuna condanna sul groppone, allora, sempre per considerazioni etiche, Gantz si deve ritirare. Andiamo avanti così e vediamo il prossimo candidato al ruolo di Primo Ministro se piace o no ai magistrati. Se non piace, imbastire qualche accusa non è certo un problema. Il problema è arrivare ad una condanna.

Daniela Rella
Alberto Levy e perché dovrebbe farlo? Ha vinto le elezioni! Vorrà dire qualcosa la volontà popolare o no? Queste elezioni sono state trasformate in un referendum su di lui e lui ha vinto. Perché mai dovrebbe farsi da parte? Gli israeliani in maggioranza vogliono lui e non Gantz.

Alberto Levy
Daniela Rella è la terza volta che non riesce a formare un governo. È una vittoria strana. I partiti ultraortodossi che non fanno il militare vogliono continuare a non farlo. Lieberman dice giustamente : ora basta - anche gli ultraortodossi devono fare il militare come combattenti e non saranno loro a stabilire chi è un ebreo e chi non lo è. Troppo semplice dire che chi non ha la madre ebrea e fa il militare non sarebbe ebreo. Sono loro, gli ultraortodossi, a rovinare le cose nel paese, perché non vogliono arruolarsi.


Daniela Rella
Alberto Levy è un argomento serio che condivido. Quello che non condivido è il tentativo di stravolgere il voto popolare, che gli oppositori di Netanyahu hanno (secondo me stupidamente) trasformato in un referendum su di lui. E che lui ha vinto. Le difficoltà a formare un Governo le ha lui ma ancor più grosse le hanno i suoi oppositori, perché nessuno vuole allearsi con i partiti arabi. Di certo non Lieberman.


Alberto Levy
Lieberman rappresenta gli ebrei venuti dalla Russia e dall'ex URSS, il suo è un partito DI DESTRA.


Alberto Levy
accusare Lieberman di essere di sinistra è una specie di bestemmia. Il meretz, avoda' ghesher, sono di sinistra, Lieberman è di centro destra


Daniela Rella
Alberto Levy appunto. Quindi, anche se ora occhieggia a Gantz pur di colpire Netanyahu, difficilmente lo appoggerebbe in un Governo, soprattutto se volesse includere i deputati arabi (cosa che mi pare impossibile).

Alberto Levy Lieberman
si è rotto le scatole dei ricatti dei partiti ultraortodossi. Troppo comodo stare in Israele e non fare la zava'. Si poteva accettare questo quando erano pochi. Ma ora sono una marea e hanno ..."rotto"


Daniela Rella
Alberto Levy sono d’accordo sugli ultraortodossi. Ma mi pare che tu sia d’accordo con me nell’escludere una sua alleanza con la Sinistra e men che meno con gli arabi. Però per silurare Netanyahu va a braccetto con Gantz. Brutto spettacolo.


Alberto Levy
e neanche Ganz, Ashkenazi e Yaalon sono di sinistra, erano i capi maggiori dell'esercito, ruolo che Bibi non ha mai svolto. Yaalon era del likud.

Alberto Levy
silurare ? È Netanyahu che sta ricattando il paese da un anno


Daniela Rella
Alberto, si è presentato alle elezioni e ha vinto! Dai, questa è la democrazia. Può non piacere, lo capisco, ma la volontà popolare va rispettata.


Alberto Levy
Netanyahu da anni evita di entrare con l'esercito a Gaza, quindi chi sarebbe di destra o di sinistra ? La differenza tra dx e sx in Israele non sono nette come in Italia.


Alberto Levy
non ha vinto perchè per la terza volta non riesce a formare il governo, inoltre adesso dovrà passare molto tempo in tribunale. Che sia colpevole o no, non lo stabiliamo noi, né gli elettori.


Daniela Rella
Alberto Levy infatti. E per ora nessuno ha stabilito nulla. Quindi lui è un uomo libero. Se non ha vinto lui, di certo ancor meno hanno vinto i suoi oppositori. Ora la saluto perché le posizioni sono chiare e iniziamo a ripeterci. Ben inteso, rispetto la sua opinione.


Elio Cabib
Alberto Levy ho detto dimettersi ma intendevo non candidarsi. Quale governo pronto in 10 minuti? Quello con gli arabi e Lieberman che non pò vedé?

Josef Jossy Jonas
Non so se considerare Libermann un politico di mezza tacca. Ci vuole coraggio per mandare a quel paese i religiosi e togliere loro la Kitzba’.
Certo che fare fuori Bibi con una legge ad Hoc è una vergogna. Su questo non ci sono dubbi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2020 3:44 pm

GETTARE LA MASCHERA
Un po' di chiarezza finalmente! Lieberman appoggia Gantz primo ministro.
Ecco l'inevitabile, ulteriore tassello.
Niram Ferretti
5 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Ricapitoliamo.

Netanyahu, malgrado le accuse che gli sono rivolte e un processo pendente, viene votato dagli elettori e arriva alla soglia della maggioranza, mancandogli solo due seggi. Allora che succede?

I perdenti decidono di farlo fuori presentando una legge che dichiari incostituzionale un premier incaricato che sia anche imputato. Roba che neanche nel Centro Africa di Bokassa.

Ora il transfuga Lieberman, il quale sfilandosi dalla prima vittoria di Netanyahu l'aprile scorso ha di fatto aperto la crisi che ha portato Israele a ben tre elezioni in meno di un anno, si allea con Gantz e propone il perdente della coalizione Bianco Blu come premier.

Al confronto, diciamolo, abbiamo dignità da vendere.




Emanuel Segre Amar
Soliti squallidi personaggi che non conoscono il significato della democrazia, che non capiscono che il popolo si esprime in un modo solo che va capito (e non è difficile capirlo)
Che poi si alleino coi peggiori partiti della coalizione araba è un po’ come se si alleassero col gran muftì, l’alleato di Hitler.


Fabrizio Piola
Il problema che si sta facendo realmente spaventoso è che Israele con una società profondamente spaccata in clan ideologici senza più ponti di comunicazione tra loro non può permettersi di essere una Democrazia priva di una Carta Costituzionale regida. Adesso è troppo tardi. Non esiste infatti più l'indispensabile "clima costituente" fatto di gruppi che sono disposti tutti a concedere qualcosa per potersi dare regole condivise per il bene comune. In un paese parlamentare normale leggi del tipo di quella che ora vogliono far passare con un colpo di mano sarebbero LEGGI COSTITUZIONALI O DI RILIEVO COSTITUZIONALE cioè che richiedono per passare più letture e maggioranze qualificate che si avvicinano all'unanimità, tipo 2/3 o 3/4. Così fosse non ci avrebbero nemmeno pensato. E la Magistartura, in assenza di un analogo del CSM si dovrebbe accontentare del suo potere di lettura finale definitivo delle norme: cioè del fatto (naturale) che alla fine la legge dice quello che il giudice dice che la norma dice. Data la natura potenzialmente letale di questi poteri nelle Costituzioni Democratiche i poteri dei giudici sono strettamente controllati e scrutinati da un organo misto politico/giudiziario di controllo sotto la presidenza del Garante dell'Unità Nazionale. Anche il potere/diritto di fare politica in partiti o schieramenti associativi di natura politica viene fortemente limitato nelle Costituzioni Democratiche, con leggi e norme costituzionali che la prima maggioranza di passaggio non può cambiare. a piacimento. In Israele invece la Magistratura è ormai un Partito Illegale che ha riservati per sè poteri speciali, non viene eletto dal corpo elettorale e può liberamente schierarsi contro certi partiti e contro l'esercito, esattamente come sta facendo ora. Il BUCO GIUDICO che abbiamo al posto di una Costituzione ci costerà carissimo e potrebbe causare il crollo stesso dello Stato di Israele come prospettiva drammaticamente attuale e tutt'altro che di scuola o futuribile.


Niram Ferretti
Difficile che questo accada perchè avrebbero bisogno della Lista Araba.

Fabrizio Piola
Pensi che e questo li fermerebbe davvero in ultima analisi Niram? Se alla stretta finale fossero costretti ad arrendersi al risultato delle urne o a fare il golpe bianco del secolo non stringerebbero la mano insanguinata degli arabi sdoganandoli come "diversamente progressisti" nel quadro di un "più moderno e politicamente corretto pluralismo democratico"??? E' come la fiaba della rana e dello scorpione che decidono di passare insieme il guado. E lo scorpione la punge ed entrambi affogano. Perchè l'hai fatto chiede la Rana. Lo Scorpione risponde "Perchè questa è la mia natura". Il rancore sordo di Lieberman verso Netanyahu è gigantesco quanto il suo Ego. Sarà lui a perderci tutti in questa pazzia insensata.


Niram Ferretti
Fabrizio diciamo che gli costerebbe molto perchè sia Gantz che Lieberman fanno leva, come sai, su un elettorato che non vuole saperne di coalizioni con gli arabi, soprattutto il secondo. La cosa vomitevole infatti è che gli arabi andrebbero bene strumentalmente per varare una legge anti Netanyahu ma pero' non sarebbero potabili come alleati,


Fabrizio Piola
Spero molto che tutto vada come prevedi tu. Negli scenari di maretta ma di sostanziale unità nazionale andrebbe così. Tipo dopo Oslo ed anche dopo Rabin, Ma qui siamo probabilmente nella Tempesta Istituzionale Perfetta e le regole del passato potrebbero saltare. E la gente farsi trascinare in un impasto di fake news manipolazioni e personalizzazione estrema della politica. Assistiamo quindi con ansia e preoccupazione agli sviluppi. Contro questi figuri ci vorrebbe Netanyahu. Ma non BIbi. Ci vorrebbe Joni.


Daniela Rella
E Lieberman non accetterebbe un Governo con la lista araba. Mi pare più probabile che il Likud, che fino ad ora ha mostrato compattezza intorno a Netanyahu, si sfarini con una frangia disposta a collaborare per eliminare Netanyahu dalla scena. Dopo di che , tutti felici e contenti, formino con i Bianco Blu e Gantz primo ministro un Governo che esclude sia gli arabi che i religiosi. Seggi ne avrebbero in abbondanza. A Lieberman un bel Ministero di quelli pesanti e il gioco è fatto. Bisogna vedere come se la gioca Netanyahu che di certo non sta a guardare.


Niram Ferretti
Daniela il Likud non credo che si sfarinerà per il semplice motivo che non lo ha fatto precedentemente quando aveva molto più senso farlo. Netanyahu è riuscito a riconsolidarlo ulteriormente e oggi, di fatto è il primo partito israeliano. Il piglio cesarista di Netanyahu, che in passato ho criticato, ha reso il partito una sua formidabile estensione. Ma sono d'accordo sul fatto che nè Gantz nè Lieberman possono pensare di formare un governo con la Lista Araba, sarebbe la loro fine politica. Resta dunque sul campo l'opzione della transumanza dal centro sinista a destra o nuove elezioni.

Fabrizio Piola
È quello che prevedevo come normale ieri sera. Più testate israeliane hanno perfino fatto già i nomi. Questo risolverebbe per il presente. In futuro però i nodi critici su cui mi sono soffermato sopra in assenza di una Costituzione formale rigida e rivedibile solo con procedure aggravate sono come una bomba batteriologica col timer innescato ormai. E non vedo come uscirne. Netanyahu-Bonaparte non può durare nè all'infinito ma neanche molto. Il suo detestabile cesarismo è largamente colpa dell'irresponsabilità dell'opposizione che non consente al Popolo Israeliano di affidarsi fiduciosamente ad una salutare alternanza. ed al nanismo imbarazzante dai wannabe leaders of tomorrow nel LIKUD.

Ferruccio Bovio
Niram Ferretti , però i cimiteri sono pieni di uomini indispensabili...se Netanyahu accettasse di fare anche solo un temporaneo passo indietro ( in attesa di tempi per lui migliori ) e lasciasse spazio ad un altro esponente del del suo Partito ( in tutto il Likud ci sarà ben qualche esponente in grado di fargli da contro figura ), Israele si troverebbe finalmente ad essere governato da una coalizione che , numericamente, rappresenterebbe molto meglio l'unità nazionale...soprattutto, rispetto a quegli ultimi governi striminziti, apparsi quasi sempre ostaggio dei ricatti avanzati da partitini abituati a farsi pagare a peso d'oro quei due o tre voti di cui dispongono...


Fabrizio Piola
Nel LIKUD purtroppo al momento, è un fatto oggettivo, c'è quasi il deserto. E' un momento storico. Possiamo recuperare i settlement ebraici in west bank e siamo attaccati da tre parti contemporaneamente. Non è scenario per apprendisti.

Niram Ferretti
Ferruccio Bovio tempo fa scrissi che secondo me era arrivato il tempo per Netanyahu di arretrare, lo vedevo con le spalle al muro e ritenevo che avrebbe dovuto lasciare spazio a qualcun altro. Gideon Saar ha cercato di accreditarsi come successore (è tempo che ci prova). Ricorderà che ci furono le primarie all'interno del partito e che Netanyahu le vinse con ampio scarto. Il partito vuole lui e lui non vuole cedere e non cederà. Gli va dato atto di avere consolidato il Likud che non solo non ha perso voti ma li ha aumentati. E la cosa più importante è che continua ad avere il consenso popolare. È un combattente abile e politicamente spregiudicato che sta cercando di rimanere in sella e lo fa con grande determinazione. Netanyahu ha già tentato alle ultime elezioni a settembre di formare un governo di larghe intense ma Gantz è stato indisponibile. Gantz non è riuscito mai a sfondare nonostante il buon riscontro elettorale. Netanyahu continua sempre a rimontare.

Fabrizio Piola
Da quando inoltre esiste la Legge della Nazione, lo status dei cittadini israeliani arabi - musulmani o cristiani che siano - o gli ultrereligiosi che non riconoscono lo Stato pur accettando di buon grado il sussidio, deve essere per motivi di sicurezza configurato a parte, in modo Costituzionalmente rilevante. La nostra situazione geopolitica nella regione mediorientale ci configura più o meno nella posizione della maggioranza assoluta Unionista protestante nell'Irlanda del Nord. Piaccia o meno, non è questo il punto. È necessario porre l'obbligo a TUTTI i cittadini - come in Nord Irlanda accade per accedere al Pubblico Impiego - (mutastis mutandis) di giurare lealtà e fedeltà allo Stato Nazione Ebraico. Come del resto GIÀ FANNO TUTTI I MILITARI. Chi presta giuramento è abilitato alla pienezza dei diritti. E risponde di ciò che fa, anche al limite sapendo che se è sleale c'è il rischio dell'imputazione penale per Alto tradimento con tutte le conseguenze. Coloro che non lo facciano PER QUALSIASI MOTIVO RISPETTABILE O MENO (religiosi ebrei o arabi pro-palestina ed anti-Israele in soldoni probabilmente) acquisirebbero uno status che verrebbe regolamentato da Parlamentini per cui possono votare solo loro che sono i diretti interessati, assemblee che abbiano funzioni micronormative sulle materie di esclusivo interesse e che consultivamente mandino una volta all'anno le loro deliberazioni alla Knesset che leggerebbe, discuterebbe e delibererebbe sul testo in una sessione speciale annuale dei suoi lavori. Sarebbe nazista? scandaloso? una fragrante violazione dei diritti dell'uomo? Beh, allora la Norvegia sarebbe uno stato-canaglia perché i rapporti con i suoi Sami (Lapponi di lingua ugro-finnica e di religione animista) li regola esattamente così eppure vede cordialissimi rapporti fra lo Storting (nazionale) ed il Parlamento Lappone di Kautokeino (Sami only). Facessimo qualcosa di simile addio a Naturei Karta, resistenze alla leva, ingerenze religiose nella vita laica e dei cittadini di quelli di altre religioni presenti nel paese, ai partiti arabi che lavorano per la distruzione di Israele sedendo in Parlamento stipendiati dalle tasse del popolo d'Israele, politici irresponsabili e amorali che non potrebbero più utilizzare queste frangeestreme e non leali per i loro scopi in un senso o in un'altro. Basta comportarsi da idioti buonisti per far piacere ad un'Europa che tanto ci odia da sempre e a prescindere.

Andrea Di Lazzaro
Fabrizio Piola bellissimo faro acceso sulle contraddizioni di uno Stato che ammiro profondamente. La Libertà può essere garantita solo dalla lealtà dei cittadini nei confronti dello Stato che ha dato loro ospitalità o cittadinanza a qualunque titolo. La religione deve rimanere fuori.

Anna Alcini Rigato
Daniela Rella A me pare giustissimo il ragionamento di Fabrizio Piola e mi stupisco che chi non giura lealtà e fedeltà allo Stato (in questo caso Israele) possa sedere in parlamento e deciderne le sorti. Sull'accusa di apartheid poi niente di nuovo, lo fanno da sempre e continueranno a farlo anche se diventasse primo ministro un arabo.

Ema Bolo
Lieberman aveva dichiarato che Ysrael Beiteinu non avrebbe fatto parte di un governo in cui fossero presenti anche liste arabe, cosa condivisa da gran parte dei suoi elettori, chissà come farà a giustificare un voltafaccia del genere.



Alberto Pento
Speriamo che i servizi israeliani siano a conoscenza di qualche scheletro nell'armadio di Ganz o di Lieberman e soci e che lo tirino fuori a sorpresa.

Daniela Rella
C’è già un’accusa contro Gantz, bell’e pronta: di aver ha usato fondi delle forze armate destinate all’acquisto di armamenti e di averli usati per la costruzione di una nuova sede per lui, quale capo di stato maggiore.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2020 3:46 pm

Attenzione a non trarre conclusioni affrettate
Nonostante il suo innegabile successo personale, se Netanyahu non arriva a 61 seggi la situazione torna al punto di partenza
Di Yossi Beilin
6 Marzo 2020

https://www.israele.net/attenzione-a-no ... affrettate

Negli ultimi anni i proclami di vittoria dopo la pubblicazione degli exit poll e delle prime proiezioni sono diventati uno spettacolo sostanzialmente prevedibile, anche se di volta in volta coloro che sono stati lesti a dichiarare vittoria spesso alla fine della settimana si ritrovano con risultati finali che non corrispondono a ciò speravano. Si potrebbe pensare che il primo a dichiarare vittoria sia colui che l’ha ottenuta, o che è capace di creare la percezione pubblica che l’abbia ottenuta, ma non è così.

Quella a cui abbiamo assistito lunedì scorso è stata senza dubbio una vittoria personale per il primo ministro Benjamin Netanyahu. Chi aveva preparato il necrologio della sua carriera politica, o aveva pensato che non avrebbe più riguadagnato il favore del suo pubblico dopo essere stato formalmente incriminato, ha visto la fenice rinascere per l’ennesima volta senza mai prendersi una pausa fra comizi elettrizzanti, interviste su ogni possibile emittente, video personali girati persino nel cortile di casa: finché è riuscito a convincere tutti i potenziali elettori di Likud che pensavano di non votare a uscire di case e recarsi ai seggi.

Ma da quando Netanyahu ha perso il partito Israel Beiteinu di Avigdor Lieberman come componente naturale del blocco destra+religiosi ultraortodossi, la battaglia per una vera vittoria è diventata per lui molto più ardua. Non è più sufficiente che il Likud torni ad essere il partito più votato o il blocco destra+ultraortodossi si affermi come quello con più seggi alla Knesset. La battaglia oggi è per il 61esimo seggio, e senza quel seggio Netanyahu dovrà comunque fare i conti con un contro-blocco che – per quanto disunito e dunque non in grado di formare una coalizione alternativa – detiene tuttavia la maggioranza dei seggi e potrà impedirgli di creare il suo governo.

La 23esima Knesset: i seggi suddivisi per liste e per blocchi pro e contro Netanyahu (clicca per ingrandire)

Finché il conteggio finale dei seggi speciali non sarà terminato e non saranno annunciati i risultati definitivi, nessuno può realmente parlare di “grande vittoria” né può escludere che si possa profilare un quarta tornata di elezioni anticipate. Discettare di possibili defezioni da un campo all’altro è puramente teorico: questa possibilità venne sollevata anche dopo le due precedenti votazioni di aprile e settembre, ma quelle voci non si sono avverate. In altre parole, se nei prossimi giorni arriverà la conferma che nella 23esima Knesset Netanyahu non ha ottenuto 61 seggi, lo scenario politico tornerà ad essere lo stesso che si aveva dopo l’elezione della 21esima Knesset lo scorso aprile.

Quando Lieberman annunciò a sorpresa che non avrebbe più preso parte a una coalizione insieme agli ultraortodossi, Netanyahu fece la sua contromossa a sorpresa e mise in moto la macchina per le elezioni anticipate ancor prima di informare il presidente Reuven Rivlin che non era in grado di formare una nuova coalizione. Dopodiché Israele si è logorato in altre due tornate elettorali, e la sensazione è che una quarta tornata sarebbe una di troppo.

Una situazione che vedesse il blocco di Netanyahu senza i fatidici 61 seggi sarebbe una situazione in cui nessuna delle parti ha vinto, nonostante il suo eccezionale successo personale: una situazione in cui anche coloro che finora si sono opposti con più veemenza all’idea di un governo di unità nazionale dovrebbero ricredersi e invocarlo a gran voce.

(Da: Israel HaYom, 4.3.20)




Le Likoud demande une enquête pénale contre Lieberman
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Marc
Mar 6, 2020

https://www.jforum.fr/le-likoud-demande ... qt6t1tA5Wk

À la suite des témoignages entendus lors du procès qui est toujours en cours, le Likoud a déposé une requête auprès de la Cour suprême pour ouvrir une enquête contre Avigdor Lieberman concernant son implication présumée dans l’affaire 242. Le Likoud souhaite également si nécessaire, enquêter sur un événement de changement de classification du statut des terres dans lequel Lieberman était impliqué.

Le Likoud a déposé jeudi une requête auprès de la Cour suprême pour ouvrir une enquête pénale contre le député Avigdor Lieberman pour son implication présumée dans l’affaire ” Yisrael Beiteinu “.

De même, le Likoud demande, si nécessaire, à ce qu’on enquête sur la situation des deux fils du député Lieberman auprès de l’entrepreneur Moshe Isaiah à Moscou. Après cette réunion, le ministère de la Défense, dirigé par le ministre de la Défense de l’époque, Avigdor Lieberman, a retiré son opposition au changement de la classification des terres appartenant à M. Yeshayahu, transformant une zone définie comme zone à risque d’incendie à une zone qui pourrait être constructible. Le Likoud demande de vérifier immédiatement s’il existe un lien entre la réunion avec Isaiah et le retrait de l’opposition du Ministère dirigé par Lieberman.

Yisrael Beiteinu a réagi de manière surprenante à la demande du Likoud d’ouvrir une enquête contre Lieberman et a lancé une longue lignée d’émoticônes rieurs:


L’affaire “Israel Beitanu” est une affaire de corruption publique dans laquelle un grand nombre d’élus et de membres du parti Israel Beitanu ont été condamnés pour corruption et abus de confiance. Dans le cadre de l’affaire, les élus ont alloué des budgets de l’État à des entités privées et à des particuliers en échange de pots-de-vin et d’obtention de biens apparemment agréables. L’une des personnalités associées à l’affaire est Faina Kirshenbaum, dont le procès est toujours en cours et n’a pas été condamnée.



Israele, "incriminate Lieberman" accusa: corruzione e riciclaggio - esteri
La polizia ha raccomandato la messa in stato d'accusa del leader dell'estrema destra
Se il procuratore generale l'accorderà dovrà dimettersi dal ruolo di ministro degli Esteri
È sospettato di avere inncassato tangenti, occultando il denaro sul conto cipriota della figlia
Si difende: "Contro di me e il mio partito una persecuzione che dura da 13 anni"
2 agosto 2009

https://www.repubblica.it/2009/08/sezio ... agato.html


GERUSALEMME - La polizia israeliana ha raccomandato oggi al procuratore generale dello Stato l'incriminazione del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, leader del partito di estrema destra Israel Beitenu.

Secondo quanto ha riferito la radio pubblica, la polizia ritiene che vi siano prove sufficienti per incriminare Lieberman per i reati di corruzione, frode, riciclaggio di denaro, intimidazione dei testimoni e ostacolo alla giustizia.

Il ministro di Netanyahu è sospettato di aver adoperato il conto aperto dalla figlia Michal in un banca di Cipro per riciclare una gran quantità di danaro ricevuta da due uomini d'affari, un austriaco e un russo, in cambio di favori che gli avrebbe accordato tra il 2001 e il 2004 quando era ministro nel governo Sharon.

Lieberman era stato interrogato più volte dalla polizia israeliana, l'ultima ad aprile due giorni dopo avere prestato giuramento. In quell'occasione l'interrogatorio era durato più di sette ore e lui aveva respinto ogni addebito. Sostenendo, come aveva già fatto in passato, che le accuse fossero politicamente motivate, mosse da chi non ha gradito il risultato raggiunto dal suo partito nelle ultime elezioni, quando si è imposto come formazione emergente della scena israeliana dietro soltanto a Kadima e al Likud.

Il dipartimento per le frodi della polizia è ora convinto di avere tra le mani elementi sufficienti per la messa in stato di accusa e presenterà la documentazione nei prossimi giorni al procuratore generale dello Stato Menahem Mazouz che dovrà decidere se aprire un procedimento. In caso di incriminazione il ministro sarà costretto a lasciare il suo incarico.

Immediata la replica. Lieberman si è detto vittima di una persecuzione: "Per 13 anni - ha detto il ministro degli Esteri in una nota - la polizia ha condotto una campagna persecutoria contro di me.
Man mano che la mia forza politica e quella di Yisrael Beiteinu aumenta, si intensifica la campagna di persecuzione".



Lieberman risponde alle accuse "Se incriminato mi dimetterò" - esteri
Il ministro degli Esteri lascerebbe anche l'incarico di parlamentare
"Ma oggi tornerei ad agire esattamente come ho fatto in passato".
3 agosto 2009

https://www.repubblica.it/2009/08/sezio ... sioni.html


GERUSALEMME - Corruzione, frode, riciclaggio di denaro, intimidazione dei testimoni e ostacolo alla giustizia. E' lunga la lista di reati che la polizia israeliana contesta al ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il discusso leader del partito di estrema destra Israel Beitenu. Che oggi fa sapere che si dimetterà sia dal suo incarico istituzionale che da parlamentare se il procuratore generale Menahem Mazuz "deciderà di incriminarmi".

Liberman però non rinuncia a difendersi dall'accusa di aver riciclato del denaro ricevuto da due uomini d'affari in cambio di alcuni favori che avrebbe accordato loro tra il 2001 e il 2004, quando era ministro del governo Sharon.

Dopo aver parlato ieri di una "campagna di persecuzione" della polizia, oggi ribadisce: "Tornerei ad agire esattamente come ho fatto in passato. Se dopo una mia eventuale udienza dal procuratore generale, questi deciderà per la incriminazione, non c'è dubbio che rassegnerò subito le dimissioni", specificando che lascerebbe sia la poltrona ministro degli esteri, sia - in seguito - quella di leader di Israel Beitenu, oggi il terzo partito in parlamento e il secondo per importanza nella coalizione di Benyamin Netanyahu.

"Ma la mia valutazione - ha aggiunto - è che resterò nelle mie attuali funzioni anche fra un anno, anche fra due". A suo parere Israel Beitenu è destinato a rafforzarsi e a sorpassare, alle prossime elezioni politiche, la soglia dei 20 seggi, ossia un sesto del parlamento.




Israele: l'irresistibile ascesa di Avigdor Lieberman
23 settembre 2019

https://www.panorama.it/news/israele-li ... -lieberman


Come Bruto con Cesare, l'ex pupillo di Netanyahu lo ha defenestrato. Ma lo stratega amante di Pushkin non intende fermarsi qui. E punta alla poltrona di primo ministro.

«Tu quoque, Brute, fili mi!». L'espressione latina attribuita a Cesare sta rimbalzando sui media internazionali internazionali a velocità supersonica. Ma con due diversi protagonisti: il quattro volte premier Benjamin Netanyahu nei panni di Cesare e Avigdor Lieberman, il suo ex protegé, nei panni di Bruto.
«Avigdor Lieberman, il Bruto che vuole la pelle di Benjamin Netanyahu» si legge sul sito francese L'Opinion, che dedica un'analisi alla «crisi post-elettorale che assume i contorni di una tragedia». Riferendosi sempre all'ipernazionalista laico a capo del partito Yisrael Beitenu, il quotidiano parigino Libération parla del «Rasputin di Netanyahu trasfigurato in Bruto». Il sito Worldisraelnews si chiede: «Quando arriverà il momento Bruto? Il momento in cui Bruto ammazza Cesare?» E già il 2 giugno l'agenzia di stampa Bloomberg parlava di «un Bruto emergente».
Ne ha fatta di strada l'ex fedelissimo di Netanyahu, che aveva cominciato a lavorare per l'enfant prodige del Likud controllando che le sue camicie fossero ben stirate affinché potesse cambiarsi fra un incontro e l'altro. Nato 61 anni fa nella sovietica Chisinau, in Moldova, l'amante di Pushkin è emigrato in Israele nel 1978.
Grande e grosso, ha cominciato facendo il buttafuori nelle discoteche. Ora butta fuori i primi ministri. Come ha scritto il quotidiano israeliano Haaretz: «I politici e gli analisti politici israeliani hanno osservato con incredulità – e in definitiva con ammirazione – il manovrio che ha trasformato il Lieberman nato in Moldova nel kingmaker» della politica israeliana. Non solo. Come osservano vari analisti, l'ex braccio destro di Netanyahu, che dopo 41 anni nella Terra promessa ha un pesante accento russo, sta gettando le basi per una candidatura alla carica di primo ministro.
Ma come ha fatto questo sulfureo self-made-man a diventare la stella nascente dell'empireo israeliano? Fuori Israele, sinora Lieberman era noto per la sua immagine di falco oltranzista, politicamente ultra-scorretto. Non trascurabili neanche i suoi guai con la giustizia: è stato indagato per anni per reati che vanno dalla corruzione alla frode, dal riciclaggio di denaro sporco all'intimidazione dei testimoni e all'ostacolo alla giustizia. Un buon numero di membri del suo partito sono stati incriminati e alcuni sono persino finiti in carcere. Ma Avigdor, contrariamente a tutte le previsioni, alla fine è stato assolto da ogni accusa.
Un curriculum tutt'altro che invitante per un aspirante primo ministro. In realtà, questa è solo una faccia della medaglia che compone l'enigma Lieberman. Il bulldozer della Knesset non è solo un ultrà rozzo e spregiudicato: è molto altro. Anzitutto, come rivela un approfondito saggio scritto per la rivista statunitense The Atlantic dall'ex ambasciatore israeliano negli Usa Michael Oren, Lieberman è un raffinato stratega.
Il diplomatico, che ha lavorato con il leader politico quando quest'ultimo era ministro degli Esteri, ricostruisce le tappe della sua ascesa. Lasciò l'Urss a 20 anni, sfruttando un fugace allentamento delle severissime restrizioni sovietiche all'emigrazione. Appena arrivato in Israele, Evet Lvovich Lieberman ebraicizzò subito il suo nome in Avigdor. Studiò scienze politiche e sposò Ella, un'altra immigrata moldova. Essendo figlio di uno scrittore esiliato da Stalin per sette anni in Siberia, fece subito una netta scelta di campo: divenne un attivista di destra.
Fu così che, una decina di anni dopo l'Alyiah, fece l'incontro che gli cambiò la vita. Non potevano essere più diversi Lieberman e Netanyahu, cioè il barbuto immigrato rauco nato nella provincia di un impero dissolto e il raffinato Sabra (così si chiamano gli ebrei nati in Israele, in contrapposizione con gli immigrati), laureato al Mit di Boston, che aveva servito cinque anni in un'unità di élite delle forze speciali israeliane.
«Questo fu il primo esempio del genio politico di Lieberman nell'identificare e cogliere le opportunità» osserva l'ambasciatore Oran. Sfruttando la luce riflessa di Netanyahu, l'ex buttafuori divenne prima direttore generale del Likud e poi, dopo le elezioni del '96, dell'ufficio del neo premier. In meno di 20 anni, il goffo immigrato era arrivato a occupare una delle posizioni più prestigiose dell'establishment israeliano.
Un anno dopo diede le dimissioni. Molti osservatori lo etichettarono come un suicidio politico. «Ma questi israeliani sottovalutarono la sua capacità di percepire l'arrivo di un altro colpo di fortuna» sottolinea il diplomatico. Gli anni Novanta avevano visto l'arrivo nella Terra promessa di quasi un milione di ebrei (o presunti tali) dai Paesi dell'ex Unione sovietica. Una migrazione che equivaleva a quasi un quinto dell'intera popolazione israeliana. Il giovane Avigdor colse l'occasione al volo: quella vastissima base elettorale in cerca di un leader, refrattaria alle ideologie di sinistra, poteva essere sua.
Detto, fatto. Nel '99 Lieberman fondò il partito Yisrael Beitenu, che 10 anni dopo arrivò a quota 15 seggi alla Knesset, diventando il terzo partito del Paese. Un'intuizione che lo portò a ricoprire innumerevoli cariche ministeriali: è stato ministro delle Infrastrutture nazionali, dei Trasporti, degli Affari strategici, degli Esteri, della Difesa e anche vice primo ministro.
Di pari passo, Lieberman rafforzò la sua reputazione come falco. «Il suo consulente politico statunitense, Arthur Finkelstein, lo consigliò di selezionare un nemico che gran parte della gente odiava e concentrarsi su di esso» continua l'ambasciatore. L'immigrato russo si concentrò sugli arabi. «Quelli che sono dalla nostra parte meritano molto, ma quelli che sono contro di noi meritano di farsi decapitare con un'ascia» tuonò contro di loro nel 2015, nei panni di un poco diplomatico ministro degli Esteri. Anni prima, nel 2006, subito dopo essere entrato nel governo di coalizione, era arrivato a proporre che i parlamentari arabo-israeliani della Knesset fossero «giustiziati» perché avevano osato incontrare Hamas per tentare di mettere fine alle tensioni.
«Tale populismo, brutale anche per gli standard israeliani, valse a Lieberman la reputazione internazionale di razzista» spiega il diplomatico. In realtà, pur professandosi a gran voce anti-arabo, Lieberman è l'unico politico di destra rimasto a favore della soluzione dei due Stati. E lo è al punto tale di essersi detto disposto, in caso di accordo, a evacuare la sua casa di Nokdim, l'insediamento di coloni nella West Bank dove vive dal 1988.
Nel frattempo, Lieberman si rese però conto che stava perdendo il suo zoccolo duro. Quando prese atto del fatto che i pensionati dell'ex Urss stavano invecchiando e che i più giovani non votavano più come russi, essendo diventati israeliani a tutti gli effetti, capì che doveva allargare i suoi orizzonti elettorali.
Di pari passo, rilevò anche il pericolo rappresentato dagli ultra-ortodossi. A causa della loro galoppante demografia, gli Haredim rischiavano di asservire la destra tradizionale, marginalizzando in particolar modo i russofoni, poco praticanti. Ma non è tutto. Secondo l'Istat israeliano, entro il 2065 un terzo degli israeliani saranno Haredim. Ma in quanto fedeli a una tradizione ebraica che risale al dono della Torah a Mosè, i giovani Haredim studiano i testi sacri anziché indossare l'uniforme. Un bel problema per un Paese che, vivendo un conflitto permanente, basa la sua difesa sui cittadini-soldati. «Da qui il suo ultimo cavallo di battaglia» osserva il quotidiano francese Libération. «la coscrizione degli Haredim».
Fedele all'insegnamento del suo spin doctor statunitense, il bulldozer della Knesset trovò l'ennesimo nemico. E una nuova base elettorale: i giovani di destra israeliani anti-Haredi. Come prima mossa staccò la spina al governo Netanyahu, spiegando che in quanto nazionalista laico non si sentiva più di appoggiare un governo basato sul sostegno di rabbini ultra-ortodossi e di coloni con venature «messianiche».
Apriti cielo! Da quel momento il vecchio falco ultra-nazionalista venne percepito dai laici come il duro che sa tener testa agli ultrà. Alle ultime elezioni del 17 settembre, puntando sui professionisti di Tel Aviv, sulla comunità finanziaria e degli affari, sugli startupper e sulle classi medie della costa, Lieberman è passato da cinque a otto seggi. E ora cerca di mostrarsi come l'artefice di un vasto governo «laico liberale» che includa, oltre al suo partito, anche Blu e bianco e Likud. Presentandosi, spiega Haaretz, «come un leader intransigente desideroso di battersi per i diritti degli israeliani laici, di fronte a quella che viene percepita come coercizione religiosa».
Non a caso, i suoi manifesti elettorali recitavano, in inglese: «Make Israel Normal Again» (Rendi Israele di nuovo normale). «Quanto potrà essere normale» si chiede in conclusione l'ex ambasciatore Oren, «con il principe dei paradossi come nostro primo ministro?». Ma è bene ricordare che Cicerone dedicò il suo trattatello I paradossi degli stoici proprio a Bruto.




CHI E' IL PIROMANE
Niram Ferretti
7 marzo 2020

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L'infamia di Benny Gantz sta raggiungendo livelli stratosferici. L'azzoppato generale a capo della coalizione Bianco e Blu non potendo accettare che Netanyahu abbia nuovamente vinto le elezioni si sta attivando per promuovere una legge che, con il consenso indispensabile degli antisionisti della Lista araba, inibisca a Netanyahu di diventare premier.

Ma non basta. No.

Ora accusa Netanyahu di volere creare un clima di violenza che potrebbe prefigurare un omicidio politico. Ovviamente tira in ballo l'assassinio di Rabin nel 1995.

Gli da manforte l'altro grande statista della coalizione, Yair Lapid, per il quale Netanyahu starebbe minacciando la guerra civile.

Nel clima già ammorbato generato dal Coronavirus un incendiario e un suo sodale accusano di piromania Netanyahu.

Ma come, il leader della coalizione perdente vorrebbe presentare a partita in corso una legge contra personam che rubi agli elettori l'esito delle elezioni, e poi accusa Netanyahu di volere incendiare il clima?

Non ha ancora capito, non hanno ancora capito, che chi ha votato Netanyahu e gli ha permesso di vincere le elezioni lo ha fatto nonostante sia imputato?

Non hanno ancora capito che per l'elettorato che gli ha dato ancora fiducia, queste accuse non sono tali da inibirgli di conservare la sua carica di primo ministro?

No, in realtà lo hanno capito benissimo, per questo vogliono rubare le elezioni perse e intestarsi la vittoria incendiando il clima e accusando Netanyahu di volerlo fare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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