Ixraełe e i migranti refuxanti, çentri de detension e muri

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Messaggioda Berto » mer set 02, 2015 7:15 am

Ixraełe e i migranti refuxanti, çentri de detension e muri
viewtopic.php?f=194&t=1817


En Ixraełe, paexe de łi ebrei, no łi acoje ki ke sipia tra ki ke scapa da i paexi musulmani ke łi sipia cristiani o xlameghi e nesuni se parmete de dirghe rasisti.
Coełi ke łi xe entrà sensa parmeso łi vien tegnesti in campi de detension e łi vegnarà tuti paravia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » mer set 02, 2015 7:23 am

Il Rwanda 'si prende' i migranti irregolari in Israele in cambio di accordi e denaro
04 aprile 2015
http://www.repubblica.it/solidarieta/im ... -111196421

La discussione tra i due governi è in fase avanzata. Centinaia di profughi, soprattutto sudanesi ed eritrei, saranno 'trasferiti' nel paese africano che sarà ricompensato con sovvenzioni da milioni di dollari

ROMA - Israele e Rwanda stanno mettendo a punto un accordo multimilionario che consentirà allo stato ebraico di espellere centinaia di immigrati sudanesi ed eritrei nello stato africano in cambio di accordi di favore e sovvenzioni da milioni di dollari. L'intesa è stata confermata nei giorni scorsi dallo stesso presidente ruandese, Paul Kagame, e dal ministro dell'interno israeliano, Gilad Erdan.

"Tra Ruanda e Israele ci sono discussioni - ha detto Kagame, citato dal settimanale The East African - e c'è un dibattito in Israele riguardo a questi africani che sono arrivati lì come in altri paesi europei. Alcuni di loro si trovano lì in modo illegale o con un status diverso". Da parte sua, il ministero israeliano ha espresso l'intenzione di "espellere gli immigrati dai centri di detenzione" e di incoraggiarli a "lasciare Israele in modo sicuro e dignitoso" verso determinati paesi africani che li regolarizzeranno. Erdan ha quindi precisato al quotidiano israeliano Yediot Ahronot che Israele è pronto ad offrire ai migranti un "pacchetto che include un volo e 3.500
Dollari, non un piccola somma in questi paesi. Riceveranno il visto e sarà consentito loro di lavorare".

Si stima siano circa 50 mila i migranti africani entrati in Israele prevalentemente dall'Egitto.
Molti richiedenti asilo si trovano nel centro di detenzione Holot, nel sud di Israele.
Negli ultimi anni, un nuovo muro eretto alla frontiera egiziana ha evitato nuovi arrivi.
Secondo The East African, il governo di Tel Aviv starebbe definendo un accordo simile anche con l'Uganda, di cui al momento non si hanno però conferme.
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Messaggioda Berto » mer set 02, 2015 7:32 am

Migranti. Da Israele alla brace - mercoledì 27 maggio 2015

Il governo di Netanyahu ha trovato il modo di spostare immigrati eritrei, sudanesi, etiopi e somali in Rwanda e Uganda. Complice un accordo segreto con i due paesi dei Grandi Laghi e un assegno di 3200 euro al migrante. Ma le nazioni d’accoglienza non sono accoglienti.
di Enrico Casale

http://www.nigrizia.it/notizia/migranti ... alla-brace


Il sistema ricorda le delocalizzazioni delle grandi multinazionali. Come le corporation portano all’estero le lavorazioni industriali per ridurre i costi di produzione, così Israele ha deciso di “esportare” i migranti verso altri paesi per non doverli più gestire sul proprio territorio. Il sistema, a lungo annunciato, è entrato in funzione da alcune settimane. Gerusalemme ha invitato eritrei, etiopi e somali a lasciare il paese, dando loro una somma di denaro e trasferendoli verso «stati terzi». Nessuno del governo di Benjamin Netanyahu ha detto esplicitamente di quali stati si tratti. Ma ormai, anche grazie alle testimonianze di alcuni migranti, si sa che sono Rwanda e Uganda.

Negli ultimi anni, Gerusalemme si è trovata a fare i conti con un flusso crescente di immigrati del Corno d’Africa. Centinaia di ragazzi e ragazze, risalendo Sudan ed Egitto, sono passati attraverso il Sinai (dove spesso sono stati vittime di torture e ricatti da parte dei passeur beduini) e sono arrivati in Israele. Gerusalemme, però, non vuole che africani di fede musulmana o cristiana si insedino permanentemente nel paese. In questo modo, infatti, si minerebbe l’ebraicità dello stato israeliano. Quindi non concede facilmente il diritto d’asilo e incarcera gli immigrati illegali.

Attualmente, secondo riporta il quotidiano israeliano Haaretz, vivono in Israele 42mila eritrei e sudanesi dei quali duemila detenuti nella prigione di Holot. Non potendo espellerli verso le nazioni d’origine perché Israele ha firmato accordi internazionali che impediscono il rimpatrio in nazioni che non garantiscono la tutela dei diritti umani, Gerusalemme ha firmato intese con Uganda e Rwanda affinché questi accolgano le persone espulse.

I contenuti degli accordi sono segreti ma, secondo un’inchiesta dalla rivista JeuneAfrique di Parigi, conterrebbero «sovvenzioni sull’acquisto di tecnologie israeliane, in particolare agricole» per un valore di «milioni di dollari». In una informativa fatta avere ai migranti, il ministro israeliano dell’interno, Gilad Erdan, pur mantenendo il riserbo sui nomi dei paesi ospitanti, ha scritto che si tratta di stati che «negli ultimi dieci anni hanno conosciuto una forte crescita economica» e «hanno creato opportunità lavorative non solo per i propri cittadini, ma anche per africani di altre nazioni». Nella stessa lettera specifica anche le condizioni offerte ai migranti nell’ambito di questi accordi, definiti ufficialmente di «rimpatrio volontario». A chi lascia Israele, viene pagato un biglietto aereo e gli viene dato un assegno di 3.200 euro. Quando il migrante arriva nella «nazione terza» (questa l’espressione utilizzata), sarà ricevuto «all’aeroporto e gli saranno fornite informazioni sulla vita nel paese» e «vivrà una vita decorosa, studierà inglese e avrà un buon lavoro»

Una comboniana denuncia
Ma è veramente così? No. A testimoniarlo sono gli stessi migranti che hanno accettato la proposta di Israele di essere trasferiti all’estero. «Ho sofferto molto per la mia decisione di lasciare Israele – ha dichiarato un eritreo. Quando sono arrivato in Rwanda, mi hanno subito sequestrato i documenti. Senza documenti non sei nulla, sei in balia di chiunque voglia approfittarne. Soprattutto di quelli che vogliono chiederti una mazzetta: poliziotti, funzionari, militari, ecc. Loro sanno che Israele ci ha dato i soldi e quindi ti obbligano a pagare, altrimenti ti arrestano. In Rwanda, ma anche in Uganda, i migranti non sono per nulla al sicuro».

E, infatti, molti di essi, dopo pochi giorni, riprendono il cammino: direzione Europa. «I soldi che posseggono – osserva Azezet Kidane, una suora comboniana che lavora in Israele nel sostegno ai migranti – vengono utilizzati per pagare i passeurs che li portano sulle coste del Mediterraneo e poi a Lampedusa. È un viaggio rischioso. Tre eritrei, cristiani, sono finiti nelle mani dei miliziani dell’Isis in Libia e sono stati uccisi».
Dopo 30 giorni dal ricevimento dell’informativa da parte dello stato, chi non accetta di lasciare Israele viene incarcerato a tempo indeterminato nel penitenziario di Saharonim. «Holot - osserva suor Azezet Kidane – è un carcere aperto dal quale i migranti possono entrare e uscire liberamente e nel quale possono tenere i propri telefoni cellulari. È sufficiente che firmino due volte al giorno un registro-presenze. Tanto è vero che molti di essi vanno in giornata a Tel Aviv o nei villaggi vicini. Saharonim invece è un vero e proprio carcere. I detenuti non possono uscire e possono comunicare con l’esterno solo attraverso i telefoni fissi dell’amministrazione penitenziaria». Per il momento ancora nessun migrante è stato portato a Saharonim. Si presume però che a breve l’autorità inizierà a farlo. «In quel caso - annuncia suor Azezet -, le organizzazioni che difendono i diritti civili faranno ricorso in tribunale contro la detenzione. A loro parere non esiste nessun fondamento giuridico che giustifichi il trasferimento in un penitenziario dei migranti».

Questo sistema di “esternalizzazione” dell’immigrazione si sta diffondendo anche al di là di Israele. Spiega Mussie Zerai, un sacerdote eritreo che si occupa dell’assistenza ai migranti: «Purtroppo è di questi giorni la notizia che anche l’Australia ha siglato intese simili con paesi poveri del Pacifico. Verso questi stati vengono dirottati i migranti che Canberra non vuole sul proprio territorio. Senza alcun rispetto per i diritti umani e i principi universali di accoglienza».
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Messaggioda Berto » mer set 02, 2015 7:40 am

Medio Oriente, migranti cercano di entrare in Israele, l'esercito spara Ci sarebbero due feriti, a seguito degli spari dell'esercito di Israele contro un gruppo di migranti che tentava di entrare nel territorio israeliano dal Sinai egiziano, nei pressi di Ketziot

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 53e32.html

01 agosto 2015 Una pattuglia militare israeliana ha sparato contro un gruppo di migranti provenienti dal Sinai egiziano mentre cercavano di entrare in territorio israeliano presso Ketziot (Neghev). Secondo la televisione commerciale Canale 2 ci sarebbero alcuni feriti, le cui condizioni non sono note. Lungo quel confine la tensione è da settimane molto elevata per una serie di attentati terroristici islamici avvenuti nel Sinai
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Messaggioda Berto » mer set 02, 2015 7:51 am

Israele, «depositi di bambini» per i figli dei migranti

Migranti. Gli africani sono costretti per necessità a lasciare i figli per tutto il giorno in asili nido improvvisati e privi di strutture minime dove le condizioni sono disumane: dall'inizio dell'anno sono morti cinque piccoli. Dal governo Netanyahu intanto nuovo giro di vite sull'immigrazione da Sudan e Eritrea
http://ilmanifesto.info/israele-deposit ... i-migranti

«Quando la sera vado a riprendere i miei due figli, non ho la certezza di trovarli vivi». È la frase agghiacciante pronunciata l’altro giorno da una giovane madre eritrea intervistata dalla radio militare israeliana.

Parole che descri­vono uno dei drammi più gravi che vivono tanti eritrei, sudanesi e altri migranti africani in Israele, costretti per necessità a lasciare i figli per tutto il giorno in asili nido improvvisati e privi di strutture minime. Sono dei “depositi per bambini” a tutti gli effetti, dove le condizioni sono disumane e pericolose: dall’inizio dell’anno sono morti cinque piccoli, l’ultimo, di soli 4 mesi, tre giorni fa. A lanciare l’allarme è una Ong locale, “Ali di Crembo”. I suoi volontari denunciano che in Israele ci sono decine di questi “depositi” che ospitano oltre 2000 bambini, su una popolazione di migranti eritrei e sudanesi di circa 42 mila persone. Bambini di fatto abbandonati a se stessi che sono stipati per ore ed ore in ambienti poco areati, quasi senza cibo, spesso con un unico pannolino per tutto il giorno. Una neonata è morta soffocata dal proprio biberon.

È interve­nuta anche la leader del partito Meretz, Zahava Galon, che ha la­ciato un appello al premier Netanyahu affinchè intervenga con urgenza. Ma è improbabile che l’esecutivo scenda in campo facendosi completamente carico della condizione di questi bambini, visto che ha imposto negli ultimi anni un giro di vite sull’immigrazione. Israele di recente ha ulteriormente irrigidito la sua posizione. I migranti africani, riferiscono i media locali, nei prossimi giorni saranno convocati e messi di fronte alla scelta se stabilirsi in Uganda o in Ruanda (con voli pagati da Israele e con assegni per far fronte alle prime necessità) oppure andare incontro alla deportazione con la forza. Si opporrà rischia di essere rinchiuso nel carcere di Saharonim, nel deserto del Neghev. Duemila africani si trovano già nella cosiddetta “struttura aperta” di Holot, di fatto un altro centro di detenzione per migranti sempre nel Neghev.

Nonostante le prote­ste dei centri per i diritti umani locali e internazionali, le autorità israeliane proseguono la loro politica. Secondo i dati del governo lo scorso anno 5.803 immigrati avrebbero scelto di “lasciare” Israele e di andare in Ruanda e Uganda. Resta incerta anche la condizione dei richiedenti asilo.

Israele negli anni passati ha riconosciuto questo status in pochissimi casi nonostante un numero elevato di migranti provengano da paesi sconvolti da gravi conflitti armati o dove sono sistematicamente violati i diritti umani. Le autorità invece ritengono che gli africani entrati illegamente nel Paese lo abbiamo fatto per cercare lavoro e non per sfuggire a guerre e persecuzioni. Le norme per le espulsioni perciò sono applicate spesso anche nei confronti dei richiedenti asilo.

Le risoluzioni delle Nazioni Unite obbligano gli Stati a rendere pubblici gli accordi di “trasferimento” dei richiedenti asilo e ad accertarsi che poi siano protetti nel paese di accoglienza. Tel Aviv al contrario continua a non rivelare i punti degli accordi con Ruanda ed Uganda. «Dubito che tali patti siano messi per iscritto. Gli stessi Stati coinvolti negano che ci siano delle intese», denuncia Oded Peler, responsabile per i migranti all’Associazione per i Diritti Civili «(gli espulsi) sono accolti in Paesi terzi senza avere uno status giuridico né la ras­sicurazione che non saranno consegnati alle autorità dei loro Stati d’origine. Israele è tenuto a comunicare quale è il prezzo che paga per potersi disfare dei richiedenti asilo, in soldi, in armi o in altri modi».

Se Israele lasciasse entrare e accogliesse tutti nel giro di pochi anni cesserebbe di esistere e gli ebrei dovrebbero emigrare in massa dalla loro terra. Fanno benissimo a difendere il loro spazio vitale con ogni mezzo è un loro diritto naturale e umano. È la loro terra!
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Messaggioda Berto » ven feb 16, 2018 10:21 pm

Israele: i richiedenti asilo vengono deportati nel campo di concentramento di Holot, nel deserto del Negev.
Elena Dorian
01/07/2017

http://www.altreinfo.org/israele/10723/ ... ena-dorian

Nel 2012 il governo Netanyahu ha approvato la legge anti-infiltrazione, la quale prevede che i richiedenti asilo arrivati illegalmente in Israele vengano imprigionati per tre mesi in carcere per poi essere deportati in un campo di concentramento situato nel deserto del Negev, dove rimangono da un minimo di dodici a un massimo di venti mesi. Si tratta di migranti che provengono dal Darfur, zona di guerra, e che per la maggior parte hanno diritto all’asilo per motivi umanitari.

Holot, Israele: campo di concentramento per richiedenti asilo.


E il diritto internazionale? Ma quale diritto… noi non siamo tenuti a rispettarlo
Questa legge è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Internazionale di Giustizia ed è stata modificata e rivista più volte dal governo israeliano, ma non nella sostanza. Ed ancora adesso i richiedenti asilo vengono incarcerati senza possibilità di scampo per poi essere deportati nel campo di Holot.

Holot, campo di concentramento e prigione per richiedenti asilo
Africani schiavi e richiedenti asilo nei campi di concentramento

In Israele, i migranti non hanno alcun diritto, nemmeno quello all’assistenza sanitaria. Sono tollerati finché fanno lavori in nero, sottopagati e senza alcun diritto. Non appena fanno richiesta d’asilo, vengono imprigionati e ammassati nel deserto. Le loro richieste non vengono mai accolte. Possono marcire nei campi di concentramento. Naturalmente, le aree sensibili, quelle da cui potrebbero arrivare i migranti, sono debitamente presidiate e difese. Gli israeliani hanno filo spinato in abbondanza. E si vede… non si fanno mancare nulla quando si tratta di combattere l’immigrazione clandestina.

Barriere anti-migranti
Una politica senza scrupoli

La politica di Israele è molto semplice. Tollerare gli africani quando lavorano in nero, imprigionarli se chiedono asilo, non accordare mai lo status di rifugiato, espellere i lavoratori in nero quando non fanno più comodo al sistema. Molto funzionale. I migranti vengono trasformati da un problema umanitario in una preziosa risorsa per l’economia locale, quasi a costo zero.
Le scuse per giustificare questo comportamento disumano sono semplici e lineari: “Tra i rifugiati ci potrebbero essere dei terroristi e quindi la prudenza è d’obbligo”.

Profughi provenienti dall’area sud sahariana e pericolosi terroristi (per Israele)
E dove vanno i migranti che non trovano asilo in Israele?
Dulcis in fundo. Il governo israeliano offre 3.500 dollari ai richiedenti asilo, a patto che se ne vadano con biglietto di sola andata per il proprio paese d’origine o per qualsiasi altro paese africano. Il governo non può deportarli, sarebbe contrario alle convenzioni internazionali, quindi si sbarazza di loro in un altro modo. Anche questo è molto semplice e lineare. Di accoglienza non se ne parla nemmeno.
E dove vanno i migranti rifiutati dagli israeliani o costretti alla fuga? In Italia naturalmente. Ce li ritroviamo tutti qui, raccolti davanti alle coste libiche dalle organizzazioni umanitarie finanziate proprio da uno di loro: tale George Soros. Che non siano d’accordo?

George Soros, il grande finanziatore dell’invasione di africani
Ma gli israeliani sono favorevoli all’immigrazione selvaggia…
È una cosa molto strana. Tutti i grandi teorici dell’accoglienza e della grande sostituzione etnica dei popoli europei, quelli che la finanziano, quelli che la giustificano, quelli che la pubblicizzano nei giornali e nei telegiornali come una cosa giusta, sono israeliani, o meglio israelo-ungheresi, israelo-francesi, israelo-italiani, israelo-statunitensi, e così via. Fanno dell’immigrazione selvaggia il loro cavallo di battaglia. Ma nessuno di loro chiede alla madrepatria Israele di unirsi a noi in questa grande battaglia umanitaria. Davvero strano.
E già. Forse ci sono altre motivazioni, ben diverse da quelle umanitarie.
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Ixraełe e i migranti refuxanti, çentri de detension e muri

Messaggioda Berto » ven feb 16, 2018 10:21 pm

Hanno ragione, non esiste alcun dovere ad accogliere chiunque e comunque. Israele è degli israeliani e non degli altri che vi entrano clandestinamente senza averne alcun diritto. L'accoglienza obbligatoria è solo una subdola e disumana forma di schiavitù. Ogni popolo ha il diritto e sopratutto il dovere di difendere la sua terra come ogni uomo la sua casa e la sua famiglia. A casa tua entra solo chi vuoi tu e non altri, se potessero entrare a piacimento altri e contro la tua volontà, non sarebbe più casa tua e tu non saresti più un uomo libero.
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Re: Ixraełe e i migranti refuxanti, çentri de detension e mu

Messaggioda Berto » ven feb 16, 2018 10:22 pm

Quale perduta felicità araba poteva esserci, per esempio, nella seconda metà dell’Ottocento, quando Mark Twain visitò quella che allora veniva chiamata Palestina e scrisse: «La Palestina siede su sacchi di cenere, desolata e brutta. Non abbiamo mai visto un essere umano sulla strada. Persino gli ulivi e i cactus, quegli amici sicuri di un terreno incolto, hanno per lo più abbandonato il Paese». E quale felicità fervida, sofferta, ricolma di tikvà, di speranza, e di avodà, di lavoro, non animava invece il cammino, non muoveva la mano dei Hovevei Sion, degli amanti di Sion, dei pionieri guidati dal medico Judah Leib e di Leon Pinsker, che a quella terra, resa desolata e povera nei secoli dalle dominazioni, restituivano con consapevolezza e memoria le sue radici, la sua florida bellezza ospitale, ricongiungendosi agli ebrei mai partiti da lì nelle generazioni, mai separati dalla terra d’Israele dove vivevano e testimoniavano la propria esistenza fra gli stenti, fra le devastazioni e le conquiste altrui, aspettando il ritorno del proprio popolo, di una promessa mai sopita nel dolore, nella persecuzione, nello sterminio.

Ariella Lea Heemanti
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063



L'infelicità araba secondo Tahar Ben Jelloun

http://www.linformale.eu/linfelicita-ar ... en-jelloun

Lo scrittore marocchino lo ha ripetuto anche stavolta, in un’intervista per la trasmissione Mediterraneo andata in onda su Rai 3 il 28 gennaio scorso: «L’infelicità araba risale al 1948, alla nascita dello Stato d’Israele, con il furto delle terre e le condizioni di prigionia in cui è tenuto il popolo palestinese».

Tahar Ben Jelloun ancora una volta comunica con sguardo malinconico e vellutatamente irato la menzogna che da cent’anni accompagna il mondo arabo nelle sue guerre contro Israele, nel suo odio, nel suo rifiuto.
Egli non ammetterebbe mai che la scusa scellerata con cui le masse islamiche sono state e sono ancora oggi tenute sì nell’infelicità e nella sua pietrificazione corrisponda al proclama che l’ex maestro di scuola Julius Streicher, leader del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, Gauleiter di Franconia ed editore del violento foglio antisemita Der Stürmer, rivolgeva al malcontento popolare e all’algida abnegazione ariana delle aristocratiche adoratrici del Führer: «Die Juden sind unser Unglück». Gli ebrei sono la nostra disgrazia, la nostra infelicità.
No. Per carità. Tahar Ben Jelloun scrive libri per spiegare a sua figlia il razzismo e il suo male. E il terrorismo. Persino l’antisemitismo. Tra una duna e l’altra dei suoi romanzi, della sua poesia, della sua ricerca dei volti, della differenza, del rispetto della condizione umana, non si sognerebbe mai di vedere accostato il suo pensiero sull’infelicità araba a quello propalato da “l’Assaltatore”, il settimanale dove lo sbaraglio della Germania, le sue responsabilità, le sue mortali illusioni e colpevolezze, i suoi torti, venivano trincerati nell’accusa agli ebrei di essere la disgrazia, i predatori dell’anima, della lingua, del suolo tedeschi. Eppure è così.

Quale perduta felicità araba poteva esserci, per esempio, nella seconda metà dell’Ottocento, quando Mark Twain visitò quella che allora veniva chiamata Palestina e scrisse: «La Palestina siede su sacchi di cenere, desolata e brutta. Non abbiamo mai visto un essere umano sulla strada. Persino gli ulivi e i cactus, quegli amici sicuri di un terreno incolto, hanno per lo più abbandonato il Paese». E quale felicità fervida, sofferta, ricolma di tikvà, di speranza, e di avodà, di lavoro, non animava invece il cammino, non muoveva la mano dei Hovevei Sion, degli amanti di Sion, dei pionieri guidati dal medico Judah Leib e di Leon Pinsker, che a quella terra, resa desolata e povera nei secoli dalle dominazioni, restituivano con consapevolezza e memoria le sue radici, la sua florida bellezza ospitale, ricongiungendosi agli ebrei mai partiti da lì nelle generazioni, mai separati dalla terra d’Israele dove vivevano e testimoniavano la propria esistenza fra gli stenti, fra le devastazioni e le conquiste altrui, aspettando il ritorno del proprio popolo, di una promessa mai sopita nel dolore, nella persecuzione, nello sterminio.

E furono quelli, semmai, a mano a mano, la felicità, il lavoro e il vivere ebraico che attirarono la maggior parte degli arabi palestinesi, che oggi rappresentano, agli occhi di un mondo cieco e degli esegeti dell’infelicità araba come Tahar Ben Jelloun, il corpo mistico della lotta contro Israele, l’ebreo fra gli stati, e del sogno empio del suo non esistere.
Tahar Ben Jelloun non lo ammetterebbe mai, ma con il suo malinconico sguardo di velluto che cela l’ira e il rifiuto, ripetendo l’idea che l’infelicità araba sia da ricondurre alla fondazione dello Stato d’Israele, egli ricalca lo slogan di Julius Streicher: «Gli ebrei sono la nostra infelicità». E in questa che in spagnolo si chiama mentira, in questa menzogna che da cent’anni accompagna la ragion d’essere, l’ostilità, il distruttivo fuoco arabo incapace di aprirsi una strada vitale all’interno di se stesso, nella propria vera storia di dominio, conquista e perdita e nel futuro, c’è la verità espressa così dalla Lega Araba all’indomani del Piano di partizione approvato dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1947: «Non accetteremo mai di dividere la terra con la natura corrotta della razza giudaica, che ha costretto le nazioni civili d’Europa, prima fra tutte la Germania, a espellerla e sterminarla».

Tahar Ben Jelloun non lo riconoscerebbe mai, ma la sua analisi dell’infelicità araba, che ha storicamente cause e ragioni ben diverse da quelle propugnate dalla mistica hitleriana del popolo arabo-palestinese autoctono, si inscrive in quella dichiarazione che era, a sua volta, il frutto malevolo di una predicazione coranica antigiudaica che solo quando fu messa da parte a favore di apertura, collaborazione e autentico rispetto della diversità e dignità umane diede temporaneo e isolato splendore all’Islam, e che nella guerra contro Israele ha trovato il suo fondamento attuale, sciagurato, con un vocabolario di sicuro paragonabile ai passi dello Stürmer per i quali Streicher venne condannato a Norimberga come autore di crimini contro l’umanità e che pure farebbero inorridire lo scrittore di Fès: «Se il pericolo della riproduzione di questa maledizione di Dio incarnata nel sangue giudeo deve finalmente terminare, esiste una sola soluzione, lo sterminio di queste persone delle quali il demonio è padre. Chiunque sia e qualunque cosa faccia un ebreo è una canaglia e un criminale e chiunque lo segua merita la stessa fine, annientamento, morte».

Sì, c’è del vero nella mentira, nella menzogna di Tahar Ben Jelloun. L’infelicità araba non nasce affatto con lo Stato d’Israele, ma la negazione dell’ebreo fra gli stati la rigenera, fortifica, la trasforma nella prigione di dura nera pietra che lo scrittore maghrebino accusa Israele di avere costruito intorno alle ambizioni degli arabi palestinesi. E se Franz Kafka, l’ebreo d’aria, ci ha insegnato che scrivere non è mentire, quali verità allora può sondare, portare alla luce con i suoi romanzi, con la sua poesia, tra le dune di sabbia, d’oro e d’ombre della sua scrittura, qualcuno che ancora oggi ripete, tra le righe di un discorso elegantemente antirazzista e nel proclama suadente di quale sia l’infelicità araba, che Israele, l’ebreo fra gli stati, è “la nostra disgrazia, la nostra infelicità”?
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Messaggioda Berto » ven feb 16, 2018 10:22 pm

Israele vuole espellere migliaia di migranti
lunedì 12 febbraio 2018

http://www.ilpost.it/2018/02/12/israele ... i-migranti

Tra molte critiche il governo ha iniziato a inviare avvisi di espulsione a più di 30 mila persone, che saranno portate in Africa

In questi giorni diversi giornali internazionali si stanno occupando del piano del governo di Israele per espellere più di 34 mila migranti, la maggior parte dei quali proveniente dal Sudan e dall’Eritrea, arrivata in Israele tra il 2006 e il 2012. Gli avvisi di espulsione, che sono stati emanati negli ultimi giorni, non indicano il paese in cui i migranti saranno portati, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che sarà una destinazione sicura in un paese dell’Africa: non sarà l’Eritrea, dove le persone rischierebbero la vita, né il Sudan con il quale non c’è alcuna relazione diplomatica. I gruppi locali che lavorano per i diritti dei e delle migranti hanno parlato dell’Uganda e del Ruanda. Il piano è in generale molto contestato e ha contribuito alle divisioni politiche interne tra nazionalisti e non nazionalisti, che insistono sul fatto che Israele stessa sia stata creata dai rifugiati e dai sopravvissuti all’Olocausto.

Il piano proposto dal governo di Netanyahu coinvolge migliaia di persone che vivono in Israele anche da dieci anni e prevede due opzioni: accettare “volontariamente” l’espulsione dal paese in cambio di 3.500 dollari, oppure essere trasferiti in modo forzato in un centro di detenzione per un tempo indeterminato. I primi avvisi sono stati consegnati a circa 20 mila persone e dicono che ci sono due mesi di tempo per lasciare il paese prima di rischiare di finire in prigione. Del piano si era parlato anche nel 2014, quando il quotidiano di Tel Aviv Haaretz aveva scritto negli ultimi mesi che decine di richiedenti asilo provenienti dall’Africa avevano accettato di aderire a un programma di “partenza volontaria” promosso dal governo attraverso pressioni e una serie di incentivi economici. In quell’occasione la Population and Immigration Authority aveva rifiutato di fornire spiegazioni non confermando la notizia ufficialmente.

La direttiva ha ricevuto molte critiche. Diversi attivisti e alcuni rabbini hanno creato un movimento ispirato ad Anna Frank per sostenere i migranti africani: stanno cercando di mettere in piedi un programma di protezione, diverse campagne di sensibilizzazione e sono arrivati ad affermare che se il governo non si fermerà nasconderanno i migranti minacciati di espulsione nelle loro case. Un programma televisivo molto popolare ha poi modificato i nomi di alcuni attori elencandoli non con il loro nome ma con la frase “nipote di un rifugiato dalla Russia” o “nipote di un rifugiato dall’Iraq”. Un gruppo di accademici, intellettuali e di sopravvissuti all’Olocausto ha scritto una lettera aperta a Netanyahu, dicendo: «Noi che sappiamo cosa significa essere un rifugiato, cosa significa essere senza una casa e uno stato che protegga dalla violenza e dalla sofferenza, non possiamo comprendere come un governo ebraico possa espellere rifugiati e richiedenti asilo verso la sofferenza, il dolore e la morte». Infine, alcuni piloti della compagnia aerea di bandiera hanno annunciato che si rifiuteranno di espellere i migranti nei paesi terzi e molte organizzazioni non governative hanno sottoscritto un appello per fermare il piano.

Il governo di Israele ha insistito che la sua politica di espulsione non viola il diritto internazionale e che i migranti non verranno rispediti in paesi devastati dalla guerra. Ha poi fatto sapere che nessuno dei migranti che rientra nel piano è un rifugiato politico e che sono invece persone senza un regolare permesso. I gruppi per i diritti umani sostengono però che il governo di Netanyahu abbia ostacolato il riconoscimento dello status di richiedente asilo e che su 15mila pratiche presentate solo 12 siano state approvate. Nel frattempo il Ruanda ha fatto sapere che non accetterà i migranti espulsi contro la loro volontà e il ministro alle Relazioni Internazionali dell’Uganda ha detto che con Israele non c’è alcun accordo.

Ayelet Shaked, ministro della Giustizia e membro del partito Focolare ebraico, di estrema destra e nazionalista, ha detto che «Israele non è un’agenzia di collocamento dell’Africa». Secondo un sondaggio realizzato un anno fa, Israele è nella parte bassa della classifica che misura l’accettazione degli immigrati da parte della popolazione “locale” dei vari paesi. Le motivazioni sono sempre le stesse: alcune persone hanno detto di aver paura che i migranti facciano aumentare la criminalità e altri che la loro presenza indebolirà lo stato ebraico. L’Economist ha spiegato che queste motivazioni hanno poco a che fare con la realtà: l’economia di Israele è in rapida crescita, la disoccupazione è a un livello bassissimo e semmai nel paese c’è bisogno di manodopera. La presenza di 34 mila migranti, poi, difficilmente trasformerà l’identità di una popolazione che conta quasi di 9 milioni di persone. Infine, il flusso di migranti africani in Israele attraverso l’Egitto si è interrotto nel 2013, dopo che Netanyahu ha eretto una nuova barriera di confine.

Il dibattito in Israele sul piano del governo sta comunque esasperando le divisioni tra coloro che sostengono il nazionalismo ebraico e chi insiste, innanzitutto, sui valori ebraici della carità. I critici stanno anche rimettendo in discussione la cosiddetta “legge del ritorno”, una legge degli anni Cinquanta che garantisce la cittadinanza israeliana a ogni persona di discendenza ebraica, purché si trasferisca in Israele con l’intenzione di viverci. La legge del ritorno è una delle basi dell’esistenza dello stato di Israele, ma crea un sistema a due livelli perché non prevede alcun processo standard di naturalizzazione per i non ebrei. Questa legge può aver avuto senso quando Israele offriva un rifugio agli ebrei perseguitati e non poteva permettersi un’accoglienza maggiore. Ora, conclude l’Economist, Israele è un paese prospero che ha bisogno di lavoratori e «la maggior parte degli ebrei di tutto il mondo vive in pace e non vuole esercitare il proprio diritto di trasferirsi in Israele».
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Ixraełe e i migranti refuxanti, çentri de detension e muri

Messaggioda Berto » ven feb 16, 2018 10:42 pm

Israele non è un’agenzia di collocamento dell’Africa

Prima viene la Nazione, e l’identità di un popolo, poi vengono i diritti degli altri. Così ragiona un popolo che non si vuole estinguere.
Ayelet Shaked, ministro della Giustizia e membro del partito Focolare ebraico, nazionalista, ha detto che «Israele non è un’agenzia di collocamento dell’Africa».
Ha spiegato che se non fosse stato per la recinzione eretta alcuni anni fa sul confine egiziano, “vedremmo qui una specie di conquista strisciante dall’Africa”. La recinzione ha effettivamente impedito a immigrati del Sudan e dell’Eritrea di entrare in Israele, riducendo a zero le infiltrazioni di clandestini.
In un discorso al Congresso sull’Ebraismo e la Democrazia, Shaked ha anche detto: “Dobbiamo mantenere una maggioranza ebraica anche al prezzo della violazione dei diritti”.




Justice minister: Israel must keep Jewish majority even at the expense of human rights - Israel News
Revital Hovel Feb 13, 2018

https://www.haaretz.com/israel-news/jus ... -1.5811106

Justice Minister Ayelet Shaked said Monday that if not for the fence erected some years ago on the Egyptian border, “We would be seeing here a kind of creeping conquest from Africa.” The fence effectively stopped asylum-seekers from Sudan and Eritrea from entering the country.
In a speech to the Congress on Judaism and Democracy, Shaked also said, “I think that ‘Judaizing the Galilee’ is not an offensive term. We used to talk like that. In recent years we’ve stopped talking like that. I think it’s legitimate without violating the full rights of the Arab residents of Israel.”
The justice minister made the remarks in a wide-ranging speech on the controversy over the Jewish nation-state bill.
She further said, “There is place to maintain a Jewish majority even at the price of violation of rights.” She added, however, that maintaining a Jewish majority in Israel and acting democratically “must be parallel and one must not outweigh the other.”
Regarding the nation-state bill, Shaked said, “I was disturbed at both the position of the state and the reasoning of the justices. The state did not defend the law for national demographic reasons, it claimed only security reasons.” Shaked told the conference that “the state should say that there is place to maintain the Jewish majority even if it violates rights.”
Shaked said she believed Judaism and democracy are values that can coexist. “From a constitutional point of view there is an advantage to democracy and it must be balanced and the Supreme Court should be given another constitutional tool that will also give power to Judaism.”
The purpose of the nation-state bill, she said, was to prevent rulings interpreting the Entry to Israel Law, or a ruling like the one in the Ka’adan case in 2000 that banned discrimination against an Arab family who wanted to move to a small Jewish community that sought to bar them.
“In our laws there are universal values, rights, already enshrined in a very serious way. But the national and the Jewish values are not enshrined. Over the past 20 years, there has been more of a focus on rulings over universal values and less over the Jewish character of the state. This tool [the nation state bill] is a tool that we want to give the court for the future,” said the justice minister.
In response to a question from the interviewer, TV journalist Dana Weiss, on whether the court could not consider the Jewish character of the state without a nation-state law, she said: “It can, but it’s as if you’d say that without the Basic Law on Human Dignity and Liberty the court won’t care about dignity and human rights. It’s different when you have a constitutional tool.”
On the coalition’s intent to keep the word “equality” out of the nation-state bill, Shaked said: “Israel is a Jewish state. It isn’t a state of all its nations. That is, equal rights to all citizens but not equal national rights.” Shaked said the word “equality” was very general and the court could take it “very far,” adding, “There are places where the character of the State of Israel as a Jewish state must be maintained and this sometimes comes at the expense of equality.”
Shaked said the nation-state bill did not deal with the issue of who is a Jew. “Everyone has his own Judaism. In the nation-state bill, when it talks about a Jew, it means the nationality.” Shaked then referred to the Ka’adan ruling and said that if such a case were to come up again or “the argument over whether it’s all right for a Jewish community to, by definition, be only Jewish, I want the answer to be ‘yes, it’s all right.’”
The question of the legality of the Family Unification Law, which prevents the unification of families where one of the couple is Palestinian and one is Arab Israeli, was twice decided at the time by the Supreme Court by one vote, with six justices supporting it and five dissenting. The justices gave precedence to security considerations over the importance of the right to maintain a family, in a case that split the Supreme Court.
In Shaked’s speeches, she often quotes the words of the late Justice Mishael Chesin, who was in the majority opinion that approved the law, in which he said Israel needed to awaken from the dream that it was a utopian state.


Alberto Pento
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