Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » ven apr 08, 2016 7:36 pm

IL MESSAGGIO DI RAV LARAS PER PURIM
2016

Agli ebrei e alle ebree di Italia
Agli ebrei e alle ebree di Italia delle Kehilloth Italiane in Eretz Israel

LA MEGHILLAH E NOI. ALLA RICERCA DI ESTER E MORDECHAI, TRA ANTISEMITISMO E ASSIMILAZIONE.

La festa di Purìm coincise con una svolta nella mia vita. Era finita da poco la guerra, avevo definitivamente perso tra le fiamme mia mamma e mia nonna, e mi ritrovai una sera in via Orto Botanico a Torino, in un’aula angusta e affollata di gente, tutti noi sopravvissuti, a prendere parte alla prima lettura della
Meghillàth Ester di cui ho memoria precisa. Terminata la tefillah, assieme a un amico, venni avvicinato da
Rav Dario Disegni z.l., che ci raccomandò di tornare al mattino seguente per la seconda lettura obbligatoria,
con la promessa di un regalo. La mattina dopo, quando tutto finì, ci diede dei soldi e così iniziò a
coinvolgerci nello studio della Torah e nella sua osservanza. Iniziammo in questo modo, apparentemente
banale.
La storia di Purìm è avvincente e avventurosa, dall’esito lieto. La Meghillah, tuttavia, è un libro di
difficilissima comprensione, “schermato”, che accenna e non dice. La Meghillah racconta fatti che furono,
ma non solo: si tratta di un testo più allusivo che esplicito, interamente calato nel mistero di Israele, quello
sua storia e della sua sopravvivenza.
Chi è l’eroe della Meghillah? Certamente Ester e Mordechai, tuttavia il nome che ricorre di più è quello del
re, di Achashverosh. Uno dei soggetti principali è dunque, in relazione all’insorgere dell’antisemitismo, il
mondo esterno con le sue influenti dirigenze politiche e culturali: è equiparato a un re senza spina dorsale,
privo di ideali e di valori, senza nerbo né regola.

Ma vediamo cosa potrebbe insegnarci oggi la Meghillah.

I. Vayehì bimé Achashverosh “e accadde nei giorni di Achashverosh” (I,1).
L’incipit della Meghillah fa presagire male, come osserva il Talmùd (Megh. 10b), rinviando a epoche di
disordini e guerre. Nel capitolo XIV di Bereshith, che si apre esattamente con le stesse parole con cui inizia
la Meghillah, così accadde al padre del nostro Popolo, Avraham Avinu, costretto a entrare in guerra per
salvare Lot. Anche in quel caso, Abramo, archetipo di Israele, è drammaticamente solo, mentre l’umanità
vicina a lui è scossa da due ideologie contrapposte: quella del potere orgoglioso, del dominio e della
sottomissione, rappresentata dalla potenza bellica di Chedorla‘òmer, e quella, non meno insidiosa,
dall’egoismo pronto a sovvertire ogni norma, incarnato da Sodoma e dalle altre città alleate. Fino a che
Abramo non entrò in guerra, la vittoria, come era naturale che fosse, sembrava arridere a Chedorla‘òmer:
nello scontro, infatti, tra permissivismo, relativismo ed egoismo e la forza del potere è inevitabile che vinca
il potere con le sue logiche. Abramo, tuttavia, anche rispetto a Sodoma, rimase, in quanto ebreo,
“separato”, “irriducibile”, “non assimilabile”: questo è il destino di Israele, nonostante tutto e tutti, ivi
incluse le tendenze assimilazioniste di alcuni ebrei, ben rappresentate dalle scelte sbagliate di Lot. Eppure
Lot è prezioso per Abramo e l’ebreo religioso ha dei doveri costanti e precisi, che non decadono mai, nei
confronti di quello assimilato e riottoso, che deve accompagnare e non abbandonare, ritrovare e non
disprezzare. Gli antisemiti cercano di distinguere da sempre tra laici e religiosi, tra laici sionisti e laici
antisionisti, tra ebrei della Diaspora e israeliani, tra religiosi “aperti” e religiosi “chiusi”. Sono categorie
dell’antisemitismo, non sono categorie ebraiche. Sappiamo per esperienza storica, come pure dal TaNaKh,
che, quando le cose si mettono male, le distinzioni non reggono più e sia Lot sia Abramo si ritrovano
entrambi nell’intemperie. Una delle differenze è che Abramo ha capito e che rivendica di essere attore
della propria storia, ossia “ebreo”.

I giorni del re Achashverosh furono quelli di uomo di consumata stupidità, il cui governo sembra spesso
vacillare, che sbaglia clamorosamente la scelta politica strategica più importante, ossia la nomina del suo
“primo ministro” e plenipotenziario, avallando così i piani genocidari, dichiarati e mai negati, di un
criminale. Parimenti, questo impero è in crisi economica, nonostante la sua apparente forza e l’enormità
della sua estensione: sarà, infatti, abbastanza facile per Amàn blandire il re, in relazione alle sorti pessime
riservate agli ebrei suoi sudditi, con la prospettiva di ricavi economici. Achashverosh è vittima del suo
potere, che non sa gestire, e, prima ancora, di ideologie sbagliate, ottundenti, pervasive ed erosive, ove
tutto è lecito e dove modestia, educazione, dignità e fermezza sono avversate.
In queste situazioni, lentamente ma inesorabilmente, l’antisemitismo cresce e prospera: le società si
corrompono e si instupidiscono, esponendosi a nemici interni ed esterni, i quali nella “irriducibilità” e nella
“resistenza” ebraica, religiosa o rappresentata oggi anche dallo Stato di Israele, ravvisano la radice e la
causa dei peggiori mali.

Mi chiedo con angoscia se il nostro presente in Europa non sia poi così dissimile, e molti serissimi timori mi
assalgono.
II. Yeshnò ‘am echàd mefuzàr umforàd…”Dimora tra noi un popolo unico, sparso e disperso…”
(III,8)
Il capitolo III della Meghillath Ester potrebbe essere intitolato “teoria e pratica dell’antisemitismo”, tanto
esso è capace di illuminarne la dolorosa storia. È un’accusa antica quella della doppia identità: "straniero o
residente? essere umano o creatura demoniaca? identità religiosa o identità di Popolo?” Ad essa si
aggiunge quella odiosa della doppia fedeltà: “italiano ebreo o ebreo italiano? ebreo o israeliano?”. La
tentazione e l’errore degli ebrei sono precisamente quelli, per timore di fraintendimenti, di semplificare -e
così di fuggire con una risposta “politically correct”- l’estrema difficoltà a presentare l’ebraismo –e non la
cosiddetta “cultura ebraica”- per quello che esso è ai non ebrei, ivi inclusi i molti sinceri amici.
Dice Amàn: “Dimora tra noi un popolo unico, sparso e disperso tra i popoli in tutte le province del tuo regno;
e le loro norme sono diverse da quelle di ogni altro popolo, e costoro non osservano le norme del re; non vi è
quindi beneficio per il re nel tollerarli”. Questa frase ci angoscia da secoli. Forse che ci sia, Dio non voglia,
qualcosa di vero? L’antisemitismo si basa su menzogne e macchinazioni; il reale viene dunque deformato e
usato, mescolando perversamente verità e menzogna: questa è la vecchia e rodata strategia impiegata da
Amàn e dai suoi epigoni.

È vero: noi siamo anzitutto un Popolo, unico e indivisibile, verso il quale ogni ebreo è responsabile; noi
abbiamo una dieta alimentare diversa rispetto agli altri e ciò crea una distinzione e una separazione precisa;
noi non osserviamo le feste delle maggioranze, specie se di derivazione religiosa altrui; noi non
permettiamo i matrimoni misti. Il motivo di tutto ciò? L’ossequio e la corrispondenza alla volontà di Dio che
ci ha prescritto queste norme: Mordechai, indigeribile per Amàn, rappresenta esattamente tutto questo.
Dove sta la menzogna? Amàn presenta Mordechai come uno specchio deformante presenterebbe un corpo
di statuaria bellezza, rendendolo volutamente mostruoso. La conseguenza di questa azione è che si nega
agli ebrei che siano al contempo comunque sempre stati parte attiva, responsabile e fedele del corpo
sociale, di dare un contributo essenziale, quasi osmotico, al benessere materiale e spirituale delle società in
cui vivono, di cui spesso si sono profondamente innamorati, risultandone tra i più intimi e originali
interpreti. Questo vale anche per lo Stato di Israele, su cui si applicano i vecchi stereotipi antisemiti, ridotto
a paria e mostro tra le Nazioni grazie alle campagne antisionistiche.
Paradossalmente, inoltre, il picco del rigetto antisemita nei confronti degli ebrei lo si raggiunge quando
questi ultimi sono inconsciamente assimilati in altre maggioranze: fu così in Germania e nell’Italia del ’38, fu
così in molti Paesi Arabi, fu così ai tempi di Achashverosh, epoca in cui gli ebrei erano una minoranza
dispersa in 127 province esposta a fortissima assimilazione.
L’esito di queste macchinazioni è drammaticamente annunziato da Amàn: “distruggere, uccidere e
sterminare tutti gli ebrei, dal giovine all’anziano, l’infante e le donne” (III,13).
Il terzo capitolo della Meghillah insegna un’ulteriore verità in relazione all’antisemitismo: esso ha un
“crescendo”. Dapprincipio, infatti, l’antisemitismo appare di difficile individuazione, isolato e lento,
esattamente come è il tempo narrativo dei primi tre capitoli della Meghillah, che abbracciano alcuni anni,
poi l’accelerazione è massima e la ferocia del male, sdoganato, divampa.
III. Al tedamì venafshèch leimmaleth beth ha-mèlekh mikkòl ha-iehudìm? “Non penserai davvero
nel tuo cuore che tu potrai trovare rifugio nella casa del re, rispetto a tutti gli altri ebrei?”
(IV,13)
Cruda ed estremamente scomoda è la domanda sferzante che Mordechai rivolge a Ester, quando
quest’ultima, che potrebbe intervenire e far valer il suo ruolo di regina, sembra di primo acchito esitare e
prendere tempo. Probabilmente, appreso il crudele e nefasto piano di Amàn, pensò che si trattasse di un
delirio. Le democrazie occidentali, al pari di molti nostri correligionari, non credettero che il nazismo
volesse davvero mettere in pratica quanto annunciato nel Mein Kampf. Molti non vi credettero e milioni di
persone –e non soltanto gli ebrei- perirono. Lo stesso accade oggi in relazione al Jihadismo e all’Islàm
politico, che annunzia da decenni i crimini che vuole compiere -che puntualmente realizza- e che,
parimenti, da anni blandisce la “buona coscienza” occidentale con investimenti milionari in Europa, in Italia
e non solo.
La reazione incredula di Ester comunque non fu isolata: il capitolo III della Meghillah si chiude con la
constatazione che la città di Susa rimase navòkha, ossia “smarrita”. Gli ebrei, al pari di Ester, pensarono
cioè che era impossibile, che questo non accade in culture raffinate ed evolute, come quella persiana, come
quella europea di inizio ‘900…
Gli ebrei, radicati come sono nella verità che l’essere umano è creato nell’ “immagine di Dio”, hanno
incredibilmente difficoltà, come ben spiega Rav Soloveitchik, a comprendere ciò che questo significa: ossia
che gli esseri umani possiedono sì inalterabile la capacità del bene, ossia un potenziale di eroismo morale e
di santità, ma poi spetta però a ciascuno attivarlo. Al contempo, è purtroppo altrettanto vero che “il cuore
dell’uomo è cattivo sin dalla tenera età” (Genesi VI,5). Noi neghiamo facilmente il potenziale malvagio
dell’essere umano e questo ci rende vulnerabili. Non sono fatti che riguardano unicamente il passato, ma,
come è sotto gli occhi di tutti, anche il presente. Noi dimentichiamo, infine, che esistono anche
ragionamenti malvagi, che precedono spesso le azioni, e che l’antisemitismo, incluso l’odierno assordante
antisionismo, è un prodotto culturale figlio di intelletti corrotti, il lato oscuro di visioni idealistiche e
utopiche, rilucenti di retorica “umanistica”.
Mordechai, con il suo fermo interrogativo, è colui che non lascia scampo alle esitazioni di Ester, salvandola
e salvando così il Popolo Ebraico: è esigente e duro. Ester è necessaria per la salvezza di Mordechai e di ‘am
Israel in un altro modo: è introdotta in ambienti ad altri preclusi, parla un linguaggio che Mordechai non
saprebbe parlare. Sono necessari l’uno all’altra ed entrambi al Popolo di Israele. Non agiscono in contrasto
tra loro, ma in sinergia.
Chi possono essere Ester e Mordechai oggi? Che Ester sia l’ebraismo diasporico, che ha la vitale necessità di
essere pungolato da Israele, odierno Mordechai? Che Mordechai sia l’ebreo religioso che richiama i suoi
fratelli dai fascini dell’assimilazione e del buonismo pacifista, imbelle rispetto al male e vigliacco in relazione
al bene? Che Ester sia l’ebreo colto, fedele al suo Popolo e alla sua tradizione, che riesce a trasmettere i
tesori dell’ebraismo in altri contesti, beneficandoli? Che, ancora, Ester sia l’ebreo coraggioso che, ove e non
appena può, spiega al mondo le necessità del suo Popolo e i pericoli cui può essere esposto per combatterli
e fugarli? Che, nel panorama religioso ebraico contemporaneo, Mordechai sia figura del mondo Haredì
mentre Ester dell’ebraismo Modern Orthodox?
Nessuno dei due è disponibile a fare sconti; nessuno dei due può più assecondare eventuali titubanze;
entrambi hanno compreso la gravità e l’urgenza della situazione. Non possiamo entrare nella trappola
suicida di un ipotetico conflitto: dobbiamo entrare nell’ottica sinergica e salvifica propostaci dalla
Meghillah. Questa è la leadership di cui ha bisogno il Popolo Ebraico. Questa è la leadership che i tempi
impongono oggi, con inedita ed epocale urgenza, all’ebraismo italiano, sì che quest’ultimo possa ribaltare,
con una radicale svolta rispetto al passato, anche recente, in meglio le proprie sorti. E siamo già in ritardo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom mag 15, 2016 2:22 pm

Cosa significa essere l’ultimo tassello del creato?

https://gheulacanaruttonemni.com/2016/0 ... del-creato

Perché D-o mi ha messo in questo mondo dopo gli insetti, le costellazioni, i mari e i leoni? Perché si è preso la briga di formarmi, di darmi la vita, quando c’era già lui sulla faccia della terra? Cosa posseggo io di diverso? Forse porto un valore aggiunto? D-o la guardò e disse. Porta pazienza. Ti darò un livello di profezia più alto, quando ti chiamerai Sarah, moglie di Abramo, salverai i maschi dal decreto di morte del Faraone quando avrai le sembianze di Miriam e Yocheved riceverai la Torah prima degli uomini, perché di te, del tuo senso di appartenenza, della tua responsabilità come portatrice di un’identità, mi fiderò molto di più che del tuo compagno. Entrerai nella terra di Israele insieme alla nuova generazione, tu non mi tradirai con il vitello d’oro. Accenderai le candele di shabat dentro agli armadi, racconterai storie dei tuoi avi ai tuoi figli mentre là fuori li chiameranno marrani. Sarai profetessa, sconfiggerai generali del campo avversario. Scaverai patate dentro ai campi di concentramento invece di mangiartele, pur di dare vita a una fiamma il venerdì sera. Tu, più di ogni altro, sarai la mia compagna fedele. A te il mio popolo, nel Cantico dei Cantici, verrà paragonato. Senza di te, la mia nazione non potrà sopravvivere nel corso dei secoli. E quando proveranno a farmi sentire inferiore perché sono più debole, perché porto i figli in grembo, perché non so fare la guerra, perché il mio animo si smuove per molte più cose? Dì loro che è vero che le fondamenta stanno in basso, anche un po’ nascoste, ma senza di esse l’intero edificio non starebbe in piedi. Rispondi che sono stato Io a decidere chi avrebbe portato i figli in grembo. E ho accordato questo privilegio solo a chi possiede la forza di vivere oltre se stesso. Non è con la forza fisica che si misura il valore di una persona. E la sensibilità d’animo? Sì, anche quella te l’ho messa Io. Perché così sarai in grado di percepire e interpretare ciò di cui, chi non sa parlare, ha bisogno. L’uomo dovrà portare la spiritualità in questa terra. Ma tu avrai la capacità di trasformare la materia in qualcosa di spirituale. Tu, donna, sei l’ultimo tassello del creato. Perché solo tu sarai l’anello che congiungerà il cielo con la terra.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Sixara » lun mag 16, 2016 10:33 am

E la sensibilità d’animo? Sì, anche quella te l’ho messa Io. Perché così sarai in grado di percepire e interpretare ciò di cui, chi non sa parlare, ha bisogno.
Màsa comoda: bixogna ke i inpara parlare, cuei ke ga bixogno, e dirle le robe - domandare - basta col percepire e interpretare, ca se ghemo bèle ke stufà. :)
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon : Yiddish

Messaggioda Sixara » lun mag 16, 2016 4:39 pm

E de la lengoa yidish gh i n emo mai parlà? Sì, da coalke parte cuà n Ebraixmo... :)
ke bèla, a gò na pasion pa l yidish, ke l è mame-loshe pa lori, come pa naltri la lengoa vèneta : na lengoa da
Imparare per amore, miga par altro :

Le lingue generalmente si imparano per potersene servire. Chi studia lo yiddish invece pone sé stesso al servizio di questa lingua, compie un gesto d’amore grazie al quale essa non sarà dimenticata e l’anima della yidishkeit potrà continuare a vivere.
Chi, come lo scrivente, ha dedicato molti anni allo studio ed alla difesa di un idioma minoritario sa che ogni lingua oltre che di parole è fatta di sentimenti, di storia, di umana passione. Nel caso dello yiddish tutto ciò è particolarmente vero. Furono gli ebrei della Renania a generarlo, intorno al XII sec., mescolando il tedesco con l’ebraico e successivamente con i termini slavi da essi incontrati a seguito delle massicce migrazioni verso le regioni dell’Europa centro orientale. Nel volgere di tre secoli produssero una lingua che nel film di Radu Mihaileanu, Train de vie, viene definita “una parodia del tedesco, con dentro l’ironia” (di conseguenza, il tedesco non sarebbe altro che “yiddish senza traccia di umorismo”).
Dapprima lingua profana usata dalle donne, escluse dagli studi religiosi, con il passare del tempo essa iniziò ad affermarsi anche in ambito letterario.

...

par cueo ke i la ciama mame-loshe : se la ga inventà le femene! :D
tuto da rìdare: le dòne escluse dagli studi religiosi eeperò ke scoaxi i le ciamarà fare le Rav anca lori, cusì come ke l Papa - timidamente - el ghe prova , a corto de preti, a farle diacono, o almanco el dixe...
ke rìdare:
... e può accadere di scoprire, nell’editoriale del «Corriere» riveduto e corretto dai redattori di «Pagine Ebraiche», il contenuto del prezioso rotolo delle Micra- è Immaot («Minime delle Madri») – un rarissimo testo speculare alle Massime dei Padri rinvenuto nel deserto di Giuditta durante una campagna di scavi archeologici – composto da detti sapienziali in cui una mesta saggezza si fonde a uno spiccato senso pratico («Lei diceva anche: se non sono io per me, chi è per me? E se a casa questa faccenda non la sbrigo io, chi lo farà? E se non ora, quando?»). - See more at: http://moked.it/blog/2011/02/23/ridere- ... F63S1.dpuf

La dixea : sa ne me rànjo-mi da mì-sola, ki xe ca me jùta-mi? E sa ne son bòna, ki è ca me darà na man? Nisùn - ghe risponde so marìo Hillel, el Grande, "perché tu, donna, sei l'ultimo tassello del creato"... e i te ga mésa par dedrìo de le stéle, de i leon e de i bài.
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Sixara » mar mag 17, 2016 7:15 pm

L Yidish l è lengoa tuta da rìdare :D straordinaria...
solserio ke la ghe fà el verso a el tedesco, ma nò propio pa tòrli n jro, l è come se i ghe dixese de molarghela co tute kele Regole ca tien sù el tedesco, ke sa te gh in xbàlia ona - solo ke ona - a casca el mondo...
par exenpio do i se càta, nò? e i se fa le prexenta'zion :
Sholèm-Aleykhem!
Aleykhem-Sholèm!
Vi heyst ir?
e zà cuà scumì'ziemo màe, ke n tedesco se dirìa : Wie heisst ihr? - Come vi chiamate?
Ikh heys ..., vi heystu? = Ich heisse ... Wie heisst du?
Vi heystu? i dixe... roba da farghe vegnere on colpo a on tedesco :D pò no i ghe mete le Maiuscole indoe ke le ga da ndare...

Una canzone : Az der Rebe zingt

Az der rebe zingt (2)
Zingen ale khsìdim (2)
Bim bom bim bim bom
Bim bom bim bim bom
Zingen ale khsìdim.

Az der rebe tantst
Tantsn ale khsìdim
Ay day hop hop hop
Ay day hop hop hop
Tantsn ale khsìdim

Un az der rebe shloft
Shlofn ale khsìdim
U U U ...
U U U ...
Shlofn ale khsìdim


ma col piànxe - el Rèbe - el piànze par lù solo...

https://www.youtube.com/watch?v=oMHwzDDuizk


Bèla!
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » mer mag 25, 2016 7:53 pm

QUALCOSA DIFFICILE DA SPIEGARE
di Micol Anticoli

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 6363387058


Questo video si riferisce ad un corpo di polizia dello Stato di Israele che balla e canta fuori dal campo di sterminio di Auschwitz con dei rotoli della Torah in mano. Non è facile spiegare perché si reagisca in questo modo nel luogo di morte per eccellenza.

Un ebreo con origini europee che entra ad Auschwitz con tutta probabilità avrà avuto parte della sua famiglia o almeno un parente sterminato lì o in qualche altro campo di sterminio. Entra e vede con i propri occhi ciò che in famiglia gli è stato raccontato, rivive le lacrime di chi è tornato e il ricordo di chi da quell'inferno non è mai uscito. Si angustia, dapprima prova rabbia, ma molto rapidamente il sentimento di trasforma in dolore e questo si scioglie, l'impulso del cuore si trasforma in lacrime che dagli occhi non riescono a fermarsi.

Solo uscendo una nuova linfa scorre nelle vene. Ci si guarda ad uno specchio interiore e ci si accorge, proprio in quel luogo di morte, di quanto si sia vivi. È come se improvvisamente la propria esistenza fosse accompagnata da milioni di altre persone che attraverso questo corpo vivo gridano che il popolo di Israele non è stato sconfitto. Esiste e resiste ancora. D’un tratto si ha voglia di gridare al mondo “io ci sono”. E così ci si ritrova a cantare e a ballare, a stringere in mano la Torah, l’essenza di un’identità che più di 70 anni fa i nazisti hanno cercato di sopprimere e soffocare. Ci si ritrova a voler fare tutto ciò che era stato negato e che sarebbe stato negato anche a tutti gli ebrei di oggi se solo avessero avuto la sfortuna di nascere qualche decennio prima; vivere, uscire a divertirsi, pregare, stare insieme tra amici.

Lo stesso, probabilmente in maniera più soft, accade a quegli ebrei israeliani da numerose generazioni, quelli che potremmo chiamare gli ebrei palestinesi, per usare il termine che introdussero i Romani alla conquista del Regno d’Israele; o agli ebrei americani, o africani le cui famiglie non hanno vissuto la Shoah, ma sono consapevoli che le loro famiglie hanno avuto semplicemente una fortuna geografica.

Nulla a che vedere con la voglia di vendetta, solo una gran voglia di vivere. Ed è forse questo il senso del paragone dei Maestri dell’ebraismo: così come l’uovo più lo si cuoce più si indurisce, il popolo ebraico più lo si opprime e più si rafforza. Probabilmente perché attraverso grandi privazioni ci si rende conto del valore di ciò che ci circonda. Almeno nella cultura ebraica è così.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Le Salut par le Juifs

Messaggioda Sixara » mer giu 15, 2016 4:16 pm

Le Salut par le Juifs l è on libro de Léon Bloy, ke n Italia l è sta intitolà Dagli Ebrei la Salvezza, Adelphi, 1994, ma G.Ceronetti che a l libro de Bloy el ghe fà na bèa introdu'zion, no l è par gnente dacordo : La salvezza non viene dagli ebrei - come il fungo, cresce improvvisa e senza perché.

Come on fungo, de pàca e sen'za on parké...

Anche il dottor K. aveva letto il libro di Bloy e così ne aveva parlato al giovane Gustav Janouch che lo accompagnava nelle quotidiane passeggiate per Città Vecchia : " ... di Léon Bloy conosco un libro contro l'antisemitismo : Dagli ebrei la salvezza. Qui un cristiano prende le difese degli ebrei, come fossero parenti poveri. E' un libro molto interessante, e poi Bloy sa imprecare, cosa del tutto insolita. Bloy ha un fuoco che rammenta l'ardore dei Profeti. Ma che dico! Bloy impreca molto meglio. E si spiega, perché il suo fuoco è alimentato da tutto il letame dell'epoca moderna."
G.Janouch, Colloqui con Kafka

E Ernst Junger in Irradiazioni : " Vorrei richiamare l'attenzione dei giovani tedeschi su Bloy, pur prevedendo le più aspre obiezioni. Anch'io ho dovuto superare la stessa ripugnanza; oggi, però, si tratta di prendere la verità dove la si incontra; come la luce, la verità non cade sempre in luoghi piacevoli."

Il destino di Bloy - scrive Ceronetti - è di essere indigesto, intollerabile anche a chi lo ama.

Le Salut par le Juifs seguita a respingermi : ne vedo la carie spettrale, l'apparato di vanità ... tutto Le Salut è sparso d'insipidezze teologiche prive di vere radici umane, lo avvolgono fiumi di una pietà, in cui si percepisce qualcosa di empio, di disumano, e di verità nelle mani, alla fine ne resta ben poca.
Perché leggerlo allora? Perché la 'vorticante visione ' di Bloy parte da un punto preciso di un testo enigmatico, dal quale bisogna ripartire cogliendo l'invito a rinnovarsi esplorandolo, interrogandolo e, per quanto è possibile, ripronunciandolo.

Andiamo dentro, e oltre, il passo di Giovanni,4,22 : Gesù dice qualcosa di famigliare ed oscuro alla Samaritana e il Discepolo Ignoto ( lo stesso Giovanni) lo trascrisse.
SALUS EX IUDAEIS EST, che Bloy traduce come Le Salut vient de Juifs. Mai stancarsi di tradurre, perché tradurre è pensare. Con il suo ' Dagli Ebrei La Salvezza', Bloy dice la sua parola definitiva sulla questione ebraica, chiude la bocca all'antisemitismo ( ma solo a quello cristiano) in quanto 'detto del Signore' ... La salvezza, per gli ebrei, viene da Léon Bloy... Però dove avrà letto il verbo venire? Il suo testo è la Vulgata, che seccamente riporta il testo greco dove il verbo è essere : la salvezza ex Judaeis est.
La Versione di Re Giacomo traduce il passo giovanneo : for salvation is of the Jews. Bloy, che odiava forsennatamente il luteranesimo, avrebbe trovato conferma nella versione di Lutero : denn, das Heil kommt von den Juden. Ma Lutero non divenne per quel kommen, filosemita.

Mi provo a ricostruire il testo ebraico-aramaico sottostante al greco ricevuto : mi dà khi ha-ieshà' min-ieu-daìn. E MIN ( ex, da) non sempre indica la provenienza, ma anche il mezzo e l'appartenenza.
Questo forse volle dire Gesù alla Samaritana : " noi ci prosterniamo a Colui che conosciamo, in quanto la Salvezza è coi Judei" ( abita presso di loro, è il Dio di Sion, attualmente e be- 'olam nel tempo che verrà). Un 'venire da' non avrebbe senso; se per Bloy è tutto, alla Samaritana non avrebbe detto nulla. Gesù indica con il gesto verbale l'abisso di 'conoscenza di Dio' che separa Samaria da Gerusalemme, confermando l'idea dell'elezione profeticamente custodita nel territorio di Giuda e nella nazione giudea ( che non comprendeva tutti gli ebrei della provincia romana di Giudea, anche se era corrente il nome generico iudìm, iehudaìn di tutti i parlanti l'aramaico di Palestina...).

Salvezza non è un astratto : è il Dio-che-salva, quello che appartiene ai Giudei di Giuda (' l'uomo di Giuda' per antonomasia è 'l'abitante di Gerusalemme', Ger,32,32), col suo geloso tesoro di oracoli, e questa Salvezza è negata, invece, ai Samaritani e ai non-Giudei.
Gesù è fatto Giudeo dai cronisti dell'Annuncio, perché se è la Salvezza-che-viene, se è il Messia del Dio-che-salva, deve essere Giudeo, in quanto 'la Salvezza è coi Giudei'. L'Unto non può venire da un punto fuori di Giuda, neppure se fa prodigi, e i Giudei farisei e sacerdoti ridevano, sapendo che Gesù e i suoi seguaci, erano galilei, ripetendo il proverbio : che cosa potrà mai venire di buono dalla Galilea? Per uno di Gerusalemme, galileo era come il barbaro per l'ateniese,; aggiungi l'eresia, l'intoccabilità del Samaritano, uno che appena poteva dirsi uomo, piuttosto 'bestie dei campi'. ... Era altrettanto forte l'incompatibilità linguistica di quella cultuale, neppure l'immaginiamo. La rarefatta umanità di allora, tutta isole e rocche isolate, inorridiva, pervenuta ad armonie compiute nel dire, per l'urto di un'accento che le guastasse, come per un nemico armato... Pietro è subito riconosciuto galileo dai Giudei autoctoni che ciarlano nel va e vieni boschico della Passione, tanto che qualcuno gli fa tre volte il verso del gallo per schernirlo.

Gesù, che ora protegge ora svela il proprio segreto, dicendo alla Samaritana che 'la Salvezza è coi Giudei' si avvolge di ambiguo, perché quella Salvezza è lui stesso, un Giudeo della Galilea. E alla povera donna che dovette arretrare cogli occhi sbarrati, Gesù dice : " Dio è spirito e i suoi conoscitori lo conoscono in spirito e verità". Ma che cosa significa conoscere ( adorare) Dio 'in spirito e verità'? Gesù non parlava per astrazioni, non avrebbe potuto : il suo strumento erano parole delle campagne palestinesi, dove rùah e 'emét sono il vento, la brezza, il respiro, il soffio ( lo spirare) e la certezza, la sicurezza, la fedeltà, qualcosa che va spesso col riposo, la pace ( shalom ve-'emét Is, 39,8)
Gesù annuncia enigmaticamente l'avvento messianico legato a se stesso come l'espandersi di quella Salvezza finora stata dei Giudei e coi Giudei, fin dove arriva la rùah che non ha limiti di terre e di mari e fin dove si estenderà la conoscenza del Padre Celeste, tra fedeli non più soltanto Giudei, su cui un veggente della sua forza vedeva pendere , più certa di ogni altra cosa, la rovina.

Il tempio brucerà ma la Shekhinàh non conoscerà esilio; Qohèlet il Sadduceo non pensa giudaicamente quando dice: " Ma ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza" ( Q.12,1). Ora ascoltiamo cosa dice il vento : " Se incontri il Buddha, uccidilo" ( Maestro Rinzai). E ancora : " Distruggi la Kaaba e ricostruiscila nell'invisibile" ( Al-Hallaj). Anche la Madre, apparsa a Ramakrishna, lo incita a uccidere la Madre. Tutte le incarnazioni divine vogliono che tu le uccida.
La relazione di profondità di Gesù con i Giudei e il Tempio è ( e per questo apparve bestemmiatore) di uccidere il dio, di abbandono ascetico di quel che si ama di più, di distruttore del visibile e di ricostruttore nell'invisibile.

La Salvezza deve essere simbolicamente uccisa ( e materialmente uccisa nella sua incarnazione visibile) perché non resti chiusa in una tana sacra, perché vada dove va il vento e la giovinezza.
Il giudaismo fariseo, disposto a estendere la salvezza anche al regno dei morti, gettava pietre e mormorava minacce contro chi andava cancellando i confini scritturali della Presenza divina ... I discepoli di Gesù avevano paura della vendetta dei Giudei, ma i giudei di Gerusalemme avevano paura di Gesù, come l'avevano dei Qumranici, gli altri grandi malvisti, quelli del Mar Morto : gli spostava il Tempio in Samaria e in chi sa quali altri luoghi, un'abbominazione peggiore di quelle di memoria maccabea. Ma non solo Gesù, chiunque fosse dotato di spirito profetico ... leggeva nel futuro vicino la fine del tempio visibile.
Nella chiusura del finito di Gerusalemme non c'è libertà per nessuno, neppure per Dio stesso. Jerusalem, prigione dell'uomo di Giuda. Prigione e paralisi del cuore.

Quando trovate qualcuno che si lamenta dentro una gabbia, guardatevi dall'aprirgliela; vi maledirebbe.

La linea giovannea potrebbe essere questa: la Salvezza che è 'of the Jews', che abita con loro a Sion si presenta in figura di luce incarnata per scioglierli dall'abbraccio mortale che è diventata, invecchiando tra le generazioni che si trasmettono nient'altro che le loro catene, la Parola creatrice. Il Discepolo ignoto era colpito dall'udire così spesso ripetere dal suo Rabbi dall'accento barbaro :anì 'or, anì 'orah ( Io la Luce) e certo l'udì più volte di quanto ricordi la sua testimonianza. Ma la Tenebra ( Skotìa. Hosekh) installata a Gerusalemme, inseparabile dai suoi abitanti, non può accogliere la Luce venuta per distruggere il tempio visibile, dunque per dissiparla. La Luce è una giovinezza umana, non eterna, ama gli enigmi, guarisce di sabato, è evidentemente una carne mortale, : bisogna ucciderla, soffocarla, consegnarla al boia : perché uccide Gerusalemme. Ma le sue membra sparse saranno ,all'incirca , il tempio ricostruito nell'invisibile.

All'incirca : perché tutto quel che prende vie umane si lacera, s'insudicia, si offusca e alla fine, si perde.

Quale salvezza, dagli ebrei? E a chi? Ai cristiani? E perché? E ancora? Ma no, la salvezza non viene dagli ebrei, o ci sarebbe qualcosa che non tiene nella perdizione dell'uomo! Gli ebrei, tutt'al più bisogna salvarli : bisognerà sempre salvarli ... perché importano all'insieme del genere umano, perché c'è tenebra dove scompaiono, perché senza radici ebraiche muore l'albero della vita. Ma questa è profilassi, angoscia per un respiro che sia fatto estinguere, che una coalizione di forze uscite dal cuore della tenebra tentò di soffocare per sempre durante un lungo decennio di questo secolo di macellai - una salvezza di carni agitate che non importava a Bloy ed è del tutto estranea alle parole di Gesù alla Samaritana.
Non c'è bisogno di teologie per soccorrere qualcuno in pericolo. Non c'è bisogno di ermeneutica in volo per capire che salvare è un po' salvarsi o un po' meno perdersi, vedere il proprio Nome farsi pallido, quasi illeggibile nel comune Libro della Perdizione.
Prima considerare nel suo spavento la condizione umana, poi se resta tempo si può anche abbozzare teologie. E qui abbiamo un versetto sacro, la sura 103, infallibile : " In verità, l'uomo è in perdizione". L'uomo è perduto come specie ... perduto nella perdizione cieca di un universo che si contragga o si espanda, sia finito o infinito gli è soltanto nemico, e dove il grido Elì Elì o Abba Abba ricade in frammenti afoni su chi grida.

L'umanità non è salvabile, un uomo solo, forse, ogni tanto si salva. L'umanità non ritorna, un uomo solo può tornare (shuv). Si può dare questo senso all' 'un resto tornerà' di Isaia (shéar iashùb), gridato a Israele ma che illumina tutti. Perché un Resto vero, non è tanto un popolo quanto la solitudine di un uomo, il male di un perduto solitario, il gesto di chi s'immola oscuro, imitando i Cristi e i Buddha che apparvero, e lo Jesus patibilis - si, quell'uomo o quella donna sono un Resto che ritorna.

Anche nella poesia di Celan " un resto ritorna" nel nome che ricorre, talvolta, di Gerusalemme. Dì che Gerusalemme esiste... C'era Gerusalemme intorno a noi.... Gerusalemme , nei versi di Celan, ebreo sperduto ( con frammenti però dappertutto nelle sue radici), è un poco di soffio della Shekhinah che gli alita vicino, avvertendolo . Una esegesi superficiale direbbe che è solo memoria, occasione di struggimento, sogno del solitario infelice.
Il pendolo, oggi, non può che perpetuamente oscillare tra quel che è definitivamente a-teo ( oscuro catafalco di un dio non più vivente, oscuro infinito senza grazia) e il mistero della Luce, inafferrabile per la Tenebra.
Si tratta di vedere dove l'oscillazione sarà nell'attimo in cui chi avrà vissuto da Giusto tormentato, da tabernacolo di pensieri opposti, da perduto cosciente, sarà liberato dal labirinto sanguinoso del mondo. (...) il significato da attribuire a ad una esistenza umana pensante, resta affidato, in ultimo, a questo momento perfettamente inscrutabile.
Celan fu, nei tormenti della sua vita e fin nel gesto ultimo, un resto che torna, una conferma : for salvation is of the Jews. La Terra, l'Erez, il ritorno laggiù, così importante ancora per Kafka, per M.Buber, ormai è fuori gioco : pura figura.

In Du sei wie Du l'accenno a Gerusalemme occupa l'intero spazio del poema, con citazioni da Isaia,60,1 in antico tedesco e in ebraico scritturale. Il versetto isaitico suona così :

Alzati
fatti lampada
la tua Luce viene
Luminosa t'investe
La Gloria del Signore


Ma è inseparabile dal v.2 :

Ecco la Tenebra copre il mondo
Un nero velo è sulle nazioni

Ma su di te è Lampada il Signore
Il suo Apparire ti rischiara.


Il velo di tenebra è uguale su tutte le nazioni, la Lampada è in un punto ben fuori dal mondo dove si trovano, fossa di sbranamenti, le nazioni.
La via che parte dal pozzo della Samaritana è di allontanamento e di uscita, di liberazione da Gerusalemme, costi anche un incolmabile vuoto.
Se incontri il Buddha uccidilo, se vai a Gerusalemme dimenticala.
Le città non sono premi : sono orribili luoghi di espiazione, la loro produzione di tormenti non cessa nemmeno alle cinte dei cimiteri. Mysteria iniquitatis d'asfalto insanguinato, megere di clacson e di sirene senza soccorso, porte di sospetto, tane di paura e il denaro che assassina tutto.
Se ci fosse un luogo ... non regolato da nulla che somigli al denaro, si direbbe che là è Gerusalemme, che là si è accesa la Lampada.

La Salvezza senza principio si è persa nel pozzo senza fondo del linguaggio inespresso. Dura tuttora una cosa che la Chiesa chiama evangelizzazione, senza che mai vi sia stata una reale parola evangelica, e questo ha finito per imprimere un marchio di scoraggiamento e sfiducia nella Parola.
Le parole mentono così forte che hanno cessato di ingannare. (...) fu consegnata ai popoli convertiti a Cristo ( rimasti rapaci, violenti, disturbatori) qualcosa della rivelazione dell'Oriente : così il loro Oriente subito fu Occidente, e in Occidente si genera il tragico, la Salvezza è d'importazione.

Così non resta che andarcene da Gerusalemme e dal suo ricordo, sulle tracce fuggitive della Luce che bisogna credere apparsa, là e anche altrove, una volta e anche più volte, e pronta a riapparire, ma in nessun luogo dove sia debole la consapevolezza, la passione irremissibile di quel che è, e fu sempre, perdizione umana.

Oh vieni... vieni Antigone mia, Cassandra mia, Cordelia mia ... mia Veronica del calvario di Gand, andiamocene dalla prigione formicolante, sempre, di avanzi stellari anneriti e di dolore in eccesso, detta Gerusalemme... vieni Rachele mia, sepolta be-dérekh sulla via ( Ramàh o Betlemme , che importa? sulla via) ... in qualsiasi luogo è Ramàh, per piangere i nostri figli perduti e per respingere le inutili consolazioni.
LA SALVEZZA NON VIENE DAGLI EBREI - COME IL FUNGO, CRESCE IMPROVVISA E SENZA PERCHE'
gennaio 1993

G.Ceronetti in L.Bloy, Dagli ebrei la salvezza, Adelphi ed., MI, 1994, pp. 130-146
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Elie Wiesel

Messaggioda Sixara » lun lug 04, 2016 8:09 am

Elie Wiesel: La rivolta contro Dio

...

Elie el la ga sù co Dio, ma a la fine el Lo perdona parké el ga capìo :

- Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca (ib., p. 67).

Wiesel qui sembra aver intuito la risposta ai suoi interrogativi, alla sua polemica con Dio. Il Dio che è assente, il Dio che sembra contraddire la sua alleanza, è invece ancora una volta fedele all’immanenza nel suo popolo. Dio è ad Auschwitz con il suo popolo per farsi gassare ed impiccare! La rivolta di Wiesel è in effetti il suo rifiuto ad accettare un tale paradosso, perché sconvolge la sua concezione classica di Dio. L’A., nell’oscurità più totale della sua notte radicale, percepisce la presenza della luce che si nasconde fra le tenebre. Qui riemerge la teologia ebraica della shekinah di Dio, segnalata inizialmente, che rivela assonanze con la teologia cristiana del Dio fattosi Uomo sofferente.
L’opera di Wiesel è una narrativa teologica o una teologia in forma di narrazione (midrash), il cui interrogativo di fondo è: Dov’era Dio ad Auschwitz? (cfr. M. Giuliani, Auschwitz, cit., p.69).
Il pensiero dell’A. manifesta un’evoluzione riguardo al giudizio nei confronti di dio, per cui il suo radicalismo si viene attenuando. Dall’immagine del dio "sadico" che ride per l’ingiustizia, egli passa a quella del Dio "indifferente", colpevole di tradimento verso il suo popolo ed infine a quella del Dio "muto" che vede e tace ma piange di nascosto ed alla fine riconosce che i suoi figli sono "migliori" di lui (midrash). Auschwitz, da luogo del "vuoto divino" che determina il crollo della fede, diventa poi il luogo della "controtestimonianza", secondo cui l’ebreo non rinnega la propria identità, nonostante il vuoto di Dio, e da autentico ebreo affronta anche la morte. Da qui deriva poi l’immagine del pianto nascosto di Dio perché nitzchunibanai ("i miei figli mi hanno vinto") (cfr. ib., p.72).
Per capire la teologia di Wiesel bisogna tener conto del genere letterario ebraico narrativo (midrash), dell’uso ricorrente dell’iperbole e della categoria centrale dell’alleanza (fra Dio e il suo popolo) che è irrevocabile.
In altri scritti il Nobel Elie Wiesel ha posto in risalto anche la causalità storica di Auschwitz (cfr.Le chant des morts, ed du Seuil, Paris 1966; tr. it. L’ebreo errante, Giuntina, Firenze 1986). Egli rileva che tutta l’Europa, facendo delle debite eccezioni, non è intervenuta per salvare gli ebrei deportati; neppure i sionisti della Palestina hanno fatto abbastanza e

l’ebraismo americano non si è quasi mosso, non ha usato la sua influenza politica e finanziaria, non ha smosso cielo e terra come avrebbe dovuto fare (ib., p. 148).

I deportati si sono sentiti abbandonati da tutti e per questo non hanno avuto la forza di ribellarsi al genocidio:

sapendosi abbandonati, esclusi, rinnegati dal resto dell’umanità, la loro marcia verso la morte, fiera, anche se docile, diventava un atto di lucidità, di protesta, e non di accettazione, di debolezza (ib.,p. 108).
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » lun lug 04, 2016 11:30 am

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

Elie Wiesel- La notte
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom lug 31, 2016 8:39 am

Il perdono per gli Ebrei - L'Indro
di Maria Chiara Strappaveccia
lunedì 14 aprile 2014

http://www.lindro.it/il-perdono-per-gli-ebrei

Per la religione ebraica il perdono è parte di un processo di ricostruzione di un rapporto alterato tra due parti: chi offende e chi è offeso. Si possono offendere sia gli esseri umani, sia Dio, ma anche gli animali e la natura, o il Signore con una parte del creato.

Chi ha offeso deve prendere atto che l’azione da lui commessa è scorretta, confessarla come tale a se stesso e nel proprio intimo davanti a Dio, impegnandosi a non ripeterla più. Questo processo si definisce in ebraico ‘teshuvà’, ossia ‘ritorno’, recupero del giusto cammino dopo aver commesso una qualsiasi colpa. Dopo questo atto interiore ci si deve riconciliare con l’offeso chiedendogli perdono per il male o il torto arrecatogli. A sua volta l’offeso deve concedere il perdono richiesto, anche se può rifiutarlo per ben due volte, ma alla terza deve cedere. Se non lo si perdona, chi ha offeso non è più tenuto a chiedere scusa. Se si tratta di un’offesa che riguarda la natura, non c’è chi può perdonarla.

Il perdono non elimina secondo la mentalità ebraica la necessità di una sanzione, che deve servire a riparare il danno arrecato, con lo scopo di distogliere chi ha commesso il male dal compiere un’azione illecita nella società e aiutare il medesimo a riflettere sul male che ha provocato. Il perdono non può essere delegato ad altri: solo chi è offeso e chi è il responsabile della colpa può esercitare questo diritto-dovere. Il perdono è essenziale per la sopravvivenza del mondo.

L’errore è parte della natura umana, ma se vi fosse solo giustizia nel mondo non vi sarebbe sopravvivenza per gli esseri umani perché l’uomo non resisterebbe in tale condizione perfetta, come dimostra il libro della Genesi che descrive le prime condizioni del creato. Così fu lo stesso Signore a introdurre il concetto di misericordia, stabilendo che esso deve andare insieme e convivere con la giustizia, dato che nemmeno il solo perdono consente un mondo perfetto.

Così come la pace tra individui deriva da un perdono dell’offeso a chi ha commesso la colpa, ma non elimina la stessa per la quale è da comminare una pena in base al principio di giustizia che regola la società e i rapporti interpersonali, analogamente tra le nazioni vige lo stesso principio e la pace si stipula per gradi. Essi sono: sospensione delle ostilità, riparazione del torto, accordi di buon vicinato, garanzie di non aggressione, stabilimento di comunicazioni e riconoscimento dell’altrui umanità. Questo processo è complesso e comporta quello che viene definito uno sforzo eroico sia da parte di chi ha subito l’ingiustizia, che da parte del colpevole. Il concetto secondo gli ebrei è che le vittime hanno i loro diritti che vanno rispettati attraverso un’azione di giustizia.

Sull’argomento abbiamo intervistato il rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Di Segni.

Ci può spiegare cosa è il perdono nella religione ebraica?

Il perdono è un atto di remissione, di rinuncia al rancore e di purificazione della persona che ha arrecato offesa.

Come si ottiene?

Si ottiene con la richiesta di perdono da parte della persona che ha arrecato offesa a chi ne è stato vittima: deve esserci un sincero desiderio di riconciliazione, consapevolezza dell’azione fatta e intenzione a non ripeterla più. Questo procedimento vale sia per quanto riguarda i rapporti tra gli esseri umani, che per quelli tra gli esseri umani e il Signore.

Esistono colpe che non possono essere perdonate?

La questione è molto complicata: al limite possono esistere tali colpe, ma molto dipende dall’atteggiamento di chi si è comportato male.

Parliamo dello Yom Kippur: in che consiste questa festività?

È un giorno all’anno che culmina in un lungo ciclo penitenziale, nel quale si fanno preghiere e atti di contrizione per chiedere al Signore di riconciliarci con Lui. E in questo periodo dell’anno sappiamo che, se il nostro pentimento è stato sincero, Lui cancellerà le nostre colpe.

Chi ha recato offesa a un fratello deve prendere atto che l’azione da lui commessa è scorretta, confessarla come tale a se stesso e discretamente davanti a Dio e impegnarsi a non farla più. È ciò che viene definito ‘teshuvà’. Ce ne parla meglio?

‘Teshuvà’ rappresenta il ‘ritorno’: è l’impegno che uno fa a non commettere più una certa colpa rendendosi conto della gravità della stessa.

Dopo questi atti chi ha recato offesa deve riconciliarsi con l’offeso, chiedendogli il perdono. A sua volta l’offeso deve concedergli il perdono; può rifiutarlo per due volte, alla terza deve cedere; se non lo fa, chi ha offeso non è più tenuto a chiedere scusa. Come mai la scelta delle tre volte?

La scelta è determinata dal fatto che non si può portare le cose all’infinito.

Come si pone l’ebraismo in caso di colpa collettiva?

Devono essere tutti i soggetti coinvolti a pentirsi.

Il perdono è essenziale per la sopravvivenza del mondo ed è legato in maniera indissociabile alla giustizia. Ci spiega questo concetto?

Non è possibile pensare al mondo senza perdono, ma neanche pensarlo senza giustizia. La giustizia deve, quindi, coesistere accanto al perdono.

Nell’ebraismo il concetto del perdono come entra, se entra, nella prassi della convivenza civile e nella politica?

Il perdono entra dappertutto, precisando che questo va dalla persona che ha commesso l’azione scorretta e viene dato da chi ne è stato vittima. Non esistono deleghe, sia nel retrocedere dalla colpa che nel decidere di dare perdono. Entra nella convivenza civile e nella politica nel senso che vale in entrambi i casi. Il perdono comunque non esclude la sanzione.

Come l’Olocausto ha cambiato il perdono nel popolo ebraico?

Perché il perdono dovrebbe essere cambiato?

L’ebraismo come ha ‘perdonato’ l’Olocausto?

Come dicevo prima, non esistono deleghe: per cui ciascuno può perdonare il male arrecatogli a chi glielo ha fatto, ammesso che costui o costoro glielo chiedano.

Oggi il perdono ebraico cosa sta perdonando alla società contemporanea?

La risposta è come sopra: il perdono non può essere delegato. Non è la società che deve essere perdonata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Ebraismo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti