Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: No se delega el perdono

Messaggioda Sixara » dom lug 31, 2016 5:42 pm

"Non è possibile pensare al mondo senza perdono, ma neanche pensarlo senza giustizia. La giustizia deve, quindi, coesistere accanto al perdono.
...
Come l’Olocausto ha cambiato il perdono nel popolo ebraico?
Perché il perdono dovrebbe essere cambiato?
L’ebraismo come ha ‘perdonato’ l’Olocausto?
Come dicevo prima, non esistono deleghe: per cui ciascuno può perdonare il male arrecatogli a chi glielo ha fatto, ammesso che costui o costoro glielo chiedano.
Oggi il perdono ebraico cosa sta perdonando alla società contemporanea?
La risposta è come sopra: il perdono non può essere delegato. Non è la società che deve essere perdonata."

Gnente deleghe, el dixe DiSegni, el perdono no se pòe delegarlo.
Anca Levi el la pensa cusì (o anca nò) :



... In I Sommersi e i salvati lei utilizza questa vicenda ( la scazzottata con Elias al campo) per introdurre le sue riflessioni sulla giustizia e su chi dovrebbe rendere giustizia; la sua conclusione è che il compito di fare giustizia deve essere lasciato ai 'professionisti'.

Soltanto perché non mi sento all'altezza di questo compito. Nella nostra civiltà non è consentita la vendetta, ed è giusto così. Il desiderio di vendetta è molto comune, ma il suo esercizio è illegale. Ora, a causa di una mia debolezza intrinseca, oppure a causa di una lacuna nella mia educazione, non sono in grado di agire come Jean Améry. Améry dice che approfittò della confusione di un'incursione aerea per picchiare un prigioniero polacco. Tempo dopo, a causa di questo, fu a sua volta selvaggiamente picchiato, ma questo faceva parte del suo codice morale, lo Zuruckschlagen, 'occhio per occhio e dente per dente'. Feci capire che Améry aveva firmato la sua stessa condanna a morte, perché era un uomo estremamente polemico. Era polemico con tutti compreso con me. (...) alcune lettere che lui scrisse ad un amico comune erano fortemente critiche della mia posizione nei confronti dei tedeschi. Mi considerava una persona sempre disposta a perdonare, un Verzeihende. Scrisse una lettera nella quale affermava . " Non sono d'accordo con Primo Levi, il quale tende a perdonare chiunque." Non è una cosa vera.

Tuttavia, in I sommersi e i salvati lei sostiene che , sul piano individuale, potrebbe anche saper perdonare

Non ne sono proprio sicuro. Poiché non sono un credente, non so che cosa sia il perdono. E' un concetto estraneo al mio mondo. Io non ho l'autorità di concedere il perdono. Se fossi un rabbino, forse l'avrei; anche se fossi un giudice, forse. Io credo che se qualcuno ha commesso un crimine, deve pagare. Non spetta a me dire " Ti assolvo dalla punizione". Io sono privo di autorità. Se hanno commesso un crimine, allora devono pagare, perché non esiste giustizia se non c'è espiazione.

Risa Sodi ( An Interview with Primo Levi, " Partisan Review", vol.LIV, 3,1987) sul sentirsi ebreo.

A ne son propio sicuro de èsare on Verzeihende - el dixe Levi . Dato ke no so' credente, no pòso perdonare. Forse on rabìn, forse on judice i pòe, forse. Ma mi, nò. E come se podeva, perdonare la Shoà, altro ke par delega, ke cuei ca domandava el perdono (se fa par dire) no i podea verghe risposta, né ona, né do e gnanca trè, ke i li ghea copà tuti. E no se pòe domandare el perdono par delega, dixe DiSegni. No se pòe domandarghelo a el fiòlo pa so màre o so pàre, e gnanca el contrario. Ono a ono: mi e ti. Ona volta, do volte nò e la ter'za ' sì, parké no se pòe ndare vanti par senpre.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Giornata europea della

Messaggioda Sixara » lun ago 29, 2016 8:22 pm

Giornata europea della cultura ebraica 2016: ke bèla stoàno, l è so le lingue e dialetti ebraici :D
bella, speren ke i parla anca de La parlata giudeo-veneziana de U. Fortis :

L’edizione 2016 della Giornata Europea della Cultura Ebraica in Italia si svolgerà domenica 18 settembre 2016 e avrà per tema “Le lingue ebraiche”

L’ebraico, certo, ma anche l’aramaico, e poi l’yiddish degli ashkenaziti, il ladino dei sefarditi, le influenze del greco e del russo, e naturalmente non può mancare il dialetto giudaico-romanesco. Sono tutte queste le lingue dell’ebraismo, che saranno il tema della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica, come spiega il sito ufficiale della European Association for the Preservation and Promotion of Jewish Culture and Heritage (AEPJ), ente promotore dell’iniziativa e di cui fanno parte l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane assieme a B’nai B’rith Europe, Red de Juderías de España – Caminos de Sefarad, Rede de Judiarias de Portugal e JECPJ France.
...

Ugo Volli, semiologo e commentatore su informazionecorretta, tel so intervento so L'ebraico moderno: il miracolo di una rinascita, l à dito - cusì anpasàn - na roba sol Nome de D-O ke so' ncora cuà ke ghe penso:
le létare de Y-H-W-H i è pò kele 4 consonanti ca se ghe zonta a tuto el testo de l Tanak pa poderlo lèzare ; a lo savemo, nò, ke l ebraico antico l è tuto fato de consonanti e pa poderlo lèzare se dovea metarghe de le vocali a l posto justo. Ma no le xe vocali ma altre consonanti co fun'zion de vocali: cuéle de l Nome de D-O, a punto.
Màriavè.

Ugo Volli el dixe ke el Tanak l è on testo da interrogare, bixogna farghe de le domande alla Torah, se sà mai ke te ghe càti anca na risposta.

Cuà el skrìve de culto, preghiera e Tefillà. Naturalmente, solo l oltema l è cuéa bòna. :D
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » ven set 30, 2016 9:21 pm

Su richiesta esplicita di Shimon Peres, il cantante David D'Or ha eseguito il canto "Avinu Malkenu" al suo funerale.

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 1451838583


https://en.wikipedia.org/wiki/Avinu_Malkeinu
https://fr.wikipedia.org/wiki/Avinou_Malkenou
Avinou Malkenou (אבינו מלכנו Notre Père, notre Roi) est une prière juive particulière aux dix jours de pénitence, entre le premier jour du mois de Tishri et le dixième, c'est-à-dire entre Rosh Hashana et Yom Kippour, deux jours parmi les plus solennels du calendrier juif. Elle est composée d'une trentaine de courtes suppliques commençant toutes par Avinou, malkenou, d'où son nom.

Elle est récitée immédiatement après la répétition par l'officiant de la 'Amida.

Cette prière tire son origine, selon le Talmud (Taanit 25b), d'une période de sécheresse, et que les Sages avaient décrété un jeûne public.
Rabbi Eliezer sortit dans la rue de la ville afin d'officier, mais malgré ses prières, les pluies attendues ne venaient pas. Rabbi Akiva, l'un de ses disciples, le remplaça, ne dit que deux phrases :

« Notre Père, notre Roi, nous avons fauté devant Toi.
Notre Père, notre Roi, nous n'avons d'autre Roi que Toi »


et il plut immédiatement.[…] Une voix céleste sortit du ciel, et dit : « Pourquoi celui-ci (R. Akiva) a-t-il été agréé et celui-là (R. Eliezer, pourtant connu de ses contemporains comme le Grand) n'a-t-il pas été agréé ? Non parce que celui-ci serait plus grand que celui-là, mais parce que celui-ci passe sur ses principes (pardonne à qui l'aurait offensé) et celui-là ne passe pas sur ses principes. »


https://www.youtube.com/watch?v=0YONAP39jVE
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: el Mikweh de Dongio

Messaggioda Sixara » mar nov 08, 2016 10:14 am

Levitico 11,36

Però una fonte o una cisterna, dove si raccoglie acqua sarà pura, ma qualunque cosa tocca i loro corpi morti sarà impura.

IL MIKWEH DI DONGIO di A. Uccelli.

Pajna 13 l autor el parla de Hatzer > hasser > casser > Casserio a propoxito de hasèr cofà 'recinto'.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » ven dic 02, 2016 7:28 am

«Non lì è il vostro posto» Io, all'angolo in sinagoga e mia madre seduta tra gli uomini
di Daniela Dawan

http://27esimaora.corriere.it/16_novemb ... 5888.shtml

Piove fitto, le foglie dell’autunno inoltrato si appiccicano alle suole delle scarpe mentre percorriamo in ordine sparso la strada chiusa al traffico. «Muoviamoci!», insiste mio fratello. Si rivolge più che altro al figlio sedicenne, sempre riluttante all’idea di andare al Tempio. Lo capisco, viviamo fuori dagli ambienti ebraici e poi succede che, per alcune ricorrenze, ci rientriamo di colpo, immergendoci in chiacchiere, litanie e luci fioche. Solo per ricordare a noi stessi che, a modo nostro, apparteniamo. La nostra vita si svolge fuori, nel mondo più vasto. «Non si esaurisce qui, la mia, in mezzo agli ebrei», avverte infatti il ragazzo, camminando di malavoglia accanto a sua sorella, le mani nelle tasche dei jeans. Rassicura in primo luogo se stesso. «Ma è l’anniversario della morte del nonno!», lo richiama la nonna, in bilico tra un rimprovero e una carezza.

Qualche metro più in là, una camionetta dell’esercito e quattro militari sui marciapiedi, incuranti della pioggia e del vento. Dietro di loro, il giardino della Guastalla ansima nell’oscurità imminente, sprofonda nel fango, tra le migliaia di foglie che coprono i sentieri. Fa buio presto, da poco sono passate le diciassette. Il ferro bagnato delle altalene luccica appena sotto i lampioni.

L’anniversario, quest’anno, è caduto di sabato; assisteremo alla preghiera della fine del giorno santo, una maniera inusuale, per noi non rigorosamente osservanti, di trascorrere questo scorcio di giornata.

Suoniamo il citofono, la telecamera ci inquadra, uno scatto e il cancello si apre. Il custode che ci viene incontro dice a noi donne che possiamo andar sotto, dagli uomini. Lassù, nel matroneo, oggi non c’è nessuno. E poi mia madre, di oltre ottant’anni: perché farle salire due piani a piedi? Quando da ragazza prendevo posto, in alto, tra le donne, provavo un fortissimo senso di umiliazione e il bisogno di rivalermi. Il tempo ha lenito questi sentimenti, della separazione tra uomini e donne non mi importa più niente. Non trovo qui il mio riconoscimento.

Nel vestibolo ci imbattiamo nel rabbino. Un saluto a voce, senza stringerci la mano. Lui, da qualche tempo, la mano alle donne non la dà. Neppure a mia madre che non ha più l’età per provocare turbamenti, che non siano quelli della memoria e del fascino che ne scaturisce. Entriamo quasi furtivamente da una porta laterale nella grande sala, in fila indiana. Ci muoviamo, noi femmine, con circospezione. Non è il nostro territorio, questo. Ci guardano tutti e questi pochi metri sembrano chilometri mentre li percorriamo incerte su dove metterci. Ecco, laggiù, un po’ più avanti, nelle panche laterali a ridosso del muro. Una posizione discreta, raccolta. Dove può sembrare che non ci siamo. Ma un uomo, con una lunga barba e un cappello nero a tesa larga, che non ci ha tolto gli occhi di dosso neppure per un istante, fa cenno di no con la mano, «Non lì è il vostro posto». Indica qualcosa in fondo, lontano. Mentre cerco di capire dove, mia madre non gli dà retta, prosegue dritta, imperterrita. Si siede infine, con un gran sospiro, su una panca, nel bel mezzo della sala. L’uomo la fissa ancora, scuotendo la testa con disappunto. Per lei, non esiste.

Io, non so perché, ho ceduto. Per rassegnazione, abitudine o che altro. Ci sono battaglie che si perde la voglia di affrontare. Con mia nipote ci accomodiamo nello spazio riservato alle donne: un angolo chiuso da grate frontali e laterali. Un burqa a forma di contenitore. Prima di rinchiudermici dentro osservo mia madre, il mento in alto, attenta al rito. Chi la sposta da lì? Rimane orgogliosamente ferma tra i familiari maschi. A fatica riesco a guardare attraverso l’unico spiraglio. In realtà, che mi importa di tutto questo? Prevale il turbamento che avverto per questa assurda privazione della libertà, per questa relegazione all’inferiorità, per questa palese discriminazione. Non ci allontanano soltanto dagli uomini, ci impediscono di accedere a Dio.

Ma il suo nome, il nome di mio padre, l’unica ragione per cui sono qui, quando lo pronuncia l’officiante? «L’ha già fatto», mi risponde mio fratello avvicinandosi alla grata. Deve averlo mormorato distorto tra gli altri nomi di defunti che ha elencato in un frettoloso automatismo, senza trasporto, mentre si accingeva a ripiegare il suo tallith. Già, gli effetti del mestiere. Una cosa non mi è sfuggita, però: anche da morte le donne vengono dopo, i loro nomi sono citati distrattamente, appena prima di riporre via gli oggetti del culto negli appositi vani.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » sab dic 03, 2016 2:10 pm

Cristo, Piero e Marco ƚi jera tre ebrei
viewtopic.php?f=24&t=1250


Perché non dovremmo dimenticare che Gesù era ebreo
Rivendicando la chiave di volta della comprensione della nostra fede
Chris Pirillo e Russell E. Saltzman
17 luglio 2015
http://it.aleteia.org/2015/07/17/perche ... -era-ebreo

Quando la mia seconda figlia era in quinta elementare, lei e altri tre compagni hanno ingaggiato una disputa. Gesù era ebreo o no? Un compagno di classe diceva di no. Era impossibile: Gesù era cristiano e non era mai stato un ebreo.

Mia figlia non ha mai sopportato molto l’ignoranza, e la situazione si è trasformata in uno scambio accalorato che ha finito per coinvolgere il consulente scolastico. Attenzione, nessuno stava cercando di risolvere un’argomentazione teologica tra bambini di quinta elementare. Già mantenere la pace nella classe sembrava una cosa complicata.

La questione mi ha veramente dato fastidio. Se la media dei cristiani che vanno in chiesa che vive nel mio quartiere sa così poco di Gesù e dell’ebraismo, quali altri cose anti-ebraiche nate dall’ignoranza potrebbero sorgere? Mi sono venuti in mente purtroppo due omicidi in un centro comunitario ebraico vicino.

Quanto perdono i cristiani se negano l’ebraismo di Gesù? Perderemmo volutamente il nostro cristianesimo.

È una vecchia varietà dell’eresia, il marcionismo, il cui nome deriva da Marcione, che verso il 144 d.C. insisteva sul fatto che gli insegnamenti di Cristo erano incompatibili con il Dio degli ebrei. Il Dio ebraico era un dio “minore”; Cristo era il rappresentante di un Dio “superiore”.

Marcione provocò uno scisma e per un po’ la fece franca. Aveva riversato una gran quantità di denaro nelle casse della Chiesa, comprando lo spazio per la sua eresia. La Chiesa romana restituì ogni soldo delle donazioni di Marcione, condannandone direttamente la dottrina.

Come dimostra tuttavia la questione riferita al compagno di classe di mia figlia, questa influenza persiste. Senza gli ebrei, i cristiani diventano gnostici staccati dalla storia e dall’umanità di Cristo.

I cristiani devono molto agli ebrei. L’adorazione, ad esempio. L’adorazione in sinagoga alla sua radice è il servizio cristiano della Parola: le letture tratte dalle Scritture da un lezionario, gli inni, le preghiere e la predica. La predica stessa è un’invenzione ebraica; nella pratica pagana non c’era niente di simile. I primi cristiani hanno preso il servizio nella sinagoga e vi hanno aggiunto “lo spezzare il pane”.

Dobbiamo agli ebrei il concetto di canone, una serie standard di testi scritturali usati nell’adorazione. Da loro abbiamo anche acquisito l’anamnesi dell’Eucaristia dalla Pasqua. Come le Mah Nishtanah (le quattro domande) dell’haggadah di Pasqua rendono ogni ebreo un viaggiatore in esodo dall’Egitto, così i verba (Parole dell’Istituzione nella Cena del Signore) pongono ogni cristiano nella sala superiore con Gesù “nella notte in cui fu tradito”.

Dobbiamo ai pagani molto meno di quanti – soprattutto i critici del cristianesimo – tendono a credere, e agli ebrei molto più di quanto ammettono molti. Cristo non ha alcun senso se non nel contesto dell’ebraismo. La chiesa e la sinagoga sono vicine.

Amy-Jill Levine, docente ebrea di Nuovo Testamento a Vanderbilt, fa un favore ai cristiani con il suo libro Short Stories by Jesus: The Enigmatic Parables of a Controversial Rabbi (2014). L’autrice si chiede cosa sentisse il pubblico di Gesù – gli ebrei del I secolo e del secondo Tempio. Aiuta il lettore ad accedere alle parabole come se fosse la prima volta, come se fossero ebrei. La cosa più sorprendente, ovviamente, visto che Gesù era ebreo, è che quel pubblico non ha sentito l’antisemitismo che ha infettato tanto facilmente i sermoni cristiani.

Allo stesso modo, il libro di Paula Fredriksen Augustine and the Jews: A Christian Defense of Jews and Judaism (2008) esamina come Sant’Agostino, con lo studio della Scrittura, sia riuscito a formulare un baluardo teologico contro l’antiebraismo non solo dei suoi oppositori manichei, ma anche della sua stessa Chiesa. Si ritiene che la considerazione agostiniana per gli ebrei abbia salvato molte vite ebraiche contro la crudeltà antiebraica e la brutalità delle masse nell’Europa medievale. Dio era la fonte della scrittura ebraica e della pratica di adorazione ebraica, affermava Agostino, come quella del Nuovo Testamento e della Chiesa.



Jewish... but not that Jewish - Sull’indigesta ebraicità di Gesù.
Federico Adinolfi•Sabato 3 dicembre 2016

https://www.facebook.com/notes/federico ... 3632746215

Molti cristiani, anche tra coloro che apprezzano la grande riscoperta dell’ebraicità di Gesù che ha segnato gli studi biblici degli ultimi 40 anni (riflettendosi anche in documenti del Magistero), continuano a manifestare un sensibile disagio di fronte all’idea che Gesù fosse semplicemente ebreo, per cui ci si affretta subito a precisare questo o quell’altro aspetto (di norma quelli più importanti) rispetto al quale Gesù si staglierebbe nettamente al di sopra della sua ebraicità – secondo uno schema di pensiero riassumibile nello slogan Jewish… but not that Jewish! (James Crossley) –, di modo che, alla fine, ciò che di veramente fondamentale si può trovare nella sua persona non sarebbe specificamente ebraico. (*)

Ora, di fronte a questo diffuso percepire la “mera ebraicità” di Gesù come un limite, io mi domando sempre: e che cosa sarebbe questo 50% o 25% di eccedenza non-giudaica in Gesù? Sarebbe qualcosa di cristiano? Ma è un palese anacronismo! Oggi tutti riconoscono che Gesù non ha fondato una nuova religione e che almeno fino alla fine del primo secolo d.C. il variegato movimento “cristiano” non fu altro che una particolare variante messianica di ebraismo (incluse le comunità paoline a maggioranza gentile). Sarebbe allora qualcosa di divino? Ma allora il divino entra in composizione con l’umano, compromettendo l’integrità della natura umana, e tanti saluti al concilio di Calcedonia.

E allora io replico: No, se di eccedenza vogliamo proprio parlare, allora quest’eccedenza di Gesù – che io inquadrerei nell’ordine della carità, piuttosto che in quello delle pretese di autorità, messianità o perfino divinità – è un’eccedenza ebraica, e siccome l’ebraismo è parte dell’umanità, e la sua componente etnica è sempre stata “aperta” e accompagnata da dimensioni universalistiche, allora è anche un’eccedenza universalmente umana, e - passando al piano teologico - l’eccedenza umana è, paolinamente, quella del Nuovo Adamo, del “secondo uomo” che “viene dal cielo” (1 Cor 15,47), integralmente restaurato nel suo essere ad immagine e somiglianza di Dio e portato al proprio compimento escatologico. Dopodiché, sappiamo anche - grazie al lungo processo di riflessione teologica innescato a partire dagli inni di Filippesi e Colossesi e dal prologo giovanneo - che questa eccedenza umana del Nuovo Adamo coincide con il Logos/Sapienza preesistente ed eterno che è immagine perfetta di Dio, e che è Dio, e tale coincidenza apre prospettive teologiche straordinarie sul legame profondissimo che intercorre tra antropologia e cristologia.

Ma io sono convinto che, come cristiani, siamo tenuti a riconoscere e rispettare l’ordine diacronico della rivelazione: che l’eccedenza gesuana sia quella del Figlio eterno di Dio (e anche del Nuovo Adamo) lo si è capito, per rivelazione, solo a partire dalla risurrezione (e ci è comunque voluto diverso tempo). Prima di allora nessuno al mondo avrebbe potuto sospettare nulla del genere (e nemmeno Gesù l’ha fatto). Rispetto al Gesù storico pre-pasquale, quindi, si deve parlare di un’eccedenza umana (io direi nella carità) che è tale precisamente nella sua ebraicità, e non nonostante o al di là di essa.

(*) Anche la diffusa simpatia extra-accademica di cui gode la tesi secondo cui Gesù sarebbe da collocarsi nell’ambito del giudaismo esseno (avvallata addirittura da Ratzinger) ha a che fare con questo desiderio di un Gesù Jewish… but not that Jewish, nella misura in cui l’essenismo viene immaginato (contro la realtà storica) come un movimento radicalmente settario e para-monastico completamente alienato dal resto dal giudaismo devoto al Tempio, ed estraneo altresì alle nascenti sinagoghe – insomma un giudaismo non-giudaico, incontaminato dalle istituzioni contro cui si pensa che Gesù fosse in conflitto (glissando con nonchalance sulla cristianamente poco appetibile centralità della Tôrâ mosaica tra gli esseni), e già separato e orientato sulla traiettoria centrifuga che porterà alla nascita del cristianesimo.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » ven dic 16, 2016 8:39 pm

Na paxena 'xraełiana. "La cadena omana del bon far" na sovienente sto video coanto amor k'a se pol catar ente fati senpliçi come ndar a catar na parsona ke vive soła.

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 3703706989
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Hafetz Haim

Messaggioda Sixara » dom gen 29, 2017 1:33 pm

Hafetz Haim o Le Leggi della Maldicenza:

Traduzione di Ralph Anzarouth e Raphael Barki

Un commerciante di Varsavia porse al Chafetz Chaim la lista dei libri che intendeva comprare.
"Vedo che tutti i miei libri ti interessano, tranne il Chafetz Chaim sulle leggi della maldicenza, che non è nella lista. Perchè hai escluso un libro così importante?"

"Veramente vorrei comprare anche quello", rispose il commerciante, "ma ciò mi impaurisce, signor Rabbino. Io incontro molte persone tutti i giorni, e nella mia situazione è proprio impossibile non dire né ascoltare maldicenze!"

"Conosco il problema", rispose il Chafetz Chaim. "Ne ho pure parlato con Rav Israel Salanter, il quale mi ha detto che converrebbe studiare il mio libro sulla maldicenza anche qualora l'unico effetto del suo studio fosse solo un sospiro del lettore."

[tratto da "Guard your Tongue", di Zelig Pliskin]

(dalla Prefazione:)
...

Ma alla fine dell’epoca del Secondo Tempio, l’odio gratuito e la maldicenza hanno prevalso tra di noi, per via dei nostri molti peccati, e per questo motivo fu distrutto il santo tempio e fummo esiliati dalla nostra terra, come è riportato nel Talmud Bavli (Yoma 9b) e nel Talmud Yerushalmì (Yoma cap. 1, 1, foglio 4b). E perfino se il Talmud menziona solo l’odio gratuito, il significato include anche la maldicenza, la quale deriva dall’odio; perché altrimenti non avrebbero ricevuto una così grave punizione. Così come alla fine del testo citato si legge «Per insegnarti che l’odio gratuito equivale all’idolatria, alle unioni proibite e allo spargimento di sangue [messi assieme],» ed è ciò che abbiamo letto nel Talmud Bavli, ’Arakhin 15b, riguardo alla maldicenza. Per di più, il testo del trattato di Yoma dimostra quanto sopra, nella questione «E nel Primo Tempio» fino a «e pugnalano i loro amici» (si veda colà)

Gran brùta malatia la Maldicenza, l è cofà na peste, l è come la lebbra.
Difàti ke te la Torà (Nm 12, 1) a se conta de come la Miriam la vièn colpia da la tzaraat dopo ver parlà male de so fradèlo; " l'episodio è emblematico " - skrìve el Rav Della Rocca tel so Con lo sguardo alla luna Percorsi di pensiero ebraico - " colui che fa atto di maldicenza nascostamente viene colpito da una malattia che, al contrario, non può essere celata e per la quale è necessario un isolamento dagli altri ".

El skrìve anca ke " Approfondire il collegamento fra lebbra e maldicenza è il Chatam Sofer (Rabbi Moses ben Samuel Sofer o Schreiber, 1762-1839) che, ... collega i tre sintomi comuni della tzaraat con i tre motivi che inducono le persone a parlare contro altre persone:
1. seeth (protuberanza): chi fa maldicenza la fa per innalzarsi e gonfiarsi rispetto agli altri;
2. sappachat (scaglia): nel fare maldicenza ci si associa (sippuach) e ci si uniforma a un gruppo per essere accettato;
3. baheret (macchia lucida): si fa maldicenza per discolparsi di qualcosa. Si tenta di chiarire le ragioni del proprio atteggiamento per discolparsene e quindi si proiettano sugli altri le proprie responsabilità."

Coalo xelo el vostro? mi m ga tocà el ter'zo.

לשון ערה‎ Leshòn ha-rà - a la letara - la lengoa de 'l male o anca, la mala-lengoa, l è la maldicenza, on tema ke l ètica ebraica la lo ga tratà co n aten'zion particolare.
Dixe el Rav Della Rocca ke

" La forza costruttiva o distruttiva del linguaggio è molto bene espressa dalla polisemia del fonema דָּבָר davàr 'parola', composto da tre consonanti che, a seconda di come le vocalizziamo, può essere letto anche déver, 'peste', una terribile e mortale malattia, oppure devìr, uno dei modi di denominare la parte più interna del Santuario. La parola se usata in un certo modo può uccidere come la peste, se usata in un altro modo può farci accedere a una dimensione di elevata sacralità."

El Rabbì Israel Meìr Ha-Kohen Kagan el ghe n à skrìti de libri ma cuéo pì inportante l è pròpio el Chafetz Chajim, ke l titolo el ghe vièn da l Salmo 34, 13-14 indoe ke se lèze:
" Qual è l'uomo che desidera la vita ( he-chafetz chajim ) e che ama lunghi giorni in cui vedere il bene? Guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dal parlar frode".
Podòpo l è deventà cusì famoxo pa sto libro cuà ke n i lo ciamava gnan pì Rabbì Kagan, ma pròpio el Chafetz Chajim.

Coàlo xelo l òmo ke l vòe canpàre longhi jorni pa vedare el Bèn? mi no ghe ne conoso gnàn ono... :D

" Il pettegolezzo e la maldicenza sono oramai, purtroppo, un vezzo incorreggibile della nostra società. Usare un linguaggio aggressivo, fare rivelazioni scandalistiche sembra rispondere a un'esigenza del costume sociale e spesso politico. La maldicenza deliberata e meditata sembra essere divenuta un'arma con cui combattere il prossimo e le sue idee. Eppure, la tradizione ebraica ha già dato sull'argomento un chiaro giudizio. Rabbi Naftali Braunfield nel suo Divré Naftali scrive :
Le persone nobili parlano di idee, le persone mediocri parlano di cose, le persone meschine parlano di altre persone."
Roberto Della Rocca, Parlare bene, parlare male: costruire o distruggere il mondo con il linguaggio in Con lo sguardo alla luna, La Giuntina, 2015
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom gen 29, 2017 6:59 pm

Sixara, me traduxito sta to fraxe, gràsie?

Wenn ich etwas sage, verliert es sofort und endgültig die Wichtigkeit; wenn ich es aufschreibe, verliert es sie auch immer, gewinnt aber manchmal eine neue.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Sixara » dom gen 29, 2017 8:14 pm

Berto ha scritto:
Wenn ich etwas sage, verliert es sofort und endgültig die Wichtigkeit; wenn ich es aufschreibe, verliert es sie auch immer, gewinnt aber manchmal eine neue

'N ke lengoa vòto tradùxarla? :D
L è na fraxe te i Diari de Kafka e bixognaria savere còsa ke l ghea n mente co 'l la ga skrìta; dògnimodo mi a la intendo cusì:

Co digo na roba, la perde subito e par senpre el so significà (senso, inportan'za); co la skrìvo, senpre ke la lo pèrde MA , de le 'olte, la ghe ne ciàpa nàltro.

E l è vero - par mi - ke le robe ca dìgo le perde calcòsa de l sènso ke le gà a pensarle. Co le skrìvo, inve'ze, le me rixulta pì ciàre, anca ripensarle.
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