Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom gen 29, 2017 8:33 pm

Me capita anca a mi a 'olte e lè pì ke natural parké scrivendole a te ghe pensi sora e lora le se xlarga, le se alsa, le se profondise.
Beata ti ca te se on mucio de lengoe.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Ayin e Yesh

Messaggioda Sixara » mer feb 15, 2017 2:24 pm

Coalkedùn a ga dito ke Per definire il Nulla occorrono molte parole, e inve'ze a cadarìa taxerghe so l Nulla o forse solo pensarlo ke co te scumi'zi verzar boca e tirar fòra parole so l Gnìnte i è tute xbalià o scoaxi, defini'zion so defini'zion de òmani relijoxi, filoxofi, sien'ziati... tuto on discorare - par Gnente.
Mi cuà a vorìa portare on studio de na dòna so l Gnente, ma prima: cosèlo l Ayin e l so conpagno - Yesh?

AYIN significa Nessuna-cosa. AYIN è oltre l'Esistenza, separata da qualsiasi-cosa. AYIN è il Nulla Assoluto. AYIN non è superiore o inferiore, sopra o sotto. Né è AYIN fermo o in movimento. Non esiste alcun posto dove AYIN sia, poiché AYIN non è. AYIN è muto, ma non è nemmeno silenzio. Né è AYIN un vuoto - e tuttavia fuori dallo zero del Nulla di AYIN si "origina" l'uno di Ein Sof.

La profesoresa Rachel Elior la
" scrive che per i cabalisti Ayin (nulla) "si veste" di Yesh (tutto ciò che esiste) nello stesso modo che "la Torah nascosta si veste della Torah rivelata".[5]
Sì, bixogna farlo el paragon co la Torà e ripartire (o tornare) da lì: l Ayin no è ke nol ghe sìa, el se camùfa da drio e drento le robe, cusì come la Torà co la so The Infinity of Meaning, stésa roba.
'Na Infinità de Significato. On mùcio de significà o on unico Significà ke l è mai-finìo?

De i primi Sei Principi o Attributi de la Torà, el nùmaro 4 el me pare el pì inportante: The Holy Language - la Sacra Lingua:
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom mar 12, 2017 7:43 am

Ensemense só e contro łi ebrei
viewtopic.php?f=197&t=2178



Convegno dell’Associazione biblica italiana: “Israele popolo di un Dio geloso: coerenze e ambiguità di una religione elitaria”.
11 marzo, 2017
Giulio Meotti

http://www.amicidisraele.org/2017/03/co ... e-elitaria

Dall’11 al 16 settembre a Venezia, l’Associazione biblica italiana organizza un convegno con studiosi italiani ed europei che sembra uscito dalle ombre del primo Novecento. “Israele popolo di un Dio geloso: coerenze e ambiguità di una religione elitaria”.

Niente meno.

L’Associazione, riconosciuta dalla Cei, di cui fanno parte esponenti del clero cattolico e protestante, 800 studiosi e professori di cultura laica e che il Papa ha salutato a Roma lo scorso settembre, discuterà delle “radici di una religione che nella sua strutturazione può dare adito a manifestazioni ritenute degeneranti”.

Degeneranti? L’ebraismo avrebbe come conseguenze spesso il “fondamentalismo” e “l’ assolutismo”. “Il pensarsi come popolo appartenente in modo elitario a una divinità unica ha determinato un senso di superiorità della propria religione”, recita il programma veneziano.

Non si è fatta attendere la risposta, durissima, dei rabbini italiani.

Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano e presidente emerito dell’Assemblea rabbinica italiana, ha scritto ai vertici dell’Associazione biblica, denunciandone le posizioni, ma senza ottenere risposta. “Sono, ed è un eufemismo, molto indignato e amareggiato!”, scrive Laras nella lettera che il Foglio anticipa qui. “Certamente, indipendentemente da tutto, ivi incluse le possibili future scuse, ripensamenti e ritrattazioni, emergono lampanti alcuni dati inquietanti, che molti di noi avvertono nell’aria da non poco tempo e su cui vi dovrebbe essere da parte cattolica profonda introspezione: un sentore carsico di risentimento, insofferenza e fastidio da parte cristiana nei confronti dell’ebraismo; una sfiducia sostanziale nella Bibbia e un ridimensionamento conseguente delle radici bibliche ebraiche del cristianesimo; un abbraccio con l’islam che è tanto più forte quanto più si è critici da parte cristiana verso l’ebraismo, inclusa ora perfino la Bibbia e la teologia biblica”.

Secondo Laras, “questo programma dell’Associazione biblica italiana è la sconfitta dei presupposti e dei contenuti del dialogo ebraico-cristiano, ridotto ahimé da tempo a fuffa e aria fritta. Personalmente registro con dolore che uomini come Martini e il loro Magistero in relazione a Israele in seno alla chiesa siano stati evidentemente una meteora non recepita, checché tanto se ne dica”.

Questa teologia ha conseguenze politiche, dice Laras: “La causa dell’instabilità del medio oriente e dunque del mondo sarebbe Israele (colpa politica); la causa remota del fondamentalismo e dell’assolutismo dei monoteismi sarebbe la Torah, con ricadute persino sul povero islam (colpa archetipica, simbolica, etica e religiosa). Ergo siamo esecrabili, abbandonabili e sacrificabili.

Questo permetterebbe un’ipotesi di pacificazione tra cristianesimo e islam e l‘individuazione del comune problema, ossia noi. E stavolta si trova un patrigno nobile nella Bibbia e un araldo proprio nei biblisti”.

D’accordo con Laras i principali rabbini italiani, a cominciare da Roberto Della Rocca, responsabile dell’educazione nelle comunità ebraiche italiane.

“Non voglio fare il processo alle intenzioni”, dice al Foglio il rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib. “Ma o è uno scivolone o è qualcosa di preoccupante. Sono argomentazioni teologiche usate nel passato come arma antiebraica il Dio vendicativo degli ebrei, il Dio della giustizia contrapposto al Dio dell’amore, usate come propaganda antiebraica. Quando si usano argomentazioni del genere a noi si alzano le antenne.

La chiesa cattolica nel dialogo ebraico-cristiano ha superato queste argomentazioni. Sembra che ora vengano riprese. L’idea dell’ebraismo elitario che si sente superiore è stata usata nel passato in maniera preoccupante. È chiaramente il sospetto che si voglia avere una ricaduta sull’attualità, su Israele”.

D’accordo con Arbib il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che al Foglio dice: “O è una cosa fatta con piena coscienza e quindi gravissima, oppure non si rendono conto. Non è solo una analisi teologica, biblica, ma un discorso che si presta a essere con-testualizzato al medio oriente, con implicazioni micidiali in politica”.

Alla stesura della lettera di protesta dei rabbini ha partecipato anche un laico, David Meghnagi, docente a Roma Tre, esperto di didattica della Shoah e membro dell’Unione comunità ebraiche italiane. “Sono convinto che il convegno sia l’indice che dentro la chiesa, fra gli intellettuali e gli studiosi, gli elementi di marcionismo che l’hanno corrotta non sono stati superati”, dice Meghnagi al Foglio. “E sono presenti anche nella cultura laica che legge la Bibbia Lo si vede negli interventi di Eugenio Scalfari su Repubblica, la contrapposizione fra il Dio veterotestamentario e quello del Nuovo Testamento.

Nel 1990, alla prima giornata dell’amicizia fra ebrei e cristiani della Cei, mentre piovevano i missili su Tel Aviv da parte dell’Iraq, mi si avvicina un vescovo e mi dice: Lo sa quanta fatica noi cristiani facciamo per nobilitare il Vecchio Testamento?’.

Il linguaggio cristiano rispetto agli ebrei presenta diverse patologie, compresa la valutazione degli ebrei come popolo decaduto, di cui si eredita la primogenitura.

Solo dopo la Shoah c’è stata una rivalutazione. Nella cultura più ampia di molti laici e democratici ci sono pregiudizi che arrivano da questa visione”.

Ecco allora che in tante, troppe guerre, Israele finisce per diventare “il nuovo Erode” e i palestinesi “il nuovo Gesù”.

“Siccome non viviamo nel vuoto, la scelta di privilegiare questa riflessione si incontra con una teologia palestinese e di matrice cristiano-orientale, che trova ascolto nei movimenti pacifisti e terzomondisti, che tende a vedere l’attuale contrapposizione in medio oriente come la riedizione su più vasta scala della violenza del Dio biblico, l’ebraismo della carne contrapposto allo spirito, i valori della terra contro quelli dello spirito”, conclude Meghnagi. “Vorrei citare un articolo di Gianni Baget Bozzo uscito sul Manifesto sulla guerra di Israele come violenza biblica, o quello di Scalfari su Repubblica che parlò del Dio della vendetta. Lo si vede anche nelle vignette di Forattini. È un elemento che è passato nella cultura attraverso la demonizzazione del sionismo, la falsa innocenza della diaspora rispetto allo stato-nazione ebraico da esecrare”.



Alberto Pento
Tra i tre monoteismi del Libro, quello primario e originale è l'ebraismo, le altre sono eresie e varianti improprie.
L'ebraismo è l'ideologia religiosa più ragionevole, umana e la meno idolatra tra le tre;
mentre il cristianismo e il maomettismo o islamismo sono più idolatre, totalitarie e assolutiste;
e il maomettismo o islamismo è la più idolatra e totalitaria, la più disumana, orrenda e terrificante.



L'orrore dei cristiani antiebrei e pronazismo islamico
viewtopic.php?f=197&t=2172
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom mar 12, 2017 10:58 pm

Domande di un cristiano ad un ebreo
Questo vademecum non dà risposte né approfondite né erudite, per le quali sono necessari ben altri testi.

http://www.comunitaebraicabologna.it/it ... cle&id=140

Vuole solo aiutare, in modo molto modesto, chi è interpellato a “bruciapelo, magari nel corso di una conversazione mondana o di lavoro; magari con conoscenti occasionali in treno o su una spiaggia. L’ importante è non restare senza risposta o darne una vaga, approssimativa o inesatta.
Il non ebreo ha il desiderio di sapere, e l’ebreo ha il dovere di saper rispondere. Le domande sono state riportate così, disordinatamente, nella forma spontanea come abitualmente mi sonno state rivolte nel corso di numerosi incontri che ho avuto in questi ultimi anni con scolaresche, gruppi religiosi non ebraici ( in particolare cattolici e valdesi), frequentatori di Università della terza età ecc. Spero che questo vademecum, oltre alla sua utilità spicciola, invogli gli ebrei ad approfondire sempre di più la propria cultura ebraica.

1) In che cosa voi credete voi Ebrei?
I principi fondamentali dell’ebraismo sono i concetti di esistenza e di unicità di Dio e che i cinque libri della Torà (abitualmente conosciuti dai non ebrei come Pentateuco) sono stati scritti completamente su ispirazione divina.
L’ebraismo, più che sul credere si basa sull’agire in conformità alle norme contenute nella Torà e nei suoi successivi commenti.
L’ebraismo in sostanza non ha dogmi in cui credere, ma norme di comportamento da seguire.

2) È vero che aspettate ancora il Messia?
In tempi passati un messia (la parola ebraica corrispondente è mashiah [ = unto ] e designa in genere la figura di un re, in quanto il re veniva unto nella cerimonia della nomina) era atteso come persona fisica come un re o come un capo capace di liberare gli ebrei da situazioni politiche o sociali tristissime (asservimento all’impero romano, persecuzioni, ecc.)
La tendenza odierna è invece di considerare il messia piuttosto come un epoca messianica cioè un’epoca di pace e di armonia in cui, come si legge in Isaia (cap. 2 v. 4) “le genti spezzeranno le loro spade per farne vomeri, e le loro lance per farne falci; nessun popolo alzerà la spada contro l’altro, e non impareranno più l’arte della guerra”. O, come si legge in Michà (Cap 4, vv. 2-4): ”…allora da Sion uscirà l’ammaestramento e da Gerusalemme la parola divina. Egli giudicherà tutti i numerosi popoli, ammaestrerà le più potenti e remote nazioni, tanto che spezzeranno le loro spade per farne delle vanghe e le loro lance per farne delle falci; nessuna nazione alzerà più la spada contro un’altra e non impareranno più l’arte della guerra. Ciascuno siederà sotto la propria vite e sotto il proprio fico, senza timore alcuno”.
Al raggiungimento di quest’epoca “messianica” cioè all’elevazione e al miglioramento della società, ciascuno deve però contribuire con il suo buon comportamento. Solo con lo sforzo di ciascuno- e non certo con un intervento “ venuto dall’alto”- potrà essere raggiunta l’epoca messianica.

3) Perché non avete riconosciuto Gesù come Messia?
Per vari motivi:
a) Prima di tutto Gesù non ha portato la pace nel mondo come avrebbe dovuto fare il Messia ma le guerre e le violenze sono continuate come prima (gli stessi cristiani credono che ci dovrà essere una seconda venuta di Cristo per realizzare ciò).
b) Il concetto di figlio di Dio ( nel senso cristiano, per cui Gesù è insieme uomo e Dio) ed il concetto di Trinità si scontrano con la concezione assolutamente monoteistica dell’ebraismo.
c) Gesù, benché in un primo tempo abbia asserito di non allontanarsi dalle norme della Torà (base dell’ebraismo), se ne poi è allontanato, e più ancora il suo apostolo Paolo, con il quale si è verificato il definitivo distacco dall’ebraismo.
d) Anche l’idea del sacrificio umano in funzione di salvezza non è conciliabile con l’ebraismo, tenendo anche presente che nella Torà è espressamente vietato il sacrificio umano. Ricordiamo anche che Dio fermò la mano di Abramo che stava per sacrificare suo figlio Isacco.
e) Il cristianesimo inoltre ha abbandonato il concetto di centralità della Terra promessa, concetto fondamentale per gli ebrei, insieme a quello di popolo e di Torà.

4) Che cosa pensate di Gesù? Di San Paolo?
Gesù era un ebreo studioso della Legge. Ai tempi di Gesù c’erano diverse suddivisioni in seno all’Ebraismo, rappresentanti di diverse scuole di pensiero e di stile di vita: farisei, sadducei, esseni, zeloti etc.
Gesù sembra essere stato avverso al metodo di interpretazione della Legge seguito dai maestri farisei, ed anzi nei Vangeli la parola “fariseo” assume un significato negativo (da notare che l’ebraismo moderno è appunto un ebraismo farisaico). Pare sia stato in polemica con la classe sacerdotale.
Viveva comunque in seno all’Ebraismo: ciò si deduce da vari passi dei Vangeli in cui sono riportate frasi che si rifanno alla Torà. Ad esempio il precetto evangelico “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Matteo 22, v. 39) altro non è che un'esplicita citazione di Levitico 19, V. 18.
E’ soltanto con Paolo che avviene la scissione tra ebraismo e cristianesimo e che si evidenziano delle differenze fondamentali e inconciliabili. E’ pure con Paolo che inizia l’opera di evangelizzazione soprattutto con i pagani.

5) Credete nell’inferno e nel paradiso?
Su queste problematiche che riguardano la sorte dopo la morte, l’ebraismo non dà risposte, precise, né offre dogmi in cui credere.
Nella Torà e nei libri posteriori, in particolare alcuni profeti, vi sono accenni al regno dei morti ed ad un’epoca di risurrezione. Così pure vi sono brani liturgici che accennano a ciò.
Poiché però nulla è stato affermato di preciso, nell’ambito dell’ebraismo possono convivere
Diverse correnti di pensiero e di scuole interpretative. Si va dai mistici cabalisti ai razionalisti che interpretano diversamente i brani suddetti. Comunque l’identificazione di un ebreo si realizza non tanto in quello che crede circa il mondo futuro, quanto come agisce in questo mondo.
E’ l’osservanza della mitzvot che caratterizza un ebreo, non quello che lui crede relativamente all’al di là.

6) Gi ebrei fanno proselitismo?
In tempi passati (forse fino al secondo sec. dopo E.V.) ci fu proselitismo, interrotto quando l’imperatore Adriano proibì la pratica della circoncisione.
Al giorno d’oggi non c’ è proselitismo sia per il rispetto verso altre religioni e modi di vita, sia perché diventare ebrei non apre vie ad alcun tipo di “salvezza”, ma comporta invece un impegno a conformarsi ad un determinato stile di vita nonché impegno allo studio. Impegni che non devono e non possono essere imposti.
L’unica forma di “proselitismo”, se così si può chiamare, dovrebbe essere l’esempio che gli ebrei dovrebbero offrire con il loro modo di vivere, ispirato a moralità e rispetto del prossimo.

7) Che cos’è la vostra Pasqua?
La Pasqua ebraica (in ebraico Pesach) ricorda la liberazione dall’antico Egitto, sotto la guida di Mosè.
Dopo drammatiche vicende che tutti conoscono (la dura schiavitù, l’ordine emesso dal Faraone di uccidere tutti i neonati maschi, e successivamente la richiesta fatta da Mosè al faraone di lasciar uscire gli ebrei dall’Egitto, le dieci piaghe che si abbatterono sull’Egitto), gli ebrei infine uscirono dall’Egitto ottenendo così la libertà.
Tali avvenimenti, che devono essere insegnati e spiegati ”…ai figli ed ai figli dei figli per tutte le generazioni” come prescritto nella Torà, vengono rievocati e quasi rivissuti a Pesach.
Poiché l’ebraismo si vive molto in famiglia, Pesach viene festeggiata con una vera e propria cerimonia che si svolge in seno alla famiglia riunita.
Tale cerimonia consiste in una cena chiamata Seder [= ordine] perché le varie fasi si svolgono secondo un ordine codificato.
Durante il Seder si legge un libro chiamato Hagadà di Pesach [= racconto di Pesach] e si mangiano cibi, già predisposti al centro della tavola, rievocati della vicenda. Ad esempio:
- azzime, in ricordo del pane che gli ebrei non avevano avuto il tempo di far lievitare in quella drammatica notte prima della liberazione;
- un impasto di frutta varia color mattone (charoset) in ricordo appunto dei mattoni che gli ebrei erano obbligati a fabbricare quando erano schiavi;
- erba amara, in ricordo dell’amarezza della schiavitù,
- uovo sodo, simboleggiante la sorte umana che cambia.
Inoltre si pone anche a centro tavola uno zampino d’agnello ( che non si mangia) a ricordo dei tempi, durati fino alla distruzione del tempio di Gerusalemme, in cui si sacrificava un agnello per Pesach.
Durante il Seder adulti e bambini partecipano attivamente con domande e risposte, letture e canti. Pesach è una festa molto sentita e rappresenta veramente la festa della libertà acquisita.

8) Quando è il vostro capodanno?
Il Capodanno ebraico (Ros hashand) cade i giorni 1 e 2 del mese ebraico di Tishrì, data che corrisponde circa a settembre – ottobre.
Nella Torà tale data è indicata come “giorno del suono” e “giorno del giudizio”. Infatti, oltre che ricordare la creazione del mondo (significato aggiunto posteriormente), è un giorno di”presa di coscienza” che un nuovo periodo della nostra vita inizia.
Il suono dello Shofar (antichissimo strumento musicale costruito da un corno di ariete) a Rosh hashanà ha il significato di “ chiamare a raccolta” la nostra coscienza, di giudicare il nostro operato e programmarlo per l’anno che inizia.
Si usa a Rosh hashanà mangiare cose dolci (ad esempio miele) e con semi abbondanti (melograni, fichi) come augurio di un anno dolce ed abbondante (abbondante in buone azioni).
Rosh hashanà, più che una festa, può essere denominata una solennità appunto per il suo carattere solenne.
Rosh hashanà è poi seguito da dieci giorni di meditazione culminanti nel Kippur (vedi domanda n. 13).

9) Perché fate festa il sabato invece della domenica?
Nei Dieci Comandamenti, che sono enunciati nella Torà due volte (Esodo 20, vv. 1 e seguenti; Deuteronomio 5,vv. 6 e segg.) è chiaramente prescritto di ricordare e osservare il Sabato (Shabbat).
Solo con il Cristianesimo il sabato è stato sostituito con la domenica.
Lo shabbat ebraico è un giorno di riposo ( per sé e per gli altri, uomini e donne, padroni e servi, stranieri e pure gli animali) intendendo per riposo non un giorno di semplice astensione dal lavoro, o di divertimento o di ozio, ma un giorno di pace e di armonia fra gli esseri umani;fra gli esseri umani e Dio; fra gli esseri umani e la natura.
In tal giorno non si pensa agli affari;non si fanno acquisti;non si usa l’automobile né si mettono in funzione apparecchi elettrici,etc.
Naturalmente però se c’è un caso di grave emergenza, con pericolo di vita, tutte le suindicate norme devono essere tralasciate in vista della norma più importante e fondamentale che è la salvezza di una vita umana
Come tutte le giornate ebraiche, anche lo Shabbat inizia la vigilia, cioè il venerdì sera e termina la sera, all’ apparire di almeno tre stelle.
Lo shabbat è dedicato ad andare al tempio, a stare in famiglia e con gli amici, alla lettura ed allo studio e rappresenta per l’ebreo veramente un giorno particolare, diverso dagli altri giorni.

10) Perché seguite regole così antiche?
Gran parte delle regole (mitzvot) non mi sembrano “ antiche”, ma piuttosto adatte a tutti i tempi. Per non parlare dei Dieci Comandamenti, divenuti ormai patrimonio per tutta l’ umanità, ecco alcuni esempi scelti tra le tante regole:
a) “Non proferire notizie false;non essere complice di un malvagio prestandoti ad essere teste iniquo. Non seguire la maggioranza per fare il male” (Esodo 23,vv. 1 e segg.);
b) “Non farti corrompere perché il prezzo della corruzione acceca gli occhi dei saggi e rende tortuose le parole dei giusti” (Deuteronomio 16, v. 19);
c) “Quando vedrai il toro o l’ agnello del tuo fratello smarriti non dovrai disinteressartene, li dovrai invece restituire al tuoi fratello. E se il tuo fratello non sta vicino a te o tu non lo conosci, li dovrai portare a casa tua e staranno presso di te fintanto che il tuo fratello ne faccia ricerca e allora glieli dovrai restituire” (Deuteronomio 22, vv. 1 e 2);
d) “Non dir male del sordo e davanti al cieco non mettere un inciampo”(Levitico 19, v. 14);
e) “Il forestiero dimorante con voi dev’ essere per voi uguale ad un vostro indigeno, ed amerai per lui quel che ami per te”(Levitino 19, v. 34);
Inoltre nella Mishnà e nel Talmud (vedi domanda 7) i rabbini, nel corso dei secoli, hanno interpretato le norme della Torà adattandole alle situazioni concrete che si potevano presentare in ogni tempo e in ogni luogo. Tanto per fare un esempio banale, con riferimento alla regola sopra riportata al punto c), si parla di toro e agnello, ma nella società di oggi, il dovere della restituzione si allarga naturalmente ai beni di oggi (automobili, portafogli, etc.).
Anche riguardo ad argomenti assolutamente attuali quali aborto eutanasia, donazione di organi,ecc,…i rabbini cercano di trarre delle regole di comportamento che siano in accordo con i principi fondamentali espressi dalla Torà, quali l’ assoluto rispetto per la vita.
Si può dire in conclusione che le norme da seguire (Halachà) non sono né antiche né moderne, ma eternamente valide, pur con gli adattamenti ai nuovi casi che si possono presentare oggi.

11) Quali sono in sostanza le differenze fondamentali fra ebraismo e cristianesimo?
Le differenze fondamentali sono:
a) Per l’ ebraismo Gesù è una persona normale; così pure Maria : la parola almà - che si trova in Isaia 7, v. 14- viene tradotta come “vergine” nei testi cristiani, mentre in ebraico ha il significato di “ donna”;
b) Nell’ ebraismo non ci sono dogmi, non ci sono affermazioni di fede, né Santi, né un’ autorità centralizzata. Nell’ ebraismo è essenziale invece l’ azione, il comportamento, l’ osservanza delle mitzvot che ci sono state date da Dio;
c) L’ ebraismo non dà molta importanza alla vita ultraterrena, bensì a questa vita, cercando di migliorarla e di elevarla;
d) Non è prevista né auspicabile nell’ebraismo alcuna forma di vita monastica, o ascetica, o in solitudine, ma una vita in mezzo alla società ed al servizio di essa.

12) Perché le donne hanno posti separati nelle sinagoghe?
E’ una consuetudine che ha due motivazioni.
La prima, più antica, è di non dare motivo di distrazione durante le funzioni.
La seconda è che le donne non sono tenute ad osservare le Mitzvot che si svolgono ad orario fisso, come sono appunto le funzioni in sinagoga, dovendo sovente assolvere ad altri compiti nell’ambito familiare. Hanno naturalmente il diritto, ma non il dovere di partecipare alle funzioni pubbliche; cioè in altre parole possono o no intervenire senza trasgredire ad alcuna Mitzvà.
Ciò non significa che la donna sia considerata inferiore; ha semplicemente altri doveri altrettanto importanti e qualificanti ebraicamente.
13) Perché gli uomini mettono papalina in testa?
Tenere il capo coperto è un’ usanza e non una prescrizione. Tale usanza risale a tempi e luoghi in cui il capo coperto era segno di rispetto e sottomissione.

14) Perché le funzioni sono in ebraico e non in italiano?
Per tre motivi:
a) L’ ebraico è stato, in secoli di dispersione in mezzo a popoli con lingue diverse, un elemento unificante fortissimo.
b) Qualsiasi traduzione è necessariamente imperfetta, come dice il proverbio “tradurre è un po’ tradire” .Abbiamo visto ad es.(domanda 17) che la parola ebraica almà [=donna] è stata tradotta come “vergine”.
Inoltre nella traduzione non solo le singole parole, ma la struttura della frase, le ripetizioni di uno stesso termine etc. …,con i relativi significati, perdono il loro senso originario.
c) Nell’ebraismo anche la lingua stessa, con i suoi caratteri di scrittura, ha in sé qualcosa di sacro.

15) Com’è un matrimonio ebraico?
Il matrimonio non è un sacramento, in quanto non esiste nell’ ebraismo un concetto equivalente al sacramento cattolico.
E’ piuttosto un contratto.
Le fasi più salienti di un matrimonio ebraico sono:
a) Lo sposo dà alla sposa un anello, accompagnandolo con le parole: “Ecco, con questo anello tu sei sacra per me, secondo la legge di Mosè e di Israele”,
b) Il rabbino consegna alla sposa un documento, firmato da entrambi gli sposi e dai testimoni, chiamato Ketubbà, in cui sono elencati i doveri del marito verso la moglie (economici affettivi etc.)
c) Vengono dette o cantate sette benedizioni particolari per i matrimoni.
d) Si rompe con il piede un bicchiere in segno di lutto in ricordo della distruzione del Tempio di Gerusalemme, poiché anche nelle occasioni più liete non bisogna dimenticare questo triste avvenimento.
Tutta la cerimonia deve svolgersi sotto un baldacchino (poco importa che sia in sinagoga o fuori o sotto il cielo stellato), il quale è costituito da un semplice telo sostenuto da quattro pali, e simboleggia il tetto coniugale.
Dopo la cerimonia vera e propria gli sposi devono appartarsi da soli per alcuni minuti per significare l’ inizio della loro coabitazione. Seguono poi normali festeggiamenti.
Naturalmente vengono svolte anche le procedure richieste per il matrimonio civile, avendo il rabbino la qualifica di ufficiale di Stato Civile.
Da notare infine che nella legislazione ebraica è sempre stato previsto- sebbene con cautela e restrizioni- una forma di divorzio.

16) Come sono le vostre preghiere? E Qual è il vostro rapporto con Dio?
Riguardo alle preghiere, bisogna chiarire che l’approccio dell’ebreo alla preghiera non è in genere motivato da impulsi personali o sentimenti estemporanei. Benché tale tipo di preghiera spontanea sia ammessa, in generale la preghiera, per l’ ebreo, ha una forma fissa e codificata e, prescindendo da ogni situazione, sentimento o richiesta personale, rappresenta un atto di omaggio e di sottomissione alla potenza divina ed è espressione- uguale per tutti- di volta in volta di riconoscimento, di glorificazione, inno,lode, petizione, ringraziamento, benedizione nei riguardi di Dio.
Del formulario liturgico o Tefillà già è stato risposto alla domanda 19.
Ma c’è un’ altra forma di “preghiera” caratteristica ebraica : la berachà [=benedizione].La berachà è una benedizione diretta a Dio che accompagna moltissimi atti della vita quotidiana e forse può definire il rapporto uomo- Dio.
Anche atti che appaiono umili e modesti come mangiare un pezzo di pane o un frutto, bere del vino,annusare un profumo etc. acquistano una loro elevatezza e santificazione, perché accompagnati dalla formula dell’ apposita benedizione, che sempre inizia così:”Benedetto Sei Tu, o Signore Dio Nostro, Re del mondo…”per poi terminare a seconda dei casi con “…che estrai il pane dalla terra” o “…che crei il frutto della vite” , etc.
Le benedizioni accompagnano pure le azioni che noi compiamo perché prescritteci dalla Torà ed allora la formula è la seguente: “Benedetto sei Tu o Signore, Re del mondo, che ci hai santificato con i tuoi precetti e ci hai ordinato di…” ed il seguito varierà a seconda dei casi.
In sostanza attraverso le benedizioni tutti gli atti che noi compiamo, tutte le cose di cui godiamo vengono collegate a Dio ed acquistano perciò un’ impronta di santità. Facendoci meditare sui doni di cui siamo beneficiari, nonché sul significato delle nostre azioni.

17) Perché siete il popolo eletto?
Questa “elezione” tanto discussa, che ha la sua fonte in un verso dell’ Esodo “mi sarete reame di sacerdoti e popolo santo”, viene da noi intesa come impegno all’ osservanza delle mitzvot,una maggiore responsabilità, un esempio di vita” santa” (“santo” nel significato biblico di “distinto” dagli altri per il livello di vita intriso di moralità e di rispetto per la vita umana nostra ed altrui).
Chiunque accetti le regole della Torà, le segua, e viva in modo “santo”, cioè si distingua dagli altri per il modo di vita elevato, può far parte di questa cosiddetta “elezione”.

18) Come si fa a diventare ebrei?
Non è tanto facile diventare ebrei,in quanto chi vuol diventare ebreo deve impegnarsi a vivere da ebreo, cioè a seguire le regole di vita ebraiche, nonché impegnarsi allo studio dei testi fondamentali.
L’ ebraismo non è una religione “di salvezza”, non offre “facilitazioni” : è un impegno di vita. A chi desidera diventare ebreo si fa presente questo, affinché non pensi che la “conversione” sia una cosa da nulla. Se persiste nell’ intenzione dovrà studiare ed incominciare ad osservare le mitzvot. Quando il rabbino ritiene che sia sufficientemente preparato, si presenterà al tribunale rabbinico (in ebraico Beth Din),composto da tre rabbini, che lo dichiarerà ebreo a tutti gli effetti.
Se il candidato è maschio, deve sottoporsi alla mitzvà della circoncisione (ai maschi nati ebrei la circoncisione viene fatta l’ ottavo giorno dalla nascita).
Se è femmina, deve fare il bagno rituale.
Se ritratta di una coppia sposata, dovranno rifare un matrimonio ebraico.

19) Che cos’è quel manto che gli uomini mettono al tempio?
Il manto di preghiera che indossano gli uomini alla preghiera del mattino (solo a Kippur anche alla sera) si chiama Tallet.
L’ importanza del Tallet sta tutta nei fiocchi o frange che ci sono ai quattro angoli.
Nel terzo brano dello Shemà (che è un brano di Numeri cap. 15,vv. 37- 38) c’è l’ ordine dato dal Signore ai figli di Israele di porre una speciale frangia (zittit) ai quattro angoli del proprio vestito: “Parla ai figli di Israele e di’ loro che si facciano delle frange agli angoli delle loro vesti per le loro generazioni e mettano sulla frangia dell’angolo un filo di lana azzurra. Esse saranno per voi delle frange,le quali, quando voi le vedrete,ricorderete tutti i precetti del Signore e li eseguirete, e non devierete seguendo il vostro cuore ed i vostri occhi”.
Poiché i vestiti odierni non hanno i quattro angoli come gli antichi mantelli, per continuare ad eseguire questo precetto è nata la necessità di questo manto. Agli angoli di esso si trovano appunto particolari frange o fiocchi fatti con fili avvolti e annodati in numero ben preciso. Se teniamo presente che l’ alfabeto ebraico ha anche un valore numerico ( cioè ogni lettera corrisponde ad un numero) facendo corrispondere il numero degli avvolgimenti e annodamenti dei fili alle lettere corrispondenti, si ottengono le quattro consonanti che indicano il nome di Dio.
In parole povere questi fiocchi hanno la funzione che aveva presso i nostri nonni il “il nodo al fazzoletto” cioè quello di farci ricordare. Nella fattispecie farci ricordare la nostra ebraicità.

20) Chi sono i chassidim?
I chassidim [ = pii ] sono i seguaci di un movimento nato in Polonia nella prima metà del diciottesimo secolo.
In quegli anni gli ebrei polacchi attraversavano un periodo di grandi angustie politiche,economiche ed anche spirituali in seguito alla disillusione subita per un presunto “messia” nella persona di Shabbatai Zevì che, dopo aver trascinato e illuso le folle, si era poi convertito all’ islamismo.
Si aggiunga a questa situazione storica, economica, psicologica tremenda anche una tendenza di certi rabbini dell’ epoca a dare soverchia importanza sia alla parte ritualistica, sia allo studio ed all’ erudizione talmudica.
Si può dire che il “chassidismo” divampò e si diffuse come un lampo, quasi come una rivalsa a questo stato di cose.
Iniziò come una rivolta dei “non istruiti” facendo prevalere le emozioni sull’ intelletto. Il rapporto con Dio, secondo il chassidismo, poteva avvenire attraverso preghiere gioiose, spontanee, accompagnate da canti e balli, meglio che con i rituali e lo studio.
Ai rabbini studiosi,eruditi e razionali si preferivano persone trascinatrici e carismatiche come il fondatore del movimento, soprannominato il Baal Shem Tov [= maestro del buon nome].
Emersero pure le figure degli Zaddikim, uomini giusti,perfetti, le cui parole non potevano essere messe in dubbio perché i discepoli credevano in loro e nella loro vicinanza con Dio.
I chassidim furono in contrasto con i rabbini più colti ed intellettuali ma, con il passare degli anni, queste due tendenze rinunziarono al loro estremismo :i chassidim riconobbero l’ importanza dell’ ordine tradizionale mentre i loro oppositori riconobbero al chassidismo un’ anima ricca di fantasia, poesia e umanità.
Gli effetti del chassidismo sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Rabbini carismatici, eredi spirituali del Baal Shem Tov,si trovano ancor oggi a New York come a Gerusalemme ed in altre città, ed ancor oggi con il loro ascendente raccolgono intorno a sé masse di fedeli.
Alcuni di questi gruppi, per “segnalare” anche esteriormente la loro ideologia, si vestono con abiti che erano di moda nella Polonia del 1700 .barracani neri, camicia bianca, grandi cappelli di pelliccia e, in ossequio ad una norma della Torà (Levitico 19, v. 17) restrittivamente interpretata, si lasciano crescere alle tempie lunghi e caratteristici boccoli (in ebraico peòt).
Quando pregano, anche il loro corpo accompagna la preghiera con movimenti ritmici ed inchini.

21) Perché siete sempre perseguitati?
Questa è una domanda che si potrebbe fare più propriamente a coloro che ci perseguitarono.
Comunque le motivazioni possono essere ricercate soprattutto in due direzioni:
a) In primo luogo per secoli la Chiesa ha condannato gli ebrei per non aver creduto in Gesù come Messia e figlio di Dio, e per averlo condannato a morte:l’accusa di deicidio fu “cancellata” solo nel 1965 ad opera della dichiarazione “Nostra aetate” , approvata nell’ ambito dei lavori del Concilio Vaticano II (propulsore di tale documento fu papa Giovanni XXIII).
L’ atteggiamento della Chiesa ha influito negativamente per secoli, creando un “humus” di negatività nei confronti degli ebrei.
b) Gli ebrei hanno sempre cercato di mantenere a tutti i costi la loro “ebraicità” cioè la loro identità ebraica.
Nei molteplici paesi in cui si sono trovati a vivere, hanno sempre rappresentato una minoranza, distinta dal resto della popolazione e, come capita per le minoranze, facilmente presa di mira in ogni occasione.

22) E’ vero che gli ebrei erano usurai?
Questo è uno degli stereotipi negativi riguardo gli ebrei.
L’origine storica è questa: nel medio evo moltissime professioni e mestieri erano vietati agli ebrei, come pure il possedimento di terreni.
Gli ebrei potevano esercitare pochissime attività fra cui : commercio soprattutto di abiti usati, medicina, prestito di denaro ad interesse,che era invece precluso ai cristiani, e poche altre.
Gli ebrei si orientavano necessariamente verso questi sbocchi lavorativi.
I “prestatori di denaro” erano oltretutto molto richiesti dai nobili e dai signori delle varie città e rappresentavano - nell’ economia di una città o di uno stato – quello che oggi rappresentano le banche.
Quando queste restrizioni vennero meno, gli ebri si dedicarono ad altre svariatissime attività (scienze, musica, etc.), ma lo stereotipo negativo continuò.

23) Perché dentro la sinagoga non si vede nessuna lampada a sette braccia che è così importante per gli ebrei?
La lampada a sette braccia (Menorà) era un prezioso arredo del Santuario mobile costruito durante gli anni di peregrinazione nel deserto e si trovava proprio davanti alla zona più importante che racchiudeva le Tavole della Legge. La sua forma era stata dettagliatamente prescritta dal Signore che aveva dato tutte le prescrizioni per la costruzione di detto Santuario (Esodo 25, vv. 31- 36).
Quando poi venne costruito dal re Salomone il Tempio di Gerusalemme, la Menorà fu posta lì.
Quando il Tempio di Gerusalemme venne distrutto dall’ imperatore romano Tito, la Menorà venne presa come bottino di guerra. Sull’ arco di Tito a Roma si può appunto vedere la scena del trionfo di Tito, con i prigionieri e la Menorà al seguito del vincitore.
Da quando non c’ è più il Tempio, non c’ è neppure più la Menorà e proprio per sottolineare la differenza tra sinagoghe e Tempio ( vedi risposta 16 ), non si mettono in sinagoga lampade a sette braccia. La Menorà è diventata praticamente un oggetto simbolico e modellini di Menorà vengono usati come soprammobili, senza però avere più un valore nello svolgimento di alcuna funzione.

24) Che cos’è la cabala?
La cabbalà è un’ antichissima corrente mistica che comprende un complesso di dottrine esoteriche volte ad indagare ed a dare spiegazioni su temi quali la natura di Dio, le modalità della creazione, la natura dell’ anima e dell’ universo, il significato del bene e del male, la funzione della preghiera e così via.
La cabbalà ha avuto vari centri di diffusione, fra cui la Spagna (XIII e XIV) e, in seguito alla cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, la città di Safed in Galilea in cui emerse il grande cabalista Isaac Luria.
Un testo fondamentale della cabbalà è lo “Zohar” [ = “splendore” ].
I cabalisti non si allontanano dalla Torà, ma ne propongono nuove chiavi interpretative al fine di raggiungere e svelare i significati e gli aspetti più “nascosti” del testo sacro.
Ad esempio uno degli approcci interpretativi si basa sul fatto che ogni lettura ebraica corrisponde ad un valore numerico. Un indagine approfondita ed a volte audace sulle lettere e le parole usate nel testo, la loro ripetizione, la loro vicinanza o lontananza, etc. ed il valore numerico corrispondente, apre le porte a nuove e inaspettate interpretazioni.
I seguaci delle dottrine cabbalistiche costituiscono un gruppo in seno all’ ebraismo ufficiale. Pur avendo avuto oppositori nel corso dei secoli, hanno però sempre fatto parte dell’ ebraismo, non essendo questo legato a dogmi (vedi domande 1 e 17).
La loro influenza si è sentita soprattutto nella liturgia, avendola arricchita di canti e inni. I cabalisti hanno forse anche influenzato la nascita del chassidismo (vedi domanda 30).
Non hanno invece avuto influenza sulle norme di vita ebraica (halachà).
L’ interpretazione “numerica” ha dato adito a degenerazioni e a volgarizzazioni varie anche in campo non ebraico (magia, sogni, amuleti) che hanno nuociuto non poco alla conoscenza della cabbalà teorica e speculativa.

Nedelia Tedeschi
ADEI - WIZO
Sezione di Torino – 1991
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Sixara » lun mar 13, 2017 1:33 pm

El skrìve el Rav della Rocca ke

" L'ebraismo è fin dal suo inizio religione e storia insieme. Anzi, è la storia di una realtà religiosa in cui la Torà, il popolo e la Terra formano un unicum. la nostra storia di oggi è la continuazione ininterrotta di questo intreccio. Se nella definizione stessa di dialogo tra culture differenti è implicita l'esigenza di entrare con l'altro nella sua completezza, è chiaro che se si fa esclusione di uno solo di questi tre elementi, usare il termine dialogo diventa assolutamente improprio e il superamento di alcuni rifiuti cede il passo a nuovi modi di giustificare il rifiuto. "

Ke bravo el Rav Della Rocca, ke bèla persona, da i modi jentili però fermi: ono-do-trè, an'zi Uno-do-Tre: Torà-popolo-Tèra.
De ki xela la Torà? e la Tèra? de l popolo, de la zènte ke - par primi - a ghè vegnù n mente e ki altri - tuti cuanti - i se tàca a le so costion relijoxe-storike-politike ke le vièn tute dopo.

El Rav Della Rocca... :D
a jèro ndà n àtimo fòra e co so tornà drento la sala de la conferen'za el ghea zà scumi'zià parlare. El Rav Della Rocca el ga na forma de disturbo de l linguaggio ke a l scumì'zio a ne te capìsi gnente de cuéo ke l dixe, podòpo, on fià la volta, a te te bìtui, come e te scumìzi capire e a ne te vurìsi ke l finìse pì de parlare.
Ma lù no l parla te na manièra normale, ma no me rièse de spiegare come, n realtà a me go dexmentegà el come de l so contàre, a m è restà solo el sènso de la fadìga de l so contàre, e pure ke tuto, a la fine, a se capìva.

Gnente sconti:
" Alle giovani generazioni va proposto un impegno serio, di studio e di ricerca, che permetta loro una crescita autonoma della propria identità ebraica, preparandoli allo stesso tempo al confronto con la società e la cultura circostante. Solo così non diverranno la sbiadita fotocopia dei loro genitori."

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Simcha Bunam di Pzysha soleva raccontare la storia di Aizik, figlio di Yekil di Cracovia.
E insoma, dopo àni e àni de mixeria - ke però no la ghe jèra mai vegnù mancare la fede te l Eterno - Aizik el s insogna ( i ghe lo ordina n sògno) de ndarghe n 'zerca de on texoro, sconto soto a l Ponte ke l ména a el Castèlo. E ona-do e trè, co l se lo insogna pa la tèr'za olta, Aizik el se ciàpa-su e l s incamina a la olta de Praga.
Ma vi'zin el Ponte ghe stava le goardie, de dì e de nòte, e Aizik no l se tentava a pasàrlo: el ghe ndaxea darente - ogni matìna - e l ghe jrava tornovia fìn sìra e mai ke l se decideva domandarghe... finké el capitano de le goardie, ke l lo tegnea de òcio da on toketo, el ghe domanda amichevolmente se l fùse n 'zerca de calcòsa o calkedùn. E 'lora Aizik el se fa corajo e l ghe conta de l insogno e l capitano ghe vièn da rìdare, ma pròpio el se fà na bèla ridà :D
- E cusì ca te ghè fato tuta sta strada pa on sògno? ke nsemenio ca te sì, come se fà credarghe i sogni... sa ghése da credarghe anca mi - i sogni - e lora a dovarìa fàrghene anca mi de la strada par gninte... pènsa ca m insògno sènpre ke i mi dixe de ndarghe n 'zerca de on texoro sconto drento la caxa de on ebreo, Aizik el se ciàma, fiòlo de Yekil de Cracovia. Aizik-fiòlo de Yekil- l ebreo! ma te pare-ti? come fèto credarghe na roba cusì... a Cracovia, n mèzo tuti ki ebrèi, vaghe n 'zerca de Aizik.
E l se ga meso rìdare, da nòvo.
Aizik el lo ga ringra'zià e l è tornà caxa-soa, indove ke l lo ga catà dalbòn el texoro e co i skei el ga fato costruire na Bet HaKeneset, na Sinagoga ke la porta el so nome: la Scuola di Aizik, figlio di Yekil.
Fai attenzione a questa storia - concludeva Rabbi Bunam - e afferra bene ciò che significa: vi è qualcosa che non si può trovare in nessun luogo, nemmeno nella casa di uno Tzaddik, un Giusto, ma nonostante questo si trova in un luogo: a casa vostra, presso di voi...
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » mar giu 06, 2017 8:07 pm

"Senza di te sono più triste e saggia". La signora Facebook commuove il mondo
Ven, 05/06/2015

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 36978.html

Pubblichiamo il testo postato su Facebook da Sheryl Sandberg, chief financial officier del social network, nel quale parla dell'improvvisa scomparsa del marito, morto mentre si allenava sul tapis roulant in palestra.

Oggi si conclude la celebrazione di sheloshim per il mio adorato marito, il rito che segna il trigesimo della morte.

La fede ebraica prescrive un periodo di lutto intenso, shiva , che dura per sette giorni dalla sepoltura della persona amata. Dopo shiva , si riprendono le attività normali, ma è solo la fine di sheloshim a suggellare il completamento del lutto religioso per il coniuge.

Un amico di infanzia, oggi rabbino, mi ha detto di recente che la preghiera più breve e incisiva che abbia mai letto è racchiusa in un'unica frase: «Non lasciare che io muoia mentre sono ancora vivo». Mai avrei compreso quella preghiera prima di perdere Dave. Adesso sì.

Quando la tragedia colpisce, non manca mai di presentare una scelta. Vivere nel vuoto, nell'assenza che ti invade il cuore, i polmoni, e che stritola la tua capacità di pensare e persino di respirare. Oppure puoi cercare un senso a quanto accaduto. In questi ultimi trenta giorni, molti sono stati i momenti che ho trascorso smarrita in quel vuoto. E so che molti momenti futuri saranno consumati da quel nulla sconfinato.

Ma quando sarò in grado di farlo, sceglierò la vita e il suo significato.

Per questo scrivo: per celebrare la fine di sheloshim e per restituire agli altri almeno in parte quanto ho ricevuto. Se l'esperienza del lutto è profondamente personale, il coraggio di coloro che hanno condiviso le loro vicissitudini mi ha aiutato a risalire la china. Tra coloro che mi hanno aperto il loro cuore ci sono stati gli amici più intimi. (...)

In questi trenta giorni ho vissuto trent'anni. Sono più triste di trent'anni. Ma anche più saggia di trent'anni.

Ho elaborato una consapevolezza più profonda di quello che significa essere madre, sia negli abissi dello sconforto, quando sento gridare e piangere i miei figli, sia quando avverto la presenza di mia madre accanto al mio dolore. (...)

Ho imparato che non sapevo mai che cosa dire agli altri nel momento del bisogno. Adesso capisco che sbagliavo tutto, perché mi sforzavo di rassicurare le persone, dicendo che tutto sarebbe andato per il meglio, sicura che la speranza fosse il dono più consolatorio che potessi offrire. Un amico, malato terminale di cancro, mi diceva che la cosa peggiore che potessero dirgli era «vedrai che andrà tutto bene». Una voce nella sua testa rispondeva urlando, «come fai a sapere che andrà tutto bene? Non capisci che sto per morire?». In quest'ultimo mese ho imparato quello che stava cercando di insegnarmi. (...) Quando mi sento dire, «tu e i tuoi bambini ritroverete la felicità», il cuore mi dice, sì, lo so, ma so anche che non proverò mai più una gioia pura e vera. Quelli invece che mi dicono, «ritroverai una nuova normalità, ma non sarà mai come prima», mi sono di maggior conforto perché sanno e dicono la verità. (...)Quando mi chiedono come sto, devo mordermi la lingua per non urlare, «mio marito è morto un mese fa, come pensate che stia?». Invece quando sento «Come stai oggi?» capisco che il mio interlocutore sa benissimo che oggi per me è già tanto arrivare alla fine di ciascuna giornata. (...) Ho capito quanto effimere possono apparire le cose - o forse tutto lo è davvero. Che qualsiasi punto di appoggio sotto i tuoi piedi può venir meno in ogni momento, senza preavviso. In questi ultimi trenta giorni, ho sentito da tante, troppe donne che hanno perso il compagno e si sono ritrovate in bilico non una, ma mille volte. Alcune di loro non hanno nessuna rete di sostegno e combattono da sole nell'affrontare la sofferenza emotiva e l'insicurezza economica. Mi sembra terribilmente sbagliato abbandonare queste donne e le loro famiglie proprio quando si trovano in uno stato di assoluto bisogno.

Ho imparato a chiedere aiuto, e ho capito fino a che punto anch'io ho bisogno di aiuto. Fino ad oggi ero stata la sorella maggiore, la COO, quella che faceva e programmava. Non ho scelto io il mio destino, e quando la tragedia ha colpito, mi sono ritrovata incapace di fare qualunque cosa. I miei familiari sono intervenuti, hanno pianificato, sistemato tutto, mi hanno detto dove sedermi e mi hanno ricordato di mangiare. E ancora oggi fanno tanto per sostenere sia me che i miei figli.

E ho scoperto che la capacità di recupero è una virtù che si apprende. Adam M. Grant mi ha insegnato quali sono i tre fattori critici e che è possibile esercitarsi su tutti e tre. La responsabilità, capire cioè che non è stata colpa mia. Grant mi ha detto di cancellare la parola «mi dispiace», di ripetermi all'infinito, non è colpa mia. La stabilità, capire che non resterò per sempre prigioniera di questa situazione. Le cose miglioreranno. E infine la suddivisione: ciò che mi è capitato non deve necessariamente andare a colpire ogni area della mia vita. La capacità di riconoscere la settorialità della vita è fonte di salutare saggezza.

Per me, avviare la transizione di ritorno al lavoro è stata la salvezza, l'occasione di tornare a sentirmi utile e in contatto con gli altri. Tuttavia, mi sono accorta ben presto che persino quelle connessioni erano mutate. Molti dei miei collaboratori avevano negli occhi uno sguardo timoroso quando mi avvicinavo. E capivo perché - volevano aiutarmi, ma non sapevano come. Gliene parlo? Non ne faccio parola? Se accenno a quello che è successo, che cosa posso dirle? Mi sono resa conto che per ripristinare quella vicinanza con i miei colleghi, che è sempre stata tanto importante per me, era mio dovere lasciarli avvicinare. E questo significava dimostrarmi più aperta e vulnerabile di quanto non avrei mai voluto essere. Ho detto a quanti mi lavorano accanto che potevano benissimo farmi tutte le domande che volevano e che avrei risposto. Ho detto loro che andava benissimo anche parlare di quello che provavano. Una collega mi ha confessato che era passata più volte in macchina davanti a casa mia, sempre incerta se fermarsi oppure no. Un altro mi ha detto che si sentiva paralizzato quando era in mia presenza, temendo di dire la cosa sbagliata. Parlare apertamente ha rimpiazzato il timore di dire o fare la cosa sbagliata. La mia vignetta preferita mostra un elefante in una stanza che risponde al telefono e dice, «Parla l'elefante». Non appena abbiamo capito che dovevamo rivolgerci all'elefante, siamo riusciti a scacciarlo dalla stanza.

Al tempo stesso, però, ci sono momenti in cui non posso far avvicinare troppo le persone. Sono andata alla riunione dei genitori alla scuola dei miei figli, quando i bambini portano in giro i genitori per la classe per far ammirare loro i disegni appesi alle pareti. Tanti genitori - persone dolcissime - hanno cercato di avvicinarsi per dirmi parole di conforto. Io ho tenuto gli occhi bassi, per non incontrare lo sguardo altrui, per timore di scoppiare in lacrime. Spero che abbiano capito.

Ho imparato la gratitudine. La vera gratitudine per tutte le cose che davo per scontate in passato, come la vita. Pur avendo il cuore a pezzi, quando guardo i miei bambini ogni giorno, sono felice di vederli vivi. Sono felice di ogni sorriso, di ogni abbraccio. Non so più prendere alla leggera nemmeno il passare dei giorni. Quando un amico mi ha detto che odia i compleanni e perciò non intendeva festeggiare il suo, l'ho guardato e gli ho detto tra le lacrime, «ma festeggialo, il tuo compleanno, sei fortunato di averlo». Il mio prossimo compleanno sarà deprimente, ma sono decisa a festeggiarlo nel mio cuore più di quanto abbia mai festeggiato un compleanno finora. (...)

Stavo parlando con un amico riguardo un'attività da svolgere con i figli che Dave non potrà più fare. Abbiamo elaborato un piano per rimpiazzare Dave. Piangendo, gli ho detto, «ma io voglio Dave, voglio il piano A». Lui mi ha abbracciato, «L'opzione A non è disponibile. Allora sfruttiamo al meglio il piano B». Dave, per onorare la tua memoria e allevare i tuoi figli come meritano di essere cresciuti, prometto di fare tutto il possibile per sfruttare al meglio il piano B. E anche se sheloshim è finito, rimpiango ancora l'opzione A. E la rimpiangerò sempre. Nelle parole di Bono, «non c'è fine alla tristezza... e non c'è fine all'amore». Dave, ti amo.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » gio giu 08, 2017 5:54 am

La cultura ebraica in pillole contro i pregiudizi
roselina salemi
2017/06/06

http://www.lastampa.it/2017/06/06/socie ... agina.html

In un fumetto umoristico, mentre Mosè guarda le tavole della Legge orgoglioso dopo averle ricevute sul Monte Sinai, un uomo alza la mano perplesso e chiede: «Ma… c’è una sezione per i commenti?». È una vignetta che riassume perfettamente due contesti diversi: lo spirito del popolo ebraico, impossibile da definire, nato per discutere tutto da sempre, e una frecciatina al mondo folle attuale del web, ai commenti di video, articoli, post, catene infinite di percezioni soggettive ostentate; non si cerca più un’autorità in materia, ma bisogna sempre avere un’opinione.

Uno dei grandi vantaggi della rete, però, è l’aver trasformato il cervello dei giovani in un desktop con tante finestre aperte, rendendo intuitivo ragionare per percorsi di associazioni e contesti interattivi, lineari e allo stesso tempo incorporati l’uno nell’altro. Quando uno studente scrive una tesina per la maturità oggi - se non si limita a un misero copia e incolla - si trova davanti un’infinita di portali che si aprono e chiudono (come nel cartone Monsters & Co): questo può portare a collegamenti più profondi tra materie un tempo separate da rigide divisioni accademiche.

Per capire i collegamenti nascosti del mondo attuale non è mai stato più importante conoscere le sfumature culturali e moderne di alcuni popoli. Prima di commentare una notizia su Israele, bisognerebbe afferrare le basi storiche, per esempio. Tra le prime domande a tema ebraico che escono su Google ci sono: Come si chiama una chiesa ebraica? Come si chiama un il cappellino ebraico? Come si chiama un funerale ebraico? Curiosità che trovano risposte soprattutto in siti in altre lingue, in un mare, senza un “sussidiario” a fare da salvagente.

Per questo oggi (6 giugno) al Ministero dell’istruzione viene presentato Ebraismo in Pillole, un sito creato dall’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas, e sostenuto dall’Unione delle comunità ebraiche italiane e dalla Fondazione Pincus per l’educazione nella Diaspora di Gerusalemme. Tobia Zevi, il presidente dell’Associazione Hans Jonas, attivo in politica da anni - una delle menti che stanno dietro il sito - spiega: «Il Ministero dell’Istruzione ha accettato di inserire questo portale nel programma di attività previste dal protocollo d’intesa tra lo stesso Miur e l’Ucei in materia di lotta all’antisemitismo.

Per questo si sta ragionando, insieme al ministero, sui possibili sviluppi dell’iniziativa: una giornata di presentazione con studenti e insegnanti in autunno; una possibile traduzione del sito in lingua inglese in occasione dell’anno italiano di presidenza dell’Aira, il consorzio di paesi che collabora per la lotta ad antisemitismo e discriminazioni; uno sviluppo del sito nel 2018, in occasione dell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali».

Mentre in America la cultura ebraica è parte dei libri, film, i bambini vengono invitati a feste ebraiche dal compagno di banco, in Italia un ebreo, come altre minoranze, è spesso frainteso. Basta pensare a un tema ampio come il rapporto tra ebraismo e cattolicesimo e alle frasi da bar «Ma un rabbino e un prete sono la stessa cosa?». O a un adolescente che va alla sua prima manifestazione e poi lo colpisce scoprire in un libro di Storia le radici del Sionismo, così vicine a quelle del socialismo.

Ebraismo in Pillole è un sito allegro, concepito per percorsi interattivi: Dio nell’ebraismo, Calendario ebraico, Ebraismo e Società civile, la Diaspora, i rapporti ebrei-cristiani, la libertà e i suoi limiti, l’antisemitismo, il Sionismo, lo stato d’Israele. Ogni argomento ha poi diversi capitoli e percorsi didattici. Ad approvare e scrivere i testi ci sono Daniele Toscano, Micol Temin e Saul Meghnagi, esperti in giornalismo, comunicazione, temi educativi, ispirati anche dalle lettere che David Ben Gurion mandò a cinquanta intellettuali, i “Saggi di Israele”, che risposero tutti alla domanda “Cos’è un ebreo?”.

Per moltissimi italiani un ebreo è spesso uno straniero o un punto di domanda. «Tante volte, nel corso degli anni, mi sono state rivolte domande sull’ebraismo, sugli ebrei, sulla storia ebraica - dice Tobia -, e spesso mi è capitato di rispondere frettolosamente, come capita quando devi ritornare sullo stesso argomento a ripetizione. Qualcuno mi ha pure insultato, nella vita, ma questa è un’altra storia. Comunque è per questa esperienza personale che tengo molto a questo portale, una sorta di risposta che dovevo alle tante amiche e amici incontrati lungo la strada, che mi hanno avvicinato con una curiosità che non sempre ho saputo soddisfare. Il pregiudizio antisemita si combatte con la conoscenza e con la cultura, non ci sono scorciatoie, però la cultura non deve per forza essere noiosa!”

Anche Simone Somekh, ebreo italiano a New York, si è trovato in situazioni simili questo l’ha portato a fare un elenco di tutte le frasi, pregiudizi, domande che vengono dette a chi è ebreo in questo video auto-prodotto che sta ricevendo un’accoglienza positiva su Facebook: «Non si direbbe, sembri normale…», oppure: «Quindi non sei italiano». E anche: “In casa che lingua parlate?”

Una delle frasi più interessanti è «Buona Giornata della memoria» che fa intuire che l’equazione fra ebraismo e Olocausto, nella percezione collettiva, sebbene necessaria, non fa passare in modo naturale le miriadi di sfumature di una cultura.

1 italiano su 5 ha pregiudizi sugli ebrei, sia a destra che a sinistra. Il relativismo è sinonimo di libertà ma è proprio un proverbio ebraico a dire che se Dio vivesse sulla terra le persone gli tirerebbero sassi alle finestre. Per diventare adulti nell’ebraismo bisogna fare un rito di formazione: per chi fa la maturità, si affaccia al mondo o ha ancora domande, queste pillole possono essere il primo passo verso «un rito di informazione».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Gino Quarelo » mar ago 01, 2017 5:50 am

SE MI SCORDERÒ DI TE O YERUSHALAIM CHE LA MIA DESTRA SI SCORDI DI ME
(salmo di David)

1947 ANNI DALLA DISTRUZIONE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME DI TUTTA GERUSALEMME E E LO STERMINIO DI MIGLIAIA E MIGLIAIA DEI SUOI CITTADINI EBREI ...SECONDO GLI STORICI FU UNA PRIMA SHOÀ ..
E ANCORA OGGI PREGHIAMO E DIGIUNIAMO IN QUESTO TRISTE GIORNO CHE DIEDE INIZIO ALLA FAMOSA DIASPORA
E C'è CHI DICE CHE NOI EBREI NON ABBIAMO NESSUN LEGAME CON GERUSALEMME E ISRAELE...

https://www.facebook.com/46437868702801 ... 0094284870


https://it.wikipedia.org/wiki/Tisha_b%27Av
Tisha b'Av o Tisha BeAv (in ebraico: תשעה באב o ט׳ באב), o più semplicemente 9 di Av, è un giorno di lutto e digiuno nel calendario religioso luni-solare del Giudaismo che può cadere a luglio o agosto. Il suo nome denota il nono giorno (Tisha) del mese giudaico di Av. Il giorno è stato chiamato il "più triste giorno nella storia ebraica". Quando il giorno nove di Av coincide con il sabato, l'osservanza del digiuno avviene dal tramonto del Sabato alla Domenica del dieci del mese di Av (anche se si riferisce al giorno con lo stesso nome di Tisha B'Av): non essendo permesso digiunare durante il giorno del Sabato per preservare la gioia e la santità del giorno tutti i digiuni vengono spostati al giorno successivo ad esclusione del digiuno di Yom Kippur la cui santità è superiore a quella del Sabato ed ha quindi priorità Halakhica.

Il Tisha BeAv è un giorno di rimembranza di lutto per l'Ebraismo, che cade il nono giorno dell'undicesimo mese di Av (luglio-agosto). La ricorrenza avviene in memoria di numerosi eventi luttuosi per il popolo ebraico:

distruzione del Primo Tempio da parte delle truppe di Nabucodonosor (586 a.C.) (Talmud, 416 a.e.v.)
distruzione del Secondo Tempio da parte delle truppe di Tito (70 d.C.)
sconfitta degli insorti guidati da Bar Kochba (135 d.C.)
distruzione di Gerusalemme (136 d.C.) e inizio della diaspora
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » lun ott 16, 2017 10:34 pm

SHE LO ASANI ISHA'


" Ti ringrazio Signore di non avermi fatto donna".

Questa è una delle prime benedizioni che gli uomini recitano al mattino.

Sembra terribilmente maschilista ma è il contrario.

Si riconosce un'altissima responsabilità alle donne per il loro ruolo di madri e mogli.

Si considera più faticoso il ruolo femminile e per questo degno di rispetto.

Le donne, in virtù dei loro impegni, sono esonerate dalle preghiere ma se vogliono e se hanno tempo possono pregare.

La prima benedizione del venerdì sera, quella che inaugura il santo Sabato, è "Eshet Hayl" ( Un omaggio alla donna virtuosa ed operosa che ha permesso di celebrare il sabato degname te.
Nelle aziende con management religioso, le donne hanno il ruolo più importante e spesso la decisione finale spetta a loro.

Nell'esercito, cerchiamo di non farle combattere ma sempre più spesso, chiedono ruoli più impegnativi, come pilota di cacciabombardieri.

Le donne, nell'esercito, comandano ed istruiscono spesso gli uomini e qui è considerato normale.

Alexandra.



https://www.youtube.com/watch?v=NLKE18vmhmc
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Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » mer dic 27, 2017 1:17 pm

L'origine dei dogmi cristiani
Elia Benamozegh
a cura di Marco Morselli

http://www.nostreradici.it/benamozegh_dogmi.htm

«L'importanza dell'opera di Elia Benamozegh è pari all'occultamento di cui è stata vittima a partire dal XIX secolo» (1). Solo negli ultimi anni in Italia, negli Stati Uniti, in Israele, in Francia si è assistito a un risveglio d'interesse per la sua opera, ma molto lavoro di edizione e di traduzione di testi {scritti in ebraico, in francese, in italiano) resta ancora da fare. Tale lavoro sui testi è la premessa di un lavoro interpretativo, che ha comunque già iniziato a dare i suoi frutti (2).

Rav Elia Benamozegh è una tra le maggiori figure dell'ebraismo italiano dell'Ottocento, è un grande maestro dell'ebraismo sefardita, è un pioniere del dialogo ebraico-cristiano,

Nacque a Livorno il 24 aprile 1823 da una famiglia originaria di Fez, in Marocco. Perso ben presto il padre, Avraham, venne educato dalla madre Clara e dallo zio materno Yehudah Coriat, rabbino e cabbalista. Nella sua autobiografia, egli ricorda come nelle lunghe notti invernali, alla fioca luce di una candela, leggessero insieme lo Zohar.

A sedici anni Elia vide stampate le sue prime pagine: la prefazione al Maor wa-shemesh l'opera cabbalistica dello zio. Qualche anno dopo venne ordinato rabbino, e iniziò a predicare e a insegnare nella sua città.

A Livorno rimase fedele per il resto dei suoi giorni, conducendovi una vita interamente dedicata agli studi, in compagnia della moglie, dei figli e degli allievi dell'allora prestigioso Collegio rabbinico.

Da liberale, partecipò alle vicende del Risorgimento, al punto che nel 1850 il delegato del Granduca di Toscana intendeva processarlo per "soverchia italianità". Egli salutò con entusiasmo l'emancipazione degli ebrei e considerò con ottimismo i nuovi orizzonti che essa apriva. Scrisse in tre lingue: in ebraico, in italiano e in francese. Del 1855 è l'Emat mafgyia una confutazione di Ari Nohem, un'opera anticabbalistica di Leone Modena, del 1862 Em laMiqrah, un commento alla Torah, del 1865 la Storia degli esseni, del 1867 Morale juive et morale chrétienne. Quella che è considerata la sua opera maggiore, Israel et l’humanité, rimase incompiuta e inedita. Verrà pubblicata a Parigi ne11914, a cura di Aimé Pallière: Elia Benamozegh aveva lasciato questo mondo il 6 febbraio 1900.

Nel 1860 l'«Alliance Israelite Universelle» bandì un concorso in cui chiedeva di esaminare quali fossero, dal punto di vista della dogmatica e della morale, gli elementi che l'ebraismo ha trasmesso alle religioni che l'hanno seguito.

Dopo molte incertezze, Benamozegh decise di concorrere e nel 1863 spedì a Parigi un manoscritto intitolato Essai sur !'origine des dogmes et de la morale du christianisme. La Commissione giudicatrice dell'«Alliance» decise di premiare la «Parte terza», che venne pubblicata con il titolo Morale juive et morale chrétienne, le prime due parti vedono qui per la prima volta la luce in traduzione italiana (3).

L'opera che egli intendeva scrivere doveva comprendere quattro parti: la prima sul dogma {nella quale avrebbe trattato la Trinità, l'Incarnazione, l'abolizione della Torah); la seconda sul culto {nella quale avrebbe trattato tutto ciò che, avendo un'origine evangelica, poteva essere ricondotto alle radici ebraiche); la terza sulla storia {nella quale avrebbe trovato posto una Vita di Gesù); e la quarta sulla morale.

L’ intero piano dell'opera non poté però essere realizzato alla data fissata dall'«Alliance», e Benamozegh decise di inviare solo le parti che erano pronte, sull'origine del cristianesimo, sulla Trinità e sulla morale.

Nello scrivere quelle pagine, egli era compenetrato dalla convinzione di stare per afferrare il filo che unisce il cristianesimo all'ebraismo, e che questo avrebbe reso forse un giorno possibile preparare una revisione del cristianesimo non in base a criteri esterni, ma sulla base di una tradizione della quale il cristianesimo stesso costituisce un’emanazione.

«Vedevo aprirsi davanti ai miei occhi orizzonti sempre più vasti», scrive Benamozegh nella prefazione alla parte dell'opera che poteva allora pubblicare (e che si è ritenuto opportuno ripresentare qui di seguito, nella traduzione di E. Piattelli) ricordando i giorni e le notti di indefesso lavoro.

La principale accusa che Benamozegh rivolge al cristianesimo riguarda quella abolizione della Tòrah che venne ben presto proclamata. Considerata da Paolo fonte della morte, del peccato, della schiavitù, venne contrapposta alla fede, creando una dualità estranea all'ebraismo.

Ma la consapevolezza di quale pericolo mortale abbia costituto la cristianità per l'ebraismo (attraverso l'insegnamento del disprezzo, culminante nel mito del popolo deicida, la teologia della sostituzione e la concomitante prassi discriminatoria e persecutoria) non lo porta a disconoscere il valore del cristianesimo e della sua morale:

Mille generazioni si sono riparate sotto il suo tetto ospitale, mille sofferenze, mille dolori vi hanno trovato un sollievo quasi divino: mille virtù si sono sparse per il mondo, comunicando dappertutto il coraggio di fare il bene e il terrore di fare il male; mille geni hanno chinato la fronte davanti ad essa: inchiniamoci anche noi davanti a questo capolavoro di un pugno di ebrei, davanti a questo ramo del grande albero d'Israele innestato sul tronco dei gentili. Vi riconosciamo l'impronta dell'ebraismo, lo spirito dei patriarchi, dei profeti, dei rabbini (4).

In che modo il rigoroso monoteismo ebraico può aver dato origine al cristianesimo della Trinità e dell'Incarnazione? Il problema resta senza soluzione finché si rimane sul terreno dell'ebraismo essoterico, Se invece si entra nell'ebraismo esoterico, si rivelerà una straordinaria affinità di linguaggio, di simbolismo spirituale.

Nell'intraprendere un'analisi cabbalistica della dogmatica cristiana, Benamozegh era consapevole di affrontare un discorso pericoloso, ma, come avrebbe scritto, accanto al pericolo vi è la speranza:

Allo stesso modo in cui gli ebrei fondatori del cristianesimo sono passati di là, a nostro avviso, nel fondarlo, niente di più naturale che altri ebrei vi passino a loro volta, e quest'ultimo passaggio prova il primo; ma è come un ponte gettato sull'abisso, sul quale si può passare, ma anche ritornare (5).

Benamozegh riteneva possibile una riforma della cristianità attraverso un vero e proprio percorso di teshuvah, compiuto il quale il cristianesimo «si spoglierà di tutto ciò che ha di contrario alI'ebraismo, deporrà le vesti prese in prestito, i brandelli di paganesimo, che lo hanno reso irriconoscibile ai suoi genitori, che lo fecero espellere dalla casa paterna, che produssero e perpetuarono il divorzio, l'inimicizia, la lotta fratricida tra ebraismo e cristianesimo, di cui il mondo piange ancora» (infra, 187).

Di fronte alla millenaria accusa rivolta all'ebraismo di essere una religione particolaristica, Benamozegh si chiede: come sarebbe mai possibile che da una religione così particolaristica siano nate due religioni universali (o meglio: aspiranti all'universalità) come il cristianesimo e I'islamismo?

Israel et l'humanité sviluppa la dottrina secondo la quale l'ebraismo ha in sé una struttura duplice: la legge d'Israele, con le sue 613 mitzvot, e la legge noachide, con i suoi 7 precetti (6).

Che rapporto esiste tra la riproposizione della dottrina noachide e l'idea di una riforma, di un tiqqun, della cristianità condotta sul modello originario da cui deriva? Forse l' Essai sur l’origine des dogmes et de la morale du christianisme contiene un programma giudicato in seguito troppo azzardato e temerario? Oppure riforma della dogmatica e noachismo sono complementari riguardando l'una la teoria, l'altro la prassi?

Siamo di fronte a una questione la cui importanza non potrebbe essere sopravvalutata, considerando anche i problemi che la proposta noachide ha posto ad Aimé Palliare (7) e le attuali prospettive del movimento noachide, soprattutto se messe a confronto con le prospettive alternative del dialogo ebraico-cristiano.

Degli stessi anni de L'origine des dogmes chretiens è anche la Storia degli esseni, opera con la quale Benamozegh intende scrivere una sorta di storia unitaria della spiritualità ebraica. Sotto nomi diversi infatti (recabiti, hassidim, esseni, terapeuti, cabalisti) vi è una medesima realtà, quella di persone che cercano con tutte le loro forze di vivere secondo la Torah, che non è solo scritta, ma in primo luogo orale, e che dal Sinai è giunta fino a noi attraverso una catena ininterrotta.

Questa continuità rende possibile la speranza che essa non sia definitivamente scomparsa, ma si sia solo temporaneamente occultata, e prepari il suo riaffiorare:

Meglio che scomparsa, meglio che estinzione, si dovrebbe chiamare questo sottrarsi degli esseni cabbalisti dalla scena del mondo un’eclissi temporanea, un ritiramento nelle più segrete latebre dell'ebraismo, un ascondimento precario a guisa di quei fiumi che ad un tratto avvallando e sprofondandosi nelle viscere della terra si aprono una via sotterranea per miglia non poche, onde erompere di nuovo alla superficie del globo e lo antico corso seguire alla luce del sole (8).

Per coloro che cercano di articolare il rapporto tra ebraismo e cristianesimo in modo diverso rispetto a quello della sostituzione (e dell'imitazione, che ne è una conseguenza), il riconoscimento che la Torah non è stata abolita e che vi è un modo ebraico di concepire la Trinità e l'Incarnazione apre scenari nuovi.

In questi nuovi scenari, la tensione esistente nella «e» che unisce e separa ebraismo e cristianesimo acquista un nuovo significato, che consente di liberarsi dalla duplice prospettiva di una storia che non ha salvezza e di una salvezza che non ha storia.

L'origine dei dogmi cristiani, soprattutto nella sua ultima parte, è anche una straordinaria introduzione allo Zohar, e Benamozegh cita il detto cabbalistico secondo il quale lo Zohar aprirà la strada al Messia.

Possiamo anche ricordare che il Maharal di Praga interpreta il passo talmudico in cui si parla del Messia che siede alle porte di Roma nel senso che il Messia sorgerà quando Edom farà teshuvah (9).

Se la testimonianza messianica delle nazioni non annuncerà più l'esilio e l'asservimento d'Israele, ma la sua liberazione, allora «la terra sarà piena della conoscenza di D., come le acque ricoprono il mare» (Is 11, 9).

Marco Morselli

1. SH TRIGANO, Les politiques du salut, prefazione alla nuova edizione di Morale juive et morale chrétienne, In press, Paris 2000, 7

2. Vanno ricordati il convegno di Gerusalemme del 1997 (i cui Atti sono pubblicati da «La Rassegna Mensile di Israel" 1997/3), il convegno di Livorno del 2000 (i cui Atti sono in corso di pubblicazione presso l'editore Thalassa De Pas di Milano) e il primo libro dedicato a Benamozegh dopo quello di G. Lattes nel 1901: A. Guetta. Philosophie et Cabbale. Essai sur la pensée d'Elie Benamozegh, L'Harmattan, Paris-Montréal 1998 (tr. It. Thalassa De Pas, Milano 2000).

3. L’edizione francese, a cura di B. Grandsagne e M. Morselli, sta per essere pubblicata dalle edizioni In press di Parigi

4. E. BENAMOZEGH, Morale ebraica e morale cristiana, pref. di A. Guetta, tr. it. Di E. Piattelli, Marietti, Genova 1997, 69

5. E. BENAMOZEGH, Théosophie, Presso l'Autore, Livorno 1897, 7.

6. I precetti noachidi prevedono l'istituzione di tribunali e la proibizione del sacrilegio, del politeismo, dell'incesto, dell'omicidio, del furto, dell'uso delle membra di un animale vivo (ossia della crudeltà verso gli animali).

7. Sul quale si può ora vedere: R. FONTANA, Aimé Pallière. Un cristiano a servizio di Israele, Ancora, Milano 2001.

8. E. BENAMOZEGH, Storia degli esseni. Le Monnier, Firenze 1865, 517.

9. Il Maharal di Praga, Neshah Israel, cap. 28 su Sanhedrin, 98a



https://www.ibs.it/origine-dei-dogmi-cr ... 8821183256


Perché gli ebrei non hanno creduto a l'ebreo Cristo
viewtopic.php?f=197&t=2715
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