Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » gio gen 04, 2018 9:50 pm

BNE BERAK

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 9871202295

Bne Berak è un quartiere di Tel Aviv che dista 40 minuti o forse 40 anni dalle spiagge e le discoteche del centro città.

Bne Berak è il quartiere degli ebrei religiosi di Tel Aviv.

È un quartiere che amo perchè pare di entrare in una nuova dimensione, quando si passeggia al suo interno.

Piccole e umili palazzine di tre piani; imbiancate a calce; senza ascensore, semplici come semplici le sue piccole case, senza tappezzeria, con arredi umili e semplici come i suoi abitanti.

Gli ebrei religiosi hanno pochi cardini: famiglia, preghiera, carità, studio e lavoro anche se quest’ultimo è visto come una pura necessità ; si lavora per pagare l’affitto e la spesa ma si cerca di avere più tempo possibile per lo studio, la preghiera e la solidarietà.

Spesso vedrete medici o ingegneri nucleari pulire le scale dei palazzi perchè così possono assolvere meglio le incombenze religiose e di solidarietà.

Gli abitanti di Bne Berak hanno scelto di vivere una vita spirituale; hanno ricreato quel mondo che Hitler aveva distrutto in Europa e che gli Arabi hanno spazzato via in Africa dopo aver espulso tutti gli ebrei dai paesi musulmani negli ultimi 70 anni..

I religiosi guardano noi laici con compassione.

Noi che viviamo per il successo, il prestigio, il denaro….tutte sciocchezze ai loro occhi.

Gli unici valori che contano per loro, sono : devozione, la solidarietà e la cultura.

Gli unici obiettivi da perseguire sono la purezza personale e famigliare; la frugalità, la preghiera e lo studio.

Guardateli; sono davvero molto felici senza possedere nulla.

Non conoscono l’ansia né la paura: tanto c’è D-o che penserà a tutto, quindi…..

Non temono di perdere nulla perchè non hanno nulla, eppure sono sereni.

Gli uomini vestono solo di giacca, cappello e pantaloni neri su camicia bianca tutto l’anno.

Le donne invece : orribili maglioncini stile anni 50 , scarpe senza tacco e lunghe gonne.

La lunghezza della gonna varia dalla congregazione alla quale si appartiene; alcuni rabbini tollerano pure le minigonne.
Però ognuno poi veste come vuole. Non c’è alcun obbligo o condanna; l’ebraismo suggerisce ma non obbliga.

Gli uomini sono invitati ad evitare tentazioni e per questo evitano di guardare le ragazze giovani in minigonna e non sedersi loro vicino sul bus.
Sì perchè a Bne Berak le case costano poco e ci vengono a vivere in pace anche i laici e le ragazze un po’ sguaiate e ultraminigonnate di Tel Aviv.

La convivenza è pacifica anzi, spesso i laici si rivolgono ai religiosi o ai rabbini per consigli o perchè alla ricerca della loro parte spirituale e vengono ovviamente accolti a braccia aperte.

Bne Berak è come una bella signora che aspetta solo occasione di vestirsi e truccarsi per le feste.

Gli abitanti di Bne Beraq ( come di tutti i quartieri religiosi ebraici) hanno la giornata scandita dal ritmo delle preghiere che non sono un obbligo ma un piacevole momento di incontro con gli amici ai quali segue sempre un rinfresco rituale (Kiddush).

Le donne molto spesso recitano i salmi (Tehillim) sul bus, alcune lo fanno dallo smartphone.

La settimana lavorativa è vista come un noioso intermezzo tra un santo sabato festoso e quello successivo.

Il Sabato è pura gioia.
Spenti i semafori, chiusi i negozi tutti.
Niente macchine o motorini, solo le carrozzelle con tanti bambini.

Solo Sinagoghe dalle quali escono i canti vecchi di 3.000 anni, sempre
quelli, immutabili.

Nel cortile della Sinagoga, sul tavolo troverete: vino, dolci, biscotti e panini; sono per il Kiddush; un breve pasto al termine di ogni funzione.

Tutti possono cibarsene, anche gli sconosciuti.
Non c’è bisogno di inviti.

Tutti, possono partecipare alle feste di Circoncisione, maggior età o Matrimonio, qualora ci fossero pochi invitati.

Tutti sono tenuti a pregare per i defunti; passando davanti alla casa della famiglia in lutto, pregheranno per uno sconosciuto come avrebbero pregato per un familiare stretto.

Molte case lasciano le porte aperte per permettere visite di cortesia informali e poi c’è l’abitudine di girare casa per casa a trovare amici e parenti.

Perchè la tribù di Giacobbe (cioè gli ebrei), sono da sempre un’unica grande famiglia.

I mesi sono scanditi dal calendario-lunario ebraico e sono di 28 giorni ed ogni primo del mese è festa.

Le stagioni, sono anche esse scandite da feste e ricorrenze.

La vita scorre cosi come comandato dalle scritture con ritmi naturali e non dalla vorticosa civiltà dei consumi di Tel Aviv.

Bne Berak ospita molte organizzazioni di carità e solidarietà.

La solidarietà e la carità sono invece un obbligo, una missione.

Ci si può rivolgere ai religiosi per avere pasti Kasher per chi vive isolato, o chiedere compagnia o aiuto per un Shidduch (un incontro per trovare il partner), si , anche questo.

I religiosi saranno felicissimi di portare sedie a rotelle,bombole ad ossigeno o stampelle agli anziani privi di risorse.

Tutto quello che fanno, lo fanno a titolo gratuito; non sollecitano una mancetta né invitano a pregare, nulla.

Cercano di risolvere il problema e se ne vanno rifiutando ricompense.

Punteranno il dito verso il cielo, dicendo:

“Non si preoccupi, la mia ricompensa è lassù".

Jossy

Tel Aviv
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » mar feb 13, 2018 9:42 pm

La conversione del Rabbino Zoller che scosse le relazioni ebraico-cristiane
Alessandro Notarnicola

http://www.farodiroma.it/la-conversione ... -cristiane

13 febbraio 1945: Israel Zoller, rabbino capo di Roma si converte al Cattolicesimo assumendo il nome cristiano di Eugenio per ringraziare Papa Pio XII per aver agito sia contro le leggi razziali sia nei confronti dell’occupante nazista salvando migliaia di ebrei dalla deportazione e da morte certa.
Quello della conversione di Zolli è uno dei momenti storici più importanti di tutto il Novecento e del pontificato di Pacelli da sempre oscurato da una leggenda nera che vede nel Papa un complice di Hitler. Momento storico, quello della conversione, che non si limita al dato biografico ma che si allarga alle relazioni ebraico-cristiane fortemente condizionate dalla lunga notte dell’Olocausto.

Zoller, il cui cognome fu italianizzato in Zolli, divenne Rabbino Capo di Roma nel 1939, quando l’Europa ai preparava ad affrontare una delle esperienze più tragiche della propria storia. Il 1° settembre dello stesso anno, infatti, la Germania nazista invase i territori polacchi e di lì a poco tutta l’Europa avrebbe assunto la fisionomia di una vera e propria polveriera i cui fumi salivano al cielo attraverso le ciminiere dei forni crematori disseminati tra Polonia, Austria e Germania. Il momento più duro per l’Italia arrivò nel 1943 quando sfiduciato dal Gran Consiglio Benito Mussolini e partiti alla volta di Pescara i Savoia, gli italiani caddero nelle mani dei tedeschi. Fino a quel momento la comunità ebraica romana (12.300 iscritti) non aveva subito le persecuzioni che avvenivano in tutta Europa ma dall’ottobre del 1943 anche gli ebrei romani entrarono nel ciclo infernale delle deportazioni e delle esecuzioni di massa, perpetrate dai nazisti e dai loro complici. Zolli propose la chiusura del Tempio, la distruzione degli schedari degli iscritti, la dispersione e il nascondimento. Attraverso racconti arrivati direttamente dagli ebrei suoi amici che vivevano a Trieste era venuto a conoscenza di quello che accadeva alle comunità ebraiche d’Europa. I due Presidenti della Comunità, tuttavia, ritenevano che tutto si sarebbe risolto e che si sarebbe potuto aprire un dialogo con i tedeschi. Niente di più sbagliato. Zoller e la sua famiglia cercarono riparo altrove abbandonando la propria abitazione che, tra l’altro, fu la prima ad essere saccheggiata dalle SS che portarono via libri e documenti.

Un anno più tardi, nell’ottobre del 1944, il Rabbino raccontò che gli era apparso Gesù ma attese il 13 febbraio 1945, quando ormai i tedeschi lasciarono l’Italia, per ricevere il sacramento del Battesimo cambiando così il proprio nome in Eugenio, in segno di gratitudine verso Papa Pio XII per la sua decisiva azione in favore dei giudei durante la guerra. Assieme a lui anche sua moglie Emma ebbe il battesimo e la notizia fece subito il giro del mondo destando polemiche e forti dissensi. La figlia Myriam invece decise di convertirsi al cattolicesimo un anno più tardi. In questi stessi anni post-conflitto scrisse: «Ciò che il Vaticano ha fatto per gli ebrei resterà indelebilmente ed eternamente scolpito nei nostri cuori. Ha fatto cose che resteranno per sempre un titolo di onore per il Cattolicesimo».

A seguito della sua conversione Zolli venne abbandonato dalla sua comunità restando con poche risorse e senza un impiego. Molti infatti ritennero che il suo non solo fosse stato un tradimento ma anche un modo per discolpare Pacelli dal famoso “silenzio” riguardo le leggi razziali del ’38 e le persecuzioni che ebbero inizio il 16 ottobre 1943 dal Portico d’Ottavia, nel vecchio ghetto. “Nessun motivo d’interesse mi ha spinto a fare questa cosa; quando mia moglie e io abbracciammo la Chiesa, perdemmo tutto ciò che avevamo al mondo. Ora dobbiamo trovarci un lavoro. Dio ci aiuterà”, ha scritto nelle sue Memorie.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » mar feb 20, 2018 10:15 pm

L'odio interno del popolo ebraico è il lievito che dobbiamo eliminare
Michael-Laitman
posting.php?mode=edit&f=197&p=26499
http://www.michaellaitman.com/it/2017/0 ... -eliminare

Se esiste un odio più enigmatico dell’antisemitismo, questo è proprio l’antisemitismo ebraico. Il nostro odio interno è sinistro, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere fino a quando non troveremo l’innesco che lo disinnescherà.

La storia è piena di esempi di ebrei che odiavano così tanto la loro gente, da dedicare tutta la loro vita a distruggerli. La ribellione dei Maccabei avvenuta all’incirca nell’anno 160 a.C., era rivolta, prima di tutto, contro gli ebrei ellenizzati, piuttosto che contro l’impero Seleucido.
Allo stesso modo, il comandante degli eserciti romani che conquistò Gerusalemme ed esiliò gli ebrei, fu Tiberio Giulio Alessandro, un ebreo di Alessandria il cui padre aveva donato oro e argento per le porte dello stesso Tempio che Alessandro distrusse. Secondo quanto riportato dallo storico ebreo-romano Tito Flavio Giuseppe, prima della rovina di Gerusalemme, Giulio Alessandro aveva distrutto la propria comunità ebraica di Alessandria, provocando “in tutto il quartiere un’inondazione di sangue a causa dei 50.000 cadaveri che erano stati ammucchiati”. Allo stesso modo, durante l’inquisizione spagnola, il capo inquisitore Tomás de Torquemada era di recente discendenza ebraica, ma questo non mitigò il suo zelo nell’espellere ed uccidere gli ebrei. E proprio nel secolo scorso, l’Associazione degli Ebrei Nazionali Tedeschi sostenne e votò per Hitler e per il partito nazista.

In verità, non sono stati George Soros e Noam Chomsky ad inventare l’odio degli ebrei per il proprio popolo, noto anche come antisemitismo ebraico. Infatti, proprio la scorsa settimana, abbiamo assistito ad un’irritante manifestazione di questa mania. In primo luogo, abbiamo appreso che la maggior parte delle minacce di attentati contro i Centri delle Comunità Ebraiche, che avevano avuto un singolo autore, non erano partite da un fanatico del movimento nazionalista o da un estremista islamico, bensì da un diciannovenne israelo – americano di Ashkelon, una piccola città nel sud di Israele. In seguito, abbiamo visto decine di presuntuosi ebrei protestare durante il discorso del vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, all’American Israel Public Affairs Committee. Durante le proteste, i contestatori hanno affermato che se non c’è pace per i palestinesi, allora non ci sarà pace per Israele. Sappiamo tutti però che il popolo palestinese dichiara ogni giorno di non volere la pace con Israele, ma la sua distruzione.

Infine, mentre lo stato di Israele e alcune organizzazioni ebraiche hanno finalmente raccolto abbastanza consensi a livello internazionale per tenere una conferenza anti-BDS nella Sala dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il movimento BDS conta fra le sue fila numerosi attivisti ebrei e diverse organizzazioni ebraiche che lo supportano, come ad esempio: J Street, Jewish Voice for Peace, e Jews for Justice for Palestine.

In effetti, l’odio interno del popolo ebraico sembra essere una fontana inesauribile di sinistra ingegnosità. Se esiste un odio più enigmatico dell’antisemitismo, questo è proprio l’antisemitismo ebraico.

Come siamo diventati una nazione

Nel settembre del 2014 ho scritto un articolo sul The New York Times intitolato “Chi sei tu popolo d’Israele”, il quale parla dell’origine unica del popolo ebraico e del motive per cui esiste l’antisemitismo. A seguito di numerose richieste di approfondire l’idea dell’unione ebraica come soluzione all’antisemitismo e delle fonti che ho invocato per sostenere il mio punto di vista, ho scritto un saggio più elaborato dal titolo “Perché la gente odia gli Ebrei”. Il saggio è diventato rapidamente un mini-sito internet che contiene, oltre al saggio stesso, un video che spiega le mie idee e una copia gratuita del mio libro Like a Bundle of Reeds: Why Unity and Mutual Guarantee Are Today’s Call of the Hour. Con i limiti di un articolo di giornale, ho potuto dare solo una breve spiegazione, quindi per maggiori dettagli, siete tutti invitati a seguire uno dei link sopra riportati.

La nostra nazione è unica. Se cerchiamo un’origine ben precisa per il popolo ebraico, non la troveremo. La nostra nazione è basata su un’idea, non sulla parentela comune, né sull’affinità etnica o biologica. Il “progenitore” della nazione ebraica fu Abramo, questo è il motivo per cui ci riferiamo a lui come ad “Abramo Nostro Padre”. Il libro PirkeiDe Rabbi Eliezer (Capitolo 24) dice che Abramo era molto preoccupato per i babilonesi con cui viveva. Vedeva la loro crescente ostilità reciproca e si chiese perché tutto ciò stesse accadendo.

Mentre egli rifletteva sul loro odio, scrive Maimonide in Mishneh Torah, si rese conto che in tutta la natura vi è un perfetto equilibrio fra la luce e l’oscurità, fra l’espansione e la contrazione, e fra la costruzione e la distruzione. Tutto in natura ha una controparte che genera equilibrio. Allo stesso tempo, egli notò che a differenza del resto della natura, la natura umana è completamente squilibrata. Tra le persone regnano sovrane l’interesse personale, l’egoismo e la malvagità. L’odio reciproco che Abramo scoprì fra i suoi concittadini gli fece capire la verità sulla natura umana, perché “Il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza” (Genesi 8:21).

Abramo si rese conto che se le persone non avessero introdotto l’equilibrio della natura nella società umana di propria iniziativa, avrebbero distrutto se stesse e la propria società. Egli iniziò quindi a far circolare fra i babilonesi l’idea che, quando l’odio esplodeva, non dovevano combatterlo, ma aumentare invece i loro sforzi per unirsi. L’idea di Abramo cominciò a raccogliere seguaci, ma come ben sappiamo da Maimonide, Midrash Rabbah, e da altre fonti, Nimro Re di Babilonia fu invidioso del successo di Abramo e lo cacciò dall’antica Babilonia.

Abramo iniziò a peregrinare verso la terra di Israele e a parlare della sua idea con la gente che incontrava lungo la strada. La sua idea era semplice: quando scoppia l’odio, va coperto con l’amore. Secoli dopo, il Re Salomone riassunse questa idea nel versetto: “L’odio provoca liti, ma l’amore copre ogni crimine” (Proverbi 10:12).

I discepoli di Abramo incrementarono l’unione fra loro, ma non furono considerati ufficialmente una nazione fino a quando non raggiunsero un profondo livello di unione e solidarietà. Il nome Monte Sinai deriva dalla parola ebraica sinaa (odio). Solo quando il popolo di Israele si unì ai piedi del Monte Sinai e promise di essere “Come un solo uomo con un solo cuore”, allora meritò il titolo di “nazione”. Allo stesso tempo, gli fu affidato anche il compito di continuare a diffondere il metodo della connessione, proprio come Abramo aveva insegnato ai propri discepoli. Come ci dice la Torah, ebbero il compito di essere “Una luce per le nazioni”.

Il popolo ebraico ha continuato a sviluppare il metodo per la connessione, adattandolo alle mutevoli esigenze di ogni generazione, ma il principio del coprire l’odio con l’amore è rimasto lo stesso. Quando un uomo andò da Hillel il Vecchio per chiedergli di insegnargli la Torah, egli disse semplicemente: “Quello che odi, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah” (Talmud Babilonese, Masechet Shabbat, 31a).

L’antisemitismo ebraico: il profondo rifiuto del nostro ruolo

Nel corso delle generazioni, le fazioni del popolo ebraico che non poterono mantenere il principio dell’amore che copre l’odio si separarono dalla nazione. Queste persone assimilarono o svilupparono forme meno impegnative di Ebraismo che meglio si adattavano al loro crescente egocentrismo.

Mentre la maggior parte di queste fazioni scomparve fra le nazioni, alcune di esse, come ad esempio gli Ellenisti, divennero nemici giurati dell’Ebraismo. Ka’ab al-Aḥbār, per esempio, non solo era un ebreo, ma era un eminente rabbino dello Yemen che si convertì all’Islam e divenne una figura importante nella definizione dell’ortodossia islamica sunnita. Egli aveva accompagnato Khalif Umar nel suo viaggio a Gerusalemme. Quando Umar gli chiese consiglio sulla scelta della posizione per un luogo di culto, Ka’ab indicò il Monte del Tempio. Di conseguenza, la Cupola della Roccia di oggi è collocata proprio dove prima vi era il Secondo Tempio.

Quando gli ebrei diventano antisemiti, non si parla semplicemente del rifiuto di una fede. Si tratta piuttosto di una profonda obiezione al ruolo che hanno nei confronti del mondo intero: diffondere a tutto il mondo il metodo della connessione ideato da Abramo. Essere “Una luce per le nazioni” significa impostare un esempio di unione al di sopra dell’odio. Questa è una pesante responsabilità da portare perché significa che se non diamo l’esempio, il mondo non avrà alcun modo per raggiungere la pace e la gente ci darà la colpa per il proprio odio reciproco. Possiamo vedere che questo accade già in molti luoghi e in molte situazioni, ma anche come l’odio e l’egoismo si intensificano nelle nostre società; questo fenomeno diventerà sempre più comune e pericoloso, a meno che noi non forniamo l’antidoto dando l’esempio su come rendere inoffensivo l’odio lavorando sull’unione.

È così difficile cercare di dimostrare che non siamo diversi da qualsiasi altra nazione, ma veniamo sempre trattati come dei reietti. Proprio di recente, il Dott. Andreas Zick della Bielefeld University in Germania, ha rivelato che l’antisemitismo è ancora dilagante nel suo paese. Ma ancora più importante è il fatto che egli attribuisca l’onnipresenza dell’odio verso gli ebrei, al fatto che “non sono visti come parte integrante della società tedesca, ma piuttosto come degli stranieri”.

In effetti, noi continueremo ad essere degli emarginati fino a quando non ripristineremo la nostra responsabilità reciproca, il nostro senso di unione e di amore per gli altri, e diventeremo una luce di unione fra le nazioni. Allora, e solo allora, saremo i benvenuti ovunque. L’antisemita più noto nella storia americana, Henry Ford, espresse questa specifica richiesta nel suo libro L’ebreo internazionale: “I riformatori moderni, che costruiscono modelli di sistemi sociali, farebbero bene ad esaminare il sistema sociale con cui i primi ebrei si erano organizzati”.

Il lievito tra di noi

In questo periodo dell’anno, in cui le famiglie si ritrovano per festeggiare Pesach, che è la festa della libertà, dobbiamo ricordare che la schiavitù che dobbiamo ancora rigettare è l’odio verso i nostri fratelli. Il hametz (lievito) è il nostro odio infondato e rimuovendolo, anche se per una settimana soltanto, compiremo la più grande opera di pulizia mai avvenuta. Sarà anche il più grande regalo che potremo fare a noi stessi, alla nostra nazione e al mondo intero.

Essere “Una luce per le nazioni” significa essere un esempio di unione e fratellanza. Con il nostro odio reciproco, ora stiamo solo dando l’esempio sbagliato. Biur hametz [pulire tutto dal lievito] rappresenta la pulizia dei nostri cuori dall’odio e la loro preparazione per l’unione e la creazione della nostra nazione. Questo è il motivo per cui la festa della libertà, Pesach, viene prima della festa della ricezione della Torah (Matan Torà), che come abbiamo già detto è: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che ha dato inizio alla costruzione del nostro popolo.

In questo momento di profondo conflitto e alienazione, cerchiamo di essere dei veri ebrei, uniti nell’amore che copre tutti i crimini, e legati nella fratellanza e nella responsabilità reciproca.

Auguro a tutti una Pesach felice e kosher (libera dall’odio).
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » lun mar 26, 2018 8:07 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » lun apr 02, 2018 9:28 pm

Shabbat Ha Gadol
Rav Riskin

“Ecco Io sto per mandare a voi il profeta Elia prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile. E farà tornare il cuore dei padri verso i figli ed il cuore dei figli verso i loro padri, in modo che, venendo non abbia a colpire la terra con la distruzione.”
(Malachì III : 23,24)
Dal momento che Pesach è la festa della redenzione, il Sabato che annuncia questa festa - e in un cero senso annuncia la redenzione stessa - è chiamato “il Grande Sabato” (Shabbat HaGadol).
Il Profeta Elia, araldo del Messia, fa il suo ingresso proprio nella Haftarà scelta per “il Grande Sabato”
; così in tutte le Sinagoghe del mondo, non appena Pesach appare all’orizzonte, Elia entra nelle nostre coscienze.
Il compito principale che avrà è che “farà tornare il cuore dei padri verso i figli ed il cuore dei figli verso i loro padri”.
Quindi la sua missione più importante sarà quella di ricreare l’unità familiare. Possiamo difficilmente credere che ci sarà pace tra le nazioni senza la pace nelle famiglie.
Possiamo trovare la riprova di questo durante il Seder di Pesach, il cui messaggio fondamentale è “E racconterai a tuo figlio”, un racconto inter-generazionale.
Ma che cosa deve fare esattamente Elia per creare questo “cambiamento di cuori” tra padri e figli ? L’ultima Mishnà del trattato talmudico di Sotà (49b) descrive come nel periodo precedente alla venuta del Messia, prevarrà uno spirito di arroganza. Il senso di questa Mishnà è quello di una rottura totale delle relazioni tra genitori e figli, per esempio “i giovani imbarazzeranno i loro anziani e gli anziani staranno in piedi alla presenza dei loro figli” .
Fondamentalmente, la Mishnà ci sta dicendo che prima che la redenzione possa diventare una realtà, il corso del mondo sarà rovesciato.
Questa situazione ci viene suggerita nella Haggadà quando confrontiamo il figlio “saggio” e quello “malvagio”.
Entrambi sembrano escludersi dal rituale, il figlio saggio chiede “Quali sono le testimonianze...che il Signore vi ha comandato ?
”(Deuteronomio VI :20) , mentre il figlio malvagio dice “Che cos’è questo culto per voi ?
” (Esodo XII :26). E allora perché uno lo definiamo “saggio” e l’altro “malvagio” ? Le parole del figlio chiamato “saggio” sono introdotte nella Torà da “Quando tuo figlio ti chiederà...” mentre quelle del “malvagio” sono introdotte da “Quando i tuoi figli ti diranno...”. Il figlio saggio chiede agli anziani quello malvagio parla loro.
Sia la Mishnà che il profeta Malachì (citato all’inizio) si occupano della fine dei giorni e se li mettiamo insieme scopriremo che sono in realtà l’uno l’antidoto dell’altro. La Mishnà ci riporta l’arroganza dell’età che precederà l’arrivo del Messia, il ribaltamento dei ruoli. Questa piaga morale è proprio ciò di cui si occupa il profeta, che parlando di Elia che verrà mandato prima del “grande e terribile giorno” per riportare il cuore dei padri verso i figli ed il cuore dei figli verso i loro padri.
Posso comunque suggerire che la descrizione della Mishnà possa non essere così negativa dopo tutto! Forse il punto chiave può essere trovato nel fatto che Malachì prima parla del cambiamento di cuore dei padri verso i figli. Se il problema è l’arroganza dei figli, Elia non dovrebbe prima far tornare il cuore dei figli verso i loro padri ?
Mai come dall’Emancipazione degli ebrei circa 200 anni fa c’è stato un allontanamento di massa dall’Ebraismo. Dopo l’Olocausto gli statistici avevano predetto che gli ebrei religiosi sarebbero diventati presto una reliquia da museo. Ma negli ultimi 20 o 30 anni, per la prima volta in secoli, ebrei sono tornati all’Ebraismo. Il movimento della tesciuvà(pentimento) che si è diffuso tra le personalità come tra i figli di famiglie benestanti e assimilati ebrei, rinnova la speranza in una situazione altrimenti oscura.
Questo ritorno ha creato un altro fenomeno: figli e figlie che hanno ricondotto alle radici i loro genitori. Vediamo bambini condurre Sedarim, rispondere alle domande dei loro genitori. Questo può essere ciò a cui il profeta alludeva.

http://www.archivio-torah.it/feste/pesa ... agadol.pdf


Conosco un uomo cresciuto in Sud Africa salvato dai Cristiani durante l’Olocausto. È vissuto a Johannesburg, è diventato religioso sotto l’influenza di Habbad ed in seguito è diventato Rabbino.

Una volta si trovò seduto su un aereo affianco ad un anziano signore e si sentiva molto teso. Parlavano in Yiddish, e discussero di Israele, politica e mondo ebraico. Quando fu servita la colazione l’uomo anziano mangiò la normale salsiccia servita con uova e latte mentre il Rabbino mangiò la apposita colazione kasher. Il Rabbino suggerì gentilmente
all’anziano signore che forse poteva fare a meno della salsiccia. Fu detto al Rabbino senza mezzi termini che da quando aveva perso il suo unico figlio ad Auschwitz, l’anziano uomo mangiava ciò che voleva.

Si lasciarono ma il rabbino non poteva levarsi dalla mente quell’anziano signore ed era sconcertato dal fatto che non gli aveva neanche chiesto il numero di telefono.

Due anni dopo, durante una visita a Yad Vashem a Gerusalemme il rabbino scorse una figura familiare vicino all’ingresso dell’edificio. Correndo verso di lui disse in Yiddish “Mi riconosci, ricordi il nostro viaggio in aereo ?” L’uomo sorrise. Annuì. “Ed ancora mangio le salsicce!”

Il rabbino voleva vedere l’esposizione e chiese al vecchio uomo di unirsi a lui.

“Non entro mai” disse. “Non ti ho detto che ho perso il mio unico figlio ad Auschwitz ?” Qualche cosa scattò improvvisamente nel cervello del rabbino. “Qual era il tuo nome prima della guerra?” chiese. Quando l’uomo rispose il rabbino sussurrò con le lacrime agli occhi: “Tutto ciò che mi è stato detto dalle persone che mi hanno adottato è il tuo nome. Io sono tuo figlio!”

Oggi vivono insieme in Israele. Il padre non mangia più salsicce, e l’unica cosa di cui si lamenta il rabbino è che ogni volta che entra nella stanza suo padre si alza in piedi.

p.s. Per i "nostrani" che diranno che l'ho inventato, questo è il link: www.archivio-torah.it/feste/pesach/shabathagadol.pdf
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 9:00 am

Il concetto di vita dopo la morte nell'ebraismo secondo la dottrina rabbinica
Prima Parte
Fabrizio Tenerelli
2018/04/01

http://viviisraele.it/2018/04/01/concet ... ismo-parte

Carissimi lettori di Vivi Israele. Oggi vi parlo di un argomento dibattuto un po’ in tutte le religioni, quello della vita dopo la morte. Di seguito vi riporto il digest di un articolo pubblicato su Chabad.org, che spiega secondo la dottrina rabbinica il concetto di vita dopo la morte secondo l’ebraismo. Tralascerò appositamente i vari riferimenti talmudici, per evitare di appesantire troppo l’esposizione.

Partiamo. Uno dei principi fondamentali dell’ebraismo è che la vita non inizia con la nascita di una persona e non termina con la sua morte. In questo caso viene riportato il verso 12:7 delle Kohelet (Ecclesiaste), che recita: “e ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a D-o che lo ha dato”.

Il Lubavitcher Rebbe – secondo quanto riportato da Chabad.org – punta l’attenzione su una legge delle fisica più nota come prima “Prima Legge della Termodinamica”, secondo cui l’energia non si disperde o si distrugge, ma soltanto si trasforma. Ma se ciò è vero per l’energia fisica, vale ancora di più per un’entità spirituale come l’anima, la cui esistenza non ha limiti di spazio, tempo o altri indicatori dello stato fisico.

Una cosa è certa: l’energia spirituale nell’essere umano, che è sorgente della vista e dell’udito, dell’emozione e dell’intelletto, della volontà e della coscienza non cessa di esistere soltanto perchè il corpo fisico ha terminato le proprie funzioni.

È più logico che passi da una forma di esistenza (quella fisica attraverso il corpo), ad una superiore, quella spirituale. Considerato che ci sono numerose stazioni nel viaggio dell’anima, queste possono essere raggruppate in quattro fasi generali

1) La completa esistenza spirituale dell’anima, prima che entri nel corpo

2) La vita fisica

3) La vita dopo la vita nel Gan Eden (anche chiamato Paradiso)

4) Il mondo a venire (Olam Haba) che segue la resurrezione dei morti

Vedere o non vedere: la scelta del paradosso

E qui trattiamo il primo punto. Come ampiamente discusso negli insegnamenti chassidici, lo scopo ultimo dell’anima, in questo mondo fisico, è realizzato facendo di questo posto una “dimora per D*o”, attraverso la devozione religiosa nella vita di tutti i giorni che avviene con l’adempimento delle mitzvot.

Ma affinchè le nostre azioni, in questo mondo, abbiano un vero significato, devono essere il prodotto della nostra scelta. Se noi riuscissimo a sperimentare il potere e la bellezza della presenza divina, che portiamo nel mondo con le nostre mitzvot, saremo sempre in grado di scegliere ciò che è giusto, perdendo però la nostra autonomia (in questo caso si intende viene meno la possibilità di scelta, sapendo già ciò che è giusto). Quindi, diventeremo degli automi.

Questo stadio cruciale della nostra vita è così rappresentato da un pressoché totale blackout spirituale. E’ in un mondo in cui la realtà divina è nascosta, in cui il nostro scopo di vita non è ovvio; un mondo in cui “tutti i suoi affari sono rigorosi e cattivi e prevalgono gli uomini malvagi”, che le nostre azioni positive e divine diventano una nostra reale scelta e traguardo.

D’altro canto, com’è possibile, a queste condizioni, scoprire e realizzare la virtù, la bontà e la verità? Se l’anima si getta in un tale mondo senza D*o, tagliata fuori dalla conoscenza del divino, come potrà mai scoprire il percorso della verità?

Per questo l’anima è in uno stato di purezza spirituale, prima di scendere in questo mondo. Nella sua esistenza pre-fisica, l’anima è fortificata dalla divina saggezza e dalla conoscenza. Il Talmud (Niddah, 30b) insegna che quando un feto è nell’utero della madre, arriva un angelo che gli insegna la Torah, ma quando è ora di venire alla luce, l’angelo gli dà un colpetto sulla bocca, facendogli dimenticare tutto.

Il dubbio, a questo punto, sorge spontaneo. Ma perchè insegnare qualcosa, che poi dobbiamo dimenticare del tutto? Qui risiede il paradosso della scelta e della conoscenza: non possiamo vedere la verità e neppure conoscerla manifestamente, ma nel contempo la conosciamo, nella profondità di noi stessi. Profonda abbastanza da poterla ignorare, ma altrettanto profonda da poterla ugualmente svelare ovunque noi siamo e qualsiasi cosa diventiamo.

La reciproca esclusività di conquista e ricompensa

Passiamo alla fase numero 2: i test, i problemi e le tribolazioni della vita fisica e del pesante velo che oscura virtualmente tutta la conoscenza e la memoria della nostra sorgente divina.

Guardando ancora più a fondo riusciamo a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

In qualche modo sappiamo che la vita ha un significato, che siamo qui per realizzare un piano divino; in qualche modo conosciamo pure le differenze tra una azione buona e una cattiva. Conoscenza che non è altro che il tenue retaggio di un precedente stato spirituale, una sorta di inconscio collettivo per dirla alla Jung. Possiamo far finta di niente oppure no, la scelta è la nostra. Tutto ciò che è fisico, per definizione è finito. E infatti, è questo finito che nasconde l’infinità del divino.

L’altro concetto che ne deriva è che la vita fisica è finita nel tempo. Una volta che questa è finita, la nostra anima è libera dal suo involucro fisico. Quindi, non possiamo più raggiungere o realizzare qualcosa di pratico, ma ora, finalmente, possiamo osservare e ricevere soddisfazione da tutto ciò che abbiamo precedentemente realizzato. e adesso notate bene: le grandi conquiste si possono ottenere soltanto nella cecità spirituale del mondo fisico; mentre la soddisfazione si può raccogliere soltanto nel mondo spirituale.

E ora un esempio davvero fonte di grande saggezza, per illustrare questi concetti così difficili e la sensazione provata da noi sulla Terra, rispetto a un mondo del divenire. E’ un po’ come se noi trascorressimo un secolo, chi più chi meno, guardando alla televisione un’orchestra che interpreta una sinfonia, ma con il volume spento.

Notiamo i movimenti delle loro mani, del direttore d’orchestra, dei musicisti. Talvolta ci chiediamo: ma per quale motivo fanno vedere in televisione questi strani movimenti, senza senso? Talvolta, poi, capiamo che dietro quegli strani movimenti qualcuno sta suonando una grande musica, ma non sentiamo una singola nota. Soltanto, dopo cent’anni di silenzio, rivediamo lo stessa esibizione, ma stavolta con il volume acceso. L’orchestra siamo noi e la musica suonata, bene o male, è data dalle azioni della nostra vita.

Cosa sono il Paradiso e l’Inferno?

Sono i luoghi in cui l’anima riceve le sue ricompense o le sue punizioni, dopo la morte. Sì, l’ebraismo crede in ciò, e le fonti ebraiche (sempre secondo quanto sostenuto da Chabad.org) hanno ampiamente discusso questa tematica. Non a caso, si tratta di uno (l’undicesimo) dei principi di fede dell’ebraismo, enumerati da Maimonide.

Ma si tratta di un “paradiso” e un “inferno” ben diversi di quelli descritti nei testi cristiani medievali. Il Paradiso, dunque, non è certo un luogo di arpe e aureole; così come l’Inferno non è abitato da queste rosse creature armate di forca, dipinte sulle etichette della carne in scatola non kosher.

Dopo la morte, le anime tornano alla loro sorgente divina, assieme con tutto il benessere e la ricchezza che sono stati estratti dal mondo fisico, quest’ultimo utilizzato per buoni propositi, scopi significativi.

Ora le anime rivivono le proprie esperienze di vita terrena, ma su un altro piano e tutto ciò di buono che si è sperimentato durante la vita terrena, si trasforma in incredibile gioia e piacere. Il negativo, al contrario, in un incredibile dolore.

Ma attenzione questo binomio piacere e dolore, non va inteso nel senso classico del termine ovvero come la pena comminata a un criminale che si spedisce in prigione o come la ricompensa che si dà a un impiegato meritevole, con un avanzamento di carriera. E’ più che altro sperimentare la vera parte di noi stessi dalla quale eravamo protetti, durante la nostra vita fisica.

Insomma, sperimentiamo la vera importanza e gli effetti delle nostre azioni. Ricordate l’orchestra che suona? Alzando il volume della TV, quindi passando dalla vita terrena a quella spirituale, sentiamo l’orchestra suonare. A seconda delle nostre azioni potremo così sentire una sinfonia piacevole oppure brutta, triste, angosciosa: tutto dipende da come abbiamo suonato nella nostra vita.

La verità colpisce, quindi fa male. Ma nel contempo purifica e guarisce. I dolori spirituali che si provano nel “Gehinnom” (Geenna: per dirla in breve, l’Inferno nell’ebraismo, ma torneremo su questo punto), affrontando la verità della propria vita purifica la nostra anima dalle macchie e dai difetti provocati dai nostri misfatti. Una volta liberati da questa ombra, questo guscio, di negatività, siamo pronti per godere appieno dell’incommensurabile bontà divina.

(Fine Prima Parte)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » dom lug 22, 2018 9:07 am

Esilio e Redenzione
Rav Scialom Bahbout - Rabbino capo di Venezia

http://www.progettodreyfus.com/esilio-e-redenzione

Nei primi versi del libro delle Lamentazioni troviamo la frase בכה תבכה בלילה “Piangere, piangerà nella notte”. I Maestri si chiedono perché il verbo piangere viene ripetuto due volte e rispondono che i pianti si riferisco alla distruzione del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme. Si interrogano ulteriormente sul perché il pianto avvenga proprio di notte (“nella notte בלילה”) e rispondono che la Beth di balaila va intesa nel senso che i pianti sono per quanto accadde in quella notte, quando gli esploratori mandati da Mosè ad esplorare la Terra di Israele prima della conquista, fecero un “reportage” apparentemente vero, ma in realtà tendenzioso, che spinse poi il popolo a rinunciare a entrare nella Terra promessa per conquistarla: è scritto “il popolo pianse in quella notte”, cioè il popolo pianse per quanto accadde in quella notte. Il Midrash aggiunge che il loro pianto era stato ingiustificato, ma nelle future generazioni esso si sarebbe trasformato in un pianto motivato e ben più vero. Infatti gli esploratori tornarono la vigilia del 9 di Av e il popolo pianse la notte di Tishà beav: per avere rifiutato di entrare in Erez Israel gli ebrei saranno costretti a passare da un esilio all’altro. L’esilio non è quindi un fatto “casuale” della storia e dell’identità ebraica, ma ne costituisce parte integrante della sua identità, dovuto a una sorta di quello che con un linguaggio non ebraico potremmo definire “un peccato originale”, accaduto proprio all’origine della storia ebraica e che ci portiamo dentro, quando decidiamo di rinunciare a salire in Israele.

Tuttavia, pur nell’affermare la negatività dell’essere in esilio, il popolo ebraico ha sempre cercato di reagire trasformando un fatto negativo in qualcosa di unico. Scrive Haim Hazaz, un romanziere israeliano, che gli altri popoli hanno assunto alcune tra le migliori qualità del popolo ebraico (il socialismo, l’internazionalismo, i 10 comandamenti, il giorno di riposo ecc), ma una sola non hanno mai voluto accettare, il Galut – l’Esilio – che con tutti i suoi aspetti negativi, ha anche rappresentato la sua grandiosa capacità di resistere e di produrre nuovi insegnamenti e nuovi modelli.

Un esilio che può divenire anche di redenzione, se saremo capaci di trasformare la Golà גולה in Gheullà גאולה, con la semplice aggiunta della Alef con cui inizia il nome di Dio.

Secondo la tradizione, il giorno di Tishà beav è anche il giorno in cui è nato il Messia: fin dal momento della distruzione, era già nato il desiderio della ricostruzione e della redenzione. Questo processo ha però bisogno del contributo di ognuno di noi.

Con l’augurio che quest’anno potremo già cestinare le Kinot, le elegie che si usano dire nel giorno di Tishà beav, e trasformare il pianto in lacrime di gioia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Le nove Porte

Messaggioda Sixara » dom lug 22, 2018 7:33 pm

Le nove Porte l è on libro de conte casìdike, scrito da Jirì Langer, on amigo de Kafka ke el ghe le contava, nando in giro pa Praga te le so longhe pasejate:

Sapete già che nella scrittura ebraica di regola non si segnano le vocali.

Se i le segnése sol Ròdolo de la Torà no i podarìa lèzarla in sinagoga. I segni de le vocali i le méte ti libri de le orazion pa i putìni o pa i amhartzim, cuéi ke no ga podesto studiare. Ki ca conóse l ebraico nol ga bixogno de segni vocalici. El sà lèzare anca senza. Però, le vocali, s a te ghè da segnarle, le ciàpa la forma de tratini e pontini; par ex. sa se vòe indicare na vocale a, a se ghe méte on tratìn sota la consonante ca vièn prima; co trè ponti sota la consonante a se segna la e breve, co du ponti ono drio kelaltro a se segna la ei e via ndare.

Ma non crediate che questi puntini e trattini che spesso tralasciamo siano minuzie di poco momento! Al contrario è in essi la chiave di grandi misteri.

Difàti, ki ke sbàlia lèzarli o el se li dexmentega te la preghiera, è perseguitato dopo la morte da tutti i puntini e trattini da lui bistrattati, i quali lo accuseranno presso il Signore. Prestate dunque attenzione, pregando, ai segni vocalici come alle consonanti stesse e vi risparmierete grandi tormenti.

Mi no sò come i faga i chasìdim a prestare attenzione co i lèze la Torà ke - da nàltra parte - Langer el skrìve ke i la lèze de fuga, corendo da na letara a kelaltra, cofà na pulce :D
saltando cofà na pùlega... ma na pùlega chasidica santa anca cuéa, ke la ga da verghe le àe pa portare l ànema cusì in alto dimòdi ke per tutte queste lettere, per quei mille mondi, è purificata e sarà salva.

Nei santi scritti della nostra cabbala i misteri dei nove segni vocalici sono perfettamente spiegati. Il piccolo trattino orizzontale, ossia l'a sotto la consonante è la soglia dinanzi alla porta della Saggezza divina. I due puntini (ei ) sono l' origine e lo scopo , il sublime Trono del Signore, dal quale tutte le anime derivano e a cui ritornano [...]. I tre puntini nella forma delle tre punte del cuore, ossia la e indicano l'Amore. E così tutti gli altri preziosi puntini.

El santo Rabbi Reb Melech nol ga skrìto mai gnanca on libro. On bel dì a và catarlo on 'letterato', on gran sapiente ke - come ke i fà de sòito i sapientoni - nol ga fato altro ke parlarghe di libri ke l ghea skrìto. E dòpo verghela contà finke l jèra stufo, pa farghe vedare la so cortesia' el ghe dimanda al Rabbi Reb :
E voi? Non lavorate ad alcuna opera?
Lavoro - el ghe risponde el Rabbi Reb Melech.
E come si chiamerà la vostra opera?
Si chiamerà Nekidès halèv in ebraico, ovvero Die Pintelech funm Harz in jiddish, ossia I puntini del cuore. Due puntini(ossia ei) li ho già pronti, sicché la prima parte è finita. Si chiama Eimès halèv, Il timore del cuore . Mi resta ora da aggiungervi solo un puntino e avrò Eimès halèv , La veridicità del cuore (ossia e) che indichiamo con tre puntini.
Spero con l'aiuto di Dio di compiere l'opera prima di morire.


J. Langer, Le nove porte, I segreti del chassidismo, Adelphi, 1967, pp. 128-130
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon: Le nove Porte

Messaggioda Sixara » gio ago 09, 2018 10:37 am

Ono el le vèrze tute le nòve Pòrte - ona driomàn kelaltra - e dòpo, rivà la fine de sto bèl librìn de Jiri Langer, còsa gà-lo capìo?

El santo Reb Jizchak Meir, sarìa dire el RIM come ke i lo ciàma i so chasìdim de Kozk,

"un giorno impartì ai discepoli questi precetti: Non è bene essere saggio. Un uomo troppo saggio inclina alle sofisticherie, che conducono infine all'ateismo. Non è bene essere troppo buono. L'eccessiva bontà si tramuta in mollezza. Uno che sia troppo buono, non è forse incline all'ateismo, ma facilmente diventa licenzioso. E non è bene essere troppo devoti. Un uomo troppo devoto non è incline all'ateismo né alla licenza, ma pensa di essere il solo a servire il Signore come si deve e che gli altri non valgono nulla, e perciò odia tutti. Alla fine diventa nocivo a chiunque, una vera peste."

I chasìdi so disèpoli i rèsta boca-vèrta de sto discorso cuà e i ghe dimanda el Rim:

"Maestro nostro, come dovrebbe essere l'uomo se non saggio, né buono, né devoto?"
"Come deve essere l'uomo?" - el ghe risponde el Rim - saggio e buono e devoto nello stesso tempo. Così, queste tre virtù si neutralizzano a vicenda.

J. Langer, cit. p. 262.
Avatar utente
Sixara
 
Messaggi: 1764
Iscritto il: dom nov 24, 2013 11:44 pm

Re: Ebraeixmo spertoałetà e rełixon

Messaggioda Berto » sab mar 09, 2019 4:53 pm

Ci sono stati degli scontri al Muro del Pianto a Gerusalemme per la preghiere delle donne di "Women of the Wall"

2019/03/08

https://www.ilpost.it/2019/03/08/scontr ... erusalemme

Venerdì mattina ci sono stati degli scontri a Gerusalemme vicino al Muro del pianto, quando centinaia di giovani ebrei ultra ortodossi hanno cercato di interrompere il momento di preghiera organizzato dalle donne di “Women of the Wall”, il movimento nato nel 1988 per chiedere che le donne ebree praticanti possano avere gli stessi diritti religiosi accordati agli uomini, soprattutto per quanto riguarda gli spazi del Muro del Pianto.

Le donne di “Women of the Wall” si ritrovano ogni Rosh Chodesh (che nel calendario ebraico corrisponde al primo giorno del mese) per pregare insieme e il servizio di oggi era stato organizzato per celebrare il trentesimo anniversario del primo incontro. Questo mese il Rosh Chodesh coincide con la Giornata internazionale della donna.

I giovani ultra-ortodossi sono stati trattenuti dalle forze dell’ordine per evitare che si avvicinassero troppo al gruppo di donne in preghiera, e hanno finito per scontrarsi contro un gruppo di uomini che era andato al Muro del Pianto per sostenere l’iniziativa di “Women of the Wall”. Anche diverse fedeli ultra ortodosse si sono recate al Muro del Pianto oggi e si scontrate con le donne di “Women fo the Wall”.

Il Jerusalem Post ha scritto che 150 membri del movimento si sono trovate di fronte più di 10 mila donne ultra ortodosse e che le due parti si sono insultate pesantemente. Alcune ragazze presenti, riferisce Haaretz, frequentano scuole religiose ed erano state convinte a recarsi sul luogo dai propri insegnati per bloccare la preghiera ed evitare che le donne di “Women of the Wall” raggiungessero il Muro del Pianto. In un tweet il movimento ha scritto che almeno due donne del loro gruppo sono state portate in ospedale per degli accertamenti dopo gli scontri avvenuti con le fedeli ultra ortodosse.


Alberto Pento
Anche l'ebraismo è una idolatria, tra le meno idolatre, irragionevoli e incivili però sempre di idolatria si tratta.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Ebraismo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron