Gerusalemme capitale di Israele

Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 7:50 am

Israele risponde a Hezbollah: se attaccate distruggiamo il Libano
giordano stabile
14/12/2017

http://www.lastampa.it/2017/12/14/ester ... agina.html

Israele risponde alla mobilitazione sciita “per la liberazione di Gerusalemme” che ha visto manifestazioni di massa a Dahiyah, il sobborgo meridionale di Beirut. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, si è unito al fronte delle milizie sciite e si è detto pronto a liberare “tutta la Palestina”. Proclami che seguono quelli del capo dei Pasdaran Suleimani, che ha lanciato un fronte “per Gerusalemme” e ha chiamato i capi delle Brigate Qassam (Hamas) e Al-Quds (Cisgiordania) per promettergli aiuti nella “loro battaglia”.

“Tornerà all’età della pietra”

La risposta di Israele è arrivata in una intervista del ministro dell’Intelligence Yisrael Katz al giornale online saudita “Elaph News”. Se Hezbollah dovesse attaccare lo Stato ebraico, ha avvertito, questa volta “tutto il Libano sarà un bersaglio”. La guerra del 2006, ha continuato, “al confronto sembrerà un picnic, il Libano tornerà all’età della pietra”. Katz ha aggiunto che l’aviazione è pronta a colpire le “fabbriche di missili iraniane” sul territorio libanese, come ha già fatto più volte in Siria.

Invito al principe Bin Salman

Katz ha anche invitato apertamente in Israele il principe ereditario Mohammed bin Salman, che ha già visitato in incognito lo Stato ebraico lo scorso settembre e incontrato altissimi esponenti del governo. Bin Salman è incaricato di elaborare un nuovo piano di pace Israele-palestinesi, che dovrebbe superare anche il nodo di Gerusalemme, rivendicata come capitale da entrambe le parti.


Palestina: le ragioni di Israele
viewtopic.php?f=197&t=2271
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 3:59 pm

L’autogol di Abu Mazen: ora Israele ne deve approfittare
Antonio M. Suarez
15/12/2017

http://www.rightsreporter.org/lautogol- ... profittare

Il rais palestinese non ottiene praticamente nulla dalla riunione della Cooperazione Islamica che addirittura rilascia un documento finale che fa infuriare gli iraniani in quanto riconosce implicitamente Israele. Ora sta a Israele approfittarne

Cosa ha portato a casa Abu Mazen dopo la riunione d’emergenza della OIC (Organizzazione per la Cooperazione Islamica) che si è tenuta ieri a Istanbul? Tante parole ma pochi fatti e, soprattutto, un implicito riconoscimento di Israele che ha fatto infuriare gli iraniani.

E già, perché nel documento finale prodotto dalla OIC non si nega l’esistenza di Israele come avrebbero voluto gli iraniani, anzi, ne emerge un riconoscimento esplicito seppure basato sui fantomatici “confini del 67” che poi confini non sono in quanto trattasi di “linee armistiziali”. Gli iraniani avrebbero invece voluto che, come ha detto ieri sera il portavoce del Ministero degli Esteri di Teheran, «il regime occupante e falso di Israele» venisse proprio disconosciuto.

Non sono bastate nemmeno le pressioni esercitate da Erdogan appoggiate oltre che dall’Iran dal Qatar. Il resto della “nazione islamica” non ne ha voluto sapere di disconoscere Israele e di romprere con il resto del mondo.

Abu Mazen dal canto suo ha fatto la sua bella sceneggiata arrivando addirittura a minacciare gli Stati Uniti e finendo per affermare che «se non ci sarà uno stato palestinese lungo i confini del giugno 1967 con Gerusalemme come capitale, non ci sarà pace nella regione, nei territori o nel mondo», una frase che non è piaciuta nemmeno a J Street, notoriamente benevola con il Presidente palestinese. Poi ha detto che non riconoscerà più gli accordi di Oslo (quando mai lo ha fatto?) e non accetterà più il ruolo degli Stati Uniti come negoziatore, affermazioni che nei fatti dovrebbero isolare completamente l’Autorità Palestinese (AP) visto che la cosiddetta “Palestina” si regge proprio su quegli accordi e sulle forniture che le vengono garantite da Israele quali per esempio l’energia elettrica, l’acqua, le telecomunicazioni, gli strumenti finanziari e persino la raccolta delle imposte. Se Abu Mazen fosse anche solo minimamente coerente rinunciando agli accordi di Oslo rinuncerebbe anche a tutto ciò che viene fornito da Israele e procederebbe sin da subito a implementare tutte quelle cose che servono a creare uno Stato indipendente. Naturalmente Abu Mazen si guarda bene dal farlo in quanto sa benissimo che tutto collasserebbe in pochi giorni, anche se tuttavia non rinuncia a fomentare la violenza, un fatto questo che dovrebbe spingere il Governo israeliano a stroncare unilateralmente tutti i rapporto con la AP.

E sono proprio le bellicose frasi pronunciate da Abu Mazen alla riunione della OIC che potrebbero essere un clamoroso autogol palestinese. Adesso se gli arabi sono coerenti con le loro dichiarazioni dovrebbero rinunciare a tutto ciò che viene fornito loro da Israele e dagli Stati Uniti, a partire dai fondi che il Congresso americano continua a elargire a Ramallah fino alle forniture essenziali quali acqua e luce che Israele garantisce a Giudea e Samaria nonché alla Striscia di Gaza. E chi sostituirà Israele e Stati Uniti in questa infinita “opera di beneficenza”? L’Iran? Non credo. La Turchia? Meno che meno. Il Qatar sta già spendendo un capitale e difficilmente aumenterà i fondi per la Palestina. L’Arabia Saudita ha già detto che non darà più nessun aiuto alla cosiddetta “Palestina”. E allora? Come farà Abu Mazen a dar seguito alle durissime parole pronunciate a favore di “populino islamico”?

Ora Israele dovrebbe approfittare di questo clamoroso autogol del rais palestinese e tagliare tutti i ponti con la Autorità Palestinese che dal mondo islamico ha ricevuto solo un sostegno a parole. Abu Mazen può finalmente cadere e lasciare il posto a qualcuno che sappia e che voglia finalmente trattare con Israele e non pretendere di imporre le proprie linee, naturalmente stando ben attenti a tenere fuori Hamas dalla corsa alla successione del rais. Questo si che sarebbe un grande risultato da attribuire alla decisione del Presidente Trump su Gerusalemme.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 4:10 pm

«Trump ha liberato Gerusalemme dalla fatwa islamica» : Intervista a Bat Ye’or.
15/12/2017

http://www.linformale.eu/trump-ha-liber ... a-bat-yeor

A seguito della decisione di Donald Trump di dichiarare Gerusalemme la capitale di Israele e, come conseguenza, di ricollocare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, L’informale ha chiesto ad alcuni tra i maggiori analisti del Medioriente e del conflitto arabo-israeliano la loro opinione sulla decisione del presidente americano e le sue implicazioni politiche nel mutante scenario regionale.

Secondo lei qual è la rilevanza politica della decisione di Donald Trump di dichiarare Gerusalemme la capitale di Israele e di spostare l’ambasciata Americana da Tel Aviv a Gerusalemme?

Daniel Pipes:
La mossa dell’ambasciata rinforza i legami americano-israeliani , i quali, a loro volta, faranno sì che i palestinesi e gli altri saranno più propensi a terminare le loro ostilità contro lo Stato ebraico.

Bat Ye’or:
Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello stato di Israele è una vittoria della giustizia contro l’odio virulento che nega al popolo ebraico la sua storia e identità in modo da criminalizzarlo. Il riconoscimento del legame storico del popolo ebraico con Gerusalemme, nella sua semplicità, è simile al riconoscimento dei campi dell’Olocausto da parte delle armate americane: è la constatazione di una realtà la quale espone per contrasto la perversione del suo venire in essere. Trump ha dato un colpo a questa Europa che è stata costruita nel 1973 sul vassallaggio dei petroldollari, nel trionfalismo di un antisionismo antisemita camuffato in “giusta battaglia della causa palestinese”, strumentalizzata da Eurabia, la politica euroaraba per perpetuare il conflitto fino alla distruzione di Israele rimpiazzato dalla Palestina. Arafat fu sia l’idolo dell’Europa che il suo giocattolo. Oggi è questa Europa, questa Eurabia, con la quale si confronta Trump.

Martin Sherman:
Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele nonostante una non specificazione dei suoi confini territoriali, è senza dubbio un’iniziativa significativa e doverosa da molto tempo. Si spera che porterà a conclusione una situazione perversa e anomala, per la quale a Israele, come stato sovrano nazionale del popolo ebraico, viene negato il diritto di determinare la propria capitale, un diritto condiviso da qualsiasi altro stato sovrano sulla faccia del globo.
In questo senso, il presidente Trump deve essere applaudito per il suo coraggio morale e il suo rifiuto di arrendersi ai diktat della saggezza convenzionale e della correttezza politica nell’onorare il proprio impegno elettorale. La sua decisione corrisponde chiaramente alla volontà del popolo americano così come è riflessa nella decisione del Congresso del 1995 di dichiarare Gerusalemme la capitale dello Stato ebraico conferendo il mandato per lo spostamento dell’ambasciata nella città. Si spera che questo impedisca a qualsiasi futuro presidente di rescindere questo riconoscimento.
Tuttavia, il vero test del suo significato sostanziale, piuttosto che dichiarativo, sarà l’effettiva ricollocazione dell’ambasciata, ossia se il presidente Trump o il suo successore – in quanto la mossa impiegherà diversi anni – sarà sufficientemente determinato nel dare seguito a questa decisione. Di conseguenza, mentre nel breve termine la decisione è chiaramente molto benvenuta e rappresenta uno sviluppo positivo, è ancora prematuro giudicare il suo impatto nel lungo termine e il suo valore. Molto dipenderà, secondo me, dal comportamento di Israele e da quanto risoluto e robusto sarà, nei termini sia della sua sicurezza sia della sua strategia diplomatica, nel resistere e contrastare le pressioni da parte della comunità internazionale e l’intimidazione proveniente dal mondo islamico, dunque nell’assistere, promuovere e preservare la coraggiosa iniziativa storica di Trump. Una parola di cautela: se gli Stati Uniti o Israele verranno visti tornare sui propri passi, inclusa la ricollocazione dell’ambasciata, ciò costituirebbe una clamorosa vittoria per il potere di estorsione e intimidazione islamico, rendendo molto più difficile resistere a future richieste. Qualsiasi mossa del genere potrebbe trasformare una vittoria sionista potenzialmente grande in una pericolosa sconfitta.

Matthias Küntzel:
La decisione di Trump non cambia ma riconosce la realtà, il che segna un importante cambiamento di atteggiamento. Fatah e Hamas devono sapere che stanno correndo contro un muro spesso fintanto che essi neghino o minimizzino il legame ebraico con Gerusalemme. Quindi, il rigetto da parte di Trump del wishful thinking è indubbiamente “un passo dovuto da molto tempo per fare avanzare il processo di pace”, per citare il presidente.

Yoram Ettinger:
Nel caso in cui il presidente Trump proceda a ricollocare l’ambasciata Americana da Tel Aviv alla capitale di Israele, Gerusalemme, rinforzerà la posizione di deterrenza americana, attraverso un atteggiamento di audacia invece che di sottomissione alle pressioni e alle minacce arabe-islamiche.
Nel breve tempo la mossa appesantirà gli USA con un declino della loro popolarità in alcuni circoli, ma nel lungo termine incrementerà il rispetto verso di essi come alleato credibile da parte dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo, la Giordania e l’Egitto, oltre che da parte di altri stati filoamericani. Se l’ambasciata sarà ricollocata a Gerusalemme, verrà mandato un messaggio agli arabi che non possono basarsi sugli USA, come hanno fatto fino ad oggi, per massimizzare le loro domande di concessioni israeliane. Un simile sviluppo potrebbe avviare delle future negoziazioni per la pace su un terreno più realistico. La reazione araba alla ricollocazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme, se dovesse avvenire, metterà in luce le priorità nazionali arabe, portando gli arabi a concentrarsi sulle principali minacce per la sopravvivenza dei loro regimi, come gli ayatollah e altre forme di terrorismo islamico, mentre aderiranno di facciata alla questione palestinese.

Questa decisione avviene in un nuovo scenario Mediorientale dove i principali stati sunniti, in modo specifico l’Arabia Saudita, stanno convergendo verso Israele in nome della comune minaccia rappresentata dall’Iran. Ci può dire qualcosa in proposito?

Daniel Pipes:
Parte dell’incentivo per un negoziato palestinese-israeliano è di facilitare la strada per una cooperazione saudita-israeliana contro l’Iran.

Bat Ye’or:
Credo che i leader illuminati del mondo musulmano e molti dei suoi intellettuali desiderino uscire dall’eredità dell’odio fanatico lasciato loro dal Mufti di Gerusalemme e dal nazionalismo arabo creato come alleanza islamico-cristiana contro il sionismo. Questo movimento totalitario alleato con il nazismo ha combattuto tutte le identità nazionali non arabe e non islamiche. E’ stato questo movimento, favorito dai poteri occidentali dopo la prima guerra mondiale, che ha represso qualsiasi traccia di autonomia cristiana. Oggi vediamo il risultato. Il ventunesimo secolo si deve liberare dall’eredità genocida del ventesimo secolo: gli armeni, gli assiri, i caldei, i greci, i curdi in Iraq. Le voci della ragione e della comprensione arabe e musulmane sono state soppresse da omicidi come quello dell’emiro giordano Abdallah, pronto a riconoscere Israele. Credo che il mondo islamico sarà in grado di superare questa impasse e che la pace gli permetterà di sviluppare la propria economia e il benessere delle sue popolazioni.

Martin Sherman:
Sono molto scettico relativamente ai sunniti. Ritengo che l’attitudine dei paesi sunniti nei confronti di Israele rifletta un equilibrio tra la loro paura dell’Iran da una parte e il loro disprezzo per lo Stato ebraico dall’altra. Al momento, il primo, la paura dell’Iran, è maggiore del secondo, il disprezzo per Israele. Tuttavia, una volta che questa diminuirà, il secondo, con ogni probabilità si riaffermerà, quasi sicuramente all’ennesima potenza.
Di conseguenza, malgrado l’evidente vantaggio tattico implicato in questo apparente mutamento nell’atteggiamento sunnita, sarebbe molto imprudente basare la pianificazione israeliana a lungo termine sulla supposizione che esso durerà, particolarmente, in opposizione alla posizione dei regimi. Nel mondo arabo c’è una pervasiva e ostinata inimicizia verso Israele da parte della popolazione in generale, compresi quei paesi con i quali Israele ha degli accordi di pace, come l’Egitto e la Giordania. Chiaramente, questo limita il grado e la profondità di qualsiasi potenziale legame tra Israele e il mondo sunnita, che, dovrebbe essere ricordato, ha dato vita alle ideologie salafite-wahabite, ai talebani, ad al-Qaeda e all’ISIS. In ogni caso non dovrebbe in alcun modo fornire a Israele qualsivoglia incentivo nel fare concessioni di vasta portata, cariche di rischi e largamente irrevocabili sulla questione palestinese.
Se gli stati sunniti richiedono l’aiuto israeliano nel confrontare la minaccia dall’Iran sciita, non gli può essere permesso di condizionare la loro accettazione di questo aiuto – il perseguimento dei loro interessi di sicurezza – sulla base delle concessioni israeliane, specialmente se tali concessioni dovessero chiaramente minare la sicurezza di Israele e dunque la possibilità di Israele nell’assicurare la sicurezza sunnita. Ci sarebbero poche cose più assurde di questa.

Mathias Küntzel: C
’è un certo rischio che l’incipiente cooperazione di alcuni stati sunniti con Israele possa essere danneggiata a causa della decisione di Trump. Tuttavia, penso che questo rischio sia basso. Mi sembra che sia stato necessario accettarlo.

Yoram Ettinger:
La cooperazione contro-terroristica e di intelligence tra Israele e l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania e altri regimi filoamericani è dovuta alle chiare e letali minacce presenti da parte del terrorismo sunnita e sciita per ognuno di questi regimi. Mentre l’Arabia Saudita e gli altri stati filoamericani del golfo non si sono riconciliati con l’esistenza di uno stato “infedele” ebraico nella Casa dell’Islam, il quale è stato divinamente destinato solo ai “credenti”, hanno compreso che lo stato Ebraico costituisce per loro la più efficace polizza sulla vita in Medioriente.

C’è una convinzione diffusa che il conflitto arabo-israeliano o palestinese-israeliano non sia più nelle priorità del mondo arabo, specialmente per l’Arabia Saudita. Le ultime indiscrezioni dicono che il principe Mohamed bin Salman, l’erede al trono saudita, abbia detto al presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, che sarebbe meglio per lui appoggiare il nuovo piano di pace americano del quale non conosciamo ancora i dettagli. Qual è la sua opinione in merito?

Daniel Pipes:
Sì, Mohammed bin Salman sembra felice di migliorare le relazioni con Israele; questo è il risvolto positivo dell’orrendo accordo con l’Iran fatto da Obama. Queste relazioni sono ostacolate dai palestinesi, così sta spingendo per un accordo.

Bat Ye’or:
Credo che Trump sia un politico saggio, abbia dovuto coprirsi le spalle. Ha girato il Medioriente e si è consultato con i suoi leader. Bisogna comprendere che la questione palestinese è stata fabbricata tra il 1967 e il 1973, perché, se ci fosse stato un popolo palestinese, si sarebbe manifestato e avrebbe rivendicato la propria autonomia nella Palestina ottomana e nella Palestina del 1948-67. I palestinesi sono il braccio della jihad islamica dell’Umma e dell’antisemitismo europeo. Detto questo, credo che Israele non debba tenere dei territori che sono popolati a maggioranza da una popolazione ostile che ha il diritto di vivere secondo i propri costumi e la propria cultura. Credo che una federazione palestinese con la Giordania, che rappresenta il 70% della Palestina storica, sarebbe benefico. Il nome stesso Palestina, che venne dato da un imperatore romano alla Giudea nel 135, non ha nulla a che vedere con il mondo arabo e islamico e potrebbe venire abbandonato. I suoi confini non esistevano fino al Mandato Britannico, e la sua topografia venne esumata dai cartografi occidentali, grazie alla Bibbia. Dalla sua arabizzazione-islamizzazione, la Palestina non è stata altro che una regione in rovina e abbandonata, come lo fu Atene durante i periodi di dominio turco. Il riconoscimento di Trump rompe con la politica di Eurabia e apre una nuova strada per la pace. Spero che il mondo arabo sappia riconoscere i suoi veri amici da quelli falsi e sia capace di gestire la cosa. Quando il denaro smetterà di nutrire la rete unificata del jihadismo e dell’antisemitismo europeo, sarà stato fatto un grande progresso.

Martin Sherman:
La “questione palestinese” non è mai stata realmente una priorità per il mondo arabo ma è stata solo un modo per minare la legittimità di Israele come stato-nazione del popolo ebraico. Non ho nessuna informazione autorevole sul “nuovo piano di pace americano” ma se ha a che vedere con significative concessioni territoriali israeliane, è Israele e non Abbas a doverlo respingere. Allo stesso modo se comporta la costruzione di una Gaza allargata sul Sinai. Dovrebbe essere respinto. Dopotutto, se una piccola Gaza ha creato enormi problemi di sicurezza e di stabilità, come può la creazione di una grande Gaza essere considerata una misura costruttiva che possa portare a una soluzione stabile e sicura?
Il problema non è quello di allocare un appezzamento vacante di terreno sul quale collocare gli arabi-palestinesi, ma lottare con il persistente rifiuto arabo-musulmano di Israele, non per quello che fa ma per quello che è, uno stato ebraico. Sarebbe pericolosamente ingenuo credere che qualsiasi entità palestinese autogovernata, che sia in Giudea e Samaria o altrove, non diventerebbe rapidamente una piattaforma dalla quale lanciare attacchi contro Israele. Per l’unico approccio non coercitivo, o perlomeno non “cinetico” che possa assicurare una sopravvivenza di Israele come stato-nazione degli ebrei rimando al mio “Ripensare la Palestina: Il Paradigma Umanitario”.

Matthias Küntzel
Questo accordo rimane centrale per il regime iraniano e i suoi alleati palestinesi e per l’Unione Europea. L’Unione Europea insiste con il wisfhful thinking e tende a mettere se stessa più dalla parte dell’Iran che dalla parte degli Stati Uniti, non solo in rapporto con l’accordo nucleare con l’Iran e la questione dei test balistici iraniani ma anche in rapporto alla dichiarazione di Trump su Gerusalemme. L’Europa, al momento, sta in marciando in una direzione che divide l’Occidente, questo è quello che mi preoccupa.

Yoram Ettinger:
Lo tsunami arabo che si è manifestato alla fine del 2010 e sta ancora proseguendo nel Medioriente ha enfatizzato la realtà delle priorità arabe. Nessuna delle eruzioni tettoniche degli ultimi sette anni è stata direttamente o indirettamente connessa con la questione palestinese. Nessuno dei regimi arabi che sono stati rovesciati ha perso potere relativamente al suo comportamento nei confronti della questione palestinese. Infatti, ognuno di questi regimi ha espresso la propria alleanza alla causa palestinese in molte occasioni. Hanno rovesciato sui palestinesi molte parole ma hanno mostrato pochi fatti.
I sauditi, come tutti i regimi arabi, sono consapevoli che i palestinesi abbiano giocato un ruolo destabilizzante nel Medioriente dai tempi del coinvolgimento di Mahmoud Abbas e Arafat nella sovversione e nel terrorismo, in Egitto negli anni ’50, in Siria negli anni ’60, in Giordania dal 1968 al 1970, in Libano dal 1971 al 1982 e in Kuwait nel 1990, e dunque non hanno mostrato i muscoli, se non a parole, per conto dei palestinesi.
Detto questo, gli arabi aggireranno sempre gli USA in senso massimalista, dovessero gli USA presentare un altro “piano per la pace”. Gli arabi vogliono essere percepiti come più patriottici degli USA quando si arriva alla questione palestinese. L’Arabia Saudita e altri paesi filoarabi sperano che gli USA si astengano dal sottoporre un altro “piano di pace” e si focalizzino sul machete degli ayatollah che è letteralmente alla loro gola.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 8:29 pm

Riprendiamo dal CITTADINO di LODI del 12/12/2017, a pag. 35, la lettera di Marco Riccaboni, Presidente Associazione Italia Israele di Lodi, con il titolo "Prima di esprimersi occorre conoscere bene la storia di Israele".
La pubblicazione di questa lettera dimostra l'utilità di scrivere e intervenire sui giornali locali, un consiglio per tutti gli amici di Israele.

http://www.informazionecorretta.com/mai ... E.facebook

Egr. sig. Direttore de il Cittadino,

Sabato 9 dicembre 2017, in piazza della Vittoria a Lodi, davanti al Duomo, si è tenuto un comizio gestito dall’Associazione FuoriCircuito in cui si sono espresse posizioni aberranti contro Israele, accusato di apartheid e genocidio. All’origine di queste affermazioni c’è la drammatica situazione in cui vivono le popolazioni nella striscia di Gaza e in Cisgiordania che si pensa sia diretta responsabilità dello stato Ebraico, ma un tale ragionamento è pieno di pregiudizi e di luoghi comuni. Quindi è il caso di un approfondimento dei fatti che possa fare maggiore chiarezza.

Parlare di apartheid e di genocidio non è solo sbagliato ma è anche molto pericoloso perché le parole usate possono portare gravi ripercussioni ed esacerbare gli animi, giustificando attacchi violenti. Se le parole sono usate senza conoscerne il significato, forse sarebbe meglio tacere, se le si usano in mala fede, invece, è gravissimo. Innanzitutto, pur con le sue contraddizioni e difficoltà, Israele è oggi l’unica democrazia del medio oriente, una società pluralistica in cui vivono con pari diritti ebrei (76%), musulmani (16%), arabi cristiani (2%), drusi (2%) e altri ancora (4%). Tutti hanno gli stessi diritti attivi e passivi, eccezion fatta per i musulmani che sono esentati dal servizio militare.

Israele è l’unico Stato del medio oriente in cui gli uomini e le donne hanno gli stessi diritti. Dove non vi sono discriminazioni religiose o sessuali. Dove gli omosessuali possono esprimersi liberamente, senza il rischio di finire imprigionati o ammazzati come accade nei paesi arabi confinanti. Dove arabi, cristiani, drusi ed ebrei possono aspirare a occupare le mansioni più alte in aziende, ospedali, università, esercito, in Parlamento e nella Corte Suprema.
Certo, per raggiungere tali posizioni si deve competere e meritare il posto grazie al proprio valore. Ma questo è un pregio, non un difetto; sicuramente, non ha nulla a che vedere con razzismo e apartheid. Gerusalemme è la città santa per gli Ebrei da oltre 3000 anni e da 70 è anche la capitale di Israele. È la città santa per i cristiani nei luoghi dove avvenne il martirio di Cristo. Lo è anche per i musulmani che ricordano qui l'ascesa al cielo del profeta Maometto.

Oggi tutte e tre le religioni possono accedere ai luoghi di preghiera. Dal ‘49 al ‘67, durante l’occupazione giordana, ciò non era possibile. Massacri, distruzione di sinagoghe e profanazione di cimiteri ebraici hanno portato la popolazione ebraica di Gerusalemme est alla quasi scomparsa. Dove ore c’è la piazza davanti al Kotel (muro del pianto) vi erano latrine e per gli ebrei era impossibile accedervi.
E anche per i cristiani non era facile poter andare a pregare al Santo Sepolcro.
Quando poi si parla di genocidio, si parte da molto lontano. Si accusa falsamente Israele di aver espulso 850.000 palestinesi. In realtà il 29 novembre 1947 l’ONU approvò il piano che prevedeva la spartizione in due stati del mandato britannico per la Palestina. Furono gli stati arabi che rifiutarono perché nel ‘48 attaccarono con i loro eserciti il nuovo stato. Prima dell’attacco, avevano invitato gli abitanti arabi del nascente stato ebraico a lasciare le loro case con la promessa che nel giro di pochi mesi vi sarebbero rientrati. Contemporaneamente, in tutti gli stati arabi, gli ebrei, che vivevano in quelle terre da secoli, furono trucidati; i più fortunati espulsi o riuscirono a scappare. Ben 900.000 ebrei provenienti dai più disparati stati arabi, confluirono in Israele per salvarsi la vita.
Con il termine genocidio si intendono «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»[dizionario online della Treccani]. Nei confronti dei palestinesi non esiste nessun fatto storico nei che possa realmente portare a tale definizione. La popolazione palestinese che volontariamente ha lasciato lo stato di Israele ammontava a circa 850.000 persone, ora in circa 70 anni, il numero è salito a circa 4.000.000. Certo le loro condizioni di vita non sono facili, hanno per giunta il confronto con il vicino stato che è prospero, nonostante 70 anni di conflitto e questo alimenta e fomenta invidie.

Purtroppo la mistificazione della storia, porta a far passare le vittime per oppressori, i carnefici per vittime. E purtroppo ci si dimentica troppo spesso dei fatti che sono accaduti. Durante la seconda guerra mondiale il modo arabo e in particolare, il gran Mufti di Gerusalemme, zio di Yasser Arafat, era un sodale di Hitler e insieme crearono le SS arabe. Al contrario, la brigata ebraica veniva in soccorso della nostra nazione insieme agli angloamericani per la liberazione dal nazifascismo.

Oggi, purtroppo, uno dei libri più letti nei paesi arabi, è il Mein Kampf di Adolf Hitler da cui spesso Hamas, OLP, Fatah e altri gruppi traggono insegnamento: ”le grandi masse di una nazione….diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola” (Adolf Hitler, Mein Kampf).
Anche il processo di pace non è mai arrivato a una conclusione condivisa, non per responsabilità di Israele, ma per la volontà, prima degli stati arabi, e poi del gruppo dirigente palestinese (Fatah e Hamas) di non addivenire a nessuna reale mediazione. Perché l’unico obbiettivo riconosciuto dalla parte araba è la totale cancellazione dello stato di Israele, come chiaramente dichiara Hamas nel proprio statuto. Da leggere in particolar modo gli articoli 13 e 14. Auspichiamo, quindi, che ci sia la volontà di conoscere la realtà e la storia dello Stato di Israele, che non è quella del genocidio e dell’apartheid, prima di esprimere giudizi così severi.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 9:22 pm

I dementi

Gerusalemme, scontri nel "venerdì della rabbia": morti 4 palestinesi, un milione i manifestanti
15 dicembre 2017
Gerusalemme capitale, ancora proteste in tutto il mondo musulmano

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... ti/4041884

I disordini sono scoppiati al termine delle preghiere del venerdì nelle moschee: oltre un milione di manifestanti si è diretto verso la barriera di demarcazione con Israele dove hanno lanciato pietre e molotov contro l'esercito dello Stato Ebraico

Quattro manifestanti palestinesi sono morti negli scontri con l‘esercito israeliano, nel corso dell’ennesima giornata di proteste contro la decisione del presidente americano Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele. Due persone sono morte a Gaza e le altre due in Cisgiordania. Fra loro c’è un palestinese colpito dai proiettili esplosi dalle forze israeliane dopo che aveva attaccato con un coltello un poliziotto nella zona nordest di Ramallah, ferendolo lievemente. Secondo fonti della Mezzaluna rossa, il bilancio complessivo è di 74 palestinesi feriti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (13 da proiettili veri e 61 da proiettili di gomma), mentre in 177 hanno avuto bisogno di cure mediche per l’inalazione di gas lacrimogeni. A Gaza, invece, 31 palestinesi sono stati feriti da munizioni vere, e due di loro sono in condizioni gravi.

I disordini sono scoppiati al termine delle preghiere del venerdì nelle moschee: oltre un milione di manifestanti si è diretto verso la barriera di demarcazione con Israele dove hanno lanciato pietre e molotov contro l’esercito. Ieri il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, aveva annunciato che d’ora in avanti il venerdì sarà una “giornata della rabbia“, in cui manifestare contro la decisione del presidente Trump.



Gino Quarelo
W Israele con la sua capitale Gerusalemme e w gli ebrei che sono uno dei popoli più umani e civili della terra con la loro ragionevolissima religione, la meno idolatra di tutte. Un popolo che non mi ha mai fatto del male ma solo che del bene. Io amo gli ebrei e ai cristiani ricordo che Cristo era ebreo come ebrei sono i X Comandamenti e il Padre Nostro.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 9:23 pm

Anche questi, che dementi!


Il regalo avvelenato di Trump agli israeliani
Bernard Guetta
13 dicembre 2017 11.14
(Traduzione di Andrea Sparacino)

https://www.internazionale.it/opinione/ ... israeliana

Esattamente una settimana fa, il 6 dicembre, Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. Da allora tutto è cambiato, in peggio, rispetto ai conflitti di lungo corso.

Al momento le strade della terra che chiamano “santa” non sono inondate dal sangue, anche perché i palestinesi sono esausti dopo una lunga serie di sconfitte. Il mondo arabo non è avvolto dalle fiamme. Le guerre lo dilaniano da troppo tempo perché possa permettersi di scatenarne un’altra. Ci sono state manifestazioni e ce ne saranno altre, ma la vera conseguenza della decisone di Trump è un’altra, e ben più grave.

Schierandosi al fianco degli israeliani sulla questione di Gerusalemme, il presidente americano ha precluso al suo paese la possibilità di fare da arbitro nel conflitto, un ruolo che gli Stati Uniti hanno ricoperto (pur senza molti successi) per diversi decenni.

Poco da negoziare
Non solo Trump ha lasciato i due schieramenti liberi di scontrarsi senza nessuno che faccia da intermediario e possa portarli al tavolo dei negoziati, ma ha distrutto l’idea di un compromesso. Con la colonizzazione che continua a svilupparsi in Cisgiordania e l’impossibilità di tornare in tempi brevi all’opzione di una divisione di Gerusalemme per creare la capitale della Palestina accanto a quella di Israele, è evidente che non c’è più quasi nulla da negoziare.

Il vecchio sogno della destra israeliana sta per realizzarsi. Israele sta recuperando le sue frontiere bibliche, quelle del grande stato ebraico che non lascia alcuno spazio a uno stato palestinese. Dato che la coesistenza dei due stati sembra una possibilità tramontata, l’unico esito pare essere quello dello stato binazionale.

Donald Trump ha aperto le porte a un caos ben peggiore di quello che abbiamo conosciuto fino a ieri

Saeb Erekat, veterano del negoziato di pace e segretario generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha immediatamente capito la situazione, dichiarando al quotidiano israeliano Haaretz che i palestinesi non hanno più altra scelta se non quella di rivendicare l’uguaglianza all’interno di uno stato unico. “La nostra lotta dovrà concentrarsi su questo obiettivo di parità dei diritti”.

Non tutti i palestinesi saranno subito d’accordo, ma quando capiranno cosa vuole davvero suggerirgli Saeb Erekat, Israele si troverà davanti a un dilemma irrisolvibile: rinunciare alla sua ragion d’essere, ovvero la creazione di uno stato nazionale ebraico, o diventare uno stato di apartheid in cui ebrei e palestinesi non avranno gli stessi diritti.

Donald Trump ha aperto le porte a un caos ben peggiore di quello che abbiamo conosciuto fino a ieri. Il presidente americano si presenta come amico di Israele, ma è uno di quegli amici per cui vale il detto “proteggetemi dai miei amici che io mi occupo dei nemici”.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » ven dic 15, 2017 10:15 pm

Ancora una volta, a Istanbul, Abu Mazen ha distorto la verità e respinto la pace
Lo affermano i leader dell’ebraismo Usa, mentre l’Arabia Saudita considera serio il piano di pace in preparazione a Washington
Malcolm Hoenlein e Stephen M. Greenberg
15 dicembre 2017

http://www.israele.net/ancora-una-volta ... to-la-pace

Abu Mazen ha suonato la campana a morto per la pace. Lo hanno affermato giovedì, in un comunicato, Stephen M. Greenberg e Malcolm Hoenlein, rispettivamente presidente e direttore esecutivo della Conferenza dei Presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane, che hanno definito il discorso tenuto dal presidente palestinese a Istanbul come “il rifiuto della pace con Israele”.

“Il presidente Abu Mazen – si legge nel comunicato – ha costantemente e apertamente promosso la negazione di ogni legame ebraico con Gerusalemme sia di fronte alla sua popolazione, sia all’Onu e in tutte le sue agenzie, sia in ogni sede legale internazionale. La sua minaccia di andare alle Nazioni Unite per far annullare la decisione degli stati Uniti su Gerusalemme, cosa che comunque non può fare, e per ottenere il riconoscimento dello stato di Palestina (senza un accordo con Israele) suona di fatto la campana a morto per i negoziati. Il suo discorso al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica di Istanbul è anche l’ennesimo attacco alle convinzioni fondamentali della fede ebraica e alla verità storica”.

Abu Mazen, proseguono i due leader dell’ebraismo americano, “ha deliberatamente distorto” le parole di Trump. Ignorando totalmente il fatto che la dichiarazione del presidente degli Stati Uniti “non ha definito né frontiere né confini, e che gli Stati Uniti sono pronti ad appoggiare qualsiasi accordo concordato tra le parti”, Abu Mazen ha invece “rigettato la mossa americana come un attacco all’islam”.

I due rappresentanti ebrei americani affermano che il rifiuto di Abu Mazen in tutti questi ultimi anni di negoziare “in buona fede” con Israele è il vero motivo per cui il processo di pace è bloccato e un accordo di pace rimane irraggiungibile. Il suo discorso a Istanbul, hanno aggiunto, fa capire che il suo atteggiamento continua ad essere lo stesso. E concludono: “Spetta ai leader responsabili della regione e di tutto il mondo impedire ad Abu Mazen di andare avanti verso un pericoloso vicolo cieco”.

(Da: Times of Israel, 14.12.17)

Il piano di pace americano è ancora in fase di elaborazione, ma l’amministrazione Usa sta lavorando sodo perché è seriamente intenzionata ad arrivare a un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Lo ha affermato, mercoledì, il Ministro degli esteri dell’Arabia Saudita Adel Jubeir. “Riteniamo che l’amministrazione Trump sia seria nel voler portare la pace tra israeliani e arabi – ha detto Jubeir, ex ambasciatore negli Stati Uniti, alla tv France 24 – Stanno lavorando su delle idee e si stanno consultando con tutte le parti, inclusa l’Arabia Saudita, cercando di tenere conto di tutte le opinioni che vengono loro sottoposte. Dicono che hanno bisogno di un po’ di tempo per mettere insieme il piano prima di presentarlo”.

L’amministrazione Trump ritiene che qualsiasi piano di pace credibile debba prevedere la capitale israeliana a Gerusalemme e che superare questa questione possa aiutare a sbloccare un processo di pace congelato dal 2014. A Washington si sottolinea che la dichiarazione di Trump non influisce sui confini di Gerusalemme né sul suo futuro status che può essere deciso nelle trattative.

Il ministro Jubeir ha detto che Riad continua a sostenere una soluzione a due stati e che Washington ha confermato ai sauditi che questa è l’ipotesi su cui lavorano. “Resta da vedere se le proposte dell’amministrazione saranno accettabili per le parti, giacché non credo che il piano su cui sta lavorando l’amministrazione Usa sia ancora finalizzato”, ha detto Jubeir.

Jubeir ha smentito che il Regno sunnita abbia rapporti con Israele, nonostante ne condivida la forte preoccupazione per l’ingerenza nella regione dell’Iran sciita. Jubeir ha però confermato che Riad ha una roadmap (“tabella di marcia”) per stabilire relazioni diplomatiche complete con Israele nel caso in cui vi fosse un accordo di pace con i palestinesi. (Da: Jerusalem Post, 14.12.17)



Il summit islamico su Gerusalemme ha messo in mostra nuove divisioni e nuove alleanze in Medio Oriente
I leader di Arabia Saudita, Egitto, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti non hanno partecipato, facendo capire che non intendono schierarsi a fianco dell'Iran
Di Seth J. Frantzman
(Da: Jerusalem Post, 14.123.17)

http://www.israele.net/il-summit-islami ... io-oriente

Il summit dell’Organizzazione di Cooperazione Islamica convocato d’urgenza a Istanbul sulla questione Gerusalemme

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il presidente iraniano Hassan Rouhani e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan hanno fatto appello, mercoledì, all’unità di tutti i paesi musulmani contro il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, i partecipanti alla riunione dell’Organizzazione di Cooperazione Islamica convocata d’urgenza a Istanbul non erano affatto uniti. I leader di Arabia Saudita, Egitto, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti non hanno partecipato, facendo capire che non intendono schierarsi fianco a fianco con l’Iran. Diciotto i capi di stato che hanno preso parte all’incontro di Istanbul, fra cui quelli di Azerbaigian, Qatar, Afghanistan, Indonesia, Bangladesh, Kuwait, Libano e Giordania. Erano poi presenti i primi ministri di Malesia e Pakistan, oltre ai capi di diversi stati al collasso o falliti come Yemen, Somalia e Libia.

È stata invece caratterizzata da rappresentanze di livello inferiore la partecipazione degli alleati dell’Arabia Saudita, quelli che fanno parte del gruppo che ha tagliato i rapporti con il Qatar lo scorso giugno. L’alleanza Egitto-Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti rappresenta un nuovo nucleo arabo in Medio Oriente. In senso stretto, essa si oppone all’Iran e ai succedanei iraniani come Hezbollah. Ma la stessa alleanza si oppone anche al Qatar perché considera Doha un sostenitore dell’estremismo e del terrorismo, termine con cui questi paesi indicano la Fratellanza Musulmana in Egitto e Hezbollah in Libano.

La Turchia si è recentemente avvicinata all’Iran, innanzitutto attraverso la sua alleanza con il Qatar, dove Ankara ha inviato truppe a luglio, e poi attraverso le discussioni sulla Siria che hanno avuto a Sochi, lo scorso novembre, con il presidente russo Vladimir Putin e con l’Iran. La Turchia ha ospitato Hamas e sostenuto il leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, in Egitto, anche dopo che era stato destituito nel 2013.

In blu, i paesi che non hanno mandato il loro capo di stato alla conferenza islamica di Istanbul (clicca per ingrandire)

Si tratta di paesi che sono divisi anche sullo Yemen, dove l’Iran sostiene gli Houthi e i mass-media del Qatar mettono in evidenza le vittime civili della campagna di bombardamenti dell’Arabia Saudita.

Anche il presidente libanese Michel Aoun, stretto alleato degli Hezbollah, ha partecipato al summit di Istanbul. È un alleato di Hezbollah.

Al di là degli assi Turchia-Qatar-Iran ed Egitto-Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti, vi sono paesi che stanno a cavallo della divisione. Re Abdullah di Giordania era in Turchia il giorno della dichiarazione di Trump su Gerusalemme, la settimana scorsa, ed è chiaro che sia lui e che Abu Mazen considerano Erdogan un alleato chiave sulla questione. Giordania e Turchia sono dalla stessa parte anche in Siria. Apparentemente anche l’Arabia Saudita è dalla loro parte, in Siria, il che aggiunge un livello di complessità in uno scacchiere decisamente complicato.

Il Kuwait è un alleato dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, ma cerca anche di fare a modo proprio nella disputa sul Qatar: è troppo geograficamente vicino all’Iran per non sapere che può essere destabilizzato più facilmente di Riad.

Perché è stata così scarsa la partecipazione dei paesi dell’Asia centrale e dall’Africa? Dall’Africa sono arrivati solo i capi di paesi minori come Togo, Gibuti e Guinea. Dei cinque “stan” dell’Asia centrale, hanno mandato i rispettivi presidenti del parlamento solo il Kazakistan e l’Uzbekistan, mentre a quanto risulta gli altri tre non l’hanno fatto. Russia e Venezuela hanno inviato osservatori.

Il dittatore turco vuole combattere la giudaizzazione di Gerusalemme? Forse allora è tempo di combattere la turchificazione di Istanbul? Sui cartelli: Basta con l’occupazione turca. Liberate la basilica di Santa Sofia dal controllo islamico. Costantinopoli, non Istanbul. Stop alla turchificazione di Istanbul. L’Unesco deve intervenire

Complessivamente la scarsa partecipazione non è sfuggita ai commentatori. L’analista del Medio Oriente Ali Bakeer ha osservato che i mass-media in Arabia Saudita hanno mandato in onda il meteo e notizie economiche mentre Erdogan parlava alla conferenza. Il commentatore Ammar Ali-Qureshi ha ricordato che nel 1969 l’incendio alla moschea al-Aqsa aveva fatto da catalizzatore per la fondazione dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, mentre oggi dice molto la “bassa presenza di personaggi chiave” da diversi stati membri. [Il 21 agosto 1969 Denis Michael Rohan, un australiano di 28 anni fondamentalista cristiano e malato di mente, cercò di dare fuoco alla moschea di Al Aqsa, convinto d’aver ricevuto “un segno di Dio” che lo dichiarava “re di Gerusalemme” e lo incaricava di compiere il gesto delittuoso. Da allora e ininterrottamente, i palestinesi e gran parte del mondo arabo hanno incolpato le autorità israeliane per l’incendio].

Re Salman dell’Arabia Saudita ha voluto parlare al suo consiglio della Shura proprio mentre si svolgeva l’incontro dell’Organizzazione islamica a Istanbul. “Il Regno – ha detto – chiede una soluzione politica per risolvere le crisi regionali, la più importante delle quali è la questione palestinese e il ripristino dei legittimi diritti del popolo palestinese, incluso il diritto di istituire il loro stato indipendente con Gerusalemme est come capitale”. Il riferimento esplicito a Gerusalemme est appare come una chiara indicazione che l’Arabia Saudita non rigetta l’idea che la capitale di Israele sia a Gerusalemme ovest.

La ricaduta della riunione d’urgenza dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica è che le sue decisioni su Gerusalemme non hanno il pieno sostegno dei soggetti chiave della regione. Le crescenti divisioni nell’area coincidono con la fine della guerra all’ISIS, mentre la guerra civile siriana sembra ridursi a un conflitto congelato. Sotto certi aspetti sembra che l’Iran sia riuscito ad arruolare stati non sciiti come la Turchia e il Qatar. Teheran vorrebbe usare la questione Gerusalemme per consolidare questa unità pan-islamica e alimentare le tensioni ai confini con Israele. Il fatto che Giordania e palestinesi inseguano la leadership di Ankara e non quella di Riad non è una buona notizia per Israele. E non lo è per la pace, visto che è con Israele che i palestinesi devono fare la pace.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » sab dic 16, 2017 8:52 pm

Il nome arabo dato a Gerusalemme è al-quds che proviene dalla parola araba ''beit al muqadas'' che ha origine dal nome ebraico di beit amikdash (il santo tempio ebraico di salomone)
Questa è una delle tante prove provenienti dalla lingua araba che il tempio ebraico era proprio li.

https://www.facebook.com/Boomerang2017/ ... 8048658769


Mordechai Kedar è un professore israeliano in cultura araba dell’università Bar-Ilan di Tel Aviv. Parla e conosce la cultura araba e recentemente l’emittente filo terrorista Al Jazeera ha fatto il tremendo errore di invitarlo per commentare quanto sta avvenendo in questi giorni in Medio Oriente dopo la dichiarazione di Trump su Gerusalemme.
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 6515600371

Domanda: Teme la reazione degli arabi e del mondo musulmano?
Risposta: Al contrario, gli arabi e i musulmani sanno che l’origine del nome Al Quds ( Gerusalemme ) è Beit Al-Muqaddas, che è la versione araba della parola ebraica Bet Hamikdash, il tempio degli ebrei. E’ la prova che a Gerusalemme c’era il tempio degli ebrei e questo i musulmani di buon senso lo sanno bene. Lo dico con sincerità. A noi israeliani non interessa la pace con il mondo arabo perché tu non puoi dare qualcosa che non hai. Il mondo arabo non sa cosa significhi la pace, basta vedere quello che succede tra sunniti e sciiti, tra i curdi e gli arabi, tra le tribù in Libia e in Yemen, basta vedere cosa succede in Iran o nei paesi arabi con l’Iran che li sta collezionando come fossero uova e tutto questo sotto gli occhi del mondo arabo che rimane in silenzio. Non c’è pace né fuori né dentro il mondo arabo. A noi ci piacerebbe fare la pace con gli arabi ma prima loro devono fare la pace tra di loro perché adesso il mondo arabo è un pantano di fuoco, di lacrime e di sangue. Chi mai vorrebbe avvicinarsi a voi? Chi mai vorrebbe parlare con voi? Noi siamo un paese democratico che vive nel progresso, facciamo parte dell’OCSE, se Israele aprisse le sue porte agli arabi metà di loro verrebbe di corsa in Israele già nel primo giorno e l’altra metà il giorno seguente. Questa è una realtà incontrovertibile anche per gli studi televisivi di Al Jazeera.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 7:54 pm

Oggi, sulla Repubblica, Eugenio Scalfari ci consegna in prima pagina il suo sermone su Israele: "Io credo che Gerusalemme non debba essere una capitale per nessuno", scrive Scalfari.

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 7134202034

"È la città sacra alle tre religioni monoteiste: l’ebraica, la cristiana, la musulmana. Quindi non deve essere una capitale nel senso costituzionale e politico del termine. Deve essere piuttosto dichiarata la Città Santa per eccellenza ed è il mondo intero che deve fare questa dichiarazione". Nelle stesse ore in cui questo elegante trombone firmava il suo editoriale della domenica, a Quetta, in Pakistan, due kamikaze uccidevano otto cristiani dentro a una chiesa durante la messa. Questa immagine è quello che accadrebbe a Gerusalemme e alle sue chiese se venisse messa in pratica la proposta di Eugenio Scalfari e di tanti altri che in questi giorni hanno invocato di togliere a Israele la sua capitale.



Pakistan, attentato suicida in una chiesa: 8 morti. L'Isis lo rivendica
17 dicembre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... ca/4044964

Almeno otto persone sono morte e altre 45 sono rimaste ferite in un attentato terroristico in una chiesta cristiana di Quetta, nella provincia meridionale del Belucistanin, Pakistan. L’attacco è stato rivendicato dall’Isis, che tramite Amaq, l’agenzia semiufficiale dei jihadisti, ha annunciato che è stato opera di due attentatori suicidi dello Stato Islamico. Uno di loro si è fatto saltare in aria, mentre l’altro è stato ucciso dalla polizia quando era iniziata da poco la messa domenicale.

Fonti delle forze di sicurezza che presidiavano il luogo hanno indicato che al momento dell’attacco “c’erano circa 400 persone all’interno della chiesa, ma gli aggressori non sono riusciti ad entrare alla messa”, ha spiegato il capo della polizia Jah: “Ne abbiamo ucciso uno e l’altro si è fatto esplodere dopo che la polizia lo ha ferito” ha aggiunto. Dei quattro kamikaze, due sono morti e altri due sono riusciti a fuggire prima dell’arrivo delle forze speciali pachistane.

Secondo il ministro dell’Interno del Balochistan, Mir Sarfraz Bugti, i militanti erano pesantemente armati e hanno tentato di prendere ostaggi all’interno della chiesa, ma non ci sono riusciti. La Bethel Memorial Methodist Church, dove è avvenuto l’attacco, era in allerta alta perché i luoghi di preghiera cristiani sono spesso obiettivo degli estremisti islamici, durante il periodo del Natale.
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Re: Gerusalemme capitale di Israele

Messaggioda Berto » lun dic 18, 2017 8:53 am

Erdogan sfida Trump: Ankara aprirà l’ambasciata a Gerusalemme est, capitale della Palestina
francesco semprini
2017/12/17

http://www.lastampa.it/2017/12/17/ester ... agina.html

Il Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, rilancia: Ankara aprirà l’ambasciata a Gerusalemme est, capitale della Palestina. Dopo il vertice di mercoledì scorso della Cooperazione dei Paesi Islamici, che ha riconosciuto la parte est della città capitale dello Stato palestinese, il capo di Stato della Mezzaluna è pronto ad alzare la posta, lanciando un vero e proprio guanto di sfida al Presidente americano, Donald Trump, che il 7 dicembre scorso ha riconosciuto Gerusalemme capitale dello Stato di Israele.

Erdogan ha reso note le sue intenzioni ieri, durante un comizio a Karaman, località dell’Anatolia centrale. Il capo di Stato ha dichiarato: «Abbiamo già riconosciuto Gerusalemme Est capitale della Palestina, ma non siamo ancora stati in grado di aprire la nostra ambasciata lì perché Gerusalemme al momento è sotto occupazione. Ma, a Dio piacendo, in un giorno vicino apriremo anche la nostra ambasciata». Erdogan ha poi accusato Trump di aver organizzato «un’operazione sionista», che non tiene conto della posizione della comunità internazionale e delle decisioni delle Nazioni Unite. Il presidente turco è ormai noto per la durezza delle sue esternazioni sulla vicenda, soprattutto nei confronti dello Stato Ebraico, definitivo di recente «terrorista», «killer di bambini» e «invasore» Parole di fuoco, che però non sembrano avere un effetto sulle relazioni commerciali fra Turchia e Israele che, dal 2002, ossia da quanto Erdogan ha preso per la prima volta la guida del Paese come primo ministro, non hanno fatto altro che crescere. I dati del Ministero dell’Economia, parlano da soli. Se nel 2002, l’interscambio commerciale fra Turchia e Israele era appena 1,3 miliardi di dollari, nel 2015 è stato di 4,3. ha sfondato il muro dei 4,5 miliardi di dollari e, stando alle recenti dichiarazioni del viceministro dell’Economia turco, Ibrahim Senel, nei primi 10 mesi di quest’anno ha fatto registrare un incremento del 13%.

Intanto, quella che si apre, sarà una settimana delicata. Ieri è arrivata all’Onu la bozza della risoluzione che mira ad annullare la decisione di Trump, anche se né il presidente né gli Usa sono mai citati nel testo. Il documento è molto meno duro e di condanna rispetto al precedente, mantenendosi secco e tecnico e basandosi su un principio di merito per il quale sono annullate tutte le decisioni prese sulla questione di Gerusalemme capitale, a meno che non siano il frutto di un negoziato fra le parti. In pratica, vengono dichiarate nulle le iniziative unilaterali. Il voto fra i 15 membri del Consiglio di Sicurezza, potrebbe arrivare già questa settimana, ma la bocciatura è scontata, visto che è richiesta l’unanimità e gli Usa detengono un seggio permanente. A quel punto, Recep Tayyip Erdogan, ormai alfiere per eccellenza della causa palestinese, potrebbe fare votare il documento dall’Assemblea Generale dell’Onu, le cui deliberazioni, però, non hanno valore esecutivo, a differenza di quelle del Consiglio di sicurezza. Si tratterebbe quindi di un successo solo simbolico, per quanto significativo.

Anche a Gerusalemme sarà una settimana difficile. Dopodomani arriverà il vicepresidente americano, Mike Pence, per una visita di due giorni durante la quale incontrerà il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente Reuven Rivlin. Nessun colloquio invece con i palestinesi, che hanno deciso di considerarlo una persona non grata per via dall’appartenenza ala squadra di Donald Trump e che hanno organizzato proteste per il suo arrivo. Pence non incontrerà nemmeno i rappresentanti delle Chiese cristiane a Gerusalemme. La prima tappa del suo viaggio sarà una visita al Muro del Pianto, luogo sacro per la religione ebraica. Giovedì il vice di Trump parlerà alla Knesset, il Parlamento israeliano, che si trova a Gerusalemme, e il giorno dopo andrà in visita allo Yad Vashem, il Museo-simbolo dell’Olocausto. Da parte di Netanyahu è già arrivato un caloroso benvenuto. Il premier di Gerusalemme, ieri, prima della riunione di governo, ha voluto ringraziare nuovamente l’amministrazione di Washington per aver «difeso la libertà di Israele».




Gino Quarelo
Il rais nazi-maomettano turco può dire quello che vuole, ma non cambia una virgola che Gerusalemme è la capitale indivisa di Israele. Io amo Israele e i suoi ebrei, popolo tra i più umani e civili del mondo che a me e all'umanità intera ha fatto solo del bene. Ricordo che Cristo era ebreo come ebrei sono i X Comandamenti e il Padre Nostro. Io sono aidolo un credente naturale nello spirito universale dotazione elementare e comune a tutte le creature dell'universo e non ho bisogno di idoli, di profeti e di religioni. Amo chi mi rispetta e mi fa del bene e avverso chi non mi rispetta e mi fa del male come i nazisti maomettani.
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