Ixrael paradixo de łebertà par arabi, musulmani e creistiani

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Messaggioda Berto » ven set 16, 2016 6:35 pm

Auguri all’islam israeliano
Un fenomeno unico in Medio Oriente, parte integrante di una società straordinariamente varia e democratica
di Ron Kronish

http://www.israele.net/auguri-allislam-israeliano

Questa settimana cade la festività musulmana di Id al-Adha, la Festa del Sacrificio, una delle principali ricorrenze religiose e culturali del calendario islamico. Nel corso di una visita, questa settimana, alla città arabo-israeliana di Abu Ghosh (poco a ovest di Gerusalemme), ho incontrato i miei colleghi arabi che parlavano di come avrebbero trascorso la vacanza con le rispettive famiglie. Mi hanno detto che molte famiglie di Abu Ghosh passano questi giorni di festa nella città israeliana di Eilat, sul Mar Rosso, come fanno altre migliaia di famiglie musulmane provenienti da un po’ tutto il paese. Più tardi, quello stesso giorno, ho parlato con un altro collega musulmano religioso con il quale lavoro spesso, che mi ha detto la stessa cosa. Ha poi aggiunto che la sua famiglia avrebbe fatto delle gite giornaliere nelle città israeliane vicine, come Haifa (la maggiore città mista arabo-ebraica d’Israele), dal momento che lui e la sua famiglia amano trascorrere le vacanze all’interno del paese. Dopo di che mi è capitato di andare per motivi diversi in due centri commerciali di Gerusalemme, la città dove vivo. In ognuno dei due ho visto centinaia di famiglie musulmane acquistare cibo, vestiti e regali per la festa. Nessuno batteva ciglio, nessuno aveva nulla da ridire, naturalmente nessuno li molestava in alcun modo. Anzi, nessuno ci faceva caso, come di fronte a una scena assolutamente normale e perfettamente accettabile.

Mi sono chiesto come mai. Come mai – nonostante tutto quello che si dice – i musulmani israeliani frequentano così tranquillamente i centri commerciali prevalentemente ebraici senza alcun timore? Come mai migliaia di musulmani israeliani si recano nei luoghi di vacanza in tutto Israele senza nessuna apprensione? Credo che vi siano almeno tre ragioni.

In primo luogo, gli arabi palestinesi musulmani di cittadinanza israeliana si sentono a casa propria in Israele. Sono cittadini israeliani, come è scritto chiaramente sulle loro carte d’identità e e sui passaporti. A molti di loro piace così. Qui stanno bene: parlano la lingua, condividono il posto di lavoro con cittadini ebrei, soprattutto in alcuni settori come la sanità e il turismo, e conoscono bene la geografia del paese. Sono parte integrante del panorama e della società civile israeliani, nonostante le disuguaglianze che possono lamentare come gruppo di minoranza.

In secondo luogo, i musulmani che vivono in Israele godono di completa libertà di religione. Praticano l’islam pienamente e liberamente, in questa società democratica. Purtroppo lo stesso non si può dire per i musulmani palestinesi che vivono sotto occupazione in Cisgiordania, che spesso per motivi di sicurezza vedono limitato in varia misura il diritto di pregare nella moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme. In questo senso i musulmani all’interno di Israele vivono una realtà completamente diversa rispetto ai loro correligionari di Cisgiordania.

In terzo luogo, Israele sta diventando sempre più un paese multiculturale, come accade alla maggior parte dei paesi occidentali. Oltre alla grande varietà della maggioranza ebraica, con immigrati e discendenti di immigrati da oltre 70 paesi di tutto il mondo, Israele ha una crescente minoranza non ebraica che rappresenta quasi il 21% della popolazione. Questa minoranza non ebraica è composta da musulmani, drusi, circassi e da numerose denominazioni cristiane, compresi migliaia di cristiani africani tra i richiedenti asilo che vivono a Tel Aviv e in altre città. Israele non è più il melting pot degli anni ‘50, ma una ricca miscela variopinta e multiforme di etnie e religioni.

All’interno di questo mosaico, anche l’islam in Israele è vario e affascinante. Analogamente alla popolazione ebraica, all’interno della popolazione araba musulmana troviamo differenti pratiche e visioni del mondo: ultra-ortodossi, ortodossi moderni, tradizionalisti, musulmani culturali laici. Non mancano molte affascinanti sette sufi, che sono più mistiche e pluraliste. Tutte queste versioni dell’islam sono vive e vegete, in Israele, e sono assai più consistenti dei gruppi relativamente piccoli dell’islam politico ed estremista, anche se non è questo il quadro che emerge da tv e giornali.

L’islam in Israele – quello che a me piace definire islam israeliano – è un fenomeno unico nel Medio Oriente e nel mondo occidentale. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se tante migliaia di musulmani si stanno godendo questi giorni di vacanza a Eilat, a Haifa, sul Mar Morto e sulle spiaggie di Tel Aviv e del Mare di Galilea. E noi auguriamo loro Eid Mubarak, buone feste.

(Da: Times of Israel, 14.9.16)
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Messaggioda Berto » gio dic 22, 2016 8:04 pm

Il doppio sentimento degli arabi israeliani
22 dicembre 2016

http://www.italiaisraeletoday.it/il-dop ... israeliani

Più di tre quarti degli arabi israeliani non credono che Israele abbia il diritto di definire se stesso come stato nazionale del popolo ebraico. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio d’opinione Peace Index condotto dall’Israel Democracy Institute, secondo il quale oltre il 76 per cento dei cittadini arabi d’Israele intervistati respinge il diritto di Israele di definirsi stato ebraico, con più del 57 per cento che si dice “fortemente contrario” a questo concetto.

Ciononostante, il 60,5 per cento degli arabi israeliani descrive la propria situazione personale all’interno di Israele come “buona” o “molto buona” e il 55 per cento afferma di sentirsi “cittadino orgoglioso” dello stato di Israele. Dal canto loro, i cittadini ebrei israeliani intervistati si definiscono “fieri cittadini” nell’86 per cento dei casi e si dicono soddisfatti della loro situazione personale nel 78 per cento dei casi.

“Non c’è contraddizione tra i dati” secondo Tamar Hermann, autrice dello studio sull’atteggiamento degli arabi israeliani verso lo stato e sul loro grado di soddisfazione personale. Il rifiuto dello stato ebraico in quanto tale, spiega Hermann, scaturisce dalla posizione ufficiale dell’Autorità Palestinese che considera l’ebraismo “solo una religione, e non una nazione” (negando agli ebrei il diritto di autodefinirsi e autodeterminarsi come popolo).

Dal sondaggio emerge un quadro assai articolato delle relazioni arabo-ebraiche dentro Israele. La maggior parte degli ebrei israeliani (56 per cento) dice che i loro concittadini arabi non costituiscono una minaccia per la sicurezza, e tuttavia in grande maggioranza (72 per cento) ritengono che non debbano essere coinvolti nelle decisioni cruciali circa pace e sicurezza.

La maggior parte degli ebrei (53 per cento) riconosce che i cittadini arabi israeliani subiscono delle discriminazioni di fatto, ma la maggioranza (59 per cento) non gradisce l’idea che i partiti arabi entrino a far parte delle coalizioni di governo, laddove il 72 per cento degli arabi israeliani sarebbe a favore di un ingresso nel governo: cosa che nessun partito arabo ha fatto finora, sebbene singoli parlamentari musulmani e drusi abbiano sempre fatto parte dei governi israeliani.

A livello personale, sebbene sia gli arabi e che gli ebrei tendano a preferire matrimoni all’interno dei rispettivi gruppi etnico-religiosi, sia gli uni che gli altri dimostrano un alto grado di apertura e disponibilità nelle relazioni con l’altro gruppo: come vicini di casa (favorevoli l’86 per cento degli arabi e il 67 degli ebrei), come colleghi (96 per cento degli arabi e 82 degli ebrei) e come amici (88 per cento degli arabi e 67 degli ebrei). Osserva Hermann: “Il fatto che gli arabi tendano a esprimere una percentuale maggiore degli ebrei nella disponibilità a intrecciare tali rapporti costituisce una situazione ben nota in tutti i rapporti fra gruppi di minoranza e gruppi di maggioranza nelle società plurali. In realtà si tratta di dati estremamente incoraggianti, soprattutto se si considerano le ricorrenti accuse alla società israeliana d’essere afflitta da elevati livelli di razzismo: accuse basate quasi esclusivamente su incidenti isolati, ma non corroborate da studi fattuali che non siano puramente aneddotici”.

Secondo il rapporto Peace Index, il confronto con i dati rilevabili a livello internazionale mostra che gli annunci spesso ripetuti di una imminente “morte della democrazia” in Israele sono chiaramente “esagerati”, anche se questo non significa che non vi siano problemi e miglioramenti da fare in vari settori.

Il sondaggio rileva piuttosto un forte calo della fiducia nelle istituzioni del paese, con la Knesset (il parlamento), i mass-media e i partiti politici che tendono a toccare il fondo sia agli occhi dei cittadini ebrei che di quelli arabi. Le Forze di Difesa israeliane continuano a riscuotere il più alto livello di fiducia tra i cittadini ebrei (90 per cento). Tra gli arabi riscuoto piena fiducia solo nel 32,2 per cento degli intervistati, ma è interessante notare che comunque anche fra gli arabi le Forze di Difesa risultano essere il secondo ente più affidabile dopo la Corte Suprema (51,8 per cento). In calo, invece, la fiducia nella Corte Suprema tra i cittadini ebrei (dal 62 di un anno fa al 56 per cento di oggi).

In calo anche, in entrambi i gruppi di popolazione, la fiducia nella Knesset, nel governo, nei mass-media e nei partiti politici, con il 28 per cento degli ebrei e il 18 per cento degli arabi che professano fiducia nella Knesset; il 28 per cento degli ebrei e il 19 degli arabi nel governo; il 25 per cento degli ebrei e il 15 degli arabi nei mass-media; e il 14 per cento degli ebrei e l’11 degli arabi nei partiti politici. La fiducia nella Knesset e nel governo risultano in calo di nove punti percentuali rispetto all’anno scorso, mentre la fiducia nei mass-media è scesa di più dell’11 per cento e la fiducia nei partiti politici del 5 per cento.

Nel confronto con le altre democrazie a livello internazionale, il rapporto rileva che “Israele soddisfa i requisiti fondamentali di una democrazia, sebbene debba fare i conti con alcuni problemi difficili e sostanziali nell’area dei diritti e delle libertà, che sono il fondamento di un regime democratico, dove la situazione richiede miglioramenti”. Secondo il rapporto, “il livello delle libertà civili, tra cui la libertà di espressione e di associazione, la libertà religiosa, l’uguaglianza di fronte alla legge e la sicurezza personale, risulta ancora insoddisfacente rispetto a quello delle maggiori democrazie più consolidate”. Tuttavia, “nonostante i tanti problemi che caratterizzano il sistema politico israeliano, gli indicatori internazionali mostrano che Israele è un paese dalla democrazia stabile e dimostrano che gli allarmi ricorrenti circa una crisi imminente della democrazia israeliana sono del tutto esagerati, in una prospettiva comparativa della situazione nel corso del tempo”.

(Times of Israel )



Alberto Pento
Però lo devono accettare anche a loro garanzia, gli ebrei non hanno alternative è la loro terra e gli arabo-islamici israeliani o stanno con gli ebrei o si mettono contro, non sono possibili vie di mezzo. Gli ebrei devono stare molto attenti con questa gente; non devono cedere di un millimetro se no sono morti. Israele deve essere innanzi tutto la terra o stato degli ebrei e se agli arabo islamici di Israele non sta bene che se ne vadano altrove.


22 dicembre 2016
http://www.israele.net/22-dicembre-2016-3
La Commissione della Knesset ha approvato mercoledì pomeriggio la richiesta del procuratore generale Avichai Mandelblit di raccomandare la revoca dell’immunità del parlamentare Basel Ghattas (Lista Araba Comune), alla luce dell’indagine in corso a suo carico per sospetto contrabbandato di telefoni cellulari a favore di terroristi detenuti. Ghattas ha 24 ore di tempo per annunciare che rinuncia alla sua immunità. In caso contrario, la Knesset si riunirà giovedì pomeriggio in sessione plenaria per votare sulla questione. Se la Knesset approva la revoca, la polizia sarà autorizzata ad arrestare Ghattas.
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Messaggioda Berto » dom gen 15, 2017 10:16 pm

Un appello a tutti i cristiani affinché difendano la culla della loro religione e la patria del popolo ebraico
di Petra Heldt
15 gennaio 2017
Pezzo in lingua originale inglese: A Call on All Christians to Defend Their Birthplace and the Homeland of the Jewish People
Traduzioni di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/9781/ ... no-israele

La coscienza collettiva dei cristiani deve fermare la conferenza di pace di Parigi che si è aperta oggi e impedire il voto presumibilmente programmato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (CSNU) su uno Stato palestinese come 22° Stato musulmano, in seno a uno Stato ebraico. Occorre garantire che non ci sia alcuna resa all'islamizzazione del Medio Oriente e dell'Europa. Occorre far sì che alla Città Vecchia di Gerusalemme, il cuore dell'Ebraismo da più di 3000 anni e la sede del Cristianesimo da 2000 anni, non sarà permesso di essere islamica, facendo parte di quello che presto diventerà un paese islamico e molto probabilmente terrorista. In uno Stato del genere, tutti i sondaggi mostrano che le prossime elezioni politiche sanciranno la vittoria di Hamas. Questo implicherebbe l'eventuale distruzione di tutto il patrimonio giudaico-cristiano, come possiamo vedere in tutto il Medio Oriente.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) ha approvato il testo preliminare di una risoluzione che nega i legami ebraici con quelli che sono i luoghi più sacri al mondo per gli ebrei: il Monte del Tempio e il Muro Occidentale. Il voto a Parigi potrebbe stabilire perentoriamente che il Monte del Tempio è un luogo musulmano. Da quando l'UNESCO ha deciso di riscrivere la storia, dichiarando islamici antichi siti biblici ebraici, come la Grotta dei Patriarchi e la Tomba di Rachele, vicino a Betlemme, anche se l'Islam non è esistito storicamente fino al VII secolo (centinaia di secoli dopo), le guardie musulmane sul Monte del Tempio tentano già di imporre il programma revisionista dell'organismo delle Nazioni Unite. L'1 gennaio 2017, il Waqf (un ente islamico preposto a preservare qualunque cosa occupata dai musulmani per Allah) ha costretto l'eminente studioso israeliano di archeologia, il professor Gabriel Barkay, a non utilizzare il termine "Monte del Tempio", invitandolo a ricorrere alla terminologia islamica per indicare il sito. Dopo l'intervento della polizia israeliana, Barkay ha continuato a parlare usando l'abbreviazione "MT". Si è rifiutato di comportarsi come un dhimmi ("tollerato" cittadino di seconda classe, lo status delle minoranze non musulmane).

Un altro episodio del genere accaduto nell'ottobre del 2016 ha preso una differente direzione. Visitando il Monte del Tempio, il cardinale Marx e il vescovo luterano Bedford-Strohm, eminenti rappresentanti della Chiesa cattolica ed evangelica in Germania, hanno accettato gli ordini e rimosso le loro croci pettorali. In seguito alle massicce proteste scoppiate in Germania contro la massa al bando della croce sul Monte del Tempio, il cardinale Marx si è scusato. Il vescovo Bedford-Strohm, al contrario, non lo ha fatto, ma ha puntato il dito contro la sicurezza israeliana, accusa che Israele ha respinto.

La conferenza di Parigi potrebbe rendere il Monte del Tempio Judenrein e Christenrein [privo di ebrei e cristiani] e accelerare la dhimmitudine in Europa.

Da 3000 anni, la storia ebraica dice che "Gerusalemme è costruita come una città unita e compatta" (Salmi 122,3). Da allora, Gerusalemme è la capitale indivisa della patria ebraica. Né l'incessante terrorismo né le guerre multiple e nemmeno i boicottaggi cinici perpetrati nei confronti dello Stato ebraico sono riusciti a distruggere la storia di Israele. Tuttavia, con una mossa brutale, la conferenza di pace di Parigi e un successivo voto del Consiglio di Sicurezza potrebbero decretare la fine della storia ebraica nella sua patria. Sulla base dello Statuto di Hamas che nega a Israele il diritto di esistere, il voto potrebbe portare a termine l'obiettivo di eliminare la storia ebraica – e cristiana – e rimpiazzarla con l'Islam. Porrebbe fine all'esistenza di Israele, l'unico paese del Medio Oriente davvero democratico, prospero, bello e fiorente. Porrebbe fine alla libertà di culto, che Israele garantisce alle persone di ogni fede religiosa di tutto il mondo. Porrebbe fine all'ispirazione che Israele offre per la cultura giudaico-cristiana e per la fede degli ebrei, dei cristiani e anche dei musulmani.

Cosa spinge i politici occidentali a contribuire alla distruzione della cultura giudaico-cristiana in Medio Oriente e in Europa? Perché la conferenza di pace di Parigi si appresta a distruggere lo Stato ebraico, mentre un numero senza precedenti di cristiani viene ucciso nei paesi musulmani? Perché milioni di cristiani sono tenuti all'oscuro della programmata distruzione del loro luogo d'origine sul Monte del Tempio da dove, il giorno di Pentecoste, i discepoli di Gesù furono incaricati di diffondere la fede cristiana in tutto il mondo? Non poche risposte sottolineano l'avidità di potere e denaro. Potrebbe essere una delle ultime possibilità dei cristiani per salvare e onorare il patrimonio giudaico-cristiano, che è stato costruito con amore e fede ed è passato attraverso molti pericoli nel corso dei millenni.

I cristiani di questa epoca sono grati a Israele per consentire la fede biblica, ora come non mai, attraverso i numerosi reperti archeologici rinvenuti sul Monte del Tempio, nella città di Davide, a Qumran, a Masada a Beersheva, a Betlemme,a Tekoa, ad Ariel, sul fiume Giordano, a Gerico, a Cafarnao, Megiddo, Nazareth, Tel Dan e in un centinaio di altri luoghi biblici in Terra d'Israele.

Per questo, i cristiani non rimarranno in silenzio quando tutti questi luoghi saranno assegnati a coloro che li distruggeranno – come hanno devastato e distrutto Palmira, Antiochia, Nisibi, Ninive e, alla fine del 2014, il monastero di Sant'Elia, il più antico monastero cristiano dell'Iraq, raso al suolo dallo Stato islamico. È stato riportato come l'Isis abbia occupato il sito cristiano, costringendo i cristiani a convertirsi all'Islam, a pagare una speciale tassa o essere uccisi. Questa è una realtà ben nota ai cristiani e agli ebrei in Medio Oriente da più di un millennio.

La cultura giudaico-cristiana è basata sulla storia trasmessa dai testi sacri. E questo va fatto notare in pubblico, sui social media, sulla carta stampata, in televisione e alla radio, insomma attraverso tutti i media. Le strade di Parigi devono sentire le proteste contro il tentativo di riscrivere la storia alla conferenza di pace e ad ogni successiva votazione del Consiglio di Sicurezza. Questi manifestanti sono come "un uomo che costruisce un muro e si erge sulla breccia di fronte a Dio per difendere il paese" (Ezechiele 22,30), affinché l'unico bastione della democrazia, il vero difensore del Cristianesimo, l'ultimo custode del patrimonio giudaico-cristiano in Medio Oriente e in Europa continui a prosperare.

Il reverendo dr. Petra Heldt è direttore dell'Ecumenical Theological Research Fraternity, a Gerusalemme.
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Messaggioda Berto » dom gen 22, 2017 3:50 pm

Oppositore siriano ai palestinesi: “In confronto, voi vivete in paradiso”
Invitato all’Università di Gerusalemme, esponente anti-Assad zittisce i contestatori palestinesi che volevano impedirgli di parlare
Di Dov Lieber
(Da: Times of Israel, 18.1.17)

http://www.israele.net/oppositore-siria ... n-paradiso

Un insolito incontro pubblico tra israeliani e siriani, martedì scorso a Gerusalemme, è stato interrotto da dimostranti palestinesi che esprimevano la loro indignazione per il fatto stesso che dei siriani cooperassero con degli israeliani. Ma i manifestanti hanno dovuto fare i conti con la furibonda reazione degli ospiti siriani, che li hanno accusati di non avere la minima idea di cosa significhi una vera oppressione. “Voi vivete in un paradiso in confronto al regime in Siria – ha tuonato Issam Zeitoun, ufficiale di collegamento con la comunità internazionale per l’Esercito Libero Siriano (anti-Assad), rivolto ai dimostranti che non smettevano di gridare per impedire il proseguimento del dibattito – Voi dovreste vergognarvi”.

L’alterco si è verificato in una sala gremita delll’Università di Gerusalemme, dove l’ufficiale di collegamento dell’Esercito Libero Siriano e un rappresentante dei curdi siriani erano stati invitati a parlare agli studenti nel quadro di un’iniziativa organizzata dall’Istituto di Ricerca Harry S. Truman per la promozione della pace.

“Non sono sorpreso per quello che è successo – ha poi detto Zeitoun a Times of Israel – Metto in conto che molte persone si comportino in questo modo quando parlo in un istituto israeliano, perché è davvero una cosa grossa. Molti siriani e palestinesi ci vedono come traditori. Io invece credo che nessuno possa giudicare dei siriani perché parlano in pubblico con gli israeliani. L’intensità del conflitto, e il numero delle persone che abbiamo perduto, è troppo grande – ha continuato Zeitoun – e io personalmente continuerò a fare tutto ciò che posso e a parlare con tutti, non solo in Israele ma in tutto il mondo, pur di cambiare la situazione”.

Quando le proteste si sono spente, Zeitoun ha detto all’uditorio che gli aiuti di Israele ai siriani, tra cui la ben nota assistenza medica gratuita con cui Israele ha curato più di duemila siriani nei suoi ospedali a partire dal 2013, è preziosa ma non è sufficiente per influenzare la popolazione siriana in senso più amichevole verso Israele. Secondo Zeitoun, ci deve essere qualche intervento sul piano politico affinché la maggioranza dei siriani muti atteggiamento verso lo stato ebraico.

Zeitoun, un rappresentante dell’opposizione siriana già noto alla stampa israeliana, sostiene che Israele dovrebbe contribuire a creare una zona di sicurezza nel sud della Siria. Non che Israele debba intervenire militarmente, precisa, ma dovrebbe farsi sentire politicamente nel conflitto siriano. “Israele – spiega – potrebbe svolgere un ruolo per ottenere la copertura politica di russi e americani per la creazione di una zona sicura, e noi penseremo al resto”. Secondo Zeitoun si potrebbe creare una zona di sicurezza nella regione della Siria al confine con Israele, e questo potrebbe segnare l’inizio di un ritorno alla normalità in un paese in cui le infrastrutture civili come scuole e ospedali, per non parlare delle istituzioni della società civile, sono state devastate da sei anni di sanguinosa guerra interna.

Il dibattito è stato moderato da Ksenia Svetlova, parlamentare laburista di Unione Sionista, una ex giornalista che per anni ha coperto il mondo arabo per mass-media israeliani e russi, oggi membro della commissione affari esteri e difesa della Knesset e presidente del comitato parlamentare per le relazioni israelo-curde. Sul palco con lei, l’autore e giornalista curdo siriano Sirwan Kajjo, originario dalla città siriana di Qamishili, al confine con la Turchia, ma oggi residente a Washington, negli Stati Uniti. Svetlova ha detto che i ministri israeliani, quando parlano di Siria, spesso chiedono: “Chi c’è dall’altra parte con cui si possa parlare e preparare la prossima fase?”.

Ha poi sottolineato che il gruppo terroristico libanese filo-iraniano Hezbollah, votato alla distruzione di Israele, si è andato rafforzando in sei anni di combattimenti in Siria. “Nel 2017 vedremo la crescente influenza di Hezbollah – ha detto – e dovremo fare scelte difficili in termini di azione o inerzia su quello scacchiere”. Parlando a Times of Israel al termine della conferenza, Svetlova ha criticato con forza chi sostiene che in Siria sarebbe auspicabile il ritorno di un “uomo forte” nella persona di Bashar Assad che riprenda il controllo del paese e metta fine alla guerra. E’ un’illusione, dice Svetlova, perché ciò porterebbe inevitabilmente a un’altra ribellione e ad altri spargimenti di sangue. “Ogni controllo con la forza imposto a una popolazione sfocia in una ribellione. Quando dicono che bisognerebbe resuscitare Assad, dimenticano che la carneficina, e il caos che ne è seguito, sono opera sua. Ritornare alla dittatura non è mai la risposta”. Alla domanda se accetterebbe un ritorno di Assad unito a riforme politiche, Svetlova risponde: “Se intendeva fare riforme, le avrebbe potute fare già da molto tempo. Riportarlo in auge sarebbe molto peggio. Rafforzerebbe l’ISIS e i suoi affiliati come il Fronte al-Nusra, perché acquisterebbero ancora più rilevanza”.
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Messaggioda Berto » lun feb 20, 2017 8:23 am

Padre Gabriel Naddaf in Italiano

LA VERA NATURA DEGLI ISRAELIANI È IL RISPETTO, LA COMPASSIONE E L’AMORE

https://www.facebook.com/padregabrielit ... 2392177445

Brigitte Gabriel – autrice di “Perché ci odiano: una sopravvissuta al terrorismo islamico mette in guardia l’America” – parla dell’enorme differenza tra Israele e i suoi nemici, dal punto di vista della sua personale esperienza di cristiana libanese nella guerra tra Libano e Israele:

“Questa è stata la mia prima lezione sulla differenza nella cultura e nei valori, tra la cultura araba e la cultura israeliana.

Siamo entrati in ospedale e c’erano centinaia di feriti sul pavimento. C’erano Libanesi feriti e sanguinanti, c’erano miliziani palestinesi feriti e sanguinanti, c’erano cristiani libanesi feriti e sanguinanti, musulmani libanesi sanguinanti, soldati israeliani sanguinanti. E io non potevo credere ai miei occhi: i dottori curavano ciascuno secondo le sue ferite. Non guardavano alla religione, all’appartenenza politica, alla nazionalità. Vedevano persone bisognose e le aiutavano. Non credevo ai miei occhi: i dottori hanno curato mia madre prima di curare il soldato israeliano disteso accanto a lei.

Portarono mia madre al quarto piano dell’ospedale, dove altre due signore musulmane erano state portate prima quella mattina. Ed eravamo entrate nella stanza da forse cinque minuti quando abbiamo sentito tutto quel trambusto fuori dalla nostra finestra e dal nostro balcone, e c’erano persone che correvano attraverso la nostra stanza e verso il nostro balcone per vedere cosa stava succedendo. Sono corsa fuori a vedere cosa succedeva, e due elicotteri israeliani erano appena atterrati e portavano fuori i soldati israeliani feriti in Libano. Sono rimasta sul balcone e avevo il voltastomaco: provavo vergogna e umiliazione. Dopo tutto, quelle persone erano ferite a causa della guerra con il mio Paese.

Non sapevo come mi avrebbero trattato le persone che stavano accanto a me. Non avevo stabilito nessun contatto con loro. E poi mi sono sentita toccare la spalla, ed ho guardato accanto a me e ho visto un’infermiera israeliana che mi stava vicino e che mi ha detto: “Tu sei nuova di qui, vero?” E io le ho detto. “Sì, in effetti hanno appena portato mia madre in questa stanza”. E lei mi ha messo un braccio attorno alle spalle e mi ha detto: “Non preoccuparti, ci prenderemo cura di lei. Andrà tutto bene.”

Ho iniziato a piangere, ho iniziato a singhiozzare, perché per la prima volta in vita mia sperimentavo la compassione. Sperimentavo la qualità umana che sapevo che la mia cultura non sarebbe stata capace di mostrare al nemico nel momento del bisogno.

Sapevo che se fossi stata ebrea e mi fossi trovata al quarto piano di qualunque ospedale del Medio Oriente sarei stata linciata, scaraventata giù e ammazzata fra urla di gioia di “Allahu akbar” risuonanti nell’ospedale e nelle strade attorno.

Ho trascorso 22 giorni in ospedale in Israele. Quei giorni mi hanno cambiato la vita, hanno cambiato il modo in cui credo alle informazioni, hanno cambiato il modo in cui ascolto la radio. Ho imparato che riguardo al popolo israeliano e al popolo ebraico il mio governo mi ha dato solo menzogne, che sono lontanissime dalla realtà. Era incredibile.

Così come lo era una delle signore musulmane che c’erano nella stanza ed era lì da più di dieci giorni, quando i soldati israeliani venivano a curarle le ferite e a cambiarle le bende al mattino: il modo in cui lei li guardava e diceva loro: “Vorrei che foste tutti morti, vi odio”. Se è possibile vedere il male, io l’ho visto. Perché quando odi così profondamente da essere incapace di provare riconoscenza per le persone che ti hanno salvato la vita, hai oltrepassato il confine sottile tra l’umanità e qualcosa di molto brutto dall’altra parte.

Ho giurato che un giorno sarei tornata in Israele, perché questo è il tipo di persone in mezzo a cui voglio vivere, questo è il tipo di cultura a cui voglio adattarmi. Una cultura di persone civili che rispettano gli altri.

Potete conoscere davvero le persone? Il momento in cui conoscete il vero volto delle persone è quando si trovano in una tragedia. È lì che si mostra la loro vera natura. E la vera natura degli Israeliani è il rispetto, la compassione e l’amore.”
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Messaggioda Berto » sab mar 04, 2017 8:30 am

Israeliani (ebrei e arabi) soddisfatti della loro vita
(Da: Israel HaYom, 28.2.17)

http://www.israele.net/israeliani-ebrei ... -loro-vita


È quanto emerge dall’ultima indagine a campione che ha valutato reddito, lavoro, sicurezza, sanità, alloggio, istruzione, ambiente e impegno civile

Quasi 90 israeliani su 100 si dichiarano soddisfatti della propria vita. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio diffuso dall’Ufficio Centrale di Statistica israeliano.

Secondo l’indagine, intitolata 2015: indicatori nazionali di benessere, sostenibilità e resilienza, il 91% dei cittadini ebrei intervistati è “soddisfatto” o “molto soddisfatto” della propria vita, così come l’82% dei cittadini arabi (in entrambi i casi, dai 20 anni in su).

Le categorie utilizzate per valutare i vari indicatori sono state: qualità del lavoro, sicurezza personale, assistenza sanitaria, alloggio, istruzione e specializzazione, benessere personale e sociale, ambiente, impegno civile e ricchezza materiale.

Il numero di persone che si sono dichiarane soddisfatte della propria occupazione è passato dall’81,5% del 2002 all’88,4% del 2015.

La speranza di vita è aumentata, tra il 2000 e il 2015, di 3,4 anni (da 76,7 a 80,1) per gli uomini, e di 3,2 anni (da 80,9 a 84,1) per le donne.

La ricerca ha rilevato che il 71% degli israeliani si dichiara soddisfatto dei servizi sanitari ricevuti. Di questi, il 56% % li definisce “buoni” e il 15% “molto buoni”. Circa il 60% afferma che, in caso di grave malattia, il sistema sanitario israeliano garantirebbe loro il miglior trattamento possibile: il 18% dice di esserne “fortemente” convinto; il rimanente 42% di esserne “abbastanza” convinto.

Circa l’81% degli intervistati (90% degli uomini e 72% delle donne) dichiara di sentirsi al sicuro camminando da soli di notte nella zona dove abita. A Gerusalemme la percentuale scende a 71.

Le risposte si dividono lungo linee socio-economiche quando si tratta delle spese legate alla casa, relative al 2014. Circa il 55% delle famiglie nel decile più povero ha speso almeno il 30% del proprio reddito netto in spese per l’abitazione, cifra che scende al 14% per le famiglie del decile più ricco. Complessivamente, il 33,5% delle famiglie israeliane spende il 30% o più del proprio reddito per questa voce di spesa.

Nel 2015, il numero di 26enni che hanno conseguito un diploma quinquennale si attestava al 48,4%, con i giovani cittadini ebrei più numerosi di quelli arabi, e le donne più numerose dei maschi.

Nel rapporto, l’Ufficio Centrale di Statistica rileva che, stando alla ricerca del Programma Ocse per la valutazione internazionale degli allievi, la percentuale di israeliani che ha difficoltà con la matematica è diminuita del 2% nel periodo 2012-2015, ma attestandosi al 23% rimane ancora più elevata rispetto alla media dei paesi Ocse.

Secondo l’indagine, il numero di israeliani che partecipano ad attività di volontariato è progressivamente aumentato dal 15% al 21% negli anni dal 2002 al 2015.

L’indagine rileva inoltre che nel 2015 il reddito netto pro-capite si è attestato a 97.828 shekel (circa 25.330 euro), pari a un incremento del 2,8% rispetto all’anno precedente.
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Messaggioda Berto » mer lug 12, 2017 6:29 am

Israele contro la narrativa fraudolenta
Niram Ferretti
11/07/2017

http://www.linformale.eu/avanzando-nel- ... raudolenta

La guerra di Israele contro i suoi nemici arabi non è mai stata vinta completamente. Le guerre vinte sul campo sono indubbiamente prove inequivocabili della sua superiorità militare e tecnologica, così come ne è prova la straordinaria efficienza con cui la sicurezza dello stato ha, dalla terribile Seconda Intifada in poi, sempre più circoscritto il numero degli attentati. Ma, se tutto ciò è vero, è altrettanto vero che sul piano della propaganda, della narrativa consolidata ed egemone, Israele la guerra non l’ha affatto vinta.

La narrativa propalestinista, secondo la quale Israele sarebbe uno stato usurpante terre arabe e i palestinesi un popolo autoctono costretto all’esilio (vedi alla voce rifugiati) o vittima di massacri, angherie e soprusi, ha fatto grande breccia in buona parte dell’opinione pubblica mondiale.

Questa narrativa fraudolenta finora non è stata efficacemente combattuta. Alla strategia di comunicazione razionale israeliana, basata puntualmente su fatti, statistiche, dati oggettivi, la strategia araba ha opposto una fiction basata interamente sulla emotività, un epos straziante costruito sul binomio oppositivo archetipico carnefici/vittime. Si tratta di un canovaccio vincente perché fondato sulla primarietà delle emozioni, sull’istinto, sulla visceralità. Di fronte a questo magma pulsionale, l’ordine luminoso che promana dal logos viene travolto. Hamas questo lo ha capito molto bene, come, prima di esso, lo aveva capito l’OLP.

Ogni guerra che Israele è costretto a fare per difendersi dalle aggressioni dei suoi nemici diventa occasione ghiotta per mostrare al mondo i morti, soprattutto le donne e i bambini, e così lucrare sull’indignazione attizzando l’odio nei suoi confronti e, inevitabilmente, nei confronti degli ebrei, sui quali a cascata tornano a essere rovesciate tutte le accuse infamanti del passato.

Dunque?

Dunque si tratta di essere lucidamente consapevoli di questa amara realtà e al contempo di vedere che, malgrado tutto questo, Israele ha un grosso e irrefutabile vantaggio sui suoi avversari. Israele funziona, è prospero, felice. Nonostante sia sempre minacciato, ha una economia fiorente, una tecnologia tra le prime al mondo, una qualità di vita alta, offre un modello di pluralismo democratico unico in tutto il Medioriente. E questo è dovuto al fatto che ha saputo scommettere incessantemente sulla vita e sul futuro. Basta passeggiare per Tel Aviv, cuore pulsante della sua economia, per rendersene conto. I cantieri sono perennemente aperti, i grattacieli continuano a sorgere, la gioventù israeliana, tra le più belle e sane al mondo, è nei caffè, nei pub, nei ristoranti, all’aperto, fino a tardi. Dall’altra parte invece c’è un mondo rinchiuso nel perimetro angusto di tribalismi e autocrazie, dove il futuro è solo inteso come una perenne lotta per il potere e il controllo su una popolazione cresciuta nel risentimento e nella menzogna, un mondo che ha già perso il treno per l’avvenire da più di un secolo perché non ha mai voluto cogliere davvero la grande opportunità di potere crescere autonomo vicino a uno stato moderno e creativo al massimo.

Dunque?

Dunque loro sono là, perdenti nei fatti e nella storia, alla quale possono solo sostituire un racconto intessuto di falsità che, pur ottenendo il plauso di tanti, affatturati dal suo alone ipnoticamente menzognero, li lascerà però costantemente dove sono, mentre Israele continuerà incessantemente ad andare avanti.
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Messaggioda Berto » dom ott 15, 2017 4:55 pm

Due donne ai vertici del Mossad
Clara Salpietro

http://www.progettodreyfus.com/due-donn ... del-mossad

Due donne sono state appena nominate capo divisione del Mossad. L’incarico è arrivato direttamente dal direttore dell’Istituto per l’intelligence e servizi speciali, Yossi Cohen, e pubblicizzato in questi giorni dai media israeliani con eco anche in Italia.

I capi divisione sono l’equivalente di un ‘major-general’ dell’IDF (che in Italia corrisponde al grado di generale di divisione), ufficiali che potrebbero essere responsabili dell’intera Forza Navale o Forza Aerea di Israele.

Già in passato ci sono state donne che sono arrivate al vertice di una divisione, ma non si era mai verificato che due donne venissero nominate nello stesso momento.

Non sono mancate reazioni da parte di chi conosce bene il Mossad. Commenti positivi sono arrivati da uomini per i quali “avere più donne nelle sfere alte del Mossad è uno sviluppo positivo”.

“Accolgo con favore – ha dichiarato l’ex vice capo dell’agenzia di intelligence Naftali Granot – la tendenza a nominare donne a posizioni di alto livello nell’organizzazione, è bene notare che le due donne sono altamente qualificate e con esperienza, questo contribuirà al progresso degli obiettivi dell’organizzazione”.

Per l’ex vice capo Ram Ben Barak dentro l’agenzia

“forse ci sono state meno donne in posizioni chiave in quanto prima era più difficile per le donne conciliare il lavoro con la maternità, ora però ci sono mariti disponibili a prendersi cura dei bambini e quindi più donne stanno scegliendo di rimanere nell’organizzazione a lungo termine. Le donne sono indubbiamente qualificate per le posizioni di alto rango”.

“Molto probabilmente in futuro – ha sottolineato Barak -, non nell’immediato, potremmo vedere la prima donna a capo del Mossad”.

Fino ad oggi solo Aliza Magen era riuscita a salire al rango più alto all’interno del Mossad, raggiungendo infatti la carica di vice direttore durante il mandato dell’ex direttore Danny Yatom.

Sotto la direzione di Yossi Cohen c’è più attenzione nei confronti delle donne, tanto che a gennaio il Mossad aveva pubblicato il primo annuncio di reclutamento incentrato più su reclute femminili che maschili.

Il messaggio presente sul sito del Mossad – e pubblicato anche su giornali e piattaforme social – era: “Wanted: Powerful women needed. We don’t care what you’ve done, we care about who you are!” (Cerchiamo donne forti. A noi non importa cosa hai fatto, a noi importa chi sei).

Un altro commento positivo nei confronti del gentil sesso era stato pronunciato qualche anno fa dall’ex direttore del Mossad Tamir Pardo che aveva affermato:

“gli agenti operativi donne del Mossad vengono apprezzate per la loro capacità di essere multitasking ed inoltre pur di raggiungere obiettivi sopprimono il loro ego. Le abilità femminili sono superiori agli uomini in termini di comprensione del territorio, di lettura delle situazioni, di cognizione dello spazio”.

Anche in Italia già da qualche anno si vorrebbe una donna a capo di un organo del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Più volte è infatti circolata voce in merito alla nomina a direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) dell’attuale segretario generale della Farnesina, ambasciatore Elisabetta Belloni.

Se ne parlava già nel 2016 prima della nomina dell’attuale direttore generale Alessandro Pansa e se ne parla in questi giorni come riportato da alcuni giornali , tra cui Formiche, in vista forse di un rinnovo – lo sapremo tra qualche mese – proprio al DIS.

Tornando al Mossad, il 2 ottobre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha assegnato sei riconoscimenti ad altrettante squadre del Mossad per aver realizzato con successo operazioni speciali all’estero nell’ultimo anno. In alcune delle operazioni segrete, eseguite dagli uomini e dalle donne dell’organizzazione in tutto il mondo – stati nemici inclusi -, sono state usate tecnologie uniche sviluppate dal Mossad. Probabilmente la cerimonia diventerà una tradizione annuale.

Negli ultimi anni il budget del Mossad è aumentato in modo significativo, così come l’ambito della sua attività operativa e l’impiego di nuovi strumenti tecnologici.

Il Mossad (in ebraico vuol dire “istituto”) venne fondato nel 1949 come “Istituto centrale di coordinamento” su suggerimento di Reuven Shiloah al primo ministro David Ben-Gurion.
Shiloah riteneva indispensabile l’esistenza di un servizio che si occupasse di coordinare i servizi di intelligence dell’esercito (AMAN), lo Shabak (più spesso indicato come Shin Bet) e il “dipartimento politico” del ministero degli esteri.

Nel 1951 il Mossad, che non è un agenzia militare, fu inserito nella struttura burocratica del primo ministro, cui risponde direttamente.
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Messaggioda Berto » lun dic 04, 2017 8:13 am

DEDICATO A CHI SPUTA VELENO CONTRO ISRAELE SENZA ESSERCI MAI STATO

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 0128620711

Io sono stato diverse volte in Israele. Ho avuto la fortuna di conoscere bene questa terra magica e complicata. Proprio per questo non posso tacere di fronte alle distorsioni mediatiche. Ho girato per le strade di Yaffo facendo footing nell'ultima sera del Ramadan mentre migliaia di musulmani si riversavano in strada per festeggiare. Ho mangiato in un villaggio arabo nel cuore d'Israele ma a due passi da una moschea. Ho incontrato arabi palestinesi, arabi cristiani e persone di ogni razza e religione. Ho visto sedere nel parlamento israeliano politici arabi apertamente avversi ad Israele. Ho visto giovani ragazzi costretti a lasciare la propria famiglia per difendere la propria patria e garantire la sicurezza a ogni singolo cittadino. Ho visto gli occhi di questi ragazzi che non avevano nessuna voglia di trovarsi ad ammazzare un altro uomo. Ho visto la gente comune scappare durante l'invio di migliaia di razzi da Gaza, ma ho visto la centrale elettrica di Tel Aviv continuare a fornire elettricità alla Striscia. Ho visto leader di Hamas inneggiare alla distruzione d'Israele, incitare a "intifade" e uccisione degli Ebrei, ma farsi curare negli ospedali israeliani. Ho visto gli stessi leader di Hamas, che mentre davano la colpa ad Israele per la situazione del popolo palestinese, intascavano fondi milionari per costruire razzi, tunnel del Terrore, invece che scuole e ospedali. Ho visto in Israele l'unica democrazia del Medioriente con i miei occhi. Ho visto un popolo patriottico e che vuole vivere in pace. Un popolo che ama la vita e odia il terrore. Che non vuole rendere orfani i propri figli come purtroppo troppo spesso succede in Israele. Un popolo che vuole continuare a pregare al Muro del Pianto, mentre i fratelli Cristiani si recano al Sepolcro di Gesù e il muezzin richiama i fedeli in moschea. Un popolo che prova a farcela ogni giorno, a sorridere pur sapendo che da un momento all'altro potrebbe trovarsi in mezzo a una sassaiola, un accoltellamento, un razzo che arriva dal cielo per distruggerlo. Ho visto un popolo che reclama il diritto di esistere. Che non invoca guerre sante, pulizie etniche, apartheid o genocidi. Che nonostante l'odio di cui è circondato, prova ancora a credere alla Pace. Anche se ai terroristi di ogni sigla non interessa nulla e vorrebbero solo eliminare tutti gli ebrei dalla faccia della terra. No, Israele non è tutte rose e fiori ,ma per le cose brutte non avete bisogno di me, vi basta accendere qualsiasi Tg o leggere qualsiasi sito. Lì troverete solo quelle.

Non sappiamo chi ha scritto questo post,ma rende perfettamente l'idea dello Stato d'Israele.Lo abbiamo pubblicato perche' a scriverlo non e' un israeliano,ma una persona che con i suoi occhi ha visto la realta' israeliana.



Idiozie e odio contro Israele e gli ebrei
viewtopic.php?f=197&t=2662
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Messaggioda Berto » lun gen 08, 2018 2:28 pm

ISRAELE, UN PARADISO PER I CRISTIANI
di Elias Zarina
IL FOGLIO 08/01/2017

“In quanto cristiano mediorientale desidero informarvi che, sebbene i capi musulmani abbiano cercato di convincere l’occidente che qui i cristiani stanno bene, è vero il contrario”. “Inoltre, essendo nato e cresciuto nel quartiere cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme, posso dire con certezza che Israele è l’unico paese di questa regione in cui i cristiani possono prosperare. La cosa potrebbe sorprendere per via di una recente lettera firmata da dirigenti della chiesa, in cui si condanna la dichiarazione su Gerusalemme del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ripeto, la verità è molto più complessa. I cristiani in medio oriente, compresa Cisgiordania e Gerusalemme est, sono sottoposti a un’enorme pressione da parte dei capi musulmani. Negli anni scorsi la comunità cristiana in tutto il medio oriente ha enormemente patito per l’ascesa degli estremisti jihadisti. Si prendano, ad esempio, le centinaia di migliaia di cristiani sfollati da Siria e Iraq. O il massacro dei cristiani copti in Egitto. Lo stesso vale anche in Cisgiordania. Proprio di recente, un terrorista palestinese ha perpetrato un attacco alla guida di un’auto, nella città cristiana di Beit Jala, ferendo 18 persone e demolendo una quarantina di veicoli. Ho sentito di prima mano che l’obiettivo dichiarato dell’aggressore era “ripulire la zona dagli infedeli”.

L’Autorità palestinese, che ha arrestato il responsabile, ha diramato una dichiarazione falsa che ignora questa rivendicazione e minimizza l’incidente attribuendolo al solito “disturbato di mente”. Non è che l’ennesimo esempio di come l’Autorità palestinese cerca di mascherare i veri pericoli che corrono i suoi residenti cristiani a causa della crescita al suo interno dell’ideologia islamista. Non sorprende quindi che da varie parti della Terra Santa, la terra natale di Gesù Cristo, molti dei suoi seguaci stiano fuggendo in occidente. Sono in fuga dal pericolo di morte inflitto dagli islamisti estremisti. Qui vicino a casa mia, sono molti i cristiani che stanno abbandonando l’Autorità palestinese, malgrado ciò che dicono i suoi dirigenti. L’esodo cristiano dalle città palestinesi, Betlemme inclusa, è la dimostrazione del maltrattamento che subiscono e del loro profondo senso di insicurezza. Tuttavia, sono felice di poter riferire che esiste un luogo, in medio oriente, dove i cristiani prosperano davvero, ed è Israele. La comunità cristiana in Israele continua a crescere di numero. I cristiani in Israele godono di benessere economico, sistemi educativi indipendenti con alcune delle migliori scuole del paese, un eccellente sistema sanitario e pieni diritti civili. È per questo motivo che cresce il numero di cittadini cristiani che sceglie di arruolarsi volontariamente nelle Forze di difesa israeliane e di continuare a studiare e vivere qui. Quindi, a tutti i pellegrini dico: mi auguro che durante la vostra visita sappiate vedere come, mentre i cristiani di tutta la regione cercano un futuro migliore all’esterno, qui in Israele essi lo cercano all’interno del proprio paese”.
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