Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » gio apr 21, 2016 8:36 am

Perché Israele non può lasciare Giudea e Samaria
17 febbraio 2016 Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/perche-israele ... -e-samaria

Le mistificazioni e le strumentalizzazioni incessanti. Per capire il presente, come è noto (a chi è noto) bisogna conoscere il passato. È sconcertante il livello di ignoranza dei fatti storici che frequentemente si riscontra tra le “anime belle”, gli aedi della fine della”occupazione” della Giudea e della Samaria e la variopinta sequela dei flabelliferi al loro seguito.
Vediamo alcune cose. Sempre concentriamoci su una data fatidica. Imprimiamocela in mente, 1967. L’anno della Guerra dei Sei Giorni. Israele vince la guerra contro Egitto, Giordania, Siria e annessi. Come conseguenza della guerra Gaza, Samaria e Giudea, prima annesse illegalmente da Egitto e Giordania, passano a Israele. Soffermiamoci ora sulla risoluzione 242 delle Nazioni Unite. Il primo punto della risoluzione sottolinea “l’inammissibilità di acquisizioni di territorio per mezzo di guerre”.

In “The Place of International Law in the settlement of disputies by the Security Council”, Dame Rosaylin Higgins, Presidente della Corte Internazionale di Giustizia dal 2006 al 2009 afferma testualmente che “non vi è alcunché nella Carta delle Nazioni Unite o nelle leggi internazionali che lasci supporre che l’occupazione militare, in assenza di un trattato di pace sia illegale…La legge dell’occupazione militare, col suo tessuto complesso di diritti e di doveri, rimane integralmente rilevante, e (attenzione al seguito) fintanto che le nazioni arabe accettino di negoziare un trattato di pace, Israele è di pieno diritto autorizzato a rimanere nei territori che attualmente detiene”.

Dunque secondo l’ex Presidente della Corte Internazionale di Giustizia, il permanere di Israele nei territori occupati (allora Gaza, Samaria e Giudea), oggi Samaria e Giudea (la cosiddetta “West Bank”), non solo è “integralmente rilevante” in assenza di un trattato di pace, ma è subordinata alla sua negoziazione. Ma per molti Israele dovrebbe smobilitare dall’oggi al domani confidando nella buona volontà araba di comportarsi virtuosamente dopo che esso avrà abbandonato i territori. Come si è infatti visto nel 2005, quando Israele lasciò Gaza.
Proseguiamo. Due pesi e due misure. Precedenti. Nel 1961 l’India usò la forza per annettere Goa. Una decisione del Consiglio di Sicurezza che chiedeva il ritiro delle forze indiane fu bocciata con l’uso del diritto di veto dall’Unione Sovietica. L’11 maggio del 1964 a proposito della questione tedesca Kossyghin dichiarò, “Non si è mai visto un paese restituire territori conquistati dopo una guerra provocata dal paese sconfitto”. Infatti, non si è mai visto. Si dovrebbe vedere, nel caso di Israele.
Il 2 settembre sempre del 64 la Pravda scriveva riferendosi alla Cina popolare, “Un popolo che è stato attaccato, che si difende e che esce vittorioso dal combattimento, ha il sacro dovere di esigere, per sempre, una situazione politica che gli permetta la liquidazione di ogni minaccia di aggressione…non è il caso di restituire territori sino a che esista un pericolo di aggressione”. Ma nel caso di Israele non dovrebbe valere.

Estrapoliamo dalla Carta di Hamas. “Nel nome del Molto Misericordioso Allah, Israele esisterà e continuerà ad esistere fino a quando l’Islam non lo cancellerà, così come ha cancellato altri prima di lui”.
“La nostra lotta contro gli Ebrei è molto grande e molto seria”…Hamas lotta per “Innalzare lo stendardo di Allah su ogni centimetro della Palestina”…”Non c’è soluzione per la questione Palestinese se non attraverso la jihad. Iniziative, proposte e conferenze internazionali sono una perdita di tempo”.
Ritorniamo alla risoluzione 242 e al diritto internazionale e all’acquisizione di territori. L’ex Unione Sovietica ci fornisce qualche illustrazione. Carelia Orientale, province della Polonia Orientale, Bessarabia, Bucovia, Russia Subcarpatica. Territori occupati dall’Armata Rossa e poi incorporati mediante accordi internazionali. Lasciamo l’ex impero sovietico e torniamo nel Medio Oriente. A seguito della guerra del 1948 gli stati arabi invasero i territori designati a fare parte del costituendo stato di Israele. Costituendo sia nei termini mandatari sia sulla base della risoluzione delle Nazioni Unite. Occupazione, (di nuovo attenzione) che violava l’art. 2, paragrafo 4 della Carta in maniera ben più grave, scaturendo da una ribellione a quanto l’ONU aveva statuito. Dunque anche quelle conquiste territoriali erano illecite, ma all’epoca, stranamente, nessuno si stracciò le vesti.
Di nuovo la 242.
1) Afferma che l’adempimento dei principi della Carta richiede l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente, la quale dovrebbe includere l’applicazione di entrambi i seguenti principi:
2) a) ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto;
b) cessazione di tutte le pretese o stati di belligeranza e rispetto per un riconoscimento della sovranità, integrità territoriale ed indipendenza politica di ogni stato nell’area e del loro diritto a vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, liberi da aggressioni o atti di violenza.

Dal 1948 ad oggi del punto b è stato sistematicamente fatto strame da parte degli arabi, i quali mai hanno riconosciuto de facto la legittimità di Israele in quanto tale. Ora, la mancanza di riconoscimento da parte araba della legittimità di Israele di esistere è, essenzialmente, il principale problema a una effettiva soluzione della questione. Nessun reale negoziato può avere luogo se una delle due parti negoziatrici non riconosce all’altra il diritto fondamentale che essa ha di esistere. Coerentemente con questo assunto Hamas ritiene “proposte, iniziative e conferenze internazionali, una perdita di tempo”. L’OLP ha sempre e solo formalmente riconosciuto Israele, obbligata dai fatti, ma nella sostanza non lo ha mai fatto, da qui, fondamentalmente, il fallimento di tutti i negoziati.
Andiamo al punto a. La risoluzione 242 non dice dove le forze israeliane si debbono ritirare né entro quali limiti di tempo. Stabilito in linea di principio che Israele debba ritirare le proprie forze armate resta prioritaria e predeterminante la necessità da parte araba del riconoscimento di Israele in quanto tale e la fine di ogni proposito proclamato e attuato di aggressione nei confronti dello stato ebraico e di sua auspicata distruzione (“Fintanto che le nazioni arabe accettino di negoziare un trattato di pace”).
Oppure no?
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » lun apr 25, 2016 1:26 pm

Jerusalem Dig Uncovers Ancient Greek Citadel
In the shadow of Jerusalem’s city walls, archaeologists have found a fortress that spawned a bloody rebellion more than two millennia ago.
Andrew Lawler
April 22, 2016

http://news.nationalgeographic.com/2016 ... 24864216=1

Gerusalemme , gli archeologi hanno scoperto i resti di un imponente forte costruito più di duemila anni fa dai Greci nel centro della vecchia Gerusalemme . Le rovine sono la prima prova solida di un'epoca in cui la cultura ellenistica regnava in questa antica città.

La cittadella , fino ad ora conosciuta solo da testi , è stata al centro di una sanguinosa rivolta che alla fine ha portato alla cacciata dei greci , un evento ancora celebrato dagli ebrei a Hanukkah . Ma gli scavi all'ombra del Monte del Tempio , chiamato Haram esh - Sharif dai musulmani , sta suscitando polemiche.


Jerusalem, IsraelIsraeli archaeologists have uncovered the remnants of an impressive fort built more than two thousand years ago by Greeks in the center of old Jerusalem. The ruins are the first solid evidence of an era in which Hellenistic culture held sway in this ancient city.

The citadel, until now known only from texts, was at the heart of a bloody rebellion that eventually led to the expulsion of the Greeks, an event still celebrated by Jews at Hanukkah. But the excavation in the shadow of the Temple Mount, called Haram esh-Sharif by Muslims, is stirring controversy in this politically charged land.

“We now have massive evidence that this is part of the fortress called the Acra,” said Doron Ben-Ami, an archaeologist with the Israeli Antiquities Authority who is leading the effort.

Situated under what had long been a parking lot between the Temple Mount to the north and the Palestinian village of Silwan to the south, the site is now a huge rectangular hole that plunges more than three stories below the streets. On a recent visit, workers cleared away dirt as Ben-Ami jumped from rock to rock, enthusiastically pointing out newly excavated features.
Picture of an old Greek fortress outside the walled Old City of Jerusalem
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Massive stones as well as smaller rock provided clues to the identity of the fortress. Roman houses and a Byzantine orchard later covered the site, which more recently was a parking lot.
Photograph by Xinhua, JINI, Xinhua Press, Corbis

Alexander the Great conquered Judea in the 4th century B.C., and his successors quarreled over the spoils. Jerusalem, Judea’s capital, sided with Seleucid King Antiochus III to expel an Egyptian garrison, and a grateful Antiochus granted the Jews religious autonomy. For a century and a half, Greek culture and language flourished here. Yet archaeologists have found few artifacts or buildings from this important era that shaped Jewish culture.

Conflicts between traditional Jews and those influenced by Hellenism led to tensions, and Jewish rebels took up arms in 167 B.C. The revolt was put down, and Antiochus IV Epiphanes sacked the city, banned traditional Jewish rites, and set up Greek gods in the temple.

According to the Jewish author of 1 Maccabees, a book written shortly after the revolt, the Seleucids built a massive fort in “the city of David with a great and strong wall, and with strong towers.” Called the Acra—from the Greek for a high, fortified place—it was a thorn in the side of Jews who resented Greek dominance.

In 164 B.C., Jewish rebels led by Judah Maccabee took Jerusalem and liberated the temple, an event commemorated in the festival of Hanukkah. But the rebels failed to conquer the Acra. For more than two decades, the rebels tried in vain to overwhelm the fortress. Finally in 141 B.C., Simon Maccabee captured the stronghold and expelled the remaining Greeks.
Towering Over the Temple?

What happened next has confused and divided scholars for more than a century. According to historian Josephus Flavius, a Jew who served Rome in the first century A.D., Simon Maccabee spent three years tearing down the Acra, ensuring that it no longer towered over the temple.

The temple was located to the north of the City of David, on ground more than a hundred feet above the boundaries of early Jerusalem, so Josephus’s story explained this geographical puzzle. But the author of 1 Maccabees insisted that Simon actually strengthened the fortifications and even made it his residence.

This discrepancy spawned many theories in the past century, but no solid archaeological evidence.

When an Israeli organization named the Ir David Foundation announced plans to build a museum on top of the parking lot, Ben-Ami began a salvage excavation in 2007.
Picture of worker removes dust in the Greek fortress outside the walled Old City of Jerusalem
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Archaeologists exposed a Roman villa close to the Greek fortress. After the citadel’s destruction, the site became a residential area.
Photograph by Xinhua, JINI, Xinhua Press, Corbis

His team dug through successive layers, from an early Islamic market, through a Byzantine orchard and a hoard of 264 coins from the seventh century, under an elaborate Roman villa, and then beyond a first-century place for ritual Jewish bathing. Under buildings that pottery and coins demonstrated to be from the early centuries B.C., the archaeologists found layers of what looked like random rubble.

But the rubble turned out to be carefully placed rocks that formed a glacis, or a defensive slope protruding from a massive wall. “The stones are in layers, at an angle of 15 degrees at the bottom and 30 degrees at the top,” Ben-Ami said, gesturing at color-coded cards pinned into each layer. “This wasn’t a building that collapsed; this was put here on purpose.”

The team also found coins that date from the time of Antiochus IV to the time of Antiochus VII, who was the Seleucid king when the Acra fell. “We also have Greek arrowheads, slingshots, and ballistic stones,” he added. “And also amphorae of imported wine.” Since observant Jews drank only local wine, that suggests the presence of foreigners or those influenced by non-Jewish ways.
Picture of sling stones and arrowheads are seen outside the walled Old City of Jerusalem
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Sling stones and arrowheads found in and around the Greek fortress attest to pitched battles fought by Greek and Jewish defenders against those Jews opposed to Hellenistic control of Jerusalem.
Photograph by Xinhua, JINI, Xinhua Press, Corbis

Ben-Ami found no sign that the fortress was dismantled abruptly, or that the entire hill was leveled, as Josephus claimed. Instead, the succeeding Jewish kingdom under Hasmonean rule cut into the glacis during construction in later years. Hasmonean and later Roman builders reused the cut stones for other structures, eating away at the Greek citadel.
Still a Site of Conflict

The find lays to rest theories that placed the Acra north of the temple, immediately adjacent to it, or on the high ground to the west that is now covered by the current walled city. No one is more delighted by the discovery than Bezalel Bar-Kochva, an emeritus historian at Tel Aviv University. He wrote a 1980 article suggesting that the fort could be found exactly where Ben-Ami dug—a few hundred meters south of the Temple Mount, in the midst of the old City of David.

“By the time of Josephus,” he said, “Jerusalem had spread to the west and north, and the city of David was a low spot.” Bar-Kochva believes that the author copied a spurious tale by a Greek historian about Simon’s effort to level the Acra in order to account for this.

Oren Tal, an archaeologist at Tel Aviv University not associated with the dig, said that Ben-Ami’s discovery is the “best possible candidate” for the Acra. “The find is fascinating,” added Israeli archaeologist Yonathan Mizrachi. “This suggests that Jerusalem was for a longer time a Hellenistic city in which foreigners were dominant, and who built more than we thought.”

Mizrachi, who heads a consortium of scholars called Emek Shaveh, opposes the museum development because it will damage the ruins. An Israeli planning board last June ordered the Ir David Foundation to scale back the size of the complex. Mizrachi also complains that local residents, who are mostly Palestinian, have not been consulted or involved in the dig that is, almost literally, on their doorsteps. He noted that Ir David supports Jewish settlement of the occupied territories, including the Silwan neighborhood.

Meanwhile, Palestinians in Silwan said that the work has led to dangerous cracks in walls and foundations of neighboring houses that threaten their safety.

There is a deeper concern among residents that the dig, however illuminating for scholars, is a step toward dismantling their village. “This excavation is not searching for history,” said Jawad Siam, director of the Madaa Community Center based in Silwan. “It’s designed to serve a settlement project.”

Ir David officials did not respond to requests for comment. “When Jerusalem calls, you never say no,” said Ben-Ami. “My expertise is in archaeology, not politics.”
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » mar apr 26, 2016 8:09 am

La nascita dello Stato di Israele (1948)

https://www.youtube.com/watch?v=PjY56S7j6Q8
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » gio mag 12, 2016 12:57 pm

DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA DELLO STATO DI ISRAELE
Dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele
admin 14 maggio 2008

http://www.focusonisrael.org/2008/05/14 ... za-israele

In ERETZ ISRAEL è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno Libro dei Libri. Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica. Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma’apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all’indipendenza nazionale.

Nell’anno 5657 (1897), alla chiamata del precursore della concezione d’uno Stato ebraico Theodor Herzl, fu indetto il primo congresso sionista che proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo paese. Questo diritto fu riconosciuto nella dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, dava sanzione internazionale al legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz Israel [Terra d’Israele] e al diritto del popolo ebraico di ricostruire il suo focolare nazionale. La Shoà [catastrofe] che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico, in cui milioni di ebrei in Europa sono stati massacrati, ha dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria e di indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel che spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la posizione di membro a diritti uguali nella famiglia delle nazioni. I sopravvissuti all’Olocausto nazista in Europa, così come gli ebrei di altri paesi, non hanno cessato di emigrare in Eretz Israel, nonostante le difficoltà, gli impedimenti e i pericoli e non hanno smesso di rivendicare il loro diritto a una vita di dignità, libertà e onesto lavoro nella patria del loro popolo.

Durante la seconda guerra mondiale, la comunità ebraica di questo paese diede il suo pieno contributo alla lotta dei popoli amanti della libertà e della pace contro le forze della malvagità nazista e, col sangue dei suoi soldati e il suo sforzo bellico, si guadagnò il diritto di essere annoverata fra i popoli che fondarono le Nazioni Unite. Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel. L’Assemblea Generale chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano. Decidiamo che, con effetto dal momento della fine del Mandato, stanotte, giorno di sabato 6 di Iyar 5708, 15 maggio 1948, fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la Costituzione che sarà adottata dall’Assemblea costituente eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del Popolo opererà come provvisorio Consiglio di Stato, e il suo organo esecutivo, l’Amministrazione del Popolo, sarà il Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato Israele.

Lo Stato d’Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Lo Stato d’Israele sarà pronto a collaborare con le agenzie e le rappresentanze delle Nazioni Unite per l’applicazione della risoluzione dell’Assemblea Generale del 29 novembre 1947 e compirà passi per realizzare l’unità economica di tutte le parti di Eretz Israel. Facciamo appello alle Nazioni Unite affinché assistano il popolo ebraico nella costruzione del suo Stato e accolgano lo Stato ebraico nella famiglia delle nazioni.

Facciamo appello – nel mezzo dell’attacco che ci viene sferrato contro da mesi – ai cittadini arabi dello Stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti. Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d’Israele è pronto a compiere la sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero. Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell’immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell’antica aspirazione: la redenzione di Israele.

Confidando nella Rocca di Israele, noi firmiamo questa Dichiarazione in questa sessione del Consiglio di Stato provvisorio, sul suolo della patria, nella città’ di Tel Aviv, oggi, vigilia di sabato 5 Iyar 5708, 14 maggio 1948.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » sab mag 14, 2016 6:29 am

HaTikvà, un inno da intonare senza remore e senza rincrescimenti
A differenza di altri stati, quando si tratta di Israele c’è chi taccia di “antidemocratico” tutto ciò che rimanda al suo carattere di stato nazionale ebraico
Di Nadav Shragai
(Da: Israel HaYom, 8.5.16)

http://www.israele.net/hatikva-un-inno- ... a-scusarsi

... "Finché dentro il cuore / l'Anima Ebraica anela / e verso l'oriente lontano / un occhio guarda a Sion / non è ancora persa la nostra speranza / la speranza due volte millenaria / di essere un popolo libero nella nostra terra / la terra di Sion e Gerusalemme" ...

L’inno nazionale d’Israele, HaTikvà (“La speranza”), è una delle canzoni ebraiche più note nel mondo ebraico, come Jerushalaim shel zahav (“Gerusalemme d’oro”) ma molto più antica. Per generazioni è stata cantata da ebrei che non sapevano una parola di ebraico: una canzone con parole non tratte dalla Bibbia o dal libro delle preghiere ebraiche, e tuttavia una canzone profondamente ebraica.

Ora alcuni parlamentari arabo-israeliani avanzano nuovamente la richiesta che le parole dell’inno vengano modificate o sostituite del tutto. Essi sostengono, a ragione, che si sentono scollegati dal contenuto di quel testo e che non si può chiedere loro di identificarvisi. Il che è perfettamente comprensibile. Onestamente, che connessione possono avere con “l’anelito dell’anima ebraica” che “volge lo sguardo verso Sion”? Anche la bandiera bianca e blu, ispirata ai colori dallo scialle di preghiera ebraico e con la stella di David, così come l’emblema dello stato, con al centro la menorah, il candelabro del Tempio, sono simboli lontani dal loro patrimonio. Che connessione possono avere con il secolare scialle di preghiera ebraico? O con re David? O con la menorah razziata dalle legioni romane al Tempio di Gerusalemme? Anche “Israele”, il nome del paese e dello stato, menzionato più di duemila volte nella Bibbia, proviene dalla storia ebraica e non ha alcun collegamento con i cittadini arabi del paese.

Ma – in Israele come altrove – l’inno nazionale, la bandiera e l’emblema dello stato non devono riflettere una sorta di minimo comun denominatore di tutta la popolazione. Come ha giustamente osservato il professor Shlomo Avineri, l’inno dà espressione all’identità storica del paese, e nella maggior parte delle società democratiche vi sono persone che non condividono tale identità. In quanto inno nazionale l’HaTikvà dà effettivamente espressione a un’identità, evocando la bimillenaria speranza del ritorno “alla terra di Sion e di Gerusalemme” come “nazione libera nella propria terra”.

Vi sono degli ebrei che sono infastiditi dalla HaTikvà perché essa infastidisce alcuni arabi israeliani. Ma costoro in realtà perseguono un cambiamento molto più profondo. Coloro che si oppongono alla HaTikvà sono essenzialmente contrari alla definizione di Israele come stato nazionale del popolo ebraico. In genere sono anche quelli che rifiutano il sionismo come ideologia fondativa dello stato. Preferirebbero un generico rassemblement o – come amano dire – uno stato di tutti i cittadini. Coloro che considerano irrilevante o addirittura senza senso la richiesta che i palestinesi riconoscano Israele come stato nazionale del popolo ebraico probabilmente sono gli stessi che si sentono minacciati dalla HaTikvà. Ma l’HaTikvà è necessaria proprio per questo, perché ci ricorda che Israele non è uno stato qualsiasi, non è solo un rifugio dall’antisemitismo né solo un centro culturale ebraico. E’ un paese che vive nel presente, con precisi diritti nel presente anche se le sue radici affondano nel passato.

Il passato, e in larga misura il futuro, sono la nostra memoria ebraica condivisa. Senza di essa non avremmo mai potuto creare uno stato-rifugio per il popolo ebraico neanche a Kathmandu (o in Uganda, se è per questo). La HaTikvà e i simboli nazionali ebraici dello stato impediscono alla nostra coscienza nazionale di banalizzarsi. Essi attingono alla memoria storica ebraica che viene da lontano, distillandola nei versi dell’inno, nella stella di David, nella menorah del Tempio.

Lo stemma dello Stato d’Israele con la Menorah del Tempio di Gerusalemme trafugata dai Romani nel 70 e.v., come si vede nei rilievi dell’Arco di Tito a Roma

Essi permettono anche agli ebrei laici di riconoscersi nella memoria e nella continuità ebraica come elementi essenziali per la nostra esistenza, qui, in Terra d’Israele. Il passato di una persona non si estende solo ai giorni della sua vita. Vi è anche un profondo significato nel suo background storico, famigliare, culturale, religioso.

Gli arabi israeliani hanno il pieno diritto di vivere come cittadini eguali nello stato di Israele, di godere di pari opportunità, di votare e di essere eletti, ma non possono pretendere di identificarsi in un’espressione nazionale la cui essenza è rappresentata dalla HaTikvà, dalla bandiera e dall’emblema dello stato.

Pertanto nel giorno del ricordo dei caduti e nel giorno dell’indipendenza, come in ogni altro giorno dell’anno, dobbiamo intonare la HaTikvà e sventolare la bandiera bianca e blu senza remore e senza rincrescimenti. Questi sono i nostri simboli, che raccontano la nostra storia. Non è la storia degli arabi israeliani, e non può che essere così.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » ven mag 20, 2016 10:22 pm

Israele: la nomina di Lieberman è veramente un messaggio al mondo
Mag 20, 2016
Scritto da Sarah F.

http://www.rightsreporter.org/israele-l ... o-al-mondo

Reazioni scatenate provenienti da mezzo mondo per la nomina a Ministro della Difesa di Avigdor Lieberman annunciata ieri dal Premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il più scatenato è il cosiddetto “Ministro degli Esteri” palestinese che parla di «decisione israeliana in risposta al piano di pace francese» con riferimento alla ridicola iniziativa francese che vorrebbe portare Israele a sottostare alle richieste arabe senza alcuna trattativa.

In realtà tra le reazioni più o meno scontente provenienti da tutto il mondo in merito alla nomina di Avigdor Lieberman a Ministro della Difesa la reazione palestinese è probabilmente quella che più di tutte si avvicina alla realtà. E’ infatti indubbio che Netanyahu con la nomina di Lieberman ha voluto mandare un chiaro doppio messaggio ai nemici di Israele, e cioè che lo Stato Ebraico non accetterà nessuna imposizione esterna e che è pronto a combattere per la propria libertà senza fare sconti a nessuno.

Secondo un comunicato diffuso ieri sera dal cosiddetto “Ministero degli Esteri” palestinese, la nomina di Lieberman a Ministro della Difesa sarebbe la dimostrazione che «Israele non è un partner per la pace affidabile» e che «Netanyahu intende proseguire con la politica degli insediamenti». Il comunicato prosegue chiedendo un intervento della comunità internazionale volto a contrastare la nomina di Avigdor Lieberman a Ministro della Difesa ricordando alla stessa comunità internazionale che essa «ha la responsabilità politica, morale e giuridica nei confronti del popolo palestinese». Il comunicato prosegue poi affermando che «Netanyahu sta inviando al mondo un messaggio molto chiaro e cioè che Israele preferisce l’estremismo ed espandere l’occupazione invece che ricercare la pace» il che detto dai palestinesi suona quasi come una beffa.

Al di la delle affermazioni palestinesi e delle reazioni da parte dei nemici di Israele appare chiaro che la decisione di Netanyahu, che tra l’altro è appoggiata dalla maggioranza degli israeliani secondo un sondaggio condotto da Channel 2, oltre ad essere realmente un messaggio al mondo è anche una reazione logica alla crescente ostilità nei confronti dello Stato Ebraico e ai tentativi di imporre soluzioni dall’alto alla questione palestinese.




Lieberman nuovo ministro della difesa di Israele
19 maggio 2016

http://www.linformale.eu/lieberman-mini ... sa-israele

Sarà Avigdor Lieberman il nuovo ministro della Difesa di Israele. Il leader del partito Yisrael Beitenu ha accettato l’offerta del premier Netanyahu, che in questo modo allarga la sua maggioranza. In questi giorni ci sono state trattative tra il premier e il leader dell’opposizione Isaac Herzog per un governo di larga intesa, ma si sono arenate. Netanyahu ha deciso comunque di allargare la maggioranza in suo sostegno, finora risicata, avviando trattative con Lieberman, ex alleato che a sorpresa non era entrato nella coalizione di governo dopo le ultime elezioni. Ora la maggioranza sarà numericamente più salda: da 61 a 67 (su 120) parlamentari. In cambio Lieberman ha ottenuto il ministero della Difesa e ha chiesto l’introduzione della pena di morte per i terroristi.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » mer mag 25, 2016 1:00 pm

???

Masada, un mito che si infrange davanti all’archeologia
3 marzo

http://www.storiainrete.com/1344/storia ... i-infrange

Novecentosessanta furono le vittime, comprendendo nel numero anche le donne e i bambini, e la data dell’eccidio fu il quindici del mese di Xanthico. I romani, che s’aspettavano di dover ancora combattere, verso l’alba si approntarono e, gettate delle passerelle per poter avanzare dai terrapieni, si lanciarono all’attacco. Non vedendo alcun nemico, ma dovunque una paurosa solitudine e poi dentro fiamme e silenzio, non riuscivano a capire che cosa fosse accaduto […] Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono non fu l’esultanza di aver annientato il nemico, ma l’ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l’aveva messo in atto.”

Da “Storia in Rete” numero 9-10

Così Giuseppe Flavio descrive l’epilogo dell’assedio di Masada, e la tragica sorte dei suoi difensori. Masada cadde nella primavera dell’anno 73 d.C. dopo che i romani della Legione X Fretense avevano innalzato una rampa per colmare il dislivello che faceva della rocca di Masada una fortezza naturale apparentemente imprendibile. A Masada si erano rifugiati gli ebrei ribelli di Eleazar ben Yair dopo aver innescato la rivolta giudaica a Gerusalemme. E da questa ridotta inespugnabile avevano continuato la guerriglia per due anni. Fin quando le aquile imperiali non tornarono su quei luoghi imponendo la pax romana. I difensori, di fronte alla prospettiva di cadere nelle mani dei legionari, soppressero i propri familiari, poi estrassero a sorte dieci di loro che uccidessero gli uomini, e infine fra questi dieci uno che desse la morte agli altri nove, e che si sarebbe poi suicidato. Si salvarono solo due donne e cinque bambini, nascosti per sfuggire al suicidio collettivo.
Masada è considerata il simbolo di un eroismo sfortunato e dell’afflato verso la libertà e contro la tirannia (per tali motivi l’UNESCO ha dichiarato nel 2001 i resti della fortezza di Erode patrimonio dell’umanità). Oggi i soldati dello Tzahal, le forze armate israeliane, dopo aver scalato la rocca alta 400 metri vi compiono il loro giuramento al termine del periodo addestrativo, promettendo a gran voce “mai più cadrà Masada”.

Una visione oleografica, coi ribelli-buoni e gli imperialisti-cattivi che però inizia a mostrare la corda: gli studi dell’archeologo israeliano Nachman Ben-Yehuda ridisegnano ampiamente la vicenda, e tratteggiano una versione più realistica degli eventi.
“Quando esaminiamo a fondo […] la Grande Rivolta e Masada, semplicemente non abbiamo alcun ritratto di eroismo. Al contrario. I racconti narrano la storia di una fatale (e discutibile) rivolta, di un gigantesco fallimento e della distruzione del Secondo Tempio e di Gerusalemme, di massacri di ebrei su larga scala, di differenti fazioni di ebrei che combattevano e si ammazzavano a vicenda, di suicidi collettivi (un atto non visto con favore dalla fede ebraica) perpetrato da un gruppo di terroristi e assassini il cui “spirito combattivo” può essere stato incerto.”

Non usa dunque mezzi termini il professor Nachman Ben-Yehuda, ordinario dell’Università Ebraica di Gerusalemme nel dipartimento di Sociologia ed Antropologia. Masada, un mito su cui si è fondato molto dell’ethos del moderno Israele, deve essere largamente riscritto.
Masada fu meta di un vero e proprio pellegrinaggio archeologico nei primi anni ’60 del secolo scorso: l’archeologo Yigael Yadin guidò le ricerche e gli scavi, alla testa di un piccolo esercito di volontari, mossi dal profondo bisogno psicologico di ritrovare le radici guerriere di Israele. E queste radici tornarono alla luce: le pietre dell’altopiano di Masada mostrarono prima chiaramente la pianta della fortezza erodiana, poi restituirono cocci, monete del periodo della rivolta, armi, infine anche resti umani. Le tracce dell’assedio poi divennero chiare quando si identificò la gigantesca rampa edificata dai legionari per aver ragione della montagna. Yadin trovò anche undici “ostraka”, dei cocci usati per le estrazioni a sorte, su cui erano incisi dei nomi, uno dei quali è “Ben Yair”. Era la prova che la storia raccontata da Giuseppe Flavio era vera. Yadin non si soffermò sull’origine dei resti umani. Per lui erano i “difensori di Masada”. Il governo israeliano, addirittura volle che fossero sepolti con gli onori militari, come poi avvenne nel 1969. Un’ipotesi, tuttavia, indebolita da successive ricerche, che proverebbero, al contrario, che i corpi ritrovati appartenevano a occupanti molto più tardi, di epoca bizantina, oppure a romani della Legione Fretense o della guarnigione che fu presa con l’inganno e massacrata dagli uomini di Elazar, un’ipotesi suffragata anche dal ritrovamento nel 1982 di ossa di maiale, animale che, com’è noto, è considerato impuro dagli ebrei.

Lo sforzo di Yadin fu più pedagogico e patriottico che non realmente scientifico: egli sapeva che la sua giovane nazione aveva bisogno di miti fondanti. Sapeva che Israele era accerchiato e che solo vent’anni prima la quasi totalità del suo popolo era stata condotta a morte senza combattere. C’era dunque la profonda necessità spirituale di dimostrare al mondo (e agli ebrei stessi) che un ebreo sapeva battersi e morire. Un feroce dibattito dilaniava in quegli anni la nazione ebraica: molti sopravvissuti all’olocausto provavano vergogna per non essersi opposti al nazismo e ai pogrom. I coloni sionisti che non avevano conosciuto direttamente la shoah non riuscivano (e non volevano) capire perché gli ebrei europei non avessero fatto ovunque come a Varsavia nel 1943, rivoltandosi contro Hitler, invece di farsi assassinare senza combattere. Masada era una maniera per trovare sollievo da queste angosce.

Ma ogni mito presto o tardi deve fare i conti con un revisionismo scientifico. Studi come quelli di Ben-Yehuda restituiscono una dimensione realistica al mito di Masada.
E spesso non è nemmeno necessaria una scoperta eclatante per revisionare la storia passata: leggendo attentamente “La Guerra Giudaica” dello storico ebreo Giuseppe Flavio si vede come Eleazar ben-Yair fosse un personaggio che oggi non esiteremo a definire un terrorista integralista. Zelota massimalista, sicario (i sicari erano una setta ebraica dedita agli assassinii tramite un pugnale chiamato “sica”, da cui il nome), fomentò il popolo contro i romani, pretendendo dai sacerdoti che non accettassero più i sacrifici da parte loro. Un gesto considerato dallo stesso Giuseppe Flavio empio, poiché sempre al Tempio di Salomone ogni uomo aveva potuto offrire sacrifici a Dio quale che fosse la sua religione o razza.
E i romani avevano trovato un modus vivendi con questo “strano popolo che adorava un solo dio”, sacrificando nel Tempio non all’Imperatore o alla Dea Roma, ma per l’Imperatore e per Roma, salvando così il monoteismo giudaico e la necessità politica dei romani di assicurare sempre che i riti sacri fossero ben compiuti: una preghiera “pro rege et pro patria”, insomma. Eleazar sapeva bene che i romani avrebbero percepito il rifiuto delle loro offerte come una insopportabile ed empia offesa, e sarebbe stata la guerra. Ed era ciò che egli voleva.

Ma la guerra non prese la piega voluta dagli integralisti: in tutto il Medio Oriente le comunità ebraiche furono trucidate dalle popolazioni ellenizzate o romanizzate, e gli stessi romani, dopo aver accusato iniziali rovesci, si riorganizzarono e schiacciarono la rivolta con una ferocia raccapricciante. Come se non bastasse, le fazioni giudaiche iniziarono a massacrarsi a vicenda: gli zeloti e in particolare i sicari praticavano un sistematico terrorismo contro ogni comunità ebraica “colpevole” di non sufficiente odio verso gli “invasori” romani. Eleazar stesso, rinchiuso a Masada con un migliaio di sicari, compì la sua miglior prodezza assaltando il vicino villaggio giudeo di Ein-Gedi sterminandone la popolazione, donne e bambini compresi. I paralleli con la situazione contemporanea sono fin troppo evidenti.

La durata dell’assedio invece è stata riscritta dalle prospezioni archeologiche: la rampa costruita dai romani non sarebbe stata alta 375 piedi (125 metri) come preteso da Giuseppe Flavio, ma molto meno forse appena una dozzina di metri, poiché la Legione Decima comandata da Lucio Silva sfruttò uno sperone di roccia calcarea naturale. Un’opera che assieme al controvallo e al fossato scavato attorno alla fortezza, secondo l’abituale strategia romana d’assedio, non dovette occupare i legionari e i loro schiavi per più di un mese. Dunque non anni, ma settimane, durò la resistenza di Masada ai romani.
Giuseppe Flavio non trova riscontro neppure nella questione del successivo rogo: secondo lo storico ebreo i difensori di Masada appiccarono fuoco alla fortezza prima di suicidarsi, ma non ai magazzini, per dimostrare che non cedevano per fame. Tuttavia i ritrovamenti archeologici mostrano spessi strati di cenere anche nei depositi.
E infine: sono stati ritrovati finora solo 28 corpi, dei quali la maggior parte in caverne alla base della montagna. Gli altri 932 cadaveri dove sono?

Emanuele Mastrangelo

???

Masada si trova al centro della ricostruzione storica che riporterà alla luce i fatti realmente accaduti e, contemporaneamente, la gigantesca mistificazione attuata per nasconderli!
Ed è proprio il nostro famoso storico Giuseppe Flavio che nasconde nei suoi scritti gran parte di questa storia. E non solo, perchè Giuseppe Flavio nasconde soprattutto una persona: se stesso! Chi è Giuseppe Flavio? Difficile rispondere a questa domanda in poche righe, perchè si potrebbe chiamare in decine e decine di nomi diversi, tanti sono i personaggi storici che, come il nome di Giuseppe Flavio, nascondono anch’essi sempre la stessa persona! Si tratta di una persona molto speciale, dotata di una grande cultura poliedrica e, per i suoi tempi, all’avanguardia, dovuta al suo studio precoce, intenso e duraturo. I suoi racconti autobiografici e storici si ricostruiscono se si mettono insieme quindi i pensieri e gli scritti che ci ha lasciato. Ma dove sono questi scritti? Perchè nessuno ne ha mai parlato? …… Semplice e sconvolgente: perchè sono sotto gli occhi di tutti!!! Qui c’è da riscrivere un’intera storia, finalmente supportata da riscontri oggettivi e collegamenti illuminanti! Fatti questi collegamenti però perdono di legittimità numerosi Enti e Istituti, senonchè tutte le speculazioni, innocenti e non, che si sono venute a creare sulle fondamenta di questa grande falsificazione storica! Per farla breve la persona che si nasconde sotto il nome di Giuseppe Flavio nasconde la stessa persona che si nasconde dietro a questi altri: Seneca, Agrippa, Filone, Corbulone, Pisone, Gessio, Akhenaton, Strabone, Omero, Virgilio, Ovidio, Shakespeare, Socrate, Erodoto, Egesippo, Giuseppe il falegname, Paolo, Giuda, Salomone, Noè, Scipione, Lollio, Cheopa, ecc… ecc… eccc… e mi scuso se cito solo questi dato che la lista è ancora lunga, ma ora, per rientrare nel tema del post, non resta che ricordare almeno un altro dei nomi che lo nascondono e che ce lo fanno trovare a Masada, capitale religiosa del suo regno: ELEAZAR (leggi anche Lazzaro)!!! A Masada accade praticamente quello che viene raccontato nella battaglia di Teutoburgo, ancora oggi scambiata con un’altra battaglia avvenuta in Germania. È invece a Masada, o Sodoma, o Ierosolima, o Gerico, ecc… ecc… che si verica la più grande sconfitta della sua storia subita dall’impero romano. A Masada vengono uccisi almeno due imperatori romani: Caligola, e Tito!!! Insomma, qui l’umanità deve rimettersi umilmente a studiare la storia, avvalendosi delle più feconde ricostruzioni storiche, come quelle che sono venute alla luce nell’ultimo decennio! Buon lavoro, umanità!!!
Gianpiero
27 dicembre 2014, 19:55
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » dom mag 29, 2016 5:07 pm

"Una bomba atomica ci spazzerà via". Israele, l'allarme finale: chi ci colpirà

Esteri - Libero Quotidiano
28 Maggio 2016

http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... nella.html

«Stiamo entrando in un mondo diverso, in cui i terroristi ci minacceranno con armi nucleari...», con questa catastrofica previsione, pronunciata con un sorriso serafico sulle labbra, entra nel vivo il mio viaggio tra i massimi esperti dell' antiterrorismo nel paese più minacciato al mondo dai terroristi: Israele. Dore Gold, direttore generale del ministero degli Esteri di Israele mi riceve in una torrida Gerusalemme. Pacato, col linguaggio del corpo che esprime l' autorevolezza di un millenario visir asiatico, Dore Gold basa su questa sua apocalittica analisi una svolta radicale nel contrasto al terrorismo.

Sempre col sorriso sulle labbra spiega lo sviluppo degli eventi: «Quando chiedemmo ai Servizi dell'India perché non avessero compiuto ritorsioni contro il Pakistan, nonostante fosse appurato che i suoi Servizi avevano aiutato i terroristi che avevano fatto strage a Mumbai ci risposero: "Non potevamo fare ritorsioni. Il Pakistan ha l' atomica!" Pensate cosa sarà il mondo quando i terroristi potranno usare la deterrenza...».

Il quadro a cui guarda Dore Gold è complesso: «Hamas è il fondamentale retroterra politico, militare e logistico dell' Isis che attacca in Egitto e Libia, e fa esplodere gli aerei. Quindi Hamas, indirettamente, è una minaccia anche per l' Europa. Hezbollah, che è sotto comando formale dell' Iran, è in grado di lanciare dalla Siria e dal Libano missili armati di atomica su Israele e su tutti gli Stati arabi. L' Iran ha forse forse sospeso il suo programma nucleare. Ma si dota di nuovi missili che hanno senso solo se armati di testate nucleari, non di esplosivi tradizionali».

La conclusione è semplice: «Israele si deve dotare di un ombrello che la protegga da questi missili». Ma soprattutto deve impostare una politica regionale di svolta che parta dalla normalizzazione dei rapporti con la Turchia imminente, per impegno di Netanyahu e porti a un' inedita alleanza con i paesi arabi sunniti, inclusi i regni e gli emirati del Golfo. Svolta sintetizzata così da Ofer Shelah, deputato di Yesh Atid: «Israele è nato grazie alla consegna di Ben Gurion: si deve difendere da solo. Ma oggi questo postulato non regge più, per l' intersecarsi di terrorismo e minaccia nucleare».

Chi frequenta Israele da 50 anni resta colpito profondamente da questa novità, dalla certezza che è ora indispensabile un suo stretto concerto operativo con la comunità internazionale e con vicini per decenni nemici. Strategia ribadita da tutti gli esperti dell' antiterrorismo israeliano che incontro. È il segno dell' esaurirsi dello «splendido isolamento», della piena autosufficienza della propria forza militare, che, da destra come da sinistra, permea da 70 anni tutte le strategie di difesa della patria degli ebrei. Finisce così la lunga fase in cui Israele chiedeva agli Stati Uniti e a un' ignava Europa aiuto, finanziamenti e armamenti per usarli sul terreno, nelle guerre, basandosi solo sulla propria capacità di combattere.

Ovviamente, questa svolta è radicata su una constatazione che solo Barack Obama e molte cancellerie non percepiscono: la centralità del contenzioso palestinese israeliano ormai è un ricordo. Il nuovo conflitto è imperniato su un apocalittico e globale contrasto tra l' islam politico e l' Occidente. Contrasto in cui le forze radicali sciite e sunnite vedono sì in Israele il più pesante oltraggio alla umma musulmana, ma vedono anche come nemici da abbattere i regimi arabi e islamici «corrotti». In un contesto dominato dall' espansionismo rivoluzionario dell' Iran, che ripropone oggi la spinta egemonica plurimillenaria della Persia verso il Mediterraneo, supportata dall' ideologia khomeinista.

Non solo l' Isis e Al Qaeda vanno dunque annoverati tra i principali nemici che ci minacciano, ma anche Hezbollah e Hamas che non sono più avversari solo di Israele, ma anche di larga parte dei paesi del Medio Oriente. Una percezione che Usa e Europa, che pure considerano Hezbollah «organizzazione terrorista», sono ben lungi dall' avere chiara, nonostante la lezione del disastro siriano provocato dalla strenua difesa del regime del macellaio Assad da parte di Hezbollah, Pasdaran iraniani (e della Russia).
Per questo, in tutti i miei incontri si delinea una propensione di Israele, straordinariamente nuova, a costruire una rete di alleanze con la Turchia e tutti i paesi sunniti, Arabia Saudita inclusa.

Naturalmente, né Dore Gold che ha dato inizio a questo processo con un incontro il 4 giugno a New York con Anwar Eshky, già top adviser del governo saudita né gli altri miei interlocutori intendono infastidire il governo di Riad evidenziando intese sino a pochi mesi fa impensabili. Ma l' allinearsi discreto di Israele con la «trincea» turco arabo sunnita, in funzione anti-terrorista e anti-iraniana è qui ormai palpabile.

Carlo Panella
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » ven giu 17, 2016 7:39 am

Sgambetto di Obama a Israele: no ai fondi per la difesa missilistica
Scritto da Adrian Niscemi
Giu 15, 2016

http://www.rightsreporter.org/sgambetto ... ialWarfare


Prima di andarsene definitivamente Obama vuole lasciare il segno e prepara l’ultimo sgambetto a Israele negando un aumento dei fondi per la difesa missilistica dello Stato Ebraico, il tutto dopo che solo pochi giorni fa Susan Rice prometteva aiuti record.

Ieri la Casa Bianca ha annunciato che non aumenterà i finanziamenti per la difesa missilistica di Israele rispetto a quelli già stanziati per il 2017. Era stata la Camera dei Deputati americana a chiedere che tali finanziamenti aumentassero di 455 milioni di dollari per far fronte alla aumentata minaccia missilistica proveniente in particolare dall’Iran (come conseguenza dell’accordo sul nucleare iraniano fortemente voluto da Obama) e da Hezbollah che dispone di centinaia di migliaia di missili.

Ieri la Casa Bianca ha inviato una lunga lettera al Congresso nella quale elenca tutti i motivi per cui rifiuta di aumentare gli stanziamenti per la difesa antimissile di Israele. Tra i motivi elencati da Obama c’è l’aumento delle spese militari dovute alla guerra contro lo Stato Islamico, una guerra che però gli Stati Uniti non sembrano francamente combattere o comunque non combattono come se fosse un conflitto, senza cioè un ampio utilizzo dei loro mezzi militari che giustifichino un aumento sproporzionato del budget militare.

In un comunicato diffuso ieri sera la AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) si è detta “profondamente delusa” da questa decisione di Obama che arriva in un momento in cui la minaccia missilistica contro Israele è cresciuta in maniera esponenziale proprio a causa delle politiche della Amministrazione Obama.

In ballo ci sono le cooperazioni tra Israele e Stati Uniti per quanto riguarda i sistemi di difesa missilistica quali Arrow, David’s Sling e soprattutto Iron Dome, indispensabili per la difesa di Israele, che Obama con questa decisione ha praticamente ridotto al limite, anzi, secondo il senatore Ted Cruz, gli acquisti supplementari di tali sistemi sarebbero stati praticamente azzerati in un momento in cui la minaccia missilistica contro lo Stato Ebraico è aumentata notevolmente.

La proposta approvata dalla Camera dei Deputati prevedeva uno stanziamento pari 600,8 milioni di dollari per aumentare il potenziale difensivo di Israele suddiviso tra sviluppo e acquisto di munizionamento per i sistemi Iron Dome, Arrows e David’s Sling, di cui una quota per l’acquisto supplementare dei missili intercettori destinati al sistema Iron Dome. Per arrivare a tale cifra serviva che i finanziamenti previsti per il 2017 aumentassero appunto di 455 milioni.

In occasione dell’accordo sul nucleare iraniano il Presidente Obama aveva cercato di smorzare le polemiche promettendo un considerevole aumento dei finanziamenti dedicati alla difesa missilistica di Israele, promessa che come ci aspettavamo non è stata mantenuta.



Susan Rice: al via aiuti militari record a Israele ma stop a insediamenti
Adrian Niscemi
Giu 7, 2016

http://www.rightsreporter.org/susan-ric ... ialWarfare

Un intervento a tutto campo quello fatto ieri sera da Susan Rice, consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, al American Jewish Committee’s Global Forum. La Rice ha parlato del “più grande piano di aiuti militari ad Israele della storia” sottintendendo però che l’ampiezza di tale piano sarebbe condizionato allo stop degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.

Susan Rice ha sottolineato che «il prossimo accordo decennale sugli aiuti militari americani a Israele sarà il più grande della storia» anticipando che si aggirerà tra il 37 e i 40 miliardi di dollari per il decennio che va dal 2019 al 2029. Tuttavia Susan Rice ha tenuto sibillinamente a precisare che «le attività di insediamento israeliane minano la ripresa delle trattative tra israeliani e palestinesi» fatto questo che pregiudicherebbe il raggiungimento del protocollo di intesa definitivo sugli aiuti militari americani a Israele, anche se poi ha leggermente corretto il tiro affermando che il piano di aiuti militari andrà avanti comunque anche se le trattative tra israeliani e palestinesi non dovessero riprendere. Ma è chiaro che l’amministrazione americana sta mettendo sul piatto lo stop agli insediamenti in Cisgiordania. «L’Amministrazione americana si è sempre opposta alle attività di insediamento israeliane» ha detto la Rice «così come si è sempre opposta all’incitamento alla violenza e all’odio di parte palestinese. Ma gli insediamenti corrodono la possibilità di una soluzione a due Stati e vanno verso una soluzione a uno Stato» ha concluso Susan Rice.

Susan Rice è stata poi particolarmente dura con il Movimento BDS senza tuttavia mai nominarlo. Ha detto che «gli Stati Uniti non lavorano solo per la sicurezza di Israele ma anche per la sua legittimità» aggiungendo poi che «coloro che minano o cercano di minare la legittimità dello Stato di Israele anche attraverso azioni di boicottaggio commettono un atto di bullismo e vanno perseguiti legalmente».

La Rice ha infine difeso la politica americana nei confronti di Israele affermando che con questo piano di aiuti militari «i nemici di Israele sono avvisati, non potranno attaccare Israele via terra, via mare, per via aerea e neppure da sottoterra» alludendo alla cooperazione israelo-americana sui sistemi di difesa aerea, antimissile e a un nuovo accordo su un sistema per individuare i tunnel.

Al di la delle allusioni allo stop degli insediamenti, quello di Susan Rice al American Jewish Committee’s Global Forum è stato un discorso tutto incentrato a dimostrare che gli Stati Uniti sono a fianco di Israele anche se ci sono incomprensioni. La Rice ha velatamente criticato l’iniziativa francese anche se lo ha fatto in maniera diplomatica affermando che «una soluzione al conflitto israelo-palestinese non può essere imposta alle parti ma va raggiunta con le parti».
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » ven giu 24, 2016 6:46 am

Il profilo legale di Giudea e Samaria
Nadav Shragai, "The legal case for Judea and Samaria", su Israel Hayom del 13 dicembre 2013.
lunedì 16 dicembre 2013

http://ilborghesino.blogspot.it/2013/12 ... maria.html

Da anni, il mondo considera Giudea e Samaria un territorio palestinese occupato illegalmente da Israele. Ma ora un gruppo di giuristi israeliani e di tutto il mondo sta combattendo una battaglia legale per il riconoscimento della verità storica e giuridica.

Se la legittimità internazionale dell'impresa degli insediamenti fosse un cavallo, si potrebbe affermare è che rimasto troppo tempo fuori dalla stalla. Chi occupa le stanze del potere in tutto il mondo - dalla Casa Bianca di Barack Obama e John Kerry, alle Nazioni Unite - ha per anni liquidato Giudea e Samaria come territori palestinesi attualmente sotto occupazione.
L'atteggiamento ostile verso gli insediamenti è una conseguenza diretta e immediata di questa logica. Se dovessimo compiere una generalizzazione, dovremmo dire che il mondo ha adottato la retorica palestinese per definire lo status legale dei Territori. Anche chi negozia per conto dello stato israeliano, uomini e donne che ufficialmente sottoscrivono la tesi secondo cui Giudea e Samaria - la culla della civiltà e del popolo ebraico - non siano territori occupati; hanno da tempo cessato di affermarlo in pubblico, per non sopportare la seccatura di elencare la lunga lista di considerazione legali e storiche che supportano questa tesi.
Sebbene possa sembrare che questo treno ha lasciato da tempo la stazione, siamo sorpresi nell'apprendere d'un tratto che da alcuni mesi è stata promossa una campagna finalizzata a svelare la "verità storica e legale". È un'iniziativa promossa da centinaia di giuristi da Israele e da tutto il mondo, che nulla a che vedere con le argomentazioni "dei diritti dei nostri avi", o del "sionismo", che trovano scarsi sostenitori a livello internazionale e nell'Alta Corte di Giustizia.
L'estate scorsa, organizzazioni di destra e coloni hanno raggruppato un numero di autorevoli esperti di diritto - inclusi coloro che non sono proprio considerati simpatizzanti delle posizioni di destra. Questi individui hanno avviato una missione finalizzata a modificare la terminologia e le argomentazioni legale impiegate dalla sinistra; inclusi gruppi come Peace Now, che hanno fino ad ora condotto la discussione.


La battaglia contro la narrativa

I cosiddetti "nuovi giuristi" si stanno in effetti limitando a rimuovere la polvere da argomentazioni che circolarono e furono accettate negli anni successivi alla Guerra dei Sei Giorni. Questa linea di pensiero respinge categoricamente la definizione di "territori occupati". Lo stato di Israele ha conquistato Giudea e Samaria nel 1967 in conseguenza di una guerra di auto-difesa, ma dal punto di vista legale questi territori non sono occupati, dal momento che la potenza straniera che deteneva questi territori fra il 1948 e il 1967 (Giordania), lo faceva illegalmente.
Questi giuristi rilevano che, eccezion fatta per Gran Bretagna e Pakistan, la comunità internazionale si rifiutò di riconoscere l'annessione giordana del West Bank. Pertanto, la condizione legale di questi territori è "contesi". Dal punto di vista del diritto internazionale, c'è una enorme differenza fra territori "occupati" e territori "contesi".
Chi sostiene questa argomentazione - e diversi giuristi lo fanno - con quello che è riferito come "il diritto storico del popolo ebreo alla sovranità sulla Terra di Israele", aggiunge un ulteriore elemento legale a sostegno della loro tesi: «richiedendo il diritto a questa sovranità, che eclissa ogni contro-richiesta da parte palestinese».
Giuristi come la professoressa Talia Einhorn, o il professor Eliav Shochetman, fra i più attivi in questo gruppo di esperti di diritto, notano che questo diritto è stato riconosciuto dalla comunità internazionale ai tempi del mandato britannico in Medio Oriente. Questo documento legale garantisce e prevede diritti nazionali al popolo ebraico; diritti ribaditi nell'articolo 80 dello statuto delle Nazioni Unite.
«Pertanto, quando il segretario generale delle Nazioni Unite afferma che "gli insediamenti sono illegali e rappresentano un ostacolo alla pace", o quando il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas impone ad Israele di smantellare gli insediamenti costruiti sul territorio palestinese dal 1967 in poi, in quanto illegali; e quando il Segretario di Stato USA John Kerry si riferisce agli insediamenti come illegittimi; tutti essi basano le loro affermazioni su una visione legale errata dei fatti», conclude Hagai Winitzki del Sha'arei Mishpat College.


Una causa legale

Il rinascimento che questi "nuovi giuristi" stanno tentando di infondere nella discussione sulle rivendicazioni di Israele per la Giudea e la Samaria, hanno campeggiato per anni sul sito del ministero degli Affari Esteri. È anche stato articolato in una dottrina codificata da parte dell'ex presidente della Corte Suprema, Meir Shamgar. Questo caso si basava su una serie di risoluzioni internazionali e di fatti storici che sono stati praticamente rimossi dalla memoria pubblica, ma che negli anni più recenti sono stati praticamente resuscitati da diverse organizzazioni.
Due di questi gruppi, che hanno cominciato ad attivarsi di recente, stanno catturando la maggior parte delle attenzioni. In primo luogo, c'è il Regavim Institute's Center for Zionism, Justice, and Society. Da anni il Regavim fornisce assistenza nelle cause legali intentate da organizzazioni di sinistra nei confronti degli insediamenti in Giudea e Samaria. Impressionò particolarmente il sistema giudiziario avanzando una propria petizione contro gli insediamenti palestinesi, nel tentativo di difendere quelli ebraici in quell'area.
L'altra organizzazione è il Legal Forum for the Land of Israel, fondato originariamente come gruppo dedicato ad adire alle vie legali per impedire il piano di disimpegno.
La seduta inaugurale tenta dal Center for Zionism ha avuto luogo alcune settimane fa a Gerusalemme. Nell'occasione è stato promosso un sensazionale nuovo libro che approfondisce il diritto di proprietà e il diritto internazionale in Giudea e Samaria. Il libro, di 560 pagine, include diversi articoli da parte di rinomati studiosi del diritto come il professor Haim Sandberg e il professor Einhorn. Uno degli articoli che vi campeggiano è stato scritto dal colonnello riservista Daniel Reisner, esperto di diritto internazionale e già capo del dipartimento di diritto internazionale presso il Military Advocate General's Corps. Oggi, Reisner è partner dello studio legale Herzog Fox Neeman.
La posizione di Reisner è interessante non solo per la sua esperienza, ma anche perché si tratta di un giurista non allineato con la destra politica, e che riconosce che anche i palestinesi vantano proprie rivendicazioni su Giudea e Samaria. Nel suo articolo, Reisner esprime comprensione per la posizione ufficiale di Israele, poiché «dal momento che i territori di Giudea e Samaria non hanno mai fatto legittimamente parte di alcuno stato arabo, anche considerando il regno di Giordania, è impossibile stabilire che Israele sia un occupante nel senso tecnico-giuridico del termine. Senza considerare che gli ebrei hanno un legame storico, legale e fisico alle terre di Giudea e Samaria».
Reisner è un giurista navigato, che ha preso parte a tutti i principali negoziati dagli Accordi di Oslo in avanti. Oggi lavora come consulente per organizzazioni impegnate nella pace. Crede che la posizione adottata da molti esperti di diritto internazionale, avversa alle posizioni di Israele, non poggi sulla debolezza delle argomentazioni legali dello stato ebraico; quanto sia il risultato del fatto che molti stati al mondo hanno adottato la retorica palestinese secondo cui le terre di Giudea e Samaria sarebbero appartenute al popolo palestinese: «Benché sembri che la battaglia sia persa; ciò non vuol dire che sia il caso di abbandonare le reali argomentazioni giuridiche», ha affermato. «Israele non ha strappato il controllo di queste terre ad altri stati perché il controllo della Giordania del West Bank era illegale», aggiunge. «Se il controllo israeliano della Tomba di Rachele a Betlemme assunto nel 1967 era illegale perché è illegittimo appropriarsi con la forza di un territorio; ne consegue che anche l'occupazione giordana iniziata nel 1948 soffre dello stesso difetto. Al contrario, se si ritiene che l'occupazione giordana del 1948 sia legittima perché questo territorio non era in precedenza sotto la sovranità di alcun altro stato; di conseguenza ciò non fa che rafforzare le argomentazioni israeliane», conclude.

Da Gerusalemme ad Al-Khader

Reisner suggerisce di non considerare Giudea e Samaria come entità a se' stanti: «non c'é un diritto uniforme che si applica in egual modo a Ramallah - dove non c'è mai stata una presenza ebraica - ad Hebron - dove una presenza secolare è stata stroncata da un orrendo massacro. Non c'è un diritto uniforme che si applica egualmente ad Al-Khader, che era e rimane un villaggio arabo, come agli insediamenti di Gush Etzion, i quali al pari della Tomba di Rachele sono stati esclusivamente ebraici da prima della Guerra di Indipendenza (del 1948, NdT). E naturalmente non c'è un diritto uniforme che si applica egualmente alla Città Vecchia di Gerusalemme, il luogo storico che ha ospitato i due templi ebraici, e ai dintorni di Abu Dis».
In aggiunta, Reisner argomenta un sostegno giuridico per la distinzione fra territori e specifici siti in Giudea e Samaria. Questo ragionamento trova ospitalità nella Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che parla di «ritiro delle forze armate israeliane da territori conquistati» nell'ambito della Guerra dei Sei Giorni. Non parla di ritiro "dai" territori: «ciò conferma come non vi sia enfasi nel ritirarsi da tutti i territori acquisiti durante la guerra», argomenta Reisner. «In ogni caso, nonostante ciò che afferma l'opinione pubblica, non è possibile etichettarci come occupanti di queste terre senza alcun diritto, e chi ignora la storia sta semplicemente deformando la verità».
Questo argomento, per quanto fondato possa essere, risulta adesso rilevante; ora che il mondo e persino lo stato di Israele adottano un diverso linguaggio? non è troppo tardi? Ecco Reisner: «il conflitto assume una dimensione politica, e una legale. Ciononostante, la soluzione al conflitto non sarà applicata ad ambo le dimensioni, ma a mio avviso occorrerà un approccio completamente differente: un equo compromesso che nel tempo creerà una realtà stabile. Le probabilità che un contendente riesca a convincere l'altro ad accettare posizioni legale e politica confliggenti sono nulle».
Ciò malgrado, Reisner è convinto che «Israele deve sostenere le sue tesi coerentemente dal punto di vista legale, storico e politico; semplicemente perché la sua tesi è sostenuta dai fatti. Sarà la soluzione basata sulla verità? è la verità rilevante ai fini del negoziato? non ne sono completamente sicuro».
Se ci sono argomentazioni legali da avanzare, perché lo stato di Israele non le adotta nelle discussioni nell'ambito dei negoziati di pace? «Perché nelle stanze che ospitano i negoziati sono pressoché irrilevanti. Il diritto internazionale ha sempre giocato un ruolo marginale negli accordi fra israeliani e palestinesi. Ma alla fine si tratta dell'aspetto con cui le due parti devono conciliarsi. Le argomentazioni legali forniscono un valido appiglio, e fino ad ora sono state un argomento marginale. Tuttavia, queste rivendicazioni non si sono neutralizzate o indebolite, perché spetta agli interessati avanzarle con vigore. Se si dispone della verità, e si crede nella verità, bisogna urlarla!»


Basta giustificazioni

Alan Baker, procuratore e membro del Comitato Levy istituito nel 2012 per esaminare lo stato legale degli outpost (non autorizzati dal governo di Gerusalemme, NdT) e degli insediamenti, e che è giunto alla conclusione che Giudea e Samaria non sono territori occupati; echeggia buona parte delle argomentazioni di Riesner. Baker, ex consulente legale del ministero degli Esteri e già ambasciatore in Canada, presiede un nuovo gruppo di esperti di diritto internazionale che ha già preso contatti con Kerry e con il responsabile della politica estera europea Catherine Ashton, denunciando le loro posizioni «errate e fuorvianti».
Due settimane fa Baker era a Parigi, dove ha incontrato diecine di altri giuristi esperti provenienti da tutta Europa, e che condividono questa posizione. Il gruppo includeva Yaakov Neeman, ex ministro della Giustizia di Gerusalemme; la baronessa Ruth Deech, membro della Camera dei Lords britannica e docente di diritto ad Oxford; e Meir Rosenne, ex ambasciatore israeliana in Francia e Stati Uniti. «Il governo israeliano per anni si è astenuto dall'intraprendere una campagna informativa basata sul sostenere i propri diritti», afferma Baker; «al contrario, ha intrapreso una campagna di comunicazione basata sulle scuse proposte. La cosa corretta da fare era agire senza remore proponendo i propri diritti: i diritti del popolo ebraico da sempre residente nella Terra di Israele. Gli ebrei sono la popolazione qui di più antico insediamento, ma non sempre lo stato di Israele lo menziona. Non sempre ricorda il fatto che queste terre sono calpestate dal popolo ebraico da tempi immemorabili. E di rado menziona documenti internazionali come la Dichiarazione Balfour, la Dichiarazione di Sanremo, lo statuto istitutivo dell'ONU, e il mandato britannico approvato dalla Lega delle Nazioni; tutti elementi fondamentali nel confermare il diritto degli ebrei (in Giudea e Samaria, NdT).
Aspetto più importante, si è astenuto dall'enfatizzare che quello di cui stiamo discutendo non è occupazione».


Stiamo parlando di storia. Ma chi se ne occupa più, al giorno d'oggi?

Baker: «Se iniziamo a farlo noi, gli altri ci seguiranno. È un processo che richiede del tempo».

Anche la Procura di Stato è completamente slegata da questo approccio quando difende la posizione dello stato davanti all'Alta Corte di Giustizia...

Baker: «Esiste un problema con la Procura di Stato. C'è un gruppo di persone che ha una visione a senso unico quando si parla della condizione giuridica dei territori contesi e dei coloni».

Ma si suppone che essa sia la voce dello stato...

Baker: «Non esattamente. Il portavoce dello stato è il Ministero degli Esteri e l'Ufficio del Primo Ministro. Queste persone implementano la legge: è il loro lavoro. Non sono incaricati di fare propaganda o politica. Siamo d'accordo con i palestinesi che il destino dei territori deve essere il punto di arrivo di negoziati, per cui da questo punto di vista, dobbiamo raggiungere un compromesso. Ma da qui ad allora, e per il bene della nostra gente, c'è una cosa che si chiama "diritti" e che dobbiamo sostenere nelle discussioni».
«È inconcepibile che il mondo intero ripeta il mantra a proposito di Giudea e Samaria come territori occupati, quando dal punto di vista fattuale non c'è alcun sostegno legale a supporto di ciò. Quando Kerry argomenta, ancor prima che i negoziati si concludano, che non abbiamo alcun diritto nei Territori di cui stiamo discutendo, e che gli insediamenti sono illegittimi, di fatto sta adottando la posizione palestinese e deragliando i negoziati. Anche se sei un Segretario di Stato, non devi arrecare pregiudizio ai negoziati affermando che gli insediamenti sono illegittimi».

Bezalel Smotritz, un esponente di spicco del Regavim, afferma che sebbene il motto della sua organizzazione sia "la migliore difesa è l'attacco", quando argomenta le sue ragioni davanti all'Alta Corte di Giustizia; ammette che assieme ai suoi colleghi è stato molto impegnato nello "spegnere incendi": «la questione degli insediamenti in Giudea e Samaria esiste oggi entro i limiti di una situazione giuridica insostenibile, risultata il sottoprodotto della delegittimazione giudiziale condotta per anni dalla sinistra nei confronti delle comunità ebraiche di Giudea e Samaria. Senza considerare che la legge applicata oggi negli insediamenti risulta datata e non ai passi dei tempi moderni. Stiamo parlando di residui dell'impero ottomano, del mandato britannico in Medio Oriente, della legge giordana, e dei decreti dell'esercito israeliano».





Gli insediamenti nel West Bank sono legali
fonte: Elad Benari, Arutz Sheva
martedì 10 aprile 2012

http://ilborghesino.blogspot.it/2012/04 ... -west.html

Meir Rosenne, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e in Francia, ha affermato mercoledì che le comunità ebraiche in Giudea e Samaria sono legittime, secondo il diritto internazionale.
Rosenne ha commentato con Arutz Sheva la decisione della Corte Penale Internazionale con sede all'Aja, che ha respinto una istanza dell'Autorità Palestinese nei confronti di Israele, per presunti crimini di guerra durante l'operazione Piombo Fuso a Gaza nel 2009.
Il procuratore ha evidenziato che soltanto gli stati sovrani possono fare un esporto alla CPI, mentre l'AP è soltanto un osservatore in seno alle Nazioni Unite, e non un membro effettivo.
Rosenne ha notato come "l'AP non è uno stato. C'è l'Autorità Palestinese, e poi c'è Hamas che controlla Gaza, ma essi non sono definibili uno stato. Tutti i documenti ufficiali dell'ONU connessi alla Risoluzione 242 non citano mai l'aggettivo "Palestinese". E ha aggiunto che secondo il diritto internazionale le comunità ebraiche residenti in Giudea e Samaria hanno una piena legittimità giuridica: «i giuristi americani affermano che Israele è titolare di più diritti su questo territorio. Qualunque esperto di diritto che esamina questi documenti rileverà che non si fa alcuna menzione di concetti come il "West Bank" o i "territori occupati", ma casomai di Giudea e Samaria. E' questa la terminologia che compare nei documenti ufficiali dell'ONU».
Secondo la Convenzione di Ginevra tutte le comunità ebraiche sono legittime: «l'articolo 49 afferma che una potenza occupante non può forzare la propria popolazione ad occupare i territori contesi. E' quanto occorse durante la II Guerra Mondiale, quando la Germania costrinse con la forza i tedeschi a risiedere nella Polonia occupata. Ma nel nostro caso, Israele non ha mai occupato la Giudea e la Samaria: questa è un'area mai appartenuta ad alcun altro stato. L'occupazione giordana (fra il 1948 e il 1967, NdT) non è mai stata riconosciuta, al pari dell'occupazione egiziana della Striscia di Gaza. Il destino di queste aree dovrebbe risultare da negoziati fra le parti. I coloni non sono mai stati costretti ad entrare in questi territori, per cui agiscono nella piena legittimità».
Sempre secondo il diritto internazionale, i terroristi detenuti in Israele non devono essere considerati prigionieri di guerra: «la Convenzione di Ginevra afferma che un prigioniero di guerra è tale quando impiega manifestamente armi, indossa una uniforme e rispetta il diritto di guerra. I terroristi non mostrano apertamente le armi, non vestono uniformi e non rispettano certo il diritto di guerra quando ammazzano i bambini (o li usano come scudi umani, NdT)». Ciononostante, Israele comunque consente loro di vedere i propri avvocati, pur se terroristi.
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