Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Israele una buona democrazia e una grande civiltà

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2020 3:47 pm

Scandalo «sottomarino» travolge Netanyahu
il manifesto
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
15.12.2017

https://ilmanifesto.it/scandalo-sottoma ... netanyahu/


Un siluro sottomarino esplode fra Berlino e Tel Aviv. Ma la scia di scintille arriva fino ai vertici di Fincantieri e Finmeccanica. La vicenda, innescata dall’interrogazione al Bundestag dei capigruppo Linke Sahra Wagenknecht e Dietmar Bartsch, deborda nell’imbarazzo di Angela Merkel e soprattutto nel “Case 3000” che sta travolgendo il premier israeliano Benjamin Netanyahu.

TUTTO RUOTA intorno a tre nuovi U-boot della classe Dolphin: la versione nucleare dell’U-212 costruito da Fincantieri e ThyssenKrupp Marine Systems. Costano 600 milioni di euro l’uno e cinque sono già stati consegnati a Israele. Ma in estate la Germania ha congelato l’esecuzione finale del contratto per sospetta corruzione, proprio dopo aver chiuso con il governo Gentiloni la partnership per la fornitura di 4 sottomarini alla marina italiana.

A SETTEMBRE, il presidente israeliano Reuven Rivlin in visita ufficiale a Berlino sollecita lo «sblocco» dei tre sommergibili ma rientra solo con l’opzione di acquisto per quattro corvette. E il 23 ottobre il governo tedesco aggiunge una clausola al vecchio contratto: il paragrafo 10 del memorandum d’intesa firmato con il governo Nethanyau. Sancisce che gli U-boot venduti a Israele hanno bisogno di un preciso «rimorchiatore» per uscire dai cantieri di Kiel: ovvero che si chiuda l’inchiesta sulle presunte tangenti fra l’uomo di ThyssenKrupp e quello di Netanyahu. È il documento ufficiale che innesca l’iniziativa parlamentare della Linke, e fa deflagrare tutto.

TANTO PIÙ che la costruzione dei sottomarini destinati a Israele è finanziata con il gettito fiscale, e il Consiglio di sicurezza tedesco ha approvato l’export dei Dolphin per «l’invariata responsabilità storica verso Israele», mentre il governo Merkel conferma il maxi-finanziamento diretto al prodotto di ThyssenKrupp.

Peccato che l’ex ministro della difesa israeliano Moshe Ja’alon abbia “confessato” a Die Zeit non solo che «dal punto di vista militare i nuovi sottomarini non sono necessari» ma addirittura un sospetto inquietante: «Temo di aver assistito a un caso di corruzione».

Si riferisce agli arresti eccellenti di David Shimron, avvocato personale del premier israeliano, e Miki Ganor, rappresentante di ThyssenKrupp Marine a Tel Aviv. Così il periscopio della Linke inquadra i tre nuovi sottomarini da esportazione, dopo che il 21 luglio scorso di fronte all’Alta Corte di Rishon Le Zion proprio Ganor ha dichiarato al giudice Einat Ron di avere «sviluppi nell’inchiesta che coinvolge il primo ministro e ufficiali delle forze armate».

IL MANAGER di ThissenKrupp era già sospettato di aver promesso 9 milioni di euro all’avvocato di Netanyahu, dopo che l’ex ministro Ja’alon aveva votato contro l’acquisto dei tre nuovi U-boot tedeschi. E così in estate Ganor, spalle al muro, firma l’accordo di testimonianza che gli permette di patteggiare le accuse di frode, riciclaggio e cospirazione criminale. Le stesse che condivide con Avriel Bar-Yosef, ex vice capo del consiglio di sicurezza nazionale. In cambio di una condanna mite Ganor snocciola i complici a partire proprio dal suo intermediario David Shimron, legale di Nethanyau (e suo parente) e bersaglio dell’inchiesta giudiziaria “Case 3000”. Sarebbe lui ad aver spinto illecitamente Israele all’acquisto dei sottomarini e altre navi per 1,5 miliardi di dollari.

Una storia di mazzette in emersione rapida. La cronaca più che tangente al “sonar” acceso nel Bundestag di Berlino. «Le indagini sulla corruzione in Israele sono state oggetto dei negoziati sulla consegna degli U-boot» deve ammettere via portavoce il governo Merkel.

E SI PROFILA un’appendice in Italia. Fincantieri, infatti, collabora con ThyssenKrupp alla realizzazione dei sommergibili U-212, anche se i tedeschi vendono a Israele la versione derivata dall’U-209 con 4 tubi lancia-siluri in più capaci di armare missili Harpoon e Popeye con testate nucleari.

Con Berlino è sintonizzato anche il business di Leonardo, ex Finmeccanica: attraverso l’accordo con Fincantieri del 2014, e per mezzo dell’intesa firmata a marzo a Coblenza che ha consolidato la partnership italo-tedesca nella costruzione di ulteriori battelli della classe Todaro. Tutte commesse militari a beneficio dell’arsenale Fincantieri de La Spezia, che potrebbero presto finire sotto i riflettori anche a Montecitorio.





ISRAELE. Polizia: “Netanyahu va incriminato per corruzione”
Il premier nega le accuse e tira dritto: “La coalizione governativa è stabile, continueremo a lavorare per il bene dei cittadini israeliani”. I laburisti parlano di “epoca Netanyahu finita”, ma è dell’alleato Bennet l’attacco più duro: “Il leader dello stato ebraico non dovrebbe ricevere doni da miliardari”
di Roberto Prinzi
14 feb 2018

https://nena-news.it/israele-polizia-ne ... orruzione/


Nena News – “Voglio rassicurarvi che la coalizione governativa è stabile. Nessuno, né io né nessun altro, ha piani per [indire] una nuova elezione. Continueremo a lavorare con voi per il bene dei cittadini d’Israele fino alla fine della legislatura”. A dirlo è stato oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu nel corso di una conferenza a Tel Aviv. Bibi ostenta sicurezza eppure la richiesta della polizia di incriminarlo per due dei tre casi giudiziari su cui indagava da mesi è un duro colpo per lui, probabilmente la sfida più difficile della sua lunga carriera politica che deve affrontare. Spetta ora al procuratore generale d’Israele Avichai Mandelblit decidere se il premier dovrà essere processato o meno. Un processo che, se dovesse iniziare, potrebbe durare settimane se non mesi.

Il primo ministro, capo del governo complessivamente per quasi 12 anni, si è rivolto ieri alla nazione in un discorso televisivo difendendosi dalle accuse della polizia. “Siccome io conosco la verità – ha detto – tutto si concluderà con un nulla di fatto”. Netanyahu non nega i fatti per cui è accusato, ma l’interpretazione che ne da la polizia. E così, come fa sempre quando si sente attaccato, ha chiamato a raccolta la sua gente cercando di apparire contemporaneamente vittima di attacchi politici ingiusti, ma anche leader forte e probo, unico timoniere capace di guidare sulla retta via lo stato ebraico assediato dai “nemici” . “Continuerò a governare Israele con responsabilità e fedeltà” ha promesso prima di ribadire la sua innocenza.

I tre casi di corruzione per cui Netanyahu è sotto indagine sono stati chiamati dalla stampa israeliana “caso 1.000”, “caso 2.000” e “caso 3.000”. Secondo le indagini della polizia, nel primo il leader del Likud avrebbe ricevuto regali costosi stimati in decine di migliaia di dollari da ricchi sostenitori come il produttore di Hollywood Arnon Milchan e il miliardario James Packer. ll premier si è sempre giustificato parlando di “regali fra amici”. Una posizione, però, che sembrerebbe essere smentita dai fatti: secondo una testimonianza rilasciata alcuni giorni fa, sua moglie Sarah era solita chiedere alla segretaria di Milchan di ricevere gli “omaggi” in scatole sigillate da cui non fosse possibile individuare il contenuto. Un’attenzione alla segretezza, hanno osservato alcuni commentatori israeliani, eccessiva trattandosi, dopo tutto, di “regali tra amici”.

Ma i doni ricevuti come ricompensa per i piaceri (eventuali) fatti dal premier, rappresenterebbero reati meno gravi rispetto a quelli per cui è sospettato nelle altre due indagini. Nel caso 2.000, infatti, Netanyahu è accusato dalla polizia di aver provato ad accordarsi segretamente con il direttore del quotidiano Yediot Aharonot per ridurre la circolazione del tabloid gratuito Israel HaYom (vicino al premier) in cambio di una copertura mediatica più positiva da parte di Yedioth. Ancora più serio è il terzo caso relativo alla vendita di sottomarini tedeschi Dolphins a Israele. Qui, infatti, oltre alle tangenti, sarebbe stata messa in pericolo la stessa sicurezza nazionale. Per il momento, va precisato, il coinvolgimento del premier nell’acquisto dei sommergibili non è stato dimostrato. Quel che certo, però, è che a settembre la polizia ha arrestato l’ex capo del suo staff, l’avvocato David Sharan, e che altre teste potrebbero saltare perché l’inchiesta procede, sebbene tra mille difficoltà.

Netanyahu ostenta sicurezza. Eppure sa perfettamente che le sue vicende personali danno spazio politico ai suoi rivali. Se le critiche dell’opposizione laburista con il suo debole leader Avi Gabbay (“l’epoca Netanyahu è finita) sono scontate e prevedibili, è l’attacco di alcuni voci interne alla sua coalizione a destare più attenzione. Sia chiaro: il premier può vantare di molti fedelissimi all’interno del governo. Uno di questi, ad esempio, è il ministro del turismo Yariv Levin che, commentando la notizia di ieri, ha subito parlato di “golpe contro gli elettori”. Ma i suoi difensori non rappresentano tutto l’esecutivo. O, almeno, tra di loro non vi è il ministro dell’istruzione Naftali Bennet (Casa Ebraica) che ha approfittato dei guai giudiziari del premier per lanciare una dura bordata contro di lui: “Ricevere doni in queste proporzioni e per così tanto tempo non soddisfa le aspettative dei cittadini d’Israele – ha ammonito – Il leader dello stato ebraico non dovrebbe proprio accettare doni dai miliardari. Non è così che si educa una giovane generazione, non è così che siamo stati educati”. Dopo il bastone, però, è arrivata la carota: “La legge d’Israele è chiara: il primo ministro può continuare il suo lavoro anche dopo le raccomandazioni della polizia. Continueremo a lavorare per i cittadini israeliani”.

Insomma, Bibi per ora è salvo. Ma cosa accadrà in futuro? Quali conseguenze avranno le indagini del procuratore Mandelbit all’interno del governo? Sono domande che molti israeliani si stanno ponendo in queste ore. Una idea chiara ce l’ha Noam Sheizaf, analista politico del sito ebraico Siha Mekomit: “La strategia di Netanyahu si basa sulla sua popolarità a destra. Finché mantiene un alto livello di approvazione all’interno della sua base, nessun rivale a destra lo attaccherà perché temerà una vendetta da parte dei suoi sostenitori”. Ciò si tradurrà concretamente, secondo Sheizaf, in uno spostamento “ancora più a destra [del premier]”. I palestinesi sono avvisati. Nena News

Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir

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Israele, Netanyahu: non coinvolto in vendita sottomarini a Egitto
24 marzo 2019

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/i ... 902a.shtml

Non c'è alcun coinvolgimento finanziario nella vendita di sottomarini tedeschi all'Egitto. Lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu spiegando che le sue ragioni per non essersi opposto a quella vendita sono "segreti di Stato". In un'intervista a sorpresa a Canale 12, la prima da tre anni, Netanyahu ha anche affrontato le recenti accuse di essere stato azionista della società di acciaierie "SeaDrift".




Quei sottomarini che preservano la pace
I nemici d’Israele sanno che, se attaccassero, la risposta giungerebbe inesorabile dal mare.
Di Guy Bechor
8 Maggio 2012

https://www.israele.net/quei-sottomarin ... no-la-pace

Quietamente, sotto la superficie, Israele si sta trasformando in una potenza marittima come Russia e Stati Uniti, con una flotta di sottomarini d’avanguardia.
Di recente la Germania ha concordato di fornire a Israele un sesto sottomarino della classe Dolphin. Lo stato ebraico ne ha già tre operativi. Altri due sono in arrivo tra quest’anno e l’anno prossimo. Poi arriverà il sesto. La Germania ha anche accettato di sovvenzionare in parte il sesto sottomarino, come ha già fatto per i precedenti. In un periodo in cui i tedeschi stanno riducendo le loro stesse spese militari a causa della nota congiuntura economica, non si tratta di un aspetto secondario. In futuro Berlino potrebbe vendere altri sottomarini di questo tipo a Israele, che in effetti è interessato a dotarsi di una flotta di una decina di sottomarini che gli garantiscano grande forza nei decenni a venire.
Il costo di ciascuno di questi sottomarini si aggira sui 500 milioni di dollari, cifra che può salire fino a 850 milioni a seconda delle dotazioni. Israele in effetti ha presentato una serie di richieste speciali per le sue unità, e vi ha installato sofisticati sistemi segreti. Il sesto sommergibile sarà il più avanzato, in grado di stare sott’acqua più a lungo.
La marina israeliana sta conoscendo un notevole mutamento concettuale: dalla funzione di guardia costiera (che rimane un compito estremamente importante), si sta trasformando nel braccio strategico di Israele e delle sue Forze di Difesa almeno quanto lo è l’aviazione. I sottomarini israeliani possono raggiungere praticamente qualunque area del mondo, e certamente tutto il Medio Oriente, e per ora i nemici di Israele non dispongono di una credibile contromisura. Nessuno stato della regione può permettersi questi sistemi d’arma. Qualche anno fa era circolata la notizia che anche l’Egitto era interessato all’acquisto di sottomarini tedeschi della classe Dolphin. I sottomarini egiziani sono obsoleti e il Cairo era inquieto a causa della supremazia d’Israele nelle profondità marine, per la quale gli egiziani non dispongono di una risposta adeguata. Poi però le trattative si sono arenate ed oggi il regime al potere al Cairo non ha i mezzi per condurle a termine.
Nel frattempo, anche gli iraniani tengono d’occhio con preoccupazione le notizie che giungono dalla Germania circa la fornitura di altri tre sottomarini a Israele, consapevoli che nemmeno Tehran dispone di contromisure. Proprio nell’intento di far vedere che possiedono un’alternativa, gli iraniani hanno fatto transitare per il Mar Rosso i loro datati sottomarini come una forma di provocazione rispetto alla presenza israeliana a lungo raggio. È lo stesso motivo per cui un vascello iraniano ha recentemente attraversato il Canale di Suez in rotta per il Mediterraneo: per dimostrare che l’Iran dopotutto è una superpotenza marittima.
Sun Tzu, l’autore de “L’arte della guerra”, insegnava già 2.500 anni fa come si crea l’effetto deterrenza: se il nemico valuta che, attaccandoci, subirà inevitabilmente un gravissimo danno, si tratterrà dall’attaccarci. Ed è proprio questo il senso dei sottomarini israeliani: in teoria l’Iran potrebbe colpire Israele con i missili, ma sa – stando ai resoconti dall’estero – che potrebbe pagare un prezzo micidiale. Quand’anche le capacità difensive e offensive di Israele venissero distrutte dall’attacco iraniano, il colpo di risposta contro l’Iran arriverebbe dal mare: ed è praticamente certo che arriverebbe. Se l’Iran si rende conto che gli costerebbe un prezzo terrificante, allora non attaccherà. E in effetti, stando ad autorevoli mass-media internazionali, almeno un sottomarino israeliano sarebbe costantemente in navigazione non lontano dalle coste iraniane. Questa è deterrenza. E una volta che Israele disporrà di sei sottomarini, o forse più, questo elemento incrementerà sensibilmente il controllo d’Israele su un’area molto estesa.
I sottomarini sono certamente una potente arma da guerra, ma i sottomarini israeliani sono di fatto una delle più sicure garanzie per preservare quiete e stabilità in Medio Oriente. I sottomarini garantiscono che il rischio di guerra vada calando, anziché aumentare. Dunque sono uno dei migliori investimenti per la pace mediorientale.

(Da: YnetNwes, 4.5.12)
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2020 3:48 pm

La situazione politica in Israele si ingarbuglia di nuovo
Ugo Volli
08-03-2020

https://www.shalom.it/blog/editoriali-b ... oecEPtdBnc

Per capire quel che succede bastano pochi numeri. I membri del parlamento sono 120 (maggioranza 61). Il blocco di centrodestra ha 58 eletti, quello di centrosinistra 40. La lista antisionista e sostenitrice della “resistenza”, cioè del terrorismo (votata in maggioranza dagli arabi, ma anche da ebrei che sono contrari al progetto dello stato nazionale ebraico) ne ha 15. Lieberman che è uscito dallo schieramento di destra per odio contro Netanyahu, 7. Gli ultimi tre numeri non si possono sommare per formare un governo, dato che Lieberman e gli “arabi” si sono dichiarati reciprocamente incompatibili. Ma sono uniti, anche al resto del centrosinistra, dall’odio per Netanyahu. E in effetti la sola proposta comune che hanno in questo momento è una legge per squalificare i deputati rinviati a giudizio dalla candidatura a primo ministro. Al momento ce n’è uno solo, Netanyahu; Gantz è indiziato di gestione fraudolenta della sua azienda, ma non è stato (ancora) rinviato a giudizio. Questa legge è uno schiaffo in faccia alla maggioranza di chi aderisce al progetto sionista (escludendo i 15 “arabi”: 58 contro 47) che ha votato per Netanyahu e praticamente il suicidio per Gantz. Infatti o il Likud deciderà per un altro candidato, cui Lieberman non potrà dire di no, e i bianco azzurri andranno all’opposizione, probabilmente destinati a sfasciarsi. Oppure si andrà alle quarte elezioni e la destra avrà buon gioco nel far pagare ai Bianco Azzurri la slealtà di un provvedimento di interdizione mai proposto in campagna elettorale e contrario alle scelte dell’elettorato. Mentre Israele ha da affrontare una situazione internazionale difficile e anche i problemi dell’epidemia, l’odio personale danneggia il paese e anche chi se ne lascia ottusamente guidare.




Israele, tra ingovernabilità e guai giudiziari di Netanyahu

Analisi a breve termine di una situazione di stallo e carica di incognite

di Claudio Vercelli

Benjamin Netanyahu ha vinto ma lo stallo permane. Un po' come dirsi che si è di nuovo ai blocchi di partenza. La qual cosa non promette bene in alcun modo poiché, a questo punto, la tentazione di forzare la situazione potrebbe prendere la mano ad una parte dei protagonisti. Sta di fatto che continuando a ripetere con costante maniacalità sempre lo stesso schema - ovvero, ricerca di una maggioranza politica, conseguente stallo parlamentare, decorrenza dei termini per la formazione dell'esecutivo, rinvio alle urne, votazioni e poi di nuovo tutto daccapo - il rischio che il gioco elettorale venga percepito in maniera crescente come una farsa, ossia come una simulazione fine a se stessa, diventi concreto. Fermo restando che i problemi non si riducono solo a quest'ultimo aspetto, trattandosi semmai del caso per cui Israele non ha un esecutivo nel pieno dei suoi poteri da, oramai, più di un anno. Non è il primo caso al mondo (si pensi al Belgio, per fare un esempio) e non è neanche detto che tutto il male venga per nuocere. Ma non si può pensare di andare avanti ancora per molto in questi termini, poiché è l'intero sistema istituzionale ad essere sottoposto a frizioni persistenti e cumulative. Rischiando quindi un progressivo sgretolamento.
La preoccupazione del presidente Reuven Rivlin è esattamente questa, insieme al timore che la separazione tra poteri venga progressivamente messa in discussione. Netanyahu vince sul piano del gradimento (e del gradiente) elettorale così come sul versante dell'esposizione pubblica, raccogliendo un ottimo seguito personale. Non la stessa cosa, in tutta probabilità, si potrebbe altrimenti dire del suo partito, il Likud, che senza di lui rischia di rivelarsi una compagnia di attori priva di partitura e, soprattutto, di regista. Netanyahu vince soprattutto sulla capacità di dettare l'agenda collettiva, che è oramai ricondotta ad un perenne plebiscito su di sé. Vince con la sua presenza ingombrante, con il suo leaderismo personalistico, con il suo stile che sembra volere suggerire ad una parte degli israeliani, l'idea per cui: "se mi date il consenso, salteremo a piè pari tutti i colli di bottiglia che una democrazia ci impone sempre più spesso, rendendoci oltremodo inutilmente faticosa l'esistenza".
Peraltro, già da alcuni anni King Bibi si andava presentando come colui che avrebbe avuto la forza e la determinazione per affrontare di petto i nodi della cristallizzazione delle democrazie liberali e sociali. In ciò, trova ancoraggi con quelle leadership carismatiche che hanno fatto dell'identitarismo, prima ancora che del populismo e del sovranismo, la propria radice. Qualcosa del tipo: "sono il prototipo decisionale di un nuovo modello di governo nella complessità sociale, valorizzando la radice identitaria di cui ognuno di voi è titolare, cari elettori".
Un tempo questa genere di proposta sarebbe stata rubricata sotto l'indice del «nazionalismo». Oggi, in età di globalizzazione spinta, laddove i confini e le sovranità nazionali sono sottoposte a dura prova, il vero recinto nel quale riconoscersi è quello della reciprocità identitaria. Che in Israele è una vera scommessa, essendo la popolazione quanto di più pluralistico e differenziato si presenti sul versante delle origini e, quindi, anche dell'attuale assemblaggio. Ma forse proprio per questo, chi riesce ad affermarsi come campione di una tale ricomposizione, riesce anche ad essere convincente. Se non altro perché sposta l'asse della discussione dal groviglio dell'incertezza generata dalle trasformazioni sociali ed economiche in atto alla ricerca di una identificazione forte, che viene presentata come «identità» e «tradizione», quando è invece soprattutto il bisogno di avere una guida nella quale identificarsi. A Netanyahu, ovvero per tutti coloro che si riconoscono in lui, ciò riesce bene. Finché qualcuno non si incaricherà di buttarlo giù dal cavallo. Quel qualcuno non c'è, non almeno ora.
Andiamo però ai dati, quelli che sembrano essere certi, per poi riprendere il discorso su un orizzonte meno asfittico di quello consegnatoci dalla mera cronaca quotidiana. A conteggi ultimati, attraverso il riscontro della Commissione elettorale nazionale, il Likud con il 29,5% dei voti ha 36 seggi (un incremento di 4); Kahol Lavan, con il 26,6, rimane inchiodato a 33; la Lista unita araba, al 12,6%, 15 (due in più); Shas, al 7,7%, se ne garantisce 9; Yisrael Beiteinu, con il 5,1%, se ne assicura 7 (uno in meno); Campo democratico-Gesher-Meretz di Amir Peretz, con il 5,8%, ne ha 7 (tre in meno) Yahadut HaTorah, con il 6%, si ferma a 7; Yamina di Naftali Bennett, con il 5,2%, 6 (uno in meno). Tutto ciò, in un paese dove le coalizioni sono tutto, significa che il blocco di destra è a 58 seggi (Likud, Shas, Yahadut HaTorah, Yamina), il blocco definito di sinistra a 55 (Kahol Lavan, le tre liste di Peretz, e il gruppo dei partiti arabi). Ad aprile del 2019, la destra contava su 60 seggi, a settembre su 55. Se consideriamo invece il "blocco anti-Bibi" nel suo complesso, allora si sale a 62 seggi. Ma sono conti fatti in assenza dell'oste.
La questione, a questo punto, è la prospettiva di uno scontro, non più solo parlamentare, così come in prospettiva ancora una volta elettorale, ma anche e soprattutto istituzionale, con due iniziative contrapposte ma al medesimo tempo convergenti verso l'impatto frontale: il fronte contro Netanyahu si muoverebbe per fare sì che venga approvata una legge che impedisca a chiunque sia incriminato di assumere la carica di premier. Una norma ad hoc, va da sé, per estromettere per via giudiziaria un uomo che già il 17 marzo andrà a giudizio con le accuse di corruzione e frode. Netanyahu medesimo, a sua volta, cercherà invece di imbarcare qualche deputato dell'opposizione, promettendo e garantendo chissà cosa, dopo una campagna elettorale, da poco conclusasi, decisamente «crudele» (copyright Reuven Rivlin), nella quale pressoché nessun attacco è stato risparmiato dagli uni contro gli altri, in una sorta di zuffa continua.
Re Bibi ha costruito il suo indiscutibile successo personale, comunque andranno a finire le cose in futuro, sia sull'occupazione di tutto il campo politico della destra da parte propria - una strategia compatta, che porta avanti dal 1996 - sia attraverso la sistematica demolizione dei suoi avversari. In quest'ultimo caso, di Benny Gantz. In Israele la lotta politica è sempre stata durissima, al limite della ferocia. In un paese che macina ancora moltissima politica, dove le divisioni (e le ricomposizioni) da sempre accompagnano, come persistenti faglie di rottura, le incerte identità collettive, alla rivendicazione di essere i titolari ed i campioni del trinomio «sicurezza-nazione-tradizione» (una correlazione che è stata dettata nell'agenda politica nazionale, a partire dal 1977 in poi, dal «blocco nazionale», una destra sempre più egemone del linguaggio di senso comune) si accompagna da subito l'accusa, rivolta impietosamente ai propri avversari, di essere dei «traditori».
L'accusa di tradimento che Bibi ha rivolto a Benny è stata quella di essere un «codardo», un uomo non in grado di rispettare gli standard che Israele richiede per la propria sicurezza. Per un ex capo di stato maggiore, già alla guida delle forze armate, si tratta di uno schiaffo a pieno volto, assestato con calcolata determinazione. I pettegolezzi, fatti circolare ad arte, su business privati, su gusti e condotte sessuali, in buona sostanza sull'inattendibilità dell'avversario stanno dentro questa cornice, derivata dalle campagne elettorali americane dove, per riempire il vuoto delle proprie proposte (oppure celare le proprie effettive intenzioni) si sposta il target contro la persona dell'avversario.
Il leader di Kahol Lavan ha risposto piccato e determinato, accusando Netanyahu di debolezza nei confronti di Hamas e dei pericoli che accompagnano la regione (non è un secreto per nessuno che Bibi, dei diversi premier che si sono succeduti, non sia stato quello più implacabile; ha fatto scelte molto mediate dalla sua formazione di assicuratore e poi di diplomatico, che sono le uniche radici che in lui siano rimaste ben impiantate, al netto della professione di politico e di costruttore di coalizioni che ha poi rivestito abilmente nel tempo), paventando continuamente anche il suo essere una via di mezzo tra il malandrinaggio di potere e la menzogna in funzione antidemocratica.
Per molti dei suoi avversari, Bibi è quindi diventato una calamità nazionale, qualcosa che rasenta lo psicodramma. Sarebbe già stato defenestrato da tempo se non avesse potuto contare fino ad oggi sulla letargica debolezza dei suoi contendenti. Gantz non solo non buca lo schermo ma rischia di procurare qualche sbadiglio tra gli ascoltatori. È rigido, attento a difendere la linea del fronte, apparentemente privo di una strategia di rottura dello stallo a cui lui stesso rischia, adesso più che mai, di concorrere. Le indiscrezioni che durante la trascorsa campagna elettorale sono mefiticamente fuoriuscite dallo staff dello stesso Benny, dove il coordinatore delle attività di Blu e bianco, il serafico Yisrael Bachar (già spin doctor di Naftali Bennet e dello stesso Netanyahu), ha affermato che al candidato premier mancherebbero le «palle» per fronteggiare la minaccia iraniana, più che rivelare la debolezza di quest'ultimo ha portato allo scoperto l'inconsistenza di un progetto, quello di un partito anti-Bibi, che non riesce ad essere carne né pesce.
Kahol Lavan segue cronologicamente l'esperienza di Kadima, ma di questo non ha raccolto la capacità di cercare di rompere gli schemi destra/sinistra, ossidatisi dopo la fine ingloriosa delle trattative con i palestinesi. Sharon era un animale politico, uno spregiudicato combattente, molto simile a certe figure di militari riciclatisi in altri paesi come leader non prima di essersi rilavati e sciacquati i panni. Portava in dote il suo passato, la sua ruvida intransigenza, il suo disprezzo per ciò che considerava come inesistente, i palestinesi medesimi, ai quali invece sostituiva gli «arabi», quelli sì esistenti e pericolosi. Disgustava molti, che lo vedevano come un truce «criminale di guerra», già ai tempi dell'Unità 101 (molti decenni e diversi chili prima di diventare capo del governo) e poi dell'assedio di Beirut del 1982, quando ruppe le uova nel paniere a Menachem Begin non senza però farsi impantanare nelle sabbie mobili libanesi. Proprio perché era così, ovvero si faceva con calcolata compiacenza disegnare in questo modo, poté quindi imporre ad un paese, che era già in lutto preventivo, la perdita di Gaza. Dopo essersi consultato con un board di esperti che gli avevano detto che c'erano solo due vie possibili: preservare la democrazia "ebraica" oppure fare una «Grande Israele» che si sarebbe trasformata in un contraddittorio coacervo di gruppi tra di loro in costante conflitto. A supporto del suo progetto - imporre ai palestinesi una pace, non contrattandola - aveva raccolto, dal morente laburismo israeliano, Shimon Peres, il prestigioso perdente di lusso, quello che era sempre caduto in piedi, e dalla declinante destra, tra gli altri, Ehud Olmert, Tzipi Livni, Shaul Mofaz.
Gantz, di tutto ciò, dopo la morte nel 2015 di Kadima, quest'ultima una via di mezzo tra un congegno elettorale, un partito-taxi e l'ispirazione incompiuta verso un nuovo orizzonte politico nazionale, che cosa ha raccolto? Superata la inconcludente e crepuscolare retorica laburista, Kahol Lavan si è affidato alla scelta di non fare scelte. Ha quindi giocato sul piano più congeniale a Netanyahu, buttandola sul "personale". Ha detto agli elettori che ciò che andava fatto non era votare un programma, peraltro del tutto inesistente, ma non votare Bibi. Musica per le orecchie di quest'ultimo. Poiché il partito degli ex generali, al di là della probità di ciascuno di essi, non ha un progetto su e per Israele che non sia il collage tra i rimandi alla laicità dello Stato (minacciata dalle "orde" ultraortodosse) e il richiamo ad una visione di «Law and Order» che più e meglio proprio la destra sa invece incarnare.
Quando Trump è intervenuto a gamba tesa per aiutare il premier uscente, con «The Deal of the Century», d'altro canto Benny è rimasto ancora una volta a bocca asciutta, masticando amaro. Si è di nuovo fatto sottrarre la scena. L'esatto opposto di Calamity Bibi, che è invece una sorta di lottatore di sumo della politica, un trascinatore di folle, un rullo compressore che si fa beffe della marzialità e del tono troppo impettito del bel generale che gli dà sempre addosso. Anche per queste ragioni se lo si accusa di essere un avventuriero, un manipolatore, uno «Snakes Charmer», si rischia di fargli quasi una cortesia.
Netanyahu non crede in molte delle cose che lascia invece dire a coloro che lo circondano: è troppo legato alla sua formazione globalista, di uomo di mondo che diventa uomo del mondo, per rintanarsi nell'incubo identitario. Lascia che siano gli altri a farlo, sapendo che in questo modo li potrà tenere in trappola. In questo, è appieno un politico della generazione dei cosiddetti populisti-sovranisti: non perché si riconosca integralmente in quanto lascia liberamente circolare ma poiché riconosce che ciò che imprigiona gli altri è quanto lo manterrà libero. Anche per questa ragione è senz'altro oramai disposto a lanciare un'inclemente ed implacabile azione contro il potere giudiziario e la sua autonomia.
Il punto dolente di questa traiettoria è che Netanyahu si alimenta, a proprio beneficio, di un cono d'ombra che è esattamente ciò che inquieta i suoi antagonisti. Ha infatti archiviato una parte della storia del Likud, e dei suoi padri fondatori - che fu anche storia durissima, feroce per l'appunto - per presentarsi come colui che saprà amministrare un regime di «post-democrazia». Giocherà, come già da diverso tempo avviene in altri paesi, contrapponendo la sua investitura elettorale, il giudizio assolutorio che ha ricevuto da molti israeliani il 2 marzo scorso, alla farraginosa complessità delle procedure legalitarie che potrebbero vederlo, in tutta probabilità, non solo condannabile, quale già in potenza sarebbe, ma condannato. Lo farà poiché sa che il trend dominante, nella crisi delle democrazie liberali e sociali, è quello per cui all'identificazione con le anonime istituzioni si sostituisce quella con il corpo e le parole del leader, soprattutto quando questo sa farsi apprezzare per la capacità di ricorrere in maniera spregiudicata al potere, rassicurando al contempo la collettività. Allo spettacolo del potere si è sostituito il potere dello spettacolo, dell'auto-rappresentazione. I media sono con Netanyahu, da questo punto di vista, avendone fiutato da tempo il pragmatismo. Non c'è nessun complotto in atto ma una «feroce» trasformazione del modo di vivere insieme, a partire dai criteri con i quali ci si sente e ci si riconosce reciprocamente come israeliani. Ancora una volta si tratta di un discorso che supera le frontiere del paese, per arrivare all'Europa e, in primis, alla stessa Italia.

(JoiMag, 8 marzo 2020)



Elezioni in Israele: come fare le scarpe al vincitore
Commento di Deborah Fait
07.03.2020

http://www.informazionecorretta.com/mai ... D1bOsWdtT0

Erano sicuri di farlo fuori questa volta. I due geni del partito Blu&white, Benny Ganz e Yair Lapid, prima delle elezioni, vedevano già Netanyahu nella polvere. La loro campagna elettorale è stata tutta basata sulla demonizzazione del premier sicuri che questa volta, voilà, Bibi sarebbe andato in pensione o, forse, perché no, in galera. Si sono concentrati su un unico messaggio, anche perché non ne avevano altri, "Tutti e tutto fuorchè Bibi". Avevano fatto però i conti senza l'oste, cioè senza il popolo di Israele che ha dimostrato una volta di più di amare Netanyahu e di credere in lui. Dopo tanta denigrazione, nonostante per mesi tutti i media del paese gli abbiano remato contro, dopo accuse, insulti di ogni genere, gli israeliani hanno ancora votato per lui ridandogli la leadership del paese. Se la faranno una domanda, a questo punto, il gatto e la volpe del Blu e Bianco? Se la farà una domanda Mangiafuoco/Liberman? Bibi ladro, Bibi corrotto, Bibi qua e Bibi là ma il popolo ama Bibi e lo ha dimostrato in tutte e tre le votazioni che Israele ha dovuto sopportare in un anno a causa dell'odio delle sinistre e di Avigdor Liberman. "Ivette", soprannome di Liberman, dal suo nome russo Evet, nel 2018 decise di aprire la crisi e portare Israele alle terze elezioni, senza farsi nessuno scrupolo di natura etica. Netanyahu ha vinto anche questa volta e allora come fare per eliminarlo? Semplice, si fa una legge anti-Bibi per la quale non può diventare primo ministro chi è indagato e sotto processo. Ivette, la cui espressione era livida di rabbia la notte dei risultati elettorali, ha già dato il suo consenso a Ganz e gli arabi, figurarsi, sono praticamente invitati a nozze, forti dei loro 15 seggi guadagnati anche dal voto pro-arabo di qualche comunista israeliano, antisionista e, spesso, odiatore del proprio paese anche più degli arabi, anzi sicuramente di più. Vi sono cittadini arabi di Israele che amano il paese dove possono esprimersi in democrazia e rifiutano categoricamente di entrare a far parte dell'ANP. Mica sono scemi. Scemi sono invece quelli della sinistra estrema che vorrebbero Israele arabo e islamico perché loro sono democratici e pensano che questa terra debba essere regalata a chi la pretende senza diritto alcuno ma loro, perbacco, sono democratici e progressisti mica sionisti brutti e nazionalisti. Ganz &Co. Forse potrebbero riuscire a eliminare Bibi varando quella legge ma dopo li vorrò vedere governare il paese. Il centro-sinistra di Ganz insieme alla destra di Liberman e agli antisionisti, in alcuni casi antisemiti, arabi? Vedo scintille seguite da un enorme tonfo e inevitabili nuove elezioni. Il vincitore nel frattempo non se ne sta con le mani in mano, Netanyahu che è un grande tessitore, e lo dimostrano i successi avuti con paesi storicamente nemici, sta già cercando di attirare a se vecchi transfughi del Likud passati all'Avodà o a altri partiti. Personalmente io ammiro Netanyahu ma non avrei nessun problema, dopo più di 10 anni di governo, di vedere al suo posto un premier altrettanto valido, intelligente, carismatico e preparato, un vero leader insomma. C'è solo un problema: non esiste! Israele che vede quotidianamente minacciata la propria esistenza non può permettersi un premier di poco valore, né un ex giornalista mediocre. Il popolo di Israele che ama il proprio paese e che tiene alla propria sicurezza ha dato un voto chiaro, chiarissimo e ha il diritto di essere rispettato.




CHIAREZZA
Niram Ferretti
9 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063


Ah che bello! Aria pura! Aria de-ammorbata in questo periodo di epidemia. Parole che fanno chiarezza, disperdono tossine e virus.

“O partecipiamo ai negoziati entrando dalla porta di ingresso o non entriamo affatto", dichiara un parlamentare della Lista araba rivolto a Gantz.

La lista araba, forte dei suoi 15 seggi li fa pesare. Se Gantz li vuole per mettere in campo il governicchio con appoggo arabo il cui unico scopo è quello di fare fuori Netanyahu, deve farlo apertamente, alla luce del sole, in pieno Coronavirus, non in incontri clandestini al chiuso.

E d'altronde ormai questa sembra essere la strada maestra anche se nella formazione Bianco e Blu ci sono due ribelli i quali non vogliono entrare nel pastrocchio favorito anche da Moshe Ya'alon, ve lo ricordate? Ex ministro della Difesa di Netanyahu, il quale si dimise nel 2016 come conseguenza del caso Azaria.

Lui, è un altro che è dispostissimo ad avere gli arabi antisionisti al governo. Pur di eliminare Netanyahu sarebbero pronti a fare i patti con il diavolo.

Gli arabi incalzano. Giustamente.

“Gantz deve decidere se noi come rappresentanti del pubblico arabo siamo legittimi ai suoi occhi o meno. Se non lo fa, allora sarebbe meglio che trovasse un altro partito per formare un governo. Deve mostrarci come si differenzia da Netanyahu se vuole che lo appoggiamo".

Più chiaro di così.
Si profila il governicchio di minoranza con sostegno arabo esterno.
Toccherà ora a Netanyahu fare le sue mosse.



LA POLITICA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
Niram Ferretti
10 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Pur di fare fuori politicamente uno statista della levatura di Benjamin Netanyahu, i perdenti delle ultime elezioni, l'armata Brancaleone con in campo Brancaleone Gantz, sono disposti ad allearsi con gli arabi della Lista araba, parlamentari che hanno come capo uno che considera la Legge Base dello Stato razzista e antepone la "nazionalità" palestinese a quella israeliana.

Ma tant'è. Gantz, l'uomo probo e tutto di un pezzo (così è stato promosso dai suoi spin doctors) che si contappone al "corrotto" e mefistofelico Netanyahu (un politico per il quale Niccolo Machiavelli avrebbe ben potuto scrivere un "Principe" due), durante la sua campagna elettorale aveva stentoreamente annunciato che non avrebbe mai chiesto l'appoggio della Lista araba.

Ma si sa che la politica è l'arte del compromesso, o come diceva in modo più icastico Rino Formica, è "sangue e merda", con una netta predominanza della seconda, materia di cui è sicuramente competente l'ispido moldavo Lieberman, un nazionalista a la carte, che per regolare la sua vendetta personale con Netanyahu, ha sentito anche egli il bisogno di abbracciare gli arabi.

Naturalmente, se entrambi questi gentleman avessero dichiarato le loro intenzioni PRIMA del risultato elettorale, avrebbero incassato una debacle.

Pensavano, infatti, che Netanyahu sarebbe stato spazzato via, e non, come è avvenuto, che avrebbe portato a casa il migliore risultato per il Likud e si fosse avvicinato di molto a ottenere la maggioranza alla Knesset.

Ora, c'è chi, nel Likud, spera che questo governo alternativo nasca confidando nella sua breve durata e nella morte politica sia di Gantz che di Lieberman.

Effettivamente, se dovesse malauguratamente nascere, un governo sotto ricatto arabo, sarà esposto a una fragilità estrema, con una opposizione compatta e guidata sempre da Netanyahu (non ci sono alternative al momento alla sua leadership nella destra, nessuno che sia in grado di allaciargli le stringhe delle scarpe).

Nel partito Bianco e Blu intanto due parlamentari, Tzvi Hauser e Yoaz Hendel hanno dichiarato la loro indisponibilità a un governo con sostegno arabo. Altri due, Gabi Askhenazi e Chili Tropper non sarebbero disposti a sostenere un governo con trazione araba anche se non si sono apertamemte ribellati.

Nel caso in cui Hauser e Hendel uscissero dal partito Bianco e Blu, Gantz sarebbe costretto a chiedere l'appoggio dei parlamentari arabi di Balad, il partito arabo più estremista, del quale, in passato alcuni parlamentari sono stato incarcerati per sostegno al terrorismo palestinese.

C'è un ulteriore fattore. Le tensioni sociali che ne conseguirebbero. Israele non è l'Italia, le contrapposizioni politiche si possono fare molto accese anche a livello fisico e bene ha fatto Gantz a chiedere un supplemento di scorta.

Gli animi di qualche esagitato si possono scaldare facilmente, soprattutto quando un ex generale dell'IDF decide di allearsi con chi considera l'esercito un branco di assassini.

Naturalmente non c'è da auspicarsi la violenza, ma se si colpisce alle spalle il paese confidando che nasca un governo, il primo dal 1948, con il sostegno dei nemici dello Stato, non si può certo pensare che tutto resti calmo e placido.

Chi semina vento, recita l'adagio, raccoglie tempesta.



Ariel Akiva
Come è POSSIBILE che in Parlamento siedano deputati arabi con trascorsi di terroristi? E comunque che ci sia un partito arabo?


Niram Ferretti
In effetti in uno Stato in cui vige l'apartheid è un bel paradosso.

Ariel Akiva
Niram Ferretti certo,ma a parte questo,mi chiedo come gente già detenuta per terrorismo abbia un posto in parlamento....e non mi addentro oltre ideologicamente....

Niram Ferretti
Effettivamente Ariel Akiva, è abbastanza eccessivo anche per una democrazia avanzata. Da noi, durante gli Anni di Piombo non avevamo parlamentari appartenenti alle Brigate Rosse. Non, perlomeno, in modo dichiarato.

Ariel Akiva
Niram Ferretti era ESATTAMENTE ciò a cui pensavo... ESATTAMENTE! Credo ci sia MOLTO da rivedere anche in Eretz....

Dragor Alphan
Il bacio di Allah e' piu' letale della peste. Gantz e' contaminato, ha i giorni contati.

Mirella Nahum
Leggete gente leggete lo schifo di Ganz e Liberman
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Ezio Grolla
Manica di farabutti, assetati di potere. Mi dispiace x Israele una grande Nazione non può essere in balia di questa gente!

Bareket Diamond
La democrazia non è perfetta ...


Carla Rosi
Ma come fa un ebreo ad allearsi con chi non vuole il bene di Israele?

Luisito SuArez
Arabi falsi e pericolosi

Molcho Yoseph
Sergio il gantzster con tutte le macchie indosso prima che si dia alla macchia

Esther Ma Ma
Lo diceva già un amico mio israeliano che non si sarebbe fatto scrupoli nel pattare con la lista araba.

Molcho Yoseph Sergio e e` andato giu` di patta ..

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Clemente D'Alessandro
La Knesset agli ebrei se Israele è uno stato ebraico


Renato Della Mea
Bella analisi. Realistica.

Daniela Rella
Dici bene, Niram. Non si auspica la violenza, ma manifestazioni di piazza continue, estenuanti, rumorose sì, le auspico, anzi ci spero. E spero di vedere in piazza soprattutto gli elettori di Liberman e di Blu e Bianco, perché questa frode di usare i loro voti per patti scellerati mai dichiarati in campagna elettorale, anzi sempre negati, è un vero scippo del loro voto.

Daniel Haviv
Sabato sera Bibi ha fatto un discorso che è tutto istigazione alla violenza, come fece anche nel '95 dal terrazzo di piazza Sion (Rabin fu assassinato pochi giorni dopo), e la rete pullula di minacce di morte a Gantz, Mandelblitt e ad alcuni giudici. Qui si parla già del pericolo "Amir", con uno degli istigatori lo stesso di allora. Allucinante.


Roberto Steindler
Ben Gurion, z. l. , aveva fatto approvare la legge del ritorno per tutti gli ebrei. E se la Joint List , facendo parte dello sciagurato governo Gantz chiedesse il ritorno degli arabi ?






NON A QUALSIASI PREZZO
Niram Ferretti
11 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Dovremo ringraziare la signora Orly Levy Abekasis se il governo della vergogna, quello che Benny Gantz vorrebbe formare con l'appoggio della Lista araba non vedrà la luce.

Orly Levy Abekasis, parlamentare di sinistra nella lista Gesher-Meretz-Partito laburista, ha un sussulto di dignità e alza la testa.

Riferendosi a Gantz, senza nominarlo, lo ha accusato di avere rotto la sua promessa agli elettori (l'ex generale ha detto più volte in campagna elettorale che non si sarebbe alleato con la Lista araba) e di essere "Vergognosamente disponibile a pagare qualsiasi prezzo pur di formare un governo di minoranza".

Insieme a lei ci sono i parlamentari della coalizione Bianco Blu, Zivi Hauser e Yoav Hendel, i quali hanno espresso palesemente il loro dissenso nei confronti dell'operazione Gantz-Lieberman.

Se i tre parlamentari manterranno fede alla loro coscienza la sconcia operazione non andrà in porto perchè anche con l'adesione di tutta la Lista araba, Gantz non avrebbe i numeri per formare un governo.

A questo punto, senza cooptazione da parte di Netanyahu di parlamentari dell'opposizione, Israele si avvierebbe alla quarta tornata elettorale.



Gino Quarelo
Meno male e questa volta Netanyahu probabilmente avrà la maggioranza assoluta necessaria per governare. Anche se questi tre non verranno di sicuro ricandidati.


Benkő Balázs
Io parlo raramente in termini moralizzanti, o di vergogna o di peccati o delitti. La semplice proiezione basata su una superficiale analisi con riferimento alla game theory senza dovermi ergere giudicatore di coscienze dà il risultato che saranno probabilmente due-tre o quattro deputati della coalizione Blu e Bianco a cedere e ad allearsi con la coalizione di destra. Per la signora Abekasis di sinistra (che comunque in quanto decisamente di sinistra, ha un suo messaggio ideologico portante al di là di voler far la pelle a Netanyahu) lo avrei visto più difficile, ma che prende le distanze da Gantz, potra' accelerare lo sgretolamento del Blu e Bianco.

E a questo punto al di là del chicken game avremo di fronte anche un'altro tipo di gioco: il dilemma del prigioniero. Cioè chi saranno i primi del Bianco e Blu (quindi sufficienti per la formazione del governo di destra) a passare dall'altra parte? La loro adesione è di altissimo valore quindi possono aspettarsi una lauta ricompensa, mentre coloro che seguono, al di là di quelli necessari per 61-62 seggi, valgono meno quindi prendono anche meno...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2020 3:48 pm

IL PERICOLO MAGGIORE
Niram Ferretti
11 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063


Ma dai, adesso è cominciato il linciaggio della Orly Levy Abekasis, la "traditrice" rea di mettere i bastoni tra le ruote alle magnifiche sorti e progressive del governo di Brancaleone-Gantz.

"Haartez", il foglio più luminoso di Israele, vero faro per tutti i progressisti, ci informa che Yoav Hendel e Zivi Hauser, i due parlamentari di Cahol e Lavan che si ribellano all'idea del governissimo israelo-arabo, sono due razzisti.

Eh certo. Non vogliono allearsi con chi predilige l'Umma allo Stato ebraico. I razzisti sarebbero loro.

Ora dobbiamo essere perentori. Il pericolo più grande per Israele non sono gli arabi della Lista araba, no davvero, questa è gente che non ha realisticamente alcuna chance di sovvertire lo Stato, ma è la sinistra israeliana. Sono gli ebrei di sinistra e di ultra sinistra, quelli per i quali i residenti in Giudea e Samaria, i "coloni", sono ceffi brutti, sporchi e cattivi, sono loro quelli che ci dicono che i territori assegnati nel 1922 dal Mandato Britannico per la Palestina agli ebrei, sono "occupati", sono loro quelli che hanno permesso ad Arafat nel 1993 di insediare il suo regno del terrore nel cuore di Israele e di provocare due intifade, sono sempre loro che ci dicono che la Legge Base del 2018, la quale statuisce che Israele è uno Stato ebraico, è una legge discriminatoria e razzista. E sono loro quelli che appoggiano le ONG israeliane finanziate con capitali stranieri che hanno come scopo quello di diffamare l'IDF.

Questa gente, se potesse, concederebbe agli arabi ancora più terra, ancora più vantaggi, darebbe loro senza esitazione tutta la Giudea e Samaria, per non parlare di Gerusalemme.

Sono il pericolo maggiore. Dietro il tentativo di distruggere politicamente Benjamin Netanyahu, il maggiore statista israeliano dell'ultimo ventennio, con accuse risibili, ci sono loro.

Adesso, anche con l'ausilio dell'utile idiota Lieberman, tentano la mossa disperata di disarcionarlo. Ma hanno bisogno, per poterlo fare della quinta colonna araba insediata dentro nello Stato che, senza di loro, non avrebbe nessuna possibilità di partecipare ad alcun governo nazionale.

Ce la faranno? Probabilmente no. Netanyahu ha molte vite, ma di una cosa si può stare certi, ci proveranno fino all'ultimo.




Iki Scortsaru
Ho sempre ritenuto poco corretto che ebrei o israeliani che vivono nella diaspora facciano politica per un partito Israeliano. Non trovo corretto che tu o me, come riportato nel vecchio testamento, “יושב על סיר הבשר” – Yoshev Al Sir Habassar – seduti davanti ad un piatto di carne oppure all’italiana, seduto davanti ad un piatto di caviale Russo e Champagne Francese, vogliamo decidere come devono vivere gli israeliani che rischiano giornalmente i missili da Gaza e le mamme di non vedere più tornare a casa il figliolo che presta il servizio militare. State umiliando e date uno schiaffo a 38.16% degli israeliani che hanno votato per Cahol Lavan - Haavoda – Ghesher - Meretz - Israel Beteinu, israeliani che hanno rischiato la vita nelle varie guerre contro gli arabi e che magari hanno il figlio ad uno dei confini. Altrimenti, prendete la valigia, fatte la Alia, immigrate in Israele, diventate cittadini israeliani, pagate le tasse, arruolatevi al esercito ed iscrivetevi di seguito ad uno dei tanti partiti.
Noi ebrei ed israeliani nella diaspora dobbiamo fare soltanto informazione corretta per Israele. e non contro il 38.16% degli israeliani, non sono questi i nemici dello stato ebraico ma altri.

Niram Ferretti
Caro Iki Scortsaru, io non pretendo di dire agli israeliani nè come devono vivere nè come devono vestire, nè come devono mangiare. Io faccio informazione e offro un resoconto politico. Fare Alia non c'entra nulla. Se adesso, per scrivere della situazione politica israeliana bisogna non solo essere ebrei ma anche essere israeliani, allora significa che nessuno fuori da Israele può parlarne. Mi sembra una idiozia senza precedenti. La stessa logica la dovremmo applicare a tutti gli altri paesi al mondo. Di politca americana parlino solo gli americani, di politica francese solo i francesi, e così via. Inibiamo a tutti i giornalisti e gli analisti politici che non sono nati o vivono nel paese di cui si occupano di scriverne. Ma estendiamola. Di musica scrivano solo i musicisti, di letteratura solo gli scrittori, di poesia solo i poeti, di biologia solo i biologi, ecc. Io non pretendo (di nuovo) che chi mi legge sia d'accordo con me. Chi ha votato per la coalizione che si contrapponeva a quella di destra guidata da Netanyahu non ha letto da nessuna parte nel programma elettorale, a meno che io mi sia perso qualcosa, che si sarebbero alleati con la Lista araba. Tu lo hai letto? Era nel programma? Prendere per il culo gli elettori lo trovi corretto?


Iki Scortsaru
Niram Ferretti, una volta mi piacevi, giornalmente facevi soltanto informazione corretta per Israele e per tutti gli israeliani, da un bel po tutti i giorni fai politica per il Likud danneggiando un intero paese e offendendo un bel 38.16% degli israeliani.

Iki Scortsaru
Niram Ferretti, con i tuoi articoli in Italiano, contro il 38.16% degli israeliani, stai facendo un ottimo lavoro per i palestinesi, loro non vedono l'ora di fare copia ed incolla per riscriverlo in arabo su tanti quotidiani dei paesi arabi. Bravissimo.


Niram Ferretti
Iki Scortsaru, l'ottimo lavoro per i palestinesi lo stanno facendo Gantz, Lieberman e i partitini di sinistra che, per tua informazione, il 38.16% degli israeliani, non ha votato perché si alleasse con la Lista araba.


Mordechai Bar Yekutiel Iki Scortsaru ma che dici?
Io a 18 anni sono stato in Israele quasi un anno (poi ci sono stato altre due volte per un tempo totale di circa otto mesi) e stavo per arruolarmi in tzavà (poi non l'ho fatto per sopraggiunti problemi personali e famigliari) e quindi sono ritornato a Roma nel ghetto ebraico dove sono nato, cresciuto e vissuto.
Secondo il tuo (s)ragionamento "non ho diritto" -se voglio- di opinionare sulla vita politica dello Stato d'Israele: ma lo pensi davvero?
E che vuol dire "che bisogna essere israeliani o (bontà tua) ebrei...per poterne parlare [...della vita politica israeliana]?
Dai su...
Ci sono persone -come Niram Ferretti e Giulio Meotti per esempio- che oltre ad essere seri e imparziali ne sanno molto ma molto di più della maggior parte degl ebrei...ed anche degli israeliani: devono tacere...perchè non sono ebrei...perchè non vivono in Israele ecc ecc?
Dai su...
Qui si sta analizzando uno scenario nefasto in caso di combutta tra dei mascalzoni israeliani ed ebrei con arabi (che siedono con una propria lista...alla Knesseth) che dicono palesemente sempre e comunque che odiano Israele, gli israeliani, gli ebrei e tutto ciò che riguarda il giudaismo: cosa vorresti...che gli si battono le mani?
Dai su...
Gantz, Liebermann ed altri "compagni di merende" sono solo infami...che ti piaccia o no: e nota bene...il mio giudizio è esclusivamente riferito ai personaggi citati...come politici.
Quindi non mettere in mezzo cosa hanno fatto da militari: lo so benissimo!
Ah...dai su!
(P.S. si dice Antico Testamento...non vecchio testamento!)


Eliahu Gal-Or
Gino Quarelo Che siano una maggioranza con cui non si è d'accordo mentre si guarda la vita in Sirsh Asana, ovvero leggendo 83 dove è scritto 38, ti spiega con che glande stai sprecando fiato.



Eliahu Gal-Or
Daniel Haviv Immagino la tua faccia di quando hai sentito la notizia dell'onestissima (la conosco e lo dico con coscienza pulita) @Orly Levy-Abecassis che ha anche lei una coscienza inossidabile e ne ha seguito i dettami. Secondo me i sinistrati disonesti e/o imbecilli stanno in buona compagnia con te. Prrr...

Daniel Haviv
Se per te una ladra è onestissima capisco che c'è qualcosa che non va nella tua percezione della morale. Ti consiglio solo una cosa: se porti la kippah, toglitela e cestinala. E che dire del linguaggio che usi... fossi te mi vergognerei e andrei a leggere per esempio un po' di pirke avot: derech eretz kodem latorah.


Gino Quarelo
Ladro è chi ha ottenuto il voto aprofittando della buona fede degli elettori, senza prima informarli che poi chi riceveva il voto si sarebbe alleato con i nemici di Israele e degli ebrei e quindi di buona parte di quegli ebrei e non ebrei che mai vorrebbero gli arabi nazi maomettani antisemiti al potere in Israele.

Chi si pente e si ravvede restituendo il voto agli elettori o non sostendo un governo di ladri e di traditori come ben ha fatto Orly Levy-Abecassis non è più un ladro.

Daniel Haviv
Gino Quarelo se tu fossi meglio informato sulla realta' israeliana sapresti che gli arabi israeliani sono bene inseriti a tutti i livelli e non sono affatto nemici d'Israele. Ti auguro piena salute fino a 120 e di non dover mai essere ricoverato in un ospedale israeliano, perché ci sarebbe un'altissima probabilita' che l'infermiere che ti accoglie o il medico che ti cura sia arabo.


Gino Quarelo
Certo gli "arabi (egiziani, siriani, iraniani)" nazimaomettani finché sono esclusi dal potere governativo e sono in minoranza non sono più di tanto preoccupanti ma se fossero di più e se avessero accesso al potere politico governativo e militare allora comincerebbero seri problemi per gli ebrei e per Israele come stato ebraico. I nazi maomettani sono così ovunque dal criminale Maometto in poi, un grosso problema pandemico per l'umanità intera più del nazismo hitleriano, in quanto sono un problema non solo per gli ebrei ma anche per i cristiani e per ogni diversamente religioso e pensante della terra.

Daniel Haviv
Gino Quarelo capisco e apprezzo la tua preoccupazione per la sicurezza d'Israele, ma bisogna che tu cambi un po' il tuo tono specialmente sull'uso degli aggettivi. Sono nazimaomettani anche gli arabi cristiani, i beduini arabi del Negev e i Drusi (arabi sciiti) i quali (tutti) servono nell'esercito israeliano anche col grado di ufficiali? Israele e' uno stato democratico fondato sulla legge e sai bene che chi la infrange va in galera con una velocita'...


Gino Quarelo
Daniel Haviv
Scusa ma con gli "arabi (egiziani, siriani, iraniani)" nazimaomettani non c'entrano nulla gli "arabi (egiziani, siriani, iraniani)" cristiani e atei o di altra religione.
Poi per me anche gli sciiti sono nazimaomettani, i drusi sono una categoria "maomettana" a parte. Poi non è detto che tutta questa gente israeliana non ebrea e non nazi maomettana debba votare per i "partiti arabi", se ci tengono a Israele possono votare altri partiti non arabo-nazimaomettani e votare loro candidati inseriti nei partiti ebraici.


Daniel Haviv
Infatti moltissimi di loro lo fanno: 15 mandati sono solo il 12%, mentre i non ebrei sono il 21%. Cio' significa che tutti gli altri hanno votato per altri partiti israeliani.









Mordechai Bar Yekutiel
Premesso che nella politica interna israeliana rivalità "all'ultimo sangue" sono sempre esistite (una su tutte: Ben Gurion/Jabotinsky) questa contro Netanyahu è un'ossessione di anni: e -fortunatamente- alla fine vince sempre lui!
Prendendo spunto dall'intestazione del post "il fine giustifica i mezzi" questi accaniti contestatori (e odiatori) di Netanyahu (e dei suoi elettori) al tempo dei nazisti avrebbero fatto "affari e intrighi politici...e non solo" pure con Himmler, Goering, Ribbentropp, Goebbels e compagnia brutta...pur di raggiungere i loro scopi: gli arabi che siedono (ingiustamente) alla Knesseth -considerati "moderati"- ...sono esattamente -nei "princìpi" contro gli ebrei- come i citati gerarchi nazisti anzi forse pure peggio!
Il motivo fondamentale per cui Netanyahu è ancora il leader indiscusso del Likud (quindi il principale protagonista del partito) è semplicemente perchè dietro di lui non c'è (ancora) nessuno all'altezza per sostituirlo: negli Usa dicono...it's easy!











VOLEMOSE BENE
Niram Ferretti
13 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Un governo emergenziale di unità nazionale per affrontare il Coronavirus. È questa la chiamata alla responsabilità di Benjamin Netanyahu, in questo momento critico, in cui anche Israele ha adottato severe misure restrittive per contrastare il virus. Un governo provvisorio ovviamente, in cui le aspre differenze politiche siano momentaneamente sopite. Ma ecco che vengono subito in superficie come carboni ardenti.

La coalizione Bianco Blu ha infatti annunciato la propria intenzione di rimpiazzare il portavoce della Knesset, Yuli Edelstein del Likud.

Pura mossa tattica nel tentativo di rimpiazzarlo con un proprio uomo al fine di ottenere la maggioranza in parlamento. Bisognerà vedere, naturalmente, se riusciranno ad avere i voti per l'operazione, che necessita della Lista Araba.

Il controllo della posizione di portavoce della Knesset darebbe all'opposizione il vantaggio di proporre il loro disegno di legge atto a impedire a chi è imputato di formare un nuovo governo.

Morale, anche in questo momento critico, la coalizione guidata da Gantz & Co. non rinuncia al proprio proposito di volere fare le scarpe a Netanyahu.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » gio mar 26, 2020 6:21 pm

CHI TIENE IL COLTELLO PER IL MANICO
Niram Ferretti
15 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063


Molto bene, i nodi stanno venendo al pettine. Giro di consultazioni.

Gli arabi della Lista araba dettano le loro condizioni, insieme agli estremisti filo terroristi di Balad a fianco di Hezbollah nella guerra del Libano del 2006.

Balad è lo stesso partito al quale, nel 2009, il Comitato Elettorale Centrale di Israele impedì di concorrere alle elezioni a causa del suo rifiuto di riconoscere lo Stato di Israele e al suo sostegno alla lotta armata contro di esso. Decisione che poi venne rovesciata dal Procuratore Generale dello Stato.

Uno dei membri più noti di Balad è la filoiraniana Haneen Zoabi nota per la quale l'IDF è una banda di assassini.

Dunque Gantz e Lieberman sarebbero disposti a portarsi a casa i voti dei parlamentari della Lista araba, Balad incluso, i quali non vogliono un governo delle larghe intese per l'emergenza Coronavirus ma unicamente un governo che abbia come obbiettivo quello di estromettere Benjamin Netanyahu. Obbiettivo dichiarato come essenzile anche da uno dei maggiorenti di Cahol Lavan, Moshe, Ya'alon.

Ergo. Netanyahu no Haneen Zoabi e company sì.

Senza la Lista araba con i suoi 15 seggi Gantz e Lieberman sono costretti a giocare a bocce.

Quando si dice, chi ha il coltello dalla parte del manico.


Fabrizio Piola
Traditori della nazione, Non c'è altro modo per definirli per quanto la giri, la volti e la guardi da tutte le parti. Mettere il Governo di Israele alla mercè dell'agenda di chi ci vuole morti e persegue la distruzione dello stato nazionale ebraico è un comportamento criminale. Per roba di questo tipo ci dovrebbe essere il cappio. Adesso sentiamo pure gli Smolim e tutti gli altri Soloni de Noantri. E scusateci se la cosa vivendo in Italia non ci deve riguardare.



IL MOSTRO NELL'ALAMBICCO
Niram Ferretti
15 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063


Reuven Rivlin ha dato a Benny Gantz l'incarico di formare il nuovo governo.

Forte di 61 seggi con l'appoggio indispensabile della Lista araba e tradendo la promessa fatta agli elettori in campagna elettorale, Benny Gantz e Avigdor Lieberman si apprestano ad apparecchiare per Israele un governo, il primo nella storia del paese, con gli arabi nazionalisti, tra cui Balad, un partito che disconosce l'ebraicità di Israele e ha in passato appoggiato esplicitamente Hezbollah.

Tutto con un unico scopo, quello di rimuovere Benjamin Netanyahu dal ruolo di primo ministro di Israele.

Il nuovo governo, se vedrà la luce, avrà come stampella un partito che si oppone frontalmente al piano di pace promosso da Donald Trump, e dunque all'annessione degli insediamenti in Giudea Samaria (Cisgiordania), un partito che, nelle parole del suo leader, pronunciate nel 2016, ha queste coordinate:

"La nostra identità palestinese ha la precedenza sulla nostra cittadinanza israeliana; Abbiamo un interesse nazionale nel porre fine all'occupazione e vedere il ritorno dei rifugiati".

"Quando sorge un conflitto [tra i due], l'identità [palestinese] ha la precedenza. Ecco perché i palestinesi [israeliani] non lavorano al Ministero della Difesa, al Ministero degli Esteri, al Ministero dell'Assorbimento degli Immigrati, al Ministero della Giustizia, ecc. [Lo fanno] per preservare la loro identità nazionale, e questo nonostante la tentazione di lavorare in questi ministeri, che forniscono un terzo delle posizioni [nel Settore pubblico israeliano]. Diamo la priorità agli interessi nazionali rispetto ai nostri interessi personali. Non vogliamo solo rimanere nella patria, ma influenzare il processo decisionale politico al fine di prendere parte alla fine dell'occupazione"...

Un partito che considera "razzista" la Legge Base sull'ebraicità dello Stato votata nel 2018.

Un partito che farà sentire senza sosta la sua voce, ricattando l'eventuale governo che si formerà e il suo premier.

Un governo che se vedrà la luce sarà a tutti gli effetti di una estrema fragilità perchè è impossibile conciliare sionismo e antisionismo, sicurezza dello Stato con chi vorrebbe smantellarla, identità ebraica nazionale con nazionalismo arabo-palestinese, filo-americanismo e antiamericanismo.

In parole povere, un capolavoro di teratologia politica.



Mordechai Bar Yekutiel
Mi sto chiedendo da giorni: ma il popolo israeliano -dopo che ormai tutti sanno della vigliaccata di Gantz e Liebermann- non si fa sentire?
Non fiuta il pericolo di vedere arabi -con poteri decisionali- che possono disporre del futuro dello Stato d'Israele quindi del loro stesso come cittadini israeliani...e per di più ebrei?
C'è da andare in esilio sulla Luna per questo lugubre impasse di chi dovrebbe salvaguardare se stessi e tutti gli altri!


Niram Ferretti
Mordechai Bar Yekutiel non è ancora detto che l'operazione vada in porto, la più politicamente spregiudicata della storia di Israele, ma se riuscissero non credo che il clima generale nel paese si rasserenerà.


Salvatore Peregrino
Dott. Ferretti buona sera. Lei sa bene che esiste una profonda dicotomia tra dare l'incarico esplorativo e formare un governo. Conosco la politica Israeliana fai suoi scritti e pochi altri. Forse aspetterei, osservando esternamente, quanti deputati Ebrei, accetteranno certi personaggi come alleati. Cettamente la politica è subdola, l'auto distruzione è da minchioni. Buon lavoro.


Niram Ferretti
Salvatore Peregrino lei ha perfettamente ragione. Infatti nel mio pezzo uso il condizonale. Spero, ovviamente, che il mostro non veda la luce.


Angelo Micheletti
Ma quando dai territori contesi gli Arabi faranno attentati, quando da Gaza riprenderanno i lanci di missili proiettili di mortaio, palloncini incendiari, tiri di cecchini e l’IDF la polizia dovrà intervenire e il partito Arabo dirà questo non si può fare, vorrà legare le mani alla sicurezza di Israele come si comporterà Gantz ? Si metterà a 90 gradi oppure di opporrà ? allora gli arabi lo molleranno e lui farà la figura dell’idiota quale’ ...oppure metterà a rischio la sicurezza di Israele mettendo il paese di fronte ad una guerra civile ?



APOTEOSI DEL DISGUSTO
Niram Ferretti
15 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

I fiancheggiatori dei terroristi non sono mai mancati tra le file degli intellettuali. In Italia ricordiamo Toni N..., ma altri ce ne sono stati, soprattutto idolatri di natural born killers come Ernesto Che Guevara, trasformato in icona della santità revolucionaria sudamericana.

Zeev Sternhell, il quale, ovviamente, accusa Israele di essere uno stato nazista, e che durante la Seconda Intifada consigliava ai terroristi palestinesi di concentrare la loro azione contro gli insediamenti e di evitare di compiere atti di violenza dentro Gerusalemme, è uno di loro.

Negli anni di Piombo, qui in Italia sarebbe stato con le Brigate Rosse per l'abbattimento dello Stato borghese. Sono repulsivi questi accademici che dal loro salotto danno direttive strategiche agli assassini, almeno Che Guevara rischiava del proprio, si metteva in gioco. Loro, invece, stanno alle spalle di chi uccide. Sono i demonizzatori, gli untori.

Nel 2015, in una intervista a Haartez, lo storico israeliano sosteneva che:

“Un cambiamento radicale non potrà mia determinarsi qui fino a quando l'attuale regime non provocherà una grave crisi nazionale. Un fallimento come la guerra di Gaza non è sufficiente, dato che il prezzo pesante di quel conflitto è stato pagato soprattutto dai palestinesi. Pertanto l'alternativa realistica consiste in un intervento esterno abbastanza massiccio da scuotere gli israeliani fuori dalla placidità della loro vita confortevole. Solo quando tutti sentiranno il prezzo dell'occupazione nella loro carne, sarà la fine del colonialismo e dell' apartheid che si appresta. Solo quando l'economia sarà colpita in un modo da incidere sul livello generale di vita o quando la sicurezza sarà minata a causa di una grave minaccia per gli interessi americani nella regione, l'occupazione sarà eliminata garantendo l'inizio del nostro futuro".

La palingenesi di Israele per Sternhell poteva e può venire attraverso una messa in ginocchio del suo stesso paese, quando "tutti sentiranno il prezzo dell'occupazione nella loro carne", e finranno il "colonialismo" e "l'apartheid".

Parole simili possono giungere solo da un luogo, da uno spazio in cui la mente, totalmente ottenebrata dall'ideologia, ha chiuso ermeticamente porte e finestre alla realtà, trasformandosi in un eco chamber in cui si sente solo la voce di un monologo ossessivo e ossessionato.

I fatti sono stati sbriciolati come dei biscotti e al loro posto trionfano l'odio e il furore mascherati da lotta per i diritti umani e per le vittime.

Ma se proprio vogliamo parlare di nazismo, una cosa va detta. Adolf Hitler era più onesto. Molto più onesto. Per lui esisteva solo il diritto della forza e il nemico era rappresentato da chi ostacolava il destino che aveva fatto dei tedeschi coloro i quali avrebbero dovuto guidare il mondo. Non fingeva di volere il bene di nessuno se non del popolo che avrebbe condotto alla vittoria.

Gente come Sternhell sta invece dalla parte di chi uccide i propri concittadini, mentre augura a questi ultimi, una bella apocalisse, in nome di coloro che considerano gli ebrei-israeliani carne da macello.




Emanuel Segre Amar
15 marzo 2020

Comunque da questo articolo del Jerusalem Post sembra che la situazione sia ancora ben poco chiara
Dopo opportuni approfondimenti è chiaro che Gantz ha 61 voti per diventare primo ministro, ma poi i voti non li ha per mettere insieme la politica governativa perché, ad esempio, gli arabi non entrano nel governo (sempre senza considerare che, con gli arabi dentro, ci sarebbero forse comunque dei fuorusciti).
Ecco quindi perché, piuttosto di perdere inutilmente tanti giorni con un incarico affidato a Gantz, Rivlin ha riunito i due contendenti per dire loro di trovare un accordo entro martedì.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » gio mar 26, 2020 6:22 pm

Il prezzo da pagare
Niram Ferretti
16 Marzo 2020

http://www.linformale.eu/il-prezzo-da-pagare/


Con la creazione dello Stato di Israele nel 1948, la vita degli abitanti ebrei dell’Iraq divenne impossibile fino alla decisione di scappare da un territorio che li aveva visti crescere e vivere fin dai tempi dell’antica Babilonia.

Nel corso dei secoli la vita ebraica in Mesopotamia, con la conquista araba del VII secolo d. C., si era mantenuta difficile anche se migliore rispetto ai correligionari che vivevano negli Stati cristiani. L’arrivo dell’Islam comportò per gli ebrei – come per tutte le altre popolazioni che non vollero convertirsi – una vita da sudditi discriminati. Divennero fin da subito dhimmi, come previsto nel Corano per le popolazioni che vivevano in territorio conquistato dall’Islam (Dar al-Islam).

La condizione di dhimmi, nel mondo islamico, si attuava con molteplici imposizioni più o meno rigide a seconda del grado di tolleranza mostrato dal regnante. Essa andava da semplici discriminazioni in materia di abbigliamento: agli ebrei era imposto un pezzo di stoffa, sull’abito o un cappello, giallo ben visibile per poter essere immediatamente riconoscibili. Alla non validità di testimonianza in tribunale che li vedeva contrapposti a sudditi musulmani. A restrizioni relative alle cavalcature e ai luoghi di culto, ai carichi fiscali ben superiori rispetto ai sudditi musulmani. Fino al pagamento della jizya, cioè di una “tassa per la protezione” riservata ai non musulmani che non intendevano convertirsi e che volevano continuare a risiedere nei luoghi che li ha visti vivere per generazioni. Così nel corso dei secoli questo status comportò un condizionamento talmente radicato che andò ad influenzare il comportamento, la mentalità, l’aspetto esteriore e le attività svolte da queste popolazioni.

La situazione della comunità ebraica irachena si trascinò così per oltre un millennio, vedendo la propria condizione migliorare o peggiorare in base alla maggiore e minore intolleranza dei governanti che si alternavano: dai califfi arabi a quelli turchi che mantennero, ininterrottamente (salvo la breve parentesi mongola nel XIII secolo), il potere in Mesopotamia fino alla sconfitta dell’Impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale. Nel 1920, per decisione della Società delle Nazioni, fu creato il Mandato britannico di Mesopotamia e la condizione delle popolazioni non musulmane migliorò sotto molteplici aspetti.

Così molti membri della locale comunità ebraica poterono accedere ad importanti incarichi statali in qualità di alti funzionari amministrativi, nelle ferrovie, nelle poste, e nella banca dello Stato. Anche in ambito privato raggiunsero posizioni di prestigio: non pochi divennero avvocati, notai, giornalisti, imprenditori e grandi commercianti. Ma già a metà degli anni ’30 una grande ondata di filo nazismo – con conseguente risorgere di anti giudaismo – attraversò tutto il mondo arabo. Nello specifico in Iraq (dal 1932 divenuto uno Stato indipendente) si tradusse in una sempre maggiore ostilità verso la comunità ebraica. Le cose andarono peggiorando con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. L’avversione anti inglese divenne estremamente diffusa e fu alimentata dalla propaganda nazista. In questo clima ormai avvelenato, diverse figure religiose iniziarono ad aizzare gli animi contro gli abitanti ebrei. Uno dei maggiori responsabili di questo crescente odio antiebraico fu il Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini, che scappato dalla Palestina mandataria dopo aver iniziato una rivolta anti inglese nel 1936 e ricercato, trovò rifugio a Bagdad nel 1939. Qui iniziò una violenta propaganda anti inglese e anti ebraica che ebbe molto seguito tra la popolazione irachena. Ad aprile del 1941 fu tra gli organizzatori del golpe che portò un gruppo di ufficiali dell’esercito a prendere il potere. Il nuovo governo si schierò apertamente dalla parte dell’Asse.

Il 9 maggio, Amin al-Husseini, emise una fatwa per chiamare la jihad contro gli inglesi e gli ebrei in tutto il Medio Oriente. Il rapido intervento militare inglese depose il governo filo nazista in meno di un mese di combattimenti. Ma ormai, per gli ebrei iracheni, la situazione era segnata. Amin al-Husseini riuscì ancora una volta a scappare alla cattura inglese e fuggì in Iran, da lì raggiunse poi l’Italia e la Germania dove continuò il suo appoggio ai due regimi.

In Iraq l’1-2 giugno di verificò un violentissimo pogrom antiebraico – Farhud in arabo – che ricordava per molti aspetti la “notte dei cristalli” del 1938. Fu un orgia di sangue e devastazioni che colpirono diverse comunità ebraiche in tutto l’Iraq. I soldati inglesi non intervennero per due interi giorni. Alla fine si contarono quasi 200 morti e migliaia di feriti e mutilati. I danni materiali a proprietà furono incalcolabili. Questo violento atto criminale verso dei civili inermi fu solo l’ultimo atto, come si accennava in precedenza, di una crescente ostilità antiebraica che già si manifestava dalla metà degli anni ’30. È infatti da questo momento che funzionari statali ebrei furono allontanati da molti incarichi statali e dalle scuole pubbliche. Anche iscriversi agli studi superiori, per gli ebrei, risultava sempre più difficile. Ormai era sempre più evidente che per gli ebrei iracheni, la situazione stava peggiorando in modo drammatico. Un ulteriore campanello d’allarme, prima del Farhud del giugno 1941, fu il ritrovamento durante i disordini seguiti al colpo di stato del ‘41, da parte di un ufficiale ebreo dell’esercito iracheno, Shaul Sehayit, di un documento top secret dell’esercito che era l’ordine dell’alto comando di predisporre la lista di tutti gli ebrei e dei loro beni presenti nel Paese. Si stavano seguendo le orme di quanto era appena avvenuto in Germania. L’occupazione inglese che durò tutto il periodo della guerra ebbe l’effetto di sospendere momentaneamente le manifestazioni antiebraiche più violente, ma il fuoco covava sotto la cenere. Il nuovo pretesto per sfogare i sentimenti antiebraici fu la questione della spartizione del Mandato britannico di Palestina nel novembre 1947. Immediatamente dopo che fu diffusa la notizia dell’approvazione in sede ONU della spartizione, scoppiarono disordini e violenze antiebraiche. Questa volta con l’aggiunta di vere e proprie spoliazioni e confische dei beni e delle proprietà detenute dagli ebrei. Le scuse erano le più variegate: si andava da presunte violazioni fiscali, amministrative o semplicemente si “convincevano” i proprietari ebrei a cedere le loro attività o case a cifre irrisorie. Alla fine degli anni ’40 la comunità ebraica irachena contava ancora più di 130.000 persone. Nel giro di una paio danni si ridussero a meno di 10.000 per, poi, scomparire totalmente nel corso degli anni ’60.

Nel 1948 dopo la proclamazione dell’indipendenza di Israele e l’aggressione araba allo Stato neonato, la situazione degli ebrei iracheni si era fatta insostenibile. Il 19 luglio di quell’anno fu modificato il codice penale con la legge 51. Questa modifica comportò il reato di “sionismo” che diventava un crimine punibile con 7 anni di carcere. L’accusa, che poteva colpire un qualsiasi ebreo iracheno, poteva essere sostenuta da due “testimoni” musulmani. Per gli ebrei non c’era possibilità di ricorrere in appello. Nel giro di pochissimi mesi centinaia di ebrei furono, conseguentemente, arrestati torturati e privati completamente delle loro proprietà. In alcuni casi si arrivò alla pubblica impiccagione degli accusati, che erano generalmente i più facoltosi, e i loro beni sequestrati. Nel giro di pochi mesi oltre 1500 ebrei furono cacciati dai loro incarichi statali e furono costretti a vivere in miseria. Stessa sorte capitò ai dipendenti ebrei del porto di Bassora e ai dipendenti delle ferrovie. È da sottolineare che questi licenziamenti in massa causarono forti ripercussioni economiche in tutto il paese. Ma più l’economia peggiorava più si dava colpa a “complottisti ebrei” che agivano nell’interesse di Israele. Iniziò poi il boicottaggio delle attività commerciali, dei professionisti e dei negozianti. Il valore delle proprietà ebraiche crollò dell’80%. Agli ebrei iracheni non restava alternativa alla fuga dal paese.

Tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949 si formarono intere carovane di persone in fuga verso l’Iran, che era l’unico paese che si dimostrava disposto – dietro a cospicue “mance” – ad accettare gli ebrei in fuga per raggiungere altri paesi. La corruzione dai piccoli funzionari di frontiere raggiunse i più alti livelli dello Stato. Più gente scappava più la corruzione diventava onerosa. Fu un autentico business sulla pelle di gente disperata in fuga. Per tutto il 1949 furono circa 1000 ebrei al mese che riuscirono a scappare dal paese, tra mille difficoltà e lasciando tutto ciò che avevano, ma per le autorità ciò non era sufficiente.

Il 3 marzo 1950, fu approvato una modifica alla Legge 1. Questa modifica, il “Denaturalization act”, autorizzava lo Stato a revocare la cittadinanza a tutti gli ebrei che volevano lasciare il paese, ricalcando in tutto e per tutto ciò che era avvenuto in Germania negli anni trenta. Con la perdita di cittadinanza si aveva il contestuale “congelamento” di ogni proprietà. Da questo momento ogni cittadino ebreo che si registrava per emigrare perdeva automaticamente tutti i beni. Le autorità irachene pensarono che solo gli ebrei già ridotti in miseria avrebbero deciso di emigrare, invece praticamente l’intera comunità decise di chiedere il permesso all’espatrio (la validità era per un anno) per il timore di rimanere prigionieri in uno Stato che li stava pesantemente discriminando. Nel giro di poche settimane decine e decine di migliaia di rifugiati si ritrovarono in campi profughi allestiti alla bene e meglio in Iran. Pensare di immigrare via terra era impossibile visto il numero altissimo di profughi. A questo punto intervenne il Mossad per organizzare un ponte aereo per condurre questi disperati in Israele. Era una corsa contro il tempo prima che il governo iracheno cambiasse idea e non ne permettesse più l’uscita. Si decise così di ripetere, in grande, l’operazione che permise il salvataggio della comunità ebraica yemenita due anni prima. Fu contatta nuovamente la compagnia aerea Alaska Airlines – a nessun aereo israeliano era permesso il sorvolo e l’atterraggio nei paesi arabi e in Iran – e fu creata una finta compagnia aerea ad hoc per l’operazione di salvataggio: la Near East Air Transport. In un anno furono trasportate in Israele poco più di 40.000 persone. Gli aerei dovevano fare scalo a Nicosia (sull’isola di Cipro) per tenere nascosta la destinazione finale: Tel Aviv. Per poter velocizzare le operazioni e poter raccogliere i profughi direttamente in Iraq, fu stretta una collaborazione con un partner locale, la Iraq Tours, il cui proprietario era niente di meno che il primo ministro iracheno in persona: Tawfig as-Suwaydi, colui che aveva proposto il “Denaturalization act” e ora si apprestava ad arricchirsi sulle disgrazie da lui prodotte. L’operazione di aviotrasporto fu chiamata “operazione Ezra e Nenemiah”. Gli ebrei in fuga erano taglieggiati e umiliati sia durante il trasporto verso l’aeroporto sia all’interno dello scalo. Non c’era guardia o soldato che non cercasse di trarre profitto dai disperati in fuga. Le operazioni di imbarco erano molto spesso rallentate appositamente dalle guardie irachene che non rilasciavano i timbri necessari se non dietro lauti compensi. La situazione era giunta ad un punto drammatico: decine e decine di migliaia di persone, che nel frattempo erano stati privati della cittadinanza e dei loro beni, dormivano in aeroporto e nelle strade circostanti in attesa di un imbarco. La situazione era così critica che le autorità minacciarono di rinchiudere i senza tetto in campi di concentramento se non fossero partiti velocemente. C’era bisogno di un numero maggiore di aerei. Non mancarono i pretendenti a questo lucrativo trasporto di disperati. Il Mossad dovette pagare onerosi contratti di affitto a due compagnie aeree inglesi: la BOAC e la BEA. Mentre il contratto di manutenzione e “servizi” a terra fu dovuto essere affidato alla compagnia irachena Iraq Airways con tanto di tangente per ogni volo. I voli continuarono senza sosta fino al marzo 1951. Israele si trovò in una situazione di grave emergenza. Gli arrivi incessanti erano talmente numerosi che lo Stato non disponeva più ne di abitazioni ne di tende sufficienti ad accogliere tutti. Bisogna ricordare che dal 1948 anno della sua fondazione al 1951, con l’arrivo degli ebrei dai paesi arabi (Yemen, Egitto, Tunisia, Marocco e Iraq) la popolazione dello Stato era raddoppiata. Mai nella storia moderna di uno Stato era successo qualcosa di paragonabile.

Nel frattempo, nel marzo del 1951, il governo iracheno aveva approvato la Legge 5 con la quale si congelavano a “tempo indeterminato” tutti i beni degli ebrei in fuga. Questo escamotage permise all’Iraq di appropriarsi di tutti i loro beni senza operare una confisca vera e propria, così da non incorrere in infrazioni del diritto internazionale. In questo modo nessuno avrebbe potuto mai reclamare davanti ad un giudice in altri Stati. Quando fu approvata questa legge, per essere sicuri che nessun ebreo potesse prelevare un po di denaro, il governo ordinò la chiusura di tutte le banche per tre giorni. Oltre a ciò il governo iracheno dichiarò che dopo il 31 maggio del 1951, non sarebbero stati rilasciati più visti di emigrazione. Israele si trovò nella difficilissima situazione di assorbire tutti gli ebrei iracheni nel più breve tempo possibile per paura che migliaia di persone rimanessero prigioniere in uno Stato che non le riconosceva più come cittadini. Furono incrementati i voli – ormai si volava giorno e notte – fino a trasportare più di 15.000 persone al mese. Entro la fine del 1951 praticamente tutta la comunità ebraica irachena si era stabilita in Israele con i soli abiti che aveva indosso.




La lotta per l'anima ebraica di Israele
Gershon Hacohen
Traduzione di Niram Ferretti
17 marzo 2020

http://www.linformale.eu/la-lotta-per-l ... i-israele/


Fin dal suo inizio, il movimento sionista si impegnò per la piena uguaglianza civile e religiosa della minoranza non ebrea nel futuro Stato ebraico (come stipulato nella Dichiarazione Balfour del 1917 e nel Mandato della Società delle Nazioni).

Secondo un progetto di costituzione del futuro stato ebraico, preparato da Ze’ev Jabotinsky nel 1934, gli arabi e gli ebrei avrebbero dovuto condividere tutti i diritti e doveri, compreso il servizio militare e civile; l’ebraico e l’arabo avrebbero dovuto godere della stessa posizione legale; e “In ogni gabinetto in cui il primo ministro è ebreo, il vice premierato sarà offerto a un arabo e viceversa”.

Facendo eco a questa visione, circa un decennio dopo, David Ben-Gurion dichiarò che “Non si dovrebbe nemmeno contemplare uno Stato ebraico privo di piena e assoluta uguaglianza, politica, civile e nazionale, per tutti i suoi residenti e cittadini … in uno Stato ebraico, un arabo potrebbe essere eletto primo ministro o presidente, se idoneo per il posto “.

Ciò venne esplicitato tra l’altro dalla Proclamazione della Indipendenza di Israele (14 maggio 1948), la quale garantiva “La completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti indipendentemente da religione, razza o sesso” e sollecitava i cittadini arabi dello stato nascente “a partecipare all’edificazione dello Stato sulla base della piena ed equa cittadinanza e della dovuta rappresentanza in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti”. Questa visione ultraliberale e inclusiva si basava sul presupposto – alla base dell’essenza di tutti gli stati-nazione – dell’accettazione da parte dei suoi cittadini della sua legittimità e del loro rispetto delle sue leggi, norme e regolamenti.

Per raggiungere questo obiettivo, Israele ha approvato la Legge del ritorno, che garantisce agli ebrei, ovunque essi si trovino, il diritto alla cittadinanza qualora dovessero scegliere di rendere Israele la loro casa, nonché una legislazione specifica volta a salvaguardare il carattere ebraico di Israele, in particolare la Legge fondamentale : La Knesset (articolo 7A), ha stipulato che:

Una lista di candidati non deve partecipare alle elezioni per la Knesset e una persona non deve essere candidata per l’elezione alla Knesset, se gli oggetti o le azioni della lista o le azioni della persona, espressamente o implicitamente, includono uno dei seguenti elementi:

1. La negazione dell’esistenza dello Stato di Israele in quanto Stato ebraico e democratico;

2. istigazione al razzismo;

3. Il sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele.

Di fatto, quando, nel 1965, la Commissione elettorale centrale squalificò la Lista socialista araba organizzata dal movimento irredentista al-Ard, che respingeva la stessa esistenza di Israele, dalla competizione per la Knesset, la Corte Suprema ratificò quella misura sotto la dottrina della “democrazia difensiva”. Come affermato dalla Corte in un’opinione a maggioranza: “Non vi è alcun dubbio che lo Stato di Israele non è solo uno Stato sovrano, indipendente, che protegge la libertà ed è caratterizzato dal governo del popolo, ma anche che è stato stabilito ‘come uno Stato ebraico nella Terra di Israele’ “.

Da allora, e soprattutto dopo il varo del “processo di pace” di Oslo nel 1993, i partiti arabi di Israele hanno subito una massiccia radicalizzazione. Ignorando la legislazione che vieta le visite non autorizzate degli israeliani negli stati nemici, Azmi Bishara, leader fondatore dell’ultranazionalista partito Balad (con seggi nel parlamento israeliano dal 1999), si recò a Damasco per commemorare la morte di Hafez Assad, uno dei nemici più implacabili di Israele, da dove implorò gli Stati arabi di consentire alle “attività di resistenza” anti-israeliane, espresse ammirazione per Hezbollah ed esortò gli arabi israeliani a celebrare i risultati dell’organizzazione terroristica e a fare proprie le sue strategie operative.

Il suo pari alla Knesset, Ahmad Tibi era fuori di sé dalla gioia per riuscire ad incontrare il figlio del tiranno defunto, Bashar Assad (nel gennaio 2009), che presto avrebbe continuato a massacrare centinaia di migliaia dei suoi stessi cittadini. “I capi di stato stanno implorando di stringere la mano di Assad, strisciando per stringergli la mano”, gongolò in una riunione elettorale araba israeliana. “Eppure quello che non riescono a ottenere nonostante il loro strisciare, altri lo ottengono.”

L’anno seguente, Tibi si recò in Libia con una delegazione di parlamentari arabi israeliani per incontrare il dittatore Muammar Gheddafi, che regnò a lungo (e che sarebbe stato deposto a breve), lodandolo come “Re degli Arabi” e che fu elogiato da uno dei delegati di Tibi come “Un uomo di pace che tratta il suo popolo nel miglior modo possibile”.

Di fronte alle aspre critiche della Knesset al loro ritorno, il membro della Knesset Taleb Sana non fece ammenda. “Il nemico di Israele è Israele stesso”, disse. “Come ha detto Gheddafi durante la visita, gli arabi non hanno alcun problema con gli ebrei ma solo con il sionismo. Forse imparerete e capirete un giorno, cioè: abolite lo Stato ebraico di Israele.”

A quest’epoca, gli appelli espliciti alla distruzione di Israele avevano sostituito il sostegno non esplicito degli anni ’90 nei confronti di questo obiettivo. Bishara, il cui partito Balad era basato sulla trasformazione di Israele “in uno Stato di tutti i suoi cittadini” (l’eufemismo standard per la sua trasformazione in uno Stato arabo in cui gli ebrei sarebbero ridotti a una minoranza permanente), divenne sempre più esplicito dopo la sua fuga dal paese nel 2006 per evitare l’arresto e le azioni penali per tradimento, avendo presumibilmente assistito Hezbollah durante la guerra contro Israele nell’estate di quell’anno, quando aveva predetto che il destino dello Stato ebraico sarebbe stato identico a quello degli stati crociati. (Dieci anni dopo, Balad e il partito comunista Hadash avrebbero condannato la designazione da parte della Lega araba di Hezbollah come organizzazione terroristica, in quanto funzionale agli interessi di Israele.)

Il suo successore, Jamal Zahalka, preferì adottare una metafora più contemporanea, sostenendo che proprio come l’apartheid sudafricano era stato rimosso, così la sua controparte sionista avrebbe dovuti essere distrutta, mentre il “comitato nazionale dei capi dei comuni arabi locali in Israele”, la leadership reale degli arabi israeliani, pubblicò un lungo documento che delineava la sua “Visione futura per gli arabi palestinesi in Israele”. Il documento derideva Israele come “un prodotto dell’azione colonialista avviata dalle élite ebraico-sioniste in Europa e in Occidente”, che, accusavano, aveva perseguito “una politica interna colonialista contro i suoi cittadini arabi palestinesi”. Il documento quindi rigettava la persistente esistenza di Israele in quanto Stato ebraico e chiedeva la sua sostituzione con un sistema che garantisse i “diritti nazionali, storici e civili arabi sia a livello individuale che collettivo”.

Siccome questa costante ondata ultranazionalista venne accolta da una corrispondente riluttanza da parte del sistema legale nel fare rispettare la legislazione progettata per garantire il carattere ebraico di Israele (prima delle elezioni del febbraio 2009 e dell’aprile 2019, ad esempio, la Corte suprema annullò la squalifica della Commissione elettorale centrale di Balad e posè il veto alla squalifica dei membri arabi della Knesset che espressero “sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele”), il rigetto dei politici arabi israeliani nei confronti della natura ebraica di Israele è diventato sempre più marcato.

Di conseguenza abbiamo Tibi che dichiara al presidente Reuven Rivlin durante le consultazioni parlamentari del settembre 2019 che “Siamo i proprietari di questa terra … non siamo immigrati qui, siamo nati qui, siamo una popolazione nativa”. Sei mesi dopo, a seguito di un altra tornata di elezioni nazionali che portò la rappresentanza alla Knesset della Lista araba al risultato senza precedenti di 15 parlamentari, Tibi divvene molto più sfacciato. “Terra di Israele è una frase colonialista”, dichiarò in un’intervista radiofonica. “Respingo con disprezzo la definizione ‘Giudea e Samaria “. Questa è la West Bank palestinese, i territori sono territori palestinesi occupati.”

Naturalmente la Terra di Israele era conosciuta come tale millenni prima dell’avvento del colonialismo europeo, o anche prima che i colonialisti romani la ribattezzassero Siria Palaestina proprio per cancellare il millenario diritto ebraico a questa terra. Le aree bibliche della Giudea e della Samaria erano conosciute con questo nome sin dai tempi biblici, migliaia di anni prima di essere ribattezzate West Bank (del Regno hascemita) nel 1950 dal re Abdullah ibn Hussein. Il Mandato della Società delle Nazioni per la Palestina delineava i confini del paese secondo la sua interpretazione del termine biblico “da Dan a Beersheba”, mentre la Palestina mandataria includeva un sostanziale distretto samariano comprendente gran parte dell’aspirante “West Bank”.

Ma che dire dei tre ex capi dello staff IDF a capo del partito Blu e Bianco? Non si rendono conto che non sono altro che gli “utili idioti” della Lista araba per l’obiettivo finale della Lista (come rivelato candidamente da Odeah, che ha descritto la collaborazione con questo partito come un trampolino di lancio per “rovesciare la regola della destra guidata da Netanyahu” in itinere per giungere alla fine “dell’egemonia sionista”)? Il loro odio per Benjamin Netanyahu li ha accecati al punto da dimenticare i valori e gli ideali per i quali hanno combattuto per decenni e mettere a rischio il futuro di Israele?





Salvatore Peregrino
Dott.Ferretti buon giorno, ho letto attentamente il tutto e le chiedo. Com'è possibile accettare una lista apertamente anti-Ebraica, considerati i dettami costituzionali. Grazie.

Niram Ferretti
È una domanda fondamentale. La risposta stupefacente è nell'articolo, "Siccome questa costante ondata ultranazionalista venne accolta da una corrispondente riluttanza da parte del sistema legale nel fare rispettare la legislazione progettata per garantire il carattere ebraico di Israele (prima delle elezioni del febbraio 2009 e dell’aprile 2019, ad esempio, la Corte suprema annullò la squalifica della Commissione elettorale centrale di Balad e posè il veto alla squalifica dei membri arabi della Knesset che espressero “sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele”), il rigetto dei politici arabi israeliani nei confronti della natura ebraica di Israele è diventato sempre più marcato". La Corte Suprema, caro Salvatore Peregrino, la risposta è qui. Sono stati i giudici che si autoleleggono e si autoperpetuano come una casta sacerdotale che lo hanno deciso, tutti a maggioranza di sinistra. La cosa la sorprende?


Gualtiero Fornetti
Incomprensibile.G

Salvatore Peregrino
La ringrazio, preciso come sempre. Buon lavoro.

Donato Di Segni
Niram Ferretti “Fin dal suo inizio, il movimento sionista si impegnò per la piena uguaglianza civile e religiosa della minoranza non ebraica nel futuro Stato ebraico (come stipulato nella Dichiarazione Balfour del 1917 e nel Mandato della Società delle Nazioni).”. Vale la pena di puntualizzare come, sia il testo della Balfour che quello del Mandato di Palestina specificano la garanzia dei diritti civili e religiosi per ogni gruppo etnico diverso da quello ebraico, includendo in questi, i diritti politici individuali e di rappresentanza, riservando i diritti politici collettivi, necessari per la costruzione di una qualsiasi realtà statuale, al solo Popolo ebraico. È in questa luce che il progetto di costituzione del 1934 di Jabotinsky deve essere visto ed è alla stessa luce che va letta la dichiarazione di indipendenza del 1948 da parte di Ben Gurion che sollecitava i cittadini arabi del futuro stato “a partecipare all’edificazione dello stato sulla base della piena ed equa cittadinanza e della dovuta rappresentanza in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti”. È proprio il rifiuto della costituente araba del proprio status di destinatario dei soli diritti politici individuali ad illudere, in primis i loro eletti in parlamento, di poter sovvertire l’implicita natura sionista dello stato ebraico a favore di un fantomatico “stato di tutti i cittadini”, magari accompagnato da un “ritorno dei “”profughi”” in palestina” che creerebbe in definitiva uno stato arabo con una minoranza ebraica. Sedersi in parlamento, dopo aver giurato fedeltà allo stato, non può e non deve trasformarsi, nella volontà di voler sovvertire lo stesso stato, alterandone l’essenza ed è per questo motivo che ogni formazione politica sionista dovrebbe rifiutarsi di associarsi con formazioni politiche arabe con riguardo speciale per quelle che dichiaratamente intendono abolire la natura sionista dello stato di Israele. Sarà poi compito dei sionisti all’interno del corpo elettorale israeliano retribuire chi sceglie in tempi di emergenza generale, di coalizzarsi con partiti arabi rifiutando soluzioni di unità nazionale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » gio mar 26, 2020 6:22 pm

Il diritto al ritorno e il diritto internazionale
e Gershon Hacohen

Traduzione di Niram Ferretti

https://www.meforum.org/60579/the-strug ... ewish-soul



http://www.linformale.eu/il-diritto-al- ... nazionale/


Fin dal suo inizio, il movimento sionista si impegnò per la piena uguaglianza civile e religiosa della minoranza non ebrea nel futuro Stato ebraico (come stipulato nella Dichiarazione Balfour del 1917 e nel Mandato della Società delle Nazioni).

Secondo un progetto di costituzione del futuro stato ebraico, preparato da Ze’ev Jabotinsky nel 1934, gli arabi e gli ebrei avrebbero dovuto condividere tutti i diritti e doveri, compreso il servizio militare e civile; l’ebraico e l’arabo avrebbero dovuto godere della stessa posizione legale; e “In ogni gabinetto in cui il primo ministro è ebreo, il vice premierato sarà offerto a un arabo e viceversa”.

Facendo eco a questa visione, circa un decennio dopo, David Ben-Gurion dichiarò che “Non si dovrebbe nemmeno contemplare uno Stato ebraico privo di piena e assoluta uguaglianza, politica, civile e nazionale, per tutti i suoi residenti e cittadini … in uno Stato ebraico, un arabo potrebbe essere eletto primo ministro o presidente, se idoneo per il posto “.

Ciò venne esplicitato tra l’altro dalla Proclamazione della Indipendenza di Israele (14 maggio 1948), la quale garantiva “La completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti indipendentemente da religione, razza o sesso” e sollecitava i cittadini arabi dello stato nascente “a partecipare all’edificazione dello Stato sulla base della piena ed equa cittadinanza e della dovuta rappresentanza in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti”. Questa visione ultraliberale e inclusiva si basava sul presupposto – alla base dell’essenza di tutti gli stati-nazione – dell’accettazione da parte dei suoi cittadini della sua legittimità e del loro rispetto delle sue leggi, norme e regolamenti.

Per raggiungere questo obiettivo, Israele ha approvato la Legge del ritorno, che garantisce agli ebrei, ovunque essi si trovino, il diritto alla cittadinanza qualora dovessero scegliere di rendere Israele la loro casa, nonché una legislazione specifica volta a salvaguardare il carattere ebraico di Israele, in particolare la Legge fondamentale : La Knesset (articolo 7A), ha stipulato che:

Una lista di candidati non deve partecipare alle elezioni per la Knesset e una persona non deve essere candidata per l’elezione alla Knesset, se gli oggetti o le azioni della lista o le azioni della persona, espressamente o implicitamente, includono uno dei seguenti elementi:

1. La negazione dell’esistenza dello Stato di Israele in quanto Stato ebraico e democratico;

2. istigazione al razzismo;

3. Il sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele.

Di fatto, quando, nel 1965, la Commissione elettorale centrale squalificò la Lista socialista araba organizzata dal movimento irredentista al-Ard, che respingeva la stessa esistenza di Israele, dalla competizione per la Knesset, la Corte Suprema ratificò quella misura sotto la dottrina della “democrazia difensiva”. Come affermato dalla Corte in un’opinione a maggioranza: “Non vi è alcun dubbio che lo Stato di Israele non è solo uno Stato sovrano, indipendente, che protegge la libertà ed è caratterizzato dal governo del popolo, ma anche che è stato stabilito ‘come uno Stato ebraico nella Terra di Israele’ “.

Da allora, e soprattutto dopo il varo del “processo di pace” di Oslo nel 1993, i partiti arabi di Israele hanno subito una massiccia radicalizzazione. Ignorando la legislazione che vieta le visite non autorizzate degli israeliani negli stati nemici, Azmi Bishara, leader fondatore dell’ultranazionalista partito Balad (con seggi nel parlamento israeliano dal 1999), si recò a Damasco per commemorare la morte di Hafez Assad, uno dei nemici più implacabili di Israele, da dove implorò gli Stati arabi di consentire alle “attività di resistenza” anti-israeliane, espresse ammirazione per Hezbollah ed esortò gli arabi israeliani a celebrare i risultati dell’organizzazione terroristica e a fare proprie le sue strategie operative.

Il suo pari alla Knesset, Ahmad Tibi era fuori di sé dalla gioia per riuscire ad incontrare il figlio del tiranno defunto, Bashar Assad (nel gennaio 2009), che presto avrebbe continuato a massacrare centinaia di migliaia dei suoi stessi cittadini. “I capi di stato stanno implorando di stringere la mano di Assad, strisciando per stringergli la mano”, gongolò in una riunione elettorale araba israeliana. “Eppure quello che non riescono a ottenere nonostante il loro strisciare, altri lo ottengono.”

L’anno seguente, Tibi si recò in Libia con una delegazione di parlamentari arabi israeliani per incontrare il dittatore Muammar Gheddafi, che regnò a lungo (e che sarebbe stato deposto a breve), lodandolo come “Re degli Arabi” e che fu elogiato da uno dei delegati di Tibi come “Un uomo di pace che tratta il suo popolo nel miglior modo possibile”.

Di fronte alle aspre critiche della Knesset al loro ritorno, il membro della Knesset Taleb Sana non fece ammenda. “Il nemico di Israele è Israele stesso”, disse. “Come ha detto Gheddafi durante la visita, gli arabi non hanno alcun problema con gli ebrei ma solo con il sionismo. Forse imparerete e capirete un giorno, cioè: abolite lo Stato ebraico di Israele.”

A quest’epoca, gli appelli espliciti alla distruzione di Israele avevano sostituito il sostegno non esplicito degli anni ’90 nei confronti di questo obiettivo. Bishara, il cui partito Balad era basato sulla trasformazione di Israele “in uno Stato di tutti i suoi cittadini” (l’eufemismo standard per la sua trasformazione in uno Stato arabo in cui gli ebrei sarebbero ridotti a una minoranza permanente), divenne sempre più esplicito dopo la sua fuga dal paese nel 2006 per evitare l’arresto e le azioni penali per tradimento, avendo presumibilmente assistito Hezbollah durante la guerra contro Israele nell’estate di quell’anno, quando aveva predetto che il destino dello Stato ebraico sarebbe stato identico a quello degli stati crociati. (Dieci anni dopo, Balad e il partito comunista Hadash avrebbero condannato la designazione da parte della Lega araba di Hezbollah come organizzazione terroristica, in quanto funzionale agli interessi di Israele.)

Il suo successore, Jamal Zahalka, preferì adottare una metafora più contemporanea, sostenendo che proprio come l’apartheid sudafricano era stato rimosso, così la sua controparte sionista avrebbe dovuti essere distrutta, mentre il “comitato nazionale dei capi dei comuni arabi locali in Israele”, la leadership reale degli arabi israeliani, pubblicò un lungo documento che delineav la sua “Visione futura per gli arabi palestinesi in Israele”. Il documento derideva Israele come “un prodotto dell’azione colonialista avviata dalle élite ebraico-sioniste in Europa e in Occidente”, che, accusavano, aveva perseguito “una politica interna colonialista contro i suoi cittadini arabi palestinesi”. Il documento quindi rigettava la persistente esistenza di Israele in quanto Stato ebraico e chiedeva la sua sostituzione con un sistema che garantisse i “diritti nazionali, storici e civili arabi sia a livello individuale che collettivo”.

Siccome questa costante ondata ultranazionalista venne accolta da una corrispondente riluttanza da parte del sistema legale nel fare rispettare la legislazione progettata per garantire il carattere ebraico di Israele (prima delle elezioni del febbraio 2009 e dell’aprile 2019, ad esempio, la Corte suprema annullò la squalifica della Commissione elettorale centrale di Balad e posè il veto alla squalifica dei membri arabi della Knesset che espressero “sostegno alla lotta armata, da parte di uno Stato ostile o di un’organizzazione terroristica, contro lo Stato di Israele”), il rigetto dei politici arabi israeliani nei confronti della natura ebraica di Israele è diventato sempre più marcato.

Di conseguenza abbiamo Tibi che dichiara al presidente Reuven Rivlin durante le consultazioni parlamentari del settembre 2019 che “Siamo i proprietari di questa terra … non siamo immigrati qui, siamo nati qui, siamo una popolazione nativa”. Sei mesi dopo, a seguito di un altra tornata di elezioni nazionali che portò la rappresentanza alla Knesset della Lista araba al risultato senza precedenti di 15 parlamentari, Tibi divvene molto più sfacciato. “Terra di Israele è una frase colonialista”, dichiarò in un’intervista radiofonica. “Respingo con disprezzo la definizione ‘Giudea e Samariaì “. Questa è la West Bank palestinese, i territori sono territori palestinesi occupati.”

Naturalmente la Terra di Israele era conosciuta come tale millenni prima dell’avvento del colonialismo europeo, o anche prima che i colonialisti romani la ribattezzassero Siria Palaestina proprio per cancellare il millenario diritto ebraico a questa terra. Le aree bibliche della Giudea e della Samaria erano conosciute con questo nome sin dai tempi biblici, migliaia di anni prima di essere ribattezzate West Bank (del Regno hascemita) nel 1950 dal re Abdullah ibn Hussein. Il Mandato della Società delle Nazioni per la Palestina delineava i confini del paese secondo la sua interpretazione del termine biblico “da Dan a Beersheba”, mentre la Palestina mandataria includeva un sostanziale distretto samariano comprendente gran parte dell’aspirante “West Bank”.

Ma che dire dei tre ex capi dello staff IDF a capo del partito Blu e Bianco? Non si rendono conto che non sono altro che gli “utili idioti” della Lista araba per l’obiettivo finale della Lista(come rivelato candidamente da Odeah, che ha descritto la collaborazione con questo partito come un trampolino di lancio per “rovesciare la regola della destra guidata da Netanyahu” in itinere per giungere alla fine “dell’egemonia sionista”)? Il loro odio per Benjamin Netanyahu li ha accecati al punto da dimenticare i valori e gli ideali per i quali hanno combattuto per decenni e mettere a rischio il futuro di Israele?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » gio mar 26, 2020 6:23 pm

CI ERAVAMO TANTO AMATI
Niram Ferretti
26 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

E così saltò per aria la Sacra Alleanza contro Benjamin Netanyahu. Il Partito Bianco e Blu è a pezzi. Benny Gantz, colui che definiva Bibi, Erdogan, ha deciso. Diventerà portavoce della Knesset e poi entrerà in un governo di coalizione con Netanyahu. Netanyahu resterà primo ministro fino al settembre 2021 e poi Gantz gli darà il cambio. Ma tante cose possono succedere politicamente da qui al 2021.

I più giustizialisti della coalizione Bianco e Blu sono rimasti con un palmo di naso, i Lapid, gli Ya'alon. La lista araba resterà dove deve restare, all'opposizione.

La pasionaria di Meretz, il partito del lumicino, l'equivante israeliano di Rifondazione Comunista, Tamara Zandberg, ha una crisi isterica.

"Finirai sotto i piedi di un presunto imbroglione, di un incitatore e un razzista. Siamo scioccati nel tentativo di interiorizzare la profondità dell'inganno ... il disastro che stai causando a milioni di elettori che hanno appoggiato il blocco democratico di sinistra ... che hanno cercato un'alternativa a Netanyahu".

Ridiamo di gusto all'espettorazione della Zandberg. Nessun inganno Tamar. Gantz è ambizioso. Vuole fare il premier, ma non ha proprio le caratteristiche del leader. Imparerà qualcosa a scuola di Bibi come Ministro degli Esteri.

Bibi lo guiderà amorevolmente.



Israele, Gantz presidente della Knesset:si va verso un nuovo governo Netanyahu
5-6 minuti
Gantz nuovo presidente della Knesset

Israele avrà finalmente un governo, dopo oltre un anno di stallo politico, ma la situazione nel Paese resta infuocata. Benny Gantz, leader della coalizione di centro-sinistra, è stato eletto nuovo Presidente del Parlamento con i voti del blocco di destra. La decisione ha spaccato l’alleanza di Blu e bianco, la coalizione tripartita alla guida della quale Gantz si era presentato alle elezioni, promettendo di mandare a casa Benjamin Netanyahu. Gli ex alleati ora insorgono e gridano al tradimento, mentre Gantz si prepara a formare un governo di unità nazionale con il Likud.

Un vero e proprio tradimento per gli alleati, a cominciare da Yair Lapid e Moshe Ya'alon con i quali aveva formato Blu e bianco poco più di un anno fa, unendo i loro partiti Yesh Atid e Telem alla sua formazione Israel Resilience (Hosen L'Israel) appena tenuta a battesimo. Indignato il partito di estrema sinistra Meretz: Gantz "ha costruito sé stesso su una sola promessa: una leadership alternativa - sottolinea la sua leader Nitzan Horowitz - Entrare a far parte di un governo Netanyahu è sputare in faccia e tradire gli elettori di Blu e bianco e l'intero blocco di centro-sinistra".

Il punto di svolta è l'elezione del presidente della Knesset, dopo le dimissioni di Yuli Edelstein, deputato del Likud e alleato di Netanyahu, costretto ieri a lasciare sotto le pressioni di Blu e bianco e un ordine dell'Alta Corte. Il nome che era stato fatto per sostituirlo era quello di Meir Cohen, fedelissimo di Lapid, ma per il Likud è inaccettabile e minaccia di far saltare i negoziati per un governo di unità che negli ultimi giorni hanno fatto passi avanti.

Il partito di Lapid infatti non fa parte dei piani di governo e non può quindi detenere quella carica, è il ragionamento che il capogruppo parlamentare del Likud Miki Zohar presenta all'ex capo di Stato maggiore. E Gantz, in nome della convinzione-slogan che "Israele viene prima di tutto", accetta.

A spingere in questa direzione, l'emergenza coronavirus che finora ha fatto oltre 2.600 contagi e 8 morti nello Stato ebraico: il Paese è bloccato, vietati gli spostamenti non essenziali, ridotti all'osso i trasporti, chiusi gli esercizi commerciali così come parchi e sinagoghe. ​

La settimana scorsa Benny Gantz era stato incaricato formalmente dal presidente Reuven Rivlin di formare una coalizione di governo, forte del sostegno della maggioranza dei deputati (61): ad appoggiarlo, oltre a Blu e bianco, la coalizione di centro-sinistra Labour-Gesher-Meretz e il partito ultranazionalista di destra russofono Yisrael Beitenu di Avigdor Liberman, insieme alla Lista Unita araba. Ma l'ipotesi di un governo di minoranza con l'appoggio esterno dei deputati arabo-israeliani aveva incontrato ostacoli e suscitato malumori, anche all'interno dello stesso partito centrista di Gantz. Riprende quota il progetto di un governo di unità, caldeggiato dallo stesso Rivlin.
Verso un nuovo governo Netanyahu

Con la sua elezione a presidente della Knesset, Gantz dà ossigeno ai negoziati con il Likud che ricambia votandolo insieme ai partiti del blocco di destra. La mozione passa con 74 voti a favore e 18 contrari, tra cui parlamentari di Yisrael Beitenu, Yesh Atid e Labor. A questo punto si lavora alla spartizione delle poltrone: indiscrezioni di stampa sostengono che Israel Resilience avrà pari ministri dell'intero blocco di destra nonostante il numero nettamente inferiore di deputati.

Sempre secondo i media, a presiedere l'esecutivo per i primi 18 mesi sarà Netanyahu e al suo blocco di destra verrà data, tra le altre cariche, anche la presidenza del Parlamento che Gantz lascerà non appena verrà formato il governo. A lui infatti andrà il ministero degli Esteri, Yehiel Moshe Tropper sarà alla guida del dicastero della Giustizia e Gabi Ashkenazi alla Difesa; a settembre 2021 ci sarà la rotazione della premiership e Gantz assumerà la guida del governo.
Blu e bianco si spacca

Per l'ormai ex alleato Ya'alon, il suo è un suicidio politico. Ancora più dura in aula la laburista Merav Michaeli: "Volevi essere Yitzhak Rabin ma sei finito come un altro ex capo di Stato maggiore Shaul Mofaz, un uomo simpatico ma una caricatura di un politico che ha ceduto a Netanyahu e la cui carriera si è conclusa poco dopo". Gantz tira dritto e, prendendo la parola dopo essere stato eletto alla guida della Knesset, rivendica la scelta: "Ha vinto la democrazia", afferma, celebrando quello che non è un giorno gioioso ma "importante". ​"Prometto a tutti gli israeliani di fare la cosa giusta in questo momento", aggiunge, assicurando che non scenderà a "compromessi sui principi per i quali hanno votato oltre un milione di cittadini".




UN TENTATIVO DI COLPO DI STATO FALLITO
Ugo Volli
26 marzo 2020

https://www.facebook.com/ugo.volli/post ... 0507493776

Alla luce di quel che è successo oggi in Israele, con l'accordo fra Netanyahu e Ganz e la frantumazione del partito dell'odio anti-Bibi, l'interferenza della corte suprema nei tempi di convocazione della Knesset (il Parlamento israeliano) e il tentativo di estromettere a colpi di ordinanze giudiziarie il suo presidente, contro la legge e la prassi consolidata, assumono un aspetto ancora più grave dell'evidente violazione della separazione dei poteri.
È facile immaginare che qualcuno sapesse dei contatti fra Netanyahu e Gantz e pensasse che il solo modo per evitare l'accordo fosse di nominare alla testa della Knesset un presidente della fazione più fanaticamente nemica di Natanyahu, per far passare subito i progetti di legge ad personam che gli avrebbero impedito di fare il primo ministro di coalizione e avrebbero così fatto saltare l'accordo, al prezzo per Israele dell'impossibilità di formare il governo e di quarte elezioni in mezzo all'emergenza coronavirus.
Come ha fatto capire Edelstein, il presidente della Knesset che Lapid e la corte suprema hanno voluto a tutti i costi estromettere, c'era una trattativa da chiudere e ci voleva ancora un po' di tempo. Che la corte suprema abbia cercato di far saltare l'accordo politico che probabilmente ha dato una maggioranza a Israele, violando la legge che attribuisce al presidente della legislatura passata i tempi di convocazione della nuova e di elezione delle cariche interne, è qualche cosa che somiglia molto a un tentativo di golpe. Il golpe è stato sventato dalle dimissioni di Edelstein e dalla velocità con cui Netanyahu è riuscito a chiudere l'accordo, oltre che dalla volontà chiarissima dell'elettorato che ha convinto Gantz a uscire dall'angolo dell'opposizione preconcetta (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/277881 ).
Non era mai successo un'interferenza così grave dell'apparato giudiziario non solo in Israele ma in qualunque democrazia occidentale. C'è da sperare che sia l'ultima volta, che il nuovo governo riesca a riportare i giudici alla funzione di dare giustizia e a toglier loro il vizio di dettare l'agenda politica
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » ven mar 27, 2020 8:25 pm

Netanyahu ancora in sella
Niram Ferretti
27 Marzo 2020

http://www.linformale.eu/netanyahu-ancora-in-sella/

La coalizione Bianco Blu da ieri non c’è più, si è dissolta appena Benny Gantz, il suo frontrunner, ha deciso di accettare di diventare il nuovo portavoce della Knesset al posto di Yuli Edelstein, e di accettare di formare con i suoi 15 parlamentari un governo di coalizione con Benjamin Netanyahu.

La decisione di Gantz ha creato sconcerto, acrimonia, accusa di tradimento. Gantz, il quale aveva ripetutamente affermato che mai e poi mai avrebbe fatto un governo con Netanyahu, da lui definito un clone di Erdogan e poco meno di un criminale, ora è il nuovo partner dell’inaffondabile premier israeliano.

Ma cosa è accaduto? Al di là della retorica patriottica sul sacrificarsi per il bene del paese in un momento emergenziale come questo, Gantz ha preso atto che la realtà gli remava contro nonostante l’indubbia difficoltà in cui si trovava Netanyahu.

Lo spregiudicato tentativo da parte della coalizione Bianco e Blu di allargare la coalizione alla Lista araba garantiva solidità solo teorica, in primo luogo per il rischio di un voto non compatto alla Knesset, dovuto alla annunciata opposizione di due parlamentari e alla fuoriuscita della parlamentare in dotazione alla sinistra, Orly Levy Abekasis, in secondo luogo perché un eventuale governo nato con l’appoggio esterno degli arabi sarebbe nato in una condizione di estrema fragilità ed esposto a veti insostenibili da chi non riconosce e non ha mai riconosciuto la legittimità esistenziale di Israele. Ma tutto ciò pareva assolutamente secondario a chi spingeva fortemente per questo esito, il terzetto composto da Yair Lapid, Moshe Ya’alon e Avigdor Lieberman, tutti e tre sostanzialmente motivati a raggiungere un unico scopo, costasse quel che costasse, rimuovere Netanyahu dal trono.

L’altra opzione sul tavolo era quella di un ritorno alle urne, il quarto in un anno, in una situazione di difficoltà oggettiva dovuta al coronavirus, con un altro rischio concreto, quello di uscirne soccombenti.

Hanno giocato anche fattori squisitamente interni. Il tentativo da parte del leader di Yesh Atid, Yair Lapid, tra i più oltranzisti nella demonizzazione di Netanyahu, di strumentalizzare Gantz al fine di ottenere una propria predominanza all’interno della Knesset, cominciando dall’insediamento di un suo uomo, Meir Cohen, come portavoce del parlamento e il responso di un sondaggio riservato rivolto all’elettorato del partito secondo il quale il 61% preferiva un governo di unità nazionale ad altre ipotesi.

A questo punto a Gantz non è restato altro che rompere la coalizione elettorale e accettare di entrare a fare parte di un governo a trazione Likud guidato da Netanyahu.

Si tratterà di vedere ora quali saranno i ministeri che Netanyahu riserverà a Gantz. Si ipotizza di un suo ruolo come Ministro degli Esteri, utile per poterlo accreditare presso le cancellerie, e all’eventuale cessione a un membro del suo partito del Ministero della Giustizia, dicastero chiave, visto lo squilibrio che esiste in Israele tra potere giudiziario e potere legislativo, a notevole vantaggio del primo rispetto al secondo. Attualmente il ministero è presieduto da un fedelissimo di Netanyahu, Amir Ohana, lasciarlo a un uomo di Gantz non è sicuramente nella convenienza del premier in carica. È possibile dunque che su questo ministero chiave ci sarà attrito.

Il vincitore e i perdenti

La decisione di Gantz segna un indubbio vantaggio per Netanyahu, permettendogli di ottenere il risultato voluto. Resta in sella come premier, per un periodo annunciato di 18 mesi, dopo il quale dovrebbe essere sostituito da Gantz. Causa coronavirus, il processo che lo vede imputato per corruzione, frode e abuso di ufficio, è stato rimandato a quando la crisi sanitaria sarà stata superata. Nel frattempo può ancora guidare lui il governo garantendo al paese quella continuità di competenza e realismo politico che gli ha permesso di restare a galla ininterrottamente per l’ultimo decennio. Allearsi con Gantz diventa un male necessario, ed è difficile pensare che un politico scaltro e navigato come Netanyahu non si attiverà per trovare il modo da rendere la coabitazione il più possibile indolore.

I suoi nemici giurati, da Yair Lapid a Moshe Ya’alon a Avigdor Lieberman, i quali erano ben disposti ad allearsi con i nazionalisti arabi pur di toglierlo di mezzo utilizzando Gantz come testa di ponte per le loro manovre e vendette personali, restano come i proverbiali pifferai di montagna. Andarono per suonare e vennero suonati.




Il golpe della magistratura politicizzata
Michael Sfaradi
27 marzo 2020

https://www.nicolaporro.it/il-golpe-del ... iticizzata

Per mandare al diavolo il politicamente corretto, il primo passo è chiamare le cose con il loro vero nome. E quando la magistratura si mette di traverso nella vita politica, e come un azzeccagarbugli da quattro soldi usa ogni virgola delle leggi per piegarle ai suoi fini e togliere di mezzo gli avversari politici degli amici degli amici, ci troviamo di fronte a un colpo di stato. Legale, ma sempre di colpo di stato si tratta. Perché quando il voto dei cittadini viene annullato con dei decreti d’urgenza o sentenze di comodo, le parole Repubblica e Democrazia perdono il loro significato intrinseco e diventano stupide e inutili parole senza più senso.

Quello delle magistrature non è un golpe militare con i generali nei palazzi del potere e i carri armati nelle strade delle principali città, ma una rivoluzione legale che, in base a strane interpretazioni delle leggi in vigore, o leggi che vengono approvate in tutta fretta da maggioranze traballanti, riesce, con gli uomini giusti ai posti giusti, con i mass media compiacenti che martellano mettendo sempre in luce il cattivo da giustiziare, riesce, di fatto, a ribaltare il volere popolare che esce dalle urne o a ignorarlo trascinando il popolo in lunghissime attese di nuove elezioni che sembrano sempre più una chimera.

Si tratta di un continuo lavaggio del cervello dove la maggioranza della gente, alla fine, un po’ perché ‘se lo dicono loro vuol dire che è vero’, un po’ perché presa per sfinimento, accetta anche l’inaccettabile. A quel punto piegare lo Stato, qualsiasi Stato, diventa un gioco da ragazzi e il golpe è realizzato senza aver sparato neanche una pallottola. Bastano due firme e un paio di timbri.

Non sono rari i casi, l’ho scritto mille volte e lo ripeto, anche perché negli ultimi anni la cosa si è fatta sempre più frequente, che avvisi di garanzia e rinvii a giudizio ad orologeria, seguiti da processi infiniti, hanno rovinato la vita e la carriera a politici scomodi. E intanto la cabina di regia è occupata dagli Yes Man sotto forma di governi tecnici, che continuano indisturbati la loro opera di distruzione di quegli Stati che invece avrebbero dovuto salvaguardare e amministrare con la diligenza del buon padre di famiglia.

Ma ciò che è successo a Gerusalemme è un momento importante sia per il popolo israeliano sia, e soprattutto, per tutte le democrazie degne di questo nome. La Magistratura israeliana, che fino all’arrivo di Aharon Barak alla presidenza della Corte Suprema, era il fiore all’occhiello dell’unica democrazia mediorientale, si è nuovamente messa di traverso nella vita politica della nazione e, come ha dichiarato Edelstein, il Presidente del Parlamento israeliano, con un decreto ha violato la legge che attribuisce al Presidente della Legislatura passata i tempi di convocazione di quella nuova e dell’elezione delle cariche interne. Se questo non è un tentativo di golpe è comunque una mossa che gli somiglia tantissimo.

Si voleva, in combutta con chi da quelle elezioni era uscito perdente, accelerare i tempi dell’elezioni di un nuovo Presidente del Parlamento che mettesse rapidamente ai voti una legge che impedisse a Netanyahu, che ha tre rinvii a giudizio emessi dalla stessa Magistratura, di diventare Primo Ministro. Non una sentenza di condanna, ma un semplice rinvio a giudizio. Praticamente sarebbe stata, anche in futuro, la Magistratura a decidere chi poteva essere eletto e chi no perché, alla fine della fiera, un rinvio a giudizio seguito da un processo infinito non si nega a nessuno.

Ma quei tre rinvii a giudizio c’erano anche prima delle elezioni e, nonostante tutto, il vecchio leader ne è uscito vincente, nonostante tutto il popolo, fregandosene di quello che diceva la Magistratura, gli ha, ancora una volta, dato la fiducia che merita. E in democrazia è il popolo ad avere l’ultima parola. Ma non è tutto, il voto, a quelle condizioni, è stato il segno tangente che la fiducia nei confronti di certa Magistratura, è scemata nel tempo fino a toccare, complici alcune sentenze ancora oggi incomprensibili, il livello più basso.

Soprattutto dopo le parole di Edelstein, il Presidente del Parlamento che, davanti a un’assemblea svuotata dal Coronavirus, ha tuonato contro i Giudici nel momento in cui ha dato le sue dimissioni pretese per decreto dalla Corte Suprema, parole che hanno messo in luce la guerra interna fra i poteri dello Stato, parole che hanno fatto fallire il tentativo di golpe che voleva annullare gli effetti del voto popolare. Parole che hanno fatto salire ulteriormente l’asticella del malcontento popolare che ha incominciato a serpeggiare forte nell’aria. Malcontento che non può essere sfuggito a Ganz che, a quel punto, ha capito, non per il bene della patria ma perché non aveva alternative, che da una quarta tornata elettorale ne sarebbe uscito con le ossa rotte.

Benny Ganz, che guidava il partito Kahol Lavan, (Blu e Bianco), l’ammucchiata dei partiti anti Netanyahu, consapevole che per andare al governo avrebbe dovuto elemosinare i voti dai partiti arabi che, per loro stessa ammissione, avrebbero minato dall’interno la nazione con le pericolose derive che ne sarebbero sicuramente scaturite, non gli è rimasto che abbandonare i compagni di cordata e scendere a patti con il più navigato statista per dare alla nazione un governo di unità nazionale. Un governo forte che possa guidare Israele in questo periodo di pandemia mondiale.
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » lun mar 30, 2020 5:45 pm

Israele, un esempio per il mondo
Informazione Corretta
IC7 - Il commento di Carlo Benigni
29 marzo 2020

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=77819

A fronte dell'emergenza da coronavirus, i due partiti principali si coalizzano. Natanyahu confermato primo ministro, alla presidenza sella Knesset Benny Gantz, leader di Bianco e Blu, che si rivela uomo di Stato. Una volta di più Israele sa rispondere ad ogni sfida.

Una volta di più Israele ha saputo far fronte all'emergenza e ha dato un esempio al mondo. Dopo tre elezioni e malgrado l'affermazione del Likud come primo partito, sembrava profilarsi una maggioranza eterogenea, guidata da Benni Gantz, con l'appoggio determinante, e senza precedenti, della coalizione dei partiti arabi, sempre rimasti divisi e all'opposizione. Ma di fronte alla pandemia del coronavirus lo scenario è cambiato, e Benny Gantz ha dimostrato di ragionare da statista, superando gli interessi di partito. Un ruolo determinante per dare un forte governo al Paese è stato svolto dal Presidente Reuven Rivlin. Bibi Netanyahu, in carica dal 2009, sarà primo ministro per i prossimi 18 mesi, Benny Gantz ministro degli Esteri, con una coalizione che rende irrilevante la presenza delle altre formazioni e dei veti incrociati. Come è noto, il sistema elettorale di Israele, rigorosamente proporzionale, consente a piccoli partiti una rendita di posizione, che non potranno far valere per tutta la durata del Governo Netanyahu che si sta insediando per i prossimi 18 mesi, e di quello successivo.


Il bilancio eccellente della presidenza Netanyahu, leader di grandi visioni strategiche. Idee chiare e decisioni forti a fronte della pandemia.

L'autorevolezza internazionale del premier è fuori discussione, così come i risultati ottenuti in campo economico: non a caso il Likud, a quanto è dato di sapere, si sarebbe riservato il ministero delle finanze. Nel corso della sua presidenza Netanyahu ha garantito al Paese sicurezza, con polso fermo ma misurato, evitando di invadere la striscia di Gaza e il Libano meridionale, pur rispondendo in modo adeguato alle azioni terroristiche di Hamas e degli Hezbollah. Ed è stato il regista di uno sviluppo tecnologico che pone un Paese di nove milioni di abitanti alla pari con gli Stati Uniti. Netanyahu è un leader di grandi visioni. A fronte della minaccia dell'Iran è riuscito a stabilire un'alleanza di fatto con Paesi arabi sunniti, a partire dall'Arabia Saudita, e a rafforzare la rete di alleanze su scala intercontinentale. Il risultato è che nel contesto di questi nuovi scenari la questione palestinese sta diventando irrilevante e marginale, indebolendo le posizioni dei leaders palestinesi di Gaza e di Ramallah, sinora al potere con la violenza, i primi, e con la corruzione, i secondi. Come sottolinea Deborah Fait su Informazione Corretta, il premier, che ha sempre mantenuto fede ai suoi impegni, ha affermato che "nel momento in cui usciremo dalla crisi noi rinnoveremo la nostra economia, stiamo già preparando un piano con i migliori cervelli del mondo". Israele sta dando una grande prova di efficienza nel modo in cui affronta l'emergenza del coronavirus, con misure non dissimili da quelle italiane, con in più un controllo, con i mezzi della più avanzata tecnologia, mutuati dall'esperienza di un'intelligence antiterrosismo unica al mondo.

Ma la stampa italiana...

La stampa italiana, tranne poche eccezioni, innanzitutto La Stampa di Maurizio Molinari, è solita rappresentare Netanyahu come leader delegittimato; critica la sua lunga permanenza alla guida del Governo, quasi che gli elettori non lo avessero riconfermato ad ogni consultazione, e si concentra sui processi penali in corso, la cui fondatezza è tutta da dimostrare. Per i nostri media la fonte che fa testo è Haaretz, quotidiano con ridottissima diffusione, che sta alla stampa israeliana come il Manifesto sta a quella italiana. Qualcuno ha definito Haaretz l'unico quotidiano arabo in lingua ebraica... Un mix di pigrizia e malafede, che non fa onore al nostro giornalismo. Naturalmente si sono fatti vivi gli odiatori di Israele, fautori del BDS. Le mozioni di condanna per violazione dei diritti umani sono nove volte su dieci contro Israele, da parte delle Nazioni Unite, cui fa capo il Comitato per i Diritti Umani, dell'OMS e sino ad un recente passato dell'Unesco. In questa occasione, gli odiatori di Israele hanno attribuito allo Stato ebraico la responsabilità di aver creato e diffuso il virus, allo scopo di poter mettere sul mercato il vaccino. L'antisemitismo mascherato da antisionismo è sempre vivo. Vi è un'antologia di fake news, e le associazioni pro Israele sono impegnate in azioni di corretta informazione.

Infine, una notizia importante.

È stata costituita, alla presenza dell'Ambasciatore Dror Eydar, la Associazione Avvocati per Israele, un'organizzazione indipendente di avvocati, la cui missione è di perseguire, sul piano penale e soprattutto su quello civile, quanti si rendano responsabili: a) della violazione della legge Mancino del 1993, che "sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali"; b) di perseguire quanti si rendano responsabili di diffamazione degli ebrei e dello Stato di Israele. Procedimenti sono già in corso, e la rete delle Associazioni della UNIONE, presenti in tutta Italia, si farà parte attiva nel segnalare all'Associazione Avvocati per Israele le notizie di reato.

Carlo Benigni
Presidente nazionale dell'
UNIONE delle Associazioni Italia-Israele
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Re: Ixrael na bona democrasia e na granda çeveltà

Messaggioda Berto » gio apr 16, 2020 10:05 pm

Drone israeliano supera le difese russe in Siria: colpito membro di Hezbollah
Sarah G. Frankl
16 aprile 2020

https://www.rightsreporter.org/drone-is ... hezbollah/


Dopo una attività di 20 ore lungo il confine tra Libano e Siria un drone israeliano ha superato le difese russe in Siria e ha colpito un’automobile civile che stava trasportando un comandante di Hamas.

È quanto si apprende da fonti qualificate dell’esercito israeliano che però non hanno fornito altri dettagli, in special modo sulle generalità del target definito genericamente un “membro anziano di Hezbollah”.

Non è chiaro nemmeno se il drone israeliano si sia giovato di particolari mezzi di guerra elettronica per accecare le difese russe e siriane o se sia semplicemente sfuggito alle batterie di S-300 e di S-400. Si è introdotto in Siria, ha colpito ed semplicemente scomparso.

Secondo l’agenzia Avia.pro, che riporta il fatto citando un “esperto della difesa”, «non si può escludere che Israele abbia condotto una operazione attiva volta alla soppressione elettronica dei sistemi di difesa aerea siriani. Tuttavia, non è stato aperto il fuoco sull’UAV che ha violato il confine, il che è molto sorprendente, soprattutto dopo le dichiarazioni di Damasco sulle sue intenzioni di abbattere tutti i droni e gli aerei che violano lo spazio aereo della Repubblica araba».

Stando ai rapporti, il drone israeliano ha colpito da una distanza di circa due chilometri e non è escluso che stesse aspettando “l’obiettivo”. Si giustificherebbe così la lunga attività di sorvolo del confine siro-libanese.
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