I suprematismi del Male

Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 8:01 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 8:01 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 8:01 pm

10)
Il male è sempre destinato a soccombere anche se a volte uccide e fa strage



Ucraina-Russia, news sulla guerra di oggi | Controffensiva di Kiev, i filorussi riconoscono una «sconfitta...
Lorenzo Cremonesi, Viviana Mazza e Foschi
Le notizie di venerdì 9 settembre. Gli Stati Uniti avvertono gli alleati: «La guerra sarà lunga»

https://www.corriere.it/esteri/diretta- ... 1021.shtml

• La guerra in Ucraina è arrivata al 198esimo giorno.
• Mattia Sorbi, un giornalista italiano freelance, è stato ferito vicino Kherson, in Ucraina. Morto l’autista dell’auto su cui viaggiava, finita su una mina. Sorbi è ricoverato in un ospedale controllato dai soldati russi
• Usa agli alleati: prepariamoci a guerra lunga. Blinken a Kiev
• Baltici e Polonia bloccano i turisti russi dal 19 settembre
• All’arme all’Onu: 2,5 milioni di ucraini deportati: «Trasferiti in zone remote»
• Il Papa: «Diritto violato e rischi atomici, guerra gravissima, rischio escalation nucleare» . Mattarella: «Iniziativa russa scellerata, mantenere il pressing sanzioni»

Ore 20:30 - Filorussi: Kiev ha colpito una fermata del filobus: 2 morti

È di 2 civili uccisi e 3 feriti il bilancio di un bombardamento che ha colpito una fermata del filobus nel centro di Donetsk. Lo riferisce il sindaco Aleksey Kulemzin, citato dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti.

Ore 19:07 - Kiev: due operatori della centrale di Zaporizhzhia picchiati a morte dai russi

Le forze russe che da inizio marzo controllano la centrale nucleare di Zaporizhzhia hanno ucciso due dipendenti ucraini dell’impianto e commesso violenze nei confronti di decine di altri lavoratori. Lo ha denunciato il capo dell’agenzia per l’energia nucleare di Kiev, Petro Kotin. «È stato gradualmente instaurato un regime di vessazioni», con «torture» e «pestaggi del personale», ha detto Kotin, secondo cui due lavoratori «sono stati picchiati a morte». Circa 200 membri dello staff sono stati arrestati e una decina risultano al momento scomparsi, ha aggiunto, tornando a lanciare un appello per la smilitarizzazione dell’area.

Ore 16:27 - L'Aiea: «Zona di sicurezza a Zaporizhzhia, va evitato un incidente nucleare»

L'Aiea — l'Agenzia delle Nazioni unite per l'energia nucleare — ha chiesto una immediata zona di sicurezza intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, in Ucraina, «per evitare un incidente nucleare».

Zaporizhzhia è la più grande centrale atomica d'Europa, è da settimane occupata dai russi, ed è al centro di una zona dove le truppe russe e quelle ucraine si stanno fronteggiando.

Ore 15:45 - Il punto sulla controffensiva ucraina

(Viviana Mazza, da Kiev) Da giorni, sui social, appaiono immagini dei soldati russi presi prigionieri, ai quali si sono aggiunti ora foto e video dei civili ucraini nelle zone liberate che abbracciano e baciano i militari di Kiev.

I successi della controffensiva ucraina nella zona di Kharkiv, nel nord est del Paese, sono riconosciuti anche in un'intervista del comandante russo della zona Vitaly Ganchev, che in un'intervista a Russia 24 dice: «Il fatto stesso che abbiano fatto breccia nelle nostre difese è una sostanziale vittoria per le forze armate ucraine».

L’invio da parte dell’esercito russo di rinforzi nella regione di Kharkiv indica che Mosca sta pagando «un prezzo enorme» per la sua aggressione, ha detto il segretario di Stato Usa Antony Blinken arrivato a Bruxelles dopo una visita a Kiev.

Le immagini di un video ufficiale del ministero della Difesa russo mostrano il movimento di colonne di veicoli blindati e veicoli speciali, nel tentativo di schierarli per allontanare le forze ucraine da Balakliya, come spiegato dallo stesso Ganchev.

Il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha detto che 1000 chilometri quadrati a nord est e a sud sono stati liberati in una settimana.

Una foto diffusa sui social mostra un gruppo di soldati di Kiev che sventolano la bandiera sotto un cartello che segna l'ingresso a Kupiansk, utilizzata dalle truppe russe come snodo logistico per rifornire attraverso la rete ferroviaria le loro truppe nell’est dell’Ucraina.

Secondo l'ultimo bollettino del think tank americano Institute for the Study of War, gli ucraini si trovano ora a 15 chilometri da Kupiansk. La riconquista della città avrebbe serie conseguenze sulle linee di comunicazione delle forze russe.

Le forze di Mosca hanno bombardato ieri la città di Kharkiv, ferendo dieci persone, un attacco definito da Kiev una «vendetta» per i successi della controffensiva.

Ore 15:24 - Blinken e «il prezzo enorme» che la Russia sta pagando

L'invio, da parte dell'esercito russo, di rinforzi nella regione ucraina di Kharkiv, dove Kiev sta conducendo una controffensiva, mostra che Mosca sta pagando «un prezzo enorme» per la sua aggressione. A dirlo è Antony Blinken, segretario di Stato americano.

«Il numero di soldati russi in Ucraina è enorme e, purtroppo, il presidente Putin ha indicato che manderà ancora più persone: questo ha un prezzo enorme per la Russia», ha detto, parlando con il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

Secondo le immagini trasmesse dalle agenzie di stampa russe venerdì, veicoli blindati e armi sono stati inviati come rinforzi nella regione di Kharkiv, al confine con la Russia, nel nord-est dell'Ucraina.

Un alto funzionario dell'amministrazione filorussa nella regione, Vitali Gantchev, ha detto al canale televisivo russo Russia 24 che erano in corso «feroci combattimenti» intorno alla città di Balaklia, che Kiev ha detto di aver riconquistato.

Ore 13:54 - Dalla Russia rinforzi a Kharkiv dopo la controffensiva ucraina

L’esercito russo ha inviato veicoli blindati e cannoni di rinforzo nella regione ucraina di Kharkiv, dove Kiev sta conducendo la sua controffensiva. Lo riportano le agenzie russe, citando il ministero della Difesa. Un funzionario dell’amministrazione militare installata dai russi nella regione, Vitali Gantchev, ha riferito alla televisione russa che sono in corso «feroci combattimenti» intorno alla città di Balaklia - circa 70 chilometri a Sud-Est di Kharkiv - che Kiev sostiene di aver riconquistato. «Lì sono state inviate le riserve dalla Russia», ha detto il funzionario.

Ore 12:37 - Mattarella: «La guerra sarà lunga e richiederà sacrifici»

«Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli; e per evitare fragilità o cedimenti dovremo rafforzare la nostra coesione interna, anche mediante misure che possano alleviare i costi, elevati, che le nostre economie dovranno sopportare. La misura delle crisi che interpellano il mondo, la dimensione degli altri interlocutori, rendono necessario che i singoli Paesi europei prendano coscienza della necessità di risposte sempre più comuni». Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita a Skopje, capitale della Macedonia del Nord. «La resistenza nei confronti del disegno imperialista manifestato dalla Federazione Russa richiederà un impegno di lunga durata e sta già imponendo sacrifici rilevanti alle nostre popolazioni, a cominciare dal rincaro dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari. Ma sono costi immensamente minori di quelli che dovremmo subire se non venisse fermata subito questa logica di aggressione, che ripropone gli scenari di guerre devastanti dei secoli passati»

Ore 11:04 - L’arcivescovo di Kiev: «Deportati in Siberia 2,5 milioni di ucraini»

«Più di 2,5 milioni di ucraini sono stati deportati dall’Ucraina, in particolare dai territori occupati dell’est e del sud e sono stati portati nell’Estremo Oriente, in Siberia. Tra loro 38 mila bambini molti dei quali sono stati privati delle cure parentali, essendo stati deportati senza i loro genitori». Lo denuncia l’arcivescovo maggiore di Kievá Shevchuck che - in riferimento ai dati denunciati al Consiglio di sicurezza dell’Onu - sottolinea «un altro crimine commesso dalla Russia contro il popolo ucraino». «Oggi - aggiunge - dovremmo pregare in particolare per coloro che sono passati attraverso i campi di concentramento, di filtrazione e, di conseguenza, sono stati costretti a lasciare le loro città e villaggi sotto il fuoco delle mitragliatrici». L’arcivescovo di Kiev riferisce che «gli esperti sottolineano che il 57% degli ucraini è traumatizzato, ha subito qualche tipo di trauma legato alla guerra. Molti soffrono del cosiddetto disturbo da stress post-traumatico. Questo non può che influenzare l’umore della nostra società, la sua sensibilità, tutti quei processi che poi incidono sulla costruzione delle relazioni interpersonali».

Ore 10:38 - Il Consiglio europeo sospende, infine, l’accordo sui visti «facili» ai russi

Il Consiglio dell’Ue ha adottato la decisione che sospende completamente l’accordo di facilitazione del visto tra l’Ue e la Russia. Di conseguenza, le regole generali del codice dei visti si applicheranno ai cittadini russi. Ciò comporterà un aumento della tassa per la domanda di visto da 35 a 80 euro, la necessità di presentare prove documentali aggiuntive, tempi di elaborazione dei visti più lunghi e regole più restrittive per il rilascio di visti per ingressi multipli. «Un accordo di facilitazione del visto consente un accesso privilegiato all’Ue per i cittadini di partner fidati con i quali condividiamo valori comuni. Con la sua guerra di aggressione non provocata e ingiustificata, tra cui i suoi attacchi indiscriminati contro i civili, la Russia ha infranto questa fiducia e calpestato i valori fondamentali della nostra comunità internazionale. La decisione odierna è una diretta conseguenza delle azioni della Russia e un’ulteriore prova del nostro incrollabile impegno nei confronti dell’Ucraina e del suo popolo», ha commentato il ministro dell’Interno ceco, Vit Rakusan. La decisione sarà pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 9 settembre 2022. Entrerà in vigore il giorno della sua adozione e si applicherà a partire dal 12 settembre 2022.

Ore 09:40 - Il primo ministro polacco Morawiecki oggi a Kiev

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki si recherà oggi in visita a Kiev: lo ha reso noto il portavoce del governo, Piotr Muller, parlando all’emittente privata Polsat News. «Ci saranno diversi incontri, argomenti importanti di cui discuteremo in relazione alla situazione geopolitica, ma anche al mercato energetico, all’energia e alla sicurezza militare».

Ore 08:20 - Le Maire all’Eurogruppo: «Le sanzioni funzionano, non ascoltate bugie»

«Penso che le economie aperte siano state resilienti negli ultimi mesi, mantenendo la crescita, ma dobbiamo essere coscienti che abbiamo davanti dei mesi difficili, che l’inflazione resterà alta a causa dell’alto prezzo dell’energia e dei generi alimentari, e a causa del perdurare della guerra in Ucraina». Lo ha dichiarato il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, al suo arrivo all’Eurogruppo a Praga in un punto stampa con il suo omologo tedesco, Christian Lindner. «Christian e io siamo pienamente determinati a rimanere uniti, forti e fermi. Fermi nel modo in cui proteggeremo le famiglie contro le conseguenze del caro-prezzi», ha aggiunto Le Maire, specificando che «le sanzioni funzionano, a differenza di quel che dice Putin». «Siamo fermi nell’attuazione di forti sanzioni contro la Russia. E voglio dirlo chiaramente: le sanzioni europee contro la Russia funzionano. La Russia sta affrontando una grave recessione di oltre 4%, un alto livello dell’inflazione di oltre il 14% e gravi difficoltà nella catena di approvvigionamento».
«Quindi non ascoltate le bugie di coloro che non ci aspettiamo difendano i valori europei. Non ascoltate le bugie di coloro che spiegano che le sanzioni non funzionano. In realtà sono efficienti e dovremmo essere orgogliosi del modo in cui le nazioni europee hanno mostrano unità contro l’aggressione di Putin», ha aggiunto.

Ore 07:40 - Zelensky: ripresi oltre 1000 km di terreno da inizio settembre

Le truppe ucraine hanno ripreso alla Russia più di mille chilometri quadrati di territorio dall’inizio di settembre. Ad annunciarlo è stato il presidente VolodYmyr Zelensky. «Nell’ambito delle operazioni di difesa in corso, i nostri eroi hanno già liberato decine di insediamenti», ha affermato nel discorso di ieri sera. «In totale, dal primo settembre sono stati liberati più di mille chilometri quadrati del nostro territorio», ha aggiunto. Zelensky aveva precedentemente confermato che le forze ucraine avevano riconquistato la città di Balakliya nella regione di Kharkiv.

Ore 05:26 - Pentagono agli alleati: la guerra in Ucraina sarà ancora lunga

La guerra in Ucraina sta cambiando e l’Occidente si deve preparare a sostenere l’Ucraina nel lungo periodo: è il messaggio del capo del Pentagono, Lloyd Austin, al gruppo di contatto degli oltre 50 Paesi che sostengono Kiev e che sono tornati a riunirsi a Ramstein, dove il segretario alla difesa americano ha promesso altri 2,8 miliardi di aiuti militari Usa, di cui 675 milioni di dollari di forniture belliche dirette dalle riserve americane. Nelle stesse ore la Polonia e i Paesi Baltici hanno annunciato dal 19 settembre un giro di vite sui visti turistici ai russi per questioni di sicurezza nazionale, nel timore di infiltrazioni pericolose. Una mossa che anticipa, rafforzandola, la sospensione dell’accordo di facilitazione dei visti dell’Ue con la Russia decisa da Bruxelles. E che ha suscitato l’ira di Mosca: «l’Unione europea chiude la sua gabbia dall’interno e continua a isolarsi dalla Russia e dal resto del mondo», ha denunciato il ministero degli esteri, minacciando una risposta. L’ ultimo pacchetto del Pentagono, il 20/mo dall’agosto 2021, comprende altri «lanciarazzi Howitzer da 105 millimetri, munizioni d’artiglieria, blindati Humvee, sistemi anti tank, armi piccole e ambulanze blindate». Ma non gli Atacm chiesti da Kiev, missili tattici con una gittata di 300 km: «la portata dei lanciarazzi Himars e Howitzer è sufficiente per rispondere alle necessità attuali degli ucraini», ha spiegato il capo di stato maggiore congiunto, Mark Milley.

Ore 05:22 - Zelensky: dal primo settembre liberati 1000 km quadrati di Ucraina

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che dal 1 settembre sono stati liberati più di mille chilometri quadrati del territorio dell’Ucraina. Nel suo consueto discorso serale il leader di Kiev ha elogiato gli «eroi che hanno già liberato dozzine di insediamenti». Lo riporta l’agenzia Unian. «Grazie a tutti coloro che hanno assicurato questo! Grazie all’esercito, ai servizi speciali per ogni bandiera ucraina che è stata reinstallata in questi giorni», ha sottolineato il presidente.

Ore 05:21 - Droni da Teheran alla Russia, Usa sanzionano una società iraniana

Gli Usa hanno imposto sanzioni ad una società iraniana, la Safiran Airport Services, che ha aiutato a inviare droni alla Russia da usare in Ucraina e hanno ammonito aziende non iraniane a non farsi coinvolgere in tale commercio. La misura è stata presa dal Tesoro due mesi dopo che la Casa Bianca ha divulgato informazioni di intelligence secondo cui Mosca aveva chiesto droni a Teheran per il conflitto in Ucraina.

Ore 05:14 - Mattia Sorbi ferito, scambio di accuse Mosca-Kiev. Giallo sul profilo Facebook

(Viviana Mazza, inviata a Kiev) Mattia Sorbi, giornalista freelance milanese quarantatreenne, era scomparso nei giorni scorsi in Ucraina, dove si trova dall’inizio dell’invasione russa, collaborando con diverse testate e tv italiane. È riapparso ieri in un video trasmesso dai media di Mosca, in cui giace su un letto, a torso nudo con una cannula nasale. Si vede il braccio di un intervistatore che registra con il cellulare. Sorbi, occhi chiusi, dice il suo nome e le testate per cui collabora: «Radio 24, Rai 1, Repubblica». Poi aggiunge alcune parole «taxi, reportage», e in italiano: «Abbiamo preso un taxi e siamo andati a Oleksandrivka, ci avevano detto che era sicura». Indica verso le gambe: «Mina».

L’auto sarebbe saltata su una mina, l’autista ucraino sarebbe rimasto ucciso mentre il reporter, ferito ad una gamba, è stato portato all’ospedale a Kherson, città sotto controllo russo in una regione che le forze ucraine stanno tentando di riconquistare. La Farnesina ha confermato di essere «in contatto costante con il giornalista coinvolto nell’incidente: è curato, abbiamo notizie positive sullo stato di salute, ha poca copertura per comunicare ma dispone di un contatto libero. Stiamo lavorando per farlo rientrare in sicurezza, in Italia appena possibile».

(...)

La versione di Mosca pubblicata ieri mattina è che il reporter sia stato vittima di una «provocazione dell’intelligence di Kiev per accusare la Russia».

(...)

La risposta di Kiev è arrivata in serata: Sorbi, non era accompagnato sul posto da “personale militare” ucraino, che aveva al contrario cercato di dissuaderlo dall’attraversare «la linea di contatto di combattimento senza coordinamento e in un luogo non specificato». Lo dichiara in una nota su Facebook il Centro per le comunicazioni strategiche e la sicurezza delle informazioni ucraino, sottolineando che il reporter «è andato a Mykolaiv e da lì, volontariamente, nonostante il tentativo di dissuasione, si è recato a Kherson, attraverso gli insediamenti che si trovavano nella “zona rossa” a causa di pesanti combattimenti.

(...)

«Possiamo presumere che Sorbi avesse precedenti accordi con l’esercito russo». Il Centro fa notare che il giornalista aveva lavorato «per il canale tv del ministero della Difesa russo Zvezda».

(...) Ieri mattina su Facebook è apparso un messaggio in italiano e in inglese sul profilo “Mattia Sorbi Press”: «Sto bene e sono al sicuro ma purtroppo le difficoltà di comunicazione in Ucraina mi hanno impedito di essere online come al solito». Ma l’account sembra appena creato e non è quello (“Mattia Kabul”) da cui solitamente comunica Sorbi.
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:05 am

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:07 am

11)
Uno dei suprematismi del male assoluto!


Questo è l'orrido Islam!
Questo è il criminale idolatra Moametto!
Questo è il demenziale Corano!
Questo è il mostruoso idolo Allah!


"Là li colpiremo": il massacro di Monaco e le sue conseguenze
Richard Kemp
11 settembre

https://it.gatestoneinstitute.org/18881 ... -di-monaco

https://www.gatestoneinstitute.org/pics/4402.jpg

Nella foto: un elicottero bruciato dell'esercito tedesco, fotografato il 7 settembre 1972 alla base aerea di Fürstenfeldbruck, dopo che i terroristi palestinesi lo avevano fatto esplodere con bombe a mano il giorno prima, uccidendo i nove atleti olimpici israeliani che tenevano in ostaggio. (Foto di EPU/AFP via Getty Images)

Cinquant'anni fa, il 5 e 6 settembre 1972, il mondo ha assistito con orrore a come gli ebrei sono stati di nuovo uccisi brutalmente sul suolo tedesco, alle Olimpiadi di Monaco. Otto terroristi dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), usando il nome di copertura "Settembre Nero", torturarono e uccisero 11 atleti israeliani, evirandone uno e lasciandolo agonizzante a morire davanti agli altri compagni di squadra. Il commando prese d'assalto l'alloggio degli atleti, ne uccise immediatamente due e tenne in ostaggio gli altri, chiedendo il rilascio di 234 prigionieri terroristi detenuti da Israele. La premier israeliana Golda Meir, che era stata una dei firmatari della Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele nel 1948, rifiutò di contrattare con loro, bollandolo come ricatto. In seguito, la Meir affermò: "Abbiamo imparato l'amara lezione. Si può salvare una vita solo per metterne in pericolo altre. Il terrorismo deve essere spazzato via".

Nel frattempo, Berlino offrì un salvacondotto e denaro illimitato ai terroristi, che li rifiutarono. Nel caos di un disastroso tentativo tedesco di tendere un'imboscata agli assassini nella base aerea di Fürstenfeldbruck, nei pressi di Monaco, il 6 settembre, lanciando granate e sparando raffiche di colpi di armi da fuoco i terroristi massacrarono i restanti nove atleti a bordo degli elicotteri che li avevano portati là, oltre a un poliziotto tedesco. Tutti i terroristi tranne tre rimasero uccisi nello scontro a fuoco. L'unità delle forze speciali dell'IDF, Sayeret Matkal (Unità di Ricognizione dello Stato Maggiore), era pronta a organizzare un'operazione di salvataggio, ma il governo tedesco rifiutò di consentire loro di entrare nel Paese e respinse arrogantemente i consigli del capo del Mossad e di quello dello Shin Bet che erano volati in Germania.

Tutti furono costretti a restare a guardare mentre i loro connazionali venivano massacrati.

I terroristi usarono armi introdotte di nascosto in Germania grazie a diplomatici provenienti dalla Libia, dove il commando era stato addestrato per la missione omicida. Il presidente libico Muammar Gheddafi aveva finanziato l'attacco per volere del leader dell'OLP Yasser Arafat, che successivamente negò qualsiasi coinvolgimento e due anni dopo fu acclamato con una standing ovation all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Mahmoud Abbas, ora presidente dell'Autorità Palestinese, fu un attore chiave nella preparazione dell'operazione. Se, cinquant'anni dopo, ostenta se stesso sulla scena mondiale, Abbas si rifiuta ancora di esprimere alcun rimorso per gli omicidi che ha contribuito a portare a termine.

Inoltre, mentre era in atto l'attacco, Avery Brundage, presidente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), insistette sul fatto che i Giochi dovevano continuare. Mentre due israeliani giacevano morti e nove erano tenuti sotto tiro, il primo evento di atletica leggera della giornata iniziò nei tempi previsti, con precisione tedesca, alle 8:15. Brundage accettò di sospendere le gare olimpiche solo 12 ore dopo l'inizio dell'attacco e, dopo una breve pausa, gli eventi sportivi proseguirono come se nulla fosse. "Incredibilmente, stanno andando avanti", scrisse il quotidiano Los Angeles Times all'epoca, "è quasi come ballare a Dachau" (che dista poche miglia di distanza).

Parlando a una funzione commemorativa il giorno dopo gli omicidi, Brundage, che aveva combattuto con successo contro il boicottaggio statunitense delle Olimpiadi naziste di Berlino nel 1936 a causa della persecuzione degli ebrei, sminuì scandalosamente l'uccisione degli 11 israeliani. Una richiesta del cancelliere tedesco di porre a mezz'asta le bandiere nazionali esposte ai giochi fu annullata dopo che i Paesi arabi si rifiutarono di farlo.

Il capo del Mossad, Zvi Zamir, che fu testimone del massacro, scrisse:

"Abbiamo visto gli atleti israeliani, con le mani legate e con a fianco i terroristi, e tutti al passo hanno marciato verso gli elicotteri. È stato uno spettacolo spaventoso, soprattutto per un ebreo sul suolo tedesco".

Ne seguì rapidamente un'azione violenta contro l'OLP. Due giorni dopo il massacro, l'8 settembre, aerei da guerra israeliani bombardarono dieci basi dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Siria e in Libano, uccidendo fino a 200 terroristi e abbattendo tre jet siriani che cercavano di intercettare la forza d'attacco. Fece poi seguito un'operazione di terra, con i mezzi corazzati dell'IDF che entrarono in Libano e uccisero circa 45 terroristi dell'OLP.

Gli Stati Uniti posero il veto, contro le forti proteste dell'Unione Sovietica e della Cina, a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 settembre che esortava Israele a interrompere le sue operazioni militari in Siria e in Libano, senza menzionare esplicitamente il massacro di Monaco. L'ambasciatore sovietico osservò che porre i raid israeliani sullo stesso piano dei fatti di Monaco "sarebbe come giustificare la politica aggressiva dei pazzi israeliani". Naturalmente, la stessa Unione Sovietica aveva le mani insanguinate a Monaco, avendo creato l'OLP e avendola avviata sulla strada del terrorismo in Europa, finanziando e sostenendo attacchi.

L'ambasciatore degli Stati Uniti presso l'ONU, George H.W. Bush, affermò che la risoluzione ignorava la realtà e "cercava di avere un effetto, non una causa". Proseguì dicendo che il suo "silenzio sul disastro di Monaco" incoraggiava altro terrorismo. Affrontando la questione più ampia della violenza palestinese, Bush aggiunse: "Vogliamo e sosteniamo un mondo in cui gli atleti non debbano temere gli assassini e i passeggeri degli aerei non debbano temere il dirottamento".

Le parole di Bush a New York furono ben accolte in Israele, ma tali parole non furono sufficienti per una nazione traumatizzata che aveva appena assistito all'uscita di 11 bare dall'aeroporto di Lod a bordo di una flotta di veicoli di comando dell'IDF, e la cui angoscia era stata aggravata dalla decisione di proseguire i giochi, come se il massacro degli ebrei in Europa potesse di nuovo essere semplicemente messo da parte. Toccò a Golda Meir tradurre le parole di Bush in fatti: era la sua popolazione ad essere nel mirino.

Per questo, i raid militari in Siria e in Libano non furono sufficienti. Affrontare la minaccia dei Paesi del Medio Oriente era una cosa, affrontare il terrorismo in Europa era qualcosa di completamente diverso. Prima di Monaco, l'intelligence israeliana aveva ripetutamente fornito ai governi europei informazioni sulle cellule terroristiche e sui piani di attacco nei loro Paesi. Ma come disse la Meir alla Commissione per gli Affari Esteri della Knesset: "L'informiamo una, due, tre o cinque volte e non succede nulla" [Citata in Rise and Kill First, Ronen Bergman, 2018]. La riluttanza europea ad agire in base all'intelligence e ad inimicarsi i terroristi palestinesi e i loro sponsor arabi aveva consentito un'ondata di attacchi mortali. Nei tre anni precedenti, 16 persone erano state uccise e ferite in sette attacchi terroristici contro obiettivi israeliani ed ebrei nella sola Germania occidentale.

Fine prima parte

Seconda parte
Di fronte all'inerzia in Europa, il Mossad aveva già proposto attacchi diretti contro terroristi nel continente. L
a Meir, impegnata a rispettare la sovranità dei Paesi amici, rifiutò e autorizzò l'azione solo nelle nazioni mediorientali ostili a Israele. Tutto cambiò con Monaco. Sei giorni d
opo il massacro la premier disse alla Knesset:
"Ovunque si stia preparando un complotto, in qualsiasi luogo in cui si preparano le persone a uccidere ebrei, israeliani – dappertutto ebrei – è là che ci impegniamo a colpirli". [Rise and Kill First, Ronen Bergman, 2018]
Con queste parole, la Meir lanciò una delle operazioni antiterrorismo di maggior successo che il mondo abbia mai visto.
Nonostante questa dura presa di posizione, prima di affidare la sua decisione al governo, Golda Meir si era comprensibilmente tormentata, sia per motivi morali sia politici. In seguito, disse:
"Non c'è differenza tra uccidere personalmente e prendere decisioni che invieranno altri a uccidere. È esattamente la stessa cosa, o anche peggio".
Era anche preoccupata per i giovani israeliani che avrebbe messo in grave pericolo fisico e psicologico. Sapeva che se un uomo può cacciare, può anche essere cacciato. Come diceva lei: "Se ne stanno nelle fauci del nemico".
Il Mossad si stava preparando per tale operazione dal 1969 e immediatamente inviò in Europa squadre incaricate di eseguire omicidi mirati, nome in codice "Baionetta". Il primo di numerosi attacchi avvenne meno di due mesi dopo Monaco, il 16 ottobre, a Roma, quando il rappresentante dell'OLP in Italia, Wael Zwaiter, cugino di Yasser Arafat, venne ucciso a colpi di arma da fuoco. Seguirono ulteriori omicidi in Francia, a Cipro, in Grecia e altrove. Le esecuzioni furono sospese dopo il luglio 1973, quando un uomo innocente, scambiato per un terrorista dell'OLP, fu ucciso a Lillehammer, in Norvegia. Ripresero nel 1978 sotto il primo ministro Menachem Begin.
Oltre i confini dell'Europa, il 9 aprile 1973, nel corso dell'Operazione Primavera di Gioventù, un attacco congiunto tra le forze dell'IDF e del Mossad lanciato a Beirut e guidato da Ehud Barak (che in seguito divenne primo ministro), furono uccisi tre alti dirigenti dell'OLP e circa 50 altri terroristi. Il giorno successivo, Walter Nowak, ambasciatore tedesco a Beirut, condannò l'assalto. Vergognosamente, appena sei mesi dopo Monaco, il diplomatico aveva incontrato uno dei leader di Settembre Nero ucciso nell'attacco dell'IDF, Abu Youssef, egli stesso organizzatore del massacro, per offrire la prospettiva di creare "una nuova base di fiducia" tra l'OLP e il governo tedesco. Questo episodio contraddistingue i due approcci: mentre la Germania rabboniva i terroristi, Israele li eliminava.
Gli omicidi mirati ordinati da Golda Meir avevano lo scopo di fermare gli attacchi terroristici contro gli israeliani condotti in e dall'Europa e non, come spesso si suppone, per vendicare Monaco: la maggior parte delle persone uccise non erano direttamente collegate al massacro delle Olimpiadi. Il capo del Mossad Zvi Zamir afferma chiaramente: "Noi non eravamo impegnati nella vendetta". E prosegue spiegando: "Quello che abbiamo fatto è stato prevenire concretamente in futuro. Abbiamo agito contro chi pensava che avrebbe continuato a perpetrare atti di terrorismo".
Si trattava di prevenire e interrompere gli attacchi terroristici contro cittadini israeliani in Paesi in cui le autorità nazionali si erano mostrate riluttanti ad agire. Si trattava anche di svolgere un'azione di deterrenza, far capire ai terroristi che il prezzo delle loro azioni sarebbe stato elevato, possibilmente troppo elevato. Ciò spiegava il modo sensazionale in cui sono stati condotti alcuni degli attacchi, tra cui l'uso di esplosivi piuttosto che di mezzi più clinici o incidenti che potevano essere spacciati per incidenti. Il Mossad voleva che i terroristi non avessero dubbi sul motivo per cui i loro compagni venivano uccisi e chi lo stava facendo. Per ragioni politiche, questo doveva essere bilanciato da una plausibile negazione, un principio coerente di molte operazioni antiterrorismo israeliane prima e dopo. Ma qualcosa andò storto a Lillehammer, dove sei agenti del Mossad furono arrestati e processati.
L'imperativo delle uccisioni mirate di Israele fu nuovamente confermato meno di due mesi dopo le Olimpiadi, quando un volo Lufthansa diretto da Beirut a Francoforte venne dirottato dai palestinesi che chiesero il rilascio dei tre terroristi sopravvissuti a Monaco. Il governo tedesco pagò immediatamente un riscatto di 9 milioni di dollari e rilasciò gli uomini, che furono condotti in aereo via Zagabria in Libia, dove ricevettero un'accoglienza da eroi.
L'ultima cosa che Berlino avrebbe voluto era mettere sotto processo questi assassini, con l'intelligence tedesca che mise in guardia da ulteriori atti di terrorismo per forzarne il rilascio. Questa svolta degli eventi fu quindi molto utile e alcuni esperti, tra cui il capo del Mossad dell'epoca, accusarono il governo tedesco di aver pagato l'OLP per inscenare il dirottamento onde fornire una copertura al rilascio dei terroristi. Tale versione fu confermata in un'intervista al leader dichiarato del massacro di Monaco, Abu Daoud.
Dopo il rilascio, il capo del ministero degli Esteri tedesco scrisse una nota all'ufficio del cancelliere dicendo: "Dovremmo essere contenti che l'intera faccenda si sia sufficientemente placata". Ciò rifletteva un atteggiamento prevalente in tutta Europa allora e in seguito. Nel 1977, le autorità francesi arrestarono Abu Daoud, il leader dei terroristi. Chiesero se la Germania volesse che fosse estradato, ma i tedeschi rifiutarono. Il governo francese, preoccupato per i potenziali attacchi sul proprio suolo a seguito della sua detenzione, consentì a Daoud di volare in Algeria pochi giorni dopo a fronte delle forti proteste di Israele e degli Stati Uniti e degli elogi dell'Unione Sovietica. Fino alla sua morte Daoud si vantò del massacro che aveva organizzato.
Oltre alla paura del terrorismo, l'appeasement dei terroristi arabi da parte dei governi europei è stato motivato dalla preoccupazione che un allineamento troppo stretto con Israele sulla sicurezza avrebbe danneggiato le loro relazioni con i Paesi arabi, mettendo a repentaglio la fornitura di petrolio e i contratti di esportazione.
I leader americani ed europei sono stati spesso critici nei confronti della politica di uccisioni mirate di Israele, a volte influendo sulla condivisione delle informazioni e sulle relazioni diplomatiche e commerciali, e con alcuni che hanno accusato Israele di tattiche terroristiche. Come rilevato da Golda Meir:
"La persona che minaccia con una pistola e la persona che si difende per assicurarsi che la pistola non le spari non sono la stessa cosa".
Dopo che i terroristi islamici hanno iniziato a puntare le armi contro i cittadini occidentali, queste obiezioni "principali" si sono necessariamente dissolte, con l'America e i suoi alleati spesso costretti a ricorrere a una politica modellata su quella di Israele. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno utilizzato agenzie di intelligence, forze speciali, droni e attacchi aerei per eseguire uccisioni mirate di terroristi, anche in Yemen, in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq e in Siria. Due giorni dopo gli attacchi terroristici del 2015 a Parigi, le forze armate francesi, sostenute dalla Gran Bretagna, lanciarono un'ondata di attacchi aerei contro le basi dello Stato Islamico in Siria, facendo eco agli attacchi sferrati da Israele in Libano e in Siria nei giorni successivi a Monaco.
Fine seconda parte

Terza parte
Non sorprende che, in questa situazione mutata, ogni volta che il Mossad forniva ai Paesi europei informazioni sui piani terroristici sul loro suolo non doveva essere detto loro "due, tre o cinque volte". Con i loro stessi cittadini ora nel mirino, hanno rapidamente intrapreso l'azione che non erano riusciti a intraprendere negli anni Settanta, quando gli israeliani er
ano l'obiettivo principale.
Troppo spesso le nazioni occidentali, nonostante i precedenti rifiuti, le condanne e talvolta le ostilità, alla fine sono state obbligate a seguire l'iniziativa che Israele è stato costretto a prendere per la prima volta per proteggere il suo popolo. Le risposte americane ed europee agli attacchi jihadisti sul loro stesso territorio, specialmente dopo l'11 settembre, sono un esempio di ciò.
Attualmente siamo alle prese con un altro esempio: la minaccia nucleare iraniana. I leader israeliani hanno ripetutamente avvertito che il programma nucleare di Teheran non rappresenta solo un grave pericolo per il proprio Paese, ma per l'intera regione e per il mondo. Come nella sua risposta a Monaco, Israele sta conducendo una campagna segreta per fermarlo, anche con omicidi mirati. Nel frattempo, gli Stati Uniti e i Paesi europei stanno rabbonendo i mullah di Teheran, proprio come fecero con i terroristi palestinesi negli anni Settanta, e sono sul punto di concludere un accordo che aprirà la strada a una capacità nucleare iraniana. Questa volta, ignorare gli avvertimenti israeliani avrà conseguenze ancora più terribili e di vasta portata.
La vigorosa campagna di Israele dopo Monaco è stata un successo. Ha persuaso il mondo arabo che il Mossad poteva colpire dove e quando voleva, instillando paura nei terroristi e costringendoli a correre a nascondersi in luoghi in cui avevano precedentemente operato impunemente, e alcuni governi arabi moderati hanno persino esercitato pressioni sull'OLP affinché fermasse gli attacchi. L'offensiva non ha posto fine a tutto il terrorismo arabo in Europa contro gli israeliani e, come con le attività antiterrorismo compiute ovunque, ci sono state alcune gravi conseguenze negative. Ma le azioni del Mossad nel continente e l'Operazione Primavera di Gioventù a Beirut convinsero il leader dell'OLP Yasser Arafat a ordinare la fine degli attacchi di Settembre Nero contro obiettivi al di fuori di Israele entro la fine del 1973. Come ebbe a dire la Meir:
"Non prosperiamo sugli atti militari. Li facciamo perché dobbiamo e grazie a Dio siamo efficienti".
A volte Monaco è considerata l'11 settembre di Israele. Cinquant'anni dopo, il trauma del massacro del 1972 rimane impresso nel profondo della mente di ogni israeliano e di molti altri che hanno assistito con angoscia straziante a quanto accadeva. Senza dubbio, gli 11 israeliani morti a Monaco erano il pensiero dominante di quelle donne e di quegli uomini coraggiosi che hanno preso parte alla campagna che mirava a prevenire il ripetersi degli orrori che gli atleti avevano affrontato. Nelle parole pronunciate all'epoca da Golda Meir:
"Forse verrà il giorno in cui le storie di eroismo e di intraprendenza, di sacrificio e di dedizione di questi guerrieri saranno raccontate in Israele, e le generazioni le racconteranno a coloro che le seguiranno con ammirazione e orgoglio, come un ennesimo capitolo dell'eredità di eroismo della nostra nazione".
In memoria di:
David Berger
Anton Fliegerbauer
Ze'ev Friedman
Yosef Gutfreund
Eliezer Halfin
Yosef Romano
Amitzur Shapira
Kehat Shorr
Mark Slavin
Andre Spitzer
Yakov Springer
Moshe Weinberg
Il colonnello Richard Kemp è stato comandante delle forze britanniche. È stato anche a capo della squadra internazionale contro il terrorismo nell'Ufficio di Gabinetto del Regno Unito e ora è autore e conferenziere su questioni internazionali e militari. È Jack Roth Charitable Foundation Fellow presso il Gatestone Institute.



La prima vittima dell'11 settembre è stata Danny Lewin.
11 settembre 2022

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... uPts78zqul

Seduto sul sedile 9B del volo 11 dell'American Airlines, vide Mohammed Atta e Abdulaziz al-Omari, seduti proprio di fronte a lui, dirigersi verso la cabina di pilotaggio. Secondo le richieste delle assistenti di volo ai funzionari del traffico aereo, documentati piu' tardi nella relazione della Commissione dell'11 settembre, Lewin non ha perso tempo. Ex ufficiale della Sayeret Matkal, l'unità d'elite delle Forze di Difesa Israeliane, ha affrontato i terroristi, ma l'uomo seduto nel sedile 10B, Satam al-Sukami, lo ha sgozzato con un coltello. Meno di 30 minuti dopo, alle 8:46, l'aereo si è schiantato nella torre nord del World Trade Center. Lewin era sposato con Anne Lewin, da cui ebbe due figli: Itamar ed Eitan.
Oggi ricordiamo la perdita di Danny, e piangiamo la tremenda perdita di vite a causa del terrorismo islamico.
Che il loro ricordo sia di benedizione



“Siamo tutti americani”. Lo dissero e lo scrissero in molti quel famoso 11 settembre 2001.

Ma la musica cambiò presto.
Giovanni Bernardini
11 settembre 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 2677397593

In poco tempo gli americani ridiventarono i “gendarmi del mondo”, i biechi imperialisti di sempre, che opprimono popoli e nazioni.
L’Islam dal canto suo era diventato una “religione di pace” nel momento stesso in cui le famose torri crollavano.
Poi iniziarono i sospetti.
Nessun aereo si è mai schiantato sulle torri gemelle. Gli aerei altro non erano che oleogrammi. Nottetempo abilissimi cospiratori, agenti della CIA e del Mossad, si erano introdotti nelle torri, avevano scavato innumerevoli nicchie, vi avevano introdotto centinaia di cariche esplosive e poi provocato una esplosione controllata. In questo modo i biechi imperialisti avrebbero avuto il pretesto per privare i popoli del medio oriente del loro petrolio.
Ce lo hanno giurato persone molto esperte, in possesso della verità “vera”. Le stesse che hanno negato lo sbarco sulla luna e l’esistenza del covid e ci assicurano che è stata l’Ucraina ad attaccare la Russia e non viceversa.
Io considero idiozie queste elucubrazioni, ma di certo sbaglio.
Sono tanto ingenuo da ritenere gli Stati Uniti d’America la nazione guida del mondo occidentale e sono con loro, al di là di tutte le sacrosante critiche che è possibile fare ai vari presidenti, a quello attuale in particolare.
Ma il mio parere non conta. Sono solo un vecchiaccio credulone e polemico.


PALESTINESI FESTEGGIANO L'ATTACCO ALLE TORRI GEMELLE 11 settembre 2001, l’attacco al mondo libero che cambiò per sempre le nostre vite...
https://www.facebook.com/watch?v=860187288473843
11 settembre 2001, l’attacco al mondo libero che cambiò per sempre le nostre vite. A distanza di ventuno anni chi visse quella tragedia ricorda esattamente dov’era quando vide quelle immagini agghiaccianti. Persone bloccate dalle fiamme che per telefono dicevano addio ai loro cari, quelle che per disperazione si gettarono dai grattacieli, le tremila vittime, il sacrificio dei vigili del fuoco e del corpo di polizia. Eppure…eppure c’è chi scese per strada a festeggiare…
E non furono gli unici, in tutto il mondo islamico e nei quartieri occidentali dei migranti mussulmani, i maomettani fecero altrettanto.


11 settembre, l’Iran ammette le complicità con Al Qaeda
Redazione
14 Giugno 2018

https://www.progettodreyfus.com/11-settembre-iran/

Negli attentati dell’11 settembre 2001 c’è anche la lunga mano dell’Iran. La denuncia non arriva, come si potrebbe pensare, dalla parte Usa o occidentale, ma direttamente da un assistente per gli affari internazionali della magistratura iraniana.

Il suo nome è Mohamma Javad Larijani che, senza giri di parole, ha ammesso la complicità del governo di Teheran con Al Qaeda, durante un’intervista rilasciata alla tv di stato iraniana il 30 maggio scorso e ripresa da Al-arabiya.

Nel specifico, Larijani ha affermato che l’Iran non effettuava nessun controllo né apponeva alcun timbro sui passaporti dei militanti di Al Qaeda, che provenivano da Arabia Saudita e Afghanistan.

È la prima volta che l’Iran parla apertamente di complicità negli attentati di New York di 17 anni fa. Complicità che ha travalicato i confini nazionali, interessando anche le ambasciate iraniane in Europa, che svolsero un ruolo decisivo nella copertura per gli incontri tra gli operativi del gruppo terroristico guidato da Bin Laden e i funzionari dei servizi segreti sciiti.

Proprio sotto l’ombrello iraniano Ramzi bin al-Shibh, uno dei dirottatori dei voli utilizzati per colpire l’America, e ritenuto coordinatore dell’operazione, incontrò in diverse circostanze Mohamed Atta in alcune città del Vecchio Continente.

Ma c’è di più, perché per aggiornare i capi di al Qaeda e il governo di Teheran sull’andamento dei piani, un ruolo fondamentale è stato giocato anche dagli agenti del Vevak, il servizio segreto persiano dietro indicazioni delle sede diplomatica iraniana a Londra.

Tutte queste informazioni sembrerebbero aver trovato conferma nei documenti appartenuti a Bin Laden, rinvenuti nel covo di Abbottabad in seguito all’uccisione del capo di Al Qaeda.

11 settembre 2011 il mondo cambiò. Le certezze di un paese e di tutto l’Occidente vennero abbattute assieme alle Torri Gemelle. Sul quel cambiamento – in peggio – delle nostre vite c’è anche la lunga mano dell’Iran, paese che continua però ad aver un canale privilegiato con l’Europa.

Cos’è che lega l’Europa ai suoi carnefici?




NEGAZIONISMO : LA PULSIONE DI MORTE CHE OSTACOLA LA SPECIE UMANA
Sergio Mungo
evoluzione liberale
12 settembre 2022
https://www.facebook.com/groups/1807630 ... 4226872240
Il negazionismo è una forma di difesa psichica utilizzata dalle personalità PARANOIDI, per evitare di confrontarsi con realtà TRAGICHE, o che metterebbero in discussione le loro idee deliranti: OVVERO idee prive di possibilità di confronto con la realtà e l obbiettivita' verificabile dei fatti,. Il nagazionismo si fonda su false verità, costruite quindi sulla dogmaticita' di assunti impenetrabili alla critica e al giudizio.
Chi nega la shoah, l 11 settembre, lo sbarco sulla luna, la sfericita' della terra, il progresso umano, l'utilità dei vaccini o il fallimento storico di ogni dittatura, appartiene a quella parte dell' umanità che ha, in questo modo, sempre provocato, favorito o perpetuato sciagure, genocidi e guerre.
Potremmo dire che costoro ben rappresentano la pulsione di morte e di autodistruzione, presente in ogni specie vivente, e che sulla loro sconfitta si è sempre giocata ogni tipo di evoluzione, di progresso e di trionfo della vita.
Non esistono terapie rieducative, sociali pedagogiche, mediche o psicologiche
Non può esservi prigione o tolleranza per chi attivamente promuove morte e distruzione contro gli intinti vitali dell Eros che guidano l'evoluzione della specie umana, dalla barbarie subumana della preistoria, sino alla cultura umanistica della libertà dell individuo come valore assoluto, non negoziabile e supremo in ogni scala gerarchica di valori.
Da 6 mesi abbiamo assistito alle più atroci brutalità di chi, dalle comodità delle proprie posizioni di rendita, ha negato il nuovo holodomor ucraino.
La cultura liberale non si dimenticherà mai di loro esattamente come non si dimentica l'attacco alle torri gemelle.
Non ci scorderemo mai del pericolo che costoro rappresentano
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:07 am

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:08 am

12)
Il suprematismo disumano dell'ideologia utopica degli ultimi, un'altro orrore del Politicamente Corretto sinistrato e cristiano.
Una volta erano i poveri oggi sono gli ultimi, ma chi sono gli ultimi e chi decide in merito, chi assegna il titolo di ultimo e quindi il diritto politicamente corretto imposto per legge di essere servito come primo da tutti gli altri?



L'appello della Cei: «Chi vota scelga una società più giusta che riparta dagli ultimi»
21/09/2022
https://www.famigliacristiana.it/artico ... ltimi.aspx

«Il voto è un diritto e un dovere da esercitare con consapevolezza. Siamo chiamati a fare discernimento fra le diverse proposte politiche alla luce del bene comune, liberi da qualsiasi tornaconto personale e attenti solo alla costruzione di una società più giusta, che riparte dagli “ultimi” e, per questo, possibile per tutti, e ospitale. Solo così può entrare il futuro!».

È l'appello rivolto dai vescovi italiani agli elettori in vista delle elezioni politiche di domenica prossima. «C'è un bisogno diffuso di comunità, da costruire e ricostruire sui territori in Italia e in Europa, con lo sguardo aperto al mondo, senza lasciare indietro nessuno».

Il Consiglio permanente della Cei, sotto la guida del presidente, il cardinale Matteo Zuppi, è riunito a Matera fino a giovedì, quando inizierà il Congresso Eucaristico nazionale che si concluderà domenica mattina con la visita di papa Francesco, anticipata di qualche ora rispetto al programma iniziale per permettere a tutti i delegati di poter raggungere le proprie città e votare.

Nell'«Appello alle donne e agli uomini del nostro Paese» approvato dal Consiglio dal titolo Osare la speranza, i vescovi si rivolgono direttamente agli elettori e sottolineano che «c'è urgenza di visioni ampie; di uno slancio culturale che sappia aprire orizzonti nuovi e nutrire un'educazione al bello, al vero e al giusto. Il voto è un’espressione qualificata della vita democratica di un Paese, ma è opportuno continuare a sentirsene partecipi attraverso tutti gli strumenti che la società civile ha a disposizione». Ai giovani, che per la prima volta si recano a un seggio elettorale, i vescovi dicono «di avere fiducia: Con il vostro voto - spiegano - lanciate a tutta l'Italia un forte messaggio di partecipazione alla costruzione del bene comune, nel rispetto della persona, di tutte le persone in ogni fase della vita. Questo è il vero criterio per orientarsi nelle scelte».

«Il vostro impegno per la cura del Creato è un esempio per tutti - aggiungono -. Vedere che i giovani si pongono dalla parte di chi vuole affrontare e risolvere i problemi è un segno che fa ben sperare. E impegna, allo stesso tempo, noi adulti a non tradire i vostri sogni». Rivolgendosi quindi «ai disillusi», «a chi, dopo molti anni, è tentato di pensare che nulla cambierà anche stavolta», i vescovi ricordano «che il contributo di tutti è molto prezioso».

«Comprendiamo la vostra preoccupazione - osservano -: sarà possibile mettere da parte le divisioni e guardare al bene del Paese Vi invitiamo, però, a non far prevalere la delusione: impegniamoci! La partecipazione democratica è amore per il nostro Paese. Invitiamo chi si trova ad affrontare gravi problemi e si sente ai margini della società a non scoraggiarsi e a dare il proprio irrinunciabile contributo».

Il Consiglio della Cei chiede poi «ai futuri eletti di non dimenticare mai l'alta responsabilità di cui sono investiti. Il loro servizio è per tutti, in particolare per chi è più fragile e per chi non ha modo di far sentire la sua voce».

«L'agenda dei problemi del nostro Paese è fitta - aggiungono i vescovi -: le povertà in aumento costante e preoccupante, l'inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l'accoglienza, la tutela, la promozione e l'integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell'espressione democratica dello Stato e della legge elettorale…».

«È il tempo di scelte coraggiose e organiche. Non opportunismi, ma visioni. Vi invitiamo a vivere la responsabilità politica come la forma più alta di carità», osservano. Nella premessa del loro documento, i vescovi rilevano che «dipende da noi: impegniamoci. Stiamo attraversando una fase particolarmente delicata e complicata della storia: le nostre parole non sono un incoraggiamento ad andare avanti nonostante tutto, ma un invito a osare con speranza - spiegano -. Non semplice ottimismo, ma speranza e realismo cristiano».

«La guerra, la pandemia, la crisi ambientale e quella delle imprese, l'aumento generalizzato dei costi, il caro bollette… sono tutte questioni che ci addolorano terribilmente e ci preoccupano - aggiungono -. Non possiamo mai abituarci a vedere la vita calpestata». Invitando quindi a «non cedere al pessimismo e alla rabbia», chiedono: «Vogliamo essere spettatori o protagonisti del futuro L'Italia ha bisogno dell'impegno di ciascuno, di responsabilità e di partecipazione».

E concludono: «Riscopriamo e riproponiamo i principi della dottrina sociale della Chiesa: dignità delle persone, bene comune, solidarietà e sussidiarietà. Amiamo il nostro Paese. La Chiesa ricorderà sempre questo a tutti e continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l'interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità». Infine, i vescovi chiedono di ripartire “dai luoghi di vita” dove «abbiamo ritrovato il senso della prossimità durante la pandemia». Il Cammino sinodale che le Chiese in Italia stanno vivendo può costituire davvero «un’opportunità per far progredire processi di corresponsabilità».


Era ora che in Italia vincesse il centro destra!

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 2696933726
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:08 am

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:08 am

13)
Il suprematismo nazifascista russo nei demenziali e calunniosi discorsi di Putin contro l'Occidente




Le demenzialità, le menzogne e le calunnie contro gli USA e la NATO

viewtopic.php?f=143&t=3005
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1061722663

Capitolo 12)
I discorsi critici e calunniatore di Putin contro l'Occidente, l'Europa, gli USA e la NATO, assomigliano in parte a quelli del terrorista nazimaomettano Osama bin Laden


Le minacce nucleari del criminale del Cremlino
viewtopic.php?f=143&t=3018
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 2800756334

Questa è una minaccia al mondo intero, nessuno può sentirsi esente dalla minaccia poiché un conflitto nucleare sarebbe un disastro per tutti i paesi della terra.
L'ONU dovrebbe riunirsi al più presto in seduta plenaria e pronunciarsi in merito, espellendo la Russia dal consesso internazionale, condannandola, boicottandola e invitando il Mondo a coalizzarsi politicamente e militarmente per sconfiggere il male russo con ogni mezzo possibile.
La NATO si prepari al massimo per ogni eventualità ed entri in forze a sostegno dell'Ucraina con tutte le armi disponibili anche nucleari da usare se necessario.
Gli ucraini non sono schiavi o servi dei russi e non possiamo lasciare che il prepotente mafioso russo faccia quel che vuole in Ucraina e dell'Ucraina e ovunque gli giri. solo perché lui è prepotente, mafioso e minaccia con le armi nucleari.
Deve imparare a stare al Mondo con civiltà, educazione e rispetto.

Capitolo 1)
I discorsi di Putin e le sue demenziali minacce nucleari.
Le demenziali accuse all'occidente tendenti a demonizzarlo assomigliano molto a quelle di Osama bin Laden, e riprendono tutte le menzogne e le critiche della propaganda storica di destra e di sinistra, cattolica, nazi maomettana e comunista contro gli USA e l'Europa.


Le demenziali accuse di Putin all'occidente tendenti a demonizzarlo assomigliano molto a quelle di Osama bin Laden, e riprendono tutte le menzogne e le critiche della propaganda storica di destra e di sinistra, cattolica, nazi maomettana e comunista contro gli USA e l'Europa, abbondantemente adoperate sui social dai filoputiniani dell'occidente e servono a Putin per incrementare e rinsaldare il loro sostegno e la loro attività contro le politiche occidentali filoucraine e antirusse.


IL SATANISMO OCCIDENTALE

Niram Ferretti
30 settembre 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 0501814058

Il satanismo è l'Occidente, il satanismo è genitore 1, genitore 2, il satanismo è il dollaro, il satanismo sono gli Usa, il satanismo è la globalizzazione.
A questa costellazione satanista si contrappone la Russia, la Russia che ha in sè gli anticorpi per opporsi al satanismo, la Russia che non si piegherà all'egemonia satanista.
No, non è caricatura, è il nocciolo duro del discorso fatto da Putin, il più duro mai sentito.
Siamo dentro un canovaccio metafisico, siamo allo scontro tra luce e tenebra, retrocediamo nel tempo, là dove le guerre investivano aspetti cosmici, la terra ma ance il cielo.
Putin si sente all'angolo, sa di esserlo e rilancia.
In Ucraina le cose non sono andate secondo i piani, non stanno andando secondo i piani. Quella che doveva essere una questione da risolversi in fretta si sta trascinando da sette mesi. I soldati muoiono e sono poco motivati, gli ucraini incalzano. E' l'Occidente che vuole la distruzione della Russia.
Hitler era convinto che il fallimento dell'Operazione Barbarossa dimostrava che "l'Internazionale ebraica aveva alzato la testa", che l'Occidente fosse unito per distruggere la Germania sotto l'impulso ebraico.
Al posto degli ebrei, per Putin c'è una gigantesca volontà di potenza che desidera ridurre la Russia in schiavitù. Dalla scena è rimosso completamente il suo disegno imperialista, la volontà di soggiogare un paese sovrano, di negare la sua storia, la sua identità, le sue tradizioni, la sua lingua. Il Lebensraum russo come estensione elastica della propria volontà di dominio e asservimento viene occultato dietro una fantomatica minaccia alla propria incolumità, alla difesa dei propri confini, estesi in modo fraudolento incorporando terra altrui, terra rubata.
Ma infondo questi toni estremi, questa contrapposizione netta e radicale non sorprende. Sentiamo l'eco di Alexander Dugin, sentiamo l'eco, prima di lui, di Ivan Ilyin, sentiamo una voce vecchia di secoli in realtà, quella che non ha mai permesso alla Russia di essere realmente e profondamente integrabile nello spazio europeo e che faceva dire a Napoleone all'epoca in cui l'Asia era irrilevante, "Esistono due nazioni, l'Occidente e la Russia".
Il "satanismo" occidentale sì è una storia vecchia e purtroppo autenticamente russa.



PUTIN COME TORO SEDUTO AMMONISCE GLI YANKEE: "non si può mangiare denaro, non ci si può scaldare col denaro!"
1 ottobre 2022
https://www.facebook.com/maria.antoniet ... WPUEPp8Apl

Frasi chiave del discorso di Putin durante la cerimonia di annessione
L’Occidente stampa dollari ed euro, ma non è possibile dare da mangiare a nessuno con la carta e con le menzogne, serve il cibo, l’energia. Quindi i politici stanno cercando di convincere i loro concittadini a mangiare di meno e a lavarsi di meno e a vestirsi di più per stare caldi in casa. E se qualcuno inizia a fare domande, viene etichettato come estremista
L’Occidente non vuole risolvere i problemi, non persegue un mondo giusto, ma l’obiettivo di continuare ad esercitare la forza affinché possa mantenere la sua egemonia.
La volontà è di distruggere gli stati-nazione, gli europei stanno accettando sempre maggiori sanzioni contro la Russia nonostante siano consapevoli che gli Stati Uniti vogliono solo che si rifiuti il gas russo. Si inchinano al loro volere a costo di affamare i loro popoli. Fanno esplodere i gasdotti nel Baltico, chiudono gli impianti energetici. I mandanti sono gli Stati Uniti che con la forza tengono sotto ricatto l’Occidente, tramite le loro basi militari disseminate ovunque. E tutti i paesi che cercano di ottenere la loro sovranità energetica vengono considerati nemici degli Stati Uniti
Le sanzioni non bastano agli anglosassoni: sono passati al sabotaggio. Incredibile, ma è un dato di fatto. In effetti, hanno iniziato a distruggere l'infrastruttura energetica paneuropea. È ovvio per tutti coloro che ne traggono vantaggio.
Gli americani sono ipocriti, sono l’unico paese al mondo che ha usato l’arma nucleare per due volte, creando un precedente.
La dittatura delle élite occidentali diretta contro tutti i popoli del mondo. Compresa la popolazione degli stessi paesi occidentali.
La soppressione dei valori morali acquista le caratteristiche del satanismo. Il crollo dell'egemonia occidentale è irreversibile. L'Occidente nega le norme morali, la religione, la famiglia. Vogliamo davvero che in Russia ci sia il "genitore numero uno, due, tre" invece di "mamma e papà" e che nelle scuole si impongano ai bambini perversioni che portano al degrado e all'estinzione, supponendo che ci siano alcuni generi, tranne le donne e gli uomini? Per noi questo è inaccettabile. Loro rinnegano i valori della volontà popolare, della famiglia, della religione, mentre molti popoli rifiutano un mondo unipolare e lottano per la propria sovranità.
Oggi ci battiamo per un mondo giusto. Vogliamo che il dispotismo e la dittatura restino nel passato. Proteggeremo i nostri figli dagli esperimenti che servono a spezzare le loro anime.
La Verità è con noi


Discorso di Putin sull'annessione:

1 ottobre 2022
https://www.facebook.com/giuly.monroe/p ... mXJi2sp4al
Durante il suo discorso di 37 minuti, Putin ha parlato della rottura dell'Unione Sovietica, della "politica coloniale" occidentale, delle armi nucleari e della sua visione della morale occidentale.
Le citazioni seguenti sono state tradotte in inglese dal russo.
Difendere la “nostra terra”
"Difenderemo la nostra terra con tutti i poteri e i mezzi a nostra disposizione".
“Nel 1991, nella foresta di Belovezh, senza chiedere la volontà dei cittadini comuni, i rappresentanti delle élite dell'allora partito decisero di distruggere l'URSS e le persone si trovarono improvvisamente tagliate fuori dalla loro madrepatria. Questo ha fatto a pezzi e smembrato la nostra nazione, diventando una catastrofe nazionale...
“Ammetto che non capivano appieno quello che stavano facendo e a quali conseguenze questo avrebbe inevitabilmente portato alla fine. Ma questo non è più importante. Non c'è Unione Sovietica, il passato non può essere riportato indietro. E la Russia oggi non ne ha più bisogno. Non stiamo lottando per questo.
"Il campo di battaglia a cui il destino e la storia ci hanno chiamato è il campo di battaglia per il nostro popolo, per la grande Russia storica, per le generazioni future, i nostri figli, nipoti e pronipoti".
Un messaggio a Kiev
“Voglio che le autorità di Kiev e i loro veri padroni in Occidente mi ascoltino in modo che lo ricordino. Le persone che vivono a Luhansk e Donetsk, Kherson e Zaporizhia stanno diventando nostri cittadini. per sempre.
“Chiediamo al regime di Kiev di porre fine immediatamente alle ostilità, di porre fine alla guerra che hanno scatenato nel 2014 e di tornare al tavolo dei negoziati.
“Siamo pronti per questo…Ma non discuteremo della scelta delle persone a Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson. Questo è stato fatto. La Russia non li tradirà".
Fuga di gas Nord Stream
“Agli anglosassoni non bastavano le sanzioni: passarono al sabotaggio. È difficile da credere, ma è un dato di fatto che hanno organizzato le esplosioni sui gasdotti internazionali Nord Stream, che corrono lungo il fondo del Mar Baltico...È chiaro a tutti coloro che ne traggono vantaggio".
L'imperialismo occidentale
"L'Occidente ...iniziò la sua politica coloniale nel Medioevo, e poi seguì la tratta degli schiavi, il genocidio delle tribù indiane [indigene] in America, il saccheggio dell'India, dell'Africa, le guerre di Inghilterra e Francia contro la Cina ...
“Quello che hanno fatto è stato agganciare intere nazioni alla droga, sterminando deliberatamente interi gruppi etnici. Per il bene della terra e delle risorse, cacciavano le persone come animali. Ciò è contrario alla natura stessa dell'uomo, alla verità, alla libertà e alla giustizia».
'Precedente nucleare'
"Gli Stati Uniti sono l'unico paese al mondo che ha usato due volte armi nucleari, distruggendo le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki e stabilendo un precedente".
“Ancora oggi occupano effettivamente Germania, Giappone, Repubblica di Corea e altri paesi, e allo stesso tempo li chiamano cinicamente alleati di pari rango.
La morale occidentale
“Ora sono passati del tutto, a una negazione radicale delle norme morali, della religione e della famiglia...
“La dittatura delle élite occidentali è diretta contro tutte le società, compresi gli stessi popoli dei paesi occidentali. Questa è una sfida per tutti. Questa è una totale negazione dell'umanità, il rovesciamento della fede e dei valori tradizionali. In effetti, la stessa soppressione della libertà ha assunto i tratti di una religione: puro satanismo».
Vogliamo davvero, qui, nel nostro paese, in Russia, invece di 'mamma' e 'papà', avere 'genitore numero uno', 'genitore numero due', 'numero tre'? Sono impazziti completamente? Vogliamo davvero...che si sia insediato nei bambini delle nostre scuole... che ci siano presunti generi oltre alle donne e agli uomini, e che [ai futuri bambini] venga offerta la possibilità di sottoporsi a operazioni di cambio di sesso?
Abbiamo un futuro diverso, il nostro futuro.
Presidente Vladimir Putin


Alberto Pento
Le demenziali accuse di Putin all'occidente tendenti a demonizzarlo assomigliano molto a quelle di Osama bin Laden, e riprendono tutte le menzogne e le critiche della propaganda storica di destra e di sinistra, cattolica, nazi maomettana e comunista contro gli USA e l'Europa, abbondantemente adoperate sui social dai filoputiniani dell'occidente e servono a Putin per incrementare e rinsaldare il loro sostegno e la loro attività contro le politiche occidentali filoucraine e antirusse.


Menzogne e calunnie demenziali per demonizzare, criminalizzare e disumanizzare, per istigare alla paura, al disprezzo e all'odio etnico-ideologico-politico-religioso, al fine di depredare, schiavizzare e impedire il libero esercizio dei diritti umani, civili, economici e politici del prossimo.

viewtopic.php?f=196&t=2942
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8357587395

L'ANTIMPERIALISMO DEGLI IDIOTI
Paola Bisbini
27 settembre 2022

https://www.facebook.com/ely.bennini/po ... 0157992934

C'è una sinistra che in nome dell'antiamericanismo e dell'antimperialismo finisce per giustificare azioni violente e regimi dittatoriali come quello di Putin in Russia o Assad in Siria. Che non riesce proprio a criticare le politiche imperialiste, nazionaliste e autoritarie del presidente russo.
Le posizioni di questi "pacifisti" possono essere definite come "antimperialismo degli idioti". Certa sinistra occidentale ha risposto alle critiche alla guerra di Putin parlando delle guerre americane in Afghanistan, all'Iraq e in altri paesi.
Questi paesi devono entrare in discussione, ma come esattamente?
I ragionamenti della sinistra dovrebbero insistere sul fatto che nel 2003 non è stata fatta abbastanza pressione sugli Stati Uniti, non sulla necessità di esercitare meno pressione sulla Russia nel caso dell'Ucraina.
Sono in circolazione troppe idee sbagliate e false (fattualmente false) come per esempio l'idea che ci sia stata da parte della NATO una provocazione militare verso la Russia, che Mosca sia sinceramente interessata a una soluzione diplomatica del conflitto, e che in Ucraina ci sua un governo fantoccio degli Stati Uniti (mentre invece è in Bielorussia che c'è un governo fantoccio di Putin).
In controtendenza con questo "antimperialismo degli idioti" va segnalato l'appello pubblicato su Le Monde in cui 80 intellettuali di tutto il mondo chiedevano ai loro governi di sostenere gli ucraini: "In molti dei nostri paesi una parte dell'opinione pubblica si è schierata con il dittatore russo. In nome di un antimperialismo che nel corso degli anni si è trasformato in odio, si applaude chiunque si schieri contro l'Occidente. Non sbagliamo la battaglia. Tutti coloro che rivendicano la libertà per sé stessi, che credono nel diritto dei cittadini di scegliere i propri governanti e di rifiutare la tirannia, oggi devono schierarsi con gli ucraini. La libertà va difesa ovunque".



PUTIN E L'OCCIDENTE
Giovanni Bernardini
2 ottbre 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 1377998389

“L'Occidente ha iniziato la sua politica coloniale già nel Medioevo, e poi è seguita la tratta degli schiavi, il genocidio delle tribù indiane in America, il saccheggio dell'India, dell'Africa, le guerre dell'Inghilterra e della Francia contro la Cina (...)
Quello che hanno fatto è stato soggiogare intere nazioni con la droga, sterminare deliberatamente interi gruppi etnici”.
Così parlò Vladimir Putin.
L’autocrate accusa l’occidente di tutti i mali del mondo: è stato ed è schiavista, razzista, imperialista.
Certo, in occidente c’è stato lo schiavismo, il razzismo, l’imperialismo, ma non sono queste le caratteristiche distintive della grande civiltà occidentale.
In occidente c’ stato lo schiavismo, come in TUTTE le civiltà, ma SOLO in occidente è sorto un movimento abolizionista della schiavitù. Come ovunque in occidente c’è stato ed ancora c’è il razzismo, ma è occidentale l’idea della pari dignità di tutti gli esseri umani. Anche l’occidente è stato imperialista, ma è occidentale il principio della autodeterminazione delle nazioni. In occidente ci sono stati i roghi ma anche la rivendicazione della libertà di pensiero, l’’intolleranza ma anche la “lettera sulla tolleranza” di quel pensatore super occidentale che è stato John Locke.
Non si può dire altrettanto, purtroppo, della Russia, che in tutta la sua storia non ha mai conosciuto un periodo di vera democrazia, a parte i pochi mesi che separano il febbraio dall’ottobre del 1917.
Meno che mai si può dire altrettanto della Russia che più piace a Vladimir Putin: un enorme stato imperiale compost da circa 200 diverse etnie che dopo l’ottobre del 1917 si è trasformato in una delle più mostruose tirannidi totalitarie di ogni tempo. Uno stato che ha costruito la sua grande industria sfruttando a morte quei nuovi tipi di schiavi che erano gli ospiti dei gulag, che ha cercato, fallendo, di modernizzare l’agricoltura sterminando per fame milioni di contadini, in larga misura ucraini, che ha fatto rinascere forme di coartazione del libero pensiero a cui confronto i tribunali della santa inquisizione erano “liberali”, che ha oppresso spietatamente, moltissime minoranza nazionali, deportato in siberia interi gruppi etnici.
Ormai Putin ha gettato la maschera. Prima si limitava ad equiparare in maniera mistificatoria l’occidente ad alcune sue degenerazioni politicamente corrette. Ora usa contro l’occidente tutto l’armamentario propagandistico del peggior stalinismo e, in maniera solo apparentemente paradossale, del peggior politicamente corretto: quello della “cancel culture”.
Putin ha ingannato per un certo periodo di tempo molti occidentali. Molti hanno visto in lui un possibile modernizzatore della Russia, certo, non un democratico occidentale ma un leader con cui si poteva collaborare. Ormai simili illusioni non hanno più fondamento alcuno. Putin ha rivelato senza possibilità di dubbio di esser rimasto quello che è sempre stato: un alto funzionario del KGB, la polizia politica del vecchio regime comunista. Che un simile personaggio possa piacere ai nostalgici di baffone Stalin o a pseudo filosofi che odiano l’occidente non desta sorpresa. Che persone che si autodefiniscano “liberali” possano guardare con simpatia ad un simile personaggio è assolutamente inammissibile.
Non sono più possibili equivoci di sorta. Chi ancora prova una certa emozione leggendo la “lettera sulla tolleranza” di Locke non può che provare un senso di nausea leggendo le esaltazioni che fa di Putin quello pseudo filosofo che è Diego Fusaro.
In mezzo non si può stare. O con l’occidente o coi suoi nemici.


DIEGO FUSARO: Il discorso di Putin. Cosa ha realmente detto all'Occidente?
1 ottobre 2022
https://www.youtube.com/watch?v=SeHYEaUJpbM





I primati negativi della incivile e malvagia Russia di Putin
La incivile e malvagia Russia nazifascista di Putin, i suoi primati negativi e le sue azioni criminali
viewtopic.php?f=143&t=3010
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4000746683

La Russia di Putin non è un faro di civiltà per il mondo, non è certo un paradiso per i cristiani e non è nemmeno una patria felice e ideale per i russi e per le altre etnie di questa federazione imperiale a egemonia suprematista russa.



La guerra e il terrore | La catastrofe intellettuale di Vladimir Putin

Linkiesta.it
Paul Berman
18 Marzo 2022

https://www.linkiesta.it/2022/03/filoso ... smo-putin/

Vladimir Putin potrebbe essere uscito di senno, ma è anche possibile che abbia semplicemente osservato le cose attraverso una particolare lente che appartiene alla tradizione russa. E che abbia agito di conseguenza. Invadere i vicini non è, dopo tutto, una cosa inedita per un leader russo. È una cosa abituale. È senso pratico. È un’antica tradizione. Ma quando cerca una retorica aggiornata che riesca a spiegare a se stesso e al mondo le ragioni di quest’antica tradizione, Putin fa fatica a trovare qualcosa.

Si aggrappa a retoriche politiche che risalgono a tempi ormai lontani. E si disintegrano nelle sue mani. Fa dei discorsi e scopre di essere senza parole, o quasi. E questa potrebbe essere stata la prima battuta d’arresto, ben prima delle battute d’arresto patite dal suo esercito. Però non si tratta di un fallimento psicologico. Si tratta di un fallimento filosofico. Gli fa difetto un adeguato linguaggio per fare analisi: e, di conseguenza, gli fa difetto la lucidità.

Il problema che Putin sta cercando di risolvere è l’eterno dilemma russo, e cioè il vero «indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma» che Winston Churchill attribuì alla Russia (e che non sarebbe mai riuscito a risolvere, anche se riteneva che l’“interesse nazionale” offrisse una chiave). È il dilemma su che cosa fare riguardo a uno stranissimo e pericoloso squilibrio nella vita russa.

Lo squilibrio consiste nella coesistenza, da una parte, della grandeur della civiltà russa e della sua geografia (che costituisce un’enorme forza) e, dall’altra, di una strana e persistente incapacità di costruire uno Stato resiliente e affidabile (che costituisce un’enorme debolezza). Nel corso dei secoli i leader russi hanno cercato di affrontare questo squilibrio costruendo le più criminali fra le tirannie, nella speranza che la brutalità avrebbe compensato la carenza di resilienza. E hanno accompagnato la brutalità con una politica estera insolita, diversa da quella di qualunque altro Paese, una politica estera che sembrava servire allo scopo.

Grazie alla brutalità e all’insolita politica estera lo Stato russo è riuscito ad attraversare il XIX secolo senza collassare – e questo è stato un successo. Ma nel XX secolo lo Stato è collassato due volte. Il primo collasso, nel 1917, consentì l’ascesa al potere di estremisti, di pazzi e di alcune delle peggiori sciagure della storia del mondo. Nikita Chruščëv e Leonid Brežnev riportarono lo Stato a una condizione di stabilità.

Poi lo Stato russo crollò di nuovo. Il secondo collasso, nell’epoca di Michail Gorbačëv e Boris El’cin, non fu altrettanto disastroso. Eppure, l’impero scomparve, scoppiarono delle guerre lungo i confini meridionali della Russia, l’economia si disintegrò e crollò l’aspettativa di vita. Questa volta fu Putin a guidare la ripresa. In Cecenia lo fece con un grado di criminalità che qualifica soltanto lui, tra i combattenti dell’attuale guerra, per un’accusa di genocidio o qualcosa del genere.

Ma Putin non è stato più abile di Chruščëv e di Brežnev nel tentativo di raggiungere un successo definitivo, e cioè la creazione di uno Stato russo abbastanza solido e resiliente da evitare ulteriori collassi. La cosa lo preoccupa. Con tutta evidenza lo getta nel panico. E le sue preoccupazioni lo hanno condotto a considerare il problema dal punto di vista che in passato hanno adottato, uno dopo l’altro, tutti i suoi predecessori – un punto di vista che ha versioni diverse, ma che di fatto è sempre lo stesso.

Questo punto di vista è come una specie di paranoia climatica. Si tratta della paura che i princìpi caldi della filosofia liberale e delle pratiche repubblicane provenienti dall’Occidente, spostandosi verso Est, possano scontrarsi con le nubi ghiacciate dell’inverno russo e che da questa collisione nascano delle violente tempeste a cui nulla sopravvivrà. Si tratta, in breve, della convinzione secondo cui i pericoli per lo Stato russo sono esterni e ideologici e non interni e strutturali.

La prima di queste collisioni, quella originaria, prese una forma molto rozza e non ebbe le caratteristiche delle successive collisioni. Ma fu traumatica. Stiamo parlando dell’invasione della Russia da parte di Napoleone nel 1812, che mandò a sbattere la Rivoluzione francese, in una sua forma deteriorata e dittatoriale, contro il medievalismo congelato degli zar. La collisione tra la Rivoluzione francese e gli zar portò l’esercito francese fino all’incendio di Mosca e l’esercito zarista fino a Parigi.

Ma le collisioni tipiche, quelle che si sono verificate ripetutamente nel corso dei secoli, sono sempre state filosofiche, mentre gli aspetti militari sono rimasti confinati alla reazione russa. Un decennio dopo l’ingresso dell’esercito zarista a Parigi, una cerchia di aristocratici russi, influenzati dalla Rivoluzione francese e da quella americana, adottò delle idee liberali. E organizzò una cospirazione in nome di una nuova Russia liberale. Questi aristocratici furono arrestati ed esiliati e il loro progetto fu sbriciolato. Ma lo zar, che era allora Nicola I, non si fidò un granché della sua vittoria su di loro. E reagì adottando una politica che proteggesse per sempre, in un modo migliore, lo Stato russo dai rischi di sovvertimento.

Nel 1830 scoppiò una nuova rivoluzione francese che diffuse analoghe aspettative liberali qui e là in Europa, e soprattutto in Polonia. Nicola I si rese conto che un rivitalizzarsi del liberalismo ai confini del suo Paese era destinato a rinvigorire le cospirazioni degli aristocratici liberali arrestati ed esiliati. Reagì invadendo la Polonia. E, per buona misura, inghiottì lo Stato polacco, inglobandolo nell’impero zarista.

Nel 1848, in Francia, scoppiò un’altra rivoluzione, che condusse ad ancor più diffuse insurrezioni liberali e repubblicane in tutta Europa – si trattò quasi di una rivoluzione continentale, e fu un’indicazione chiara che in Europa stava cercando di emergere con tutte le forze una nuova civiltà, che non era più monarchica né feudale e che non avrebbe più ubbidito ai voleri di nessuna chiesa che esercitasse il potere in un dato luogo, una nuova civiltà fatta di diritti umani e di pensiero razionale. Ma la nuova civiltà era esattamente ciò che Nicola I aveva temuto. Lo zar reagì invadendo l’Ungheria. Queste due invasioni da lui condotte – quella della Polonia e quella dell’Ungheria – dal punto di vista di Nicola I furono guerre di difesa che avevano assunto la forma di guerra d’aggressione. Erano “operazioni militari speciali” progettate per impedire il diffondersi di idee sovversive in Russia grazie alla distruzione dei vicini rivoluzionari, con l’ulteriore speranza di estirpare le aspirazioni rivoluzionarie da un territorio ancora più vasto.

Le guerre ebbero successo. La rivoluzione continentale del 1848 andò incontro a una sconfitta continentale e Nicola I ebbe una parte importante in tutto questo. Fu il “gendarme d’Europa”. E lo Stato zarista durò per altre due o tre generazioni, finché tutto quello che Nicola I aveva temuto alla fine accadde davvero e l’ispirazione proveniente dai socialdemocratici tedeschi e da altre correnti liberali e rivoluzionarie dell’Occidente penetrò disastrosamente proprio nella sua Russia. Era il 1917. E lo zar era allora il suo bisnipote Nicola II.

Il fragile Stato russo andò a fondo. E riemerse come una dittatura comunista. Ma la dinamica di base rimase la stessa. Sui liberali e sulle correnti liberalizzatrici provenienti dall’Occidente Stalin aveva una visione identica a quella di Nicola I, anche se il vocabolario con cui Stalin esprimeva i suoi timori non era lo stesso usato dallo zar. Stalin si impegnò a distruggere ogni aspirazione liberale o liberalizzatrice in Unione Sovietica. Ma si impegnò a distruggerle anche in Germania – e anzi questo fu uno dei primi obiettivi della sua politica verso la Germania, che si prefiggeva di distruggere i socialdemocratici prima ancora che i nazisti. E lo fece anche in Spagna, durante la Guerra civile: lì la sua politica si prefiggeva di distruggere gli elementi non comunisti della sinistra spagnola altrettanto (se non più) che di distruggere i fascisti. Quando la Seconda guerra mondiale terminò, Stalin si impegnò a distruggere quelle stesse aspirazioni in tutte le parti d’Europa che erano cadute sotto il suo controllo. È vero che era uno squilibrato.

Ma anche Chruščëv, che non era uno squilibrato, si rivelò essere un Nicola I. Nel 1956, quando l’Ungheria comunista decise di esplorare delle possibilità vagamente liberali, Chruščëv individuò in questo un pericolo mortale per lo Stato russo e fece la stessa cosa che aveva fatto Nicola I. Invase l’Ungheria. Poi salì al potere Brežnev. E si rivelò uguale anche lui. Tra i leader comunisti della Cecoslovacchia si fece strada un impulso liberale. E Brežnev invase la Cecoslovacchia. Questi erano i precedenti quando Putin, nel 2008, decise l’invasione su piccola scala di una Georgia che era da poco diventata liberale e rivoluzionaria. E quando poi, nel 2014, decise l’invasione della Crimea, che faceva parte della rivoluzionaria Ucraina.

Ciascuna di queste invasioni del XIX, XX e XXI secolo avevano l’obiettivo di preservare lo Stato russo, impedendo che una brezza puramente filosofica di pensieri liberali e di esperimenti sociali potesse fluttuare al di là del confine. E gli stessi ragionamenti hanno condotto all’invasione più feroce di tutte, che è quella che sta avvenendo proprio ora.

L’unica differenza è che Putin si è imbattuto in un problema di linguaggio, o di retorica, che non aveva afflitto nessuno dei suoi predecessori. Nicola I, negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, sapeva benissimo come descrivere le sue guerre contro le idee e i movimenti liberali dell’Europa Centrale. Lo faceva evocando i principi di un ideale monarchico mistico e ortodosso. Lui sapeva a favore di che cosa e contro che cosa si batteva. Era il campione della vera Cristianità e della tradizione consacrata ed era il nemico dell’ateismo satanico, dell’eresia e del disordine rivoluzionario.

I suoi princìpi suscitavano disgusto tra gli amici della Rivoluzione francese e di quella americana. Ma suscitavano rispetto e ammirazione tra gli amici dell’ideale monarchico e dell’ordine, che, anche grazie al suo aiuto, erano dominanti in Europa. I suoi princìpi erano nobili, solenni, grandiosi e profondi. Erano, per certi versi, dei princìpi universali e questo li rendeva degni della grandeur russa – erano dei princìpi buoni per l’intera umanità, sotto la guida della monarchia russa e della Chiesa ortodossa. Erano dei princìpi vivi, fondati nella realtà del tempo, benché fossero nascosti dietro il fumo e l’incenso, e ponevano lo zar e i suoi consiglieri nella posizione di pensare con lucidità e in modo strategico.

Anche Stalin, Chruščëv e Brežnev sapevano come descrivere le loro guerre contro i liberali e i sovversivi. Lo facevano invocando i princìpi del comunismo. Anche questi princìpi erano grandiosi e universali. Erano i princìpi del progresso umano – anche in questo caso sotto la guida della Russia – dei princìpi buoni per il mondo intero. Questi princìpi suscitavano sostegno e ammirazione in ogni Paese in cui c’era un forte partito comunista e talvolta anche fra i non comunisti, che accettavano l’argomentazione secondo cui le invasioni sovietiche erano antifasciste. Per queste ragioni, anche i princìpi comunisti erano altrettanto fondati nella realtà del tempo e questo metteva i leader comunisti nella posizione di fare i loro calcoli strategici con lucidità e sicurezza di sé.

E Putin, invece, a quale dottrina filosofica potrebbe appellarsi? I teorici putiniani avrebbero dovuto confezionargliene una, qualcosa di magnifico, che fosse capace di generare un linguaggio utile a sviluppare un pensiero sull’attuale situazione della Russia e sull’eterno dilemma dello Stato russo. Ma i teorici lo hanno deluso. Avrebbe dovuto farli fucilare. Forse questo fallimento non è davvero colpa loro, ma questa non è una buona ragione per non fucilarli. Non si può confezionare una dottrina filosofica a comando, nel modo in cui chi scrive i discorsi scrive un discorso. Le dottrine forti o ci sono o non ci sono. E così Putin ha dovuto arrabattarsi con le idee che galleggiavano qua e là, afferrandone una e poi un’altra per poi legarle insieme con un nodo.

Non ha tratto quasi niente dal comunismo, fatta eccezione per l’odio verso il nazismo che è rimasto dalla Seconda guerra mondiale. Anche lui ha posto molta enfasi sul suo antinazismo e questa enfasi ha avuto un ruolo importante nel suscitare quel supporto che Putin è riuscito a raccogliere fra i suoi compatrioti russi. Ma, per altri versi, l’antinazismo non è un punto di forza della sua dottrina. Negli ultimi anni, i neonazisti in Ucraina hanno avuto visibilità, anche se soltanto in forma di graffiti sul muro e di saltuarie manifestazioni di piazza. Ma non hanno avuto un ruolo né grande né piccolo. Hanno avuto un ruolo irrilevante e questo significa che l’enfasi di Putin sui neonazisti ucraini, che è utile per la sua popolarità in Russia, introduce però una rilevante distorsione nel suo pensiero.

E da qui proveniva l’aspettativa, che è stata delusa, secondo cui un gran numero di ucraini, spaventati dai neonazisti, avrebbe guardato con gratitudine i carrarmati russi che transitavano lungo le strade. Ma non c’è alcun altro elemento del comunismo che sopravvive nel suo pensiero. Al contrario, Putin ha ricordato con dispiacere come le dottrine comuniste ufficiali del passato avessero incoraggiato l’autonomia dell’Ucraina invece di incoraggiare la sua sottomissione nell’ambito di una più grande nazione russa. La posizione di Lenin su quella che era abitualmente definita “questione nazionale” non è la sua stessa posizione.

Dal mistico ideale monarchico degli zar, invece, Putin ha tratto molte cose. Ne ha tratto il senso di un’antica tradizione, che lo porta a evocare il ruolo di Kiev nella fondazione della nazione russa nel IX secolo e le guerre di religione del XVII secolo fra la Chiesa Ortodossa (i bravi ragazzi) e la Chiesa cattolica (i cattivi ragazzi). L’ideale monarchico non è una forma di nazionalismo, ma Putin ha dato alla sua personale lettura del passato monarchico e religioso un’interpretazione nazionalista, al punto che la lotta dell’Ortodossia contro il Cattolicesimo si presenta come una lotta nazionale dei russi (che nella sua interpretazione comprendono gli ucraini) contro i polacchi. Putin evoca l’eroica rivolta dei cosacchi che fu guidata, nel XVII secolo, dall’atamano Bohdan Chmel’nyc’kyj, anche se sceglie di tralasciare con discrezione il ruolo aggiuntivo di Chmel’nyc’kyj come leader di alcuni dei peggiori pogrom della storia.

Ma non c’è nulla di grandioso né di nobile nella lettura nazionalista del passato fatta da Putin. La sua evocazione della storia della chiesa implica la grandezza della spiritualità ortodossa ma non sembra riflettere questa grandezza, quasi come se, per lui, l’Ortodossia fosse soltanto un pensiero secondario o un ornamento. Il suo nazionalismo ricorda soltanto in modo superficiale i vari nazionalismi romantici dell’Europa del XIX secolo e degli anni che condussero alla Prima guerra mondiale. Quei nazionalismi del passato tendevano a essere varianti di un moto comune all’interno del quale ciascun singolo nazionalismo, ribellandosi contro l’universalismo dei dittatori giacobini e degli imperi multietnici, rivendicava di svolgere una missione speciale per l’intera umanità.

Ma il nazionalismo di Putin non rivendica alcuna missione speciale di questo tipo. Non è un nazionalismo grandioso, ma un piccolo nazionalismo. È il nazionalismo di un piccolo Paese – un nazionalismo che ha una vocetta strana, come quella del nazionalismo serbo che negli anni Novanta sbraitava su avvenimenti del XIV secolo. È, sia chiaro, una voce arrabbiata, ma non ha il tono profondo e tonitruante dei comunisti. È la voce del rancore nei confronti dei vincitori della Guerra fredda. È la voce di un uomo la cui dignità è stata offesa. Le aggressive invasioni di campo di una Nato trionfante lo fanno infuriare. E cova la sua rabbia.

Ma anche il suo rancore manca di grandeur. E manca, in ogni caso, della capacità di dare spiegazioni. Gli zar potevano spiegare perché la Russia aveva suscitato l’inimicizia dei rivoluzionari liberali e repubblicani: ciò era avvenuto perché la Russia difendeva la vera fede, mentre i liberali e i repubblicani erano i nemici di Dio. Allo stesso modo, anche i leader comunisti potevano spiegare perché l’Unione Sovietica si era fatta a sua volta dei nemici: ciò era avvenuto perché i nemici del comunismo sovietico erano i difensori della classe capitalista e il comunismo costituiva il disfacimento del capitalismo.

Putin, invece, parla di “russofobia”, e questo implica un odio irrazionale, qualcosa che non si può spiegare. E, nel suo rancore, non punta neppure a qualche virtuoso obiettivo supremo. Gli zar credevano che avrebbero potuto offrire la vera fede all’umanità solo sconfiggendo i sovversivi e gli atei. E i comunisti credevano che, dopo aver sconfitto i capitalisti e i fascisti, che sono lo strumento del capitalismo, la liberazione del mondo sarebbe stata a portata di mano. Ma il rancore di Putin non indica un futuro radioso. È un rancore che guarda al passato e che non ha un volto rivolto al futuro.

Stavolta, quindi, si tratta di un nazionalismo russo che non ha nulla che possa attirare il sostegno di qualcun altro. Lo so che in alcune parti del mondo ci sono persone che sostengono Putin nella guerra che sta conducendo in questo momento. Lo fanno perché albergano un loro personale rancore verso gli Stati Uniti e i Paesi ricchi. O lo fanno perché conservano la gratitudine per aver ricevuto aiuto dall’Unione Sovietica durante la Guerra fredda. E ci sono serbi che sentono un legame fraterno. Ma quasi nessuno sembra condividere le idee di Putin. Non c’è niente che si possa condividere. E non c’è nessuno in tutto il mondo che pensi che la distruzione dell’Ucraina inaugurerà una nuova epoca migliore di questa.

Questa dottrina non offre speranza. Offre isteria. Putin crede che sotto la presunta leadership nazista che si è impadronita dell’Ucraina milioni di russi che vivono all’interno dei confini dell’Ucraina siano vittima di un genocidio. Talvolta pare che con la parola “genocidio” Putin intenda dire che dei russofoni con un’identità etnica russa siano costretti a parlare ucraino, cosa che li priverebbe della loro identità – e cosa di cui parla nel suo saggio del 2021 che si intitola “Sull’unità storica dei russi e degli ucraini”. Altre volte sembra invece che Putin si accontenti di lasciare intatta l’allusione a dei massacri.

In entrambi i casi, è apparso particolarmente poco convincente su un aspetto importante. In nessuna parte del mondo qualcuno ha indetto una manifestazione per denunciare il genocidio di milioni di russi in Ucraina. E come mai? Perché Putin parla con il tono di un uomo che non aspira neanche a essere creduto, tranne che dalle persone che non hanno bisogno di essere convinte.

Eppure, lui si aggrappa alla sua idea. Gli si addice. Considera se stesso una persona acculturata che pensa nel modo più raffinato – come qualcuno che non potrebbe mai invadere un altro Paese se non fosse capace di evocare una grandiosa filosofia. Riguardo a questo punto, Putin sembra bramare delle rassicurazioni. E immagino che questo sia il motivo per il quale ha passato così tante ore al telefono con Emmanuel Macron, il presidente del Paese, la Francia, che è sempre stata la patria del prestigio intellettuale. Ma il cuore del disastro è proprio l’attaccamento di Putin a questa idea di una filosofia grandiosa. Infatti, come può ragionare con lucidità un uomo che è immerso in idee piccine e ridicole come questa?

Lui sa di essere circondato dai problemi e dalle sfide del mondo reale, ma la sua immaginazione ribolle. Ci sono i rancori che derivano dalla storia medievale, dalle guerre di religione e dalle gloriose imprese dei cosacchi del XVII secolo. Ci sono i paralleli tra il Cattolicesimo polacco del passato e l’attuale “russofobia” della Nato. C’è l’orribile destino dei russi dell’Ucraina che si trovano nelle mani dei neonazisti sostenuti dall’Occidente. E, in questo ribollire di rancori, la cosa migliore con cui Putin riesce a uscirsene è la politica estera dello zar Nicola I degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento.

Ora, è vero che dal punto di vista di un tradizionale realismo in politica estera tutto quello che ho appena detto dovrebbe essere scartato come irrilevante. Il realismo è un’ideologia che accantona come cose insignificanti le ideologie e si attiene rigidamente ai rapporti di potere. Questo può semplicemente significare che le farneticazioni nazionaliste di Putin sono abbastanza prive di senso, fatta eccezione per le lamentele che riguardano la Nato e le sue aggressioni, lamentele che sono giudicate non ideologiche. Ed è questo il punto su cui dovremmo concentrare tutta la nostra attenzione.

Ma davvero dovremmo farlo? Le persone che prendono seriamente le lamentele riguardo alla Nato parlano sempre del pericolo che corre la Russia come se fosse qualcosa di così ovvio da non aver bisogno di alcuna spiegazione. Lo stesso Putin sottolinea gli sconfinamenti a Est della Nato e batte il pugno sul tavolo, ma si limita a questo, senza spiegare su cosa si basino le sue obiezioni. Si suppone che noi deduciamo che l’espansione della Nato costituisca un pericolo per la Russia perché, un qualche giorno, all’improvviso, gli eserciti della Nato potrebbero attraversare il confine entrando nel territorio russo, proprio come ha fatto l’esercito di Napoleone nel 1812.

Eppure, anche se dovessimo limitare l’analisi ai soli dati di fatto, come ci suggerisce di fare il realismo, dovremmo ricordare che nei più di settant’anni della sua esistenza la Nato non ha fornito il minimo elemento perché si possa pensare che essa sia qualcosa di più che un’alleanza difensiva. Non c’è ragione alcuna per ritenere che un giorno, all’improvviso, la Nato, che è per principio antinapoleonica, si comporti in modo napoleonico. La ragione per cui la Nato si è espansa verso Est è stata invece la volontà di stabilizzare l’Europa e di interrompere le dispute sui confini – una cosa che dovrebbe essere anche nell’interesse della Russia.

Eppure, che l’espansione della Nato abbia fatto infuriare Putin e lo abbia terrorizzato è una cosa indiscutibile. Ma perché? Penso che la risposta sia ovvia. Ed è ovvio il motivo per cui nessuno la vuole dire ad alta voce. Alla fine, le rivoluzioni europee che avevano terrorizzato Nicola I, nonostante tutti i suoi sforzi, ebbero effettivamente luogo. E sorsero delle repubbliche liberali. E, nel 1949, le repubbliche liberali si sono unite fra loro, come se credessero davvero che i principi liberali e repubblicani potessero dare avvio a una nuova civiltà. E protessero questa civiltà con un’alleanza militare: la Nato. In questo modo, le repubbliche liberali produssero un’alleanza militare che conteneva in sé un’idea spirituale, e cioè la convinzione che il progetto liberale e repubblicano fosse meraviglioso. Ecco qui la rivoluzione del 1848, finalmente vittoriosa e protetta da un formidabile scudo. E Putin individua il problema.

L’espansione verso Est della Nato lo fa infuriare e lo terrorizza perché ostacola la tradizionale politica estera russa, solida e conservatrice, stabilita da Nicola I: la politica di invadere i vicini. Là dove si è espansa la Nato, la Russia non può più invadere e quindi non possono essere smantellate le conquiste delle rivoluzioni liberali e repubblicane – o, quantomeno, non possono essere smantellate dall’esercito russo.

L’opposizione all’espansione della Nato coincide quindi con un’accettazione dell’espansionismo della Russia, un espansionismo davvero strano il cui obiettivo è sempre stato impedire il diffondersi verso Est delle idee rivoluzionarie.

Ma Putin non dice questo. Non lo dice nessuno. È una cosa che non si può dire. Chiunque dovesse riconoscere che accetta la politica russa di invadere i vicini starebbe dicendo, di fatto, che decine di milioni di persone che vivono lungo il confine con la Russia, o nelle zone limitrofe, dovrebbero essere soggette alla più violenta e omicida delle oppressioni per la più banale delle ragioni, e cioè per proteggere la popolazione russa dal contatto con le idee e le convinzioni che noi stessi crediamo stiano alla base di una società sana. Per questo non lo dice nessuno. E invece si consente che circoli la supposizione secondo cui la Russia correrebbe dei pericoli a causa della Nato, in quanto si troverebbe di fronte alla prospettiva di un’invasione napoleonica. Per dirla in breve, il “realismo” che rivendica di essere una fonte di lucidità intellettuale è invece fonte di annebbiamento intellettuale.

Ma, alla fine: perché Putin ha invaso l’Ucraina? Non è per l’aggressione da parte della Nato. Non è a causa di quanto è accaduto a Kiev nel IX secolo o di quanto è accaduto nelle guerre del XVII secolo tra ortodossi e cattolici. E non è a causa del fatto che l’Ucraina, con il presidente Volodymyr Zelensky, è diventata nazista. Putin ha invaso l’Ucraina a causa della rivoluzione di Maidan del 2014. La rivoluzione di Maidan è stata proprio una rivoluzione del 1848 – una classica sollevazione europea animata dalle stesse idee liberali e repubblicane del 1848, con lo stesso idealismo studentesco e con gli stessi gesti romantici e anche con le stesse barricate nelle strade, se non fosse che questa volta erano fatte di copertoni di gomma e non di legno.

Io lo so, perché sono uno studioso delle rivoluzioni – ho osservato molti sollevamenti rivoluzionari in diversi continenti – e perché ho visto la rivoluzione di Maidan, con tre mesi di ritardo. Ho percepito nell’aria l’elettricità rivoluzionaria – e l’ha percepita anche Putin, da lontano. La rivoluzione di Maidan ha rappresentato tutto ciò contro cui Nicola I si era impegnato a combattere nel 1848-49. È stata dinamica, appassionata e capace di suscitare simpatia da parte di un gran numero di persone. Alla fine la rivoluzione di Maidan è stata superiore alle rivoluzioni del 1848. Non è sfociata in utopie folli o demagogiche, né in programmi di sterminio o nel caos. È stata una rivoluzione moderata a favore di un’Ucraina moderata – una rivoluzione che ha offerto all’Ucraina un futuro percorribile e che, in questo modo, ha offerto nuove possibilità anche ai vicini dell’Ucraina. E, diversamente dalle rivoluzioni del 1848, non è fallita. Per questo Putin era terrorizzato. Ha reagito annettendo la Crimea e fomentando le sue guerre nelle province separatiste dell’Ucraina orientale, nella speranza di poter fare qualche ammaccatura al successo rivoluzionario.

Anche lui ha ottenuto alcune vittorie e forse anche gli ucraini hanno contributo a provocare loro stessi qualche ammaccatura. Ma Putin ha visto che, ciò nonostante, lo spirito rivoluzionario continuava a diffondersi. E ha visto che in Russia il suo avversario Boris Nemcov era diventato popolare. Questa cosa lo terrorizzava. Nel 2015 Nemcov è stato opportunamente assassinato su un ponte a Mosca. Poi Putin ha visto farsi avanti Alexei Navalny, che gli faceva un’opposizione ancora più dura. E ha visto che anche Navalny stava diventando famoso, come se non ci fosse fine a questi fanatici riformatori e al loro fascino popolare. Putin ha avvelenato Navalny e lo ha imprigionato.

Ed ecco che è scoppiata un’altra rivoluzione di Maidan, questa volta in Bielorussia. E un’altra volta si sono fatti avanti dei leader rivoluzionari. Una di loro, Svjatlana Cichanoŭskaja di Minsk, si è candidata alle elezioni presidenziali del 2020 contro Aljaksandr Lukašėnka, il delinquente della vecchia scuola. E ha vinto! – anche se a Lukašėnka è riuscita una manovra in stile “Stop the Steal” (il riferimento è al tentativo fallito dei sostenitori di Donald Trump di sovvertire il risultato delle Presidenziali americane, ndr) e si è dichiarato vincitore. Putin ha segnato un altro punto a suo favore nella sua eterna controrivoluzione su scala ridotta. Ma, ciò nonostante, il successo della Cichanoŭskaja alle elezioni lo ha terrorizzato.

E Putin era preoccupato anche per l’ascesa di Zelensky che, a un primo sguardo, sarebbe potuto sembrare una nullità, un semplice comico televisivo, un politico con un programma accomodante e rassicurante. Ma Putin ha letto la trascrizione della telefonata tra Zelensky e l’allora presidente americano Donald Trump, che dimostrava che Zelensky, in realtà, non era uno sciocco. Putin ha letto che Zelensky chiedeva armi. La trascrizione di quella telefonata avrebbe potuto persino dargli la sensazione che Zelensky potesse essere un’altra figura eroica dello stesso stampo delle persone che aveva già assassinato, avvelenato, imprigionato o rovesciato – che potesse essere un tipo inflessibile e quindi pericoloso.

Putin si è convinto che la rivoluzione di Maidan fosse destinata a diffondersi a Mosca e a San Pietroburgo, se non quest’anno, l’anno prossimo. Si è quindi consultato con i fantasmi di Brežnev, Chruščëv e Stalin che gli hanno detto di rivolgersi al teorico-principe Nicola I. E Nicola I ha detto a Putin che, se non avesse invaso l’Ucraina, lo Stato russo sarebbe crollato. Era una questione di vita o di morte.

Putin avrebbe potuto reagire a questo consiglio presentando un progetto grazie al quale indirizzare la Russia in una direzione democratica e, allo stesso tempo, preservare la stabilità del Paese. Avrebbe potuto scegliere di verificare, osservando l’Ucraina (dato che crede che gli ucraini siano un sottoinsieme del popolo russo), se il popolo russo è davvero in grado di creare una repubblica liberale. O avrebbe potuto prendere l’Ucraina come modello invece che come nemico, un modello per capire come costruire quello Stato resiliente di cui la Russia ha sempre avuto bisogno.
Ma gli mancano gli strumenti di analisi che avrebbero potuto permettergli di pensare in questo modo. La sua dottrina nazionalista non guarda al futuro, se non per individuare i disastri che incombono. La sua dottrina guarda al passato.

E così Putin ha fissato il suo sguardo nel XIX secolo, e ha ceduto al suo fascino, nel modo in cui qualcuno potrebbe cedere al fascino della bottiglia – o della tomba. Si è tuffato fin nelle profondità più selvagge della reazione zarista. Il disastro che si è verificato è stato quindi, prima di tutto, un disastro intellettuale. Si è trattato di un mostruoso fallimento dell’immaginazione russa. E questo mostruoso fallimento ha determinato uno sprofondamento nella barbarie. E ha condotto l’eternamente-fragile Stato russo proprio davanti a quel pericolo che Putin era convinto di contribuire ad allontanare con le sue scelte.

(Foreign Policy, traduzione di Guido De Franceschi )
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2022 8:09 am

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