I suprematismi del Male

Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2022 7:41 pm

6)
I filo nazifascisti russi andrebbero perseguiti con la Legge Mancino come con i nazifascisti italiani adoratori di Mussolini e tedeschi adoratori di Hitler e come si dovrebbe fare con quelli nazimaomettani adoratori di Allah e di Maometto.



I demenziali adoratori, sostenitori e giustificatori del criminale nazifascista russo Putin
viewtopic.php?f=143&t=3009
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 0789336381
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2022 7:41 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2022 7:41 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2022 7:42 pm

7)
I nazifascisti russi sono falsi cristiani, non hanno nulla di cristiano se non l'idolatria religiosa che copre la loro mostruosità umana, civile e politica.



“L'Occidente non è cristiano da molto tempo, e il Vaticano ormai da molto tempo non è il suo quartier generale. E, al contrario, nella Russia moderna vediamo crescere rapidamente l'influenza della Chiesa. Questa è l'istituzione più autorevole, in quanto aumenta costantemente la sua influenza sia sulla società che sulle autorità. L'ortodossia russa è in aumento. Il cattolicesimo, invece, sta morendo."
Alexandr Dugin

https://www.facebook.com/katia.sadilova ... s1NFAbwC3l

https://www.facebook.com/alfonso.margan ... LQ1wkh3Csl


Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?
viewtopic.php?f=143&t=3003
Dove sta il nazismo e chi è il nazista nella questione Ucraina Russia?
Non è difficile e non ci vuole molto per capirlo.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1493516620

Dove sta il nazismo e chi è il nazista nella questione Ucraina Russia?
Non è difficile e non ci vuole molto per capirlo.
La Grande Russia imperiale di Putin, come prima quelle degli Zar e dell'URSS è un pericolo per tutta l'Europa, per Israele, per gli USA e l'Occidente e per la stabilità del Mondo intero, per il futuro dell'umanità.
Lo è per la nostra civiltà libera e democratica, lo è per il nostro benessere materiale e spirituale, lo è per l'uomo di buona volontà universale.
Essa è alleata e sostenitrice dei totalitarismi comunista e nazimaomettano, un pericolo mortale, portatrice perenne di conflitto, di miseria, di inciviltà e di disumanità.
Essa è la negazione del cristianismo.




Ecco altre demenzialità del nazifascista Dugin.


Gli ucraini sono nostri fratelli. Lo erano, lo sono e lo saranno.
La rottura con l’Occidente non è una rottura con l’Europa. È una rottura con la morte, la degenerazione e il suicidio. L’Occidente moderno, dove trionfano i Rothschild, Soros, Schwab, Bill Gates e Zuckerberg, è la cosa più disgustosa della storia del mondo.
Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio.
È un cimitero di rifiuti tossici.»
- Aleksandr Dugin -
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2022 7:42 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » dom ago 28, 2022 7:42 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 7:59 pm

8)
Tutti i suprematismi nazisti e fascisti, totalitari e violenti oltre ad essere fondati sulla menzogna lo sono anche sul vittimismo


Il falso mito di una Russia post-Gorbaciov saccheggiata dal capitalismo occidentale
Federico Rampini
1 settembre 2022

https://www.corriere.it/oriente-occiden ... a2d9.shtml

A Mosca così come in Occidente, la morte di Gorbaciov è stata l’occasione per riesumare un mito caro sia ai nostalgici veteromarxisti, sia ai putiniani: quello sulle responsabilità occidentali nella disastrosa transizione della Russia dal comunismo al capitalismo. In questo come in altri campi, abbiamo visto in azione il riflesso pavloviano per cui «è sempre colpa nostra». Nel caso specifico è la convinzione secondo cui le privatizzazioni russe durante la presidenza di Boris Eltsin avrebbero avuto la loro vera regia a New York (finanza di Wall Street) e a Washington (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale). In buona sostanza, questa è una favola. Il ruolo della finanza occidentale fu marginale, quel grande saccheggio che furono le privatizzazioni russe fu perpetrato da un’élite russa ai danni del popolo russo. Lo ha dimostrato uno dei massimi esperti si storia sovietica, il docente di Princeton Stephen Kotkin, autore di una magistrale biografia di Stalin ed anche del saggio «A un passo dall’Apocalisse» sulla transizione da Gorbaciov a Eltsin-Putin (ripubblicato di recente nella collana geopolitica del Corriere).

Kotkin ricorda che negli anni Novanta gli investimenti stranieri in Russia ammontarono a qualche miliardo di dollari l’anno, meno che nella piccola Ungheria. In compenso durante quel decennio le fughe di capitali dalla Russia raggiunsero i 150 miliardi di dollari: quasi il quadruplo dei prestiti concessi dal Fondo monetario internazionale. È così che nacquero le grandi fortune degli oligarchi, una parte delle quali venivano messe al sicuro in banche svizzere o inglesi, o a Montecarlo, Dubai e Hong Kong. Secondo una vecchia battuta, la Russia è il Paese più ricco al mondo, «perché nonostante tutti abbiano rubato allo Stato per quasi sessant’anni, c’è ancora qualcosa da rubare». Da questi furti gli stranieri furono quasi sempre esclusi. Un esempio: nel 1991 la Fiat aveva offerto due miliardi di dollari per comprare la fabbrica russa di automobili AvtoVaz, che fu invece venduta (o meglio svenduta) a investitori locali per 45 milioni di dollari. È con queste svendite, rapine, favoritismi, che si creò una nuova classe di capitalisti russi, molto spesso ex funzionari dello Stato o del partito comunista.

Dal passaggio del millennio in poi, a presidiare questa operazione di «accumulazione primitiva» – per usare un gergo marxiano – è intervenuto Putin, prima espressione delle caste di oligarchi, poi maestro nel gioco di ricattarli, asservirli, manovrarli.

Kotkin sottolinea quanta continuità esiste tra le due fasi storiche, e quanto comunismo (o leninismo, o stalinismo) ha impregnato Putin, la sua cerchia di potere, la classe dirigente in senso lato. L’arco storico cruciale ha inizio quando il sistema sovietico mostra i primi segni di crisi nella competizione con l’Occidente; si conclude con Putin saldamente insediato al potere, ancorché al debutto delle sue operazioni di aggressione esterna.

La ricostruzione aiuta a sfatare altri miti che hanno attecchito in Italia. Tra questi c’è l’idea che l’attacco all’Ucraina nel 2014 e poi nel 2022 sia la reazione di Putin ad una serie di umiliazioni inflitte dall’Occidente (America in testa), che dopo il crollo dell’Urss avrebbe tenuto la Russia ai margini della comunità internazionale. Chi sostiene questa tesi omette di solito due eventi significativi avvenuti alla fine degli anni Novanta: l’inclusione della Russia nel G7 che con essa divenne un G8; l’offerta a Mosca di un partenariato con la Nato che per qualche anno fu accettata. Perché queste forme di associazione della Russia con l’Occidente non bastarono a placarne la sete di rivincita? Una risposta la si trova perfino in un manuale scolastico di storia russa che cita Kotkin, «influenzato dal Cremlino ed esplicito nelle sue intenzioni di restaurare il senso di patriottismo». Quel testo scolastico insegna che l’ingresso nel club delle nazioni democratiche «implica la cessione di parte della propria sovranità nazionale agli Usa». Ognuno di noi è libero di formarsi la propria opinione su questa affermazione: se la Germania o la Francia o l’Italia cedano sovranità agli Stati Uniti per il solo fatto di partecipare al G7, o se invece questi forum internazionali siano un luogo di condivisione di decisioni attraverso la ricerca del consenso, un formato geopolitico che rappresenta il superamento delle coercizioni imperiali.

Il punto però è un altro. Se per Putin qualsiasi associazione alla nostra comunità è un ingresso in forma subalterna che implica cessioni di sovranità, allora l’unico scenario a cui punta la sua Russia è il ritorno allo status quo ante: lo stallo fra superpotenze dichiaratamente ostili, l’equilibrio del terrore che segnò la prima fase della guerra fredda (1946-89) e rischia di segnarne pure la seconda fase aperta nel 2022.

Questo è confermato dal fatto che, secondo Kotkin, «gran parte della classe dirigente russa, come del resto la sua controparte americana, credeva di essere investita di una speciale missione, anche se un’applicazione esagerata del principio aveva condotto la Russia zarista e la stessa Urss a un rapido oblìo». Dunque, Russia e America hanno avuto in comune l’idea di essere nazioni «eccezionali». Ma per gli Stati Uniti questa visione messianica del proprio ruolo – all’insegna del «Manifest Destiny» – è stata sottoposta a critiche interne feroci, ha spaccato il Paese e ha distrutto presidenze, anche quando si è incarnata nell’illusione o nell’impostura del voler esportare democrazia e diritti umani. In Russia invece Putin ha riesumato il destino eccezionale riservato alla Russia restituendogli l’aureola della sacralità religiosa, dello scontro di civiltà con un Occidente decadente e imbelle, peccaminoso e licenzioso. Più l’America diventava dubbiosa e scettica sul proprio ruolo universale, più la Russia caricava il suo di un’ancestrale ideologia reazionaria. Un esempio di questa divaricazione nella traiettoria tra le due superpotenze si è avuto proprio in questo 2022, l’anno della seconda aggressione militare russa all’Ucraina. Mentre a Mosca in occasione del conflitto si rinsaldava più che mai l’alleanza fra il potere politico e quello religioso (Putin e il patriarca ortodosso), in America la sentenza della Corte suprema che cancellava il diritto costituzionale all’aborto ha offerto lo spettacolo di una spaccatura fra i politici cattolici (Joe Biden, Nancy Pelosi) e la chiesa (papa Francesco applaudiva alla sentenza del tribunale costituzionale).


Medvedev minaccia l'Occidente: "Chi aiuta l'Ucraina gioca a scacchi con la morte"

In un post su VKontakte l'attuale vice presidente del Consiglio di sicurezza russo ha accusato i Paesi occidentali di "fare di tutto affinché le istituzioni statali russe smettano di funzionare"
03 Settembre 2022

https://www.huffingtonpost.it/esteri/20 ... -10152199/

L'ex presidente russo Dmitry Medvedev ha accusato l'Occidente di giocare una "partita a scacchi con la morte" nel suo sostegno all'Ucraina che mirerebbe "alla violenta disintegrazione di una potenza nucleare". In un post su VKontakte, il più grande social network russo, Medvedev, attuale vice presidente del Consiglio di sicurezza russo, ha accusato i Paesi occidentali di cercare di trarre vantaggio dal conflitto in corso, facendo "di tutto affinché le istituzioni statali della Russia smettano di funzionare", ha scritto l'ex presidente.

L'obiettivo dell'Occidente, secondo Medvedev, sarebbe quello di "privare il Paese di un governo efficace, come è accaduto nel 1991. E, di conseguenza, eliminare la Russia dal campo politico", ha aggiunto secondo quanto riportato dal Guardian. "Tali tentativi sono davvero estremamente pericolosi" perché "ignorano un semplice principio: la violenta disgregazione di una potenza nucleare è sempre una partita a scacchi con la morte" ha detto Medvedev.



Nessun paese del Patto di Varsavia ha voluto restare con la Federazione russa alla fine dell'URSS nel 1991, tutti hanno preferito la NATO, chissà perché?

Che cos’era il Patto di Varsavia, il rivale della Nato
Andrea Muratore
1 luglio 2022

https://it.insideover.com/schede/guerra ... -nato.html

Nel corso della Guerra Fredda, dal 1955 al 1991 l’Unione Sovietica avrebbe compattato attorno al Patto di Varsavia la sua sfera d’influenza. E così come la nascita della Repubblica Democratica Tedesca fu, nel 1949, una reazione alla costituzione della Repubblica Federale Tedesca nella Germania occidentale occupata dagli Alleati nel 1945, anche la nascita del Patto di Varsavia avvenne in opposizione a una mossa del campo euroatlantico. Quando, infatti, a inizio 1955 la Germania Ovest si unì al Patto Atlantico l’Urss decise di rinunciare definitivamente al suo progetto di una Germania unita e neutrale, ritenuto non più percorribile.

Sia ben chiaro: le truppe sovietiche da un decennio, in quel tempo, presidiavano con forza i Paesi del blocco socialista occupati sul finire del secondo conflitto mondiale e ne limitavano i margini d’autonomia politica sulla scia dei desiderata prospettati da Mosca. Ma per tenere aperto uno spiraglio a una risoluzione delle controversie con l’Occidente mai l’Urss aveva voluto cavalcare la retorica di una cristallizzazione dello stato di cose venutosi a creare dopo la caduta del nazismo.

Nel 1952, un anno prima della morte, Josif Stalin aveva offerto con la celebre “Nota di Marzo” un margine di dialogo per la riunificazione tedesca. Secondo lo storico statunitense John Lewis Gaddis, i Paesi occidentali erano inclini ad esplorare l’offerta dell’Urss ma non avrebbero assecondato Mosca sulla neutralità. E quando il cancelliere tedesco Konrad Adenauer ottenne il via libera all’ingresso nella Nato proposto dalla sua Unione Cristiano-Democratica (Cdu) la leadership post-staliniana ruppe gli indugi.

Per farlo, potè a suo modo contare sul genuino supporto delle élite di Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia che, indipendentemente dalla loro natura filosovietica, avevano ben impresso nella mente il ricordo degli effetti del militarismo tedesco. Il 14 maggio 1955 l’Unione Sovietica, l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Germania Est, la Polonia, la Romania e la Cecoslovacchia firmarono a Varsavia il trattato, rivendicando la sua coerenza con lo Statuto delle Nazioni Unite e, soprattutto, con gli obiettivi della pace in Europa.

L’ingresso di Bonn nella Nato e la possibilità della nascità della Comunità Europea della Difesa complementare alla Nato fu indicata esplicitamente dai firmatari come causa scatenante per la nascita del Patto, come scritto esplicitamente nel preambolo:

“Tenendo conto della situazione creatasi in Europa in seguito alla ratifica degli accordi di Parigi, che prevedono la costituzione di un nuovo organismo militare sotto la forma di Unione dell’Europa Occidentale, che comportano la partecipazione della Germania occidentale rimilitarizzata e la sua integrazione nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ciò che aumenta i rischi di una nuova guerra e crea una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati pacifici”.

Formalmente la Germania Est entrò nel Patto come firmatario ma da Paese sino ad allora disarmato. L’anno successivo i sovietici le concessero il riarmo e la costituzione della Nationale Volksarmee. L’Albania, invece, uscì nel 1961 dal Patto (formalmente nel 1968) dopo i dissidi tra la sua leadership filo-cinese e Mosca.

Il Patto di Varsavia aveva formalmente durata ventennale. Fu rinnovato una volta sola, nel 1976, anno in cui iniziò una svolta che lo portò a ampliare la sua struttura dalla supervisione delle attività militari dell’Est Europa al coordinamento tra i servizi di intelligence dei Paesi membri. Il 1 luglio 1991, dieci mesi dopo la riunificazione tedesca e cinque mesi prima dello scioglimento dell’Urss, cessò di esistere per scelta dei membri contraenti.

Come si strutturava il Patto? Formalmente le sue mansioni erano conformi alla Carta dell’Onu e prevedevano un patto di difesa e sicurezza collettiva da attivare in caso di attacco alle nazioni che ne facevano parte, un coordinamento securitario da attivare per esercitazioni congiunte e operazioni in cooperazione, una continua consultazione politica. Il comando operativo rimase a Mosca nonostante un tentativo tra il 1972 e il 1973 di costruire un sistema di gestione delle operazioni a Leopoli, in Ucraina, molto vicino ai confini estremi occidentali dell’alleanza, abortito per il timore di un’escalation con l’Occidente.

Due erano le istituzioni chiave, ricalcate sulla segreteria e il comando militare della Nato: sul primo fronte, il Comitato di Controllo Politico doveva indire consultazioni periodiche tra le parti; sul secondo, il Comando Congiunto delle Forze Armate fungere da “stato maggiore” supremo in caso di operazioni trasversali.

Contrariamente alla Nato, che ha sempre visto il comando militare affidato a uno statunitense e quello politico garantito a un europeo, il Patto di Varsavia vide le due cariche apicali, quello di Comandante Supremo e quello di Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Congiunte, saldamente in mano sovietica per tutti i trentasei anni della sua esistenza. Il primo comandate supremo fu Ivan Konev, veterano della campagna contro la Germania nazista.

Formalmente puramente difensivo, il Patto servì in realtà all’Urss per affermare una precisa linea d’azione: evitare la deviazione dal socialismo verso forme politiche simil-occidentali di formazioni politiche interne ai regimi costituiti da Mosca nei Paesi satelliti.

Nel 1956, quando Imre Nagy guidò la rivoluzione ungherese, furono formalmente le forze sovietiche in solitaria a reprimere le istanze dei “ragazzi di Buda”. Ma con l’ottobre di sangue ungherese si sancì il presupposto secondo cui il Patto poteva identificare nel deviazionismo dei suoi Paesi membri una forma di minaccia collettiva.

Era questa la dottrina della “sovranità limitata” che rappresentò l’estremizzazione del concetto di bipolarismo e indicava, di fatto, che l’Urss aveva potere di decisore di ultima istanza sulla rotta politica dei Paesi affiliati al Patto. Nel 1968, in Cecoslovacchia, si ebbe l’unica operazione militare multinazionale del Patto di Varsavia in applicazione sostanziale di tale principio, in reazione alle istanze libertarie della Primavera di Praga.

Di fatto, essendo il Patto di Varsavia un’alleanza fondata sulla concentrazione di forze terrestri, i piani per eventuali guerre verso l’Ovest furono più un’emanazione di quelli sovietici che una reale elaborazione originale come quelli della Nato, che prevedevano una serie di linee di difesa per tenere il fronte in attesa di eventuali rinforzi americani. E come scritto da Global Security, tutti i progetti di eventuali avanzate terrestri delle forze filo-sovietiche non avrebbero potuto prescindere dalle offensive nucleari di Mosca: “i leader militari sovietici si aspettavano ragionevolmente che gli Stati Uniti ei loro alleati avrebbero iniziato a utilizzare attivamente armi nucleari all’inizio del conflitto. Pertanto, nei piani di guerra studiati a Mosca si “prevedeva di combinare il libero uso delle armi nucleari con la formidabile potenza militare del Patto di Varsavia. Oltre alla distruzione delle principali città e paesi, i piani militari dell’Unione Sovietica prevedevano l’uso di armi nucleari tattiche contro gli obiettivi militari della Nato Pertanto, secondo uno scenario contenuto in un documento congiunto sovietico-ungherese, il Patto di Varsavia doveva scaricare 7,5 megatoni di armi nucleari su obiettivi occidentali nei primi giorni della guerra”.

In sostanza, il Patto di Varsavia fu uno strumento della politica sovietica per cristallizzare la centralità di Mosca nel contesto esteuropeo e per mostrare proiezione all’estero più che un’alleanza con obiettivi strategici di lungo termine. Per questo, quando a fine Anni Ottanta Mikhail Gorbaciov coniò la “dottrina Sinatra”, indicando che ogni nazione dell’Est poteva comportarsi alla sua maniera (My Way, celebre canzone di Sinatra, ispirò il leader della perestrojka) il Patto di Varsavia divenne sovrabbondante e non giocò alcun ruolo, dopo la caduta del Muro di Berlino, nel mantenere attivo il sistema socialista.

Nel 1990, con il Patto di Varsavia ancora in vigore, i governi di tre Paesi appena usciti dal socialismo reale, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria parteciparono alla guerra del Golfo al fianco della coalizione Usa con l’Operazione Desert Shield e Desert Storm, che formalmente vide dunque, di fatto, Paesi Nato e del moribondo Patto combattere fianco a fianco. E fu l’unica formale occasione di azione autonoma dei Paesi di un’alleanza che, nei fatti, non esisteva più. Il primo giorno di luglio del 1991 il Patto si sciolse senza clamore, con un tonfo silenzioso. E presto avrebbe seguito alla sua fine il collasso formale della superpotenza comunista, scioltasi nella giornata di Natale del 1991.


Anche l'Ucraina nel 1991 con un referendo scelse a maggioranza di non far più parte della Federazione russa, anche l'Ucraina preferiva l'Occidente europeo all'Oriente russo e asiatico

Il primo dicembre 1991 fu tenuto in Ucraina il referendum sull’indipendenza dalla URSS/Russia
e fu una votazione libera, democratica, senza violenze né brogli.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
Il referendum riguardo all'indipendenza dell'Ucraina si è svolto il 1º dicembre 1991. L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
I cittadini ucraini espressero un sostegno schiacciante per l'indipendenza. Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti) e tra di essi 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì".
Nello stesso giorno, si tennero anche le elezioni presidenziali, nella quale gli ucraini elessero Leonid Kravčuk (all'epoca Capo del Parlamento) Presidente dell'Ucraina.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
Vinsero i SI con una percentuale del 90,32%.
I SI vinsero in TUTTE le regioni del paese.
E quindi anche nella russofona Crimea e nel russofono Donbass vinsero gli indipendentisti a grande maggioranza:
In Crimea i SI ottennero il 54,19% dei suffragi.
Nel Donbass:
Donec'k- Oblast' di Donec'k 76,85%
Luhans'k - Oblast' di Luhans'k 83,86%
Charkiv- Oblast' di Charkiv 75,83%
Nel Donbass ci vivevano ucraini filo Ucraina e ucraini russi che avevano simpatie per la Russia e nel loro insieme al referendo per l'Indipendenza dell'Ucraina dall'URSS oltre il 70% di loro votò per il Sì. Quindi la sovranità statuale era dell'Ucraina e non della Russia e inoltre vi erano anche i diritti degli ucraini da salvaguardare che i separatisti filo russi hanno violentemente calpestato.



L'odio della Russia di Putin per Noi euro americani, per il nostro Occidente e la nostra Civiltà:
è l'odio demenziale e mortale proprio del male per il bene,
è l'odio tipico nazifasista, etno razzista e suprematista, per chi si oppone, resiste e contrasta,
è l'odio dell'invidia, e della frustrazione rabbiosa dell'impotenza prepotente,
è l'odio dell'ignoranza, del fideista, dell'idolatra, dell'invasato presuntoso e arrogante,
è l'odio del carnefice per la vittima innocente che lo sta guardando accusandolo,
è l'odio del criminale e del colpevole per l'ordine costituito che lo sta accusando, giudicando e braccando,
la Russia ci odia perché siamo migliori, perché siamo democratici, liberali, perché siamo più cristiani, più evoluti, intelligenti e sviluppati, perché siamo mediamente benestanti e più ricchi e prevalentemente per il nostro lavoro e non per predazione degli altri, perché di riflesso a Noi vede la sua miseria umana, civile e politica.
No non vi è proprio nulla di buono nella Russia suprematista nazifascista di Putin, Dugin e compagnia russa.
La sua potenza è quella del male, della minaccia e della violenza che opprime, che intimorisce, che riduce in miseria, che fa strage e stermina.
L'odio per l'Ucraina è l'odio dello schiavista verso lo schiavo che si vuol e si sta liberando, quello di un sistema imperiale fondato sulla violenza coercitiva che teme il crollo del suo impero se la crepa Ucraina non viene chiusa anche con la sua distruzione totale e lo sterminio del suo popolo.
La Russia di Putin e compagni non ha e non rappresenta nulla di buono per noi, va combattuta come il male assoluto sino alla disgregazione del suo sistema imperiale suprematista disumano, incivile e violento.
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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 8:00 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 8:00 pm

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Re: I suprematismi del Male

Messaggioda Berto » sab set 10, 2022 8:00 pm

9)
La Russia nazi fascista di Putin non merita alcun rispetto e alcun riguardo, l'Ucraina sì.


L'Ucraina di Zelensky è un paese democratico e sovrano molto più civile della malvagia Russia di Putin.
Essa merita rispetto, considerazione, riguardo, solidarietà e aiuto.

L'Ucraina
non è un territorio russo;
non è un paese satellite subordinato o soggetto alla Russia;
gli ucraini non sono russi e nemmeno servi o schiavi dei russi;
l'Ucraina non è un paese cuscinetto tra la Russia e l'Europa;
l'Ucraina è un paese libero, indipendente e sovrano che alla Russia non deve nulla, anzi ... ;
l'Ucraina può allearsi con chi vuole e orientarsi economicamente, culturalmente, politicamente e militarmente con chi ritiene più congeniale al suo benessere, al suo sviluppo e alla sua sicurezza;
alla Russia non va alcuna considerazione o riguardo speciale rispetto all'Ucraina, non ha nulla di speciale, non ha alcunché di superiore, non ha meriti particolari, anzi ha molti demeriti per malvagità, disumanità. incultura inciviltà ...;
la Russia deve rispettare il prossimo e i vicini come tutti gli altri e non ha alcun diritto speciale rispetto agli altri;
...
La Russia dovrebbe essere espulsa dall'ONU o come minimo perdere il seggio al Consiglio ristretto e il potere di veto sulle decisioni dell'assemblea generale.


Perché la cultura russa merita di essere cancellata (nei Paese a cui è stata imposta la cultura russa dalla Russia)
8 settembre 2022

https://www.facebook.com/forzaucraina.i ... SXA1NAaYRl

Prima che i carri armati nemici entrino in un Paese, gli aggressori lavorano sulla cultura: impongono la propria e sopprimono quella autoctona del territorio. Impongono le narrazioni che desiderano nel campo culturale, creano condizioni favorevoli per condurre una guerra ibrida. Gli invasori contano su questo: grazie alla fedeltà alla loro cultura, avranno carta bianca sul territorio di altri Paesi. La Federazione Russa ha lavorato in questo modo per anni, erigendo monumenti ai suoi leader ed espropriando figure culturali ucraine, spingendo in ogni modo possibile i suoi contenuti di bassa qualità nello spazio dell'informazione. Frasi come "la cultura è fuori dal tempo" o "cosa c'entra Pushkin con tutto questo?" in tali circostanze, diventano narrazioni dannose che minacciano la sicurezza nazionale dell'Ucraina.
"La rete mimetica delle armi russe" è un progetto multimediale sull'importanza di cancellare la cultura russa nel contesto dell'invasione russa su vasta scala dell'Ucraina. Insieme ai nostri partner - Lviv Media Forum (LMF) e House of Europe, capiamo come la cultura russa contribuisca alla guerra e perché è importante boicottarla.
“Ora non avremo niente di russo. Niente", dice con le lacrime agli occhi un'insegnante di ucraino e russo di una delle scuole di Kharkiv. All'inizio di giugno, l'esercito russo ha lanciato missili contro questo istituto scolastico.
Da diversi mesi l'istituto è semidistrutto: i libri di testo sono sparsi per terra, i banchi sono ribaltati, ma alle pareti sono ancora appesi vari cartelloni. In una delle aule, sopra alla lavagna, è appeso un ritratto di Vladimir Dahl, lessicografo danese-tedesco di Luhansk, che ha curato uno dei più grandi dizionari di lingua russa. A proposito, ha lavorato anche con lo pseudonimo di Kozak Luhansky, ed il dizionario di ucraino che ha compilato è stato pubblicato a metà del XIX secolo, lui non ha potuto farlo.
Sotto c'è una citazione dello scrittore russo Maxim Gorky: "Ama un libro, ti semplificherà la vita. Ti insegnerà a rispettare una persona e te stesso, riempie la tua mente e il tuo cuore con un sentimento di amore per il mondo, per le persone".
Dodici anni fa, nel 2010, in questa scuola di Saltivka è stato aperto l'unico museo dedicato al poeta russo Sergei Yesenin in Ucraina. A quel tempo, i cittadini erano orgogliosi e felici dell’evento, non sospettando che sarebbe stato un razzo russo a danneggiare l'edificio 12 anni dopo.
Gli appetiti imperiali della Russia risalgono ai tempi dell'impero moscovita. Quando Pietro I salì al potere e normalizzò la pratica di conquistare altri stati per espandere il territorio del suo paese. Tuttavia, l’appropriarsi di terre non gli fu sufficiente: i moscoviti espropriarono la storia della Rus di Kyiv ed iniziarono così ad avvicinarsi all'Europa.
Il desiderio di Pietro I era quello di integrare l'Impero russo nel contesto europeo, divenne la ragione che all'inizio del XVIII secolo ha avviato una serie di riforme per trasformare lo stato asiatico in una nascente monarchia europea. Pietro ha studiato in Europa ed è stato un grande sostenitore del mondo occidentale. Per legittimare l'impero, era necessario creare una giustificazione storica per l'europeità della Moscovia, per dimostrare l'unità di civiltà con i paesi dell'Occidente. Fu allora che fu presa la decisione di rinominare il Regno Moscovita in Impero Russo con un'ulteriore espansione dei suoi territori grazie alla conquista degli stati vicini.
La dualità della cultura russa, con i russi che da un lato si dichiarano europei e dall'altro mostrano la tipica asiaticità, è diventata lo stesso "mistero dell'anima russa" che da secoli attrae il mondo occidentale. Questo interesse non è scomparso fino ad oggi. Già la Russia zarista, per molti anni, ha perseguito una potente politica di influenza morbida in altri paesi. Pertanto, molti europei, anche vedendo le conseguenze della guerra su vasta scala nel 2022, ancora non capiscono (o non vogliono capire) perché sia necessario cancellare la cultura russa. "Questa è la guerra di Putin", dicono, "a che serve tirare di mezzo l'arte?"
Lo storico ucraino Yaroslav Hrytsak afferma che alcuni dei suoi colleghi stranieri - persone colte e progressiste - hanno iniziato a sostenere la Russia proprio con la scusa della cultura:
“All'inizio della guerra su vasta scala, il primo o il secondo giorno, ho ricevuto una lettera da un anziano professore, un uomo a cui devo molto, si era sempre dimostrato molto gentile. Si interessò alla cultura russa dopo aver ascoltato Chaikovsky. In questa lettera c'era scritto: «Spero che Putin vi conquisti molto presto e tutto andrà bene». Lo disse sinceramente, senza malizia. Non aveva la sensazione che la cultura russa fosse qualcosa di brutto.”
Parliamo con il professor Yaroslav Hrytsak a Lviv, nelle cui strade si vedono regolarmente processioni funebri per i soldati ucraini caduti dal 24 febbraio 2022. Le terrazze dei caffè sono piene di vita e di conversazioni, ma poi giri l'angolo e puoi imbatterti in persone vestite a lutto, si sentono i singhiozzi. I passanti si fermano, non osando rompere il triste momento. Alcuni soldati ucraini in uniforme portano due bare: tutti i presenti si inginocchiano quando incontrano coloro che hanno dato la vita in questa guerra, iniziata 8 anni fa, nel 2014. E oggi, il 22enne Vladyslav Leonyenko e il 33enne Anton Gavrilov vengono accompagnati per il loro ultimo viaggio. La cultura russa è responsabile di queste morti? È improbabile che qualcuno dei presenti ci stia pensando.
I soldati ucraini vengono seppelliti ogni settimana anche nella capitale. Dopo la Rivoluzione della Dignità, Euromaidan, Piazza Mykhailo a Kyiv è diventata un luogo di dolore e di lotta. Nel novembre 2013 la Cattedrale di San Michele è stata un rifugio per i manifestanti nella capitale, ci rimanevano giorno e notte. E dopo un ennesimo tentativo di disperdere con la forza i manifestanti nel tempio, per la prima volta in otto secoli, hanno suonato le campane [1].
Oggi, quegli eventi ricordano i ritratti degli Eroi dei Cento Celesti, posti sulle pareti del del tempio. Ora, sono integrati dalle foto dei difensori dell'Ucraina morti nella guerra su vasta scala del 2022. Per un momento, può sembrare che tutti guardino l'equipaggiamento russo distrutto, collocato nella vicina piazza Mykhailivska, come prova fisica dell'invasione dell'esercito russo e dei suoi crimini.
"Sembra che abbiano visto i bambini e abbiano sparato loro apposta", dice una giovane donna al suo compagno, guardando uno dei reperti: un'auto crivellata di proiettili con scritto in grande "ДЕТИ, BAMBINI".
L'auto attira l'attenzione, in netto contrasto con l'equipaggiamento russo bruciato. Gli effetti personali dei civili sono ancora sparsi all'interno della vettura e fiori secchi con un nastro nero giacciono ancora sul parabrezza. Bambini e adulti si fermano a lungo su questa macchina, ne esaminano ogni dettaglio.
La storica dell'arte Ilya Levchenko spiega che è importante separare arte e cultura. L'arte è una componente della cultura insieme alla quotidianità, alle tradizioni, ai valori ed allo stile di vita di ogni singola nazione. L'arte influenza la cultura e la cultura, a sua volta, modella una persona.
Lo scrittore Andriy Kurkov aggiunge una valida osservazione sulle peculiarità della società russa:
“La legge della forza e della violenza è sempre esistita in Russia, specialmente nelle province. Anche di recente il tema dell'ingiustizia sociale è stato raccontato nel cinema russo (si tratta del cinema d'autore dell'ultimo decennio, ndr). I film sono stati realizzati per un pubblico straniero, hanno ricevuto vari premi nei festival internazionali. Allo stesso tempo, nessuno ha guardato questi nastri nella Federazione Russa. Dopotutto, i russi non avevano e non hanno nessuna richiesta di giustizia, nessuno ci crede. Ciò significa che l'ingiustizia è la norma in Russia. E dove l'ingiustizia è la norma, tutti i modi per raggiungere questa ingiustizia sono tradizionali.
La differenza tra ciò che la Russia trasmette all'esterno e il modo in cui l'arte ha influenzato il pubblico russo è davvero enorme. Ad esempio, se la società occidentale ha percepito le opere russe come un misterioso fatalismo dell'Europa orientale, nei russi hanno solo rafforzato la fiducia che il "piccolo uomo" nel “grande mondo” non risolve nulla ed è meglio sottomettersi al più forte che combattere e morire. L'arte russa divenne una copertura della propaganda russa e la propaganda, a sua volta, divenne la base della guerra di aggressione.
«Due donne di mezza età (apparentemente russe) sono in un caffè viennese:
- Hey ragazza! - una delle donne si rivolge in russo alla cameriera.
La ragazza la guarda confusa e se ne va.
- Come? Non ci capisce? - chiede la donna alla sua amica.»
L'occupazione a lungo termine da parte della Russia di paesi che facevano parte della sfera di influenza dell'Impero russo, e successivamente dell'Unione Sovietica, portò la lingua russa allo status di lingua internazionale, dando ai russi la certezza che sarebbero stati capiti ovunque. Nella comunità europea si è invece formata la convinzione che basta conoscere il russo per comprendere l'intera Europa orientale. Questo fatto è stato utilizzato attivamente dalla Russia, diffondendo narrazioni di propaganda in tutto il mondo. Con l'inizio dell'invasione su vasta scala dell’Ucraina, il desiderio di sbarazzarsi finalmente della lingua russa, vista come uno dei simboli dell'aggressore, si è finalmente cristallizzato. Per i russi, la lingua è diventata uno dei marchi del “loro territorio”: basta che si parli russo per considerare quelle terre come il loro territorio, e quindi, hanno il diritto di invaderle e di stabilire le proprie regole.
L'attivista linguistico di Lviv Sviatoslav Litynskyi spiega:
“Nel 2021 c'è stato un censimento della popolazione ucraina: alle persone è stato chiesto quale lingua considerassero la loro lingua madre. Se disegniamo una mappa basata su questo sondaggio, il 90% dei territori, in cui parte della popolazione considerava il russo come lingua madre, è attualmente occupato. Possiamo vedere che il confine linguistico corrisponde quasi completamente alla prima linea del fronte, e che le nostre truppe ci proteggano con la stessa forza della lingua ucraina.
Aggiunge che nel 2012 la lingua ucraina nello spazio pubblico ha iniziato a diminuire rapidamente. In particolare, sono scomparsi i laptop con layout in ucraino. È stata adottata la legge Kolesnychenko-Kivalov (in vigore dal 2012 al 2018), che di fatto ha portato la lingua ucraina a livello secondario nell'istruzione. Svyatoslav fa inoltre notare che le autorità, in quel momento, cercavano di preservare la mentalità dell'Ucraina come colonia della Russia. Era necessario combattere contro questo. Dopotutto, per prima cosa gli imperi prendono il sopravvento sulla cultura dei popoli, e solo dopo arriva l'esercito.
All'inizio degli anni 2000, Lviv era una delle poche città in cui si poteva immergersi completamente nello spazio di lingua ucraina. Fu in quegli anni che in città si verificò una tragedia, strettamente legata alla questione linguistica. Il compositore ucraino Ihor Bilozir è stato ucciso dopo una lite in uno dei caffè locali. Alle persone sedute al tavolo accanto non piaceva il fatto che l'artista cantasse canzoni folkloristiche ucraine con i suoi amici. Il loro canto è stato soffocato dal "blatnyak [2]" russo che alcuni clienti del caffè stavano ascoltando. Gli agenti di polizia hanno interrotto l'alterco verbale e tutti se ne sono andati. Il compositore ed il suo amico, mentre stavano già tornando a casa, sono stati aggrediti da ignoti. Ihor è stato picchiato a morte. Più di 100mila persone hanno partecipato al suo funerale. Gli assassini sono stati puniti, ma questo evento ha lasciato a lungo la sensazione che un ucraino possa morire in Ucraina per il solo fatto di essere ucraino (!).
Durante l'occupazione sovietica (1944–1991), Lviv era abitata da un gran numero di famiglie di militari russi, inclusi rappresentanti dell'NKVD, il commissariato del popolo per gli affari interni. La città divenne prevalentemente di lingua russa per molti anni, ma già dagli anni '60 del XX secolo gli abitanti dei villaggi più vicini si trasferirono in città, restituendo l’ucraino, la lingua nativa, a Lviv.
Il centro più importante della diaspora russa a Lviv è stata l’associazione intitolata a Pushkin, che ha operato dal 1996 al 2017. Dietro le mura del centro russo si discuteva regolarmente della necessità di restaurare l'impero russo e si metteva in discussione l'esistenza della nazione ucraina. Il busto di Pushkin, sulla facciata dell'edificio, era una buona copertura per le attività anti-ucraine del centro, in quanto le istituzioni culturali non erano percepite come qualcosa che potesse in qualche modo danneggiare lo Stato. Oggi l'edificio è stato ristrutturato ed ospita il centro dei veterani "Budynok Voina". Qui, i veterani e le loro famiglie ricevono assistenza sociale, legale e psicologica e vengono implementati vari progetti per i giovani. Sulla facciata non è rimasta traccia di Pushkin.
Negli ultimi 400 anni, la Russia ha commesso un linguicidio dell’ucraino. La circolare Valuev del 1863 distrusse completamente l'editoria di libri in lingua ucraina, ritardando a lungo lo sviluppo della letteratura ucraina. L’ukaz di Ems del 1876 (decreto che vietava la stampa e la distribuzione di opere in lingua ucraina nei territori dell'Impero russo) rese tutto ancora più difficile, vietando inoltre l'uso della lingua ucraina in tutti i luoghi pubblici (teatri, chiese, musica, ecc.).
“Hanno imposto la lingua “katsapa” [3] per così tanti anni che non ricordo più la mia. Vorrei iniziare a parlare ucraino, ma sono timida.", afferma una donna accanto a me.
Nel XIX secolo, lo scrittore, critico letterario e traduttore austriaco Karl Emil Franzoz (nativo della Galizia, che ha vissuto in Ucraina per 10 anni) ha descritto Odesa come una città europea. Secondo Franzoz, in città era possibile incontrare un rappresentante di qualsiasi etnia. “In particolare, per le strade della città si sentono spesso la lingua e le canzoni ucraine: «Гей, козацтво! Гей, козацтво! Чуєш клич свого гетьмана? (Ehi, cosacchi! Ehi, cosacchi! Senti il richiamo del tuo hetman?)» è così che gli ucraini cantano una canzone di battaglia, che descrive il modo in cui un tempo i loro padri hanno combattuto l'assalto di un nemico mortale." Lo scrittore ha parlato degli ucraini come di una nazione che soffre più delle altre l'aggressione dei paesi vicini. Prima di tutto, dall'impero russo.
Già nel XX secolo era quasi impossibile sentire la lingua ucraina a Odesa. Lo stereotipo creato dalle autorità sovietiche era: "tutti quelli che parlano ucraino sono gente di campagna, i veri cittadini parlano russo", funzionò perfettamente. Tuttavia ci sono tentativi di contrastare questa idea. Ad esempio, dal 2009, il "Vyshyvankovy festival", un festival della cultura ucraina, si tiene dal 2016 fino al Giorno dell'Indipendenza, inoltre si tiene, per i bambini ed i giovani della città, il concorso della canzone ucraina "Sulle ali delle canzoni - dall'antichità alla modernità", e così via. Oggi, dopo l'invasione su vasta scala, Odesa sta diventando sempre più di lingua ucraina. I suoi abitanti sono aiutati in questo da vari club di conversazione, alcuni dei quali sono apparsi subito dopo il 24 febbraio.
“Ecco che stai demolendo Caterina, e con cosa sarà sostituita?!” una donna di Odesa risponde alle domande sulla necessità di demolire il monumento all'imperatrice russa nel centro della città. Caterina II è una figura storica che provoca aspre controversie tra gli odessiti. La zarina russa di origine tedesca distrusse sistematicamente l'identità ucraina: eliminò i cosacchi, trasformò gli ucraini in servi, riscrisse la storia ucraina e ne bandì la cultura. Caterina II non andò mai a Odesa e morì due anni dopo la riconquista della città da parte dei cosacchi ucraini.
L'immagine di Caterina II è ancora attivamente sfruttata dai propagandisti russi. Il monumento alla zarina è apparso a Odesa nel 1900. Dopo 20 anni fu smantellato dalle autorità sovietiche. Il piedistallo è stato restaurato dopo 87 anni, nel 2007. È interessante notare che fu in quell'anno che Putin pronunciò il suo famoso “discorso di Monaco”, in cui annunciò che effettivamente era in corso un confronto con l'Occidente ed aveva il desiderio di restaurare l'Impero russo. A proposito, nello stesso anno a Kyiv fu eretto un monumento ad uno scrittore russo, l'ucrainofobo Mikhail Bulgakov. La Russia attaccherà la Georgia un anno dopo e l'Ucraina dopo altri sei anni. Nel frattempo, il monumento all'imperatrice russa rimane a Odesa, segno delle invasioni imperiali. La questione del monumento è rilevante non solo per Odesa, ma anche per l'intero Paese, che ha ancora molti di questi cimeli del passato imperiale e sovietico.
Come risultato della politica coloniale a lungo termine della Federazione Russa nei confronti dell'Ucraina, a volte è difficile determinare chiaramente cosa sia ucraino e cosa russo nell'arte sovietica. In epoca sovietica, la cultura ucraina si trovava nelle condizioni di un sistematico sterminio: qualsiasi differenza nazionale veniva semplicemente cancellata, o fusa.
La Russia, che per secoli ha oppresso la cultura ucraina, imponendo l’idea della sua inferiorità, sia nel mondo che negli stessi ucraini, ha parzialmente raggiunto il suo obiettivo. Purtroppo, lo sterminio dei rappresentanti dell'intellighenzia ucraina e delle loro conquiste, i tentativi sistematici di assimilare alla Russia tutte le fasi della vita ucraina, hanno avuto un loro tributo. Fino al 2014, il mito della grandezza della cultura russa è stato preservato nella società ucraina. Sebbene l'Ucraina abbia sofferto molto per una politica coloniale così aggressiva, ciò non significa che la cultura di altri paesi sia al sicuro. Dopo aver iniziato la guerra su vasta scala, la Federazione Russa ha finalmente mostrato al mondo le sue vere intenzioni e i metodi con cui la "Grande Russia" plasma i Paesi.
Sei mesi di guerra stanno cominciando a stancare il mondo. Stanno comparendo sempre più discorsi sul non coinvolgimento della cultura russa nella guerra, ed è proprio su questo che punta il paese aggressore. Cancellare la cultura russa è un elemento di autodifesa per ogni paese a cui è stata imposta la cultura russa dalla Russia, un potente fronte di lavoro, che richiede molto sforzo e sincera coesione. Il cancro dell'imperialismo sta cercando di diffondersi ed è nostro dovere eliminarlo.

[1] le campane del Monastero di San Michele non suonano mai
[2] blatnyak, musica folkloristica russa
[3] katsap, termine dispregiativo, sinonimo di russo
https://ukrainer.net/vidmina-ros-kultury/



I primati negativi della incivile e malvagia Russia di Putin
La incivile e malvagia Russia nazifascista di Putin, i suoi primati negativi e le sue azioni criminali
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La Russia di Putin non è un faro di civiltà per il mondo, non è certo un paradiso per i cristiani e non è nemmeno una patria felice e ideale per i russi e per le altre etnie di questa federazione imperiale a egemonia suprematista russa.



I diritti umani, civili e politici ucraini violati dai russi

I diritti umani, civili e politici degli ucraini violati dai russi
I diritti umani, civili e politici degli ucraini violati dai nazifascisti russi
I diritti umani, civili e politici degli ucraini violati dai filorussi e dalla Russia suprematista e imperialista di Putin in Ucraina e nelle sue regioni del Donbass e della Crimea
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 2734682162
Non sono i russi dell'Ucraina l'etnia maltrattata, oppressa e oggetto di pulizia etnica genocidaria come racconta la propaganda nazifascista russa amplificata dai suoi demenziali sostenitori in Occidente, ma sono gli ucraini dell'Ucraina e dei suoi territori del Donbass e della Crimea.
Sono in molti che si sono fatti ingannare: pochi in demenziale buona fede e molti in malvagia malafede l'hanno fatta propria.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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