I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:20 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:21 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:21 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:21 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:22 pm

3)
Il suprematismo dei presunti e supposti poveri, deboli, ultimi, sfruttati, emarginati e vittime di discriminazione e persecuzione a danno di tutti gli altri ritenuti responsabili.
In particolare dei clandestini, dei migranti, degli stranieri specialmente se africani e nazi moamettani in quanto ritenuti poveri, deboli, ultimi, sfruttati e vittime del colonialismo economico e politico bianco, occidentale, cristiano; e degli zingari in quanto ritenuti da sempre discriminati e perseguitati e in passato anche vittime di sterminio di massa.


Secondo il Politicamente Corretto i crimini di costoro sarebbero meno gravi, in parte giustificati e da trattare con molta comprensione e clemenza perché sarebbero per lo più causati da provocazioni, da ingiuste discriminazioni, da colpevoli mancanze di riaspetto e di integrazione che generano miseria, disagio, malessere, risentimento e rabbia.



Alberto Pento
La verità è che ciò è completamente falso poiché se fosse per natura delle cose umane e sociali un fenomeno vero e universale, sarebbe valido sempre e per tutti, mentre in verità ciò non è mai accaduto per esempio nel caso dei veneti e degli ebrei.
Sia i veneti che dopo l'Unità d'Italia sono precipitati nella miseria più nera, sia gli ebrei che in varie parti del mondo e lungo i secoli della diaspora si sono trovati spesso in drammatica e tristissima miseria e sempre discriminati e tragicamente perseguitati sino allo sterminio dei pogrom e della Shoà, mai e poi mai hanno reagito compiendo crimini a danno di chichessia come il furto, la truffa, la rapina, l'estorsione, il ricatto, lo spaccio, lo sfruttamento della prostituzione, l'organizazzione mafiosa, lo stupro, l'omicidio, il terrorismo e lo stragismo.

Questo vuol dire che non è la miseria e la discriminazione a causare nelle vittime reazioni con adozione di comportamenti criminali disumani e incivili, ma che l'origine di tali comportamenti a danno del prossimo è da cercare altrove nella disumanità e nell'inciviltà di certe inculture ideologiche, religiose ed etniche, avvezze alla violenza e alla prepotenza, all'omicido e allo sterminio del prossimo, use a comportamenti criminaali di tipo razzista e nazista.
La reazione umana e naturale a maltrattamenti, discriminazioni, angherie, sopprusi, violenze, risuzione in schiavitù, sfruttamento e opressione economica, stupri e omicidi, genera altri tipi di comportamenti propri di legittima difesa umanamente e civilmente corretti, comprensibili e giusti che si concretizzano come emigrazione, proteste sociali di piazza, ribellioni politiche e militari e non con atti criminali ai danni di persone innocenti




Torino, blitz della baby gang alla festa privata: due arresti e divieto di andare a scuola
Ai domiciliari i leader del gruppo. Il gip: «Non sanno contenere gli istinti prevaricatori e violenti»
Simona Lorenzetti
13 febbraio 2022

https://torino.corriere.it/cronaca/22_f ... c3bd.shtml

La festa era stata «pubblicizzata» in una storia di Instagram. E così si sono presentati al party in una casa privata, pretendendo di entrare e fare baldoria. Ma erano ospiti indesiderati. Quando alle due di notte un uomo che abita nel condominio accanto ha chiamato la polizia per il troppo fracasso, due ventenni — leader di una delle baby gang che imperversa nel centro di Torino — sono finiti in manette. Con l’accusa di violazione di domicilio. Il loro arresto è stato poi convalidato. E il gip Stefano La Sala ha emesso anche una severa misura cautelare ai domiciliari: «Gli indagati sono soggetti che palesemente difettano della pur minima capacità di contenere i propri istinti prevaricatori e violenti». Vietato per loro ogni contatto con l’esterno e quindi anche la scuola.

È venerdì 4 febbraio. Un gruppo di adolescenti affitta attraverso un portale on line un appartamento in via Fratelli Calandra per una festa. Intorno alle 21 ha inizio il party: nell’alloggio ci sono una decina di giovani tra i 15 e i 20 anni. Alcuni sono di Torino, altri sono giunti da fuori città. Mezz’ora più tardi arrivano anche Nizar, Yassine e una dozzina di loro amici. Intorno alle due di notte, quattro ore dopo l’inizio della festa, la polizia è costretta a intervenire per il troppo fracasso. Quando arrivano gli agenti, un gruppo cerca di darsi alla fuga ma viene bloccato in cortile. Un altro è ancora all’interno dell’alloggio. A quel punto non resta che ricostruire quanto accaduto.

Emergono due versioni contrastanti. Gli organizzatori della festa raccontano: «Hanno suonato al campanello e sono sceso in strada. Il ragazzo con il giubbotto grigio Blauer e i jeans (Yassine) ha estratto un coltello con una lama di 13 centimetri e mi ha obbligato a dirgli in quale appartamento fosse la festa». Aggiunge un altro adolescente: «Quando ho provato a chiamare la polizia per mandarli via, il tipo con il giubbotto nero e la mano fasciata (Nizar) mi ha minacciato e mi ha costretto a riagganciare». Yassin, Nizar e i loro amici avrebbero quindi preso il controllo della serata, che ore dopo è degenerata. «Ho detto alle ragazze di chiudersi in camera, temevo potesse succedere qualcosa: sembravano ubriachi e fumati», racconta un adolescente. Che poi aggiunge: «Avevano un taser a forma di torcia. Uno di noi ha provato a uscire dalla camera, ma è stato colpito allo stomaco con un pugno». Il coltello e lo storditore elettrico non vengono trovati, ma gli agenti raccolgono le testimonianze e nei verbali descrivono la paura di parlare di alcuni ragazzi, che temono «ritorsioni da parte del branco che si vantava delle proprie azioni violente».

Diametralmente opposta la ricostruzione dei due ventenni, difesi dagli avvocati Antonio Vallone e Basilio Foti: «La festa era stata organizzata da un amico, che aveva pubblicato una storia su Instagram. Sapevamo di poter andare. Niente coltelli, nessuna minaccia». Insistono: «Le forze dell’ordine sono state chiamate per gli schiamazzi. È tutto inventato, non stavamo scappando». Il gip però non crede a questa versione dei fatti: «Erano a una festa alla quale non erano stati palesemente invitati». A pesare sono anche i loro precedenti per rapina, furto e resistenza. Da qui la misura cautelare ai domiciliari: «Sono refrattari ad attenersi alle regole del vivere civile, abituati a commettere delitti di connotato immancabilmente violento».



Le molestie e le violenze sessuali di Milano sono la continuazione delle marocchinate

https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 3540701749


Violenza e stupri africano asiatico maomettani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=2679
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9555204147
Violenza e stupri africano asiatico maomettani, aggravati dal disprezzo e dall'odio etnico ideologico politico religioso, dalla ferocia bestiale e disumana, dall'abuso dell'ospitalità e dalla clandestinità, da certa rivalsa razziale e continentale istigata da demenziali e criminali ideologie antioccidentali, antieuropee, anticristiane e antibianchi;
resa ancora più tragica dalla mancanza di adeguata tutela dei cittadini da parte dello stato italiano e degli stati europei, delle irresponsabilità dei loro governi e dei loro organi giudiziari e di polizia, nonché delle chiese cristiane, dei media e di tanti opinionisti schierati contro le vittime bianche europee e cristiane e a giustificazione, attenuazione e favore nei confronti dei carnefici asiatici, africani, islamici.

Crimini e delitti dei clandestini, degli irregolari e di altri stranieri più o meno regolari o in attesa di regolarizzazione o di respingimento, che sono prevalentemente nazi maomettani africani e asiatici
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1814


Demenze e ingustizie dei giudici politicamente corrette
viewtopic.php?f=205&t=2980
Quelli che stanno dalla parte del male contro il bene e che ci fanno del male.


Vi sono varie minoranze etniche e talune maggioranze umane religiose e razzial-continentali che vengono presentate dal politicamente corretto, come storiche e attuali vittime di discriminazioni razziste, etnico sociali e coloniali ma che in realtà non lo sono e che al contrario esse sono estremamente razziste, praticanti sistematiche, quotidiane criminali violenze da predatori e carnefici nei confronti di altri esseri umani che da vittime innocenti vengono vergognosamente e ignobilmente demonizzate e fatte passare per carnefici.



Zingari: vittime innocenti o carnefici razzisti e nazisti?
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 150&t=2790
Zingari: vittime o carnefici? Carnefici al 1000%
Gli zingari sono principalmente vittime di se stessi e del loro essere carnefici.

Non esiste alcuna discriminazione razzista etnico culturale nei confronti degli zingari, come invece esiste nei confronti degli ebrei.
Esiste invece e assai giustamente, una civile e profonda avversione e un naturalissimo odio umano, nei confronti degli uomini che fanno del male e quindi anche di quella parte degli zingari che mancano malvagiamente di rispetto e che vivono criminalmente predando in modo ferocemente razzista il prossimo.

Sono milioni e milioni gli esseri umani e i cittadini italiani che hanno subito negli anni e subiscono tuttora la predazione degli zingari che vivono criminalmente di questo e che hanno patito e patiscono a causa dei crimini degli stessi che non hanno alcun rispetto umano e civile per gli altri e che violano la loro dignità i loro diritti umani, la loro casa e i loro beni.
Io stesso sono stato sfruttato (da giovane in Francia dalla mafia dei caporali gitani), derubato e truffato (in casa e nel lavoro), ingiuriato e minacciato (fuori da un bar e durante una passeggiata lungo l'argine dell'Astico) da degli zingari pur non avendo mai fatto del male a nessun zingaro.

Come non si può e non si deve negare il disumano sterminio nazista hitleriano delle etnie comunemente indicate con il termine popolare zingari, così non si può e non si deve negare il disumano razzismo tribale predatorio e criminale perpetrato da una parte di queste etnie ai danni dei non zingari.

Il vittimismo giustificatorio a favore degli "zingari",
basato su di un presunto storicamente persistente pregiudizio con relativa razzista discriminazione e ingiusta persecuzione degli zingari in quanto etnicamente diversi e nomadi (pregiudizio che però non trova riscontri alla prova dei fatti dell'attualità e nemmeno ad una attenta analisi della documentazione storica reperibile; quantunque vi sia stata nel passato la persecuzione di massa da parte dei nazisti hitleriani in un periodo storico ben preciso con il relativo sterminio nei lagher),
alimenta solo la deresponsabilizzazione degli zingari, rafforza il loro tribalismo parassitario nazi razzista predatorio e criminale nei confronti dei non zingari e impedisce la costruzione di politiche sociali civili adeguate ed efficaci per intervenire sul problema a doverosa tutela prima dei non zingari (questi sì vere e documentate vittime) e a vantaggio delle stesse etnie implicate o coinvolte nel complesso "fenomeno zingaro".


Per capire meglio basta fare un paragone con il caso gli ebrei, con il pregiudizio verso gli ebrei e con il comportamento tenuto dagli ebrei lungo i secoli e che mantengono anche ai nostri giorni:
il pregiudizio europeo verso gli ebrei si basa su una originaria falsità costituità dalla calunnia di aver ucciso il loro compatriota giudeo Gesù Cristo poi divenuto dio dei cristiani, che in realtà fu ucciso dagli invasori e dominatori romani della Giudea,
calunnia a cui si sono poi aggiunte una serie di altre accuse calunniose che non trovano alcun riscontro nella realtà dei fatti odierni e delle cronache del passato:

oggi gli ebrei non uccidono bambini e non praticano rituali religiosi di sangue, non rubano, non rapinano, non truffano, non sequestrano persone a scopo di ricatto, non spacciano droga, non costituiscono ogranizzazioni mafiose che praticano estorsioni e il caporalato e il riciclaggio di denaro sporco con l'acquisizione di aziende in difficoltà, non praticano il prestino bancario a tassi da usura che soffocano provocando disperazione e inducendo al suicidio, non fanno fallire le banche per truffare i soci non ebrei e i correntisti, non costituiscono società segrete politico-finanziarie per attentare alla sovranità degli stati per dominare i popoli e il mondo, al massimo si difendono come tutti gli esseri umani dalle altrui aggressioni e difendono il loro paese Israele dai nazi maomettani che li vorrebbero cacciare, sterminare e distruggere come Stato;
anche nel passato stando alle cronache secolari e agli annali storici dei paesi europei gli ebrei non hanno mai commesso crimini di tale natura;

quantunque siano stati per migliaia di anni discriminati, perseguitati, uccisi e sterminati e siano in parte ancora oggi aggrediti, uccisi per strada e nelle loro case e minacciati di sterminio.
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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:22 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:22 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:22 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:22 pm

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Re: I crimini e le menzogne del Politicamente corretto

Messaggioda Berto » mar feb 15, 2022 3:24 pm

4)
Il suprematismo del diversamente bello e sano e del diversamente abile.




Il grasso è bello solo quando non è eccessivo e non è l'inizio l'inizio dell'obesità.
Grasso è bello.
https://it.wikipedia.org/wiki/Grasso_%C3%A8_bello

Essere in carne è bello, essere robusti e formose o ben messi è bello ma non altro e troppo.

Grasso è bello!
No, il grasso come obesità non è bello, come non è bello il magro dell'anoressia poiché entrambi i casi portano danno per sé e per gli altri (parner, famiglia e sovcietà), sono un peso e causano sofferenza e malattia, portano alla disabilità e alla morte.





La nuova crociata del politicamente corretto: contro le "persone belle"
Gerry Freda
28 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/nu ... 58178.html

L'ennesima crociata liberal è stata promossa dalle colonne del New York Times, con un editoriale firmato giovedì scorso da David Brooks
La nuova crociata del politicamente corretto: contro le "persone belle"

In America è stata appena lanciata l'ennesima crociata liberal, promossa dal New York Times, quotidiano dichiaratamente progressista; stavolta, il politicamente corretto apre il fuoco contro le "persone di bell'aspetto", colpevoli di togliere opportunità ai soggetti privi di spiccati pregi estetici. La testata citata si è scagliata contro i presunti vantaggi di cui godrebbero in vari ambiti le persone belle pubblicando on-line giovedì scorso un editoriale, intitolato Perché è ok essere meschini con i brutti? e firmato dal proprio commentatore David Brooks.

Nella sua crociata contro il "lookism", ossia la tendenza sociale a privilegiare appunto i belli a discapito di chi ha un aspetto ordinario, l'autore denuncia il primo come una nuova piaga sociale e come un'ulteriore sembianza che la mentalità discriminatoria può assumere. Egli si è quindi domandato come mai tale grave fenomeno passi quasi inosservato al giorno d'oggi e come mai i social media restino in silenzio sulla questione nonostante diversi studi, sostiene Brooks, abbiano dimostrato le seguenti umiliazioni sofferte dai brutti: i non belli hanno meno chance di trovare un lavoro, di superare un colloquio di assunzione e di essere promossi a scuola; il loro divario salariale con i belli è pari o maggiore di quello fra i bianchi e gli afroamericani; i brutti guadagnano in media 63 centesimi per ogni dollaro guadagnato dai belli, perdendo complessivamente nel corso della loro vita quasi 250.000 dollari. "Gli effetti discriminatori del lookismo", accusa Brooks, "sono pervasivi. Una persona poco attraente perde quasi un quarto di milione di dollari di guadagni nel corso della vita rispetto a una attraente". A detta di altre ricerche citate sempre dall'autore, gli individui più attraenti hanno anche maggiori probabilità di ottenere prestiti bancari e di godere, su questi, di tassi di interesse agevolati. Le persone più attraenti, in aggiunta, sarebbero automaticamente considerate più competenti e intelligenti.

I danni del "lookism" sarebbero anche di natura penale, dato che uno studio del 2004 avrebbe rivelato, dichiara l'autore, che le denunce per discriminazioni sull'aspetto sono maggiori di quelle per la razza e che i criminali non belli che commettono reati minori tendono a essere puniti più severamente dei belli implicati nei medesimi guai giudiziari.

I mali del "lookism" verrebbero taciuti dai grandi mezzi di comunicazione e dal web poiché, ipotizza il commentatore, non esiste un'associazione nazionale dei brutti che faccia campagne di sensibilizzazione o forse perché questa variante di discriminazione è "talmente innata nella natura umana" che nessuno ne percepisce la gravità. Un'ulteriore spiegazione fornita da Brooks riguardo alla natura pervasiva e radicata dell'"aspettismo" poggia sul fatto che la società contemporanea "celebra in modo ossessivo la bellezza" e ignora di conseguenza gli effetti delle discriminazioni basate sugli apprezzamenti estetici.

L'unico possibile rimedio alle molteplici discriminazioni di cui soffrirebbero da anni i brutti e per portare a termine con successo questa crociata liberal è, a detta di Brooks, "cambiare norme e pratiche", prendendo esempio da aziende famose come Victoria's Secret, che ha mandato in pensione le sue modelle mozzafiato sostitutendole con sette donne con caratteristiche estetiche le più diverse: "Se è Victoria’s Secret a rappresentare la punta avanzata della lotta contro il lookism, significa che tutti noi abbiamo parecchio lavoro ancora da fare".




La GRASSOFOBIA non esiste. Non esistono grassi felici, esistono solo grassi rassegnati
Francesco Mangiacapra
29 aprile 2020

https://francescomangiacapra.wordpress. ... on-esiste/

Bisogna sfatare il falso mito, politicamente corretto, che sollecitare in maniera cruda e diretta una persona obesa non la aiuti a dimagrire, perché invece questo rappresenta il miglior stimolo. Al contrario, l’avallo e il compiacimento dell’obesità, soprattutto se spacciata per diritto e libertà, la legittima e la radica. Se non fosse stato per i sani stimoli a migliorarsi basati sulla denigrazione dei difetti – ciò che oggi si imputa come “body shaming” – intere generazioni di persone come me sarebbero cresciute continuando ad accettare i propri limiti, anziché sentirsi stimolate a migliorarli. Anche il tanto ostracizzato bullismo (concetto spesso abusato), dovrebbe essere inteso, invece, nel caso dell’obesità, come stimolo esterno utile a trovare la forza per iniziare una dieta. Non si può certamente invocare la debolezza di qualcuno che al bullismo soccombe, magari suicidandosi, per propria predisposizione patologica. Non possiamo favorire la diffusione di modelli sbagliati, solo perché qualcuno è irresoluto e si suicida. Abbiamo il dovere di educare la società, non di lasciarla abbandonata a se stessa spacciando l’obesità per l’ennesima forma libertaria di ribellione al canone imposto. Il vero rispetto per le persone affette da malattie come l’obesità è riconoscere la gravità di questa patologia e non fingere che non esista. Giustificare l’obesità vuol dire non aiutare questi soggetti a uscirne. Combattere contro gli obesi, dunque, è un mezzo per dare maggiore attenzione ai disturbi del comportamento alimentare che, senza necessariamente essere visibili come l’obesità, colpiscono un numero di persone ben più alto. In questo clima di buonismo nasce la “grassofobia“, ulteriore declinazione del “body shaming“, tanto caro al politicamente corretto. Con l’ennesimo espediente semantico del politically correct gli obesi diventano intoccabili e il contrasto all’obesità si trasforma in un mostro, in una malattia sociale, non diversa da xenofobia, razzismo e omofobia. La lobby gay, poi, non può esimersi dal difendere i grassi stringendo con loro l’ennesimo patto di sangue tra minoranze che diventa imperativo categorico cristallizzando il pensiero di qualcuno ed elevandolo a legge insindacabile. Ecco che allora nascono filosofie di vita come “il body positive“, affinché i grassi che non riescono a migliorarsi si possano almeno illudere di essere felici. Si rassegnano a convivere con l’angoscia della distorsione forzata tra quanto di più sacro si ha, la propria identità e l’immagine visibile di sé. Invocano (seriamente), la giornata mondiale contro la “grassofobia“. Si rafforza la fantasia che fingere di essere allegri e puntare sulla presunta e stereotipata simpatia, li renda persone felici mentre in realtà, covano, giustamente, profonda frustrazione verso le persone normali. Può un grassone non rientrare nel “normopeso”, ma sentirsi bene e a proprio agio con se stesso, con gli altri e con il proprio aspetto? Certamente no, si tratta di falsi compromessi dovuti all’incapacità di dimagrire. Nessun grassone vorrebbe restare tale, perché mai un grasso dovrebbe preferire la sua condizione patologica alla salute? L’obesità è una malattia. L’idea che si possa essere grassi e al tempo stesso medicalmente in forma e in salute è un falso mito. Chi è obeso, anche se non mostra i segni iniziali di malattie cardiache, diabete o colesterolo alto, non vuol dire che sia protetto da questo malattie. È una patologia che concorre a provocare gravi disturbi e la morte, costa in termini economici e sociali ed esteticamente è disgustosa. È l’epidemia più diffusa e pericolosa del terzo millennio perché, a differenza delle altre, non viene percepita nel suo reale potenziale lesivo, non solo per chi ne è affetto, ma per la società stessa. Esaltare acriticamente il modello di bellezza grassa significa esaltare una malattia che racchiude in sé quasi tutte le altre patologie, in un mondo industrializzato bisognoso, invece, di ben altri moniti. La società dovrebbe sentirsi eticamente responsabile aiutando questi soggetti, non avallandoli e finendo per acuire e diffondere queste patologie. Bisognerebbe, per esempio, imporre l’educazione alimentare nelle scuole, che sono le prime palestre sociali e vietare i modelli non salutari. Ciò che accade, invece, è l’esatto opposto ovvero si mitizzano le persone grasse con il pretesto di essere inclusivi. La pericolosità sociale di questa propaganda consta proprio nell’ostentazione dell’obesità, proposta ingiustamente come forma alternativa di bellezza e libertà e non già come pericolosa patologia. La lotta all’obesità – necessaria, in una società che persegua il bene comune – passa obbligatoriamente dalla lotta alle persone obese. Dietro l’obesità schermata da problemi metabolici e disfunzioni ormonali, c’è nella maggior parte dei casi solo golosità sfrenata, una scarsa attività fisica e una gran pigrizia, oltre che gravi problemi e disagi psicologici, che andrebbero individuati e, quindi, risolti. Sarebbe necessario, innanzitutto, abolire le politiche di assistenzialismo esercitate ingiustamente a favore degli obesi, che dispensano assegni di invalidità e costituiscono, di fatto, un deterrente alla risoluzione del problema. Quando le proprie scelte vanno a influire negativamente sul funzionamento di una società, allora il peso di un individuo, sia metaforico sia fisico, diventa un problema. Le persone obese sono oggettivamente un costo per il sistema sanitario di un Paese ed essere grassi (per quanto ognuno debba poter decidere cosa fare della propria vita e del proprio corpo) è un problema sia per chi lo è sia per chi deve far fronte a questa condizione. Piuttosto che offendersi per uno stereotipo, sarebbe più saggio non negare l’esistenza di un problema. Accettarsi per quello che si è e piacersi? Va benissimo, a patto che, poi, una bambina, subendo il bombardamento mediatico che equipara grassezza a bellezza, non arrivi a mangiare in maniera errata persuasa dall’equazione “obesità uguale a bellezza”. Dovrebbe essere chiaro, soprattutto per la fascia più giovane, mentalmente e culturalmente meno strutturata, l’avvertimento che nessuno dovrebbe ridursi a diventare obeso, non per un capriccio estetico ma per questioni di salute. Il rispetto passa proprio dal riconoscere le patologie in quanto tali senza confonderle con espressioni di diversità. I disturbi alimentari non vanno, pertanto, elevati a modello alternativo di bellezza e felicità, soprattutto se si tratta di programmi televisivi a target giovanile. Dannoso è far passare l’ingiusto messaggio di una persona grassa felice, anziché quello corretto, ovvero che i disturbi alimentari vanno risolti (laddove possibile) e non accettati. Sarebbe discriminante piuttosto nei confronti della bellezza e di chi fa sacrifici per non ingrassare se si fingesse che essere grassi sia normale. La bellezza, così come la salute, è armonia, misura, equilibrio. Qui sta il vero cuore della questione: è davvero bello dire “io sono così, e vado bene così”? Non annienta forse la spinta al miglioramento? Non cancella l’essenza stessa della bellezza, che è immaginarsi nel futuro differenti da come si è? L’aspetto realmente discriminante nei confronti dell’obesità è che casi umani vengono proposti come fenomeni da baraccone proprio senza rispetto per la malattia stessa e con l’intento di veicolare il buonismo che si tenta di imporre, speculando e lucrando. Soprattutto, sarebbe necessario avere maggior rispetto per le persone che, con sacrificio e pazienza, si impegnano per non diventare grassi. Non si tratta di voler mitizzare la bellezza, di voler essere crudeli o ipergiudicanti. Io stesso ho amici grassi e li rispetto come persone, ma la salute collettiva è prioritaria rispetto alla mortificazione di qualcuno e questa è una responsabilità della società, non una libertà del singolo. Non esistono grassi felici, esistono solo grassi rassegnati. I grassi fingono un’accettazione di se stessi mai sincera, perché nessuno potrebbe andar davvero fiero di certe dimensioni, tranne quelli che si sono già arresi. Il pericolo di rimanere incastrati nell’etichetta di “grasso è bello” in quanto inclusiva è una delle falle principali della dittatura delle minoranze. Una lotta per distruggere i rigidi schemi costruiti negli anni passati ci porta a disegnarne altri, mascherati da libertà. L’inganno dell’essere veri per forza, del tutto politicamente corretto e contemporaneo, è una bugia costruita a danno del corpo di persone infelici.



L’obesità è una malattia, e chiamarla “curvity” è una menzogna interessata
5 ottobre 2020

https://ilsaltodirodi.com/2020/10/05/ob ... ncontrada/

Lo dico subito: grasso non è bello. Osservo con fastidio la crescente campagna a favore dei (e specialmente delle) curvy; le modelle curvy, le attrici curvy… che diffondono un messaggio completamente sbagliato, quello che essere ciccioni sia una scelta, una delle tante declinazioni di Ego, e che tutte siano valide, che tutte siano, a modo loro, “giuste”. Ma questo è profondamente sbagliato. Essere obesi è una malattia. Sta aumentando velocemente nel mondo, è un’importante causa di morte e ha dei notevoli costi sociali. Di queste cose – come avete visto – abbiamo già parlato, e non abbiamo da aggiungere o da togliere una virgola.

Quando vedo l’anziano con un’intera anguria al posto dello stomaco o, peggio, il dodicenne che corre in spiaggia con le cicce che gli ballonzolano su e giù, o il donnone che caracolla su gambe a X piegate dal peso, ecco, sinceramente vedo persone malate, e non deliziosamente curvy (i bambini obesi, comunque, sono una vista insopportabile; occorrerebbe con urgenza mettere in terapia psicologica i genitori).

Qualche giorno fa Vanessa Incontrada ha posato nuda per Vanity Fair per rispondere – se ho capito bene (non è che me ne importi molto) – a delle critiche su un suo aumento di peso; come dire: sono quella che sono, io mi piaccio così, fatevela andare bene anche voi. Poi vedete, dalla foto, una bella donna di 41 anni, non certo anoressica e certamente molto attraente anche se appena un po’ più rotondetta rispetto al canone della modella adolescente che deve mostrare le ossa sporgere sotto la pelle. Sono seguite colonne e colonne di post sui quotidiani (che devono pur riempire gli spazi in qualche modo) per non parlare dei social.

Ebbene io non ho affatto visto “un fatto”, non ho letto “degli argomenti”, ma ho assistito a una delle mille e mille comunicazioni che cercano di farsi strada, ogni giorno, per esclusive ragioni commerciali (da parte dei protagonisti) e per stanco mestiere (da parte di giornalisti di serie B).

Potete benissimo inquadrare questo mio post – se lo credete – nel filone dell’esasperazione verso il linguaggio politicamente corretto. I grassi non sono più “ciccioni” (termine abolito in quanto istigatore di sentimenti negativi) ma nemmeno “obesi” (e spesso “grandi obesi”) che pare brutto anche se termine italiano e tecnico, e le persone correttissime si sono inventate curvy – anche in italiano – che è parola aggraziata, rinvia alla morbidezza delle cicce, e sta nel paradiso delle parole utilizzabili senza scadere – udite udite! – nel body shaming. E qui capiamo anche, già che ci siamo, come la comunicazione corretta su temi politicamente corretti sia un’invenzione americana (allegramente adottata anche da noi) e che l’inglese inutile ormai lo parliamo un po’ tutti. Il ‘body shaming’ è la vergogna per il proprio corpo (obeso), che gli hater (che in italiano sarebbe: gli odiatori, o più semplicemente: i deficienti) aggravano con critiche infondate, insulti, aggressioni verbali.

Io non ho alcuna intenzione di fare body shaming. Io stesso sono sovrappeso, tendente all’obesità, e mi sono messo a dieta perdendo, in queste settimane, la mia prima decina di chili. Lo faccio principalmente per la mia salute, perché essere grasso mi aggrava i problemi alla colonna, influisce sulla pressione arteriosa, il colesterolo e altre questioni. Mettermi a dieta è stata una scelta razionale di salute. In secondo luogo l’ho fatto per la mia famiglia, perché le mie (potenziali) malattie avrebbero avuto conseguenze su di loro in termini di costi, assistenza, preoccupazione. Non posso dire di averlo razionalmente fatto per i costi sanitari eventuali che avrebbero gravato sulla collettività; non posso fingere di avere una coscienza sociale così sviluppata, ma so per certo che tali costi ci sarebbero e sono lieto di contribuire a non gravare sui miei concittadini.

Ho diversi amici ciccioni. Voglio loro molto bene perché ne ammiro le qualità morali e intellettuali, e non mi verrebbe mai in mente di criticare il loro aspetto; ma nemmeno di blandirli dicendo loro “quanto sei bellino così curvy”!

Insomma: il mondo ci rifila continuamente dei falsi argomenti per distrarci; e li tratta spesso in modo sbagliato per ragioni comprensibili che non sono quasi mai quelle dichiarate. Vanessa Incontrada ha fatto benissimo a fare quella foto, così si è parlato di lei che usa il corpo come qualunque attrice e modella; lasciamo perdere la sua presunta “battaglia” contro gli stereotipi sull’obesità, il body shaming e altre sciocchezza. E gli oscuri giornalisti e blogger che hanno invaso i giornali – felici di ospitarli – su questa cavolata sono certamente rispettabili professionisti che sgomitano quotidianamente per vedersi pubblicare un pezzo a quattro Euro, se non gratis, e il filone dell’insopportabile politicamente corretto offre ogni istante decine di spunti, per il palato poco raffinato di annoiati navigatori del Web.



Il costo sociale dell’obesità
Nicola Piccinini
10 Gennaio 2015

https://nicolapiccinini.it/costo-social ... a/2015/01/

L’obesità è oramai una emergenza globale. Più di 2.1 miliardi di persone – quasi il 30% della popolazione mondiale – sono oggi in sovrappeso o obese (Ng et al 2014). In pratica, due volte e mezzo il numero di adulti e bambini che nel mondo sono denutriti!

L’obesità è responsabile di circa il 5% dei decessi in tutto il mondo. Simon Stevens, chief executive del Servizio Sanitario Nazionale in Inghilterra, a settembre scorso ha avvertito che “stiamo perdendo tempo rispetto alla peggiore emergenza per la salute pubblica degli ultimi tre decenni.”

Questa crisi non riguarda soltanto le dimensioni sociali e di salute, ma anche economiche. L’impatto economico globale dovuto all’emergenza obesità è di circa 2 trilioni di dollari, ovvero il 2,8% del PIL mondiale, più o meno equivalente all’impatto globale dato dal fumo o dalla violenza armata, la guerra e il terrorismo.

Il costo Sociale dell'Obesità

La McKinsey Global Institute (MGI), nel 2014 ha individuato 74 tipologie di intervento, suddivise in 18 differenti aree. Qui puoi scaricare la ricerca integrale

Già oggi il costo dell’obesità sulle casse dei sistemi sanitari oscilla tra il 2% ed il 7% della spesa pubblica, e ciò senza includere l’importante costo sanitario riguardante le varie complicanze e malattie associate allo stato di sovrappeso ed obesità (diabete, cardiovascolari, ecc…), che porterebbe il costo sanitario sino al 20%.


L’obesità è un problema globale

Se la tendenza all’obesità continua sulla sua attuale traiettoria statistica, quasi la metà della popolazione adulta del mondo sarà in sovrappeso o obesa entro il 2030.

Nessun paese è riuscito a ridurre la sua prevalenza dell’obesità tra il 2000 e il 2013. Durante questo periodo, la prevalenza è cresciuta di 0,5 punti percentuali o più all’anno in 130 dei 196 paesi per i quali si dispone di dati OCSE (OECD 2014). L’obesità, sino a qualche anno fa era un problema tipico dei paesi con economie sviluppate, ma con l’aumentare del reddito nei paesi emergenti il problema si sta rapidamente diffondendo. Oggi, circa il 60% delle persone obese del mondo abitano nei paesi in via di sviluppo.

Anche la produttività dei dipendenti è minacciata dall’obesità, compromettendo la competitività delle imprese. McKinsey Global Institute (MGI) ha valutato la perdita di produttività per l’obesità con il disability-adjusted life (attesa di vita corretta per disabilità), o DALYs, che misura il numero di anni che si perdono o si rendono economicamente improduttivi a causa della malattia. Gli anni persi per obesità sono oggi tre volte più alti nelle economie sviluppate rispetto ai mercati emergenti. Tuttavia, questo divario si sta riducendo. L’aumento del numero dei DALYs per 100.000 persone è rallentato nelle economie sviluppate tra il 1990 e il 2010, ma è salito del 90% nelle economie emergenti.


Le politiche per combattere l’obesità

Che cosa necessita fare?
Analizzando circa 500 casi di riduzione di obesità in tutto il mondo, McKinsey Global Institute (MGI) ha individuato 74 interventi per affrontare l’obesità in 18 aree.

Questi interventi includono i pasti scolastici agevolati per tutti, l’etichettatura di calorie e nutrizionale, restrizioni alla pubblicità di alimenti ad alto contenuto calorico e di bevande, e le campagne di salute pubblica.

A causa della natura sistemica dell’obesità e di alcune lacune nella raccolta dati, MGI ha potuto effettuare una proiezione di impatto economico di sole 44 tipologie di intervento sui 74 individuati.

Se il Regno Unito, il paese in cui MGI ha scelto di effettuare la sua valutazione iniziale, avesse distribuito e sostenuto tutti i 44 interventi testati, si sarebbe potuta invertire la crescente tendenza all’obesità e portare circa il 20% degli individui in sovrappeso e obesi di nuovo nella normale categoria di peso nell’arco di cinque-dieci anni. Ciò avrebbe ridotto il numero di persone obese e in sovrappeso di circa la popolazione austriaca.


Costo-efficacia e la necessità di un’azione coordinata

La messa in opera dell’intero set di interventi dovrebbe agire sia per modificare gli stili alimentari che i livelli di attività fisica della popolazione. Istruire e informare la popolazione sui rischi dell’obesità è importante, ma le ricerche dimostrano che non è sufficiente a deflazionare il problema.

La nostra analisi per il Regno Unito suggerisce che quasi tutti gli interventi individuati sono convenienti per la società. Il risparmio sui costi sanitari e una maggiore produttività (calcolati su tutta la durata di vita della popolazione bersaglio) potrebbero essere maggiori dei soldi di investimento necessari per fornire l’intervento. Un programma integrato per invertire l’aumento dell’obesità potrebbe salvare il Servizio Sanitario Nazionale circa 1,2 miliardi di dollari all’anno.

Il costo Sociale dell'Obesità



Impatto e costi sono stimati e misurati tramite l’uso del DALY, rispetto a tutta la popolazione del Regno Unito nel 2014 (scarica studio integrale: MGI Obesity_Full report_November 2014)

Solo una azione sistemica di tutti gli interventi anti-obesità, implementata su larga scala, sarà sufficiente a superare l’aumento dell’obesità. Nessun singolo gruppo nella società – governo, rivenditori, le aziende di beni di consumo, i ristoranti, i datori di lavoro, organizzazioni dei media, operatori sanitari, o individui – sarebbe in grado singolarmente di combattere l’aumento dell’obesità. Nonostante ciò, gli sforzi per affrontare l’obesità sono stati sinora parziali o frammentari. A ciò si aggiunge che il dibattito globale su come rispondere all’obesità è diventato polarizzato (ndr: sicuramente anche a causa degli enormi INTERESSI ECONOMICI in gioco!) tra parti divenute profondamente antagoniste.

Traduzione dell’articolo “Obesity: A global economic issue“, su VOX
Altre fonti:
McKinsey Global Institute (MGI) (2014), “Overcoming obesity: An initial economic analysis”, Discussion paper, November.
OECD (2014), “Obesity Update”, Organisation for Economic Co-operation and Development, June.



Il costo dell'obesità nel mondo: un impatto che vale il 3,6% del Pil
Fiammetta Cupellaro
4 novembre 2021

https://www.repubblica.it/salute/2021/1 ... 324936186/

L'obesità pesa sull'economia di ogni paese, incidendo sia sulla produttività, che sulla spesa pubblica e potrebbe causare un impatto del 3,6 % sul Pil entro il 2060 se non si interverrà subito. E a chi pensa che questo non sia un problema di salute pubblica, ma solo di girovita e bilanci personali, basta pensare che secondo i calcoli degli esperti nei prossimi 40 anni i costi totali per curare l'obesità raddoppieranno in Spagna, mentre un paese come l'India vedrà aumentare i costi sociali diretti e indiretti di 19 volte. E sono solo esempi.

Alcune cifre riportate dal secondo studio sull'obesità che ha coinvolto 8 paesi e che dimostra l'importanza della prevenzione condotta dai ricercatori del Global Health Division, RTI (Research Triangle Institute) International, pubblicata sulla rivista BMj Global Health descrivono chiaramente il problema: tra il 1979 e il 2016 l'obesità è aumentata in tutti i paesi del mondo. Più della metà della popolazione in 34 su 36 paesi dell'Ocse, è in sovrappeso e quasi una persona su quattro è obesa. Un problema che coinvolge anche bambini e adolescenti. 5 milioni i decessi. L'età? Oltre la metà avevano meno di 70 anni.

In Italia

In Italia le cose non vanno meglio. Secondo l'ultimo Rapporto sull'obesità presentato dall'IRCCS Istituto Auxologico Italiano, il sovrappeso riguarda maggiormente il sesso maschile (6 uomini su 10) rispetto a quello femminile (4 donne su 10), con un picco di prevalenza tra i 65 e i 74 anni, dove l'eccesso di peso raggiunge il 53% delle donne e circa il 68% degli uomini. Oltre un milione di persone pari al 2,3% della popolazione adulta soffre di grave obesità, definita da un Indice di massa corporea pari o superiore a 35. Per quanto riguarda la distribuzione regionale, complessivamente nel nord-ovest e nel centro la prevalenza di obesità rilevata nella popolazione si attesta al 10%, mentre nel nord-est e nelle isole il valore raggiunge l'11,4%, nel sud il 12,4%.

La ricerca

I ricercatori del Global Health Division International hanno deciso di stimare l'impatto economico sia attuale che futuro dell'obesità, valutando la spesa sanitaria sostenuta per affrontare 28 malattie che vengono normalmente associate a questa patologia in otto paesi, tra il 2019 e per il 2060. Australia, Brasile, India, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Spagna e Thailandia sono stati scelti per riflettere sia diverse regioni geografiche che di livelli di reddito.

I costi diretti includevano i costi medici e non medici, il viaggio e il tempo necessari per ricevere le cure. Nei costi indiretti sono state considerate sia le perdite finanziarie dovute a morte prematura sia la perdita di produttività. I costi della disabilità a lungo termine e del pensionamento anticipato, così come quelli collegati ai risultati scolastici inferiori e la carriera, sono stati esclusi, in quanto non era possibile misurarli tra i paesi.

Così nel 2019

Nel 2019 hanno calcolato che i costi totali pro capite dell'obesità variavano da 17 dollari in India a 940 dollari in Australia, pari all'1,76% del PIL, in media, negli 8 paesi, ma variando dallo 0,8% in India al 2,4% In Arabia Saudita. I costi medici hanno rappresentato in media il 90% dei costi diretti in tutti i paesi, mentre i caregiver informali hanno costituito in media oltre il 90% dei costi diretti non medici. Le perdite per morte prematura hanno rappresentato circa il 56%-92% dei costi indiretti in tutti i paesi.

Primo scenario

Tra l'aumento della prevalenza dell'obesità, i cambiamenti demografici e la crescita economica, i ricercatori hanno quindi valutato l'impatto di due scenari ipotetici. Il primo. Una riduzione del 5% della prevalenza dell'obesità rispetto ai livelli previsti comporterebbe costi totali dell'obesità in proporzione al Pil, che vanno dal 2,4% in Spagna al 4,9% in Thailandia entro il 2060. Rispetto alle proiezioni del 2019, ciò implica un risparmio medio annuo di circa il 5,2% in tutti gli 8 paesi tra il 2021 e il 2060.

Secondo scenario

Il secondo scenario ipotetico stima i costi totali dell'obesità se la prevalenza dell'obesità rimane costante ai livelli del 2019. Ciò comporterebbe una riduzione media annua della prevalenza dell'obesità che va dal 9% al 22% entro il 2060, calcolano i ricercatori. In proporzione al Pil previsto, i costi totali nel 2060 andrebbero da circa l'1,4% in India al 4% in Messico, con un risparmio medio annuo del 13% rispetto ai costi previsti di base.

I limiti dello studio

I ricercatori riconoscono vari limiti al loro studio. Prima di tutto è il fatto che la ricerca si basa su dati che riguardano l'obesità relativi alla situazione attuale e non alle tendenze future relative all'età, al sesso e all'alimentazione che rimangono sconosciute. Rimarranno le stesse oppure no? Altre questioni sono i progressi tecnologici o le future scoperte mediche nel trattamento o nella prevenzione dell'obesità.

Agire presto

Ma concludono, gli scienziati: "I nostri risultati suggeriscono che ci sono enormi impatti economici associati all'obesità in tutti i paesi, indipendentemente dalla geografia o dal livello di reddito. C'è un'enorme variazione tra i paesi nel livello e negli impatti dell'obesità ma, come visto in questi otto paesi, le tendenze storiche e attuali dimostrano che i costi economici aumenteranno nel tempo".

"Gli scenari sottolineano la necessità di intraprendere azioni urgenti per ridurre i potenziali impatti economici in futuro. Ciò non sarà raggiunto se non si investirà nelle politiche di prevenzione. Nel complesso - continuano - i nostri risultati giustificano un aumento degli sforzi per combattere l'aumento globale dell'obesità e superare l'inerzia politica esistente che ha ostacolato i progressi delle azioni politiche contro questa emergenza globale".


IL PUNTO SULLA MALNUTRIZIONE: Da eccesso o da carenza di cibo
Primo Vercilli,
27 febbraio 2017

http://www.primovercilli.it/il-punto-su ... a-di-cibo/

Attualmente nel mondo una persona su tre soffre di una delle possibili forme di malnutrizione, con costi economici sulla salute pubblica estremamente alti, stimati intorno ai 3.500 miliardi di dollari l’anno.

Con il termine di malnutrizione però non intendiamo esclusivamente coloro che si nutrono in eccesso; infatti circa 800 milioni di persone soffrono la fame cronica, nel senso che non sono nelle condizioni di consumare regolarmente cibo in quantità sufficiente per condurre e mantenere una vita sana e attiva. A questi dobbiamo poi aggiungere tutti coloro che si nutrono in eccesso (quindi in sovrappeso e obesi) e poi coloro che utilizzano regimi alimentari che portano comunque a carenze tanto da rientrare in un concetto di malnutrizione: infatti, oltre due miliardi di persone nel mondo seguono una alimentazione che manca di micronutrienti e si stima che 150 milioni di bambini sotto i 5 anni di età siano affetti da rachitismo a causa di regimi alimentari inadeguati. Allo stesso tempo 1,9 miliardi di persone sono sovrappeso e circa 600 milioni sono obesi. A complicare poi la situazione è anche il disomogeneo tessuto sociale, per cui persone nelle stesse comunità possono soffrire contemporaneamente fame, mancanza di micronutrienti e obesità. Secondo la FAO nessun Paese è ormai immune da questo problema ed è chiaro che un aspetto così complesso della vita dell’uomo può essere affrontato solo mettendo in atto politiche globali (e non territoriali) che intervengano a ogni stadio della catena alimentare: dalla produzione, alla lavorazione, alla commercializzazione e al consumo. Vero è che, paradossalmente, sembra più facile sconfiggere la malnutrizione da mancanza di cibo che non quella da eccesso.

Non lascia molti dubbi l’ultimo rapporto della World Obesity Federation (WFO) pubblicato su Pediatric Obesity e ripreso dal Guardian: esso delinea una situazione planetaria di cui non sembrano preoccuparsi in molti, professionisti della salute a parte. Il problema della malnutrizione da eccesso, che quindi conduce a obesità, sta traghettando un’intera generazione verso un futuro di malattia e ciò avverrà in tempi molto più brevi di quanto si possa credere. Il fenomeno è visibile virtualmente in ogni paese. Se consideriamo esclusivamente l’obesità infantile i Paesi più colpiti al primo posto ci sono tre nazioni del Pacifico del Sud, seguiti dall’Egitto (con un 35,5% di bambini tra i 5 e i 17 anni obesi), la Grecia (31,4%), l’Arabia (30,5%), gli Stati Uniti (29,3%), il Messico (28,9%) e la Gran Bretagna (27,7%). La WFO ha stimato che nel 2025 circa 268 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni potrebbero essere in sovrappeso. Ma il problema, badate, non è semplicemente estetico. Tradotto in malattia, già oggi 3,5 milioni di bambini hanno il diabete 2, tipicamente associato, fino a pochi anni fa, all’età avanzata. Entro il 2025 si prevede un incremento a 4,1 milioni: tutti adulti destinati ad andare incontro a una vita medicalizzata e molto spesso gravata da cecità, amputazioni e altri gravi effetti. Non solo; 12 milioni di under 17 hanno una intolleranza al glucosio e una resistenza all’insulina, cioè condizione di prediabete, 27 milioni ipertensione e 38 milioni steatosi epatica (cioè un eccesso di grasso nel fegato non dovuto ad altre patologie o ad alcolismo).

Si può ben intuire come questo problema rappresenti una piaga economico-sociale terribile con costi elevatissimi che vanno ad incidere in modo grave sull’economia dei diversi Paesi. Basti pensare che i costi sanitari per patologie derivanti dall’obesità ammontano a 9 miliardi di euro all’anno. In un’ottica di malnutrizione però non è neanche da sottovalutare un intervento di educazione alimentare a tutte quelle fasce di popolazioni che vengono sollevate dalla piaga della fame. In molti Paesi si sta verificando un effetto paradosso: Paesi emergenti, che fino a qualche anno fa avevano enormi fasce di popolazione sofferenti di fame, nel momento in cui hanno gradualmente ridotto il problema hanno visto aumentare il tasso di sovrappeso, proprio perché alle politiche di abbattimento della fame non è seguita una politica di educazione alimentare, che sostenesse le persone durante questi cambiamenti. L’Egitto, per esempio, è il quarto Paese al mondo con il più alto tasso di sovrappeso e obesità: il 63,2% degli adulti è in sovrappeso e più del 30% obeso. Il piatto tipico egiziano è il koshari, un misto di lenticchie, pasta e riso condito con salsa di pomodoro e cipolle. Valore calorico di una porzione media: 800 calorie; il problema è che è spessissimo accompagnato da soda. Inoltre, i chioschi per strada, numerosissimi, vendono una quantità esorbitante di bibite dolci e di alimenti molto salati e fritti, e lo zucchero è parte fondante della cultura alimentare egiziana, a cominciare da tè zuccherato, che bevono non meno di 4-5 volte al giorno. Negli ultimi anni, poi, in tutto il Paese si sono diffuse molte delle principali catene internazionali di junk food, da quelle di hamburger a quelle di pizza, che hanno rappresentato una novità gastronomica, ma sono entrate in modo anarchico nella giornata alimentare delle persone.

Certo che parlare di sovrappeso e obesità su una rivista di enogastronomia sembra un controsenso! Ed è invece proprio qui che si gioca la sfida più grande. Il vero cambio culturale (ci vorranno ahimè tante generazioni) si attua solo se tutti gli attori nel vasto mondo della nutrizione, della cultura eno-gastronomica, della scienza e della comunicazione iniziano a parlare lo stesso linguaggio con la stessa finalità e iniziando dalla stessa domanda: come posso imparare a soddisfarmi con il cibo senza che questo mi faccia male?



Alberto Pento
Non è certo colpa e responsabilità di chi ha la possibilità di ben nutrirsi se vi è la fame nel Mondo.


La disabilità in generale è un problema sia individuale per il soggetto disabile che per la società intera, un problema limitante e debilitante dagli alti costi famigliari e sociali.
E non può essere raccontata, descritta e presentata come una diversa normalità, un diverso bene, un diverso modello ideale, ma va raccontata, descritta e presentata per quello che è ossia: malattia, disgrazia, disabilità, sofferenza, difficoltà, problematica, limitazione, disagio, ... che fa affrontata ... in lavorazione
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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