Il meticciato per forza di Bergoglio

Re: Il meticciato per forza di Bergoglio

Messaggioda Berto » ven giu 25, 2021 7:44 am

Il muro dell’idiozia
di Marcello Veneziani.
La Verità 9 gennaio 2019

https://www.facebook.com/alfio.visalli1 ... 1173753434

La parola d’ordine del Cretino Planetario per farsi riconoscere e ammirare è: vogliamo ponti, non muri.
Appena pronuncia la frase, il Cretino Planetario s’illumina d’incenso, crede di aver detto la Verità Suprema dell’Umanità, e un sorriso da ebete trionfale si affaccia sul suo volto. Non c’è predica, non c’è discorso istituzionale, non c’è articolo, pistolotto o messaggio pubblico, non c’è concerto musicale, film o spettacolo teatrale che non sia preceduto, seguito o farcito da questa frase obbligata.
L’imbecille globale si sente con la coscienza a posto, e con un senso di superiorità morale solo pronunciando quella frase. Il cretino planetario diverge solo nella pronuncia, a seconda se è un fesso napoletano, un bobo sudamericano o un lumpa siculo. In Lombardia c’è un’espressione precisa per indicare chi si disponeva ai confini per mettersi al servizio dei nuovi arrivati, dietro ricompensa: bauscia.
Il cretino planetario ripete sempre la stessa frase, sia che parli di migranti che di ogni altra categoria protetta. Lui è accogliente, come gli prescrivono ogni giorno i testimonial del No-Muro, il Papa, Mattarella e Fico che ogni giorno guadagna posizioni nel Minchiometro nazionale, l’hit parete dedicata a chi sbatte la testa contro il muro.
Il pappagallo globale marcia contro i muri, più spesso ci marcia, ma la parola chiave serve per murare il Nemico, per separare dall’umanità evoluta ed accogliente i movimenti e le persone che s’ispirano all’amor patrio, alla sovranità nazionale, alla civiltà, alla tradizione. L’appello ad abbattere i muri e a stendere ponti è ormai ossessivo e riguarda non solo i popoli e i confini territoriali ma anche i sessi e i confini naturali, le culture e i comportamenti, le religioni e le appartenenze, e perfino il regno umano dal regno animale. Dall’Onu al golden globe, dalla predica al talk show e alla canzone, l’onda dell’idiozia abbatte il Muro del suono e del buon senso.
Ora, io vorrei prima di tutto osservare che i muri più infami che la storia dell’umanità conosca, non sono i muri che impediscono di entrare ma i muri che impediscono di uscire. Come sono, necessariamente, i muri delle carceri e come fu, l’ultimo grande, infame Muro che la storia conobbe, a Berlino. E che non edificò nessun regime nazionalista o sovranista, nessun dittatore e nessun Trump ma il comunismo. Chi tentava di superare quel muro e quel filo spinato per scappare dalla sua terra, era abbattuto dai vopos. Nessun regime autoritario o nazionalista ha mai avuto la necessità di innalzare un muro per impedire che la popolazione scappasse. Né si conoscono esodi di popolo paragonabili a quelli dove ha dominato il comunismo.

Se vogliamo restare in Italia, e a Roma in particolare, c’è solo un muro nel cuore della Capitale che non si può varcare, e sono proprio le Mura Vaticane dove il Regnante predica al mondo ma non a casa sua di abbattere i muri e accogliere tutti. E comunque i muri più famosi, i muri del pianto e della vergogna, non appartengono alla cristianità. Detto questo, a coloro che amano la civiltà e la tradizione, l’amor patrio e la sovranità nazionale, si addice piuttosto il senso del confine. Perché confine significa senso del limite, senso della misura, soglia necessaria per rispettare le differenze, i ruoli, le identità e le comunità. Tutti i confini sono soglie, sono porte, che si possono aprire e chiudere, che servono per confrontarsi sia nel colloquio che nel conflitto, comunque per delimitare o arginare quando è necessario. La società sradicata del nostro tempo ha perso il senso del confine, e infatti sconfinano i popoli, i sessi, le persone, si è perso il confine tra il lecito e l’illecito. Sconfinare è sinonimo di trasgredire, delirare, sfondare. La peggiore maledizione per i greci era l’hybris, lo sconfinamento, la smisuratezza, il perdersi nell’infinito. Il confine è protezione, sicurezza, è umiltà, è tutela dei più deboli, non è ostilità o razzismo. Vi consiglio di leggere L’elogio delle frontiere di Régis Debray. Ai più modesti, consiglio l’elogio dei muri di Alberto Angela che non mi risulta un ufficiale delle SS.
Senza muri non c’è casa, non c’è tempio, non c’è sicurezza. Senza muri non c’è pudore, intimità, protezione dal freddo, dal buio e dall’incognito. Senza muri non c’è senso della misura, riconoscimento del limite e dei propri limiti. Senza muri non c’è bellezza, non c’è fortezza, non c’è fondazione delle città, non c’è erezione di civiltà. Non a caso le città eterne nascono da Romolo che tracciò i confini, non da Remo che li violò. I muri sono i bastioni della civiltà, gli ospedali della carità, le biblioteche della cultura, le pareti dell’arte, il raccoglimento della preghiera.
Se il cretino planetario non lo capisce, in compenso lo capiscono bene gli anarchici di Tarnac che colsero nel muro abbattuto la vittoria del caos e dell’anarchia: “La distruzione delle capacità di autonomia dei dominati passa per l’abolizione delle frontiere del loro essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è possibile opporre un sistema di valori a un altro, un tipo di diritto all’altro, distinguere uomo da donna, madre da padre, cittadino da straniero, insomma vero da falso, giusto dall’ingiusto, normale da anormale” (Gouverner par le Chaos – Ingénierie Sociale et Mondialisation, 2008).
Le città senza confini perdono la loro identità, come le persone che perdono i loro lineamenti. Non capovolgete l’amore per la famiglia in omofobia, l’amore per la propria patria in xenofobia, l’amore per la propria civiltà in razzismo, l’amore per la propria tradizione in islamofobia. E l’amore per i confini in muri dell’odio. Ma tutto questo il Cretino Planetario non lo sa.


Muri, termini e confini, segni sacri di D-o e barricate
Muri, termini, confini e barricate, segni naturali e sacri di D-o
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il meticciato per forza di Bergoglio

Messaggioda Berto » ven giu 25, 2021 7:44 am

“Le razze non hanno futuro”. La profezia meticcia di Papa Francesco
Piero Schiavazzi
25/02/2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/le- ... wRgzxJiwwY


“Le razze non hanno futuro”: papale – papale. Francesco non si era mostrato mai così assertivo, perentorio e quasi volutamente provocatorio nell’esporre il movente teologico e provvidenziale, prima che antropologico e sociale, delle migrazioni contemporanee. Fenomeno da ricondurre a un disegno divino, trascendente, prima che a un bisogno terreno, seppure cogente. Puntando al meticciato universale, quale approdo conclusivo della famiglia umana. E individuando nel Mediterraneo il proprio ambito elettivo: “Il messaggio del meticciato ci dice tanto”.

Un messaggio coast – to - coast, tirrenico e adriatico, che riassume il manifesto sudista di Bergoglio, enunciato in giugno a ponente, nell’ateneo napoletano della Compagnia di Gesù, e proclamato poi a levante, di fronte al suo “stato maggiore”, riunito a pieni ranghi sul lungomare di Bari. Mettendo in preventivo gli attacchi populisti e giocando d’anticipo: “Mi ricordano i discorsi degli anni Trenta, seminavano l’odio”.

Alla fine, potremmo dire, l’Italia si è aggiudicata un vertice: non il summit politico però, dei monarchi e dei capi governo, bensì quello ecclesiastico, dei patriarchi e degli episcopati. Conforme all’unica leadership che ancora le spetta e viene riconosciuta, nel “grande lago” e oceano interno. Galilea e galleria, fascinosa e fatidica, minacciosa e mimetica delle genti del Terzo Millennio. Un gigantesco specchio di Archimede, capace di proiettare i suoi fuochi nel mondo ed incendiarlo.

Al posto dei cortei presidenziali, tra le palme dei viali murattiani, ha sfilato una processione fugace, violacea e misto porpora, di zucchetti, talari e croci argentee, luccicando alla vastità dell’orizzonte, per poi adombrarsi e perdersi all’istante, nei mezzi androni e strade senza uscita, del labirinto della città vecchia. Metafora di un rebus diplomatico irrisolto e contorto, di slarghi occasionali e ingorghi ancestrali.

“Le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i problemi”.

Quando Francesco a gennaio nell’incipit del discorso al Corpo Diplomatico ha stigmatizzato il tratto caratterizzante del 2020, è parso per un attimo che il fantasma di Lepanto, mirabilmente imprigionato da Giorgio Vasari nei dipinti della Sala Regia, potesse staccarsi dalle pareti e riapparire all’improvviso nelle acque tra Grecia e Cirenaica, dove il ritorno del sultano, in simultanea, per giunta, con la new entry dello zar del Cremlino, catalizza una timida sorta di Lega Santa, del XXI secolo, tra i riluttanti soci della UE: non meno divisi atavicamente dei loro antenati del Cinquecento, ma istintivamente coesi davanti al comune pericolo, finendo per diffondere la percezione di un conflitto di matrice religiosa. E motrice contagiosa.

In tale cornice l’iniziativa della Conferenza Episcopale, di convocare in Puglia un “concilio” dei vescovi rivieraschi, agisce da correttivo lungo la direttrice del dialogo e assume un profilo aggiuntivo di attualità, restituendo alla penisola quella centralità che l’Italia non riesce più ad esprimere sul piano politico.

Il Paese ha perso terreno, anzi per meglio dire ha perso mare, proprio mentre quest’ultimo al contrario s’insinua e lo pervade a ondate umane, di profughi e migranti. Mai così nostro e al tempo stesso altrui.

Ci voleva un presule lapiriano, pastore in terre asciutte, senza coste, per fare del Mare Nostrum la priorità della Chiesa italiana e riposizionare la CEI sulla scena continentale.

A settantotto anni, l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, toscano di Marradi, cresciuto all’ombra della cupola di Brunelleschi nella Firenze del sindaco asceta e cardinale a sorpresa nel concistoro d’esordio del Papa gesuita, incarna il frutto maturo della selezione antropologica e teologica indotta nell’episcopato dall’avvento di Francesco.

Se La Pira tuttavia teorizzava e operava sullo sfondo, statico, della guerra fredda, Bergoglio evangelizza e si staglia nella prospettiva dinamica e surriscaldata della globalizzazione, aggiornando il mito hegeliano (“battezzato” e filtrato da una serie di autori a lui cari) del Mediterraneo e rilanciandone la vocazione di “ombelico”, “elemento connettivo”, “asse” della storia del mondo.

“Quando si rinnega il desiderio di comunione, iscritto nell’uomo e nella storia dei popoli, si contrasta il processo di unificazione della famiglia umana, che già si fa strada tra mille avversità. Il Mediterraneo ha una vocazione peculiare in tale senso: il mare del meticciato. Le purezze delle razze non hanno futuro”.

Il meeting pugliese ha di conseguenza portato a compimento la rotazione dell’asse geopolitico della diplomazia pontificia, cominciata nel luglio 2013 sugli scogli di Lampedusa: viaggio italiano di piccolo cabotaggio, misurandolo a miglia marine, ma internazionale di largo raggio, valutandone la soglia e la svolta epocale. Quasi che l’isola fosse il perno di un compasso planetario prescelto a ri-orientare la politica estera del Vaticano da Nordovest a Sudest. Verso l’Africa, riserva di anime, dove la Chiesa cresce come in nessun altro luogo, e il Middle East, landa inaridita, dove è nata e adesso lotta per non estinguersi.

Sembra lontanissimo il periodo nel quale toccò alla CEI del filo-atlantico Camillo Ruini, durante la prima (1991) e seconda (2003) guerra del Golfo, all’apice della frizione fra gli Usa e Wojtyla, il compito di avanzare con sottigliezza il distinguo e riequilibrare la posizione, ribadendo le ragioni del proprio ancoraggio all’Occidente. Mentre Washington e gli alleati dell’America – Italia inclusa - non fanno ancora ritorno dall’odissea intrapresa 30, e 20 anni, orsono dai due Bush, il vecchio e il giovane, novelli Telemaco e Ulisse alla deriva.

Più che un sinodo Bari ha evocato dunque un periplo, alla ricerca di possibili approdi, come chi sbarca e scendendo percepisce di avere messo piede in un mondo nuovo, diverso da quello che credeva di conoscere.

“Dobbiamo convincerci: si tratta di avviare processi, non di occupare spazi”.

Come Caino e Abele, ma in versione geopolitica. Lo spazio ha ucciso il tempo, riaffermando la propria superiorità su di esso e sconfessando il principio chiave, il più eversivo, ribelle, innovativo del pensiero filosofico di Francesco, nell’area in cui tutto parrebbe di converso destinato a rimanere anche materialmente, non solo nominalmente, a metà: tra il Mediterraneo, mare in mezzo alla terra, e la Mesopotamia, terra in mezzo ai fiumi. Dove i cristiani restano attanagliati nella doppia, implacabile faglia che spacca e fa tremare i territori della Umma. Quella principale, tra i poli magnetici del Regno Saudita e dell’impero persiano degli ayatollah, ertosi a protettore della minoranza sciita. E quella ulteriore, tra i modelli antitetici della democradura islamica di Erdoğan e della dittatura “laica” di Al - Sisi, lesti a contendersi la egemonia della maggioranza sunnita, con le liste rispettive di solerti alleati, dal Qatar agli Emirati, sino ai duellanti Haftar e Al – Serraj.

Spazio versus tempo: il sogno - miraggio del meticciato e il paesaggio segnato dai confini etnici. La sabbia no-limit dei deserti e quella contingentata della clessidra. In tale contesto lo storico documento su fratellanza e uguaglianza dei diritti tra i figli di Abramo, sottoscritto ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al – Azhar, sta come il cammello del Vangelo, ingombrante ma profetico, nella cruna dell’ago metaforica e geografica del Golfo Persico.

Mentre la Realpolitik riemerge come Atlantide, una immensa enorme Atlantide, a occupare gli spazi e dividere in zone d’influenza il Mare Nostrum: tra sultani di ritorno e satrapi eterni, conflitti per procura e flotte d’altura, contractor russi e kamikaze jihadisti, blocchi navali e rischi fatali.



Il multiculturalismo ha fallito, ma continua a erodere la cultura occidentale
Lucio Leante
29 ottobre 2021

https://www.opinione.it/editoriali/2021 ... errorismo/

“Questi barbari violenti dovrebbero tornare a casa loro” dicono molti quando un terrorista islamico, di solito nato, cresciuto in Europa, si fa esplodere uccidendo persone a caso, o decapita un prete o un professore, o, alla guida di un camion travolge i passanti, al grido di “Allah è grande”.

“Questa gente non è integrabile perché la loro cultura tribale è barbara ed incompatibile con la nostra” dissero molti quando in aprile scorso si apprese che la giovane Saman Abbas di Novellara, in provincia di Reggio Emilia, era stata uccisa e fatta a pezzi dai familiari solo perché non voleva sposare un cugino scelto dalla e preferiva vivere all’occidentale sposando chi voleva lei. Molti hanno allora colpevolizzano la cultura pakistana ed araba e la religione islamica, anche perché un destino analogo avevano subito in Italia, per le stesse ragioni, altre ragazze di origini pakistane musulmane come Hina Saleem di Sarezzo nel 2006 e Sanaa Dafani nel 2009 a Pordenone e lo stesso destino hanno avuto decine di altre giovani figlie di famiglie musulmane immigrate in altri paesi europei.

Si è trattato di reazioni comprensibili e giustificate, ma che omettono le responsabilità ideologiche dei “multiculturalisti” in quegli episodi. Analoghe reazioni hanno avuto molti quando hanno letto sui giornali che nelle centinaia di “no-go zone” sparse in Europa, dominano con la violenza i musulmani salafiti. Da quelle zone vengono fuori la maggior parte dei terroristi che risultano per lo più giovani benestanti nati e cresciuti in Europa. In quelle zone vigono costumi tribali e la versione più fondamentalista della shari’a islamica, si diffonde la poligamia, le donne sono segregate in casa e sono vittime di violenza (domestica e no) o circolano solo se coperte da capo a piedi. In quelle zone, le ragazzine e persino le bambine vengono sottoposte spesso segretamente a mutilazioni genitali e sono oggetto di costrizioni varie, di matrimoni forzati combinati dalle famiglie. Alcune di loro, magari perché ribelli o disobbedienti, sono talvolta spedite dai genitori nei loro Paesi di origine, di dove non tornano più e non se ne sa più nulla.

Tutto questo provoca giustamente orrore, ma pochi comprendono che sono le prove del fallimento della teoria e del progetto multiculturalista. Ai più non viene nemmeno in mente che quei ghetti, territori europei perduti, quelle zone della sharia (che non esistono più neppure nella gran parte dei Paesi musulmani) sono stati programmaticamente ceduti dalle autorità europee alle culture più tribali, primitive e violente del mondo. Pochi riflettono sul fatto che quei “barbari” sono stati incoraggiati proprio dai multiculturalisti europei, i nostri “barbari interni”, a rifiutare l’integrazione (da essi stigmatizzata come “eurocentrica”) e a conservare invece, in nome dell’“inclusione”, gli antichi usi tribali dei loro antenati, come si trattasse di reliquie preziose intoccabili. Il multiculturalismo è stato, infatti, innanzitutto un tradimento dell’integrazione e della normale evoluzione storica delle culture tradizionali nella modernità, che gli stessi multiculturalisti chiamano “progresso”.

Barbari interni

In sostanza, molti se la prendono solo con il “barbaro” esterno, mentre, a rigore, dovrebbero prendersela anche e soprattutto con il “barbaro interno”: e cioè il multiculturalista. È lui il vero e più pericoloso nemico della convivenza tra persone di diverse etnie e culture e per la stessa democrazia liberale e la società aperta in Europa. È lui che ha teorizzato che gli immigrati dovevano poter vivere in Europa “come a casa loro” e che tutte le etiche e le culture avrebbero un “eguale valore” e avrebbero perciò non solo diritto di cittadinanza in Europa, ma anche un diritto ad un “eguale rispetto” morale e giuridico. La democrazia liberale non sarebbe sufficiente e solo riconoscendo e includendo la sua cultura – anche sul piano giuridico – un immigrato potrebbe – secondo il multiculturalista – sentirsi davvero a casa sua ed essere davvero, cioè, “in maniera sostanziale”, libero e uguale. Le responsabilità dei multiculturalisti sfuggono a molti, anche perché il multiculturalismo è un’ideologia sofisticata, sconosciuta ai più, ma molto diffusa tra le classi dirigenti euro-occidentali, soprattutto intellettuali e politici di sinistra, che si ammantano di iper-gentilezza verso “l’altro”, di iper-liberalismo e di iper-democrazia.

Società multietnica o multiculturale?

Il progetto muliculturalista è anti-liberale perché trasformerebbe la società liberale multietnica, ma monoculturale, in una società multiculturale, un concetto da non confondere come spesso si usa fare, con quello di società multietnica (che è liberale). La prima ha un sistema giuridico-politico fondato sull’universalità illuminista (e cristiana) dei diritti umani naturali individuali e sul principio liberale dell’eguaglianza di tutti gli individui a prescindere da razza, sesso, religione. La società multiculturale, invece, riconosce diritti comunitari alle diverse culture altrui, comprese le loro norme, leggi e costumi e conferisce loro un “eguale rispetto” e cioè una pari vigenza, anche se in conflitto con le norme, leggi e costumi locali.

La società liberale presuppone uno Stato che tratti i cittadini allo stesso modo, prescindendo dalle differenze di razza o di religione mentre la società multiculturale crea uno Stato in cui le persone dovrebbero essere trattate in maniera diversa, a seconda delle proprie caratteristiche e differenze culturali. Corollario di ciò sarebbe, pertanto, l’abbandono dell’idea di eguaglianza dei diritti universali è l’assunzione al loro posto dell’idea dei diritti differenziati. Ed è proprio quello che è avvenuto in diversi paesi europei. La conseguenza, però, è che i criteri di giusto e ingiusto, criminale e barbarico, scompaiono di fronte al criterio assoluto del “rispetto per la differenza”.

Le classi dirigenti occidentali

Le posizioni multiculturaliste sono state per decenni non solo una filosofia e una teoria, ma un vero e proprio progetto culturale e politico praticamente rivoluzionario, adottato dalle classi dirigenti di sinistra nel continente americano (soprattutto in Canada), in Australia e in Europa, in specie nei Paesi nordici, ma anche nei maggiori Stati europei. Per molti intellettuali europei è stato un surrogato del marxismo (anche per le sue connessioni con il terzomondismo) perché consentiva di continuare erodere e decostruire la cultura liberale e individualistica occidentale e prospettava un’alleanza in chiave occidentale tra gli intellettuali e i politici, ormai orfani della rivoluzione comunista, e i popoli oppressi del terzo mondo, che furono visti come il nuovo proletariato dei dannati della terra. Per decenni le classi dirigenti di sinistra euro-americane hanno pensato: “Dobbiamo essere iper-gentili con gli extra-occidentali includendo le loro culture e permettendo loro di vivere come a casa loro. Loro, in cambio, saranno gentili con noi e per di più e daranno alla sinistra i loro voti o per lo meno non ci ammazzeranno”.

Il presupposto – e per taluni il pretesto- era anche un tentativo di evitare ad ogni costo uno scontro di civiltà, di culture e anche di religioni in Europa, anche al prezzo di rinunciare alla difesa dei principi della propria civiltà, cultura (e religione) che comunque “meritava di perire” perché civiltà colpevole. Questo calcolo di appeasement non era privo di pusillanimità e celava un disprezzo ed un’ostilità verso la propria civiltà occidentale. È comunque si è rivelato tragicamente sbagliato, come dimostrano i fatti citati e la cronaca di tutti i giorni.

Immigrazione

I multiculturalisti affermavano che con le loro teorie e le loro pratiche si sarebbe risolto innanzitutto il problema dell’“affondamento demografico” europeo per cui bisognava aprire i rubinetti dell’immigrazione. Inoltre, intendevano risolvere in maniera “non eurocentrica” i nuovi problemi di convivenza posti dalle migrazioni verso occidente di sempre maggiori numeri di individui da Paesi extra-euro-occidentali. Questi erano portatori di culture diverse e, nel caso dell’Islam, erano portatori di una cultura teocratica e anti-individualista difficilmente compatibile e anzi in potenziale conflitto permanente con la cultura euro-occidentale laica, liberale e cristiana. Occorreva venire a patti con essa.

Per l’esattezza il multiculturalismo è nato negli Usa nella seconda metà del secolo scorso come un’ alternativa alla tradizionale teoria e pratica del “melting pot” statunitense, il “crogiuolo” multi-etnico, ma monoculturale, dove gli individui venivano accolti come individui e potevano mescolarsi e fondersi, conservando le manifestazioni della loro religione, i loro costumi e la loro cultura anche nello spazio pubblico, ma alla condizione che non entrassero in conflitto con la legge e la Costituzione americana che doveva vigere per tutti. In Europa il multiculturalismo si diffuse dopo la decolonizzazione come alternativa all’assimilazionismo alla francese che richiedeva di confinare la religione nella sfera privata, mentre nella sfera pubblica pretendeva un’adesione alla religione civile repubblicana e laicista, nella quale consisterebbe l’identità e la cittadinanza francese.

Il crogiuolo e la macedonia

Al “crogiuolo”, all’americana o alla francese, il multiculturalismo, sulla base del relativismo radicale che suppone le varie etiche e culture come universi in-comunicanti e di “eguale valore”, opponeva, al fine illusorio di evitare gli scontri di civiltà, il modello della “macedonia”. Le varie culture non si sarebbero dovute fondere sotto l’egemonia di una sola cultura, come avviene in tutti i Paesi del mondo, ma dovevano essere conservate e convivere una accanto all’altra conservando tutte le loro caratteristiche specifiche. In sostanza, secondo i multiculturalisti le norme etiche e giuridiche e i costumi di tutte le culture “altre” avrebbero dovuto vigere in Occidente anche quando fossero in patente ed insanabile contrasto con le norme ed i costumi vigenti in Occidente.

La conseguenza è che si prefigurava una convivenza nella stessa società di ordinamenti giuridici paralleli e talvolta in conflitto tra loro e quindi sulla diseguaglianza nei diritti individuali, in considerazione della loro etnia o della religione di appartenenza. Tipico esempio è la poligamia, che sarebbe stato per alcuni cittadini un reato e per altri una possibilità del tutto lecita.

Un progetto eversivo dell’ordine liberale

Si tratta evidentemente di un progetto eversivo dell’ordine democratico liberale (basato su diritti fondamentali uguali per tutti) che persegue non l’integrazione ma la disintegrazione sociale perché parcellizza la società in una serie di comunità parallele e in-comunicanti, ciascuna chiusa nei suoi ambiti interni, animate da culture e norme diverse ed opposte e perciò in conflitto permanente tra loro. I risultati di decenni di politiche ispirate al multiculturalismo sono stati catastrofici, come era ampiamente prevedibile e come era stato previsto da molti suoi critici.

In Europa ha portato, infatti, alla nascita di diverse centinaia di énclave, cioè di ghetti vere e proprie, spesso ai margini delle grandi capitali che sono in sostanza territori perduti alla civiltà europea. La più famosa è Molenbeek, a Bruxelles di dove sono usciti i terroristi che nel gennaio del 2015 attaccarono Parigi. In Francia sono chiamate “zones urbaines sensibles” e secondo il ministero dell’Interno transalpino ce ne sono oltre 750 e ci vivono cinque milioni di musulmani. In Germania ce ne sono diverse decine e le chiamano “aree problematiche” (Problemviertel). Si tratta di aree con grandi concentrazioni di migranti, elevati livelli di disoccupazione e dipendenza cronica dal welfare, abbinati al decadimento urbano, incubatori di anarchia e islamismo. La stessa cosa avviene in Olanda e Belgio. Ci sono aree simili nelle grandi città inglesi come Birmingham, Bradford, Derby, Dewsbury, Leeds, Leicester, Liverpool, Luton, Manchester, Sheffield, Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della capitale. Da questi ghetti sono usciti quei lupi solitari che hanno insanguinato Londra ed altre città inglesi.

“Il multiculturalismo ha provocato delitti d’onore, mutilazioni genitali femminili e legge della sharia”, ha affermato l’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey. In quelle zone gli immigrati, comunque non vivono come a casa loro. Il paradossale effetto del multiculturalismo è che la shari’a da tempo non viga più nella gran parte dei Paesi musulmani e prosperi invece proprio in quei territori perduti dell’Europa. Paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Francia riconoscono i matrimoni poligamici se sono stati contratti all’estero. Downing Street stima che ogni anno avvengano circa tremila matrimoni forzati. In Svezia si parla di oltre 70mila ragazze musulmane non libere di sposare chi vogliono.

In Europa risultano “scomparse” migliaia di ragazze musulmane già cittadine europee. Di solito partono per un viaggio all’estero e non tornano più a scuola o sul posto di lavoro. A queste vanno aggiunte le “vergini suicide”, le ragazze che si uccidono per sfuggire a un matrimonio forzato. Secondo l’Unicef, in Europa ci sono almeno mezzo milione di ragazzine che hanno subito la pratica della mutilazione genitale. L’aspetto più paradossale del multiculturalismo è che diventa un razzismo surrettizio degli anti-razzisti. Congela e cristallizza le culture tradizionali e più primitive per cui africani, arabi, pakistani e musulmani sono imprigionati nella loro storia e nelle loro tradizioni e, in pratica, non riconosce loro gli stessi diritti fondamentali che sono retaggio comune degli occidentali e – per il liberalismo –di tutti gli uomini.

Il fallimento di un’illusione

Insomma, il multiculturalismo è fallito sia come teoria che come progetto pratico come hanno riconosciuto tra gli altri David Cameron, Angela Merkel ed altri leader europei. Tuttavia, esso sopravvive come ideologia in molti intellettuali e giornalisti come un dogma duro a morire, che è divenuto parte integrante di quell’ideologia antioccidentale che è il pensiero unico politicamente corretto. Per questo esso sta provocando la rinascita di reati d’opinione, legati alla cosiddetta islamofobia: un’accusa che tende a criminalizzare chiunque critichi l’Islam e consente, soprattutto in Francia, a gruppi militanti di trascinare in tribunale decine di giornalisti e scrittori, e di organizzare contro di loro delle vere campagne mediatiche di demonizzazione. In definitiva, il multiculturalismo acuisce i conflitti culturali che voleva evitare, non protegge le persone che vorrebbe tutelare ed erode la civiltà liberale occidentale alle sue radici. È perciò da considerare un’arma ideologica nelle mani dei nemici dell’Occidente.



Il Politicamente Corretto è l'ideologia del male e dell'inversione assurda elevate a bene e assunte come diritto, è l'ideologia dell'odio e del caos.
La menzogna, l'inganno, l'illusione del Politicamente corretto e le sue violazioni dei diritti umani
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La violenza della menzogna del PC precede e anticipa la violenza fisica del suo totalitarismo sociale e politico istituzionale, poliziesco, giuridico e militare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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