Il Politicamente corretto (PC): un crimine contro l'umanità

Il Politicamente corretto (PC): un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 4:04 am

La dittatura del politicamente corretto
Oggi non si può più dire nulla, il moralismo sta mortificando la libertà d’espressione, il bigottismo censura l’arte, il dialogo tra uomini e donne è diventato impossibile!
La dittatura del politicamente corretto ci sta soffocando tutti? Stiamo diventando vittime di un perbenismo linguistico che censura e omologa le nostre opinioni?
Ne parliamo nel nuovo episodio di Quasidì in cui partiamo, come sempre, dalle basi: cos’è davvero il politicamente corretto e quali effetti ha sulla nostra libertà di parola?
Ascolta ora l’episodio

https://www.quasidi.com/senza-categoria ... -corretto/


Trascrizione della puntata

È un calco dalla locuzione angloamericana politically correct. Nasce infatti in ambito statunitense, intorno agli anni 30 del Novecento ma assunse dimensioni significative soprattutto dagli anni 80 quando si riuscirono a sradicare delle consuetudini linguistiche ritenute offensive nei confronti delle minoranze (fu allora che, ad esempio, afroamericano sostituì la n word). Infatti la battaglia principale del politicamente corretto è proprio quella sulla lingua e su un uso più rispettoso del linguaggio.

Il politicamente corretto nasce quindi in un contesto progressista, di sinistra, e trova terreno fertile specialmente nei college americani in cui si propugnava l’idea dell’università come grande luogo di promozione della giustizia sociale. Proprio qui cominciarono a diffondersi dei precisi regolamenti verbali (gli speech codes) che sottoponevano a sanzioni amministrative tutti coloro che si fossero abbandonati a un linguaggio razzista, sessista, omofobo ecc…

Leggiamo qualche esempio su Treccani. Sul piano economico e sociale i paesi del terzo mondo sono denominati in via di sviluppo, la ottimizzazione delle dimensioni aziendali o la ridistribuzione delle risorse umane sostituiscono il licenziamento di massa, le categorie svantaggiate come i poveri sono designate non abbienti, imprenditori si preferisce a padroni. In generale sono da evitare le forme non marcate dal punto di vista del genere (diritti della persona al posto di diritti dell’uomo); oppure espressioni tradizionalmente connotate in modo discriminatorio, ad esempio per quanto riguarda i nomi delle professioni (come bidello o becchino, a cui si dovrebbero preferire espressioni neutre come operatore scolastico e operatore cimiteriale).

È vero: certe forzature appaiono paradossali e anche ridicole nel loro tentativo di purificare in maniera coatta la lingua dei parlanti. Il linguista Arcangeli riporta dei casi eclatanti. “A Santa Cruz un amministratore dell’Università di California si è scagliato contro espressioni quali a nip in the air ‘un freddo pungente’ e a chink in one’s armor ‘un punto debole’ «perché contengono vocaboli che in altre accezioni esprimono disprezzo razziale». Nell’inglese d’America, infatti, nip è termine denigratorio per ‘giapponese’, chink termine denigratorio per ‘cinese’. Sarebbe come se da noi, variatis variandis, qualcuno proponesse di bandire dall’uso una parola come finocchio soltanto perché in uno dei suoi significati è voce spregiativa per indicare un omosessuale”.

Il detrattore più famoso delle derive più ottuse del politicamente corretto è sicuramente il critico d’arte Robert Hughes che pubblica nel 1993 “La cultura del piagnisteo”. Secondo questa dottrina – mai apertamente enunciata ma ferocemente applicata –, tutto deve essere politicamente corretto: dai comportamenti sessuali ai gusti letterari, al modo di parlare, di vestirsi, di scrivere. Esisterebbe dunque un modo giusto di fare le cose, consistente anzitutto nell’adeguarsi ai desiderata di gruppi facinorosi e lamentosi d’ogni sorta, pronti a compattarsi in una maggioranza inquisitoria.

Un approccio più sistematico arriva invece dallo studioso Jonathan Friedman nel saggio “Politicamente corretto”. L’antropologo spiega: il politicamente corretto non è una questione di censura o ipocrisia linguistica, ma un più profondo fenomeno sociale, antropologico e politico. è «una forma di comunicazione e di categorizzazione», un regime linguistico e sociale relativamente indipendente dall’orientamento politico, infatti è usato sia a destra sia a sinistra, quindi è una forma o una struttura, non un contenuto ideologico. Secondo Friedman il politicamente corretto si basa sulla «cultura della vergogna» ovvero è un atteggiamento autocensorio di omologazione (non dico la parola x altrimenti gli altri mi marginalizzano e mi giudicano). Ma è anche connesso a un uso del linguaggio «associativo e classificatorio». Citiamo qui un articolo di Daniele Lo Vetere che analizza molto da vicino l’opera di Friedman e che ci fa capire cosa s’intende per uso associativo e classificatorio del linguaggio. “Incerti sulla nostra identità e sulla posizione che gli altri hanno rispetto a noi, prima ancora che considerare quello che ci stanno dicendo e la loro intenzione, abbiamo bisogno di capire da che posizione parlino e quali scopi extra-linguistici perseguano: dobbiamo scoprire i segni della loro personalità o della loro appartenenza a un gruppo o a un’ideologia, e, con essi, il valore sociale e d’uso delle loro parole (…) Le parole non vengono più prese stricto sensu, ma sono associate ai concetti contigui, in orizzontale o in verticale, per creare categorie ed etichette generali entro cui sussumere una varietà di fenomeni. In questo modo, dire “forse gli immigrati sono troppi” sarà interpretato come “certamente gli immigrati sono troppi”, quindi “gli immigrati non mi piacciono”, quindi “sei razzista”. Ecco cosa vuol dire uso associativo. Cioè si associano espressioni, termini e appellativi a tratti ideologici, culturali e politici del parlante. Se uso certi termini vengo incasellato in un determinato ruolo. Se uso la parola zingaro, se uso la parola ebreo ecc..

Chiaramente questo è un problema perché la realtà è infinitamente più sfaccettata e soprattutto il linguaggio è molto più complicato. Prendiamo sempre ad esempio Arcangeli.

“Tempo fa, nella veste di responsabile del progetto di un dizionario minimo di sinonimi commissionatomi proprio dall’Istituto Treccani, mi sorpresi a riflettere sulla scelta non molto felice di un mio redattore, che aveva ritenuto opportuno inserire tra i sinonimi di avaro il termine ebreo. Optai decisamente per il depennamento e oggi rifarei, senza la minima esitazione, la medesima scelta. Ma il problema resta. Sul piano sincronico, anzitutto: perché i dizionari dell’uso continuano a segnalare il termine ebreo nel significato di ‘avaro’ e in quello, semanticamente affine, di ‘usuraio’, nel migliore dei casi limitandosi ad accompagnare alla registrazione un giudizio morale. E sul piano diacronico, poi: perché lo stesso termine, negli stessi significati, è stato recepito dai nostri classici, da Foscolo a Carducci, ed è autorizzato dalla storia. Sarebbero allora da censurare scrittori scomodissimi e controversi come Louis-Ferdinand Céline, un Fëdor Michajloviã Dostoevskij, un Guy de Maupassant e, naturalmente, un Thomas Stearns Eliot o un Ezra Loomis Pound”.

Non è semplice avere delle risposte definitive a problemi di questo tipo. Abbiamo capito che il punto focale del politicamente corretto è la sensibilità linguistica che si fa specchio di una sensibilità culturale, una sensibilità culturale in continuo mutamento. Cosa succede allora oggi e perché si parla così insistentemente di censura e bigottismo? O addirittura di neolingua, con riferimenti inquietanti a 1984 e al Grande Fratello.

Cominciamo col dire che i talebani dell’anti-discriminazione rimangono comunque in minoranza rispetto a chi discrimina quindi il problema più grande al momento rimane sempre la discriminazione stessa. Ancora oggi la quantità di contenuti a forte connotazione razzista che viene prodotta consapevolmente o meno è ancora sconvolgente. Soltanto negli ultimi mesi abbiamo discusso di blackface grazie all’abbronzatura del nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio ma anche in occasione di un’esibizione in diretta sulla Rai al Tale e quale show in cui hanno ben pensato di dipingere la faccia di una cantante bianca di nero. Per chi non lo sapesse la blackface – nata nel 19esimo secolo – consiste nel truccarsi in modo marcatamente non realistico per assumere le sembianze stilizzate e stereotipate di una persona nera, con un evidente intento denigratorio.

Se ci fosse veramente una dittatura, tutto questo sarebbe impossibile invece purtroppo ci ritroviamo ogni giorno quando va bene a denunciare pubblicità sessiste e a segnalare tweet di dubbio gusto intellettuale, quando va male a cercare di capire perché ancora nel 2020 c’è bisogno di dire che black lives matter.

Chiarito questo punto per cui no, non potete parlare di attacco feroce alla libertà d’espressione se qualcuno vi dice di non usare appellativi ingiuriosi, possiamo però cercare di capire gli aspetti più problematici e critici della discriminazione. Perché sì, è vero che spesso si accusano le persone con troppa superficialità quando è utile capire come e perché si usano certi termini e spiegare perché non si dovrebbe invece di dire che no, non si usano e basta.

Partiamo dal presupposto che l’avvento di Internet e dei social ha portato a un cambio di paradigma epocale perché ha essenzialmente dato voce a chiunque e in particolare ha facilitato l’esposizione di categorie e gruppi fino a quel momento marginalizzati o per meglio dire invisibili, non rappresentati dalla narrazione dominante. Questo ci ha giustamente esposto a sensibilità diverse e ci ha fatto ascoltare pareri che prima erano silenziati. Un importante premessa infatti è che il politicamente corretto fallisce quando vuole proteggere un gruppo di individui discriminanti, senza nemmeno chiedere un parere al gruppo in questione. Ad esempio quando si parla di disabilità, si tende ad usare l’espressione diversamente abile – come da prescrizione per il politicamente corretto – ma siamo sicuri che le persone disabili siano contente di questa definizione? Non basta che suoni bene o male o che sia un termine neutro. è decisivo imparare ad ascoltare. Ecco perché spesso ci si indigna quando si invitano solo uomini a parlare di sessismo, è recentemente successo in occasione del Premio Strega. Vedi alla voce: Valeria Parrella e Corrado Augias.

Non possiamo decidere da soli cosa è giusto e cos’è sbagliato, cosa è offensivo e cosa non lo è. Bisogna chiedere alle categorie in questione. A volte è meglio sospendere il giudizio o informarsi bene. Il dubbio quindi è certamente un buon metodo d’azione. Purtroppo assai poco diffuso, si preferisce essere subito tranchant e un po’ giustizialisti, specialmente in Rete.

E’ un po’ l’atteggiamento di condanna e indignazione della cancel culture ovvero la pratica di considerare morto o comunque di cancellare un personaggio pubblico a seguito di affermazioni controverse o dichiaratamente discriminatorie. Uno degli esempi più recenti e importanti è legato alla famosa scrittrice J.K. Rowling, autrice della saga di Harry Potter. Rowling ha infatti espresso attraverso Twitter che le donne transessuali non sono vere donne, sostenendo quindi una posizione fortemente transfobica anche grazie ad altri tweet simili. Le critiche non si sono giustamente fatte attendere e le azioni intraprese sono quelle tipiche della cancel culture, ovvero togliere qualsiasi forma di supporto alla persona in questione. Dopo le affermazioni dell’autrice è stata pubblicata una lettera, durante l’estate del 2020 appunto, in cui molte figure di spicco legate al mondo della cultura, tra cui Rowling stessa, criticavano la cancel culture come un’azione che impedisce la libera circolazione delle idee, di come possa essere praticamente accostata a idee di censura vicine alla destra di Trump che rappresenta, cito “una vera minaccia per la democrazia”. Insomma, qui mi arriva il ribaltone, il rigiramento di frittata ideologica per eccellenza. La lettera non è lunghissima, ma quello che sottolinea è che oh però insomma, se certe persone vengono boicottate o criticate per quello che hanno detto insomma, siete dei fascisti che ci tappano la bocca e noi, dall’alto della nostra posizione di favore, dovremmo pur poter dire quello che pensiamo senza conseguenze.

Certo, una mancanza di dibattito è ciò che può dividere una dittatura da una democrazia e dobbiamo imparare a esprimerci ed evolverci restando all’interno di un contesto di rispetto reciproco. Nella lettera vengono citati esempi di conseguenze reali pagati da professori, autori e critici che perdono il lavoro, non vengono più coinvolti o vedono i loro libri ritirati. Addirittura viene scritto che alcuni responsabili perdono le loro cariche lavorative per quelli che a volte sono “just clumsy mistakes”, solo goffi errori. La lettera prosegue nella più totale spocchia e nell’affermazione di un elitismo senza pari quando si sottolinea che autori, artisti e giornalisti possono perdere i propri mezzi di sostentamento se osano esprimere opinioni lontane da quelle più comuni e che a causa di governi repressivi e società intolleranti a pagarne le conseguenze saranno soggetti non in potere e la stessa possibilità generale di partecipare democraticamente. Inoltre la propria opinione controversa in realtà spesso non è altro che il riflesso di un privilegio o la difesa di una posizione di potere. Il che rende tutto ancora più paradossale, considerando che si vuole difendere la libertà di essere controcorrente quando da una posizione dominante e maggioritaria si critica una minoranza sottorappresentata, come nel caso della Rowling. Questa lagna si conclude nel peggiore dei modi affermando che, cito “in quanto autori abbiamo bisogno di spazio per poter sperimentare, prendere dei rischi, e sbagliare. Abbiamo bisogno di preservare la possibilità di un dissenso in buona fede senza catastrofiche conseguenze professionali”. Beh certo, allora io inizierò a guidare contromano in autostrada dicendo che sto sperimentando un nuovo modo di affermare la mia libertà personale e se verrò multate e arrestata sarà solo perché non capite le mie necessità. Una cosa che mi hanno insegnato alle elementari e che mi ripeto come un mantra è: “La tua libertà finisce dove inizia la libertà altrui”. No, cari miei autori, non potete pensare di essere le vittime sacrificali di una censura che vi lega le mani, non si tratta di una mancanza di dibattito, ma semplicemente della capacità di riconoscere che in alcuni casi non si tratta di un’opinione, ma di un insulto. Negare a una persona transessuale la sua identità non va bene. Escludere, imporre un pensiero, limitare l’espressione e l’affermazione altrui non sono un “clumsy mistake” e non possono astenersi da una reazione avversa. Se le idee espresse offendono qualcuno, questi sono insulti e un dibattito diventa tale quando chi ha affermato qualcosa di offensivo si mette in gioco per capire l’altro punto di vista. L’enorme problema di questa lettera sta proprio qui, affermare che si dovrebbe permettere un’espressione di idee monodirezionale, dall’autore al pubblico, che non dovrebbe prevedere alcun tipo di critica, anche quando queste idee sono errate. A furia di manipolare concetti liberali e democratici hanno distorto totalmente il significato di libertà d’espressione, diventando a loro volta coloro che non vogliono mettersi in discussione.

Rimane il fatto che nei paesi anglosassoni il concetto di politically correct è molto più sentito che in Italia ed è vero che c’è molta più pressione sulle figure di pubblico interesse a rispettare certi standard di correttezza, anche e soprattutto sul web. C’è quindi un generale senso di ipersorveglianza quando ci si espone pubblicamente? Certamente. Si nota anche una tendenza a “calling out” ovvero a smascherare certi atteggiamenti, cercando nel passato digitale di una persona espressioni problematiche e/o scivoloni che possano appunto portare a serie conseguenze pubbliche. Questa aggressività è seriamente dannosa e fa il paio con una fortissima tendenza alla radicalizzazione politica. Radicalizzazione da entrambe le parti sia da parte dei paladini del politicamente corretto sia da parte dei suoi detrattori.

Anzi, esasperazione verso il politicamente corretto e violenza verbale potrebbero essere due cose strettamente legate. Una delle frasi simbolo della scorsa campagna elettorale di Trump è stata: “Penso che il grande problema di questo Paese sia il dover essere politicamente corretti”. E non è il solo ad avere questa opinione. La stessa idea la ritroviamo nella propaganda di Johnson, Putin, Bolsonaro, Meloni e moltissimi altri…sapete cos’hanno in comune tutti questi personaggi? Hanno un linguaggio discriminatorio. Come si legge in un articolo di The Vision: l’odio per il politicamente corretto spesso si accompagna a una violenza verbale senza precedenti. Non vedere in questo una sorta di rigurgito reazionario è difficile. Citiamo dall’articolo: “Dagli attacchi alla Boldrini al Vaffaday. Questa esigenza di esprimersi senza filtri fa da contraltare, o più probabilmente nutre, la violenza sul web, sulla cui pervasività non si dovrebbero avere più dubbi e che fa sempre più spesso uso del lessico fascista. Questo ricorso solleva due riflessioni: una, sul modo in cui si comunica sulla rete e il monitoraggio che i social applicano ai contenuti, ma soprattutto un’altra, sulla sempre più sdoganata memoria positiva del fascismo, che mette in discussione la storia come finora è stata raccontata, al punto che Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, può chiedere di cancellare la festa della Liberazione, asserendo che “il 25 aprile è divisivo”, e presupporre quasi senza tema di smentita di generare un dibattito serio, se non persino una proposta da considerarsi formalmente”.

Il nocciolo della questione alla fine però rimane questo: è più importante la libertà di esprimersi nei modi e nei termini che più ci piacciono o è più importante non offendere le persone?

Lo vediamo ogni giorno, le frasi discriminatorie stanno davvero generando delle conseguenze. Battute che vent’anni fa venivano considerate normali, oggi hanno smesso di far ridere e anzi generano un’ondata di sdegno. è anche legittimo chiedersi se queste battute abbiano mai fatto ridere. Chi dovrebbe ridere? Sicuramente non le persone discriminate. La verità è che questo tipo di umorismo è sempre stato discriminatorio solo che prima c’era silenzio, oggi invece c’è la libertà di dire che no, non vanno bene.

Anche perché una scrittura veramente satirica e ironica è capace di mettere al centro delle riflessioni importanti, facendo ridere. Secondo voi è il caso di alcune battute da spogliatoio che i detrattori del politicamente corretto difendono a spada tratta? Diciamocelo chiaramente: le battute di cattivo gusto esistono e spesso esprimono solo violenza e preconcetti che vanno condannati.

Più sottile è il discorso quando si parla d’arte. Spesso si dice che il politicamente corretto decontestualizza l’arte dal periodo storico che l’ha prodotta, in particolare quando critica e mette al bando le rappresentazioni artistiche discriminatorie come è successo recentemente con il caso di Via col Vento. A ben vedere 1) nessuno ha messo al bando via col vento, è stato momentaneamente rimosso dal catalogo HBO per avere il tempo di inserire un disclaimer sull’opera, a seguito anche del momento storico che stiamo vivendo e del movimento black lives matter 2) la decontestualizzazione sta propria nell’accettazione acritica delle opere d’arte. Se si accetta il sessismo e il razzismo dei classici del passato, ritenendolo un dato neutro, è lì che avviene lo scollamento e la normalizzazione di dinamiche ingiuste.

Un po’ come è successo con la statua di Montanelli a Milano che è stata più volte oggetto di deturpamenti. Per chi non lo sapesse, Montanelli è stato un giornalista italiano che durante la guerra d’Abissinia, ha comprato per 350 lire una ragazza di circa dodici anni dal padre e l’ha forzata, come ha ammesso lui stesso, ad avere rapporti sessuali. Per questo sulla base della statua – che è stata imbrattata con vernice rosa – è stata riportata la scritta: fascista stupratore. Anche lì si è urlato al vandalismo e alla decontestualizzazione storica dicendo che erano altri tempi e bisogna comprendere. Peccato che paradossalmente è proprio l’imbrattamento dello statua che ha portato alla luce il contesto e il fatto storico. Altrimenti la statua non contestualizza proprio niente, anzi, ha un intento puramente celebrativo e cancella la storia stessa. Ed è anche il motivo per cui nei secoli, ciclicamente, i popoli abbattono e danno fuoco alle statue. Per riportare la questione al centro.

Nel panorama mediatico, sono tanti gli artisti e le figure pubbliche che commettono “infrazioni” di questo tipo. Un esempio tra tanti è il caso Apu dei Simpson, un personaggio indiano caratterizzato principalmente in base agli stereotipi di questa popolazione e doppiato, per di più, da una persona bianca. Nel 2017 uscì un documentario dal titolo “The problem with Apu”, il problema con Apu, scritto dal comico Hari Kondabolu il quale afferma anche come da bambino fosse felice di vedersi rappresentato grazie a uno degli unici personaggi indiani in televisione all’epoca, ma che in seguito iniziò a capire come problematico. A gennaio del 2020 l’attore Hank Azaria, storico doppiatore di Apu, ha dichiarato che non avrebbe più prestato la sua voce per la serie animata e che la decisione era condivisa da tutti e che sembrava la cosa più corretta da fare. Il problema qui è stato di avere una versione della blackface che è, ricordiamo, la rappresentazione di una cultura non bianca da parte di una persona bianca. Si è fatto in buona fede? Benissimo, ma riuscire a riconoscere il problema a un certo punto ci permette di evolvere il nostro pensiero, la nostra cultura e l’accettazione di una diversità. Pare che il personaggio, a detta del creatore Groening, non verrà eliminato dalla serie, ma bisognerà capire quale sarà l’evoluzione. Come abbiamo detto il contesto in cui vengono fatte certe cose non deve essere dimenticato, ma non può nemmeno essere una scusa per giustificare le azioni e le decisioni attuali o, peggio, la mancata consapevolezza che quanto fatto non fosse adeguato. Perché dubito che qualche indiano non si sia sentito offeso anche vent’anni fa, quando pensavamo tutti fosse ok raccontare delle persone in un determinato modo.

Le iniziative di censura e boicottaggio condotte nel nome della lotta a discriminazioni e ingiustizie sono ormai all’ordine del giorno, tenere il conto dei casi è praticamente impossibile, negli stati uniti queste iniziative vengono indicate con il termine deplatforming (nel contesto britannico l’espressione più diffusa è invece no-platforming). Il rischio di queste forme di attivismo è quello di abbracciare anche nei suoi aspetti più dogmatici la cancel culture, che abbiamo citato prima: un modo di agire inflessibile e categorico che mette alla pubblica gogna chiunque commetta un’infrazione. E diciamolo: quando hai criteri così rigidi e aspiri all’assoluta correttezza e alla purezza, nessuno può considerarsi degno e all’altezza di questi ideali. Il che significa che tutto potrebbe essere potenzialmente cancellato.

Separare artista e opera d’arte a volte è impossibile ma eliminare dal canone alcuni autori è una semplificazione concettuale altrettanto problematica. All’inizio di quest’anno, a febbraio, sono sorte molte critiche in seguito all’assegnazione del premio César (gli equivalenti francesi degli Oscar americani) al regista Roman Polanski, notoriamente accusato di violenze sessuali su un’aspirante attrice allora tredicenne negli anni 70. Durante l’annunciazione l’attrice Adèle Haenel ha abbandonato la sala in segno di protesta dopo che nei mesi precedenti aveva raccontato di esser stata anche lei molestata sessualmente a 12 anni da un altro regista, Christophe Ruggia. Ad abbandonare la sala è stata anche la regista Céline Sciamma. Dopo le accuse Polanski è fuggito in Francia senza possibilità di essere estradato per via della cittadinanza francese.

Voi continuereste ad andare dal vostro panettiere di fiducia sapendo che ha commesso crimini di natura sessuale su delle minorenni? Ecco, questo dovrebbe essere più o meno il ragionamento da applicare anche in casi di maggior rilievo culturale, per quanto anche il pane sia fondamentale nella nostra società. E non possiamo sempre introiettare egoisticamente un fatto spiacevole per mostrarci più sensibili, pensare sempre a “e se fosse successo a me” rischia di rendere sterile e molto egoista una sensibilità verso il prossimo che dovremmo allenarci a sviluppare a prescindere dal nostro coinvolgimento diretto.

Paolo Armelli commenta su Wired: “Se da una parte quel premio a Polanski è sacrosanto perché premia l’artista e non l’uomo, il regista e non il molestatore, per lei – e molte donne come lei – non è che la giustificazione di un sistema corrotto, di una società che troppo spesso nasconde la testa sotto la sabbia e finge di non vedere certi atteggiamenti, o che peggio li accetta, li incorpora, li dà per scontati. Il premio a Polanski da Haenel non può che essere interpretato come l’assoluzione all’abuso di potere, di uno scenario diffuso in cui un adulto e rispettato regista può disporre a piacimento della giovane attrice inesperta che pende dalle sue labbra. Sempre Haenel, nell’intervista in cui ha raccontato la sua storia ha detto: “Il mostro non esiste. È della nostra società che si sta parlando. Dei nostri padri, amici, fratelli. E finché faremo finta di non vederlo non potremo andare avanti”. E allora se il cinema nei suoi salotti finge di non vedere, usa l’arte come giustificazione, si dichiara al di sopra di certe questioni, e continua a non voler prendere alcuna posizione politica, ben vengano tutte le contestazioni”.

Vorrei concludere citando uno studio statunitense che indaga la diversità etnica e culturale degli artisti ospitati dai più importanti musei degli USA. Lo studio è stato condotto da tre esperti di matematica e statistica e tre esperti di storia dell’arte. I ricercatori hanno esaminato oltre 40.000 opere d’arte nelle collezioni di 18 musei negli Stati Uniti e hanno stimato che l’85% degli artisti rappresentati in queste collezioni sono bianchi e l’87% sono uomini.

Chiaramente molti si lamentano del fatto che per far posto a nuovi artisti in nome della diversità, potrebbero finire nel dimenticatoio altri artisti fino a quel momento esposti. è curioso che ci si rammarica sempre per quanti artisti uomini il mondo possa perdere a causa del femminismo e non a quante artiste donne abbiamo perso nel corso dei secoli a causa del patriarcato. Quanti artiste e artisti sommersi dal sessismo e dal razzismo abbiamo perduto? Questa non sembra una questione molto interessante per i difensori dello status quo.

Il problema non è che non si può più dire niente, il problema è che dovremmo imparare a far dire ad altri qualcosa, che possa esprimere il loro disagio, le loro difficoltà e le loro esigenze.

Fonti e approfondimenti

Una società civilissima e balcanizzata, Daniele Lo Vetere, Le parole e le cose http://www.leparoleelecose.it/?p=33518

La lingua imbrigliata: a margine del politicamente corretto, Massimo Arcangeli, Italianistica online http://www.italianisticaonline.it/2004/ ... rretto-01/

Come l’odio per il politicamente corretto ha sdoganato il fascismo verbale, Chiara Palumbo, The Vision https://thevision.com/attualita/fascismo-verbale/

http://acoma.it/sites/default/files/pdf ... 0def_0.pdf

https://arxiv.org/abs/1812.03899

https://harpers.org/a-letter-on-justice ... en-debate/

https://www.ilpost.it/flashes/premio-ce ... ele-haenel



Non sono daccordo con la parte che riguarda l'Islam come nazismo maomettano in quanto esso non è diverso dal nazismo hitleriano

Il vero pericolo del politicamente corretto
19 Febbraio 2018

https://www.glistatigenerali.com/costum ... -corretto/

Il dibattito sul politicamente corretto, nato negli Stati Uniti negli anni 90 e rinvigorito dall’elezione di Donald Trump, ha preso piede anche in Italia. L’espressione “politicamente corretto” indica il comportamento di chi propone un uso del linguaggio ritenuto più rispettoso e inclusivo verso le minoranze, suggerendo l’uso di “gay” al posto di “frocio”, “nero” al posto di “negro”, “non vedente” al posto di “cieco”, “diversamente abile” al posto di “handicappato” e così via. Molti accusano il politicamente corretto di essere divenuto un modo per censurare opinioni sgradite e per evitare di intervenire sulla sostanza dei problemi, limitandosi a correggerne la forma. Sebbene questo sia vero, è anche vero che la rivolta contro il politicamente corretto ha assunto gli stessi difetti. Accusare qualcuno di essere politicamente corretto è divenuto un modo per delegittimarlo, per evitare di argomentare contro le sue convinzioni e, spesso, per giustificare convinzioni e comportamenti che sono effettivamente scorretti.

Steven Pinker è Johnstone Family Professor presso il Dipartimento di psicologia della Harvard University

Ritengo quindi opportuno prendere le distanze da entrambi i fronti di questa contesa, la cui unica vittima sembra essere la possibilità di avere un dibattito pubblico aperto dove prevalga il confronto argomentativo. In questo articolo mi concentrerò su un aspetto del politicamente corretto che è stato messo bene a fuoco da Steven Pinker, linguista e psicologo cognitivo della Harvard University e redattore del New York Times. In un dibattito che si è tenuto lo scorso novembre ad Harvard, Pinker suggerisce che il politicamente corretto riguarda non solo il modo in cui parliamo, ma anche ciò di cui parliamo. Pinker sostiene infatti che il politicamente corretto impedisce la menzione di certi fatti e che, così facendo, alimenta lo stesso estremismo che vorrebbe combattere. Il motivo è che spesso chi incontra autonomamente questi fatti non solo matura un senso di sfiducia verso l’accademia e i media mainstream che di quei fatti non fanno menzione, ma trae da questi fatti conclusioni estremiste.

Pinker fa l’esempio di quattro fatti ritenuti non menzionabili: il fatto che le società capitaliste sono preferibili a quelle comuniste, il fatto che uomini e donne sono diversi nei loro interessi, nelle loro priorità, nei loro gusti e nella loro sessualità, il fatto che alcuni gruppi etnici commettono crimini violenti in percentuali maggiori rispetto ad altri gruppi e il fatto che la maggioranza degli attacchi terroristici suicidi nel mondo sono commessi da fondamentalisti islamici. Pinker afferma che chi incontra autonomamente questi fatti senza avere gli strumenti per analizzarli può trarre da essi conclusioni morali e politiche estreme: che ogni regolamentazione del mercato è negativa, che l’uomo è superiore alla donna, che gli afroamericani sono per natura violenti e che i mussulmani sono tutti attentatori. Queste conclusioni sono, oltre che riprovevoli, assolutamente ingiustificate. In altre parole, quei quattro fatti che il politicamente corretto impedisce persino di menzionare non giustificano in alcun modo l’anarcocapitalismo, il sessismo, il razzismo e l’islamofobia.

Il fatto che uomini e donne sono diversi non giustifica la tesi secondo cui gli uomini sarebbero superiori alle donne. Primo, perché per tutti i tratti riguardo ai quali uomini e donne differiscono ci sono enormi sovrapposizioni, per cui non si può trarre alcuna conclusione affidabile riguardo a un individuo dalla media del gruppo al quale appartiene. Secondo, perché il sessismo non è una tesi fattuale secondo cui uomini e donne sono diversi, ma una tesi morale e politica secondo cui le donne dovrebbero essere discriminate. Terzo, le differenze tra uomini e donne sono in parte culturalmente determinate e variano nel tempo. Questi sono i motivi per cui è possibile credere che uomini e donne siano diversi ed essere convinti femministi. Per motivi analoghi, è possibile credere che le società capitaliste siano preferibili a quelle comuniste ed essere favorevoli a una regolamentazione del mercato, o credere che alcuni gruppi etnici commettano crimini violenti in percentuali maggiori rispetto ad altri gruppi ed essere antirazzisti, o credere che la maggioranza degli attacchi terroristici suicidi nel mondo siano commessi da fondamentalisti islamici e condannare l’islamofobia.

Queste considerazioni dimostrano che il vero pericolo del politicamente corretto non è tanto il suo inibire la menzione di certe parole, quanto il suo inibire la menzione di certi fatti per timore che qualcuno possa trarne conclusioni estremiste. Così facendo, impedisce che questi fatti siano discussi in un dibattito pubblico aperto dove le conclusioni estremiste hanno più probabilità di essere esposte ad argomentazioni razionali e conseguentemente di essere escluse. Ad esempio, in virtù del politicamente corretto, l’accademia e i media mainstream considerano non menzionabile il fatto che gli afroamericani commettono più crimini dei bianchi americani. Chi viene autonomamente a conoscenza di questo fatto è molto probabile che maturi un senso di sfiducia verso l’accademia e i media mainstream e che tragga da esso conclusioni razziste non avendo l’opportunità di inquadrarlo nel giusto contesto. Il politicamente corretto, oltre a costituire una minaccia per la liberta di parola e di pensiero, favorisce quindi quella stessa deriva che vorrebbe arginare.

In un dibattito che si tenuto il 25 febbraio al World Economic Forum di Davos, Pinker ha ripreso queste considerazioni e ha posto l’accento sull’importanza della libertà di parola. “Se solo certe ipotesi possono essere discusse, non abbiamo alcuna possibilità di comprendere il mondo perché nessuno conosce la verità a priori. E’ solo mettendo le ipotesi là fuori e valutandole che possiamo sperare di accrescere la nostra conoscenza del mondo”, afferma Pinker. “La libertà di parola è altamente controintuitiva. Chiunque comprende perché debba esserci libertà di parola per se stesso. L’idea che debba esserci libertà di parola per persone con cui si è in disaccordo è la più grande conquista dell’Illuminismo e una delle cose di cui l’America dovrebbe essere orgogliosa”, prosegue Pinker. E’ questo il motivo per cui occorre difendere la libertà di parola, non stancandosi di ricordare perché essa è così importante. “Gli esseri umani sono estremamente fallibili. Molte delle cose che riteniamo giuste, si riveleranno sbagliate. Gran parte del progresso umano è stato ottenuto grazie a persone che hanno dato voce al dissenso contro l’ortodossia”.


Il pensiero politicamente corretto è uno strumento moderno per obbligare al consenso senza l'uso della forza fisica, è quello dell'epoca descritta da Nietzsche e da lui definita dell'"ultimo uomo" dove esiste un solo gregge e nessun pastore e dove chi ha un diverso sentire "va da sé al manicomio".
https://www.ibs.it/contro-politicamente ... 8898620500
Il politicamente corretto è nato proponendosi come un modo per rispettare le diversità e le sensibilità altrui ma è diventato presto un modo per imbrigliare nell'accusa di intolleranza e odio qualsiasi parere contrario a quello che i pensatori di riferimento impongono come modello culturale. Parafrasando Orwell, se nell'epoca dell'inganno dire la verità è un atto rivoluzionario, nell'epoca del politicamente corretto esprimere pensieri politicamente scorretti è il primo e più potente atto sovversivo.




Non tutti si piegano alla dittatura del politicamente corretto

Roberto Vivaldelli
9 Luglio 2020

https://it.insideover.com/politica/non- ... retto.html

Hanno sfidato il pensiero unico politicamente corretto, anche a costo di essere bersagliati dai media progressisti e radical chic. Sono gli antieroi per eccellenza, quelli che hanno detto “no” e hanno deciso di non piegarsi, o meglio di non inginocchiarsi come impone l’ipocrita rituale imposto dai liberal e dal loro antirazzismo posticcio in omaggio a Black lives matter. Il più noto forse è Charles Leclerc, pilota monegasco della Ferrari, che insieme ad altri cinque colleghi di Formala Uno – Max Verstappen, Kimi Raikkonen, Daniil Kvyat, Antonio Giovinazzi e Carlos Sainz Jr – ha deciso di non inginocchiarsi: “Quello che conta sono i fatti. Non m’inginocchierò, ma questo non significa affatto che sia meno impegnato di altri nella lotta alle discriminazioni” aveva annunciato prima del Gp d’Austria. E così ha fatto.

Molti hanno stigmatizzato il gesto di Leclerc: non abbastanza “sottomesso” secondo i codici rituali della cultura del piagnisteo che tanto va di moda ultimamente. C’è poi da fare un’altra considerazione importante. Passi per l’odio indistinto verso il solito occidente, ombelico del mondo, ma lezioni di antirazzismo dalla Formula Uno anche no. Come nota Marco Farci su Atlantico Quotidiano, infatti, mentre punta il dito contro l’America e l’Occidente, la Formula Uno ha stabilito un fondamentale accordo di sponsorizzazione con la compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita. E si fa ricoprire di soldi da Paesi non certo campioni di diritti umani come il Barhain o la Cina.


Il coraggio di Sam contro i puritani del politically correct

L’altro grande simbolo della lotta al politically correct si chiama Samantha Leshank, calciatrice statunitense di ventitré anni. Come riporta IlGiornale.it, durante l’inno nazionale prima della partita fra North Carolina Courage e Portland Thorns, Sam ha deciso di dare una grande lezione ai buonisti, non inginocchiandosi come hanno fatto tutte le altre. È rimasta in piedi, perché essere “bianchi” non è affatto una colpa. La giovane, infatti, ha indossato la maglietta dei Black Lives Matter, perché si definisce anche lei “antirazzista”, ma ha rifiutato di inginocchiarsi schierandosi contro la dittatura del politicamente corretto. Il suo gesto, come spiega IlGiornale.it, le è costato caro, dato che è stata attaccata sui social pesantemente da colleghe e dai tolleranti progressisti. Per i buonisti definirsi “antirazzista” non è sufficiente: bisogna umiliarsi, inginocchiandosi, ed espiare quel senso di colpa che attanaglia le coscienze (sporche) dei liberal americani.

Come abbiamo già spiegato su questa testata, l’odio di sé – che caratterizza questi nuovi movimenti progressisti che vogliono cancellare la storia – rappresenta un lascito del puritanesimo. Come nota Robert Huges nel suo saggio La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, i Puritani si ritenevano, a buon diritto, vittime di una persecuzione, designate a creare uno Stato teocratico le cui virtù trascendessero i mali del Vecchio Mondo e riscattassero così la caduta dell’uomo europeo. La democrazia americana, nota Hughes, “consistette nell’infrangere la condizione di vittima coloniale, creando uno Stato laico in cui diritti naturali dell’individuo si ampliassero senza sosta a vantaggio dell’eguaglianza”.


Le star nella bufera per aver espresso una semplice opinione

Altri personaggi famosi hanno invece dovuto scusarsi per aver semplicemente detto la loro opinione sulle tensioni sociali negli Usa e su Black Lives Matter. Alcune star (perlopiù cantanti, attori), infatti, avevano preso posizioni al di fuori della vulgata progressista, pagandone le conseguenze in termine di critiche sulla stampa e sui social media. Il rapper Lil Wayne, per esempio, è stato letteralmente massacrato solamente per aver messo in dubbio l’esistenza del “razzismo sistemico” e aver dichiarato, durante una diretta instagram che risale al 28 maggio scorso che occorre differenziare ed è sbagliato generalizzare, prendendosela con tutte le forze dell’ordine indistintamente o con una razza in particolare (quella “bianca”). Parole se vogliamo “banali” e di semplice buon senso, che però ai manifestanti antirazzisti non sono piaciute. Essere bianchi è una colpa, punto e stop.

Stessa sorte per Evan Peters, attore di American Horror Story, che ha dovuto scusarsi dopo che gli utenti su twitter lo hanno criticato per aver condiviso un video nel quale un ufficiale di polizia ha uno scontro fisico con un manifestante violento. Altre star hanno invece dovuto rimuovere i videoclip che ritraevano i manifestanti distruggere negozi e commettere reati durante le proteste. Questo è ciò che accade a chi sfida la nuova religione laica del politically correct: la “rivoluzione culturale” non può essere messa in discussione.



La Corte di Helsinki ha assolto Päivi Räsänen. Salva la libertà di espressione
30/03/2022

https://www.provitaefamiglia.it/blog/fl ... spressione

La Corte Distrettuale di Helsinki in Finlandia ha assolto l’ex ministra Päivi Räsänen dall’accusa di aver diffuso "discorsi d'odio" esprimendo le sue convinzioni cristiane su matrimonio, famiglia e sessualità.

In una sentenza unanime la corte ha concluso che “non spetta al tribunale distrettuale interpretare concetti biblici”. L'accusa è stata inoltre condannata a pagare più di 60.000 euro in spese legali.

L'ex ministra dell'Interno era stata accusata di "incitamento all'odio" per aver condiviso le sue opinioni cristiane sul matrimonio e sull'etica sessuale, in un tweet del 2019, un dibattito radiofonico del 2019 e un opuscolo del 2004. Il suo caso aveva attirato l'attenzione dei media di tutto il mondo, soprattutto perché si è trattato di un attacco senza precedenti alla libertà di parola e di religione.
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Il Politicamente corretto (PC): un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:37 am

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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:37 am

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Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 4:31 pm

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Il Politicamente corretto (PC): un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 4:31 pm

11)
Il PC e l'esercito, il caso USA dei democratici della banda di Biden Biden



L’esercito americano è più preoccupato dalla Wokeness che di vincere la prossima guerra?
FoxNews.com
13 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ma-guerra/

Joe Biden preferisce parlare delle tute di volo studiate per la maternità piuttosto che della minaccia cinese.

Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione del 12 marzo del 2021 di “Tucker Carlson Tonight”.

Leggi anche: “L’attacco di Biden in Siria dimostra la follia dell'”antiterrorismo” dell’establishment”

Joe Biden è stato eletto come un moderato che avrebbe mantenuto la rotta e riportato questo paese alla normalità. A quanto pare, Biden sta cambiando questo paese più velocemente di qualsiasi altro presidente. Il nostro compito è quello di prestare attenzione a come esattamente Joe Biden lo stia cambiando. Il New York Times non ve lo dirà, ma noi pensiamo che abbiate il diritto di saperlo.

Ora, non tutti i cambiamenti che Joe Biden sta facendo saranno importanti nel tempo. Nonostante tutto lo scalpore, molte delle cose che i presidenti fanno vengono rapidamente dimenticate. Alcune delle cose che promette non accadranno; altre sono solo lusinghe simboliche, studiate per placare i gruppi di interesse che lo hanno fatto eleggere. Ma alcuni dei cambiamenti di Biden sono molto reali, e contano molto. Niente è più importante di ciò che Joe Biden fa all’esercito degli Stati Uniti.

Il nostro esercito è l’ultima istituzione di grandi dimensioni ancora funzionale in questo paese. È l’ultima istituzione di cui la maggior parte della gente ancora si fida e che rispetta. È di gran lunga la più importante. Un esercito debole significa non avere più un paese. Punto.

Così lunedì, quando abbiamo visto Joe Biden impegnarsi a promuovere una “intensificazione dello scopo e della missione per cambiare davvero la cultura e le abitudini” dell’esercito americano, abbiamo prestato attenzione.

Joe Biden: “Alcuni di questi sono lavori relativamente semplici in cui stiamo facendo buoni progressi. Progettare un giubbotto antiproiettile che si adatti correttamente alle donne, adattare le uniformi da combattimento alle donne, creare delle tute di volo studiate per la maternità, aggiornare i requisiti per le loro acconciature.”

Forse le tute di volo studiate per la maternità esistono già da un po’. Nessuno ne ha mai sentito parlare. Ma qui c’è un presidente degli Stati Uniti che le promuove in una conferenza stampa. Quella frase ci è rimasta impressa non perché abbiamo qualche pregiudizio odioso contro le donne incinte che volano sui jet militari. Siamo a favore della gravidanza, come diciamo spesso. Siamo anche di mentalità aperta. Forse le donne incinte sono i piloti migliori. Il Dipartimento della Difesa valuta tutto, quindi ci deve essere un’ampia ricerca su questa questione. Se il Pentagono può dimostrare che le pilotesse incinte sono le migliori, saremo i primi a chiedere un’intera Air Force fatta da pilotesse incinte.

Il problema è che siamo abbastanza sicuri che Joe Biden non abbia chiesto di vedere questi dati. Scommetteremmo che non ha mai nemmeno pensato di chiederli.

Il resto di noi dipende dall’esercito degli Stati Uniti per proteggere le nostre famiglie e per proteggere il paese stesso. Joe Biden non la vede così. Trovare i piloti militari più bravi – o gli ufficiali di fanteria, o le squadre SEAL – non è la sua priorità. Non è nemmeno vicino alle sue priorità. La politica dell’identità di genere è la priorità di Joe Biden. È tutto ciò che conta.

Si ritrova questo atteggiamento in tutto il governo degli Stati Uniti, così come nel mondo aziendale. Posizioni chiave occupate sulla base dell’aspetto fisico, senza alcun riferimento a capacità o esperienza. Ora, si può andare avanti con queste cose solo se sei Citibank, che ora si preoccupa più di wokeness che di banking. (Potranno spiegare i risultati ai loro azionisti tra dieci anni). Ma non va bene se il tuo unico lavoro è proteggere gli Stati Uniti da persone che vogliono uccidere il resto di noialtri. Questo è il peggior tipo di inadempienza del dovere.

Eppure sta accadendo proprio ora e su scala enorme. Proprio questa settimana, l’amministrazione Biden ha annunciato che il Pentagono pagherà per la chirurgia per il cambiamento del sesso del personale in servizio attivo. In che modo i cambiamenti di sesso nell’esercito renderanno questo paese più sicuro? Questa non è una domanda trabocchetto, è un’altra raffica nella guerra culturale. È l’unica domanda che conta – letteralmente. Ma nessuno si è preoccupato di porla, probabilmente perché nessuno riesce a ricordare perché l’esercito americano esista.

Ecco un promemoria: l’esercito degli Stati Uniti esiste per combattere e vincere le guerre. Questo è il suo unico scopo. L’esercito degli Stati Uniti non è una ONG. Non è un mezzo per raggiungere l’equità. Non è un esperimento sociale. Sicuramente non è un’agenzia di collocamento; nessuno ha il diritto divino di lavorare nell’esercito. Se mai sentirete questo show piagnucolare che la Delta Force stia discriminando i conduttori di programmi televisivi paffuti e cinquantunenni, allora saprete che abbiamo perso il filo. Non si tratta di noi, ma del paese. Far sentire le persone apprezzate e incluse è una buona cosa, ma non è lo scopo dell’esercito americano. Non può essere lo scopo dell’esercito degli Stati Uniti, altrimenti siamo finiti.

Questo una volta era ovvio. L’esercito era la meritocrazia più pura che avevamo. Se avete un minuto, tornate indietro ed ascoltate alcuni dei discorsi che Colin Powell faceva sulla sua esperienza nell’esercito degli Stati Uniti. L’esercito era disposto a giudicare Powell puramente in base al suo talento, cosa che pochi avrebbero fatto a quel tempo. Powell era intelligente e capace, e per questo motivo divenne il capo del Joint Chiefs of Staff. Era giustamente orgoglioso di questo, e lo era anche il paese che serviva. La storia di Colin Powell sarebbe possibile oggi? Non credo lo sarebbe.

Joe Biden ha messo un uomo chiamato Lloyd Austin a capo del Pentagono. Biden ha strappato Austin al cinico mondo degli investitori istituzionali, ma questo non dovreste saperlo. Voi dovreste notare solo che Lloyd Austin è afroamericano. La vera notizia, tuttavia, è che Lloyd Austin è anche il secondo Segretario alla Difesa americano di fila ad essere stato sul libro paga della Raytheon, l’enorme conglomerato industriale della difesa. Se vedeste una cosa del genere in un paese dell’America latina, la chiamereste “corruzione“, e avreste ragione.

Per secoli, i nostri militari sono stati consapevolmente apartitici. In una democrazia, deve essere così. Nessun paese può sopravvivere se le sue forze armate diventano lo strumento di un determinato partito politico. Lo sappiamo perché succede di continuo, in tutto il mondo, e le conseguenze sono sempre orribili. Qui non è mai successo.

Tuttavia, Lloyd Austin è apertamente politico. Nei suoi primi giorni di lavoro, Austin ha sottoposto l’intero servizio armato a una sorta di test sulla purezza politica. Chiunque avesse opinioni che lui trovava “estreme” doveva andarsene. Il resto di noi è rimasto a guardare mentre questo accadeva, e ancora una volta, nessuno ha detto niente. La Sinistra ha approvato, la Destra si è sentita ostacolata perché sostiene le forze armate. Naturalmente, se sostieni le forze armate, dovresti probabilmente parlare quando vengono maltrattate.

Poi Austin ha iniziato ad accelerare le tendenze velenose già in corso al Pentagono, la peggiore delle quali è l’uso di criteri irrilevanti nelle assunzioni e nelle promozioni. Per soddisfare le richieste dei vari gruppi di interesse Democratici, il Pentagono ha drammaticamente abbassato gli standard di servizio. Lo negano ufficialmente, ma è vero. Chiedete a chiunque lavori lì. Se fate pressione sui portavoce, vi diranno che non è un grosso problema perché gli standard tradizionali non misuravano davvero nulla. Bene, allora perché averli? Perché avere degli standard? Non ha senso. Stanno mentendo. E mentono perché devono mentire. I politici glie lo hanno chiesto.

Ora, se osate far notare una sola di queste cose, diventano isterici perché non possono giustificare le loro stesse politiche. Quando le persone non possono difendere ciò che hanno fatto, urlano. Non possono nemmeno spiegare chiaramente quali siano queste politiche, almeno pubblicamente. E così attaccano.

Sentite politici come il senatore Tammy Duckworth, Democratico dell’Illinois, dire che non è “patriottico” mettere in discussione il Pentagono a meno che non abbiate servito voi stessi nell’esercito. Non ti sei guadagnato questo diritto. Davvero? Solo i poliziotti possono parlare della brutalità della polizia? Se non sei stato eletto, puoi criticare il Congresso? Non stanno portando un vero argomento. Stanno cercando di mettere a tacere il dissenso.

Non stiamo al gioco, mi dispiace. Ogni cittadino americano ha il diritto, forse l’obbligo, di sapere cosa fanno i militari che pagano, perché le nostre vite possono dipendere da questo.

Giovedì, il Dipartimento della Difesa ha lanciato una grande e coordinata offensiva di pubbliche relazioni contro questo spettacolo. I vertici del Pentagono hanno rilasciato dichiarazioni ostili. Persone in uniforme hanno inviato video sui social media. Il Dipartimento della Difesa ha persino emesso un comunicato stampa per attaccarci: “L’addetto stampa colpisce il presentatore di Fox News”. (Colpisce! Come se fossimo una potenza straniera ostile). Sospettiamo che questa sia una guerra che potrebbero davvero vincere. Hanno un vantaggio in termini di uomini.

Potremmo farvi ascoltare molto del nastro di oggi – ha occupato la maggior parte della giornata – e potremmo meravigliarcene. Da quando il Pentagono dichiara guerra ad un servizio giornalistico nazionale? Non ricordiamo che sia mai successo. Ma passeremo oltre, perché quanto vi diremo è più grande di una faida con qualche tirapiedi del Pentagono. Questo è veramente preoccupante.

Il Dipartimento della Difesa non è mai stato più aggressivo o apertamente politico. Attualmente ci sono 2.500 soldati americani di stanza in Afghanistan. Rimangono lì per impedire la caduta di Kabul nelle mani degli estremisti. Allo stesso tempo, ci sono 5.000 soldati nel nostro Campidoglio, però come protezione contro gli “estremisti”, cioè le persone che hanno votato per il candidato perdente nelle ultime elezioni presidenziali. A giudicare da questi numeri, il Pentagono è due volte più concentrato sul controllo dei nostri cittadini che sul controllo dei Talebani.

Nel frattempo, mentre Lloyd Austin iperventila sul “suprematismo bianco”, ci sono minacce reali là fuori, e le più grandi continuano ad essere ignorate. Queste minacce non sono in Siria o in West Virginia, e non sono l’estremismo interno, almeno non in questo momento.

La principale minaccia che affrontiamo, come chiunque sia onesto sa, è il governo della Cina. La Cina è in ascesa. La loro economia supererà presto la nostra. La Cina ora ha la più grande marina militare del pianeta. Perché ce l’hanno loro? Perché hanno sentito il bisogno di costruirsela? Questo avrà delle potenziali conseguenze per noi? Sì.

Se la Cina si muovesse contro Taiwan, come risponderemmo? Più probabilmente, se i cinesi decidessero di chiudere le rotte di navigazione internazionali, ciò paralizzerebbe la nostra economia. Se decidessero di chiuderci Internet, la nostra vita si fermerebbe. Se decidessero di occupare la Malesia, sarebbe una grave preoccupazione per il Mondo. Se una di queste cose, o altre cento che potrebbero accadere, accadesse davvero, cosa farebbe esattamente il nostro Pentagono? L’esercito degli Stati Uniti può ancora vincere una vera guerra?

Queste sono le domande che contano. Sono le uniche domande che contano, e forse è per questo che Joe Biden vuole parlare delle tute di volo studiate per la maternità.



Biden revoca il divieto di Trump: «Sì ai transgender nell'esercito, la forza dell'America sta nelle differenze»
25 gennaio 2021

https://www.ilmessaggero.it/mondo/biden ... 23987.html

Joe Biden continua a smantellare a colpi di ordini esecutivi l'eredità ideologica di Donald Trump e revoca la misura con cui l'ex presidente aveva chiuso le porte delle Forze Armate ai transgender. Nell'ordine firmato da Biden si afferma «la politica che tutti gli americani che sono qualificati per servire nelle Forze Armate degli Stati Uniti devono poter servire».

«Il presidente Biden crede che l'identità di genere non debba essere un ostacolo al servizio militare e che la forza dell'America sia nella sua differenza», rendono ancora noto dalla Casa Bianca. «Permettere a tutti gli americani qualificati di servire il proprio Paese in uniforme è una cosa migliore per i militari e per la nazione perché una Forza inclusiva è più efficace» conclude la nota. In questo modo vengono revocati gli ordini, firmati da Trump nel 2017 e nel 2018 in reazione a loro volta ad una misura con cui nel 2016 Barack Obama aveva abolito un precedente divieto, e si stabilisce che da subito «militari transgender non possano più essere congedati o allontanati a causa della loro identità sessuale».

Biden vuole indagini approfondite sul come il Pentagono ha finora gestito il crescente fenomeno delle molestie e violenze sessuali tra i militari. Ma a preoccuparlo anche un dato da brividi e che risale agli ultimissimi giorni: tra i rivoltosi arrestati per l'assalto al Congresso del 6 gennaio scorso circa uno su cinque è legato alle forze armate, e molti di loro sono in contatto con gli ambienti dell'estrema destra e del suprematismo bianco.
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Il Politicamente corretto (PC): un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 9:22 pm

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Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 9:23 pm

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Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 9:23 pm

13)
Il PC e i crimini dei neri, dei clandestini, dei migranti e degli stranieri e le calunnie contro i bianchi



Crimini e delitti dei clandestini, degli irregolari e di altri stranieri più o meno regolari o in attesa di regolarizzazione o di respingimento
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=1814

Violenza e stupri africano asiatico maomettani, aggravati dal disprezzo e dall'odio etnico ideologico politico religioso, dalla ferocia bestiale e disumana, dall'abuso dell'ospitalità e dalla clandestinità, da certa rivalsa razziale e continentale istigata da demenziali e criminali ideologie antioccidentali, antieuropee, anticristiane e antibianchi;
resa ancora più tragica dalla mancanza di adeguata tutela dei cittadini da parte dello stato italiano e degli stati europei, delle irresponsabilità dei loro governi e dei loro organi giudiziari e di polizia, nonché delle chiese cristiane, dei media e di tanti opinionisti schierati contro le vittime bianche europee e cristiane e a giustificazione, attenuazione e favore nei confronti dei carnefici asiatici, africani, islamici.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=2679
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674

Violenza e stupri africano asiatico maomettani, aggravati dal disprezzo e dall'odio etnico ideologico politico religioso, dalla ferocia bestiale e disumana, dall'abuso dell'ospitalità e dalla clandestinità, da certa rivalsa razziale e continentale istigata da demenziali e criminali ideologie antioccidentali, antieuropee, anticristiane e antibianchi;
resa ancora più tragica dalla mancanza di adeguata tutela dei cittadini da parte dello stato italiano e degli stati europei, delle irresponsabilità dei loro governi e dei loro organi giudiziari e di polizia, nonché delle chiese cristiane, dei media e di tanti opinionisti schierati contro le vittime bianche europee e cristiane e a giustificazione, attenuazione e favore nei confronti dei carnefici asiatici, africani, islamici.
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9555204147

Crimini dei nazisti maomettani marocchini e africani in Europa
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2753
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Messaggioda Berto » dom mar 28, 2021 9:24 pm

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Il Politicamente corretto (PC): un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » lun mar 29, 2021 4:27 am

13a)
Il PC e i crimini dei neri, dei clandestini, dei migranti e degli stranieri e le calunnie contro i bianchi
Il caso del nero George Floyd negli USA, fatto passare per un santo martire vittima del razzismo dei bianchi e della supremazia statale bianca, le manipolazioni, le omissioni e le falsità.



Tutto quello che i media non vi hanno detto sulla morte di George Floyd
Il processo di Derek Chauvin non è uno di quei casi in cui è già scritto come deve andare a finire.
13 marzo 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... rge-floyd/

Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione dell’11 marzo del 2021 di “Tucker Carlson Tonight”.

La selezione della giuria è iniziata nel processo per omicidio di Derek Chauvin. Chauvin è uno degli agenti accusati di aver ucciso George Floyd a Minneapolis lo scorso Memorial Day. Da un certo punto di vista, il processo è una storia di crimine locale, una delle tante che si stanno svolgendo in questo momento. Ma naturalmente, è anche di gran lunga più di questo.

La morte di George Floyd ha cambiato gli Stati Uniti, profondamente e per sempre. George Floyd, ci è stato detto, non era semplicemente un individuo. Era ogni afroamericano di questo paese. Derek Chauvin non era solo un poliziotto. Era l’incarnazione fisica delle istituzioni americane. Ci è stato detto che quando Chauvin ha ucciso George Floyd, stava facendo ad un uomo quello che il nostro paese ha fatto a tutti gli afroamericani. Molte persone ci hanno detto questo, incluso Joe Biden:

Joe Biden: “Voglio solo dire qualche parola sull’orribile uccisione di George Floyd in Minnesota… Manda un messaggio molto chiaro alla comunità nera e alle vite dei neri che sono sotto minaccia ogni singolo giorno… Parlano ad una nazione dove troppo spesso è solo il colore della tua pelle a mettere a rischio la tua vita… Le ultime parole di George Floyd erano rivolte ad una nazione dove è il colore della pelle a decidere della tua sicurezza e del tuo futuro… Sono un uomo bianco. Penso di capire. Ma non riesco ad immaginarmelo.”

George Floyd è stato ucciso perché era nero. Questo è quello che ci hanno detto. Esigevano che ci credessimo, e se ne dubitavi in qualche modo, se avevi qualche domanda sui fatti di quel caso, allora eri colpevole tanto quanto quel poliziotto razzista. Un insegnante di teologia in un liceo cattolico di Columbus, in Ohio, lo ha imparato nel modo più duro.

Durante una lezione virtuale, l’insegnante Deborah DelPrince ha fatto notare che la causa della morte di George Floyd è “contestata“. Questo è assolutamente vero. Il processo non era ancora iniziato, e una disputa è al centro di ogni processo. Ma, per il crimine di aver detto questa cosa, la Diocesi Cattolica di Columbus ha licenziato Deborah DelPrince. Secondo la Diocesi, la DelPrince aveva fatto, cito, “affermazioni e opinioni personali non supportate dai fatti” sulla morte di George Floyd.

Faremo quello che non è permesso fare nelle scuole superiori cattoliche a Columbus, o in qualsiasi altro posto in America. Valuteremo, con calma e nel modo più oggettivo possibile, ciò che è successo a George Floyd quel giorno. La morte di George Floyd è stata triste. Ogni morte è triste, come spesso diciamo. Ma la domanda è: è stato un omicidio?

Questa domanda è molto importante, perché la morte di Floyd è stata usata per rimodellare il nostro modo di vivere in questo paese. Poiché è morto, abbiamo una cosa chiamata “equità”. Con il pretesto dell’equità, i nostri leader hanno sancito il razzismo sistemico in quasi tutte le nostre istituzioni, dalle quote di assunzione delle aziende ai piani di lezione degli asili nido. Agli americani è stato detto che la morte di George Floyd è stato un omicidio razzista, e che loro ne sono responsabili.

Sulla CNN, Don Lemon ha chiesto a Chris Cuomo: “Non spetta ai neri fermare il razzismo. Per fermarlo, spetta alle persone che detengono il potere in questa società contribuire a farlo, a fare il lavoro sporco. E indovinate chi sono? Chi sono, Chris?”

Cuomo ha risposto: “I bianchi”.

“I bianchi” sono responsabili. La CNN lo ha detto ad alta voce, ma molti altri si sono uniti a loro. Quell’affermazione ha portato a disordini che hanno ucciso almeno 19 persone e potrebbero continuare ad ucciderne altre. Ha distrutto centinaia di imprese. Minneapolis, dove tutto è cominciato, potrebbe non tornare mai alla normalità.

Ci sono stati disordini la scorsa estate, prima che il consiglio comunale di Minneapolis tagliasse i fondi alla polizia, e la città non è diventata più sicura da allora. Nelle prime settimane di gennaio, Minneapolis ha visto un aumento del 250% di vittime da arma da fuoco rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il quartiere dove è morto George Floyd è ora più pericoloso che mai. I negozi sono sbarrati. I residenti lo chiamano “George Floyd Square”. Ho visitato quel quartiere qualche settimana fa, e ci ho fatto un giro, solo per vedere com’era. Ho pranzato al minimarket dove George Floyd ha usato la sua finta banconota da 20 dollari.

Era orribile. Non era migliorato, era molto peggio. Niente di quello che BLM ha fatto a Minneapolis ha migliorato la vita delle persone che ci vivono. Sabato notte, un uomo è stato colpito a morte nel quartiere. Un reporter del Washington Examiner, Joe Simonson, ha cercato di raggiungere George Floyd Square per scoprire cosa fosse successo. Ma non ha potuto. Fu informato che nessun bianco era autorizzato ad entrare. Questa è un’istantanea dell’equità che la morte di George Floyd è riuscita a giustificare.

La seconda ragione per cui valuteremo ciò che è successo a George Floyd è che è probabile che Derek Chauvin non riceva un giusto processo. Potrebbe non importarvi, ma dovrebbe. Dovrebbe importarvi, indipendentemente da chi avete votato. Ogni americano merita un processo equo, punto. Questo è il fulcro di questo paese. L’equa giustizia secondo la legge. Non c’è altro punto.

Ma come farà Chauvin ad averne uno? Centinaia di attivisti – alcuni vestiti completamente di nero – hanno guardato a vista i soldati della Guardia Nazionale fuori dal tribunale di Minneapolis per tutta la settimana. Lunedì hanno chiuso le strade fuori dal tribunale. “Abbiamo bisogno di giustizia, gente”, ha gridato uno. “Giustizia con ogni mezzo necessario”.

In altre parole, se si votasse per assolvere Derek Chauvin, la folla di manifestanti ci sta dicendo, la comunità distruggere e brucerà tutto, perché deve farlo. Sembra qualcosa di già visto nel Mississippi degli anni ’20. Ma dov’è il Dipartimento di Giustizia? Dov’è la cosiddetta Divisione dei Diritti Civili per proteggere i diritti civili di Derek Chauvin? Sì, anche i poliziotti accusati hanno diritto a un equo processo. I tuoi diritti civili non vengono sospesi quando sei accusato. Questa è l’America.

Ma naturalmente, la Divisione dei Diritti Civili non la si trova da nessuna parte. Non stanno facendo nulla. Così non sorprende che, durante la selezione della giuria, diversi aspiranti giurati abbiano espresso una certa riluttanza ad avere a che fare con il caso. Vorrebbe essere un giurato in questo processo? Non credo. Un aspirante giurato ha spiegato le minacce che avrebbe dovuto affrontare:

“È più dal punto di vista della sicurezza. Per quanto mi riguarda mi sento a mio agio e al sicuro. Ma non vorrei che qualche problema o danno arrivasse a mia moglie o alla mia famiglia… Se quegli individui che stanno la fuori per intimidire o causare danni, se sapessero dove vivo io, c’è il potenziale [che] potrebbero danneggiare la casa o imbrattare con lo spray la casa o la porta del garage. O rompere una finestra”.

Quindi i giurati sono intimiditi. Questo è il fine della giustizia oclocratica. Era lo scopo della giustizia oclocratica di 100 anni fa nel profondo Sud americano, è lo scopo della giustizia oclocratica a Minneapolis oggi. I teppisti fuori dal tribunale non vogliono che i giurati si concentrino sulle prove. Sanno che quelle prove potrebbero non favorire il loro caso. La maggior parte di quelle prove non è stata vista dalla maggior parte della popolazione americana. Lo sforzo per nascondere quelle prove è iniziato subito dopo la morte di George Floyd. Tutti hanno visto il filmato di Derek Chauvin con il ginocchio sul collo di George Floyd. È stato orribile. È anche sconcertante. Quando lo si guarda, ci si chiede “Perché un agente di polizia dovrebbe agire così? Certo, deve essere illegale“.

Nessuno nei media ha pensato di dirci che, in effetti, usare un ginocchio per trattenere un sospetto non cooperativo è la politica ufficiale del Dipartimento di Polizia di Minneapolis. Infatti, è insegnato nella loro accademia (vedi foto qui sotto).

Ma non lo sapevate la scorsa estate, perché i nostri media erano occupati a montare un caso di omicidio contro Derek Chauvin e ad usarlo per trasformare il paese, cosa che hanno fatto con successo.

Né nessuno della stampa ha pensato di riferire cosa è successo prima che Derek Chauvin mettesse il suo ginocchio sul collo di George Floyd. Le autorità del Minnesota hanno fatto in modo che nessuno vedesse il filmato della body camera che lo mostrava. Le body camera esistono in modo che possiamo sapere cosa è successo, ma hanno nascosto questo filmato. L’abbiamo visto solo perché il Daily Mail, che ha sede in Gran Bretagna e quindi leggermente meno terrorizzato e disonesto dei nostri media, ne ha avuto una copia.

Il video mostrava gli agenti che lo trattenevano per circa 20 minuti cercando di fermare un uomo che credevano avesse appena commesso il crimine di pagare con una banconota falsa da 20 dollari, un uomo che chiaramente aveva perso ogni senso della realtà. Il filmato mostrava George Floyd che implorava gli agenti di restare con lui. Stava chiaramente soffrendo. Il nastro è straziante, davvero. Alla fine, sei pieno di compassione per George Floyd. Ma non è l’immagine di un omicidio.

L’incidente è iniziato intorno alle 8 di sera del 24 maggio, quando un commesso di un negozio di alimentari ha chiamato la polizia per segnalare che George Floyd aveva cercato di fare un acquisto usando una banconota falsa. Gli agenti trovarono George Floyd in un’auto nelle vicinanze. Immediatamente, fu molto ovvio che c’era qualcosa di molto strano in lui.

George Floyd era emotivamente fuori controllo, ed è per questo che si compatisce così profondamente per lui mentre si guarda quel video. È nel panico, è terrorizzato, è isterico. La domanda è: perché? Il Dipartimento di Polizia di Minneapolis non ha una comprovata reputazione di brutalità, e questo certamente non era il primo incontro di George Floyd con le forze dell’ordine.

Tra il 1997 e il 2007, la polizia del Texas ha arrestato Floyd per un totale di nove volte, con accuse che vanno dal possesso di droga al furto. Poi, il 9 agosto 2007, George Floyd fece irruzione nella casa di una donna e le puntò una pistola all’addome davanti al suo bambino. Era una violazione di domicilio, e George Floyd ha avuto cinque anni di prigione.

Se era già stato in prigione, perché George Floyd era sull’orlo dell’isteria? Gli agenti di polizia si chiesero la stessa cosa. “Hai la schiuma intorno alla bocca”, dice uno. Un passante dice a Floyd: “Morirai di infarto“.

“Sei sotto l’effetto di qualcosa in questo momento?”, chiede un poliziotto.

“No“, dice George Floyd.

Ma questo non era affatto vero. Secondo l’ufficio del medico legale della contea di Hennepin, George Floyd non era solo “fatto”. Aveva una dose letale di fentanyl nel suo corpo, oltre alla metanfetamina. Il rapporto dell’autopsia ha mostrato che Floyd aveva 11 nanogrammi di fentanyl per millilitro di sangue nel suo corpo quando è stato analizzato in ospedale. Questo è più di tre volte la quantità di fentanyl che può uccidere una persona sana.

Di nuovo, questo non è un nostro giudizio. Questo ci arriva direttamente dal rapporto dell’autopsia, quello che la gente non ha visto fino a dopo le rivolte.

Si legge: “I segni associati alla tossicità del fentanyl includono grave depressione respiratoria, convulsioni, ipotensione, coma e morte. Negli incidenti mortali da fentanyl, le concentrazioni nel sangue sono variabili e sono state riportate fino a 3 nanogrammi di fentanyl per millilitro di sangue”.

Nessuno lo nega. Lo stesso avvocato della famiglia Floyd ammette che è vero. È “vero che l’autopsia dell’ufficio del medico legale della contea di Hennepin ha mostrato che Floyd aveva del fentanyl nel suo sistema circolatorio”, ha ammesso, ma poi ha insistito sul fatto che George Floyd sia stato effettivamente ucciso dal razzismo.

Ma stando ai fatti, il medico legale ha trovato che il cuore di George Floyd era malato, e nel Memorial Day ha definitivamente ceduto. Secondo un comunicato stampa dell’ufficio del medico legale, la causa della morte di Floyd è stata: “Arresto cardiopolmonare complicato da sottomissione, costrizione e compressione del collo da parte delle forze dell’ordine”. I fattori contribuenti includevano, cito, “malattia cardiaca arteriosclerotica e ipertensiva; intossicazione da fentanyl; uso recente di metanfetamina”. Secondo il rapporto, George Floyd era anche infetto da COVID. Questo è tanto.

In agosto, dopo mesi di rivolte, documenti relativi all’autopsia furono rilasciati in tribunale. Uno era un promemoria che dettagliava una conversazione dell’ufficio del procuratore con Andrew Baker, il medico legale capo della contea di Hennepin. Andrew Baker disse ai procuratori che, “se il signor Floyd fosse stato trovato morto nella sua casa (o in qualsiasi altro posto) e non ci fossero stati altri fattori contribuenti, avrebbe concluso che fosse una morte da overdose“. Il memo ha notato che Baker ha detto che i livelli di fentanyl di Floyd erano “piuttosto alti” ‘e che fosse un “livello fatale di fentanyl già in circostanze normali.”

In un memorandum separato, Baker ha dichiarato che “l’autopsia non ha rivelato nessuna prova fisica che suggerisca che il signor Floyd sia morto per asfissia“.

Beh, Floyd aveva problemi di respirazione. Questa è la parte più evidente nei video. Cosa spiega questo? Perché George Floyd stava dicendo agli agenti “Non riesco a respirare“?

Ecco una possibile spiegazione: Uno dei sintomi principali dell’overdose di fentanyl è la “respirazione rallentata o interrotta”, che porta all'”incoscienza” e alla morte. Questo potrebbe anche spiegare perché George Floyd stesse dicendo “non riesco a respirare” ancora molto prima che il ginocchio di qualsiasi poliziotto fosse sopra di lui. Infatti, George Floyd si lamentava di non riuscire a respirare mentre i poliziotti cercavano di metterlo in una macchina della polizia, mentre lui resisteva.

Nessuno può guardare il filmato senza provare empatia per George Floyd. È terrorizzato. Ma si tratta di omicidio? No, non lo è. Chiaramente non lo è.

Il problema è che nessuno ha visto quel filmato durante le rivolte della scorsa estate. Non gli è stato permesso. Questo potrebbe essere il motivo per cui, lo scorso giugno, il 60% degli intervistati in un sondaggio USA TODAY/Ipsos ha ritenuto che la morte di George Floyd fosse un “omicidio“. Questo era allora. Altri fatti sono emersi dietro al blackout dei media, e quella percezione di conseguenza è notevolmente cambiata.

La percentuale di persone che pensano che George Floyd sia stato assassinato è oggi scesa al 36%. In altre parole, la questione se George Floyd sia stato assassinato è, di fatto, “contestata” dalla maggioranza degli americani. La cattiva notizia è che non vi è ancora permesso di dirlo ad alta voce.



Prima del processo e della sentenza di condanna del poliziotto?

Floyd, Minneapolis risarcirà con 27 milioni di dollari la famiglia
L'afroamericano morto durante l'intervento e l'operazione di arresto della polizia il 25 maggio 2020
12 mar. 2021

https://www.adnkronos.com/floyd-minneap ... vzDfzwBebr

Il Comune di Minneapolis indennizzerà con 27 milioni di dollari la famiglia di George Floyd, l'afroamericano morto durante l'intervento e l'operazione di arresto della polizia il 25 maggio 2020, schiacciato a terra dall'agente che lo teneva immobilizzato. In un comunicato, il Comune ha indicato che l'accordo raggiunto con la famiglia è stato approvato all'unanimità. La decisione verrà ratificata nelle prossime ore dal sindaco democratico di Minneapolis, Jacob Frey. Le immagini dell'arresto e della morte di Floyd divennero rapidamente virali in rete e scatenarono una vastissima ondata di indignazione e di proteste.

Alberto Pento
Se li prendessero è più che probabile che li dovranno restituire.



Siano garantiti il diritto alla difesa e un giusto processo al poliziotto bianco Derek Chauvin accusato ingiustamente e per razzismo antibianco di aver ucciso per eccesso di violenza e noncuranza razzista, il nero delinquente abituale e violento George Floyd durante il suo arresto.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts/865087044068067
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts/852595391983899



La condanna di Derek Chauvin è una sentenza criminale e razzista
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2951
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 3230758840




Dopo la pioggia di critiche e proteste, la casa editrice del saggio sul femminismo trap ha deciso di ritirare il titolo del mercato. Motivo? Era scritto da una docente bianca

L'ultima follia del politically correct: ritirato il libro sulle femministe nere scritto da un'autrice bianca
Roberto Vivaldelli
24 Aprile 2022

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/us ... 1650780729

Una donna bianca può scrivere un libro che parla delle donne nere? Non negli Stati Uniti della cultura woke imperante e della politica dell'identità. Sta facendo discutere la vicenda relativa a Bad and Boujee: Toward a Trap Femminist Theology, libro pubblicato dalla casa editrice Wipf and Stock Publishers e scritto dalla docente di teologia, Jennifer M. Buck. Il libro racconta "la sovrapposizione tra l’esperienza dei neri, la musica hip-hop, l’etica e il femminismo per concentrarsi su un aspetto di quest’ultimo conosciuto come femminismo trap" ma come accennato poc'anzi, c'è un problema di fondo: Jennifer M. Buck è una donna bianca, docente di un'università cristiana. E questo aspetto ha aperto un acceso dibattito negli Usa e addirittura polemiche sulla copertina del libro - che ritrae una donna afroamericana - definita "razzista" e fuorviante secondo i critici. E c'è chi parla di "colonizzazione" e di appropriazione culturale.

Una donna bianca può parlare delle donne nere? Non negli Usa

"Perché parla per voce delle donne nere? Chi le ha dato l'ok per fare questo? Non ha mai vissuto le nostre vite!" si legge in una delle tante recensioni del libro apparse su internet, scritte perlopiù da persone e utenti che il libro non lo hanno nemmeno letto o sfogliato. "Non avrebbe dovuto scrivere questo libro" osserva un altro utente. "Non sono sicuro di come una donna bianca possa scrivere un libro sulle esperienze delle minoranze e tanto meno capire le esperienze che non avrà mai". Come riporta il New York Times, a seguito delle tante critiche ricevute, l'editore del libro, Wipf e Stock Publishers, ha deciso di ritirare il titolo dalla circolazione. In una dichiarazione hanno affermato che i detrattori del saggio avevano espresso obiezioni "serie e valide". "Riconosciamo umilmente di aver deluso in particolare le donne nere e ci assumiamo la piena responsabilità", hanno affermato Wipf e Stock. "I nostri critici hanno ragione". È davvero così oppure la piccola casa editrice dell'Oregon temeva possibili ripercussioni ben più gravi come campagne social e boicottaggi?

L'utima follia woke: il femminismo "trap"

Fra i detrattori del libro c'è l'autrice Sesali Bowen, che anni fa ha coniato il concetto di "femminismo trap". Trap, ricorda il Los Angeles Times, è uno slang che indica una casa dove si vende droga e la musica fa riferimento alla vita di strada, alla violenza, alla povertà e a molte delle esperienze che gli afroamericani affrontano nel sud degli Stati Uniti. Un genere molto in voga fra i più giovani che esalta droga, violenza, e soldi facili, e mette la musica decisamente in secondo piano. Chissà come convinve il "femminismo" con tutto questo e con un machismo che trasuda in ogni videoclip "trap". Bowen è autrice di Bad Fat Black Girl: Notes From a Trap Feminist, saggio in cui l'autrice riflette su sessismo, "fatphobia" - paura dei grassi - e "capitalismo" nel contesto dell'hip-pop. Uno dei mille rivoli della cultura woke americana che riflette l'ossessione per le minoranze di una società sempre più atomizzata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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