Questo articolo, sulla morte dell'etiope Agitu Ideo Gudeta è l'esempio più condensato e significativo della manipolazione e delle menzogne propalate sul caso.Perché anche definire Agitu Gudeta “simbolo di integrazione” è razzismoAnnalisa Girardi
31 dicembre 2020
https://www.fanpage.it/politica/perche- ... -razzismo/Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa due giorni fa. È stata trovata morta nella sua casa a Frassilongo, in provincia di Trento, dove si era trasferita dall'Etiopia. Nelle ultime 48 ore i media hanno dedicato moltissima attenzione all'omicidio e una parola ricorrente che è stata usata, che però non si capisce bene cosa c'entri con la violenza che ha messo fine alla vita di Agitu Ideo Gudeta, è stata "integrazione". Ma perché? Se la sua storia fosse stata diversa, la sua vita avrebbe forse avuto meno valore? I lettori avrebbero forse dovuto dispiacersi meno per la sua morte?
Il racconto della morte di Agitu Ideo Gudeta trasuda razzismo
Le parole usate per raccontare l'omicidio di Agitu Ideo Gudeta trasudano razzismo. E ci mostrano come i media italiani siano lo specchio di una cultura intrinsecamente xenofoba, incapace di raccontare storie come quella di Agitu Ideo Gudeta, della sua vita tanto quanto della sua morte, se non in maniera fuorviante. Sottolineando che in Italia una donna come lei sarà sempre etichettata come una migrante. Perché in fondo, definirla un "modello di integrazione", è solo un altro modo per ricordare che lei non fosse italiana. Ma che, nonostante questo, potesse essere un esempio. I giornali, in queste ore, hanno semplicemente alimentato la retorica del "deserving migrant", evidenziando come siamo ancora anni luce dall'essere veramente un Paese accogliente, solidale e libero dal razzismo.
La sua non è solo una storia di migrazione
Agitu Ideo Gudeta era già stata in Italia prima di stabilirsi a Frassilongo e fondare la sua attività. Aveva infatti studiato alla facoltà di Sociologia a Trento, per poi decidere di tornare nella sua città natale, Addis Abeba, dove aveva denunciato le politiche di land grabbing, cioè l'appropriazione di terre da parte di multinazionali o governi stranieri senza il consenso delle comunità che le abitano. Nel suo Paese aveva ricevuto minacce ed era stata costretta a fuggire. Era quindi tornata in Italia, in Trentino, dove aveva iniziato la sua attività come allevatrice di capre di razza mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, recuperando allo stesso tempo terreni abbandonati. Aveva anche aperto una bottega nel centro di Trento, la Capra Felice. Anche qui, tuttavia, aveva ricevuto minacce per il colore della sua pelle. Che però non sono state riconosciute come tali, perché in Italia è ancora facile fare finta che il razzismo non esista. Due anni fa, infatti, un vicino di casa è stato condannato a 9 mesi per lesioni dopo averla aggredita, ma sono cadute le accuse per stalking e l'aggravante dell'odio razziale, avanzate dal pm.
Basta con la retorica del deserving migrant
Oggi però non sentiamo parlare di Agitu Ideo Gudeta come imprenditrice, come simbolo di emancipazione per le donne, come allevatrice ambientalista. Tutto viene in secondo piano rispetto al suo essere un'immigrata. Raccontare la sua vita sotto la definizione di "esempio di integrazione" è l'ennesima affermazione del razzismo in questo Paese. Se fosse stata "solamente" una donna arrivata dall'Africa, magari su un barcone, in fuga da violenza e discriminazione, la sua morte sarebbe stata meno grave? Perché è questo che suggerisce una retorica che ancora una volta separa tra i migranti buoni, ben integrati e protagonisti di storie eroiche, e quelli cattivi. Quelli che uccidono e stuprano, proprio come il suo presunto assassino.
Parlare di Agitu Ideo Gudeta come dell'eccezione alla regola non le fa onore. Svilisce anzi la sua memoria. Perché il fatto che fosse "perfettamente integrata" non c'entra nulla con il suo valore. Che è dato da ben altro, come ci racconta la sua storia. Ma una persona come Agitu Ideo Gudeta in Italia resterà sempre una migrante. Certo, ben integrata, ma una migrante.
Gino Quarelo1)
Intanto non è proprio del tutto vero che questa donna sia stato un buon esempio di integrazione, al contrario del caso di Toni Iwobi questi ottimo esempio.
All'anagrafe Tony Chike Iwobi (Gusau, 26 aprile 1955), è un politico nigeriano naturalizzato italiano, primo eletto di origine africana al Senato della Repubblica nel partrito della Lega.
https://it.wikipedia.org/wiki/Toni_Iwobi Agitu Ideo Gudeta come molti migranti/rifugianti/asilanti clandestini o regolari, manipolati dai demo sinistri, non aveva un grande rispetto per i cittadini italiani, in fatti non riconosceva loro il diritto/dovere umano, civile e politico di contrastare l'invasione criminale.
Lei, ospite nella terra altrui si permetteva la demenzialità di dare del razzista agli italiani che difendono il loro paese e che si oppongono ad una scriteriata, indiscriminata e demenziale invasione.
2)
La violenza criminale e disumana che ha posto fine alla sua vita non è una violenza comune magari semplicemente e genericamente maschile, essa è arrivata da un'altro africano anch'esso migrante, forse giunto clandestino in Italia e che lei si era portato irresponsabilmente in casa.
Sperimentando sulla sua pelle la demenzialità di questa accoglienza scriteriata e indiscriminata.
Che lei e tutti quelli come lei vorrebbe farci subire, imporci anche con la forza e la violenza.
3)
Non vi è nulla di razzista nel chiamarla migrante o straniera come anche per il suo assassino, perché
questa donna era di fatto una straniera, una migrante che mi pare ancora non avesse la cittadinanza italiana come lo era il suo assassino; e non vi è nulla di disumano e di irrispettabile nell'essere un migrante regolare e rispettoso ma vi è altresì tutto di irrispettabile nell'essere un criminale clandestino che viola la sovranità degli altri paesi, che entra di frodo, che sfrutta ignobilmente le leggi sul soccorso in mare e sull'asilo politico e umanitario.
Non vi è alcuna civiltà nell'accogliere irresponsabilmente e demenzialmente, indiscriminatamente e scriteriatamente chichessia a prescindere dalla sua certicazione di buona umanità, dalla sua compatibilità cuturale, dalle dalle ragioni della migrazione, dalle sue possibilità economiche e di quelle di chi dovrebbe accogliere e ospitare. Non esiste il diritto umano a violare la casa e i paesi altrui.
4)
Non è vero che questa straniera insediatasi in valle dei Mocheni fosse stata oggetto di aggressioni razziste da parte di un residente trentino e mocheno suo vicino di casa, infatti nel dibattimento di I grado il giudice ha emesso una sentenza di condanna per sole lesioni lievi e non per stalking con l’aggravante dell’odio razziale.
Il processo probabilmente è ancora in corso con la fase di appello.
Il vicino di casa, condannato nella sentenza di primo grado, pare si lamentasse perché le capre della donna danneggiavano la sua proprietà, sarebbe interessante approfondire la questione per verificare la cosa.
In Etiopia la pastora si lamentava che non venivano rispettate le terre a pascolo dei pastori locali, vediamo se anche lei faceva altrettanto con le proprietà degli italiani trentini dove aveva trovato ospitalità, sarebbe veramente il colmo.
Minacce e lesioni alla pastora Condannato a 9 mesi27 gennaio 2020
https://www.ladige.it/news/cronaca/2020 ... ato-9-mesi Nove mesi di reclusione per il reato di lesioni, 50 euro di multa e un risarcimento danni di 2.000 euro, più 3.500 euro di spese legali, con eventuale sospensione condizionale della pena legata alla rifusione effettiva del danno. Questa la sentenza pronunciata dal giudice Elena Farhat nei confronti di un 54enne residente a Frassilongo, finito a processo a Trento con l’accusa di aver aggredito e compiuto atti persecutori, con l’aggravante dell’odio razziale, nei confronti di Agitu Ideo Gudeta, allevatrice etiope che proprio in val dei Mocheni, nella proprietà vicina a quella dell’imputato, porta avanti la sua azienda agricola «La capra felice».
La giudice ha dunque riconosciuto il reato di lesioni per un episodio, documentato da un referto, mentre è caduta l’accusa di stalking e l’aggravante dell’odio razziale. Al termine della requisitoria, stamane, il pubblico ministero Maria Colpani aveva chiesto una condanna a un anno di reclusione, con il riconoscimento dell’aggravante, mentre la parte civile - rappresentata dall’avvocatessa Elena Biaggioni - aveva chiesto una provvisionale da 15.000 euro e un risarcimento di 50.000 euro da liquidare all’allevatrice.
L’uomo era accusato di aver preso di mira la donna con un’escalation di insulti, frasi razziste e minacce contro di lei e contro i suoi animali, culminati in un’aggressione fisica documentata con lo smartphone, che l’allevatrice denunciò nell’estate del 2018 ai carabinieri e a seguito della quale scattò la misura degli arresti domiciliari, commutati dopo 7 mesi in un divieto di avvicinamento. Fatti e parole che l’uomo - difeso dall’avvocato Claudio Tasin - ha sempre negato, pur ammettendo che ci fossero stati dei diverbi legati, in particolare, ad alcuni danni arrecati dal gregge di capre nella sua proprietà.
Litigi per i pascoli e tra confinanti, il razzismo non c'entra nulla o meglio è possibile che se vi è stato del razzismo sia stata più lei ad avere comportamenti discriminatori, aprofittando della benevolenza e della troppa tolleranza riservata agli stranieri a discapito dei diritti degli indigeni locali:
Finisce a roncolate una lite per il pascolo
https://www.lanuovasardegna.it/nuoro/cr ... 1.17329558 Art. 86.
Esercizio e limitazione del pascolo
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/r ... Articolo=1 1. Il pascolo nei boschi e negli altri terreni sottoposti a
vincolo idrogeologico e' liberamente esercitabile, ad eccezione dei
casi di cui al comma 2, purche' effettuato nel rispetto dei divieti e
delle disposizioni tecniche del presente articolo.
2. Sono soggetti a dichiarazione:
a) il pascolo delle capre in bosco;
b) l'allevamento di selvaggina ungulata o di suini nei boschi
recintati.
3. Nella dichiarazione di cui al comma 2, da presentare alla
comunita' montana nei territori di propria competenza e alla
provincia nei restanti territori, devono essere indicate le aree di
pascolo, il numero dei capi allevati, le caratteristiche del
soprassuolo e le modalita' di esercizio del pascolo.
4. Le specie ed il numero di animali da immettere al pascolo e le
modalita' dello stesso devono essere commisurati alla effettiva
possibilita' di pascolo ed in modo da evitare danni ai boschi, ai
pascoli ed ai suoli.
5. Nei boschi cedui dopo il taglio di ceduazione e' vietato il
pascolo degli animali ovini e suini prima che i polloni abbiano
raggiunto l'altezza media di 2 metri e quello degli altri animali
prima che gli stessi polloni abbiano raggiunto l'altezza media di 4
metri.
6. Nelle fustaie coetanee e' vietato il pascolo dall'anno in cui
ha inizio il periodo di rinnovazione naturale od artificiale fino a
quando la rinnovazione stessa non abbia raggiunto l'altezza media di
2 metri per il pascolo di ovini o di suini e di 4 metri per il
pascolo di altri animali.
7. Nelle fustaie disetanee il pascolo e' vietato.
...
Nell'agosto del 2018 la donna aveva ricevuto minacce ed aggressioni a sfondo razziale.
Il 27 gennaio scorso l'uomo che si era reso colpevole degli atti persecutori e lesioni - C. C., 54 anni residente a Frassilongo nella proprietà accanto a quella di Agitu - era stato condannato dal Tribunale di Trento a nove mesi di reclusione per il reato di lesioni.
La giudice Elena Farhat aveva condannato l'uomo per il reato di lesioni a seguito di un fatto documentato con referto derubricando l'accusa di stalking e soprattutto l'aggravante dell'odio razziale.
Nel giugno scorso in piena crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, Agitu Ideo Gudeta aveva aperto in piazza Venezia a Trento la prima 'Bottega della Capra Felice'.
In quell'occasione la pastora disse, "non dobbiamo fermarci, con i sogni costruiamo il nostro futuro". All'interno del negozio oltre a trovare ortaggi, formaggi, uova e anche prodotti di cosmesi, i clienti possono godere anche di un angolo lettura e del caffè etiope.
I giornali locali del Trentino hanno fatto notare che in passato Gudeta era stata perseguitata da uno dei suoi vicini, che nel gennaio del 2020 è stato condannato a nove mesi di carcere per lesioni a causa di un’aggressione – preceduta da diversi altri episodi sgradevoli – avvenuta nel 2018. L’avvocato di Gudeta aveva chiesto di includere nella condanna anche i reati di stalking e di considerare l’aggravante razziale, ma il giudice respinse la richiesta. Al momento comunque non c’è alcun elemento che collega l’uomo alla morte di Gudeta, e fonti investigative hanno detto al Dolomiti che «tendono ad escludere» un suo coinvolgimento.
Il capodanno dei radical chic: così s'inventano omicidi razzistiGiuseppe De Lorenzo
1 gennaio 2020
https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 13548.htmlIl caso di Agitu Ideo Gudeta, rifugiata uccisa a martellate in Trentino, rivela il tic di cercare sempre la pista razzista
Avevo pensato di dedicare il primo appuntamento del 2021 di questa rubrica ad una classifica dei peggiori esempi di chiccismo dell’ultimo anno.
Poi è successa quell’immane tragedia di Frassilongo dove è stata uccisa una signora etiope, simbolo di accoglienza e integrazione. Agitu Ideo Gudeta aveva creato un allevamento, vendeva formaggio di capra, aiutava i migranti. Aveva pure subito minacce razziste. Il suo decesso è un orrore, come tutti i delitti. Ma la reazione alla notizia della sua morte riassume non pochi tic radical chic che vale la pena raccontare.
Non appena si scopre che il corpo di Gudeta è stato ritrovato esanime nella sua casa in Trentino il pensiero, e il racconto senza conferme, si concentra sulle “minacce razziste” denunciate dalla 43enne etiope in passato. L’occasione è ghiotta: muore una donna, rifugiata, imprenditrice vittima di attacchi xenofobi e pure “pastora” (con la “a” finale di ordinanza radical). Gli ingredienti ci sono tutti per cavalcare la vicenda politicamente. Torniamo all’articolo pubblicato mercoledì da Repubblica, oracolo dei radical chic. Il problema della donna, racconta il quotidiano, negli ultimi due anni erano diventati i vicini: “Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto”, aveva denunciato ai carabinieri. Il tribunale si era espresso e aveva condannato un uomo del posto a 9 mesi per lesioni. Il signore in questione, che ha sempre negato pregiudizi razzisti, subito dopo l’omicidio ha pensato giustamente di schivare eventuali accuse: con la sua morte non c’entro nulla, “nonostante la mia personale esperienza”. I carabinieri in effetti di certezze sulla matrice dell’assassinio non ne hanno. Ma Repubblica titola: “Uccisa la rifugiata icona d’integrazione: aveva denunciato le minacce razziste”. Come a dire: sento puzza di crimine xenofobo.
Anche Mimma Dardano, capogruppo della lista Nardella al Comune di Firenze, interpreta a suo modo i contorni della vicenda. E su Facebook si lascia andare ad un lungo sfogo: “Gesti ignobili si consumano nel nostro paese ‘libero’ e ‘democratico’, dove l’inclusione e il colore della pelle fanno ancora paura - scrive - Agitu era una imprenditrice di successo ma era nera e questo in una delle tante regioni italiane dove, grazie ad una politica di intolleranza delle destre e della Lega, per qualcuno non era ammissibile”. Il messaggio è chiaro: colpa del (presunto) razzismo destroide. E invece?
E invece l’assassino reo confesso della proprietaria de “La capra felice” è un ghanese. Sbarcato in Italia nel 2015, Adams Suleimani, 32 anni, era stato assunto da Gudeta come pastore. Un lavoro, un alloggio dove vivere, uno stipendio. Mica male. Per colpa di una mensilità pagata in ritardo, però, l’immigrato l’ha colpita a martellate e poi ha abusato di lei mentre agonizzava a terra. In meno di 24 ore crolla così la pista xenofoba. Repubblica lo deve ammettere, quasi dispiaciuta per l’epilogo di quella che “poteva sembrare una storia di razzismo” ed è “in realtà un femminicidio”. Capito? Pure la Dardano, alla fine, si è dovuta scusare usando la classica formula del sono stata “evidentemente fraintesa”. Ma tant’è: storia già vista.
Il tic radical chic di cercare sempre il movente xenofobo, infatti, non nasce con l’orribile morte di Gudeta. Ricordate le uova lanciate addosso all’atleta italiana di colore? Si parlò per giorni di un Paese incattivito e prossimo alle leggi fascistissime (al Viminale c’era Salvini), accecato dall’odio e dal razzismo di stampo leghista, e invece a prendere di mira la giovane Daisy Osakue erano stati tre scemotti capitanati dal figlio di un esponente Pd. Niente uova razziste allora così come non c’è alcun assassino xenofobo oggi. I radical chic se ne dovranno fare una ragione. E magari aspettare un po’ prima di puntare il ditino. Intanto auguriamo buon anno pure a loro.
5)
Non è vero, come falsamente scrive l'articolo che le multinazinali e i governi stranieri si approppriavano delle terre locali delle comunità etiopi, ecco cosa scrive il demenziale articolo:
"Agitu Ideo Gudeta era già stata in Italia prima di stabilirsi a Frassilongo e fondare la sua attività. Aveva infatti studiato alla facoltà di Sociologia a Trento, per poi decidere di tornare nella sua città natale, Addis Abeba, dove aveva denunciato le politiche di land grabbing, cioè l'appropriazione di terre da parte di multinazionali o governi stranieri senza il consenso delle comunità che le abitano. Nel suo Paese aveva ricevuto minacce ed era stata costretta a fuggire. Era quindi tornata in Italia, in Trentino, dove aveva iniziato la sua attività come allevatrice di capre di razza mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, recuperando allo stesso tempo terreni abbandonati."
Gino Quarelo
L'Etiopia è un paese a regime sinistro, una dittatura oligarchica social comunista e non è certo in mano alle cattive multinazionali che rubano la terra ai poveri e buoni africani.
La terra etiope è espropriata dai social comunisti etiopi, dal loro regime che per farla fruttare meglio la danno in concessione o l'affittano a buon prezzo a multinazionali di tutto il mondo specialmente cinesi e indiane che la sfruttano per produrre cibo principalmente per le loro enormi popolazioni; e queste attività economiche danno lavoro anche agli etiopi, certamente i piccoli proprietari etiopi come i kulaki ucraini non amano l'esproprio collettivista e la sua pianificazione economica e nemmeno i pastori di vacche e di capre i cui pascoli sono espropriati dallo stato etiope e non dalle multinazionali che sono di tutto il mondo anche cinesi e indiane.
Land grabbinghttps://it.wikipedia.org/wiki/Land_grabbing Il land grabbing, in italiano accaparramento di terra, è un discusso fenomeno economico e geopolitico di acquisizione di terreni agricoli su scala globale, venuto alla ribalta nel primo decennio del XXI secolo.
La questione che tale fenomeno solleva riguarda gli effetti di tali pratiche di acquisizione su larga scala nei paesi in via di sviluppo, che si realizzano mediante affitto, o acquisto, di grandi estensioni agrarie da parte di imprese transnazionali, governi stranieri, o singoli soggetti privati. Sebbene il ricorso a simili pratiche sia stato assai diffuso nel corso della storia umana, il fenomeno ha assunto una particolare rilevanza e connotazione a partire dagli anni 2007-2008, quando l'acquisizione di terre è stata stimolata e guidata dagli effetti della crisi dei prezzi agricoli registratasi in quegli anni e dalla conseguente volontà, da parte di alcuni paesi, di assicurarsi la disponibilità di approvvigionamenti e di proprie riserve alimentari al fine di tutelare interessi nazionali alla sovranità e alla sicurezza nel campo dell'approvvigionamento alimentare.
Il fenomeno del land grabbing non è negativo in sé, dal momento che può essere portatore tanto di buone opportunità per i paesi destinatari del fenomeno quanto di rischi: da un lato, le acquisizioni possono garantire un'iniezione di preziose risorse per investimenti, in realtà economiche in cui queste ultime sono necessarie ma scarseggiano; d'altro canto, esiste il rischio concreto che le popolazioni locali possano perdere potere di controllo e di accesso sulle terre cedute e sulle risorse naturali collegate alla terra e ai suoli, come, ad esempio, l'acqua[1]. Risulta cruciale, pertanto, assicurare che le acquisizioni siano realizzate in modo da minimizzare i rischi e massimizzare le opportunità di crescita e sviluppo economico. Una delle condizioni sfavorevoli da rimuovere è stata individuata, da ricercatori della Banca Mondiale, nella detenzione privata di terre, da parte di comunità locali, sulla base di titoli di proprietà informali e non certi, una condizione giuridica precaria che incide in modo negativo sulla valutazione degli appezzamenti come capitale produttivo.
L'attenzione mediatica sul fenomeno insiste spesso sul ruolo della Cina quale principale motore del fenomeno economico: tuttavia, i dati disponibili negli anni 2010 indicano gli Stati Uniti d'America e il Regno Unito come i protagonisti di maggior rilievo nella campagna di acquisizioni transnazionali di fondi agricoli.
La crisi dei prezzi agricoli verificatasi negli anni dal 2007 in poi ha posto l'accento sul problema della sicurezza alimentare nei paesi sviluppati e, al contempo, ha messo in evidenza nuove opportunità economiche per investitori e speculatori nel campo agricolo, determinando un picco notevole negli investimenti agricoli su larga scala nel Sud del mondo, soprattutto stranieri, allo scopo di produrre cibo e biocarburanti.
All'inizio, gli investitori e alcuni paesi sviluppati salutarono il fenomeno come una nuova opportunità per lo sviluppo agricolo, ma, in seguito, l'acquisizione massiccia ha raccolto una serie di critiche da parte di vari soggetti della società civile, da governi, e da soggetti multinazionali, organizzazioni non governative, per il fardello di impatti negativi che, a loro dire, peserebbero sulle comunità locali.