Il senso di colpa

Re: Il senso di colpa

Messaggioda Berto » mer set 22, 2021 8:04 pm

Silvana De Mari - I musulmani hanno massacrato pagani, ebrei, cristiani, buddisti e induisti. Ma noi li giustifichiamo sostenendo che abbiamo commesso delle atrocità con le crociate.
Magdi Cristiano Allam
27 gennaio 2015

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 46/?type=1

Dopo ogni bomba, dopo ogni massacro, mentre ancora i cadaveri sono caldi e le rovine fumano, qualcuno ricorda le crociate. L’idea sarebbe che i musulmani hanno ancora il diritto di essere furiosi per i torti subiti durante le crociate. Questa vulgata è ripetuta da molti perché è stata ossessivamente imparata sui libri di scuola.
Il mio amico Giancarlo Matta sottolinea giustamente i danni tragici del marxismo. La storiografia marxista ha da circa 60 anni il monopolio culturale dell’Europa. Ha creato una storiografia fantastica tesa a istillare nell’Occidente un tale odio di sé da spingerlo all’indispensabile suicidio. Le civiltà non muoiono per assassinio, muoiono per suicidio.
Tutti i demeriti dell'Occidente sono ingigantiti, i torti e le violenze che ha subito scompaiono dalla storia, tutti i meriti della civiltà occidentale sono negati. Un vero e proprio etnocidio. I pigolanti adolescenti (qualcuno ottantenne ma è un irrilevante incidente anagrafico), che mi spiegano che siccome siamo stati dei bricconi secoli fa è giusto che ora moriamo, commettono tre errori che più che errori sono crimini, negazione dell’etica.
L’idea sarebbe che i musulmani hanno ancora il diritto di essere furiosi per i torti subiti durante le crociate. Questa vulgata è ripetuta da molti perché è stata ossessivamente imparata sui libri di scuola.
Il suicidio dell'Occidente è l’affermazione che “la violenza islamica attuale è la conseguenza dei torti subiti”.
L’idea che i torti subiti mezzo millennio fa giustifichino la violenza attuale, contiene 3 aberrazioni:
1) L’idea che l’islam avesse il diritto di invadere e sottomettere col ferro e col fuoco e che chi osasse contrastarlo commettesse una colpa. Le crociate sono state guerre di difesa senza le quai non esisteremmo. Conquistata Gerusalemme, mai nominata nel Corano e dove Maometto non è mai stato in vita sua, per la bizzarra quanto universale teoria che sia una città santa dell’islam, il Santo Sepolcro è stato distrutto e i pellegrini cristiani crocifissi. Le crociate sono state fatte da uomini del Medioevo per motivi religiosi, non per motivi economici, come dimostrano i tre studiosi Lewis, Spencer e Stark.
2) Che la colpa si erediti per via genetica, cioè l’idea di responsabilità personale cristiana ed europea è sostituita dal concetto di responsabilità tribale di tipo islamico. I nostri antenati sono stati cattivi cattivi, anzi Kattivi, con la K, perché così era scritto sui nostri libri di storia, che sono gli stessi libri che sostenevano che Lenin era sano di mente e un grand'uomo, e quindi i nostri figli è giusto che siano schiavi. I crociati mezzo millennio fa hanno fatto la bua all'islam e quindi la libanizzazione dell'Europa e la schiavizzazione dei nostri nipoti sono fenomeni corretti. Ho già accennato che l'economista Cipolla ha scritto leggi statistiche sull'imbecillità universale basate su ricerche statistiche che affermano che il calcolo della stupidità è sempre approssimato per difetto?
3) La terza idea delirante è che l’islam che è stato osteggiato nel suo atroce asservimento col fuoco e col ferro avesse il diritto di farlo. Istanbul si chiamava Costantinopoli: sono molto irritata che la Terza città santa della cristianità sia islamica e che i cristiani li abbiano ammazzati tutti, con l’ultima esplosione pirotecnica che è stato lo sterminio degli armeni.
Quindi che faccio? Vado a far saltare un bus scolastico in Turchia? Gli ebrei non sarebbe giusto che facessero saltare le metropolitane di Berlino? A Efeso, città santa della cristianità, dove è morta la Madonna, dove San Giovani ha scritto ai cristiani ci sono rimasti solo i turisti. La Siria era cristiana, il Nord Africa era cristiano e la civiltà cristiana è stata annientata. Pakistan e Afghanistan erano culle del buddismo, il Bangladesh era una culla dell’induismo. L’Indonesia era una culla dell’induismo. Il cristianesimo, annientato ovunque, ha resistito in Europa, perché noi siamo brutti, sporchi e cattivi, eredi di romani e barbari, abbiamo fatto le crociate.
Per la cronaca: non solo noi. C’erano anche gli armeni e i copti sudanesi dei regni di Dongola e Axum, e c’erano per salvare il sepolcro di Cristo, ma anche per salvare il ventre delle loro donne e la testa dei loro figli. Le crociate sono state guerre di difesa. Durante le crociate sono stati uccisi innocenti e in particolare ebrei innocenti e questo è uno dei numerosi motivi della mia fedeltà assoluta allo Stato di Israele, le crociate sono state fatte da uomini del Medioevo, con la violenza del loro tempo, ma sono state guerre di difesa.
La teoria che le crociate sono state una violenza terrificante ai mussulmani e che ne sono ancora sconvolti è una roba che poteva venire in mente solo agli storiografi marxisti, che erano dementi per definizione e che poi l'hanno venduta loro agli islamici, negli anni 60, in quel gioiello di posto che è stata l'Università di Mosca.
I mussulmani poveri pulcini sono innocenti e irascibili, e si sono irritati così tanto che per l’irritazione hanno sterminato anche uno strepitoso numero di buddisti e induisti, perché se è vero che la violenza musulmana è stata causata dalle crociate, anche gli apocalittici stermini di buddisti e induisti saranno stati una conseguenza? Se è vero che avere subito violenze nei secoli giustifica la violenza, non dovrebbe essere il popolo di Israele quello più irritato? L’islam ha picchiato molto di più di quante non le abbia prese. Io mi chiamo De Mari. La mia antenata Barbara De Mari nell’ XI secolo a Macinaggio in Corsica combatteva contro i saraceni con l’ascia perché lei era femmina e la spada non le toccava e combattendo riuscì a evitare che lei e i contadini del suo feudo facessero parte di quei milioni di schiavi che nessuno ricorda e che non hanno lasciato traccia perché nell'’islam gli schiavi non si possono riprodurre.
L’islam è stato nei secoli tanto buono e tollerante? Queste idiozie per favore fatele dire a Ridley Scott che è mantenuto a petrodollari, oppure raccontatele alle vostre sorelline minori se ce le avete. Non venitele a raccontare a me, perché appartengo a una famiglia che ha combattuto per secoli i saraceni. Li ha combattuti per mare e per terra. C’era anche uno di noi a crepare come un cane quel maledetto 29 maggio1453 a Costantinopoli, quando la città è caduta. Era un martedì. La Turchia, il posto che noi chiamiamo Turchia era l’Impero romano d’Oriente, la capitale, quella che adesso di chiama Istanbul, era Costantinopoli, la terza città santa della cristianità. Ora di Cristiani in Turchia non ce ne sono più perché li hanno sterminati. Nella città chiamata Efeso dove è stata scritta l’Apocalisse di San Giovanni di cristiani non ce ne è nemmeno uno.
E dopo un bel po’ di secoli gli islamici sono ancora irritati per essere stati intralciati dai crociati nella loro conquista del mondo sacrosanta e benedetta da Maometto.
Questo ci spinge a due considerazioni:
Primo: forse il momento è venuto di leggersela l’Apocalisse di San Giovanni.
Secondo: forse il momento è venuto di piantarla di dire idiozie.
La moderna antropologia è stata fondata da Claude Levi Strauss. Riporto alcune sue considerazioni su islam e crociate, ambedue prese da Tristi Tropici. Sono considerazioni fatte da un ebreo libero pensatore, non da un abate.
"L’evoluzione razionale è inversa a quella della storia. L’Islam ha tagliato in due un mondo più civile. Che l’occidente risalga alle fonti del suo laceramento: interponendosi fra il Buddismo e il Cristianesimo, l’islam ci ha islamizzati;
La cristianità ha avuto due strade: restare etica ed essere spazzata via, o imbarbarirsi, islamizzarsi e resistere.
Abbiamo resistito. Abbiamo ritardato l'attacco. Quando sono arrivati a Vienna, li abbiamo fermati.
La battaglia è cominciata l'11 settembre1683, ed è stata vinta. Senza quella vittoria noi non esisteremmo.
Quindi onore agli uomini che hanno protetto la civiltà dove viviamo, che è la civiltà che in assoluto ha avuto il più alto livello di scienza, di arte e di diritti degli uomini.
Noi siamo noi, noi siamo la nostra storia, noi siamo la nostra violenza noi siamo la nostra ferocia, noi siamo la nostra compassione. Il mondo non conosce più il vaiolo perché noi lo abbiamo abbattuto.
Quindi ricuperiamo l’orgoglio per la nostra storia. E per la nostra civiltà. E facciamo dono di questa civiltà come è nostro dovere. Se non lo faremo, moriremo e sarà giusto.
Se siamo credenti, non pensiamo che Dio è morto in croce solo per noi. È un’idea piuttosto idiota. È morto anche per i musulmani, e il nostro dovere è dirlo. La violenza non è convertire, ma non convertire, lasciare l’altro nell’errore, perché “è la sua civiltà”. Quindi usciamo dalla violenza, e passiamo il testimone. Passiamo il messaggio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il senso di colpa

Messaggioda Berto » mer set 22, 2021 8:04 pm

"La cultura occidentale è vittima di un sacramento perverso della penitenza. Ma senza il perdono"
Pubblico un estratto dell’intervento che il celebre filosofo e medievalista della Sorbona, Rémi Brague, ha tenuto ieri al Teatro Rosetum di Milano. Il suo libro più importante tradotto in italiano è “Il futuro dell’Occidente”.
Giulio Meotti
22 settembre 2021


https://meotti.substack.com/p/la-cultur ... -e-vittima

Stiamo assistendo da alcuni mesi all’aumento di un fenomeno che pervade tutti i Paesi occidentali. Sono state abbattute statue, strade o edifici perdono il loro vecchio nome e ne ricevono uno nuovo. Questo movimento mirava innanzitutto a cancellare la memoria di persone la cui immagine era positiva nei loro Paesi, ma che si sono rivelate aver avuto un ruolo negativo. Ciò che si chiama, o viene chiamato dai suoi oppositori ‘cancel culture’ può essere considerato a prima vista come un fenomeno contemporaneo, quindi appartenente al giornalismo piuttosto che alla filosofia. C’è molto di vero in questa osservazione. Tuttavia, uno sguardo più attento ci permette di vedere in essa l’ultima (per il momento) tappa di un lungo processo, iniziato proprio alla vigilia dei tempi moderni.

Nel XVIII secolo, per i sostenitori dell’Illuminismo radicale, il termine ‘pregiudizi’ diventò lo slogan per tutto ciò che era tradizionale e doveva essere superato, specialmente la religione, e più precisamente il cristianesimo. Una versione politica di questo sforzo fu lanciata dalla Rivoluzione francese. Furono create nuove istituzioni che avrebbero sostituito e seppellito ciò che era stato ereditato dal passato. Il territorio della Francia fu tagliato secondo un nuovo schema, destinato a cancellare i confini tra le vecchie province. Il simbolo era un nuovo calendario, con nuove divisioni del tempo: la settimana, che culminava con il suo inizio la domenica, fu sostituita dal decennio. Anche se questo sistema fallì, insieme al tentativo di creare nuove religioni dal nulla molte cose importanti e indubbiamente buone sono rimaste, ad esempio nuovi principi di diritto come il Codice civile francese, o il sistema metrico decimale, in cui l’unità non è presa in prestito dal corpo umano, ma dalla Terra.

In generale, è sempre più facile distruggere che costruire di sana pianta. Abbiamo bisogno di nove mesi per generare un essere umano, e ancora più tempo per dotarlo, prima di ciò che gli permetterà una vita indipendente, poi degli strumenti intellettuali che lo renderanno adatto a una carriera e capace di contribuire al benessere del Paese. D’altra parte, ciò che è stato così lentamente e accuratamente creato e conservato può essere distrutto in poco tempo.

Alcuni speravano di fare tabula rasa affinché il nuovo potesse sorgere più liberamente. Ciò che esiste è stato concepito come un ostacolo all’emergere del nuovo con la sua stessa esistenza. L’esperienza fu tentata dalla rivoluzione bolscevica del 1917. Lenin pensava che un nuovo ordine sarebbe sorto spontaneamente dalle ceneri del vecchio. Ora, questo non si è verificato. Al contrario, tutto si sgretolò. La fame si diffuse e uccise milioni di persone. Certo, ci sono stati dei tentativi di ricostruire una vita vivibile dopo gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale, le rivoluzioni di febbraio e ottobre e la guerra civile. I sindacati, così come le società caritatevoli o filantropiche straniere, erano all’opera. Ma questo non corrispondeva a ciò che insegnava la versione di Lenin del marxismo. Dato che l’ideologia non può sbagliare, Lenin diede la colpa a ciò che restava dell’ordine precedente e volle eliminare quei resti anacronistici. Così riuscì a distruggere il tessuto della società russa. Distrusse concretamente anche molte vite. Ma dov’è il socialismo? Doveva essere costruito. Eppure, dopo 70 anni di socialismo reale, risulta che non è mai esistito.

L’islam ha portato una nuova lingua, l’arabo, insieme a una nuova dominazione e in parte a un nuovo sistema giuridico. Altrove, potrei mostrare perché la cultura islamica ha trascurato di conservare le tracce dei beni culturali a cui ha attinto. I manoscritti greci venivano tradotti, ma non conservati una volta che il loro contenuto era stato versato in un nuovo contenitore linguistico. Questo nuovo contenitore, l’arabo, era la lingua in cui Dio stesso aveva trasmesso la sua rivelazione a Maometto, sigillo dei profeti. Quindi, l’arabo godeva di una dignità che andava ben oltre qualsiasi lingua. Essere espresso in questa lingua nobilitava ogni contenuto. Inoltre, c’è una grande differenza. Nel primo caso, il nuovo ha schiacciato il vecchio. Per essere sicuri, possiamo dare un giudizio positivo o negativo su ciò che il nuovo ha portato. Questo è un giudizio di valore, e alla fine forse è solo una questione di gusto. Tuttavia, esiste indubbiamente qualcosa di nuovo. Nel secondo caso, il vecchio viene schiacciato senza che ci sia alcun principio nuovo. Il nuovo deve ancora venire, e nessuno sa se verrà in primo luogo. Quindi, ciò che mette in moto quei movimenti è il risentimento, e persino l’odio. L’incitamento all’odio non si trova solo dove lo si cerca di solito.

Ciò che è in gioco qui non è solo il problema particolare della cultura occidentale. Più in generale, si tratta del nostro rapporto con il passato. Che tipo di atteggiamento dobbiamo avere nei confronti di ciò che ci ha prodotto: i nostri genitori, per cominciare, il nostro Paese, la nostra lingua, ecc. e all’indietro il ‘piccolo stagno caldo’ da cui Darwin immaginava che la vita avesse avuto origine, e ancora prima il Big bang? La scelta è tra condonare e condannare. Condannare è una posizione satanica. Il satanismo può essere relativamente morbido, e tanto più efficace. Secondo Satana, ‘tutto ciò che è degno di morire’. Queste sono le parole che Goethe mette in bocca al suo Mefistofele nel Faust.

Perdonare non è facile. Come possiamo approvare ciò che è venuto prima di noi? Il passato è pieno di buone azioni, ma è macchiato da molte cose orribili che si ricordano più facilmente. I traumi rimangono nella memoria, mentre noi diamo troppo facilmente per scontato ciò che è piacevole, come se non fosse un dono, ma qualcosa che ci meritiamo. In ogni caso, la nostra cultura attuale è intrappolata in una specie di sacramento perverso della penitenza: di confessioni ne abbiamo in abbondanza, e vogliamo che gli altri si confessino e si pentano. Ma non c’è assoluzione, non c’è perdono, quindi né speranza di una vita nuova né volontà di condurla. Che possiamo recuperare la nostra capacità di perdonare.
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Re: Il senso di colpa

Messaggioda Berto » mar gen 25, 2022 8:54 am

Basta con i sensi di colpa: il colonialismo occidentale non è stato l’unico, né il peggiore
Michele Marsonet
25 Gen 2022

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... -peggiore/

Tra le varie sottosezioni che compongono la pseudocultura woke, occupa un posto di rilievo anche il cosiddetto “pensiero decoloniale”. Quale il significato di questa espressione che sta diventando sempre più importante nel mondo accademico anglo-americano, e che ora penetra anche da noi?

Comincio chiarendo che sono perfettamente cosciente dei molti significati negativi che al termine “colonialismo” sono giustamente associati. Vorrei però subito chiarire che quello europeo non è affatto l’unico manifestatosi nella storia.

Quando una certa civiltà attraversa una fase espansiva, è in pratica inevitabile che cerchi di conquistare militarmente, commercialmente o in entrambi i modi aree geografiche percepite come più deboli. Gli esempi sono tantissimi. Il colonialismo europeo in Africa è stato preceduto da quello arabo, vero iniziatore del fenomeno dello schiavismo. In Asia la Cina ha praticato politiche coloniali in molte fasi del suo sviluppo millenario, riducendo al rango di vassalli gli Stati più piccoli e più deboli che con essa confinavano.

Ultimo caso asiatico è quello giapponese. L’impero nipponico, basandosi sul progetto denominato “Sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale”, si lanciò in un’opera di conquista che allargò a dismisura la sua influenza nel Pacifico, e che fallì soltanto quando gli Stati Uniti riuscirono a prevalere grazie alla schiacciante superiorità del loro apparato industriale e militare.

Insomma, bisogna stare attenti quando si parla di questo argomento. Europei ed americani, che la suddetta pseudocultura woke vuole convincere a stracciarsi le vesti un giorno sì e l’altro pure per aver inventato il colonialismo, non hanno invece inventato un bel nulla. Ci sono stati, nel corso della storia umana, colonialismi ben peggiori di quello occidentale, e in quei casi nessuno – ma proprio nessuno – si straccia le vesti.

Sarebbe utile, allora, rammentare che le politiche coloniali dell’Occidente non hanno avuto soltanto effetti negativi. Hanno consentito, per esempio, di costruire infrastrutture fondamentali in aree del mondo che ne erano del tutto sprovviste. E hanno inoltre permesso di migliorare le condizioni sanitarie di molte popolazioni.

Ci hanno abituato a pensare che l’arretratezza in cui tuttora si trova il continente africano sia una colpa imputabile soltanto al colonialismo, ma è falso. Non è colpa dei precedenti colonizzatori se tutti o quasi i nuovi Stati africani, dopo essere diventati indipendenti, hanno esibito tassi di corruzione inimmaginabili e sono diventati preda di dittatori locali assai più violenti dei colonialisti.

Questa è la narrazione che vogliono imporci l’Onu e altre organizzazioni internazionali, spesso animate da uno spirito anti-occidentale preconcetto. In realtà la suddetta arretratezza si deve all’incapacità di quei popoli di dotarsi di istituzioni politiche ed economiche efficienti. Una parziale eccezione è costituita dal Sudafrica, proprio perché in quel caso le strutture coloniali non sono state totalmente smantellate.

C’è tuttavia anche un aspetto più prettamente culturale di cui tenere conto. Il suddetto “pensiero decoloniale” vorrebbe infatti convincerci che anche la scienza – per fare un solo esempio – va “decolonizzata”. La medicina dell’Occidente ha i suoi limiti, come abbiamo constatato in occasione della pandemia dovuta al Covid-19. Tuttavia affermare che sciamanesimo e riti magici sono ad essa equivalenti è imperdonabile.

Iniziò a sostenere tesi simili il filosofo della scienza Paul Feyerabend alla metà del secolo scorso, e un notevole contributo in tale direzione lo fornirono i teorici francesi della “decostruzione” e della “post-modernità” come Derrida, Lyotard e altri.

Tutto, per costoro, era relativo. I terrapiattisti non si possono attaccare troppo duramente perché esprimono il loro “punto di vista”. Né è possibile sostenere che un medico occidentale fornisce cure migliori di quelle di uno sciamano. Quest’ultimo, infatti, cura l’anima più che il corpo, ottenendo alla fine risultati più apprezzabili. Persino la fisica di Newton, secondo questo trend, non va presa troppo sul serio giacché è, anch’essa, un tipico prodotto coloniale.

Che dire? Sarebbe il caso, forse, di recuperare un po’ di orgoglio per i risultati raggiunti dalla civiltà occidentale non solo nella scienza, ma in ogni ambito dell’agire e del sapere umano. E varrebbe pure la pena di ammettere che il colonialismo occidentale (che non è l’unico nella storia, come prima accennavo) ha prodotto danni ma anche vantaggi. Checché ne dicano l’Onu e altre organizzazioni internazionali, la nostra cultura costituisce tuttora un paradigma di riferimento.



Colonialismo legato all'imperialismo e non:

Imperi mesopotamici (sumero, assiro babilonese, persiano, ...) e asiatici (cinese, mongoli, indiani, giapponese, tibetano, fenicio, arabi maomettani, ...), imperi africani (egiziano, nigeriano bantù, arabo berbero,...), imperi amerindi (azteco in Messico, Maia nello Yucatan e Incas dall’Ecuador al Cile), imperi europei (anatolico, greco, romano, germanico, russo, ottomano, inglese, spagnolo, portoghese, francese, olandese, belga, tedesco, italiano, ...), imperialismo americano (USA).

Imperialismo
https://it.wikipedia.org/wiki/Imperialismo
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Re: Il senso di colpa

Messaggioda Berto » sab gen 21, 2023 9:32 am

Politicamente Corretto? No grazie!
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8160620371
Capitolo 28)
La demenzialità politicamente corretta della disciminazione positiva dell'Occidente, concepita dal sinistrismo razzista che odia l'Occidente


LA FOLLIA DELLA "DISCRIMINAZIONE POSITIVA"
lunedì 9 gennaio 2023

https://giovanniciri.blogspot.com/2023/ ... l?spref=fb

È una delle tante follie dell’occidente in crisi, e di certo non la meno grave.
Si chiama “azione positiva” e si presenta come tentativo di “riparare” le ingiustizie di cui l’occidente si è reso responsabile nel corso della sua storia. I gruppi etnici, razziali, sessuali o di altro tipo che in passato hanno dovuto subire o ancora subiscono ingiustizie e discriminazioni andrebbero compensati con discriminazioni positive a loro favore. Un certo numero di posti nelle università, nelle istituzioni, nelle assunzioni andrebbe riservato ai membri di tali gruppi, indipendentemente da ogni valutazione su professionalità e merito. In questo modo non solo si consentirebbe di rimediare, in ritardo, a vecchie ingiustizie, ma si ristabilirebbe, oggi, una certa uguaglianza fra i membri della società.
Ma la filosofia dei teorici dell’azione, meglio, della discriminazione positiva va oltre. Alle richieste di “azioni positive” si affiancano richieste di risarcimenti che andrebbero riconosciuti ai lontani discendenti di chi decenni o secoli fa ha dovuto subire ingiuste discriminazioni. Si assiste oggi alla continua richiesta di “scuse” avanzate da rappresentanti di popoli e gruppi etnici che in passato hanno dovuto subire l’egemonia occidentale. E, va da se, l’occidente in crisi risponde spesso in maniera affermativa a tali richieste, Per farla breve: scuse, risarcimenti e, soprattutto, discriminazioni positive messe in atto oggi dovrebbero compensare discriminazioni ingiuste di decenni o secoli fa. Solo così l’equilibrio potrebbe essere ricostituito. Ha un senso, un senso positivo, una simile politica? La risposta è NO.
Dovrebbe essere intuitivo, addirittura scontato, che, se ci sono state, o, peggio, ci sono ingiuste discriminazioni ai danni di singoli e gruppi la via maestra per uscirne è una sola: cercare di costruire società il più giuste ed il meno discriminatorie possibile. Non si tratta di punire i lontani discendenti dei mercanti di schiavi, ma di porre a base della società il rispetto per la dignità che spetta incondizionatamente ad ogni essere umano. Un simile approccio al problema appare però troppo “semplice” ai sostenitori della “discriminazione positiva”. Val la pena quindi di sottoporre a critica il più possibile esaustiva la loro dottrina.

Anche limitando l’analisi al solo loro aspetto utilitaristico le varie teorie della “discriminazione positiva” appaiono insostenibili. È intuitivo che simili teorie sono quanto di più lontano si possa immaginare dal concetto di merito. I posti di responsabilità andrebbero assegnati non in base alle competenze che i singoli dimostrano di avere, ma al loro sesso, al colore della loro pelle o ad altre loro caratteristiche accidentali. Se devo farmi operare al cuore in base a quale criterio scelgo il chirurgo? Mi interessa la sua professionalità o il suo sesso, o il colore della sua pelle? Mi sento sicuro se volo su un aereo il cui pilota è stato scelto non perché ha superato brillantemente difficili esami ma perché ha determinati gusti sessuali? Basta fare queste domande per avere la risposta. Anche prescindendo da ogni considerazione sulla palese ingiustizia che deve subire chi in un pubblico concorso si vede superato da persone che hanno meno metriti di lui ma che appartengono a categorie protette, anche prescindendo da questo e limitando l’analisi a puri concetti utilitaristici, appare del tutto evidente che se applicate con un minimo di coerenza ed ampiezza le teorie della discriminazione positiva contribuiscono a creare qualcosa di inaccettabile: società in cui il merito è negletto, con conseguente abbassamento del tenore di vita e della sicurezza di tutti, indipendentemente da sesso, colore della pelle o credo religioso.

Quello utilitaristico è però solo uno degli aspetti negativi della “discriminazione positiva”.
Questa teoria si caratterizza per la costante ricerca di “risarcimenti” che spetterebbero ai membri di determinasti gruppi per le discriminazioni ed ingiustizie, spesso assai lontane nel tempo, che questi hanno dovuto subire. Però anche ad un esame superficiale emerge chiaramente una cosa: coloro che dovrebbero risarcire appartengono tutti ad una determinata civiltà o sesso, o credo religioso, i risarciti invece appartengono ad altre civiltà, sesso, credo religiosi. Chi deve risarcire è di norma maschio, bianco, occidentale, eterosessuale, cristiano. I risarciti sono non occidentali, non bianchi, non cristiani, femmine od omosessuali. Ma, ha un minimo di senso una simile ripartizione? I colonialisti occidentali hanno ridotto a protettorati molti stati islamici, è vero, ma in precedenza l’Islam aveva conquistato mezza Europa. Se l’occidente deve “risarcire” l’Islam questo deve a sua volta “risarcire” l’occidente. E che dire delle donne o degli omosessuali che di certo non se la passano troppo bene in paesi come l’Iran? Sono alleati di chi impone loro il velo, li tortura o li impicca contro il maschio bianco occidentale ed eterosessuale?
La logica “risarcitoria”, se non vuole essere una mera forma di odio dell’occidente nei confronti di se stesso, dovrebbe riguardare tutti: gli imperialisti occidentali come quelli orientali o medio orientali, i maschi come le femmine, gli omo come gli eterosessuali. E non dovrebbe essere limitata nel tempo. Se ha senso chiedere “discriminazioni positive” per riparare ingiustizie di un paio di secoli fa dovrebbe aver senso chiederne per riparare altre ingiustizie, probabilmente più gravi, di un paio di millenni fa. I discendenti degli antichi Galli e Britanni, conquistati armi alla mano dalle legioni romane, dovrebbero chiedere “discriminazioni positive” ai danni degli italiani, questi le dovrebbero chiedere ai tedeschi per le invasioni del Barbarossa, i polacchi dovrebbero chiederle ai russi, questi ai mongoli; gli ebrei dovrebbero chiedere risarcimenti a mezzo mondo però anche loro, millenni fa, qualche ingiustizia nei confronti di altri popoli la hanno commessa. Tutti nella storia hanno commesso o subito ingiustizie, non esistono singoli o gruppi senza peccato. La logica della “discriminazione positiva”, se applicata in maniera non faziosa, aprirebbe la via ad un rimando infinito di “discriminazioni positive” e richieste di scuse e risarcimenti.
E questo rimando all’infinito non riguarda solo il passato, si proietta nel futuro. Per “riparare” ad ingiustizie di 20 o 200 anni fa bisognerebbe discriminare i discendenti di coloro che hanno commesso in passato tali ingiustizie, solo così si potrebbe creare una situazione giusta, si dice. Però in questo modo non si fa altro che aggiungere ingiustizia ad ingiustizia: nulla è infatti tanto palesemente ingiusto quanto far pagare a figli, nipoti e pronipoti le colpe dei padri, nonni e bisnonni. Né l’ingiustizia di oggi serve a ricostituire una situazione più giusta od equa. Il danno che deve subire chi è vittima oggi della “discriminazione positiva” è infatti molto maggiore delle conseguenze negative che sempre oggi devono subire i discendenti di coloro che hanno subito ingiustizie due o tre secoli fa. Seguendo la logica dei teorici della “discriminazione positiva” queste nuove ingiustizie andrebbero riparate con nuove “discriminazioni positive” e così via, di nuovo all’infinito. La ricerca di sempre nuove ingiustizie passate cui occorre metter riparo si combina in questo modo col continuo ricrearsi nel futuro di situazioni ingiuste cui occorre metter riparo. Una follia.

C’è però anche un altro aspetto di queste tematiche che occorre approfondire.
Certi usi e costumi, certe istituzioni dei nostro antenati ci appaiono oggi ripugnanti. E sono davvero tali. Lo schiavismo era moralmente orripilante ai tempi dell’antica Roma come lo è oggi. È del tutto inaccettabile il relativismo di chi ritiene che lo schiavismo fosse “giusto” un tempo o che l’oppressione della donna sia “giusta “ oggi in certe situazioni socio culturali mentre l’uno e l’altra sarebbero state ingiuste in altri tempi e lo sono in altre situazioni culturali. Da questo però non segue che chi visse in tempi in cui certe pratiche erano ritenute “normali” sia assimilabile ad un criminale; in realtà si trattava solo di persone che condividevano usi, costumi e norme etiche dei loro tempi e delle loro civiltà. Il fatto che si trattasse di usi, costumi e norme inaccettabili non trasforma in mostri chi le seguiva, meno che mai trasforma i loro discendenti in mostri o criminali da punire. È proprio questa invece la logica profonda, anche se non sempre chiaramente espressa, di chi teorizza la “discriminazione positiva”. L’occidentale bianco, discretamente benestante, di oggi sarebbe in qualche modo responsabile del comportamento di persone vissute spesso molto tempo fa e che si comportavano conformemente a quelli che erano gli usi ed i costumi del loro tempo. L’economista austriaco Von Mises, parlando dell’origine della proprietà privata ammette senza esitazioni che l’acquisizione delle prime proprietà è stata in molti casi violenta ed illegale. La cosa non deve stupire, aggiunge, perché tale acquisizione è stata in moltissimi casi anteriore allo stabilirsi della legge. Pretendere di riparare a tali violenze originarie è quanto mai stupido non solo per l’impossibilità empirica di tale riparazione, ma anche perché non si può pretendere una legalità anteriore alla legge. Oggi i teorici della “discriminazione positiva” sembrano voler incolpare chi discende da persone che ai loro tempi agivano in maniera conforme ad usi, costumi e norme condivise. Io sarei da discriminare perché il mio tris nonno non si comportava come una persona che vive nel ventunesimo secolo. Si tratta di qualcosa ancora peggiore della pretesa illiberale di incolpare i figli per le colpe dei padri. Di nuovo, una follia.

Finora abbiamo dato per scontato che i discendenti di coloro che hanno subito ingiuste discriminazioni siano oggi danneggiati per ciò che è successo ai loro avi, ma stanno davvero, sempre e comunque, così le cose? Per i teorici della “discriminazione positiva” non ci sono dubbi in proposito, la loro risposta è sempre SI. Ma sbagliano. Il loro errore deriva da una sorta di illusione ottica: esaminano la situazione, ad esempio, dei neri americani, vedono che spesso, anche se ormai molto meno che in passato, questa è peggiore di quella di molti bianchi e concludono che la causa di una tale situazione deriva dalle orribili ingiustizie che i neri hanno dovuto subire quando altro non erano che schiavi. Ma un simile modo di affrontare il problema è sbagliato per il semplice motivo che i discendenti di coloro che furono schiavi usufruiscono anch’essi, sia pure in misura minore e grazie anche alle loro lotte, dei benefici della società che rese schiavi i loro avi. Chi venne ridotto in schiavitù ha subito una orribile ingiustizia, un nero campione di basket che guadagna milioni di dollari all’anno, o un musicista jazz che guadagna altrettanto, o un nero che diventa presidente degli Stati Uniti godono anch’essi di quanto ha saputo edificare di positivo una società che pure si è macchiata del crimine dello schiavismo. La storia è davvero complessa, una volta tanto val la pena di usare questa parola. Nella storia ci sono crimini ed ingiustizie ma anche miglioramenti economici, conquiste democratiche, affermazioni della libertà. L’antichità ci lascia grandi conquiste culturali, anche se è stata caratterizzata dallo schiavismo, e di tali conquiste oggi godono tutti, compresi i discendenti di chi è stato schiavo. Con questo non si vuol dire, dovrebbe essere ovvio, che non si debba oggi lottare per migliorare la situazione di singoli o gruppi sociali ancora svantaggiati, si vuol dire però che questa lotta non può essere vista come “risarcimento” per quanto hanno dovuto subire di ingiusto gli antenati di chi oggi è socialmente svantaggiato. La gran maggioranza dei poveri statunitensi è “ricca” se paragonata ai poveri dell’Uganda o dell’Angola. I benefici di società opulente e democratiche hanno interessato, sia pure non a sufficienza, i loro membri meno fortunati. Quando cercano, giustamente, di migliorare le loro condizioni questi si rapportano ai problemi del presente, non alle ingiustizie del passato per cui loro dovrebbero essere “risarciti”. Gli unici che avrebbero diritto di avanzare richieste di “risarcimento” non sono più fra noi. Da molto, moltissimo tempo.

Val la pena a questo punto di fare una breve precisazione. Sinora si è spesso usata la parola “risarcimento” per descrivere le proposte dei sostenitori dell’azione, o della discriminazione “positive”. Questa parola però può indurre in inganno. In effetti, se io mio padre mi lascia in eredità una abitazione e in un secondo momento si scopre che la stessa è stata acquisita illegalmente dal mio genitore, io sono tenuto a restituire la casa al legittimo proprietario o a risarcirlo adeguatamente. La figura giuridica del risarcimento non contrasta con la giustizia ed è riconosciuta dalla legge, a condizione che le azioni illegali per riparare alle quali il risarcimento è richiesto non siano troppo lontane nel tempo. In fin dei conti la acquisizione legale non è il criterio assolutamente unico per stabilire a chi spetti una certa proprietà. È importante anche stabilire chi ha curato una certa proprietà, per quanto tempo lo ha fatto, se la ha fatta crescere e valorizzare. Non a caso quasi tutti gli ordinamenti giuridici prevedono l’istituto dell’usucapione. Il risarcimento in ogni caso è spesso del tutto giusto e legittimo, ma le pretese dei sostenitori della “discriminazione positiva” vanno ben oltre la rivendicazione di questo tipo di risarcimento. Vanno addirittura oltre il concetto stesso di risarcimento. Ad essere intaccati dalle pretese di “discriminazione positiva” sono i diritti fondamentali di certi soggetti prima che la loro proprietà. Se Tizio partecipa ad un concorso, dimostra di essere il migliore ma si vede superato da Caio solo perché questi appartiene ad un determinato gruppo protetto, ad essere menomati sono i diritti fondamentali di Tizio, non la sua proprietà. La “discriminazione positiva” lede il principio fondamentale di ogni società libera: quello della pari dignità di tutti gli esseri umani indipendentemente da colore della pelle, sesso, convinzioni politiche o religiose. Nessuna richiesta di risarcimento, giusta o sbagliata che sia, riguardi fatti vicini o lontani nel tempo, può essere soddisfatta riducendo i diritti fondamentali di determinati esseri umani. Se devo risarcire Tizio dovrò dargli del denaro, non perdere i miei fondamentali diritti di cittadino. La discriminazione positiva fa invece proprio questo: in nome di ingiustizie a volte vecchie di secoli subite da persone ormai scomparse da tempo pretende che vengano intaccati, spesso più che intaccati, fondamentali diritti dei cittadini. Un certo numero di posti in parlamento deve essere riservato ai maschi, o alle femmine, ai bianchi o ai neri, agli etero o agli omosessuali. Tutto questo lede profondamente il diritto di voto: puoi votare ma devi votare candidati di un certo sesso, con la pelle di un certo colore, con determinati gusti sessuali, ed il discorso non si ferma al diritto di voto. È dubbio che la democrazia possa sopravvivere a simili follie.

Val la pena di affrontare, per concludere, il punto fondamentale. Quale è la filosofia, la visione dell’uomo che sta dietro e sostiene le varie politiche di azione o discriminazione positiva? Ogni proposta politica importante si basa, ne siano consapevoli o meno i suoi sostenitori, su determinate teorizzazioni che con giusta ragione possono definirsi filosofiche; quali sono quelle che sostengono la discriminazione positiva? Per cercare di comprenderle appieno va la pena di allargare un po’ il discorso.
Ognuno di noi ha sentito qualche volta, penso, affermazioni di questo tipo: “il tale non ha meriti né colpe per esser nato bello o brutto simpatico od antipatico, intelligente o stupido”. È facile partire da simili ovvie banalità per arrivare a conclusioni che da un punto di vista astrattamente logico sono coerenti. La “società”, si conclude, avrebbe il compito di riparare le “ingiustizie” che madre natura ha commesso nel distribuire ad ognuno di noi i suoi “doni”. Ad essere degne di critica sono, come al solito, le premesse. Chi fa simili ragionamenti pensa che si possano separare gli esseri umani dalle loro caratteristiche. Ritiene che gli esseri umani siano pure essenze disincarnate, enti asettici, privi di qualità e particolarità che dovrebbero esser attribuite loro, in maniera “equa” da una non meglio specificata “società” (come se la “società non fosse composta da esseri umani). E se, per evidenti motivi empirici, la “società” non è in grado di mettere in atto questa “equa distribuzione”, dovrebbe far si che le differenze fra tali caratteristiche fossero in qualche modo compensate. Tizio, non troppo intelligente dovrebbe esser “risarcito” e reso più o meno uguale a Caio cui la “natura” ha regalato una intelligenza fuori dal comune. Eguaglianza e pari dignità non riguardano più gli esseri umani empiricamente dati, insiemi sostanziali unitari di qualità e caratteristiche. No, eguaglianza e dignità riguardano esseri disincarnati, entità assolutamente astratte beneficiarie dei processi di azione e discriminazione positiva. Tali teorie, se applicate coerentemente, porterebbero a risultati mostruosi. Un individuo sano, per fare solo un esempio, dovrebbe esser obbligato a donare un rene ad uno malato per compensarlo del fatto che “la natura” è stata “ingiusta” con lui. Forse non a caso nessuno sostiene simili posizioni fino in fondo, questa però è la logica che che sta dietro a tutte.
I sostenitori della azione o discriminazione positiva allargano il discorso dalle caratteristiche naturali degli esseri umani a quelle economiche e socio culturali. Ognuno di noi è dato, si trova nel mondo. Nasce in una certa epoca storica, dentro una certa classe sociale, famiglia, nazione, cultura, civiltà. Ognuno di noi è l’insieme unitario delle sue caratteristiche naturali e socio culturali. Io sono io perché ho un certo aspetto fisico, un certo carattere, parlo una certa lingua, vivo in un certo periodo storico dentro determinati rapporti sociali e culturali. Visto che le caratteristiche socio culturali degli esseri umani non sono, come quelle naturali, “distribuite” equamente fra loro i sostenitori delle varie azioni o discriminazioni positive vorrebbero annullarle mettendo in atto varie politiche “compensatrici”. Teorizzano persone separate dalla propria datità socio culturale oltre che naturale. Io sarei io indipendentemente dal periodo storico, dalla cultura e dalla società in cui sono nato e vivo e, visto che non posso esser separato da queste mie caratteristiche essenziali, i generosi riformatori del mondo vorrebbero mettere in atto politiche “compensatrici”. Ad essere preso di mira è, come al solito, il dato del nostro esistere: si vorrebbero ricostruire gli esseri umani mettendo riparo a quanto nel loro esser dati sembra non essere sufficientemente equo o giusto.
L’uguaglianza democratica e liberale è di tipo radicalmente diverso. Riguarda non esseri umani disincarnati, ma le persone in carne ed ossa con tutte le loro caratteristiche naturali e storico sociali. Sono queste persone ad essere titolari dei fondamentali diritti umani, a queste viene riconosciuta la pari dignità.
Certo, è giusto, è sacrosanto lavorare per società in cui questi diritti e questa dignità siano goduti da tutti, ma questa è cosa radicalmente diversa dal tentativo di annullare la datità naturale e socio culturale di ognuno di noi. Io ho certi diritti e la mia dignità, pari a quella di ogni essere umano, in quanto sono IO, con le mie caratteristiche naturali, la mia cultura, il dato del mio vivere in una certa epoca storica, entro determinate coordinate culturali. Non ho diritto ad alcun “compenso” né dovere di “compensare” qualcuno perché sono ciò che sono, al contrario, ho il diritto al rispetto per ciò che sono ed ho il dovere di rispettare gli altri per quello che gli altri sono.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non ci rende davvero uguali. Avrebbe ragione, il vivere in società in cui i nostri diritti fondamentali e la nostra dignità vengano tutelati ed in cui ognuno abbia possibilità economiche reali per cercar di realizzare i propri progetti non ci rende uguali, e con questo? Gli esseri umani non possono essere uguali perché hanno ognuno caratteristiche naturali e socio culturali diverse e diseguali. Cercare di superare questa situazione per realizzare una radicale uguaglianza sostanziale distrugge la libertà, da vita a sempre nuove ingiustizie e a forme di disuguaglianza queste si assolutamente intollerabili. La storia ha dato a questo proposito lezioni che solo i fanatici o gli sciocchi possono ignorare.

La politica della azione o discriminazione positiva non fa altro, in fondo che riproporre il vecchio mito marxista dell’uomo nuovo, con la differenza che in Marx l’uomo nuovo sarebbe il prodotto spontaneo della affermazione su scala planetaria della società perfetta comunista, per i politicamente corretti di oggi sarebbe invece la risultante di accorte politiche “riparatrici”.
C’è un’ultima considerazione da fare. Tutte le varie politiche “compensatrici” sono rivolte contro l’occidente. Lo si è già detto: il nemico è l’uomo bianco, occidentale eterosessuale, discretamente benestante, spesso cristiano. E’ lui che sarebbe obbligato a vivere scusandosi con mezzo mondo ed a compensare mezzo mondo per i crimini, veri o presunti, commessi in passato dalla sua civiltà (le altre invece sono generosamente assolte da ogni addebito). Se analizzate da questo punto di vista le politiche della azione o discriminazione positiva altro non sono che una forma particolare che assume la più generale politica della cancel culture. L’occidente è responsabile di tutti i mali del mondo. La sua storia è riducibile ad un insieme di abomini, anche se in quella storia ci sono Platone ed Aristotele, Newton e Kant, Dante e Shakespeare, Leonardo e Michelangelo, Mozart e Beethoven ed insieme a questi la scoperta dei diritti umani, l’abolizione dello schiavismo, la democrazia, la laicità dello stato, il principio di tolleranza, la razionalità scientifica, l’economia di mercato ed il benessere che questa ha assicurato a masse sterminate di esseri umani, di tutte le civiltà.
Ai teorici delle azioni e delle discriminazioni positive tutto questo interessa a poco. Sono i nuovi nemici della nostra civiltà. È bene rendersene conto, senza pericolose illusioni.


Menzogne e calunnie demenziali per demonizzare, criminalizzare e disumanizzare, per istigare alla paura, al disprezzo e all'odio etnico-ideologico-politico-religioso, al fine di depredare, schiavizzare e impedire il libero esercizio dei diritti umani, civili, economici e politici del prossimo.
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I crimini e le menzogne del Politicamente corretto
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I veri, buoni, giusti, corretti e diversi diritti delle minoranze non si affermano e tutelano equiparandoli ai diritti naturali e storici delle maggioranze, tantomeno impedendo, limitando o negando questi diritti maggioritari.
Non vi alcuna vera giustizia egualitaria e inclusiva nel considerare donna e femmina un uomo maschio che si sente (e che si vorrebbe) donna, sia esso travestito, ormonato e manipolato chirurgicamente e/o geneticamente e viceversa per la donna femmina che si sente (e che si vorrebbe) uomo maschio esso travestita, ormonata e manipolata chirurgicamente e/o geneticamente.
Trattasi invece di ingiustizia nei confronti delle donne femmine e degli uomini maschi in quanto assimilati a qualcosa che non corrisponde in nulla a loro, poiché ciò che si vuole assimilare non è un vera donna o un vero uomo ma solo di una falsificazione ingannevole, una truffa illusoria, una menzogna dalle conseguenze malevolmente drammatiche.
La vera giustizia sta nel non confondere le cose, nel rispettare la specificità della diversità, nel lasciare che chi è affetto dalla disforia di genere possa vivere la sua condizione nel modo meno conflittuale e doloroso possibile senza però danneggiare in alcun modo e nel violare i diritti umani e civili delle persone normali e sane che non sono affette da questa afflizione.
Il male non è un diverso bene è un'assenza di bene.
La malattia non è una diversa salute o sanità e il malato non è un diversamente sano ma uno che manca di salute o che non è sano.


Ma quale genocidio dei nativi americani?
viewtopic.php?f=196&t=2890


Il senso di colpa
viewtopic.php?f=196&t=2914
Il senso di colpa lo provo solo quando sento di aver fatto del male, quando sento di aver violato le buone leggi universali della vita causando del male che mi si ritorce contro o che potrebbe ritorcermisi contro.
Se non ho coscienza di aver fatto del male non provo alcun senso di colpa.
E non vi è alcuna colpa nell'essere bianchi, occidentali, cristiani, atei, aidoli, laici, sani, forti, belli e ricchi, non vi è alcun male nello stare bene e lo stare bene non si fonda sul male degli altri, come la ricchezza non si fonda sulla povertà altrui e la forza non si fonda sulla debolezza altrui.
Il proprio star bene, la propria forza e la propria ricchezza benefica anche gli altri d'intorno.
Non è colpa dei ricchi se esistono anche i poveri, come non è colpa dei sani se esistono pure i malati, e non è responsabilità dei forti ci sono i deboli, tanto meno è responsabilità dei belli se esistono i brutti, come la sapienza non è causa dell'ignoranza, allo stesso modo che la giustizia non è causa dell'ingiustizia, come non è colpa della vita se esiste la morte, e del bene se esiste il male.
L'ossessione per i poveri e gli ultimi che arriva alla demenza di demonizzare i ricchi e i primi per poi aggredirli, derubarli, schiavizzarli e ucciderli è il massimo della idiozia più disumana e assurda.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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