Ecco chi era George Floyd e la rappresaglia criminale che ne è conseguita
È stato fermato per spaccio di banconote false eha fatto resistenza all'arresto rifiutandosi di salire nella macchina della polizia.
Anche i neri afroamericani debbono rispettare la legge come tutti gli altri e se non la rispettano sono criminali e come tali vanno trattati come tutti i criminali bianchi, gialli, rossi e neri.
George Floyd era un uomo afroamericano di 46 anni. Nato a Houston, in Texas, ha frequentato la Yates High School come atleta multisport diplomandosi nel 1993. Era un rapper associato al gruppo hip hop di Houston Screwed Up Click e freestyle sotto lo pseudonimo di "Big Floyd" su mixtape pubblicato da DJ Screw. Nel 2009, Floyd è stato condannato a cinque anni di prigione per rapina aggravata con un'arma mortale. Floyd si è trasferito in Minnesota intorno al 2014. Ha vissuto a St. Louis Park e ha lavorato nella vicina Minneapolis come guardia di sicurezza di un ristorante per cinque anni. Al momento della sua morte, Floyd aveva recentemente perso il lavoro a causa dell'ordine di residenza del Minnesota durante la pandemia di COVID-19. Floyd era il padre di due figli, Quincy Mason Floyd di 22 anni e Gianna Floyd di 6 anni, che erano rimasti a Houston.
https://it.wikipedia.org/wiki/Morte_di_George_FloydLa morte di George Floyd è un fatto di cronaca nera avvenuto il 25 maggio 2020, nella città di Minneapolis, in Minnesota: venne registrata all'Hennepin County Medical Center, dove Floyd venne condotto dopo aver perso conoscenza nel corso di un arresto eseguito a suo carico da quattro agenti di polizia che rispondevano ad una chiamata di un negoziante locale nello stesso giorno. L'episodio ottenne rapidamente risonanza internazionale in seguito alla diffusione del controverso filmato dell'arresto di Floyd stesso, dal quale sono successivamente scaturite proteste e manifestazioni contro l'abuso di potere da parte delle forze di polizia, nonché l'odio razziale perpetrato dalle stesse. Nel filmato infatti, viene mostrato l'agente di polizia Derek Chauvin premere il suo ginocchio sul collo di George Floyd per 8 minuti e 46 secondi e gli altri agenti non fare nulla per fermarlo.
La sera di lunedì 25 maggio 2020, George Floyd acquista un pacchetto di sigarette a Cup Foods, un negozio che frequentava, all'incrocio tra East 38th Street e Chicago Avenue a Minneapolis in Minnesota. Un impiegato del negozio credeva che la banconota da 20 dollari usata da Floyd fosse contraffatta.[7] Poco prima delle 20:00, due impiegati di Cup Foods escono dal negozio e attraversano la strada per confrontarsi con Floyd, che era al posto di guida di un SUV Mercedes blu, insieme ad altre due persone, parcheggiate davanti a un ristorante Dragon Wok.[8] I dipendenti chiedono senza successo a Floyd di restituire le sigarette. Il dialogo è stato filmato dalla videocamera di sicurezza del Dragon Wok. Alle 20:01, un impiegato del negozio chiama il 9-1-1.
Alle 20:08, gli agenti del dipartimento di polizia di Minneapolis (MPD) Thomas K. Lane e J. Alexander Kueng arrivano al Cup Foods ed entrano nel negozio.
Alle 20:09, Lane e Kueng lasciano Cup Foods e attraversano la strada verso il SUV di Floyd. Lane si avvicina al SUV di Floyd, estrae la pistola e ordina a Floyd di mettere le mani sul volante. Un passante in un SUV Mercury parcheggiato dietro il SUV di Floyd inizia a registrare l'incontro con il suo telefono alle 20:10. A seguito di una breve lotta, Lane estrae Floyd dal SUV, lo ammanetta e gli comunica che è stato arrestato per aver utilizzato una valuta contraffatta. Alle 20:12, Kueng blocca Floyd, ancora ammanettato, sul marciapiede contro il muro di fronte al ristorante Dragon Wok. Intorno alle 20:14, Floyd cade a terra accanto all'auto della polizia di fronte a Cup Foods, e gli ufficiali lo raccolgono e lo mettono contro la porta dell'auto. Secondo i pubblici ministeri locali, Floyd disse agli ufficiali che era claustrofobico e non riusciva a respirare. Un ufficiale di polizia di Minneapolis Park arriva in risposta alla richiesta di assistenza di Lane e Kueng e sorveglia il veicolo di Floyd e i suoi occupanti dall'altra parte della strada.
Alle 20:17 arriva una terza auto della polizia, con gli ufficiali Derek Michael Chauvin e Tou Thao, che si avvicinano per assistere Lane e Kueng.
Intorno alle 20:18, i filmati di sicurezza di Cup Foods mostrano Kueng alle prese con Floyd per almeno un minuto sul sedile posteriore del conducente mentre Thao osserva la scena. Una denuncia penale presentata contro Chauvin "sostiene che Floyd si rifiutò di entrare in macchina, anche dopo che gli ufficiali lo spostarono dal lato del guidatore al lato del passeggero.
Alle 20:19, in piedi sul lato del passeggero del veicolo, Chauvin trascina Floyd attraverso il sedile posteriore, dal lato del conducente al lato del passeggero, e fuori dalla macchina, facendo cadere Floyd a terra, dove giaceva sul marciapiede, a faccia in giù, ancora con le manette.
Floyd smette di muoversi verso le 20:20.
Testimoni multipli iniziano a filmare l'incontro; i loro video circolano ampiamente su Internet. Alle 20:20, uno spettatore alla stazione di servizio di Speedway LLC attraverso l'incrocio inizia a registrare video sul telefono che mostrava Floyd a faccia in giù sul marciapiede con il ginocchio di Chauvin sul collo di Floyd, Kueng esercita una pressione sul busto di Floyd e Lane esercita una pressione sulle gambe di Floyd, mentre Thao si trova nelle vicinanze. Floyd può essere sentito ripetutamente dire "Non riesco a respirare", "Per favore, per favore, per favore" e "Per favore, amico". Lo spettatore ha smesso di girare quando Lane sembra che gli dica di andarsene. Anche alle 20:20, una seconda persona, in piedi vicino all'ingresso di Cup Foods, inizia a registrare video di Floyd immobilizzato dal ginocchio di Chauvin e lo trasmette in streaming su Facebook.
Memoriale nel luogo delle morte di George Floyd
Verso le 20:22, gli agenti richiedono l'intervento di un'ambulanza, chiedendo inizialmente un "codice due" non di emergenza prima di inoltrare l'urgenza a un "codice tre" di emergenza. Chauvin continua a tenere Floyd bloccato. Qualcuno chiede a Floyd: "Cosa vuoi?" Floyd risponde: "Non riesco a respirare, per favore, il ginocchio al collo, non riesco a respirare".
Alle 20:25, Floyd appare privo di conoscenza e i passanti si confrontano con gli ufficiali sulle condizioni di Floyd, esortandoli a controllare il suo polso.
Chauvin trattenne Floyd per 8 minuti e 46 secondi, sollevando il ginocchio dal collo di George solo dopo la richiesta dei paramedici, noncurante del fatto che Floyd avesse nel frattempo perso conoscenza da oltre 3 minuti. All'arrivo dei paramedici, Floyd viene successivamente condotto all'Hennepin County Medical Center, dove sarà dichiarato morto.
Chi era George Floyd: un delinquente comune in carcere per rapina a mano armata
2 giugno 2020
https://voxnews.info/2020/06/02/chi-era ... no-armata/ Chi era George Floyd, l’ultima icona del vittimismo nero e antibianco globale? Per chi conosce il francese, lo spiega bene l’intellettuale ebreo francese Zemmour.
Floyd era un noto delinquente che aveva passato almeno 5 anni in carcere per rapina a mano armata e consumo di droga. Che poi, al di là di quello che dice l’autopsia del perito della famiglia, e non indipendente come scrivono i nostri media, sarebbe il vero motivo della morte. Insieme a pregressi problemi cardiaci.
Ovviamente non giustifica un eventuale omicidio. Ma spiega il perché del modo in cui è stato arrestato. Non era un povero cittadino fermato a caso.
Questo detto, come sia morto è totalmente ininfluente rispetto a quello che sta avvenendo. La scintilla poteva essere una a scelta. Il problema è avere la casa piena di dinamite.
Qest'uomo afroamericano, George Floyd, non è tanto vittima del razzismo dei bianchi o della polizia multietnica dello stato ma più che altro del suo essere un criminale dedito alle rapine a mano armata e allo spaccio di banconote false.
Questa donna afroamericana Tamika Mallory va arrestata, processata e condannata per demenziali calunnie, istigazione alla violenza razzista e alla guerra civile e giustificazione di devastazioni e saccheggi.
Queste accuse della Mallory sono menzogne!
1 giugno 2020
https://www.globalist.it/world/2020/06/ ... 59309.html"Non possiamo considerarlo un incidente isolato. La ragione per cui i palazzi stanno bruciando non è solo la morte del nostro fratello George Floyd. Stanno bruciando perché le persone qui nel Minnesota stanno dicendo alle persone a New York, in California, a Menphis, a tutta la nazione, che quando è troppo è troppo".
"Non possiamo essere responsabili per la malattia mentale che è stata inflitta sulle persone dal governo americano, dalle istituzioni, da chi si trova in una posizione di potere. Non me ne frega nulla se i palazzi bruciano. Non me ne frega nulla se bruciano i negozi di Target, perché Target dovrebbe essere in strada con noi, chiedendo giustizia che la nostra gente merita. Dove era AutoZone quando Philando Castile è stato ucciso in una delle loro auto?"
"Se non vieni in difesa del popolo, non sfidarci quando siamo frustrati: siete voi che avete pagato coloro che ci istigano, siete voi che avete voluto tutto questo".
"C'è un modo semplice per fermarlo: arrestate i poliziotti. Indagateli. Indagateli tutti. Non solo qualcuno. Tutti, in ogni città americana dove i neri sono stati uccisi. Questo non è mai stato un paese libero per i neri. E ora i neri sono stanchi. Non parlateci di saccheggi. Voi siete i saccheggiatori: la violenza l'abbiamo imparata da voi. Avete saccheggiato i neri, i nativi americani, il saccheggio è la vostra specialità. Se volete che ci comportiamo bene allora cazzo, cominciate a farlo voi".
Anche i neri afroamericani debbono rispettare la legge e le forze di polizia come lo debbono fare tutti gli altri bianchi, gialli, rossi e neri e se mancano loro di rispetto sono criminali pericolosi e come tali vanno trattati.
Minneapolis, la sfida di Ellison: il procuratore musulmano guiderà l’accusa nel caso George Floyd
Viviana Mazza
2 giugno 2020
https://www.corriere.it/esteri/20_giugn ... resh_ce-cpNel 2006, in un’intervista al Corriere, Keith Ellison, avvocato afroamericano che era appena diventato il primo musulmano eletto al Congresso, spiegò che «si può tenere la gente unita, se si difendono i diritti civili di tutti». Ora gli occhi sono puntati su Ellison perché a lui, che dal 2019 è procuratore generale del Minnesota, è stata affidata l’accusa nel caso di George Floyd. «In questo ruolo posso assicurarmi che i potenti rispettino le regole. Invece, come deputato non puoi difendere in modo diretto i diritti della gente»: Ellison spiegò così perché aveva lasciato il Congresso.
Decisione inusuale
La decisione del governatore Tim Walz di far intervenire il procuratore dello Stato per assistere quello della contea di Hannepin, Mike Freeman, è inusuale; di solito avviene in casi di conflitto di interessi. Vuole essere un segnale ai manifestanti e alla famiglia, nella consapevolezza della scarsa fiducia che hanno nel sistema, di cui considerano parte anche Freeman. A livello locale, procuratore e polizia lavorano a stretto contatto.
La protesta contro il procuratore Freeman
Dal 1990 al ’99 e poi nel secondo mandato dal 2006 a oggi, Freeman ha incriminato solo un agente per omicidio: Mohammad Noor, un poliziotto nero che uccise una donna bianca nel 2017. Ci sono voluti 4 giorni perché incriminasse Derek Chauvin, che ha premuto il ginocchio sul collo di Floyd fino a soffocarlo, ma la famiglia ritiene responsabili anche gli altri tre poliziotti presenti. Ellison avverte che accusare la polizia di omicidio è «molto difficile: tutte le nostre argomentazioni verranno messe sotto attacco». Lui stesso verrà attaccato da destra: è stato già diffuso un suo tweet del 2018 su un libro intitolato Antifa, manuale anti-fascista, e suo figlio Jeremiah appoggia quel gruppo di estrema sinistra che Trump vuole mettere nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Nella notte in cui fu eletto al Congresso Ellison disse: «Abbiamo fatto la storia. Abbiamo mostrato che siamo più forti quando costruiamo ponti tra le comunità che quando cerchiamo di dividere per conquistare». Ci riuscirà ora?
Minneapolis, in tutto il Paese agenti in ginocchio per Floyd. Nuova autopsia: «Fu soffocato»
Giuseppe Sarcina
1 giugno 2020
https://www.corriere.it/esteri/20_giugn ... resh_ce-cp E ora proviamo a guardare dall’altra parte della barricata. Il capo della polizia di Minneapolis, l’afroamericano Medaria Arredondo, 55 anni, si inginocchia tra la 38 esima strada e la Chicago Avenue. Davanti alle foto, ai fiori, ai disegni, ai palloncini che sono già una sentenza: qui il 25 maggio George Floyd, un altro afroamericano è morto, schiacciato dal ginocchio dell’agente Derek Chauvin e con la complicità di altri tre uomini in divisa. A qualche chilometro di distanza il sergente S. ci accoglie con una smorfia. È di piantone al Primo Distretto di Polizia, il più centrale, non lontano da una delle sedi del governo, dove, al piano terra, c’è l’ufficio di Arredondo, una stanzetta piena di ritratti di poliziotti e di bandiere, con una grande vetrata che dà sul corridoio. Completamente deserto ieri.
«Che cosa vuole?» chiede sbrigativo il sergente, sbucando dall’interno di una fortezza costruita due giorni fa. Una lunga fila di blocchi di cemento, filo spinato e, nell’unico varco rimasto, il blindato color ocra della Guardia Nazionale, presidiato da due militari con il fucile automatico in posizione di tiro. «È il primo giornalista che vedo qui. È nel posto sbagliato. Non posso parlare, abbiamo ordini precisi. Si rivolga all’Ufficio relazioni pubbliche». Conosciamo la solfa: «call the office», telefonate a vuoto, oppure email per chiedere un’intervista. Risposta più o meno sollecita con un compitino prefabbricato. Non è questo che ci serve. Piano piano il nostro interlocutore si scioglie: «Avrei una grande voglia di parlare, di dire la verità. Non quella ufficiale, manipolata dai politici. Siamo presi in mezzo». Alla fine conversiamo per una ventina di minuti. Niente nomi, niente foto e, da qui in avanti, niente virgolettati. Il Sergente S. ha una sessantina d’anni, è nato e cresciuto a Minneapolis; è in servizio da oltre trent’anni e ora guadagna circa 100 mila dollari all’anno. Conosce il territorio, dunque. Sostiene che i poliziotti sono stati mandati allo sbaraglio nei primi giorni dai dirigenti politici che hanno sottovalutato il pericolo. Mentre questa, osserva, è una vera guerra contro gruppi organizzati e numerosi. Come quelli di Antifa, «gli antifascisti», formazione estremista che contempla anche l’uso della violenza non solo come forma di autodifesa, secondo la dottrina di Malcom X, ma anche come necessaria prevenzione. Quindi Donald Trump ha fatto bene, anzi benissimo, a dichiarare l’Antifa un’organizzazione terroristica.
Ma qual è «la verità» che verrebbe nascosta dai vertici politici? E cioè, si suppone, dal Governatore Tim Walz, dal sindaco Jacob Frey, tutti e due democratici? «No comment», sono le ultime parole del Sergente prima di muovere il braccio in modo inequivocabile: «Buona giornata». A venti minuti di auto, guidando verso sud, ecco il Quinto Distretto. Se possibile ancora più blindato. La strada è sbarrata nelle due direzioni. I militari della Guardia Nazionale sono numerosi. Non siamo distanti dal Terzo Distretto, sulla East Lake Street, dato alle fiamme dai manifestanti sei giorni fa. Pure qui il sottufficiale di servizio concede pochissimo. Ma spiega che per i poliziotti di Minneapolis «la verità» è contenuta nel referto medico diffuso dopo l’autopsia di George dall’Hennepin Countyi Medical Examiner. «Legga bene le tre righe sulle cause della morte. Non c’è il soffocamento». Nel rapporto, pubblicato il 29 maggio, è scritto: «L’effetto combinato tra l’immobilizzazione subita dal Signor Floyd da parte della polizia e le sue condizioni di salute precedenti e ogni potenziale intossicazione nel suo sistema hanno probabilmente contribuito alla sua morte». Una conclusione piuttosto ambigua. Tanto è vero che la famiglia di Floyd ha commissionato un’altra autopsia. I risultati sono arrivati ieri e contrastano con quelli della perizia ufficiale: «George è morto per asfissia, sotto il ginocchio del poliziotto Chauvin», ha riassunto l’avvocato Ben Crump, noto legale e attivista per la difesa dei diritti civili.
Tutto ciò significa che a Minneapolis il grosso della polizia cova una rabbia speculare a quella dei manifestanti. Ecco perché qui solo il capo, Arredondo, si è inginocchiato e si è tolto il cappello, rispondendo a una domanda di Terence Floyd, il fratello di George, posta da una giornalista della Cnn. «In questo caso il silenzio significa complicità», ha scandito, ripetendo che i quattro agenti coinvolti nella morte di Floyd sono da mettere «tutti sullo stesso piano».
Dal pestaggio di Rodney King a Minneapolis, trent’anni di violenza e rivolte negli Usa
1991-92: le botte al tassista, gli agenti assolti e la guerra in strada
Si prospetta uno dei processi più importanti degli ultimi anni. Keith Ellison, procuratore generale dello Stato, ha assunto la titolarità dell’inchiesta. Ellison è una figura conosciuta all’opinione pubblica degli Stati Uniti, poiché fu il primo musulmano eletto come deputato nel Congresso di Washington. La prima udienza di Chauvin, prevista per ieri, è stata ora fissata per l’8 giugno.Ma questa vicenda, ormai, non si può più circoscrivere all’ambito giudiziario. Nelle forze dell’ordine, sotto accusa nell’intera America, affiorano divisioni, segnali mai visti.
Ieri è tornato a farsi sentire Barack Obama. In un lungo post pubblicato da Medium si schiera ancora una volta con le ragioni della protesta. Invita a isolare i violenti che danneggiano non solo le proprietà dei cittadini, ma anche la visibilità, la credibilità delle manifestazioni.Obama, poi, sollecita gli afroamericani a mobilitarsi, a scegliere con il voto i leader politici. «È importante capire quale livello di governo abbia l’impatto maggiore sul nostro sistema criminale e giudiziario...Non solo il Presidente e il Congresso. In realtà chi conta di più sono i livelli statali e locali, i Governatori e i sindaci, cioè coloro che nominano il capo della polizia».
Queste parole sono rimbalzate a Minneapolis, dove ieri sono arrivati i capi di diverse associazioni per accompagnare il fratello di George. Terence Floyd si è presentato intorno alle 13 in Chicago Avenue. Emozionato, indossava, masticandola, una mascherina con riprodotti il volto del fratello e la scritta: «Noi abbiamo bisogno di respirare», una variante dell’invocazione «non riesco a respirare» ripetuta diverse volte da George, mentre si spegneva sotto il ginocchio di Derek Chauvin.Terence ha cominciato con una considerazione amara: «Quante volte abbiamo visto tutto questo. Prima le proteste, poi le distruzioni e poi semplicemente nulla. Ma ora dobbiamo muoverci. La mia è una famiglia pacifica e voglio chiedere di smetterla con i saccheggi e le devastazioni. Vorrei chiedervi di spiegare ai vostri figli l’importanza di agire pacificamente. Possiamo cambiare le cose con il voto, la partecipazione. Portando nella mano sinistra l’offerta di pace e nella destra la richiesta di giustizia».
Minneapolis, i generali si smarcano da Donald Trump. Arrestati i tre agenti complici
Giuseppe Sarcina
https://www.corriere.it/esteri/20_giugn ... resh_ce-cp Martedì notte, 2 giugno. Le 19, l’orario del coprifuoco imposto a Washington, sono passate da un pezzo. Sulla facciata della St. Johns Episcopal Church brillano scritte intermittenti rosse, gialle, blu. Ventiquattr’ore prima, proprio qui davanti, Donald Trump si era messo in posa con una Bibbia in mano, subito dopo che il suo ministro della Giustizia, William Barr, aveva dato ordine di far sgomberare i manifestanti con i fumogeni e gli agenti a cavallo. Ora le luci laser disegnano parole come in una video installazione. Si legge: «Revolution», «Black Power» e soprattutto «I can’t breathe», «non posso respirare», l’ultima invocazione di George Floyd, sotto il ginocchio del poliziotto Derek Chauvin.
La fronda dei generali
L’iniziativa di Trump ha diviso come sempre il Paese. Ma stavolta ha perforato anche la compattezza dell’amministrazione. Il Pentagono è in ebollizione. Martedì James Miller si è dimesso dal «Defense Advisory Board», accusando il ministro della Difesa Mark Esper di «aver violato il giuramento di difendere la Costituzione». Scrive Miller: «Forse lei non era nelle condizioni di bloccare l’ordine dato dal presidente Trump di ricorrere a questo uso agghiacciante della forza. Ma avrebbe potuto opporsi. Invece di appoggiarlo visibilmente». Esper è un ex lobbista dell’industria della Difesa. Non ha storia politica: è «un’invenzione» di Trump che lo ha scelto per sostituire l’ingombrante generale Jim Mattis. Ma la rabbia di Miller è largamente condivisa dai militari e quindi ieri il ministro si è dovuto dissociare pubblicamente da Trump: «Il ricorso all’esercito deve essere considerato come l’ultima possibilità e solo nei casi più urgenti e disastrosi».
La linea dura di Trump non ha dato risultati. La gente è tornata in massa di fronte alla Casa Bianca. Migliaia di persone che sono rimaste fino a tardi, in violazione del coprifuoco, mentre il resto della città è deserta. La polizia ha costruito un recinto per creare una zona cuscinetto profonda circa 100 metri dal perimetro della Casa Bianca. Lo schieramento a protezione è più leggero: abbiamo contato 50 soldati nella prima linea. Gli altri restano nelle retrovie. A ridosso della rete si assiepano tanti giovani, non solo afroamericani. Ci sono tantissime ragazze bianche, teenager oppure studentesse universitarie. Sono qui da molte ore. Ogni tanto qualcuna si stacca dal gruppo e va a sdraiarsi sul marciapiede deserto. Non hanno molta voglia di parlare. Partecipano per la prima volta alle manifestazioni. Sono diffidenti, caute. Nelle chat interne girano notizie e allarmi di ogni tipo. Attenti ai poliziotti infiltrati. Addirittura: non accettate acqua da sconosciuti, potrebbe essere avvelenata. Due neolaureate in medicina con il camice azzurro distribuiscono disinfettante per le mani, ma anche latte da usare per lavare gli occhi dagli effetti dei fumogeni. Il nerbo, comunque, è formato da giovani afroamericani. Alcuni di loro sono riusciti, non si sa come, ad arrivare in motorino. Non ci sono leadership e gerarchie precise. Almeno non qui. Discutono in continuazione, anche in modo acceso. Si passano di mano in mano il megafono per suggerire strategie estemporanee. Poco dopo le 19, per esempio, si consuma una «scissione». Un folto gruppo decide di formare un corteo e dirigersi verso la 14esima, la strada più animata. Gli altri restano davanti alla Casa Bianca. Alle 21.30 una ventina di ragazzi comincia a scuotere la rete di protezione. Ma sono investiti dalle urla di tutti gli altri e si fermano. In un angolo sono ammonticchiati pacchi di acqua. Arriva un ristoratore con un cartone da cinquanta cestini (crab cake e insalata): spariscono in un attimo. «Sono al terzo round». Tutto gratis, naturalmente. Poco più in là c’è il ventisettenne Jason Frey della Ong «HeadCount» che gira in monopattino per far iscrivere i giovani nei registri elettorali. Ne ha convinti 10 in un’ora. Al tramonto cinque musulmani si appartano e pregano sul marciapiede.
La «suburra»
È questa «la feccia», «la suburra» paventata da Trump? In realtà di giorno l’ala più antagonista e organizzata, come gli anarchici, gli Antifa (antifascisti) si mescola nel movimento spontaneo. Non dà il segno, non condiziona l’orientamento politico della protesta. Quello che accade a notte fonda, invece, non è ancora decifrabile e probabilmente varia da città a città. Nei quartieri periferici di Washington, è noto, agiscono diverse bande criminali. Maras importate da El Salvador, gang di «black people». Sono loro i guastatori? Oppure gli estremisti politici? O semplicemente sono saccheggi improvvisati dai giovani più violenti, ma non inquadrati in alcuna formazione? Finora abbiamo solo le parole di Trump, ma nessun fatto accertato dagli inquirenti.
Così le proteste della comunità nera sono sfuggite di mano ai Dem
Francesco Boezi
2 giugno 2020
https://it.insideover.com/politica/cosi ... i-dem.html Il capitolo sul movimentismo americano, un capitolo sempre attuale, prosegue con la saga dei membri di Black Lives Matter, che però sta evolvendo in qualcosa a cui non eravamo ancora o del tutto abituati.
La protesta portata avanti dopo il caso della morte di George Floyd sta montando. Altre nazioni, oltre agli Stati Uniti d’America, hanno assistito alla comparsa tra le strade di persone che si richiamano a quella organizzazione o, più in generale, alla tutela dei diritti dei neri. “Black Lives Matter”, però, è un nome che non basta a spiegare quello che sta succedendo. “Riots”, rivolte è un termine che descrive molto meglio la fotografia scattata in queste ore.
Anzitutto la portata complessiva: bisognerà vedere per quanto tempo i manifestanti continueranno ad occupare alcune tra le principali città occidentali, Londra per esempio. La storicità di un fenomeno dipende pure dalla partecipazione e dalla durata del moto, che può essere idealistico o sfociare – come sta già accadendo – pure in altro. La natura pacifica non è una costante di queste manifestazioni. Incendi, scontri, devastazioni e saccheggi che interessano negozi: gli episodi stigmatizzabili, almeno negli Usa, non si contano più. C’è anche chi si limita alla non violenza, e non si può generalizzare.
Distribuire le responsabilità per le fasi meno pacifiche delle rivolte non è semplice. E non è neppure detto che i gesti violenti siano riconducibili a gruppi specifici o a sigle. Anche lo spontaneismo recita la sua parte – una parte che potrebbe essere molto rilevante – in questa storia. Sia come sia, il politicamente corretto impone una consueta linea tiepida: il doppiopesismo narrativo prevede che un certo tipo di violenza, filtrato dall’interpretazione, possa passare in sordina o quasi essere giustificato.
Tre, a prescindere dal humus delle circostanze e dalla ciclicità di questi eventi, sono i principali fattori in gioco che vale la pena annotare: il contesto statale da cui è partito tutto, quello del Minnesota, gli effetti socio-economici della pandemia da Sars-Cov2 e la time-line che scorre in direzione di novembre, mese del voto per le presidenziali.
Il Minnesota
I Black Lives Matter, con la partecipazione di altre frange, come quella dell’estrema destra dei Boogaloo Boys, non hanno invaso le metropoli, partendo dall’Alabama o da qualche altro Stato del Sud. Quelli in cui la questione della discriminazione razziale è, se non altro per motivi storici, percepita come non più rimandabile. La base d’origine del moto è Minneapolis, una città governata da un progressista in rampa di lancio, Jacob Frey. Minneapolis è in Minnesota, dove governa un altro democratico: Tim Walz.
Il Minnesota è un’isola felice degli asinelli. Perché a licenziare il poliziotto accusato di omicidio ed altri agenti presenti nel mentre si consumava la tragica vicenda di George Floyd è stato Jacob Frey e non Donald Trump? La risposta a questo quesito ci aiuta a chiarire meglio come stiano le cose. La polizia di Minneapolis ha un capo: il primo cittadino. Una sottolineatura necessaria perché contribuisce a chiudere il cerchio sul fatto che Trump non abbia alcuna responsabilità diretta sul caso di Floyd. C’è chi parla di “clima creato”, ma quella è una considerazione politologica che lascia il tempo che trova. Il governatore Tim Walz ha preso una posizione netta: “Capisco la rabbia, ma la situazione è incredibilmente pericolosa. Dovete andare a casa”. E ancora: “Tutto questo non riguarda la morte di George Floyd, né le diseguaglianze, che sono reali. Questo è il caos”. Il caos, appunto, che è un elemento spesso dimenticato dalle analisi giustificazioniste, ma non dai vertici Democratici a quanto pare. Joe Biden sta postando foto che lo immortalano mentre incontra ed ascolta alcuni esponenti della protesta che – ripetiamolo – è anche pacifica, ma la sensazione è che i Dem non possano vantare un controllo su quello che sta accadendo e che, al contrario, all’establishment democratica, soprattutto in Minnesota, sia del tutto sfuggita di mano la situazione.
La situazione sociale dovuta alla pandemia
Le persone che si stanno fisicamente rivoltando hanno politicamente rivendicato qualcosa di circoscritto? La risposta è no. Un conto sono le manifestazioni non violente, un altro quelle che non violente non sono. Mentre scriviamo, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti procede spedito verso il 20%. La comunità nera, ma non solo, potrebbe aver subito il contraccolpo dell’implosione dell’economia reale. Implosione che è una conseguenza già palese della pandemia. Con Donald Trump, il tasso di disoccupazione dei neri che risiedono negli States è molto diminuito, ma il “cigno nero” potrebbe aver cambiato le carte in tavola. Ora, quella comunità, potrebbe sentirsi tradita dalle istituzioni in genere, dopo un periodo in cui – lo raccontano i dati – qualcosa in termini di percentuali di persone occupate era molto migliorato. Possibile che questo fattore faccia parte delle motivazioni dei rivoltosi? Possibile. E, in caso, sarebbe forse un collante, una radice, più profonda rispetto a molte altre.
La strada verso novembre
Donald Trump non è nella posizione di poter attaccare chi fa parte dei Black Lives Matter. Il movimento ha ricevuto critiche in passato ma, ad oggi, un attacco significherebbe condannarsi alla sconfitta elettorale. Perché le minoranze crescono demograficamente. E perché Biden sfrutterebbe la dichiarazione come non mai. Meglio, allora, individuare un altro avversario: gli antifascisti. Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti si apprestano ad omologare le organizzazioni antifasciste alle organizzazioni terroristiche. La mossa è intelligente: non colpevolizza la comunità afroamericana ed individua un responsabile politicizzato e forse al centro delle rivolte scoppiate in queste ore. La strada verso novembre per Trump appare comunque in salita. Ma associare le proteste di questi giorni ad una presunta mala gestione trumpiana è un atteggiamento prettamente opportunista che poco ha a che fare con la realtà dei fatti.
Giulio Meotti
"A leggere i media indignati della volata elettorale ai Democratici, Obama che abbraccia le proteste, pezzi di establishment ipocriti che si inginocchiano, sembra che in America poliziotti bianchi razzisti si divertano ad andare in giro a sparacchiare a cittadini di colore disarmati. Vediamo i fatti.
- Ci sono 375 milioni di interazioni fra la polizia e i civili ogni anno in America
- 1004 persone sono rimaste uccise per mano della polizia nel 2019. Di queste, 235 erano di colore. E di questi, 226 erano armati.
- 9 cittadini di colore non armati sono stati uccisi dalla polizia l’anno scorso su una popolazione di 330 milioni.
Ognuna di queste vite è una sconfitta. Ma tale da giustificare la devastazione delle città? E il processo alla più antica democrazia del mondo? E le accuse di “razzismo sistematico”?
Come riferisce Heather Mac Donald in un articolo sul Wall Street Journal, i neri rappresentano un quarto del numero totale di persone uccise nelle sparatorie con la polizia ogni anno, un dato stabile dal 2015. La risposta è che questo 25 percento dimostra il razzismo poiché gli afroamericani sono il 13 percento della popolazione americana. Anche se ignoriamo il fatto che un numero sempre più crescente di agenti di polizia sono essi stessi afroamericani, la polizia non va in giro a cercare persone di colore a cui sparare. Ci sono state 7.407 vittime di omicidi di colore negli Stati Uniti nel 2018, l'ultimo anno per il quale sono disponibili i dati definitivi. I 9 uomini disarmati uccisi nelle sparatorie della polizia sono lo 0,1 per cento degli omicidi di colore. Mentre gli afroamericani sono coinvolti due volte di più nelle sparatorie della polizia di quanto sembrerebbe giustificare la loro percentuale totale, commettono il 53 percento degli omicidi e il 60 percento delle rapine - ben oltre il quadruplo della loro percentuale sulla popolazione. E di chi è la colpa? Del fatto che la vita, il sistema, è ingiusto? Forse. Ma 55 anni di programmi democratici nella lotta al razzismo e alla povertà non hanno aiutato. Né il fatto che tutte le città dove si svolgono le proteste, o Minneapolis dove è stato ucciso Floyd, sono feudo democratico praticamente da sempre.
Inoltre, le uccisioni di cittadini di colore da parte della polizia sono in calo e se ne registrarono di più sotto Obama. Ma a differenza dei partigiani liberal, dobbiamo dire che non è colpa di nessuno, nè di Obama nè di Trump.
Ma ora possiamo tornare a dare la colpa a Trump, a guardare Mississipi Burning, a pubblicare articoli sul Ku Klux Klan, a sognare la guerra razziale a colpi di marce e incendi per redimere la nostra società “malata”. Ma la vera malattia è nella testa di chi guarda, è l’idea che siamo razzisti e ingiusti e che dobbiamo pagare per quello che siamo."
Criminalità e propensione al crimine in base alla razza di appartenenza. Philippe Rushton
Alba Giusi
USA: GLI AFROAMERICANI SONO MENO DEL 13% DELLA POPOLAZIONE MA:
- Commettono il 53% degli omicidi;
- Commettono il 67% delle rapine;
- Commettono il 50% delle aggressioni;
- Gli omicidi commessi da donne sono per il 75% commessi da donne nere contro il 13% delle donne bianche;
Teniamo sempre presente che gli afroamericani sono solo il 13% !!!
Queste percentuali valgono più o meno a livello internazionale.
Il tasso della propensione alla violenza criminale per 100.000 abitanti è:
- Asiatici 35
- Europei 42
- Africani 149
E si vuole ridurre tutto al solo razzismo della più grande democrazia del Mondo!
Poniamocela qualche domanda. Le risposte ci sono ma i aubalterni media mainstream non ne parlano perché sarebbe politicamente scorretto e perché sarebbe troppo dannoso per la propaganda liberal-proressista-globalista che vorrebbe farci credere che è "tutto e sempre colpa del bianco e del sistema capitalistico occidentale".
Analizzare la realtà non è razzismo ma buon senso che ci aiuta a comprendere il problema e trovare una giusta soluzione. Ignorarla, o addirittura negarla a proprio vantaggio ideolocico, è pura ipocrisia!
Ricordiamo che il presente articolo è basato sugli studi condotti da Philippe Rushton e pubblicati nel libro “Race, Evolution, and Behavior”. L’autore dello studio utilizza il cosiddetto “modello a tre vie” mettendo a confronto i dati relativi a tre razze: bianchi, neri e orientali. Pertanto, tutte le statistiche sono state effettuate tenendo conto della razza di appartenenza del soggetto, secondo la suddetta classificazione.
Le statistiche relative alla criminalità
https://www.altreinfo.org/riflessioni/1 ... e-rushton/ Negli USA i neri sono meno del 13% della popolazione ma rappresentano il 50% degli arresti per aggressioni e omicidi e il 67% di tutti gli arresti per rapine. Il 50% delle vittime dei crimini riportano anche che i loro aggressori sono neri, perciò le statistiche non possono essere influenzate dai pregiudizi della polizia.
La maggior parte dei detenuti è di razza nera
I neri compongono una larga parte dei soggetti arrestati per rapine, crimine organizzato, frode. Circa il 33% di persone arrestate per frode, falsificazione, contraffazione e ricettazione e circa il 25% delle persone per appropriazione indebita è rappresentato da neri. I neri sono sotto-rappresentati solo in reati di un certo tipo, quali frode fiscale e violazioni titoli, che sono commessi da persone che hanno una professione altamente qualificata.
Dall’altra parte, gli orientali sono sotto-rappresentati nelle statistiche del crimine statunitense. Ciò ha portato qualcuno a convincersi che il “ghetto” asiatico protegge i loro membri dalle nocive influenze straniere. Per i neri, comunque, il ghetto rappresenta un modo per favorire l’illegalità; tuttavia una spiegazione solamente culturale non è sufficiente.
Gli omicidi commessi da femmine presentano percentuali più o meno simili. In uno studio riguardante gli arresti femminili, il 75% erano donne nere. Solo il 13% erano donne bianche. Nessuna donna asiatica figurava tra gli arresti. La spiegazione culturale per i tassi criminali dei maschi neri non si applica alle donne nere, dalle quali non ci si aspetterebbero comportamenti criminali analoghi a quelli dei maschi. Non c’è nessun modello culturale “gangster” presso le donne nere.
Lo stesso modello è verificabile in altri paesi. A Londra i neri sono il 13% della popolazione, ma sono responsabili del 50% dei crimini compiuti in quel paese. Nel 1996 una commissione del Governo in Ontario (Canada), ha riportato che i neri avevano una probabilità cinque volte maggiore di andare in carcere rispetto ai bianchi e 10 volte maggiore rispetto agli orientali. In Brasile ci sono 1,5 milioni di orientali, soprattutto giapponesi, gli antenati dei quali andarono lì come lavoratori nel 19° secolo. Questi sono i meno rappresentati nel crimine.
Le rielaborazioni statistiche dell’INTERPOL
La figura sotto riportata è basata sugli annuari dell’INTERPOL e mostra che questo modello razziale corrisponde a livello globale. I tassi di assassinii, stupri e di gravi aggressioni sono quattro volte più alti negli stati africani e in quelli caraibici rispetto agli stati asiatici e a quelli del Pacifico. Gli stati europei presentano tassi intermedi. Gli annuari del 1993-1996 dell’INTERPOL mostrano che il tasso di violenza criminale fra gli asiatici è di 35 per 100.000 persone, 42 per gli europei e 149 per gli africani.
Tasso di criminalità in base alle statistiche diffuse da INTERPOL
La situazione delineata può essere spiegata con fattori genetici e socio-culturali. Ad esempio, gli ormoni che procurano ai neri un vantaggio genetico in certi sport, danno loro irrequietezza a scuola e propensione al crimine. Le famiglie di origine dei neri sono molto più instabili rispetto a quelle dei bianchi e, soprattutto, rispetto a quelle degli orientali. Anche questo può generare scompensi di natura affettiva che sfociano in una maggior propensione al crimine. Non ultimo, la povertà e la disuguaglianza contribuiscono a determinare il livello di criminalità.
In ogni caso, qualunque sia l’approccio, i fattori genetici non possono essere trascurati.
Alcuni casi di studio
Sulla propensione alla violenza da parte dei neri, senza addentrarci sulle motivazioni, segnaliamo le seguenti notizie in cui media statunitensi riferiscono di alcuni “giochi” portati avanti dai neri a scapito di bianchi e asiatici. Le notizie risalgono al 2013, ma negli Stati Uniti questi eventi sono all’ordine del giorno e si ripetono continuamente.
Il New York Post : “Ecco il modo in cui si svolge il gioco, un certo numero di giovani neri decide di mostrare che si può abbattere qualche sconosciuto per strada, preferibilmente con un pugno, quando passano. Spesso, qualche altro membro del gruppo registra l’evento in modo che il video venga messo su Internet per essere celebrato”. Le vittime sono sempre bianchi e orientali.
A Washington DC, l’affiliata CBS ha riferito questa settimana che almeno due persone sono state vittime recenti del gioco ‘abbatti il bianco’. Ma la stazione non ha menzionato che tutte le persone coinvolte nel commettere il ‘gioco’ erano nere. La stazione inoltre non ha riferito che bianchi e asiatici in tutto il distretto sono soggetti a frequenti violenze di massa da parte dei neri sulle piste ciclabili, sui mezzi di trasporto pubblici, nei luoghi di intrattenimento, nei quartieri “gay” e quasi in tutto il resto, come documentato in “White Girl sanguinano molto: Il Ritorno della violenza razziale in America e come i media la ignorano“.
Dovremmo anche chiederci come mai i media ignorano la maggior propensione alla violenza che caratterizza i neri, al di là delle motivazioni.