Razzismo dei neri contro i bianchi

Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:28 pm

Il caso di Minneapolis e la sua strumentalizazzione politica da parte dei democratici (compresi i mussulmani e i clandestini) antitrump, che falsificano un evento tragico di cronaca nera (con forse una qualche responsabilità colposa della polizia) deformandolo in un fatto di discriminazione razziale così da poterlo usare come arma di propaganda contro il governo.
Oltretutto il capo della polizia di Minneapolis è un nero e il sindaco un democratico.


Afroamericano ucciso dalla polizia, occupato e incendiato commissariato a Minneapolis. Trump: "Se iniziano i saccheggi dobbiamo iniziare a sparare"
Terza notte di proteste dopo la morte di George Floyd. Chiamata la Guardia Nazionale. Il sindaco della città proclama lo stato di emergenza. La protesta si estende a Los Angeles e New York. Il presidente attacca i manifestanti: "Teppisti". E Twitter segnala un altro post del leader: "Viola le regole"
di ANNA LOMBARDI
29 maggio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 257880361/

Minneapolis brucia ancora. E ad ardere, adesso, c'è perfino un commissariato. Chiamare la guardia nazionale, almeno 500 uomini mobilitati, per ora non è bastato. Si fa sempre più violenta la protesta per la morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, soffocato lunedì dall'agente che lo aveva preso in custodia, dopo averlo fatto scendere dalla sua auto perché "sembrava drogato".

Insensibile ai suoi lamenti, l'agente Derek Chauvin, in 19 anni di carriera protagonista di numerosi altri episodi razzisti e violenti, ha continuato a premergli il ginocchio sul collo per 9 terribili minuti. Avevano tentato di farlo passare per un "problema medico". Poi è venuto fuori quel video girato con un cellulare dove si vede l'agonia di George. E la rabbia di Purple City, la città dove nacque (e morì) la star del rock Prince, è esplosa, secondo un copione già visto a Ferguson nel 2014, dopo la morte del diciottenne Michael Brown, l'episodio che ispirò il movimento Black Lives Matter.

L'episodio più grave è dunque quello del terzo distretto di polizia. Gli agenti avevano eretto una recinzione intorno alla loro sede, ma è stata abbattuta dalla folla, e mentre i poliziotti lasciavano l'edificio "nell'interesse della sicurezza personale", alcuni manifestanti sono riusciti a entrare, provocando diversi incendi anche all'interno. E ora si teme per armi ed esplosivi che erano lì dentro e che la folla potrebbe aver portato via mentre i loro compagni fuori intanto gridavano: "No Justice, No Peace" ("Nessuna pace senza giustizia"). Perché certo, i quattro poliziotti che hanno gestito l'arresto finito in tragedia sono stati subito licenziati. Ma sono ancora a piede libero mentre nei loro confronti si sta conducendo un'inchiesta. E sono in tanti a chiedersi il perché.

La protesta intanto si estende: a Los Angeles, a New York (40 arresti). E a Louisville, Kentucky. Dove ci si è decisi a chiedere giustizia pure per Breonna Taylor, infermiera afroamericana uccisa pochi giorni fa dalla polizia nel suo stesso appartamento dove gli agenti avevano fatto irruzione per errore.

Donald Trump è furioso. Nel pieno della pandemia e con l'economia a rotoli gli mancava solo la protesta antirazzista. E invece di cercare di placare gli animi, attacca tutti: i manifestanti, già bollati come "teppisti". Attacca pure il sindaco democratico di Minneapolis, Jacob Frey, nonostante gli 800 agenti già schierati: "Meglio che riporti al più presto la calma o farò intervenire l'esercito. Se iniziano i saccheggi noi dobbiamo iniziare a sparare", minaccia su Twitter. Sparare sulla folla. Come se di caos, in America, in questo momento, non ce ne fosse già abbastanza.

Ma lo stesso social network ha segnalato il post del presidente americano perché viola le regole di Twitter sull'esaltazione della violenza. "Questo tweet ha violato le regole di Twitter sulla esaltazione della violenza. Tuttavia, Twitter ha stabilito che potrebbe essere di interesse pubblico che il tweet rimanga accessibile", afferma l'avviso.



Twitter mette sullo stesso piano il Presidente degli USA con i criminali teppisti che saccheggiano e incendiano.

Twitter censura Trump: 'Esalta la violenza'
29 maggio 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... a396b.html

Twitter censura un tweet del presidente Usa Donald Trump, accusandolo di violazione dei propri standard sull''esaltazione della violenza'. Il presidente, parlando dei disordini per l'uccisione dell'afroamericano George Floyd, aveva scritto: "Non posso star qui a guardare quel che succede in una grande città americana, Minneapolis. Una totale mancanza di leadership. O il debolissimo sindaco di estrema sinistra Jacob Frey si dà una mossa, o manderò la Guardia nazionale per fare il lavoro che serve". Il tweet resta però visibile.

Il tweet presidenziale proseguiva così in una seconda parte: "... questi TEPPISTI stanno disonorando il ricordo di Goerge Floyd, e io non permetterò che accada. Ho appena parlato con il governatore Tim Walz e gli ho detto che le forze armate sono totalmente con lui. Se ci sono difficoltà, assumeremo il controllo, ma quando parte il saccheggio, si inizia a sparare. Grazie!". "Questo tweet viola le regole di Twitter sull'esaltazione della violenza - ha scritto il social network sulla pagina di Trump - Ma Twitter ha stabilito che è nell'interesse pubblico che resti accessibile". La censura avviene dopo che due tweet del presidente erano stati segnalati come contenuti aventi bisogno di 'fact-checking' di Twitter nell'ultima settimana, scatenando l'ira di Trump e di molti suoi sostenitori. In risposta, il presidente aveva firmato un ordine che mira a togliere alle maggiori reti sociali l'immunità legale per quello che scrivono i loro utenti.



Floyd, scontri e roghi a Minneapolis. Trump: "Inizieremo a sparare"
Gerry Freda - Ven, 29/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/us ... 1590741969

Le proteste in nome di Floyd, da Minneapolis, si stanno estendendo ad altre metropoli degli Stati Uniti e stanno divenendo sempre più violente

Negli Usa dilaga la protesta contro gli abusi della polizia ai danni degli afroamericani, con migliaia di persone scese in piazza in questi giorni in nome di George Floyd, il quarantaseienne nero ucciso di recente a Minneapolis durante un fermo di polizia, a causa di un agente inginocchiatosi sul collo del malcapitato.

Manifestazioni a sostegno dei diritti delle persone di colore si stanno succedendo non solo nella città in cui si è consumato l’omicidio, ma in tante altre metropoli del Paese, come New York e Denver, ma gli stessi cortei stanno purtroppo sfociando in esplosioni di violenza e saccheggi.

Sulla vicenda di Floyd ha preso posizione in questi giorni anche l’Onu, per bocca di Michelle Bachelet, Alto commissario per i diritti umani. L’ex presidente cilena ha infatti condannato l’assassinio di quell’uomo, ricordando contestualmente tutti i cittadini di colore, come Breonna Taylor ed Eric Garner, rimasti uccisi in questi anni negli Usa nelle medesime circostanze, ossia nel corso di controlli di polizia.

Sull’onda dello sconvolgimento emotivo provocato negli Stati Uniti dall’assurda morte consumatasi ultimamente a Minneapolis, manifestazioni su manifestazioni stanno riempiendo innanzitutto le strade della città in questione, ma, allo stesso tempo, stanno diventando sempre più pericolose per l’ordine pubblico. In base a quanto riporta La Repubblica, questa notte è stata segnata lì da tafferugli e devastazioni, con “centri commerciali devastati, auto in fiamme, strade invase dai lacrimogeni, collegamenti pubblici sospesi”.

Il culmine della rabbia delle persone scese in strada nella metropoli per gridare il nome di George Floyd si è quindi avuto quando queste hanno deciso di condurre un assalto a un commissariato della polizia locale. I facinorosi, dopo avere mandato in frantumi i vetri dell’edificio, sono alla fine riusciti a entrare nella sede del comando delle forze dell’ordine, abbandonandosi di conseguenza ad atti di vandalismo contro gli uffici degli agenti e concludendo il loro raid dando alle fiamme parte dello stesso commissariato.

Anche altri palazzi della zona sono stati incendiati dalla folla, costringendo i reparti anti-sommossa a sgomberare i violenti esplodendo contro di loro dei proiettili di gomma. Constatata la piega insurrezionale sempre più assunta dal movimento di protesta, il sindaco di Minneapolis Jacob Frey, citato dal giornale romano, ha dichiarato lo stato di emergenza, invocando l’aiuto delle autorità dello Stato del Minnesota per ripristinare l’ordine e la sicurezza in città.

All’appello di Frey, fa sapere la Cnn, ha immediatamente risposto Tim Walz, governatore dell’entità federata, provvedendo a schierare la Guardia nazionale per prevenire disordini ad opera degli attivisti scesi in strada.

Contro il sindaco si è scagliato Donald Trump, accusandolo, tramite Twitter, di “assoluta mancanza di leadership” nella gestione della sicurezza urbana.

I facinorosi di Minneapolis sono stati poi bollati dal presidente come “teppisti”. E il presidente si è detto pronto a usare il pugno di ferro.

Le contestazioni ai danni della polizia e le devastazioni, rimarca la testata, si stanno però estendendo a macchia d’olio in tutti gli Stati Uniti.

Ad esempio, a New York, centinaia di manifestanti hanno recentemente invaso le strade di Manhattan denunciando la sorte subita da George Floyd, per poi dare vita a un lancio di bottiglie e di altri oggetti contro le pattuglie delle forze dell’ordine che stazionavano davanti al municipio della Grande mela. Al termine di tali scontri, un manifestante è stato arrestato per possesso illegale di armi, altri per avere gettato in strada i bidoni della spazzatura e per avere bloccato la circolazione.

Un’analoga situazione critica, creatasi sempre durante un corteo organizzato per condannare gli abusi degli agenti nei riguardi degli afroamericani, è quella di Denver, in Colorado. Anche in tale metropoli la pacifica contestazione di piazza si è trasformata in breve tempo in una minaccia all’ordine pubblico, con diversi colpi di arma da fuoco sparati da parte di alcuni manifestanti e con dei blocchi stradali illegali messi su dai medesimi partecipanti ai cortei in ricordo di Floyd e di tutti i cittadini di colore uccisi dalle forze dell’ordine statunitensi.

Altre città interessate per il momento da proteste in strada e da sit-in polemici all’indirizzo delle violenze dei poliziotti sono Oakland, San Francisco e Chicago.




George Floyd, cresce la rivolta: commissariato incendiato a Minneapolis
Minneapolis, 29 maggio 2020
https://www.quotidiano.net/esteri/georg ... -1.5173322

Non accenna a placarsi a Minneapolis la protesta per la morte dell'afroamericano George Floyd. A Minneapolis è stata la terza notte di disordini. Un incendio è esploso all'esterno del commissariato degli ex agenti coinvolti nella morte di George Floyd (46 anni) e l'edificio, assediato dai manifestanti, è stato abbandonato. Un corteo ha marciato verso il centro della città chiedendo giustizia e scandendo slogan contro la polizia e Donald Trump. Non distante dal luogo in cui Floyd è stato soffocato, un gruppo di facinorosi ha tentato di assaltare un mall ma è stato respinto dai gas lacrimogeni della polizia.

Nella città americana si vivono ore di tensione massima: centri commerciali devastati, auto in fiamme, strade invase dai lacrimogeni, collegamenti pubblici sospesi. Il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey ha dichiarato l'emergenza locale, dunque chiedendo aiuto allo Stato, per riportare "l'ordine e la calma". E intanto la Guardia nazionale del Minnesota ha annunciato su Twitter la mobilitazione di oltre 500 dei suoi uomini, diretti a St.Paul e Minneapolis. "La nostra missione", si legge nel tweet, "è proteggere la vita, preservare le proprietà e il diritto a dimostrare in modo pacifico".

La polizia ha fermato la troupe della Cnn che stava coprendo i disordini a Minneapolis. E' la stessa Cnn, sul suo sito internet, a riportare la notizia.riferendo che il giornalista Omar Jimenez è stato preso in custodia dagli agenti, mentre stava facendo una diretta sul luogo delle manifestazioni, nonostante si fosse identificato come reporter. Tutta la troupe, compresi il producer e il cameraman, sono stati ammanettati. Successivamente sono stati rilasciati.

Disordini e New York

Ma la protesta dilaga anche nel resto degli States. Almeno 40 persone sono state arrestate a New York dove centinaia di persone sono scese in strada a Manhattan per protestare contro la morte di George Floyd ed esprimere la propria rabbia contro la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani. Momenti di tensione attorno a City Hall, la sede del municipio, dove c'è stato un lancio di bottiglie e di altri oggetti verso gli agenti. Ma la gente è scesa in piazza anche in altre cittaà degli Stati Uniti, da Memphis a Los Angeles. I procuratori hanno promesso un'indagine "rapida" pur di allentare la tensione.

Trump

Il presidente Usa, Donald Trump, ha twittato sulle violente proteste a Minneapolis, bollando come "criminali" le persone coinvolte e minacciando di inviare la Guardia nazionale. "Non posso sopportare di vedere quanto sta accadendo a una grande città americana, Minneapolis", scrive il capo della Casa Bianca, "una totale mancanza di leadership". E ancora il monito: "Quando comincia il saccheggio si comincia a sparare". Ancora una volta Twitter ha segnalato il tweet del presidente dicendo che il suo tweet "esalta la violenza". A Trumo risponde il sindaco di Minneapolis: "Donald Trump non sa nulla della forza di Minneapolis, supereremo questo momento difficile".


L'influenza di Trump sui poliziotti (razzisti) di Minneapolis
Massimo Teodori
29 maggio 2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/lin ... b68e067260

L’uccisione dell’afroamericano George Floyd arrestato dalla polizia di Minneapolis è l’ultimo episodio di una lunga serie di tragici abusi sui neri delle polizie locali che risalgono agli anni ’50 nella stagione dei diritti civili, alle rivolte dei ghetti negli anni ’60, ed a molti altri casi simili verificatisi nel mezzo secolo che è alle spalle.

Riflettiamo sui motivi profondi del comportamento della polizia in una metropoli del nord durante il mandato di Donald Trump, considerato, a ragione, “il primo presidente bianco” degli Stati Uniti, nel senso di essere stato portato a Washington dal massiccio voto dei bianchi, preoccupati dal crescente peso nella società americana delle minoranze di colore, nere e latinos.

Il presidente populista e nativista ha provocato una divisione senza precedenti tra “noi”, gli amici, e “loro”, gli estranei. Ha accentuato lo scontro razziale, ha lusingato i gruppuscoli dell’ultradestra anche neonazisti, ha esaltato al di là della Costituzione il diritto individuale a portare in pubblico le armi d’ogni tipo anche nelle scuole e negli edifici istituzionali, ha difeso ambiguamente i corpi di polizia locali indipendentemente dai loro comportamenti, e ha rafforzato nel partito repubblicano i Tea Party che costituiscono la sua principale base elettorale.

Intendiamoci, qui non confondiamo in maniera equivoca i comportamenti delle polizie locali con la politica presidenziale. Ma nell’epoca dei social che diffondono istantaneamente i tweet del presidente, anche quando veicolano fake news e idee ambigue, la compiacenza del leader federale influenza i comportamenti di coloro che nutrono sentimenti affini al modo di pensare del capo.

Il razzismo – o, meglio i comportamenti razzisti - è negli Stati Uniti un fiume carsico permanente dai mille rivoli. Può restare sotterraneo e apparire sporadicamente, oppure può eruttare improvvisamente rompendo gli argini che lo tengono a bada. Il Bill of Rights per gli individui e i Checks and Balances per le istituzioni sono gli argini; le tendenze illiberali dei leader politici, a cominciare dal presidente, provocano strappi nella superficie che contiene il razzismo.

A noi pare che la politica di Trump sia stata orientata proprio nella direzione della rottura degli argini legali e abbia così assottigliato lo Stato di diritto. Non stiamo enunciando la teoria della “responsabilità oggettiva” che è un’idea lontana dalla cultura di chi scrive. È solo una riflessione nutrita da senso storico sulla vicenda americana dell’ultimo secolo.




Caso George Floyd, la polizia spara contro gli abitanti a Minneapolis | Un manifestante morto a Indianapolis
31 maggio 2020

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/m ... 002a.shtml

A Minneapolis gli agenti in assetto antisommossa hanno fronteggiato i manifestanti che sfidavano il coprifuoco protestando per la morte di George Flyod, lanciando lacrimogeni e granate stordenti per tenerli lontani dalla caserma di polizia numero 5, riferiscono i media Usa. Nei giorni scorsi i dimostranti avevano dato alle fiamme la caserma numero 3.

La polizia ha arrestato quasi 1.400 persone in 17 città Usa da quando sono iniziate le proteste che sono continuate per tutta la notte. In tutto sono tre le vittime dall'inizio delle proteste. Solo a New York tra sabato e domenica sono state arrestate 345 persone e nei disordini 33 agenti sono rimasti feriti e 47 mezzi della polizia sono stati danneggiati o distrutti.

Polizia per strada, partono spari all'indirizzo di abitanti a Minneapolis Un video pubblicato su Twitter mostra la polizia che spara contro gli abitanti che stavano filmando l'arrivo degli agenti, in tuta antisommossa, intervenuti per far garantire il coprifuoco. Dalle immagini si vedono i poliziotti che prima gridano contro i residenti: "Entrate dentro"; poi che sparano a chi non esegue l'ordine.

E proprio a Minneapolis il corpo senza vita di un uomo è stato trovato vicino ad un'auto bruciata dai vigili del fuoco che hanno spento le fiamme. Non è ancora chiaro se l'episodio sia legato alle proteste per la morte di George Floyd.

Donald Trump, parlando da Cape Canaveral, ha definito la morte di George Floyd "una grande tragedia" e ha difeso "il diritto a manifestare pacificamente" ma ha condannato le violenze e il caos attribuendoli al movimento Antifa e alla sinistra radicale. "La mia amministrazione fermerà la violenza di massa", ha promesso. La memoria di Floyd è stata "disonorata da rivoltosi, saccheggiatori e anarchici", ha aggiunto, lanciando un appello per la "riconciliazione, non l'odio, per la giustizia, non il caos".

Il candidato alla presidenza americano Joe Biden ha condannato la violenza delle proteste scoppiate negli Usa, sottolineando tuttavia che gli americani hanno diritto di manifestare. "Protestare contro tale brutalità è giusto e necessario. È una risposta assolutamente americana - ha dichiarato - ma incendiare le comunità e distruggere inutilmente non lo è. La violenza che mette in pericolo la vita non lo è. La violenza che distrugge e chiude le attività che servono alla comunità non lo è".

Un giornalista dell'Huffington Post, Chris Mathias, è stato preso in custodia dalla polizia mentre seguiva le proteste contro il razzismo a New York City e poi rilasciato. Lo riferisce la stessa testata. Il cronista è stato rilasciato intorno all'una del mattino del 31 maggio dopo essere stato portato al distretto di polizia di Brooklyn.

A Jacksonville, in Florida, un poliziotto è stato "pugnalato o ferito al collo ed è attualmente in ospedale". Lo ha riferito lo sceriffo di Jacksonville Mike Williams, citato da Cnn. Altri agenti sono stati attaccati durante le proteste con pietre e mattoni e diverse persone sono state arrestate.

New York, in un video polizia investe manifestanti - La polizia di New York sta indagando su un video che mostra una camionetta della stessa polizia mentre investe una folla di manifestanti. Lo riferisce la Cnn. Il video, pubblicato su Twitter, mostra l'auto ferma di fronte a un gruppo di persone che lanciano oggetti contro il veicolo, davanti al quale c'era una transenna. Poi la macchina cerca di sfondare la barriera protettiva e investe alcune persone. Il sindaco Bill de Blasio ha dichiarato che l'incidente è sotto inchiesta, ma ha sottolineato che gli ufficiali potrebbero non aver avuto altra scelta.

Legale famiglia Floyd: omicidio premeditato Quello di George Floyd è stato un "omicidio premeditato": lo ha detto alla Cbs Benjamin Crump, l'avvocato della famiglia, che non condivide l'accusa di omicidio colposo per l'agente Derek Chauvin. "Pensiamo che avesse l'intenzione... ha tenuto per quasi nove minuti il suo ginocchio sul collo di un uomo che implorava di respirare e per quasi tre minuti dopo che aveva perso conoscenza. Non capiamo come non sia un omicidio di primo grado", ha spiegato, chiedendo inoltre come mai non siano stati arrestati anche gli altri tre agenti.




Stati Uniti nel caos, ancora rivolte per morte George Flyod
Federico Garau - Dom, 31/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/st ... 1590922084

Un'altra notte difficile negli Stati Uniti, dove in almeno 25 città è stato dichiarato lo stato di emergenza ed è intervenuta la guardia nazionale. Fino ad ora sono 1400 le persone arrestate per i tumulti, 13 gli agenti di polizia rimasti feriti e 3 i morti in totale

Si è ormai abbattuta un'implacabile bufera sugli Stati Uniti d'America. Per il quinto giorno consecutivo, infatti, lungo le strade di numerose città si sono registrati contestazioni e violenti scontri fra le forze dell'ordine e gruppi di manifestanti scesi a protestare a causa della morte del 46enne afroamericano George Flyod.

Che l'evento avrebbe portato gravissime conseguenze era stato evidente fin dai primi istanti succeduti al decesso dell'uomo. Fermato da quattro poliziotti la sera dello scorso 25 maggio in una strada di Minneapolis, la Chicago Avenue South, Flyod era stato atterrato dagli agenti, sicuri che si trovasse in uno stato di alterazione psicofisica per l'assunzione di sostanze stupefacenti. Con il ginocchio di uno dei poliziotti premuto sul collo, il 46enne aveva inutilmente tentato di liberarsi, implorando gli uomini in divisa di spostarsi e permettergli di respirare. A nulla, tuttavia, erano servite le sue suppliche. Flyod è deceduto durante le fasi di arresto, secondo l'opinione di molti proprio a causa dell'asfissia.

Le prime tensioni si erano registrate proprio dinanzi agli uffici del Minneapolis Police Department, con una folla inferocita riunitasi per manifestare contro la violenza mostrata dagli agenti. Nonostante il licenziamento immediato dei 4 poliziotti, il malcontento generale non si è tuttavia placato, ed in questi giorni è letteralmente esploso.

La scena di un agente bianco che si accanisce su un uomo di colore disarmato ha scatenato una reazione di proporzioni colossali, soprattutto nella comunità afroamerica, che ha visto riaprirsi vecchie e mai sanate ferite.

Dai cartelli provocatori “Black Lives Matter”, “I can’t breathe” e “Hands up, don’t shoot!” si è presto passati ai disordini veri e propri, che hanno interessato non solo Minneapolis ma numerose città degli Stati Uniti, tanto da costringere a blindare la stessa Casa Bianca.

Sarebbero almeno 30 le città in rivoltà, perché di rivolta si tratta. Sono stati incendiati cassonetti, edifici e diverse auto appartenenti alla polizia; vetrine di negozi sono andate in frantumi, ed in alcune zone sono state erette delle barricate. Non in tutte le località si sono registrati scontri particolarmente violenti, ma la gravità della situazione ha costretto le autorità a proclamare il coprifuoco in almeno 25 città, fra cui Philadelphia, Atlanta e Los Angeles. In alcuni casi la furia dei manifestanti ha portato alla mobilitazione della guardia nazionale.

Secondo quanto riportato dalla Cnn, la scorsa notte ben 13 agenti di polizia sono rimasti feriti nel tentivo di contenere le proteste. Ad Indianapolis si è verificata una sparatoria, ed una persona ha perso la vita. Un morto ad Oakland, dove è stato ucciso un agente di sicurezza federale. Ed una vittima anche a Detroit, vale a dire un giovane di 19 anni, crivellato dai proiettili esplosi contro la folla da un'auto in corsa. Fino ad ora sono circa 1400 le persone in stato di arresto, e si sono registrati disordini persino dinanzi alla Casa Bianca. Nonostante gli sforzi della polizia, le proteste non si sono in alcun modo placate. Pare che anche il Pentagono abbia messo a disposizione delle forze armate.

Una crisi di proporzioni colossali negli Stati Uniti, già impegnati a gestire l'emergenza sanitaria scatenata dal Coronavirus.

A manifestare insieme agli afroamericani moltissimi bianchi, che si sono uniti al movimento; la comunità Amish, ad esempio, ha fatto sapere di essere dalla parte dei contestatori.

Notizie sono arrivate anche questa mattina, dopo l'ennesima notte di proteste. Il dipartimento di polizia di Ferguson (Missouri) è stato preso di mira e danneggiato, tanto da costringere tutto il personale ad evacuare. Molti negozi sono stati chiusi, fra i quali “Target”, che ha temporaneamente serrato ben 175 punti vendita. A Jacksonville (Florida), un agente è stato "pugnalato o ferito al collo” e si trova ricoverato in ospedale, come riferito dallo sceriffo Mike Williams nel corso di una conferenza stampa.

A commentare la situazione degli Stati Uniti il candidato democratico Joe Biden.“Protestare tale brutalità è giusto e necessario", ha dichiarato, come riportato dalla Cnn. “Ma bruciare le comunità e distruggere inutilmente non lo è. La violenza che mette in pericolo la vita non lo è. La violenza che distrugge e chiude le attività che servono la comunità non lo è”, ha aggiunto.

Pugno duro da parte del presidente Donald Trump, preoccupato per la sicurezza dei cittadini. Secondo il capo dello Stato e lo stesso governatore del Minnesota, nascosti fra i manifestanti ci sarebbero degli infiltrati. Soggetti che starebbero fomentando la rabbia dei protestanti, servendosene per scatenare il caos negli Stati Uniti in vista delle prossime elezioni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:29 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:29 pm

Il male sinistro internazi comunista e nazi maomettano in azione




ANARCHIA ORGANIZZATA
Niram Ferretti
1 giugno 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"Un uomo di colore viene arrestato e ucciso in un atto di violenza atroce mentre è ammanettato e indifeso. Tre colleghi, nelle immediate vicinanze del poliziotto assassino, osservano il crimine, ascoltano l'uomo di colore che implora e non fanno nulla per fermarlo. Per i successivi giorni orde inferocite mettono a ferro e fuoco le città americane, saccheggiando negozi, bruciando edifici, macchine della polizia e bandiere americane e persino uccidendo persone sul loro cammino. La giustificazione offerta per la loro violenza e e i loro atti criminali è che stanno protestando contro un sistema razzista - o nelle pittoresche parole del senatore Bernie Sanders, "Un sistema grottesco di razzismo radicato e disparità economica che ora più che mai ha bisogno di essere abbattuto". Questi attacchi all'America sono ciò di cui ci stanno realmente parlando le rivolte. Il "sistema grottesco di razzismo radicato" di Sanders è una fantasticheria di sinistra che alimenta la rabbia dei rivoltosi e la loro violenza, la quale è diretta non solo contro gli americani bianchi ma anche contro gli americani di colore ai cui quartieri, centri commerciali e attività commerciali i compagni di Sanders sono lieti di appiccare il fuoco".

Così comincia il lungo editoriale di David Horowitz su Frontpage Magazine.

L'omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto brutale, una mela marcia del corpo di polizia, è diventato il pretesto per azioni coordinate di violenza urbana ben manovrate in cui si sono inseriti gruppi di estrema sinistra come "Black Life Matters" e "Antifa".

Il loro scopo, dietro sigle roboanti e strumentali, è quello di generare il caos e di mantenerlo in vita il più a lungo. Si tratta di delinquenti comuni, di teppisti travestiti da "social warriors" e che hanno in personaggi come Bernie Sanders, ammiratore di Castro e Chavez, ottimi fiancheggiatori.

La risposta del governo non può che essere ferma.

Il Procuratore Generale William Barr ha dichiarato:

"Sfortunatamente, con le rivolte che si stanno verificando in molte delle nostre città in tutto il paese, le voci delle proteste pacifiche vengono dirottate da violenti elementi radicali. In molti luoghi sembra che la violenza sia pianificata, organizzata e guidata da gruppi estremisti di estrema sinistra e gruppi anarchici che usano tattiche simili all'Antifa".

Stiamo assistendo a una concertata manovra il cui scopo ultimo è quello di colpire la presidenza Trump, nonostante il fatto che Minneapolis, la città dove è avvenuto l'episodio sia un feudo democratico, nonostante il fatto che Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd, fosse stato mantenuto al proprio posto malgrado si sapesse che era un poliziotto molto problematico, dal capo della polizia di Minneapolis, che è di colore.

La strategia progressista in atto da quando Trump fu eletto, è stata quella della demonizzazione costate della sua persona, della manipolazione e deformazione della realtà atta a fare credere che il responsabile di tutto ciò che di negativo accade negli Stati Uniti sia lui.

La società che i Sanders hanno in mente, la società che i Soros hanno in mente (e Soros è tra i finanziatori di Antifa e Black Life Matters), più "equa", "libera", "umana", è la fantasia degli utopisti senza scrupoli per i quali, il venire in essere di un mondo irrealizzabile, che in realtà altro non è se non il loro modello di mondo giusto (e sappiamo che regimi modello abbia saputo indicare Sanders), si deve, all'occorrenza anche servire di estremisti e delinquenti.




Per colpire Trump usano pure l'omicidio di Floyd
Michael Sfaradi
1 giugno 2020

https://www.nicolaporro.it/per-colpire- ... -di-floyd/

Ho aspettato un poco prima di esprimermi sull’omicidio che si è consumato a Minneapolis e, anche se per lavoro spesso mi sono trovato davanti a scene di violenza e ho visitato siti di attentati terroristici a distanza di pochi minuti dai fatti, sinceramente non riesco a guardare la fotografia di Derek Chauvin, il poliziotto assassino, che sta uccidendo George Floyd a sangue freddo e, come si è venuto a sapere dopo, anche per futili motivi.

Ciò che fa male nel guardare quell’immagine, almeno nell’anima di chi ha un cuore e che sente dentro sé il valore immenso della vita umana, oltre alla disperazione della vittima è la postura dell’assassino. Gli occhiali da sole ben poggiati sulla fronte e, addirittura, una delle mani nelle tasche dei pantaloni come se mentre uccideva, o almeno procurava la morte un altro essere umano, Derek Chauvin si stesse riposando. Secondo il Coroner del Dipartimento di Polizia di Minneapolis, l’autopsia su George Floyd ha accertato che ‘non ci sono elementi fisici che supportano una diagnosi di asfissia traumatica o di strangolamento’, pertanto, secondo i risultati dei primi esami sul corpo, la vittima non è morta né per asfissia né per strangolamento. Secondo quanto si legge nel referto, ‘gli effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia e le sue preesistenti condizioni di salute (ipertensione arteriosa e problemi coronarici) con potenziali sostanze tossiche dallo stesso ingerite o auto-iniettate hanno contribuito alla sua morte’.

Come dire che se l’era cercata e che un ginocchio sul collo per ben nove minuti, durante i quali l’uomo, prima di morire, aveva più volte ripetuto di non riuscire a respirare, siano stati per la vittima, e questo lo scrivo io, una vera passeggiata di salute. Se Derek Chauvin anziché tenere quella mano comodamente in tasca l’avesse usata per immobilizzare il fermato senza causare danni, oggi George Floyd sarebbe ancora vivo e starebbe scontando la vera pena per ciò che aveva fatto. Ma le considerazioni sugli eventi vanno fatte a mente fredda, con la logica del cervello e non con le emozioni del cuore e, vagliando i fatti, il ragionamento porta a varie considerazioni.

La prima è che la responsabilità penale ricade sull’assassino e sui suoi complici, gli altri agenti che sono rimasti a guardare, che dovranno essere giudicati e, se riconosciuti colpevoli, condannati pesantemente in modo che ogni altro agente di polizia, di Minneapolis o del resto del mondo, capisca che non si può uccidere impunemente e senza motivo. Anche perché, oltre al filmato girato dalla passante che ha ripreso gli ultimi istanti della vita di George Floyd, nel quale si sente la vittima implorare per poter respirare, esistono anche le riprese di una telecamera di sicurezza di un locale dove si vede chiaramente, al contrario di ciò che hanno dichiarato gli agenti implicati, che non c’è stata nessuna resistenza al fermo.

È necessario inoltre sottolineare che in passato l’agente indagato si era già reso protagonista di dubbi episodi di violenza, tra cui l’uccisione di una ventunenne con due colpi di pistola all’addome che, secondo la sua deposizione, l’avrebbe aggredito. Lo stesso agente non era mai stato rimosso dall’incarico, né dal capo della polizia (afroamericano) né dal sindaco. Purtroppo le violenze di questo tipo fra polizia e parte della popolazione civile non sono un’eccezione, basterebbe leggere le cronache cittadine per capire che aria tira in certe città americane, per la precisione in certi quartieri di molte città americane.
Qualche volta, spesso proprio quando ci sono elezioni politiche all’orizzonte, queste violenze, che mettono le città a ferro e fuoco, cosa che è successa anche questa volta e che ha richiamato in strada i peggiori delinquenti che, oltre a scontrarsi con la polizia e la Guardia Nazionale, hanno dato il via a saccheggi portando i proprietari degli esercizi commerciali a difendere, anche con le armi, i loro negozi e magazzini.

A quel punto la spirale di violenza si completa ed è difficile riportare la calma, anche perché dietro al caos che si crea in queste occasioni, inutile nasconderlo, ci sono interessi di chi ama pescare nel torbido. La polizia ci mette del suo in comportamenti che vanno stigmatizzati, anche se essere poliziotti in certi distretti è oggettivamente difficile e la calma, a volte, diventa merce rara. L’arresto di una troupe della Cnn è stato il segnale di quanto sia facile mandare in corto il fusibile della pazienza. Ma le rivolte, e poi i saccheggi che si sono susseguiti e allargati a macchia d’olio anche ad altre città non coinvolte con i fatti, sono, sicuramente, il frutto di una programmazione tesa a provocare disordini che vanno oltre la legittima protesta, disordini che rendono ancora più difficile dare giustizia a George Floyd, la vera vittima.

Disordini strumentali che servono solo a mettere in difficoltà una parte politica e non è escluso che dietro ciò ci sia lo zampino dei “Black Lives Matter”, organizzazione “spontanea” che nelle intenzioni dovrebbe difendere le persone di colore dalla violenza della polizia, ma che, di fatto, come questa volta, esce allo scoperto solo sotto elezioni.




Giulio Meotti
1 giugno 2020

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 7270900864


Spaventose le immagini dall’America in fiamme dopo la morte di George Floyd: linciaggi di bianchi, banche e negozi assaltati in tutto il paese, coprifuoco, chiese e statue che bruciano, anziane signore pestate perché difendevano il proprio negozio. Ma la tragica morte di Floyd da parte di un ufficiale di polizia non è la vera ragione che ha portato a una tale crisi. Il poliziotto sconterà molti anni di carcere e il presidente americano ha condannato quanto è successo. Che altro doveva succedere in un paese democratico? E contro quello che vi dicono i media, l’America è meno, non più razzista. Ci sono stati due mandati del primo presidente di colore, ci sono corsie preferenziali per le minoranze nelle università e nel lavoro, si censurano persino vecchi romanzi come “Le avventure di Huckleberry Finn” in odore di razzismo e usare termini offensivi in pubblico contro le minoranze è sinonimo di morte sociale. Stiamo invece assistendo alla violenta scomparsa della vecchia America della parsimonia, della temperanza, della civiltà, della moderazione. La sinistra ha rinunciato al liberalismo, al dialogo e al dissenso per passare a una spietata politica basata sull'identità razziale e sessuale che ha travolto tutto. Sicuramente i toni di Trump non hanno aiutato e in generale il consenso oggi è come se si fosse spostato dalla vecchia e benedetta responsabilità dell'individuo all'idea che la società è responsabile di tutti i mali. Per anni i media e le università hanno detto che i neri erano oppressi e che la loro rabbia era legittima. Ora l'America raccoglie nelle strade quello che è stato seminato in anni di rancore. Assistiamo inoltre alla distruzione culturale di una società, l'individualismo ha privato la società delle vecchie relazioni che un tempo davano senso all'identità collettiva, i punti di riferimento (chiesa, comunità…) sono in crisi e quel che resta è la guerra di tutti contro tutti come in un videogioco e in un gigantesco campus. Oggi un ragazzo americano è più facile che abbia in casa un televisore che non un padre. Distruggi la figura del padre, dissolve la famiglia, decostruisce la scuola, priva l'essere umano della dimensione religiosa e gettalo in una condizione di puro consumismo senza i legami che ci rendono meno vulnerabili al male e alla violenza, fomentando una volgare ed esibizionista cultura basata su una sorta di colpa collettiva...E avrai le fiamme. Abbiamo coltivato il desiderio di trasgredire, di distruggere, di spazzare via “il sistema”. Il mondo intero doveva finire prima o poi nella pattumiera, diventare "trash". E questa violenza senza precedenti si innesta in un tessuto sociale fortemente devastato da 100mila morti per la pandemia e dalla prospettiva di una crisi economica senza precedenti. Stiamo perdendo la vecchia America. La rimpiangeremo.


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Cos’è il caso George Floyd e perché infiamma l’America
l’omicidio dell’afroamericano a minneapolis
Il quaranteseienne nero ucciso da un poliziotto bianco diventa il simbolo del razzismo contro i neri mai estirpato nel Paese
a cura di Angela Manganaro
L’America brucia, coprifuoco in 40 città

https://www.ilsole24ore.com/art/cos-e-c ... ca-ADFJueU

La sera del 25 maggio George Floyd va a comprare un pacco di sigarette nel solito negozio di Minneapolis ma porge all’impiegato una banconota da 20 dollari falsa, l’impiegato se ne accorge e chiama il 911. La polizia arriva. Uno dei poliziotti, Derek Chauvin, ferma l’uomo, lo blocca, si accanisce, per 8 minuti spinge il suo ginocchio contro il petto di Floyd che ripete “non riesco a respirare”, il poliziotto non si ferma, Floyd muore. Il tutto è ripreso con i telefonini dei testimoni, il video finisce sul web, esplode il caso, poi la protesta, si riempiono le piazze contro la polizia e Trump, l’America è in rivolta, torna il grido di questi ultimi anni “Black lives matter”, le vite nere contano.

Chi era e cosa è successo a George Floyd

George Floyd aveva 46 anni ed era nato a Houston, in Texas, viveva da molti anni a Minneapolis dove lavorava come buttafuori, ma negli ultimi mesi, come milioni di americani, era rimasto senza lavoro a causa del coronavirus. Floyd andava spesso in quel negozio, era una faccia conosciuta ma quella sera alla cassa non c’era il proprietario, Mike Abumayyaleh, ma un ragazzo che non conosceva Floyd e che ha seguito la procedura in questi casi, chiamare la polizia. Era ubriaco, ha poi detto il ragazzo. Floyd avrà pure bevuto ma non era pericoloso: secondo le ricostruzioni grazie anche ai telefonini dei testimoni, Floyd cerca di discolparsi e resiste blandamente alle manette, ormai ammanettato si ribella quando cercano di portarlo via con la volante della polizia, alcuni poliziotti cercano di convincerlo, lui grida “sono claustrofobico”, la situazione non è ancora fuori controllo finché non interviene Chauvin: in otto minuti, quello che era una resistenza a un pubblico ufficiale per aver tentato di usare una banconota falsa, diventa un 0micidio mentre Floyd in manette e col ginocchio di Chauvin pressato sul collo supplica “please, please, please”.

Cosa sta succedendo in America
Dal 25 maggio, molta America dimentica lockdown e cautele antipandemia e si riversa in strada a manifestare. “I can’t breathe”, il “non riesco a respirare” pronunciato da Floyd diventa il nuovo slogan contro la polizia stampato sulle mascherine anti-coronavirus.

Negli ultimi anni Ferguson, New York, Baltimora, a cui Prince ha dedicato una canzone citando altre due vittime afroamericane della polizia, Gray e Brown, sono state le città centro e simbolo della protesta anti-razzista, di scontri violenti con la polizia e di marce pacifiche come ora lo è Minneapolis, dove alcuni violenti bruciano palazzi, la maggioranza manifesta pacificamente, i Boogaloo Boys, gli estremisti di destra si infiltrano e scatenano il caos, denuncia il governatore del Minnesota.

A una settimana dall’omicidio Floyd, la protesta è degenerata in violenza e 40 città reduci dal lockdown hanno ora dichiarato il coprifuoco. Sul suo profilo Instagram, la giovane deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez pubblica un manuale per manifestare in sicurezza, mixando la mascherina per proteggersi dal coronavirus e gli occhiali per ripararsi dai lacrimogeni sparati dagli agenti.


???

Il peccato originale degli Stati Uniti: la questione razziale – Articolo21
di: Paola Barretta
1 giugno 2019

https://www.articolo21.org/2020/06/il-p ... -razziale/

Giunti al sesto giorno di manifestazioni e di proteste in diverse città degli Stati Uniti, ripercorriamo le scelte e le dichiarazioni del Presidente Donald Trump, a partire dal tweet “quando iniziano i saccheggi, si inizia anche a sparare”, solo successivamente smentito in parte.

Il tweet “When the looting starts, the shooting starts” viene da una dichiarazione del capo della polizia di Miami nel 1967 e poi dalla campagna elettorale di George Wallace, governatore dell’Alabama nel 1968. All’epoca i democratici del Sud erano segregazionisti e quindi Wallace nel 1968 fece una campagna molto intensa, mietendo successi proprio nella base elettorale di Trump: maschi bianchi senza laurea delle zone industriali del Midwest. Siccome il ‘68 era il ‘68 e c’erano rivolte spontanee nei ghetti neri, Wallace pronunciò la frase “quando cominciano i saccheggi, si comincia anche a sparare”, intendendo che fosse la polizia a sparare. Una citazione riportata anche nel libro “The Politics of Rage: George Wallace, the Origins of the New Conservatism, and the Transformation of American Politics”, di Dan T. Carter, in cui si racconta la storia di questo linguaggio violento, oggi resuscitato da Trump.

Quali sono gli antecedenti della politica di Trump?

Innanzitutto bisogna ricordare che Trump aveva sfruttato le pulsioni razziste della società americana in maniera massiccia già molto prima di candidarsi alla presidenza. In particolare bisogna ricordare due episodi: il primo che risale alla fine degli anni Novanta, un episodio criminale che viene ricordato come “Il caso della jogger di Central Park”. Cinque persone avevano attaccato brutalmente una giovane donna, bianca, mentre faceva jogging; erano stati subito arrestati cinque ragazzi neri che immediatamente i giornali avevano identificato come il “branco”. Trump era sceso in campo in prima persona, comprando numerose pagine di pubblicità sui quotidiani cittadini, chiedendo la pena di morte per i cinque (ricordiamo che nello Stato di New York è stata abolita la pena di morte). I cinque sono stati in galera una dozzina di anni e, a distanza di tempo, si è scoperto che erano innocenti e sono stati liberati. Il secondo episodio risale alla presidenza Obama, Trump fu tra coloro che cavalcarono l’ipotesi cospirazionista che Obama non fosse nato alle Hawaii ma in Kenya, come il padre, quindi non candidabile perché la Costituzione specifica che per diventare presidente occorre essere nati negli Stati Uniti. Questo per quanto riguarda il passato ma sappiamo che Trump aveva già usato questa retorica incendiaria in varie occasioni: nel primo anno di presidenza aveva definito “bravi ragazzi”, i partecipanti a una riunione di estrema destra, passata alla cronaca per l’uccisione di una ragazza, Heather Heyer, investita dalla macchina di un suprematista bianco, mentre stava marciando nella contromanifestazione. Ci interessa poco se questa retorica corrisponda o meno alle sue convinzioni profonde, ci interessa capire il suo scopo, che oggi è quello di attivare la base repubblicana, ovvero mobilitare i fedelissimi del partito. Uno dei motivi per cui i repubblicani, abbastanza spesso, vincono le elezioni è che hanno una base elettorale più anziana e bianca oltre che benestante, tre caratteristiche che contribuiscono a stimolare la partecipazione elettorale. Mentre la base democratica è tendenzialmente giovane, rappresentante delle minoranze etniche e a basso reddito, tre caratteristiche che deprimono la partecipazione. Gli over 65 anni votano all’80%, gli under 35 attorno al 25%.

Sull’arresto del giornalista della Cnn non vi sono stati commenti dalla presidenza

No, anche se poche ore dopo l’arresto, il Dipartimento di Polizia di Minneapolis ha fatto immediatamente marcia indietro scusandosi per l’accaduto. Sembra che al fianco del giornalista Jimenez che è stato arrestato, ci fosse un altro giornalista della Cnn, bianco che non è stato fermato.

Quanto è probabile il rischio di un conflitto civile?

I conflitti sono endemici nella società americana ma l’argomento di “Law and Order” è una carta elettorale molto usata. Nel 1988 Bush padre che si presentava come vice di Reagan costruì la sua campagna elettorale sui permessi ai detenuti in Massachusetts, da cui proveniva il suo avversario Michael Dukakis, perché un detenuto in permesso aveva stuprato e ucciso una ragazza bianca. L’effetto pratico fu che la campagna televisiva con il video dell’omicida ebbe un grande successo, Bush vinse e da allora per i repubblicani quella di fare le campagne contro i delinquenti e contro la droga è stata un’arma fondamentale nei momenti di elezioni. È assolutamente probabile che Trump voglia usare quest’arma. Questo si aggiunge alla confusione creata dalla pandemia, una distrazione dal Covid 19, che ha fatto finora circa 100 mila morti. Un’estate di rivolte sarebbe una buona cosa per Trump. Bisogna vedere se e quanto durano le manifestazioni.

La questione razziale emerge al centro del dibattito pubblico e mediatico, mai scomparsa ma tenuta ai margini dell’agenda politica

La questione razziale è il peccato originale degli Usa, basterebbe ricordare il fatto che la guerra di secessione è finita nel 1865 con la vittoria militare del Nord però chi ha vinto politicamente la pace è stato il Sud che per altri cento anni ha mantenuto in piedi la segregazione degli afro-americani, fino al 1965. Gli afro-americani hanno cominciato a votare nel 1965 e i repubblicani, a tutt’oggi, fanno del loro meglio per non far votare le minoranze etniche.

E a proposito del razzismo della polizia americana?

La polizia americana è universalmente razzista. A New York, per esempio, città democratica la polizia era e rimane fortemente razzista. Anche di recente ci sono stati casi clamorosi, a fine degli anni novanta il caso di un immigrato di origine eritrea che è stato arrestato, morto dopo i maltrattamenti in commissariato mentre era in custodia, e un caso più recente, nel 2014, quello di Eric Garner, strangolato in modo simile a quanto avvenuto a Minneapolis perché vendeva sigarette di contrabbando. Episodi di brutalità che vengono tollerati, innanzitutto perché i sindacati della polizia sono potentissimi, c’è un’omertà fortissima, i magistrati ovviamente hanno bisogno della polizia e vogliono mantenere buoni rapporti. Il procuratore di Minneapolis ha annunciato di aver accusato l’agente Derek Chauvin di omicidio di terzo grado, il nostro omicidio preterintenzionale; è un modo per calmare gli animi ma occorre prima il parere di un Gran Giurì e poi, se si andrà a processo, non è detto che il poliziotto venga effettivamente condannato. La Corte Suprema riconosce quasi sempre l’immunità ai poliziotti violenti purché abbiano agito in buona fede. Naturalmente tutti i poliziotti dicono che si “sentivano minacciati”. Anzi, il New York Times sottolinea che a partire dal 2005 i tribunali hanno mostrato una tendenza tendenza a concedere ai poliziotti un uso della forza più frequente e più violento. Circa 1000 persone vengono uccise negli Usa ogni anno, con una maggioranza di neri e ispanici, cosa a cui concorre una militarizzazione crescente della polizia.

Gli Stati Uniti riusciranno a risolvere la questione razziale? E come?

Ci vuole una maggioranza culturale e politica che voglia mettere fine a questi abusi e invece questa maggioranza non c’è mai stata. Prima occorre che si rinunci all’ossessione per la tutela della proprietà che la polizia garantisce alle classi benestanti. I media hanno una grande responsabilità nella percezione dei reati, e soprattutto nella “criminalizzazione” di violazioni che noi consideriamo minori, come il contrabbando di sigarette, o il viaggiare in autobus senza biglietto, o il bere alcolici per strada: tutti comportamenti che negli Stati Uniti sono non solo stigmatizzati ma danno origine a processi penali e condanne.

Pubblicato originariamente sul sito di Carta di Roma
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:31 pm

George Floyd, Trump attacca i governatori: "Se non fate arresti siete degli idioti". Obama: "Manifestanti meritano rispetto". Tre morti e 4mila in manette. Coprifuoco in 40 città e Guardia Nazionale in 26 Stati - Il Fatto Quotidiano
1 giugno 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... e/5820224/

Donald Trump attacca i governatori e, chiedendo di usare il pugno duro contro i manifestanti, accusa alcuni di loro di essere “deboli”. Dall’altra parte c’è invece l’ex presidente, Barack Obama, che si schiera invece dalla parte di chi protesta, pur precisando che “non ci sono scuse per le violenze”. Intanto, continuano le manifestazioni in tutti gli Stati Uniti nel sesto giorno dall’omicidio di George Floyd, il 46enne afroamericano soffocato dall’agente Derek Chauvin e da altri tre colleghi a Minneapolis e per il quale giovedì si terrà un memoriale funebre. Un uomo a Louisville, Kentucky, e altre due persone a Davenport, Iowa, sono state uccise durante gli scontri (dall’inizio sono 6 le vittime) e nel complesso dal 26 maggio oltre 4.000 persone sono state arrestate in una ventina di città, di cui oltre 500 a Los Angeles e 250 a New York. Tra loro c’è anche Chiara de Blasio, la figlia 25enne del sindaco di New York, fermata sabato sera dagli agenti perché si è rifiutata di lasciare una strada di Manhattan sgomberata dagli agenti. La ragazza è stata successivamente chiamata in giudizio e rilasciata. “Sono orgoglioso di lei e che le importi così tanto da essere disposta ad andare là fuori e fare qualcosa al riguardo”, ha poi commentato il primo cittadino. Almeno 40 città hanno imposto il coprifuoco e sono 26 gli Stati americani che hanno attivato la Guardia Nazionale, compresa la capitale, Washington, stando a quanto riferito dalla Cnn.

Il caos scoppiato per le strade americane ha portato a una nuova polarizzazione del dibattito politico. Da una parte c’è il presidente Trump che, dopo i messaggi di condanna per l’uccisione di Floyd, è passato all’attacco dei manifestanti condannando le violenze e i saccheggi che si stanno registrando in alcune città. In una videoconferenza con i governatori, il tycoon è arrivato a definirli degli “idioti”, secondo quanto riportato dalla stampa americana, se non arresteranno e lasceranno in carcere i manifestanti per “lunghi periodi di tempo”: “Dovete dominare, se non lo fate sprecate il vostro tempo e vi travolgeranno facendovi apparire come degli idioti”, ha detto. Il presidente ha anche aggiunto: “Molti di voi sono deboli. Dovete arrestare le persone”.

Approccio opposto quello di Obama che, invece, in un contributo ha scritto che le proteste di questi giorni “rappresentano la legittima frustrazione per decenni di fallimenti nel tentativo di riformare la polizia in America, ma non ci sono scuse per le violenze”. Ma la maggioranza di coloro che sono scesi in piazza, ha puntualizzato il Dem, è “pacifica, coraggiosa, responsabile e merita rispetto e sostegno, non condanna”. “Dovremmo lottare per assicurarci un presidente, un Congresso, una giustizia che veramente riconoscano il ruolo corrosivo che il razzismo continua a rivestire nella nostra società – ha poi concluso – Bisogna trasformare questo momento in un vero punto di svolta che porti a un cambiamento reale. Bisogna mettere insieme le risorse per aiutare i giovani attivisti a mantenere questo slancio incanalando le loro energie in azioni concrete”.

Il presidente trasferito nel bunker della Casa Bianca. 50 agenti del Secret Service feriti
Anche la scorsa notte ci sono stati scontri davanti alla Casa Bianca e venerdì sera, scrive il New York Times, gli agenti del Secret Service hanno portato Donald Trump in un bunker sotterraneo della residenza presidenziale per quasi un’ora insieme alla moglie Melania e al figlio Barron quando la protesta si è infiammata davanti all’edificio.

Nell’ultima notte di proteste una cinquantina di agenti del Secret Service sono rimasti feriti e diversi monumenti di Washington sono stati sfregiati con scritte anche al National Mall. Oltre 40 città hanno decretato il coprifuoco e alla lista si sono aggiunte anche Philadelphia – dove nella notte ci sono stati scontri con la polizia – e Washington, dove la sindaca Muriel Bowser ha mobilitato anche la guardia nazionale a sostegno della polizia metropolitana.

Solidarietà degli agenti – Virali i video che da New York a Washington immortalano alcuni dirigenti di polizia e agenti che si sono uniti ai dimostranti in segno di solidarietà mentre ad Atlanta due poliziotti sono stati licenziati per uso eccessivo della forza dalla sindaca afroamericana Keisha Lance Bottoms: in un video i due si avvicinano alla macchina in cui si trovano due ragazzi, rompono il finestrino del conducente e li prelevano con violenza dopo averli bloccati con un taser.

Un morto in Kentucky – Un uomo è stato ucciso a Louisville verso mezzanotte, un’ora dopo che in città era stato imposto il coprifuoco dopo diverse notti di protesta. Secondo una prima ricostruzione, gli agenti della polizia locale e quelli della Guardia Nazionale stavano cercando di disperdere un raduno in un parcheggio fuori da un negozio di alimentari quando qualcuno ha sparato contro di loro. A quel punto, gli agenti hanno risposto al fuoco uccidendo un uomo. Il capo della polizia di Louisville, Steve Conrad, ha dichiarato ai media locali che sull’accaduto sono state sentite diverse persone e che nel corso della giornata verranno fornite ulteriori informazioni.

A sei giorni di distanza dalla morte di Floyd, il fratello più giovane, Terrence, ha parlato ai microfoni di Good Morning America, sostenendo che il rischio in questo momento è quello di oscurare le proteste pacifiche contro il razzismo presente nei dipartimenti di polizia: George “vorrebbe che chiedessimo giustizia nel modo in cui stiamo cercando di farlo, ma incanalare la richiesta in modo diverso – ha dichiarato – Fare a pezzi, danneggiare la vostra città non è il modo che avrebbe voluto”.

Per Terrence Floyd il fratello era un “gigante buono” sempre pronto a motivare gli altri nelle difficoltà che attraversavano. Floyd spingerebbe gli altri ad incanalare la loro rabbia “facendo qualcosa di positivo o producendo un cambiamento in maniera diversa”, ha aggiunto: “Per lui si trattava di pace, di unità. Le cose che emergono ora possono chiamarle unità ma è un’unità distruttiva. Per lui non si trattava di questo, per mio fratello non era questo”.

Le accuse a Derek Chauvin – L’ex agente di polizia Derek Chauvin, ripreso in un video mentre ferma con un ginocchio George Floyd impedendogli di respirare fino a provocarne la morte, doveva comparire oggi in tribunale, ma l’udienza è stata spostata all’8 giugno. Chauvin, 44 anni, è stato incriminato di omicidio di terzo grado e di omicidio colposo di secondo grado. In base alla legge del Minnesota, si parla di omicidio di terzo grado quando viene provocata la morte di una persona “perpetrando un atto altamente pericoloso per altri e mettendo in luce una mente depravata”, senza alcun riguardo per la vita e senza l’intenzione di uccidere. Per omicidio colposo di secondo grado, invece, il Minnesota intende quando una persona “rischia consapevolmente di causare la morte o un grave danno fisico a un’altra”. Ma l’avvocato della famiglia di Floyd, Benjamin Crump, alla Cbs ha spiegato di non condividere l’accusa di omicidio colposo per l’agente Derek Chauvin e parla di “omicidio premeditato”.

Intanto per il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, tutti e 4 i poliziotti coinvolti nel caso Floyd hanno “le stesse responsabilità”. “Floyd è morto nelle nostre mani e questo lo considero essere complici“, ha detto alla Cnn rispondendo ai familiari della vittima. “Silenzio e mancanza di azione, è essere complici – ha aggiunto -. Se solo ci fosse stata una voce…è quello che speravo”. I quattro poliziotti sono stati licenziati martedì. Per Arradondo il caso Floyd è una “violazione di umanità”. Il capo della polizia di Houston, Art Acevedo, manifestando solidarietà ai familiari di Floyd, che sarà sepolto a Houston, ha chiesto di scortare scortare il feretro di George nel suo ‘ritorno a casa’. “Vogliamo essere certi – ha detto – che la famiglia sia al sicuro, che il trasferimento sia sicuro e soprattutto vogliamo essere certi che la famiglia sappia che siamo qui per loro, per sostenerli”.



I cinesi che hanno la spudoratezza di dare lezioni agli USA e a Trump
Cina, razzismo 'malattia cronica in Usa' Agenzia ANSA
(ANSA) - PECHINO, 1 GIU 2020
https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... ce6aa.html

La Cina attacca gli Stati Uniti e definisce il razzismo "una malattia cronica della società americana", nel mezzo delle violente proteste che stanno scuotendo gli Stati Uniti dopo la morte di un uomo disarmato di colore avvenuta la scorsa settimana a Minneapolis, ad opera di un agente di polizia. Le turbolenze manifestano "la gravità del problema del razzismo e della violenza della polizia negli Usa", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian.



A carte scoperte, Pechino lancia la sua sfida per soppiantare la leadership Usa: è ora di scegliere con chi stare
Atlantico Quotidiano
Enzo Reale Da Barcellona
1 giugno 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... chi-stare/

Cina mai stata così impegnata su tanti fronti contemporaneamente, il PCC ha una strategia globale basata sulla convinzione del declino inevitabile delle democrazie occidentali e della potenza americana, un piano di sostituzione del modello liberale con quello cinese… Gli Usa non intendono abdicare, mentre l’Europa a trazione tedesca si sfila. Se non è una nuova Guerra Fredda, ci assomiglia molto. Possiamo decidere di combatterla o di lasciar fare, ma dovremo farci i conti tutti

Sarà ricordata come la settimana in cui la Cina ha svelato tutte le carte. Nessuno, a parte le guardie rosse fuori corso già comodamente installate nei parlamenti e nelle redazioni occidentali, d’ora in poi potrà far finta di nulla senza essere accusato di complicità. In fondo, è un bene che si faccia chiarezza, che si sappia esattamente da che parte stanno politici, intellettuali, imprenditori e giornali. Democrazia o dittatura, o di qua o di là. C’è bisogno di semplificare in quest’epoca confusa.
Dei contenuti della legge sulla sicurezza nazionale, su cui l’Assemblea Nazionale del Popolo ha votato (ovviamente all’unanimità) giovedì scorso, mi sono già soffermato in un precedente articolo. Fra poche settimane sarà tutto pronto per l’assimilazione di Hong Kong allo stato di polizia vigente nella madrepatria: copertura “legale” dell’illegalità strutturale che rappresenta in se stesso un regime autoritario, fine dei già limitati spazi di critica e di dissenso, agenti degli apparati di sicurezza e spionaggio destinati permanentemente nell’ex colonia britannica, delazioni, arresti, censura e la minaccia costante di una repressione su larga scala. Sono anni che il Partito Comunista Cinese (PCC), Xi Jinping in testa, prepara il terreno per la resa dei conti finale. Solo adesso possiamo leggere nel contesto adeguato quella strana iniziativa che fu il tentativo di introduzione di una legge di estradizione poi ritirata dalla proconsole Carrie Lam: Pechino voleva saggiare il terreno e mandare un messaggio che nessuno all’epoca colse. In realtà al Partito non interessava portare gli hongkongers ribelli in Cina, quel che voleva era portare la Cina a Hong Kong: “Bisogna essere inflessibili nei principi ma flessibili nella tattica“, non si stancava di ripetere ai quadri dirigenti il leader supremo. Perché ci ostiniamo a non credere alle parole dei dittatori? Basta ascoltare i loro portavoce, in fondo. Al margine dei lavori del “parlamento” cinese i servizi legali informavano puntuali che con la nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino gli imputati “non saranno trasferiti” nella Cina continentale ma saranno processati a casa loro. Una volta scagliata la bomba che fonde il sistema giudiziario della SAR (regione amministrativa speciale) con quello nazionale, che bisogno c’è di estradare?

Hong Kong è la preda perfetta nella battuta di caccia organizzata dal Politburo, basta leggere i social media addomesticati della madrepatria che traboccano vendetta contro un territorio che ai cinesi è sempre risultato indigesto: lo vedono spocchioso, ribelle, ingrato. È la miccia ideale per un’iniezione di nazionalismo di cui Xi Jinping ha disperatamente bisogno, dopo il disastro di immagine del coronavirus e in piena stagnazione economica con gravi ricadute sull’occupazione. Dalle due sessioni legislative non è emerso nessun piano concreto per far fronte alle conseguenze sociali della crisi sanitaria, né sono state adottate misure concrete di stimolo o di protezione per i più colpiti. Su questo terreno la leadership cinese sta segnando il passo e ha bisogno di alimentare la fiamma dell’orgoglio nazionale, calcando la mano sulle “ingerenze straniere”, soprattutto americane: “Non importa quanto gli Usa cerchino di far pressione sulla Cina giocando la carta di Hong Kong – scrive il Global Times – Washington sarebbe troppo ingenua se pensasse di poter smuovere la decisa volontà collettiva del governo cinese”. Una volontà collettiva di cui, peraltro, da tempo non si ha più notizia a Zhongnanhai. La Cina è sempre più allineata al Xi Jinping-pensiero e vani paiono gli sforzi del premier Li Keqiang di abbassare i toni sulle questioni scottanti (economia, HK, Taiwan). La linea è tracciata, indietro non si torna, e si strangola Hong Kong anche per non dare aria a eventuali rivendicazioni interne. “Xi è nervoso”, osserva Chris Patten, ultimo governatore britannico dell’ex colonia, “la sua leadership non è così salda e deve rilanciare costantemente”. Probabile. Però il PCC oggi ha una strategia globale che nasce dalla convinzione del declino inevitabile delle democrazie occidentali e della potenza americana, un piano di sostituzione del modello liberale con quello cinese, qualunque cosa sia. Il 23 aprile scorso Xi Jinping visita l’università Jiaotong di Xi’an, la città dell’esercito di terracotta e si dirige così agli studenti: “I grandi cambiamenti nella storia avvengono sempre dopo enormi disastri. La nostra nazione cresce e si trasforma nell’avversità e nella difficoltà“. Quando cominceremo a prendere sul serio le parole dei dittatori?

O di qua o di là, scrivevo all’inizio. Venerdì pomeriggio, due scenari: Bruxelles e Washington. In teoria una casa comune, la democrazia liberale. In pratica, da decenni, poli separati. Josep Borrell, socialista spagnolo che il caso e i giochi di palazzo hanno proiettato al vertice della diplomazia europea, riunisce in una conferenza stampa tutto il peggio della doppiezza comunitaria. La Cina è un rivale sistemico, certo, quel che fa con Hong Kong non è gentile ma noi continueremo a comportarci come se nulla fosse: gli investimenti e gli scambi commerciali non sono a rischio, precisa Borrell, “la risposta dev’essere proporzionata, siamo alleati, avversari, concorrenti“. Tutto e niente, al solito. È arrivata una telefonata da Berlino dopo l’entrata di Volkswagen nel comparto dell’auto elettrica cinese? Forse non ce n’è nemmeno bisogno, l’appeasement è un fattore strutturale dell’Unione europea. La risposta proporzionata in realtà non esiste, l’Europa a trazione tedesca si sfila senza una strategia da contrapporre a quella espansiva del Partito Comunista Cinese.

Poche ore dopo, dal giardino delle rose della Casa Bianca il presidente Trump si riferisce invece alla nuova legge imposta da Pechino come a “una tragedia per la popolazione di Hong Kong, della Cina e del mondo intero“. Nel confermare il prossimo ritiro dei privilegi commerciali e finanziari ancora vigenti, nel denunciare la rottura unilaterale degli accordi sino-britannici e nell’annunciare sanzioni nei confronti degli ufficiali direttamente coinvolti nell’erosione dell’autonomia, il primo cittadino americano ricorda che Hong Kong doveva essere il futuro della Cina e non il contrario. In sostanza, la Cina non può fagocitare la regione pretendendo allo stesso tempo che se ne rispetti l’eccezionalità perduta. Un discorso ispirato che nella città assediata aspettavano in molti da tempo, dai toni bushiani, lontano dalle effusioni e dagli apprezzamenti troppe volte dedicati alle sue controparti autoritarie (“il mio amico Kim Jong-un” su tutti). Parole che non nascono per caso, precedute da segnali inequivocabili di un cambio radicale di strategia. Quasi in contemporanea Pompeo spiegava in un’intervista a Fox News che il problema ovviamente non erano i cinesi ma un regime tirannico che, come ai tempi dell’Unione Sovietica, poneva a rischio la sicurezza degli Stati Uniti. Il giorno prima era stata invece la dichiarazione congiunta dell’alleanza anglosassone (Usa, Australia, Canada e Gran Bretagna) a riaffermare la consistenza della posizione occidentale, documento su cui l’Unione europea – si saprà più tardi – aveva rifiutato di apporre la sua firma affermando di averne in cantiere uno tutto suo. Conviene aspettare seduti. Ma è davvero sorprendente come siano passate praticamente inosservate le sedici pagine che decretano di fatto la fine del paradigma diplomatico americano nei confronti della Cina, come l’abbiamo conosciuto da Nixon ad oggi: un nuovo Approccio strategico alla Repubblica Popolare Cinese che liquida l’engagement decennale come inutile e controproducente, accusa il regime di Pechino di averne approfittato per espandere la sua influenza anti-democratica e riafferma la necessità di proteggere gli interessi politici ed economici americani dalle pratiche illegali della superpotenza comunista. Per chi dice che l’America non crede più nella sua funzione di guida del mondo libero c’è parecchio materiale a confutazione da studiare. C’è poi uno snodo essenziale che solo a Washington (e a Londra) sembrano aver colto: non è solo la libertà di Hong Kong in gioco, ma quella di un miliardo e mezzo di cinesi costretti da 70 anni al conformismo o al silenzio, quella di Taiwan e, per estensione, di gran parte dell’occidente democratico che osserva distratto o ascolta ammaliato. Ovviamente partirà presto la litania che sempre ha accompagnato tutte le iniziative anti-autoritarie americane, pacifiche o belliche che siano: così si favorisce lo scontro, si irrita l’avversario, si mette a rischio la sicurezza collettiva. C’è già chi ha scritto che l’uscita degli Stati Uniti dall’Oms “lascerà sola Taiwan”, come se la sua presenza ne avesse invece garantito il rispetto da parte di Pechino. Mai che venga in mente che forse rimanere all’interno di un’organizzazione saldamente in mano cinese significa semplicemente legittimarne la condotta, fornire una copertura di rispettabilità a chi l’ha già persa da tempo. Come se Taiwan si difendesse meglio incagliandosi in inutili dispute burocratiche che mostrando fermezza contro un avversario sempre più minaccioso.

Non facciamoci illusioni, Hong Kong è persa. Si potranno mantenere posizioni di principio più o meno coerenti ma nessuno farà la guerra per un territorio che, volenti o nolenti, la Cina comunista si è ripresa con il beneplacito dell’occidente più di vent’anni fa. Non si morì per Berlino Est, non lo si farà nemmeno stavolta e Pechino lo sa, ha calcolato il rischio. Taiwan invece è un’altra storia. C’è uno stretto, ci sono manovre militari, c’è una Cina democratica che riflette quel che dall’altra parte potrebbero essere e non sono, ci sono minacce sempre più esplicite da parte del regime. Mentre i sinologi nostrani sono impegnati nell’esegesi dei termini (Li Keqiang ha usato o no l’espressione “annessione pacifica“?), parlando in occasione del quindicesimo anniversario della legge anti-secessione, il generale cinese Li Zuocheng ha dichiarato testualmente a proposito dell’isola “ribelle”: “Non possiamo promettere di abbandonare l’uso della forza, e ci riserviamo l’opzione di adottare tutte le misure necessarie per stabilizzare e controllare la situazione nello Stretto“. Li Zuocheng non è uno qualsiasi: veterano della guerra sino-vietnamita, membro di spicco della Commissione Militare Centrale, sopra di lui solo il presidente e pochi altri. E infatti le sue parole ricalcano alla lettera quelle pronunciate da Xi Jinping nel gennaio 2019: prima un avvertimento politico, adesso uno militare. La guerra per Taiwan è possibile, anche se non imminente. Pechino vede Taipei come una succursale di Washington, come e più di Hong Kong, in una sindrome da accerchiamento tipica dei regimi autoritari, per grandi e potenti che siano. La rieletta presidente Tsai Ing-wen è stata piuttosto chiara nel suo supporto agli hongkongers, a cui ha offerto assistenza sanitaria e asilo. Ma deve muoversi con cautela. L’isola è certamente alleata di Hong Kong e possibile terra d’approdo per i suoi cittadini in fuga, ma potrebbe anche trarre beneficio da un’eventuale perdita di centralità della regione speciale. Un discreto rompicapo. Taiwan è un cul-de-sac: se gli Stati Uniti mantengono le posizioni, i cinesi ne denunceranno la fermezza come interferenza; se abbassano la guardia, il regime ne approfitterà per alzare la posta. Per triste che possa risultare per i suoi cittadini, Hong Kong è oggi il teatro di schermaglie politiche ed economiche che anticipano la vera battaglia per l’egemonia, che prima o poi passerà per Taipei.

La Cina non è mai stata impegnata su tanti fronti contemporaneamente, il che dovrebbe dirci qualcosa sulle reali intenzioni della sua dirigenza: sul mar cinese meridionale lo scontro è su petrolio e gas, con l’Australia Pechino è ai ferri corti da tempo, le dispute territoriali con il Giappone rimangono irrisolte e il confine sino-indiano è sul punto di saltare. Sullo sfondo le presidenziali americane di novembre. Anche se i Dem fanno oggi la voce grossa sui diritti umani in Cina, la sensazione diffusa è che con Biden alla Casa Bianca gli Stati Uniti tornerebbero ad una posizione cedevole nei confronti di Pechino. Al termine di un’intervista a Francesco Bechis di Formiche, Ian Brenner ha lasciato cadere un’osservazione piuttosto rivelatrice: “Se dovessi consigliare il governo cinese, gli direi di puntare su Biden. Con lui alla Casa Bianca ci sono più chance di costruire insieme un ordine mondiale post-americano“. Che, visto da Pechino, vuol dire una cosa sola: un ordine mondiale a trazione cinese. Se non è una nuova Guerra Fredda è qualcosa che ci assomiglia molto. Possiamo decidere di combatterla o di lasciar fare: nel secondo caso la prospettiva di un’espansione dell’autoritarismo su scala globale non sarà più solo un possibile scenario in divenire ma una realtà con cui dovranno fare i conti tutti, compresi i distratti e i complici, le guardie rosse fuori corso e i sinologi prezzolati.


“Le vite dei neri contano”, ma non diventino idolatria dell’illegalità
Donatella Papi
29 maggio 2020

http://opinione.it/esteri/2020/05/29/do ... dhi-obama/

La giustizia non è nera o bianca, la legge è legge per tutti. Lo ribadisco per stroncare il solito buonismo a senso unico, che in nome dei diritti (di alcuni) sta giustificando, anzi esaltando, i violenti disordini in scena a Minneapolis con lo slogan “le vite dei neri contano” per mano della comunità di colore dopo la morte del 46enne afroamericano George Floyd, rimasto soffocato durante un fermo di polizia.
È inaccettabile quanto accaduto: il ginocchio rude del poliziotto premuto sul collo di George Floyd ripreso da un telefonino mentre implora, dopo che era stato fermato sotto effetto di droga mentre cercava di spacciare una banconota contraffatta. Tuttavia occorre rammentare che le manifestazioni di sdegno, sia pure per gravi abusi di potere, riguardano un uomo – nero o bianco non importa – che girava sbronzo e drogato compiendo reati e ribellandosi ai controlli.
Questo deve pesare, non solo il fatto che fosse di colore, altrimenti diamo un messaggio distorto e le persone a rischio non finiranno mai di mettersi nei guai.
Sia chiaro, quello che hanno fatto quei poliziotti è da film sulle carceri Usa. Ma il problema è anche come e perché si è arrivati a simile derive.

Lo evoco perché un inasprimento delle forze dell’ordine si sta manifestando anche in Italia sull’onda di una immigrazione incontrollata, che ha fatto aumentare mafie, crimini e caos illegale. E questo è assai inquietante, anche se il nostro sistema speriamo abbia radici democratiche più resistenti. Tuttavia, chi reiteratamente favorisce il disordine sociale, la compagine politica che non calcola mai i rischi degli estremismi salvo fare propaganda anche sulle inevitabili derive, deve sapere che le conseguenze del disordine pubblico sono proprio l’inciviltà e l’ingiustizia. Per questo c’è chi avversa duramente l’immigrazione sui barconi, gli ingressi selvaggi di clandestini o le società confusamente multietniche dedite ai traffici, allo spaccio e alle irregolarità, che trasformano le nostre preziose città e i nostri quartieri in un immenso Bronx. Non sono italiani che odiano e discriminano gli stranieri, sono prevalentemente cittadini che vorrebbero evitare il Far West in cui la polizia diventa lo sceriffo e talvolta l’aguzzino. Il problema non è solo il colore della pelle e la categoria sociale, secondo una letteratura unilaterale. I problemi sono i traffici illegali. Lo abbiamo visto nella impietosa e orribile morte di Stefano Cucchi. Il problema è la droga, non la violenza dei carcerieri del sistema italiano secondo il monumentale caso giuridico politicamente strumentalizzato. Perché chi finisce nel giro della droga, e nei traffici illegali, finisce sempre in zone buie e oscure dove soprusi e violenza sono la regola e scampare a responsabilità e capire poi chi sono i carnefici è quasi impossibile.

Perché Stefano Cucchi o George Floyd sono stati finiti a quel modo? Sapremo mai la verità e cosa c’è effettivamente dietro? Dobbiamo dirlo questo. Altrimenti diamo un messaggio sbagliato ai giovani che assistono alla consacrazione mitologica di idoli sbagliati. I martiri delle polizie, delle violenze, delle torture sono altri. Il Vangelo insegna che sono gli ultimi, gli innocenti, i puri, i miti, i guerrieri dell’amore e non gli sballati, i trafficanti e gli spacciatori, anche se nessuna violenza è mai giustificata. Ma senza una cultura della compassione, del riscatto, del pentimento e del perdono non c’è salvezza. Senza questa catarsi c’è solo deteriore buonismo. Se aboliamo questi fondamentali principi della morale, o se li facciamo discendere dalle culture di parte prive del senso della sacralità della vita, si rischia di favorire un’anarchia in cui di Stefano Cucchi e di George Floyd ce ne saranno numerosi. In questo modo non aiutiamo i deboli e non preveniamo l’inasprimento delle regole se non favoriamo società rette e sane.

Con la forza di assumerli questi valori e il coraggio di affermarli. Proprio giorni fa in una città italiana si è verificato un inquietante episodio di ordine pubblico, in cui alcuni ragazzini hanno sfidato la polizia senza mascherine in luoghi affollati reagendo contro le forze dell’ordine come fossero i ribelli di Hong Kong per un totale di 14 poliziotti schierati e cinque volanti che hanno trascinato via i giovanissimi. Chi politicamente soffia su questi epiloghi ne è responsabile. La violenza dei centri sociali non è mai giustificata. Mahatma Gandhi proclamava la “non violenza” contro la sopraffazione ed è una lezione che va fortemente recuperata. La cultura della resistenza e non la lotta fisica, la misura della civiltà e non il suo contrario sono gli strumenti della sfida dei liberi. Anche la comunità di colore credo possa fare un passo in avanti dopo la presidenza di Barack Obama. È tempo che gli afroamericani assumano la gravità del crimine e l’illegalità come male sociale e danno a se stessi, non solo come giustificazione della discriminazione.



Floyd, autopsia ufficiale: «Fu omicidio». Disordini, Trump: terroristi, mobiliterò l'esercito. Poi esce dalla Casa Bianca e va a piedi in chiesa
Floyd, tre vittime e 50 agenti feriti. Nuova autopsia: «Morto per asfissia». Trump ai governatori: usate la forza
1 giugno 2020

https://www.ilmessaggero.it/mondo/georg ... 61953.html

Grande tensione in America nella notte. «Mobiliterò l'esercito statunitense per fermare i disordini e l'illegalità», ha detto il presidente Donald Trump. «Il presidente ha il diritto di difendere il suo Paese e proteggere la sua nazione. Non possiamo permettere che le proteste pacifiche vengano manipolate da anarchici di professione e gruppi antifa», ha detto Donald Trump iniziando a parlare mentre attorno alla Casa Bianca la polizia ha caricato i manifestanti. «Siamo di fronte a un atto di terrorismo domestico», ha detto Trump.

«Io sono il vostro presidente dell'ordine e della legalità e un alleato di tutti i manifestanti pacifici», ha detto Trump, invocando il ricorso all'Insurrection Act del 1807, la legge che dà al presidente americano il diritto di dispiegare l'esercito all'interno degli Stati Uniti per sopprimere disordini, insurrezioni e rivolte. Vi ricorse George Bush padre per i disordini di Los Angeles seguiti al pestaggio di Rodney King nel 1992.

Altissima tensione attorno alla Casa Bianca mentre si era in attesa che il presidente Donald Trump parli alla nazione. Per far allontanate la folla che stava protestando pacificamente, a meno di mezzora dallo scattare del coprifuoco, è cominciato un lancio di lacrimogeni da parte della polizia che ha caricato i manifestanti anche a cavallo. Dalle immagini tv si vede gente correre e la polizia militare avanzare.

Gesto clamoroso del presidente americano Donald Trump che, scortatissimo, subito dopo le sue dichiarazioni alla nazione è uscito a piedi dalla Casa Bianca per dirigersi verso la vicina Saint John Epyscopal Church. Sullo sfondo i cori e le urla della folla di manifestanti che poco prima era stata caricata dalla polizia. Trump, seguito da un corteo di guardie del corpo e di membri della Casa Bianca e dell'amministrazione, si è fermato davanti alla Saint John Epyscopal Church davanti alla Casa Bianca alzando un braccio e mostrando alle telecamere una Bibbia. Accanto a lui tra gli altri il capo del Pentagono, Mark Esper, il ministro della Giustizia Williamn Barr, la figlia Ivanka (l'unica con la mascherina) e il genero Jared Kushner. Assente invece la first lady Melania. Con la Bibbia in mano, Trump ha quindi pronunciato solo poche parole: «Il Paese sta tornando più forte».

Il medico legale che ha effettuato l'autopsia sul corpo di George Floyd ha affermato che il 46enne afroamericano è morto per «un arresto cardiaco causato dalla pressione esercitata sul suo collo» dai poliziotti che lo avevano fermato. Dunque si è trattato di un «omicidio». In un rapporto preliminare si escludeva che questa fosse la causa della sua morte.

Sesto giorni di scontri, saccheggi negli Stati Uniti dopo la morte dell'afroamericano George Floyd durante un fermo di polizia a Minneapolis. La Casa Bianca è sotto assedio, Trump costretto a rifugiarsi nel bunker. Coprifuoco in decine di città, Washington compresa, dopo che decine di migliaia di persone sono ancora una volta scese in piazza. Un uomo è stato ucciso a Loiusville, verso mezzanotte, un’ora dopo che in città era stato imposto il coprifuoco dopo diverse notti di protesta. Altri due morti negli scontri di Davenport (Iowa) In 15 stati e nel distretto di Columbia sono state attivate oltre 5.000 unità della Guardia nazionale. A Los Angeles e nelle città limitrofe ci sono stati saccheggi. Il capo della polizia di Louisville, in Kentucky, è stato licenziato dopo che alcuni agenti hanno aperto domenica il fuoco contro i manifestanti uccidendo un afroamericano.

Nuova autopsia: «Morto per asfissia». George Floyd è morto per asfissia a causa di una compressione del collo e della schiena. Queste le conclusioni dell'autopsia indipendente condotta su richiesta della famiglia della vittima sul corpo dell'uomo deceduto nel corso di un fermo di polizia a Minneapolis. A riferirne sono stati due medici legali. «Le prove emerse coincidono con un'asfissia meccanica quale causa della morte», ha dichiarato la dottoressa Allecia Wilson che ha parlato di «omicidio». Il dottor Michael Baden ha detto a sua volta che Floyd è morto per «asfissia» a causa della compressione di collo e schiena. L'autopsia dimostra «che non ci sono problemi medici preesistenti che hanno causato o contribuito alla sua morte. Era in buone condizioni di salute», ha concluso.

George Floyd, arrestata Chiara de Blasio la figlia del sindaco di New York

Trump ai Governatori: non siate deboli

Donald Trump chiede ai governatori degli Stati americani di riprendere il controllo delle strade, di non essere «deboli» e di usare la forza di fronte alle proteste. Lo riportano alcuni media americani citando fonti vicine all'incontro in videoconferenza di Trump con i governatori americani. Siete degli «idioti» se non arrestate i manifestanti e non li lasciate in carcere per «lunghi periodi di tempo». Donald Trump non risparmia attacchi e parole dure ai governatori americani durante la video conferenza dedicata alle proteste per George Floyd. «Dovete dominare, se non lo fate sprecate il vostro tempo e vi travolgeranno facendovi apparire come degli idioti», dice Trump secondo quanto riportato dal New York Times, che ha ottenuto una registrazione della conversazione.

George Floyd, camion sulla folla a Minneapolis: l'autista rischia il linciaggio

L'agente arrestato in carcere di massima sicurezza. Derek Chauvin, l'ex agente della polizia di Minneapolis accusato di omicidio colposo per la morte dell'afroamericano George Floyd, è stato trasferito in un carcere di massima sicurezza della contea di Hennepin, in Minnesota. Lo rivela il New York Post citando un media locale. Chauvin domenica pomeriggio è stato trasferito due volte: prima dal carcere della contea di Ramsey all'Hennepin County Jail, e poi al Minnesota Correctional Facility - Oak Park Heights di Stillwater, un carcere di massima sicurezza che secondo il Department of Corrections statale «è il livello di custodia più elevato» in Minnesota.

Trump sotto assedio. Incendi a Washington dove proseguono le proteste davanti alla Casa Bianca. Il presidente Donald Trump è sotto assedio: con lui nel bunker Melania e il figlio. Sfidando il coprifuoco, i dimostranti sono rimasti in zona e ogni tanto tornano a fronteggiare gli agenti schierati in linea con scudi e manganelli. I poliziotti hanno usato diverse volte i lacrimogeni, i gas urticanti e le granate stordenti per disperdere la folla. Alcuni manifestanti hanno acceso diversi roghi e danneggiato alcuni edifici.

Legalità e ordine. Donald Trump è un presidente di «law and order», legalità e ordine. Lo afferma la portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany con Fox. «È chiaro che gli Stati Uniti hanno bisogno di legge e ordine», aggiunge McEnany, precisando che Trump ha affrontato il tema della violenza più volte e che un suo intervento dallo Studio Ovale non fermerebbe Antifa, il movimento antifascista della sinistra antagonista.

Contatti Casa Bianca con afroamericani. La Casa Bianca sta valutando la possibilità di avviare contatti con alcuni leader della comunità afroamericana per «una sessione d'ascolto» nel corso della settimana, per tentare di trovare la risposta migliore alle proteste in corso in diverse città americane per la morte di Floyd. Lo rivelano alla Cnn fonti che si stanno occupando della questione. Intanto oggi il presidente Donald Trump ha in programma una conference call con alcuni governatori e responsabili della sicurezza nazionale.

Agente denunciato 18 volte. Derek Chauvin, l'ex agente di polizia di Minneapolis ripreso mentre blocca a terra George Floyd era stato denunciato 18 volte. A darne notizia è stato il Dipartimento di polizia. Tra questi - si legge sulla Cnn - figura anche Kristofer Bergh, che nel 2013, allora 17enne, si era rivolto alla Giustizia per denunciare il fatto che Chauvin gli aveva puntato un'arma contro mentre - di rientro da scuola - giocava con un'arma giocattolo Nerf. Bergh era in auto con alcuni amici, quando uno di loro aveva sparato un proiettile Nerf dal finestrino. Al momento di accostare davanti a casa sua, il ragazzo si era trovato davanti Chauvin che gli puntava l'arma addosso.

Agenti feriti. Sono una cinquantina gli agenti del Secret Service rimasti feriti nel corso degli scontri vicino alla Casa Bianca durante le manifestazioni per Floyd, l'afroamericano morto sotto la custodia della polizia. Scontri violenti che hanno spinto gli agenti del Secret Service a trasferire Donald Trump nel bunker sotterraneo della Casa Bianca per un breve lasso di tempo. Diversi monumenti di Washington sono stati sfregiati con scritte anche al National Mall.

Arriva la Guardia nazionale. Oltre la metà dei 50 Stati americani ha attivato la Guardia nazionale in risposta alle proteste ed agli scontri che si sono diffusi in tutto il Paese ad una settimana dalla morte dell'afroamericano George Floyd, morto durante l'arresto condotto da un agente di polizia bianco. Ad aver attivato la Guardia nazionale sono 26 stati, oltre al Distretto di Columbia: Arizona, Arkansas, California, Florida, Illinois, Michigan, Nebraska, Nevada, Oklahoma, Oregon, Virginia, Colorado, Georgia, Indiana, Kentucky, Minnesota, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, South Carolina, South Dakota, Tennessee, Texas, Utah, Washington, Wisconsin.

La polizia ha concluso lo sgombero dell'area davanti alla Casa Bianca, ma i manifestanti presidiano la zona gridando con le mani alzate agli agenti «non sparate» e «voi siete la minaccia». Di tanto in tanto avanzano e vengono respinti a colpi di lacrimogeni o, come ha denunciato qualche partecipante alla Cnn, con proiettili di gomma. La situazione resta tesa.

Stato di emergenza. La contea di King nello Stato di Washington ha dichiarato lo stato di emergenza a causa della «violenza e dei furti associati alle proteste» per la morte dell'afroamericano George Floyd durante un fermo di polizia a Minneapolis. Intanto, un uomo è stato ucciso da un colpo d'arma da fuoco durante una manifestazione di protesta che si è svolta a Louisville, nel Kentucky. Lo riferiscono media locali, spiegando che l'uccisione è avvenuta verso mezzanotte, un'ora dopo che in città era stato imposto il coprifuoco dopo diverse notti di protesta. Due persone invece sono morte e un agente di polizia è rimasto ferito in una serie di sparatorie scoppiate a Davenport: il capo della polizia locale, Paul Sikorski, ha riferito che 3 agenti hanno subito un agguato mentre erano in pattugliamento e che vari colpi d'arma da fuoco hanno colpito la loro auto e uno di loro, che tuttavia non è in pericolo di vita, è rimasto ferito. La polizia ha poi arrestato diverse persone che fuggivano dalla scena a bordo di un'auto.

Michael Jordan. «Mi sento molto rattristato, ma anche decisamente arrabbiato. Vedo e provo il dolore, l'indignazione e la frustrazione di tutti. Sono dalla parte di coloro che stanno protestando contro il razzismo insensato che c'è nel nostro Paese nei confronti della gente di colore. Ma ora ne abbiamo abbastanza. Io non ho le risposte, ma le nostre voci unite hanno una forza che nessuno può dividere», dice l'ex star Nba Michael Jordan.

Due poliziotti di Atlanta sono stati licenziati per uso eccessivo della forza nelle proteste per la morte di George Floyd. La sindaca afroamericana Keisha Lance Bottoms si era detta turbata da un video in cui un giovane veniva colpito con una pistola taser e una donna veniva trattata malamente. Intanto oggi Derek Chauvin, l'agente incriminato per l'uccisione di Floyd, deve comparire in tribunale oggi a Minneapolis. Lo riferisce la Cnn citando documenti giudiziari.

Arresti. Chiara de Blasio, la figlia 25enne del sindaco di New York Bill de Blasio, è stata arrestata sabato notte insieme ad altri manifestanti. Lo riporta la Cnn citando fonti di polizia. È stata fermata a Manhattan con l'accusa di partecipare a un raduno non autorizzato ed è stata poi rilasciata. Sono circa 4.000 le persone arrestate finora nelle proteste degli ultimi giorni.

Facebook inn rivolta. Rivolta dei dipendenti di Facebook contro Mark Zuckerberg per aver rifiutato di agire sui post di Donald Trump sulle tensioni sociali censurati da Twitter perché incitavano alla violenza. Una mancata azione che - riporta il Financial Times - ha costretto Zuckerberg a difendere la posizione di Facebook sui post presidenziali, definendo la piattaforma come un'«istituzione impegnata alla libertà di espressione». Ma ai dipendenti del social la decisione di Zuckerberg non è andata giù e nel corso del fine settimana hanno dato voce alla loro frustrazione su Twitter. «Mark sbaglia e farò ogni tentativo per fargli cambiare idea», twitta Ryan Freitas, responsabile del tema di design di News Feed di Facebook.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:31 pm

Chi sono gli Antifa, il movimento di sinistra radicale nel mirino di Trump
Autore Emanuel Pietrobon
2 giugno 2020

https://it.insideover.com/schede/politi ... trump.html

Le violenze sono scaturite dalla morte di George Floyd, afroamericano 46enne che il 26 maggio è deceduto a Minneapolis, in pieno giorno, dinanzi gli occhi della folla e delle fotocamere dei loro cellulari, dopo che un agente di polizia gli ha premuto con forza il ginocchio sul collo per più di cinque minuti. Quella morsa si è rivelata fatale: Floyd ha smesso di respirare e le sue ultime parole “I can’t breathe” (let. Non riesco a respirare) hanno suscitato uno sdegno tale da spingere decine di migliaia di persone ad occupare le strade in ogni parte del paese, da Minneapolis a Los Angeles, da Washington D.C. a New York.

Violenti scontri e saccheggi si sono registrati e si registrano nelle più grandi metropoli, la sicurezza fisica della stessa Casa Bianca e dei suoi inquilini è stata minacciata da scontri fra manifestanti e forze dell’ordine nella notte del 31 maggio, e l’imposizione di rigidi coprifuochi e l’entrata in scena della Guardia Nazionale sono stati inevitabili.

Il bilancio dei disordini, al 31 maggio, è un vero e proprio bollettino di guerra: in 15 stati è stata richiamata la Guardia Nazionale, per un totale di oltre 5mila truppe per le strade, più di 4mila persone sono state arrestate, in 12 grandi città vige il coprifuoco.

Il 31 maggio, Donald Trump ha utilizzato il proprio profilo ufficiale su Twitter per comunicare che il collettivo apolide Azione antifascista, popolarmente noto come “Antifa”, sarà prossimamente qualificato come organizzazione terroristica. La decisione fa seguito alla consapevolezza che i manifestanti appartenenti ai movimenti autonomi dell’estrema sinistra, riconoscibili dal vestiario e dai simboli utilizzati, stanno giocando un ruolo-chiave nell’esportazione delle violenze da Minneapolis al resto del paese, in collaborazione con Black Lives Matter.

L’eventuale concretizzazione dell’annuncio di Trump comporta al tempo stesso problematiche e gigantesche opportunità.

Le problematiche vertono sul fatto che Antifa non è un’organizzazione dalla struttura centralizzata, opera in numerosi paesi occidentali attraverso cellule che sono completamente autonome l’una dall’altra, anche all’interno della stessa nazione, e che non possiedono né liste di membri ufficiali né una dirigenza riconoscibile e riconosciuta.

Antifa, in pratica ed in sostanza, è un termine ombrello riferibile più ad una costellazione transnazionale di movimenti fra loro poco o nulla comunicanti e collegati che ad un’entità formale e perseguibile. Questo è il motivo per cui, fino ad oggi, è stato difficile definire un’agenda nei confronti di Antifa, di cui Trump aveva proposto la messa al bando già l’anno scorso. Ad ogni modo, la minaccia è reale e non si tratta di una mossa elettorale: fra il 2010 e il 2016, i gruppi della sinistra radicale hanno compiuto il 12% di tutti gli attentati avvenuti sul suolo statunitense, in aumento rispetto agli anni precedenti.

I movimenti Antifa, similmente alle controparti della destra alternativa (alt right), alternano militanza reale e virtuale. La prima è divenuta sempre più palese e propensa alla violenza negli anni recenti, in particolare a partire dal 2016. La seconda indica l’attivismo in rete, su internet, luogo in cui i movimenti Antifa sono incredibilmente presenti, disponendo di propri organi di informazione, siti web, blog, e di pagine sulle principali piattaforme sociali, come Facebook e Twitter. Internet è il luogo in cui gli Antifa fanno proselitismo ed organizzano le proteste, coordinano gli attacchi, stabiliscono i propri obiettivi.

Queste problematiche nascondono, come scritto, delle gigantesche opportunità. Il fatto che i movimenti Antifa utilizzino la rete come sede centrale delle loro attività, li rende facilmente monitorabili e consente agli investigatori di fare una stima approssimativa, ma realistica, delle persone che vi fanno parte, dei simpatizzanti ed anche delle sigle operanti sul territorio. Per quanto riguarda queste ultime, fra le più importanti e violente si segnalano: By Any Means Necessary, Redneck Revolt e Anti-Racist Action.

Assenza di un corpo unitario, di una dirigenza, di elenchi di iscritti e carattere de-territorializzato, non rappresentano quindi un ostacolo insormontabile alla schedatura dei sospetti e alle indagini. In effetti, le organizzazioni terroristiche internazionali presentano le stesse caratteristiche, con l’unica differenza di possedere un centro di comando definito, e le agenzie di sicurezza di tutto il mondo hanno perfezionato le loro tattiche nel contrasto a simili entità negli anni della guerra al terrore.

Il movimento Antifa è un amalgama transnazionale, ricco e complesso, composto da movimenti autonomi il cui unico trait d’union è l’ideologia, ossia la condivisione di valori, l’aderenza ed il cieco supporto a scuole di pensiero, visioni del mondo e valori appartenenti alla produzione culturale della sinistra radicale: anarchismo, anticapitalismo, anti-conservatorismo, anti-identitarismo, comunismo, femminismo di terza e quarta ondata, marxismo-leninismo, socialismo rivoluzionario, teoria queer.

Gli Antifa esaltano tutto ciò che viene ritenuto suscettibile di accelerare il collasso del sistema capitalista e dell’America intesa come un attore storico bianco-centrico, imperialista, razzista e suprematista nei confronti di minoranze etniche e religiose. Coerentemente e conseguentemente, negli anni recenti, i collettivi di estrema sinistra statunitensi hanno dato vita a delle lotte di notevole virulenza per l’abbattimento delle statue ritraenti personaggi degli Stati confederati, per la cancellazione di feste come il Columbus Day, per la riscrittura dei curricula universitari in direzione della de-bianchizzazione e, ovviamente, hanno mostrato una crescente insofferenza verso la destra alternativa e nei confronti di tutti coloro la cui libertà di pensiero viene reputata dannosa.

Sono sempre i collettivi Antifa, infatti, ad essere dietro le campagne contro la libertà di parola nei campus delle più prestigiose università statunitensi, organizzate con l’obiettivo di ridurre al minimo la visibilità e l’influenza di studenti, attivisti e politici di destra. Quest’ultimo punto, che mina le fondamenta stesse della democrazia nel nome della sua presunta difesa dalla minaccia fascista, ha spinto Trump ad intervenire, il 21 marzo dell’anno scorso, con un ordine esecutivo che punisce, tramite privazione di fondi pubblici, tutti quei college e quelle università che non riescano a garantire la libertà di parola al loro interno.

L’insieme di queste azioni ha spinto la società civile a prendere le distanze dagli Antifa e ha attratto l’attenzione degli enti impegnati nel monitoraggio degli estremismi, come l’Anti-Defamation League (ADL), delle autorità federali e dei servizi segreti, le cui prese di posizione non lasciano spazio a dubbi circa la pericolosità del movimento.

L’ADL ha denunciato le azioni degli Antifa come anti-democratiche, pericolose e fonte di ulteriore polarizzazione sociale; il New Jersey Office of Homeland Security and Preparedness collega il movimento all’estremismo anarchista ed evidenzia come sia composto da elementi radicali disposti ad esercitare violenza per raggiungere i loro scopi; e dal 2017 il Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) e la Federal Bureau Investigation (FBI) hanno aumentato la sorveglianza sui circoli Antifa, anticipando Trump nel parlare del movimento come espressione di “terrorismo domestico“.

Il movimento Antifa ha iniziato a conquistare la visibilità mediatica, e la conseguente attenzione delle agenzie di sicurezza, fra le presidenziali del 2016 e la prima parte del 2017, continuando a rendersi protagonista di eventi eclatanti fino ad oggi, in un circolo crescente di violenza.

Nel corso del 2016, gli Antifa hanno guidato il fronte popolare delle proteste anti-Trump, unendosi e mescolandosi ai black bloc in azioni di disturbo dirette agli eventi repubblicani e contraddistinguendosi per i pestaggi ai danni dei sostenitori dell’attuale presidente.

È stato il 2017, però, l’anno della svolta e della definitiva emersione degli Antifa quali attori dal potenziale realmente destabilizzante, come si può comprendere dagli eventi elencati di seguito.

Da febbraio a settembre, la città di Berkeley (California) è stata scossa da disordini e violenze perpetrate dagli Antifa ai danni di simpatizzanti repubblicani e persone ordinarie, colpevoli di prendere semplicemente parte a eventi e marce in supporto di Trump, e di figure di spicco della destra alternativa, come l’attivista Milo Yiannopoulos. Il fattore detonante è stato proprio un invito dell’università cittadina a Yiannopoulos, che avrebbe dovuto tenere un comizio il 1 febbraio, ma l’evento è stato bloccato dal raduno dinanzi il campus dell’ateneo di centinaia di black bloc e Antifa, alcuni appartenenti al gruppo “By Any Means Necessary”. L’assembramento ha poi assunto la forma di un’isterica battaglia contro polizia e studenti di destra combattuta con pietre, bombe molotov ed altri oggetti reperibili in strada, che si è poi estesa nel resto della città, dove i radicali di sinistra hanno vandalizzato esercizi commerciali e banche.

L’arrivo di Yiannopoulos ha messo in allerta gli Antifa californiani, che hanno rapidamente trasformato Berkeley in una città-santuario, interrompendo marce pacifiche regolarmente permesse dalle autorità, non di estremisti di destra ma di semplici simpatizzanti repubblicani, come la “March 4 Trump” del mese seguente.

In agosto è stato il turno di Charlottesville (Virginia), scelta da gruppi di destra alternativa e del nazionalismo bianco come sede di una due-giorni di mobilitazione, dall’11 al 12, per protestare contro l’arrivo in città della guerra contro i simboli confederati. L’obiettivo della marcia, denominata “Unite the Right“, era di persuadere l’amministrazione locale a non rimuovere la statua del generale Robert Lee dal parco-simbolo della città, tra l’altro dedicato a suo nome. Come è noto, l’evento si è concluso in scontri, per via della decisione degli Antifa di giungere in città e dar vita ad una contro-manifestazione, e con una tentata strage con macchina da parte di un attivista di destra, terminata con un morto e 19 feriti.

Il 2018 ha sancito l’inizio di un cambio di paradigma: il focus degli Antifa è stato spostato dalla lotta di strada contro gli attivisti dell’estrema destra e gli elettori repubblicani alla caccia contro i rappresentanti delle istituzioni e gli esponenti di spicco del mondo conservatore. I due eventi più emblematici, a questo proposito, sono stati le minacce di morte al giornalista Tucker Carlson da parte di un gruppo noto come “Smash Racism”, che ha anche organizzato proteste dinanzi casa sua, e la pubblicazione in rete con intento intimidatorio di nomi e fotografie di 1.595 agenti dello U.S. Immigration and Customs Enforcement, l’agenzia federale per il controllo dell’immigrazione e delle frontiere, da parte degli “Antifa del Nebraska”.

La Turchia sta seguendo con attenzione l’evoluzione dei disordini negli Stati Uniti e ha accolto con interesse l’annuncio di Trump circa la designazione del movimento Antifa quale organizzazione terroristica. Il motivo, come spiega in maniera chiara un recentissimo approfondimento di TRT World, il sito web della principale azienda radiotelevisiva turca, è che la bandiera del movimento Antifa è stata vista sventolare ed è stata fotograta nel Rojava, una regione siriana in cui si trova un’importante sacca di resistenza curda.

Secondo TRT, dal 2014 ad oggi, centinaia di esponenti del movimento Antifa provenienti da Europa e Stati Uniti si sarebbero arruolati come combattenti volontari nelle fila dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), un’organizzazione militare composta da curdi, arabi ed occidentali che negli anni della guerra siriana ha combattuto sia contro lo Stato Islamico che contro le forze irregolari filo-turche. Ed è proprio nel Rojava che gli Antifa avrebbero fatto il salto di qualità, ricevendo addestramento, apprendendo l’arte della guerra asimmetrica e, soprattutto, facendo esperienza diretta sul campo con combattimenti quotidiani.

Come riporta TRT, le autorità turche avrebbero indagato sul flusso di combattenti stranieri che ha ingrossato le unità dell’YPG, scoprendo che la maggior parte di loro era di origine statunitense e rispondente alle seguenti caratteristiche: adesione all’anarchismo, all’ecologismo radicale e/o al femminismo, tendenzialmente di giovane età e con alcuni casi di ex tossicodipendenze.

La storia del movimento Antifa è relativamente recente e può essere ricondotta ai turbolenti anni ’60, il decennio di insurrezione controculturale che ha cambiato per sempre il volto delle società occidentali, segnando l’inizio di un percorso lungo, tortuoso e non privo di tensioni sociali ed intergenerazionali, che ha avuto come mete finali lo sdoganamento dei diritti lgbt, l’avvento del post-cristianesimo e la messa in discussione dell’idea stessa di “civiltà occidentale” e dei suoi cardini fondamentali: religione, cultura, aspetti etno-razziali.

Nel caso degli Stati Uniti, la rivoluzione culturale degli anni ’60 ha portato alla fine della segregazione razziale, all’inizio delle lotte di liberazione sessuale, alla nascita dei movimenti per la legalizzazione delle droghe, all’emergere della Nuova Sinistra (New Left) e all’espansione di nuovi movimenti religiosi e sociali, come le varie sette New Age e gli hippie, caratterizzati da una forte vena antisistemica e in ribellione contro i “valori tradizionali”.

Ed è proprio nel seno di questa epoca dall’impronta storica che possono essere trovati i prodromi del movimento Antifa, che non sarebbe errato considerare la naturale evoluzione di esperimenti anteriori, ugualmente radicali e propensi alla violenza, come i gruppi del potere nero, l’Esercito di Liberazione Simbionese, Weather Undeground e Students for a Democratic Society,

Il terrorismo della sinistra radicale ha una lunga tradizione storica negli Stati Uniti, le cui origini affondano nel sindacalismo rivoluzionario tardo-ottocentesco, ma è sempre stato considerato una minaccia minoritaria alla sicurezza nazionale rispetto al suprematismo bianco o al jihadismo. Ma negli ultimi anni, più precisamente a partire dall’inizio dell’era Obama, qualcosa è cambiato: la polarizzazione economica e sociale è aumentata in maniera dirompente, insieme alla cristallizzazione delle tensioni inter-etniche, mentre la sinistra moderata, i cosiddetti “liberal”, è stata interessata da una radicalizzazione ideologica che ne ha spostato ambizioni, agenda e discorso politico su posizioni sempre più oltranziste.

Questa, almeno, è la tesi del Pew Research Center, secondo cui il principale lascito delle due presidenze Obama è stato l’aumento della polarizzazione politica, causata dall’estremizzazione degli elettorati di sinistra e destra e da tutto ciò che questo comporta sul piano delle relazioni sociali, di classe e fra etnie. In breve, negli anni dell’era Obama si è assistito ad una profonda rottura sociale, simile per gravità e dimensioni a quella degli anni ’60, le cui manifestazioni più eloquenti sono state l’aumento delle divisioni inter-etniche, che hanno portato alla nascita di Black Lives Matter e al ritorno in scena del nazionalismo nero, le proteste sociali di movimenti come Occupy Wall Street, e la formazione di due opposti estremismi in stile anni di piombo italiani: estrema destra, rappresentata dalla rinascita del suprematismo bianco, ed estrema sinistra, rappresentata dalla comparsa degli Antifa.

Questi ultimi hanno rapidamente trasformato la sinistra radicale da una forza irrilevante, sul piano della violenza politica, ad una minaccia esistenziale per l’identità degli Stati Uniti, fra guerre iconoclaste contro i simboli nazionali ed attacchi continui alle libertà di parola e di assemblea fino al più recente ruolo-guida nella regia dei disordini razziali più gravi della storia del paese, di gran lunga peggiori della rivolta di Los Angeles del 1992, che hanno costretto gli inquilini della Casa Bianca a rifugiarsi nel bunker dell’edificio, la notte di venerdì 29 maggio: la prima volta di sempre per un presidente.


Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 01/06/2020, a pag.1, con il titolo "L'equazione sbagliata sul tramonto di Trump" l'analisi di Alessandro Orsini; dalla REPUBBLICA, a pag. 14, con il titolo "L’America vive nel coprifuoco. Scontro sugli infiltrati in piazza", l'analisi di Federico Rampini.
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=78421

IL MESSAGGERO - Alessandro Orsini: "L'equazione sbagliata sul tramonto di Trump"
Alessandro Orsini

Una rivolta scuote gli Stati Uniti e molti sono convinti che Trump sia politicamente finito. II pensiero comune si presenta sempre in abiti succinti. Poche parole e un lieto fine: "Un nero e stato ucciso da un poliziotto bianco e la giustizia sta trionfando". Proviamo a dire qualche parola in più. In primo luogo, non si voterà domani. C'è tempo fino al voto. Il fatto che la protesta possa degenerare rischia di aumentare i voti di Trump. Sia chiaro: non è una protesta, è un tipo di protesta. E una rivolta senza capi e, quindi, disorganizzata, con tutte le conseguenze negative che la disorganizzazione comporta nei fenomeni ribellistici a carattere insurrezionale. Siamo davanti al caos. È una rivolta di tutti contro tutti. I negozi bruciati, le auto incendiate, gli assalti ai supermercati, non vengono condotti dopo avere suddiviso i proprietari in suprematisti e liberali. Non esiste alcuna organizzazione o leader carismatico a dire cosa fare e come farlo. Immaginando che questo tipo di rivolta perduri e degeneri, i vantaggi sarebbero quasi certamente per Trump. Nemmeno gli americani che provano repulsione peri suprematisti sarebbero contenti di ritrovarsi con una pietra in fronte mentre attraversano la strada. Ecco il paradosso: coloro che vorrebbero assistere alla caduta di Trump tifano affinché la rivolta aumenti, senza sapere che, in questa forma, la rivolta lo avvantaggia. Forse alcuni trovano appagante vedere Trump sotto assedio alla Casa Bianca. Attenzione però: ciò che appaga psicologicamente non sempre paga politicamente. Joe Biden lo sa e sta prendendo le distanze dalla rivolta. Queste sono state le sue parole, che traduciamo testualmente: "Siamo una nazione nel dolore, ma non possiamo consentire a questo dolore di distruggerci". Biden sa che questo tipo di protesta favorisce Trump a lungo andare. Anche Trump ne è consapevole, tant'è vero che soffia sulle fiamme. Cerca lo scontro, mica l'incontro. Una volta chiarito che questa rivolta è un tipo di rivolta, i cui esiti sono iscritti nella sua genesi, cerchiamo di capire dove affondi le radici. Si è detto: nell'esasperazione prodotta dal suprematismo di Trump o nei suoi errori nella lotta contro il virus. Sc così fosse, le radici della rivolta sarebbero nel partito repubblicano, ma è chiaro che sono nella società, anzi, in un tipo di società. La condizione essenziale dei neri svantaggiati negli Stati Uniti rimane sempre la stessa. Che al governo sieda il partito democratico o quello repubblicano, niente cambia in modo sostanziale. Quasi nessuno conosce il nome di Eric Garner. un caso identico a quello di George Floyd. Eric Garner era un nero, alto e in sovrappeso, che chiedeva a un gruppo di poliziotti bianchi dl non ammanettarlo perché: "lo non ho fatto niente". Il video, disponibile anche su youtube. non lascia dubbi: Garner era l'uomo più pacifico del mondo, sospettato di vendere qualche sigaretta sfusa per pochissimi centesimi (singole sigarette e non bastimenti). I poliziotti lo atterrano in gruppo, lo ammanettano e uno di loro, Daniel Pantaleo, gli stringe il braccio al collo e inizia a soffocarlo. Garner. il viso schiacciato sul marciapiede, pronuncia per undici volte questa parola: "I can't breath". ovvero "non riesco a respirare", le stesse parole di George Floyd. Eric Garner è stato ucciso a New York, il 17 luglio 2014. quando la Casa Bianca era guidata da Obama, presidente nero e democratico. II medico, che visitò il corpo di Garner, disse: "E stato un omicidio". Se, dopo otto annidi amministrazione Obama, George Floyd muore come Eric Garner, vuol dire che il problema non e Trump. Per motivi di sintesi, non elencheremo tutti i casi recenti di razzismo che hanno infiammato l'America, dai terribili abusi contro il tassista nero Rodney King, nel 1991, fino a oggi. Ci limiteremo a dire che, caduto Trump ed eletto Biden, avremmo altri George Floyd, magari non filmati e, pertanto, a tutti ignoti. Fino a quando i neri delle classi svantaggiate non si saranno dotati di un'organizzazione, non usciranno dalla disperazione. II cambiamento non può essere affidato a un uomo solo. Otto annidi Obama, un nero che ama i neri, lo dimostrano.

LA REPUBBLICA "L’America vive nel coprifuoco. Scontro sugli infiltrati in piazza"
Federico Rampini

Il buio porta di nuovo il caos e la paura, ogni notte è scandita da scontri con la polizia, violenze e saccheggi. Dal focolaio originale di Minneapolis la rabbia per la morte di George Floyd è dilagata in 75 città. Almeno 25 sono sotto coprifuoco, una situazione che si verificò solo nel 1968 dopo l’assassinio di Martin Luther King. Bruciano alcuni quartieri di Los Angeles, si spara a Detroit e Indianapolis, auto della polizia vengono incendiate a Chicago, la tensione ha fatto rischiare il peggio sabato sera a New York. Un’America già stremata da oltre 100mila vittime del coronavirus, e con 40 milioni di disoccupati, assiste sgomenta a questo terzo fronte di crisi. Nella protesta s’infiltrano provocatori, gang, professionisti degli scontri di piazza e del furto organizzato. Molte catene della grande distribuzione devono chiudere e lanciano appelli: siamo rovinati, dopo i lockdown le razzie. Nel disordine s’innestano speculazioni sulle responsabilità, la ricerca di "piste", teorie sugli opposti estremismi. Cresce a sinistra la paura che una protesta pacifica sia stata dirottata e infangata. Donald Trump accusa su Twitter i media di «fare tutto ciò che è in loro potere per fomentare odio e anarchia ». Aggiunge una promessa: «Designeremo Antifa come un’organizzazione terroristica». Antifa (abbreviazione di "antifascista") negli Stati Uniti è una galassia di organizzazioni di estrema sinistra, alcune delle quali teorizzano e praticano l’azione violenta come i black block. Sono entrate spesso in azione in campus universitari di sinistra come Berkeley in California. Il segretario alla Giustizia William Barr ha confermato l’annuncio del presidente, anticipando provvedimenti contro Antifa. Ma gli esperti di diritti civili sostengono che il Primo Emendamento preclude che sia designata come terrorista un’organizzazione americana. Marco Rubio, il senatore repubblicano che presiede la Commissione sull’intelligence, punta il dito contro un arco che «va da Antifa a Boogaloo», un gruppo di estrema destra che tifa per la guerra civile. I suprematisti bianchi — inclusi quelli di Boogaloo — si sono attivati molto sui social media, ma non è stata visibile la loro presenza nelle piazze. La pista dei provocatori esterni — estrema destra, sinistra anti-sistema, grande criminalità organizzata, perfino potenze straniere — era stata lanciata quasi subito dai democratici. Il sindaco democratico di Minneapolis, il progressista Jacob Frey che ha un passato come militante dei diritti umani, ha parlato di suprematisti bianchi venuti da fuori. Il governatore del Minnesota Tim Walz, anch’egli democratico, ha detto che tra gli arrestati durante gli scontri molti «non sono residenti qui». Qualcuno ha aggiunto alla lista i narcos. Il giorno dopo una tv locale ha fatto verifiche sulle identità degli arrestati e risultano a maggioranza residenti in Minnesota. Un ruolo-chiave sembra averlo avuto un leader di estrema sinistra, stile black block, soprannominato The Umbrella Man, ripreso in diversi video di sicurezza mentre guidava assalti a vetrine. Minneapolis ha un nucleo storico di anarchici e anti-capitalisti. I leader storici delle comunità afroamericane ora sembrano preoccupati di contenere le frange estreme al proprio interno. Le scene di Los Angeles con le razzie nei negozi di lusso hanno riportato su tutti gli schermi una storia antica (micro-criminalità locale che approfitta dei disordini). Un leader storico degli afroamericani, il deputato John Lewis che fu compagno di battaglie di Martin Luther King, ha rivolto un appello accorato ai suoi: «Conosco la vostra rabbia e la vostra disperazione, ma incendiare e fare razzie non è la soluzione ». A New York il sindaco di sinistra Bill de Blasio ha preso le difese della polizia, dopo un incidente dove si è sfiorata la tragedia. Una pattuglia su un Suv è stata circondata da manifestanti violenti e bersagliata da bombe molotov. I poliziotti hanno caricato quella folla in auto. Il sindaco, che appartiene all’ala sinistra del partito democratico, li ha difesi evocando il panico dell’accerchiamento. Lo stesso De Blasio ha cambiato a sua volta versione sulla matrice delle violenze. La sera prima aveva detto che le bande scatenate nelle aggressioni «vengono da fuori». Ieri si è corretto: «Sono anarchici organizzati, anche di New York, gente da ideologie distorte. Aggrediscono i poliziotti, che sono lavoratori».



Caso George Floyd, Trump: "New York fatta a pezzi dalla feccia" | Cuomo contro De Blasio: "Polizia non efficace" - Tgcom24
02 giugno 2020

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/t ... 002a.shtml

Il presidente Usa contro il sindaco della Grande Mela, teatro di scontri, saccheggi e devastazioni durante le manifestazioni degli ultimi giorni. Biden: "È inaccettabile che la polizia aumenti la violenza"

Trump contro i fratelli Cuomo - "Lunedì è stata una giornata negativa per i fratelli Cuomo. New York ha perso di fronte ai saccheggiatori, alla sinistra radicale e a tutte le altre forme di feccia". Lo ha scritto su Twitter Donald Trump, riferendosi a Andrew Cuomo, governatore di New York, e a suo fratello Chris, giornalista della Cnn. "Il governatore ha rifiutato la Guardia nazionale e la città di New York è stata fatta a pezzi", ha aggiunto.


Trump si autocelebra su Twitter - Parlando della capitale Washington, invece, Trump ha scritto che "non ha avuto problemi la scorsa notte. Molti arresti. Grande lavoro da parte di tutti. Forza soverchiante. Dominio. Allo stesso modo Minneapolis è stata grande (grazie presidente Trump!)". Così su Twitte ril presidente degli Stati Uniti ha enfatizzato la prova di forza della polizia autocelebrandosi per l'uso della Guardia nazionale a Minneapolis, che ha tenuto sotto controllo la protesta per la morte di George Floyd. Così Trump ha voluto sottolineare le differenze tra le due città: a New York sono avvenuti scontri tra i manifestati e la polizia e molti negozi sono stati devastati e saccheggiati.

Biden e le violenze della polizia - "E' inaccettabile che la polizia aumenti la violenza nella manifestazioni" di protesta contro la morte di George Floyd. Lo ha affermato il candidato democratico alla Casa Bianca, Joe Biden. "Le ultime parole pronunciate da Floyd prima di morire, 'I can't breathe', sono un campanello d'allarme per il nostro Paese e per tutti noi", ha aggiunto.

Cuomo vs De Blasio - E nel tutti contro tutti arriva anche la stoccata di Cuomo e De Blasio. "La polizia di New York non è stata efficace. Ritengo che il sindaco De Blasio abbia sottovalutato il problema. La polizia e il sindaco non hanno fatto il loro lavoro", ha detto il governatore dello Stato di New York. Nella Grande Mela, secondo Cuomo, "non è stata usata abbastanza polizia per affrontare la situazione". Il governatore ha poi minacciato di subentrare a De Blasio e chiedere l'intervento della Guardia Nazionale. "Non siamo comunque ancora a questo punto", ha spiegato.

WONDER WOMAN
Niram Ferretti
2 giugno 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Eccola, è arrivata la Giustiziera Sociale che vuole liberare gli americani "dall'opressione dell'ingiustizia sociale ed economica". Lei ci spiega che tutto va cambiato. Bisogna STABILIRE la giustizia, e lei, Alexandra Ocasio Cortez sa come fare.

"Se pretendi che finiscano i disordini, ma non credi che l'assistenza sanitaria sia un diritto umano, se hai paura di dire che le vite dei neri contano e hai paura di denunciare la brutalità della polizia, allora non stai davvero chiedendo che cessino i disordini: stai chiedendo che l'ingiustizia continui". Queste le parole che l'esponente democratica Alexandria Ocasio-Cortez.

"L'unico modo per risolvere questa situazione e uscirne definitivamente è garantendo giustizia".

Ocasio-Cortez sa come fare. Un bel po' di socialismo, lei lo chiama socialismo democratico. Il collettivismo ci salverà e stabilirà la giustizia. I disordini, i saccheggi, le auto e i negozi dati alle fiamme, i grandi magazzini depredati, non sono il segno della delinquenza, non sono il frutto di criminali incalliti e occasionali, no, sono il frutto "dell'oppressione dell'ingiusizia sociale ed economica".

Lei che vorrebbe l'abolizione dei confini degli Stati Uniti. Più immigrati, più Stato, meno capitalismo. Più giustizia. Meno Trump, più Maduro. Se si pretende che finiscano i disordini, se no andranno avanti.




Dietro la maschera - Caratteri Liberi
David Cavaliere
2020/06/02

http://caratteriliberi.eu/2020/06/02/in ... -maschera/

Sette anni fa nasceva Black Lives Matter, un movimento sociale impegnato nella lotta alla discriminazione razziale negli Stati Uniti. I mass media mondiali lo hanno presentato come un nuovo e pacifico movimento per i diritti civili, ma le cose non stanno così.

Black Lives Matter è, fin dalle sue origini, un’organizzazione rivoluzionaria di estrema sinistra ispirata alle Black Panther e al Black Liberation Army. Tutto inizia nel 2013, quando il poliziotto George Zimmerman viene assolto dall’accusa di omicidio dell’adolescente nero Trayvon Martin.

Su Twitter inizia a comparire l’hashtag «#BlackLivesMatter», che viene fatto proprio dalle attiviste della sinistra radicale Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi. Le tre donne sono affiliate alla Freedom Road Socialist Organization, un gruppo di matrice maoista e marxista-leninista.

Nel 2014, l’associazione Dream Defenders alleata di Occupy Wall Street, lancia lo slogan «Hands Up – Don’t Shoot», che diventa un motto popolare fra i membri di Black Lives Matter. La Freedom Road Socialist Organization discende dal New Communist Movement, sostenitore della Cina comunista e della Cuba di Castro. Black Lives Matter è solo uno dei tanti movimenti rivoluzionari che gravitano nell’orbita del gruppo maoista e, indubbiamente, il più finanziato.

Democracy Alliance, la potente rete di finanziatori della sinistra, che comprende George Soros e Tom Steyer, ha elargito generose donazioni al movimento. Alicia Garza è una militante marxista di numerose sigle radicali, mentre Patrisse Cullors si è distinta per cori violenti contro la polizia ed è stata allieva di Eric Mann, leader di estrema sinistra ed ex membro del gruppo terrorista Weather Underground Organization.

Opal Tometi è figlia di immigrati clandestini nigeriani e direttore della Black Alliance for Just Immigration, ente accusato di promuovere l’immigrazione illegale negli Stati Uniti e anch’essa finanziata da Soros e da Kellogg.

Nel corso degli anni, Black Lives Matter ha incassato il sostegno di numerosi finanziatori e di personaggi sospetti come il nazionalista nero Van Jones e Louis Farrakhan, guida dell’organizzazione antisemita e islamista Nation of Islam.

Numerose altre associazioni islamiche si sono unite al BLM. Nel 2015, alcuni membri del Consiglio per le relazioni islamico-americane vicino ai Fratelli Musulmani, hanno partecipato insieme ad attivisti del BLM a una azione violenta contro l’ufficio del governatore della California Jerry Brown.

Gli attivisti del movimento hanno fatto proprio l’invito di Lenin a sobillare le masse e a usare l’inganno per abbattere l’ordine costituito. Black Lives Matter e le altre sigle della sinistra portano avanti una narrazione falsa sul razzismo in America e imbevuta di odio contro i bianchi, gli ebrei e i cristiani. Si sono distinti per l’uso di un linguaggio intimidatorio e ricattatorio, accusando di «razzismo» chiunque si opponga ai loro progetti rivoluzionari.

Hanno avviato campagna di diffamazione degli avversari politici e sostenuto le tesi dei docenti neomarxisti, secondo cui l’America sarebbe permanentemente razzista, pertanto i membri delle classi «oppresse» sarebbero legittimati a ribellarsi e saccheggiare.

Uno degli esponenti di punta del movimento BLM, Deray Mckesson, ha sostenuto apertamente che il saccheggio serva alla giustizia razziale e sociale. Il co-fondatore delle Black Panther, Bobby Seale, ha designato Black Lives Matter come erede della celebre organizzazione marxista-leninista.

Inoltre, numerosi membri del movimento hanno espresso sostegno e ammirazione per ex terroristi dei gruppi rivoluzionari neri degli anni Settanta. BLM è un gruppo ferocemente antisionista, la Cullors è una sostenitrice del movimento BDS e più volte, i membri, hanno espresso posizioni antisemite e anti-israeliane.

Proprio ieri, a Fairfax, vicino a Los Angeles, una sinagoga è stata vandalizzata da alcuni membri delle proteste presuntivamente antirazzista. Black Lives Matter è un pericoloso movimento sovversivo, il cui obiettivo è muovere guerra all’America bianca e ai valori liberali e democratici.

Un criminale nazi maomettano negli USA
Questo è Louis Farrakhan, musulmano statunitense e leader della Nation of Islam, movimento dei neri musulmani americani, suprematista-islamico, xenofobo, razzista, antisemita, omofobo e misogino. Luis Farrakhan è stato il mandante dell'omicidio di Malcom X.
https://it.wikipedia.org/wiki/Louis_Farrakhan
Secondo alcune fonti, Farrakhan sarebbe tra i mandanti dell'omicidio di Malcolm X. Nel 1995, la figlia di Malcolm X, Qubilah Shabazz, fu arrestata per aver attentato alla vita di Farrakhan.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:31 pm

Giulio Meotti
2 giugno 2020

Questa fotografia ci dice tutto della follia di un pezzo di società occidentale, in particolare americana: una attivista Antifa, bianca, una sorta di Jane Fonda dei poveri, che mostra il dito medio a un poliziotto, di colore. Li trovi un po’ ovunque, ma vivono in un mondo tutto loro, fatto di caos e odio, formule esoteriche, dove la realtà è stata espiantata per far posto a un delirio, si dicono antirazzisti ma sognano la guerra razziale che dilaga da Minneapolis a Marsiglia, sono ricchi ma marciano cantando “eat the rich”, pensano di essere parte di una gigantesca primavera araba, non si accontentano della giustizia dei tribunali ma vogliono la Giustizia delle piazze, imbrattano statue di Colombo scrivendo “kill all cops”, dividono le persone dal colore della pelle e dal gender e da quanto guadagnano, vedono ingiustizie anche in un panino, non hanno mai conosciuto un giorno di miseria e prigionia e discriminazione ma pensano di vivere nel peggiore dei mondi possibile. Sono loro, questi bianchi, la vera “feccia” di cui parla Trump. Sono i figli illegittimi della nostra civiltà.


Il demenziale democratico, bugiardo e infido Joe Biden

JOE BIDEN PARLA ALLA NAZIONE, "NON ALIMENTERÒ LE FIAMME DELL'ODIO".
2 giugno 2020

L'ex vicepresidente Joe Biden ha tenuto un discorso da Philadelphia in merito alle proteste e manifestazioni che da una settimana scuotono gli Stati Uniti.

“Quando i manifestanti pacifici vengono dispersi per ordine del presidente dalla porta della casa della gente, la Casa Bianca, usando gas lacrimogeni e granate stordenti al fine di organizzare una foto in una chiesa, possiamo essere perdonati per credere che il presidente sia più interessato al potere che al resto", ha detto Biden.

"Donald Trump ha trasformato questo paese in un campo di battaglia pieno di vecchi risentimenti e nuove paure", ha detto Biden. “È questo ciò che vogliamo essere? È questo ciò che vogliamo trasmettere ai nostri figli e nipoti? Paura, rabbia, diti puntati, piuttosto che la ricerca della felicità? Incompetenza, ansia, egoismo?".

Il paese, ha dichiarato Biden, sta "chiedendo una leadership".

Il discorso è durato circa 20 minuti ed è andato in onda in diretta su tutti i principali network televisivi, da CNN a Fox News passando per CBS News.

“Le ultime parole di George Floyd non sono morte con lui. Sono ancora ascoltate. Stanno echeggiando in questa nazione ", ha detto Biden. “Parlano con una nazione in cui troppo spesso il colore della pelle ti mette a rischio. Parlano con una nazione in cui più di 100.000 persone hanno perso la vita a causa di un virus e 40 milioni di americani hanno presentato domanda di disoccupazione, con un numero sproporzionato di questi decessi e perdite di posti di lavoro concentrati nelle comunità nere e delle minoranze".

"È arrivato il momento per la nostra nazione di affrontare il razzismo sistemico. La storia di questa nazione ci insegna che in alcuni dei nostri momenti più bui di disperazione abbiamo fatto alcuni dei nostri più grandi progressi".

"Vorrei poter dire che l'odio è iniziato con Donald Trump e finirà con lui. Non è così, e non finirà", ha detto Biden. "La storia americana non è una favola con un lieto fine garantito".

"Siamo una nazione in sofferenza", ha detto Biden. “Non dobbiamo permettere che il nostro dolore ci distrugga. Siamo una nazione infuriata, ma non possiamo lasciare che la nostra rabbia ci consumi. Siamo una nazione che è sfinita, ma non permetteremo alla nostra stanchezza di sconfiggerci. Come presidente, il mio impegno nei confronti di tutti voi è quello di essere un leader su questi temi e di ascoltare, perché credo davvero nel mio cuore, che possiamo farcela".

“Te lo prometto. Non userò la paura e le divisioni. Non alimenterò le fiamme dell'odio. Cercherò di guarire le ferite razziali che hanno afflitto a lungo questo paese, non di usarle per guadagno politico”, ha dichiarato Biden. “Farò il mio lavoro e mi assumerò le mie responsabilità. Non darò la colpa agli altri. Non dimenticherò mai che il lavoro [di presidente] non riguarda me. Ti riguarda. E lavorerò non solo per ricostruire questa nazione, ma per costruirla meglio di quanto è adesso".



I poliziotti si scusano per la morte di George Floyd ma Trump attacca i media: "Alimentano odio e anarchia"
31 maggio 2020

https://www.globalist.it/world/2020/05/ ... 59253.html

Invece di condannare il razzismo. Invece di condannare i suprematisti bianchi. Invece di guardarsi allo specchio e chiedere sua agli americani e al mondo per tutte le porcherie che ha scritto o ha detto, il sessista xenofobo della Casa Bianca se la prende con la libera informazione.

Donald Trump accusa su Twitter i "media mainstream" di "fare tutto ciò che è in loro potere per fomentare odio e anarchia".

Il presidente Usa definisce i media "fake news" e i giornalisti "persone davvero cattive con una agenda malata", circa il modo con cui stanno seguendo le proteste per la morte di George Floyd.

Le parole esatte sono state: i media "stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per fomentare l'odio e l'anarchia. Fintanto che tutti capiranno cosa stanno facendo, che si tratta di notizie false e persone veramente cattive con un'agenda malata, possiamo facilmente lavorare attraverso di loro alla grandezza!".

Parole irreponsabili proprio mentre in molti casi agenti di polizia hanno condannato la morte di Floyd e i metodi brutali usati a Minneapolis e a Miami (come si vede nella foto) alcuni poliziotti si sono inginocchiati in segno di solidarietà mentre passava il corteo di protesta.


LA COLPA
Niram Ferretti
2 giugno 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"Non si nasce arrabbiati" ci dice Spike Lee. Eh sì è proprio così che funziona. È colpa della società, del sistema, delle ingiustizie sociali, di chi ha rispetto a chi non ha, è colpa del razzismo, della discriminazione. Non si nasce arrabbiati.

Chi saccheggia, distrugge, da alle fiamme negozi e ristoranti, le proprietà e i beni di persone che hanno lavorato per averle, hanno ragione. La feccia ha ragione, perchè non sono nati arrabbiati, hanno delle buone ragioni. Tutti gli afoamericani avrebbero delle buone ragioni per distruggere e saccheggiare, mica tutti possono diventare Luis Armstrong, Ella Fitzgerald, Bille Holiday, Michael Jordan, Oprah Winfey, Condoleezza Rice, Barack Obama, Morgan Freeman, ecc.

Ma anche chi non è afroamericano e distrugge proprietà, e saccheggia, non è nato arrabbiato. Lo è diventato. È il sistema. Va riformato. Tutti devono avere, anzi, a chi non ha avuto deve essere dato di più come risarcimento per non avere avuto.

Il merito? È un sopruso ovviamente. La proprietà privata? Un furto. Qualcuno è stato defraudato.

"La disparità tra l'avere e il non avere..." Questa è la causa. Il talento, il lavorare sodo, la capacità di progettare e innovare, di sacrificarsi? Spazzatura.

Dietro ogni disparità sociale è nascosto un crimine. Non esiste altra spiegazione, ed è l'unica che conta. Tutto il resto sono solo alibi.

L'incapacità non conta. Il vittimismo innalza al vero. Non si nasce arrabbiati. Se si è arrabbiati si ha sempre ragione di esserlo e ci sono sempre i colpevoli di questa rabbia. Mamma e papà per primi e poi, ovviamente, tutto il resto.

Sottrarre all'individuo la responsabilità dei propri fallimenti, questa è la ricetta di tutti coloro i quali vorrebbero una società livellata verso il basso, la mediocrità trionfante, l'economia pianificata, la felicità dispensata da un organo supremo che a tutti dà lo stesso modesto pascolo dove ruminare come un gregge.


Renato Della Mea
Ho ascoltato tutto il suo discorso. Quello che si capisce è che sta' intimamente male, che ha qualcosa che gli rode, il suo stato d'animo è di una rabbia trattenuta e fatta filtrare a dosi calcolate per ben instillare lo stesso stato nella platea.
Sembra cerebroleso ma so' che per molti è normale. Questi sono i detrattori di Trump. Credo che sia finito il tempo della tergiversazione a fini compromissori. Qualsiasi cosa faccia o dica Trump è sempre male. Non è politica quella degli antifa - braccio armato dem- non si cerca una compensazione tra interessi divergenti. Allora dichiarare antifa gruppo terroristico( quale di fatto è) e reprimerlo con i mezzi proporzionati a tale classificazione, è urgente è doveroso. Anche perché così, dove, gli antifa nel resto del mondo, come per esempio Germania e Italia è considerata una congrega di studenti con a cuore la giustizia, potra' emergere con maggior chiarezza chi e cosa sono i loro ammiratori progressisti dei singoli paesi: fiancheggiatori di movimenti sovversivi.

Tiziana Puccetti
Ha parlato Spike Lee, uno stramiliardario black che stramiliardario è diventato perché simbolo dei delinquenti colorati di tutto il mondo avvalendosi del vittimismo piagnone dei movimenti colorati. Non a caso, anche se mascherandolo con ipocrisia, è molto vicino all'Islam...

Dragor Alphan
In ogni caso Spike Lee è un grande regista. Con pochi mezzi realizza film fantastici.


Non sappiamo ancora se il caso di Minneapolis sia dovuto al razzismo; quello che è certo è che le reazioni violente, devastatrici, saccheggiatrici e omicide da parte dei neri afroamericani di cui molti maomettani queste sì sono chiaramente di stampo ferocemente razzista, tra cui la devastazione di chiese e di sinagoghe e il feroce pestaggio dei bianchi innocenti come in questo caso, che solo per miracolo non si è trasformato in omicidio:
...


SHUT UP!
Niram Ferretti
3 giugno 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Questa è una delle possibli risposte a Spike Lee, alle Ocasio Cortez, a Black Live Matters, agli attivisti e alle attiviste di estrema sinistra, una donna di colore che davanti a un gruppo di "social warriors" urla, "Io non sono oppressa, sono libera!", "Piantatela di proiettare le vostre categorie su di noi", "Dov'è Black Life Matters quando i neri uccidono altri neri?". "I neri uccidono i neri più di qualsiasi altro".

Chicago, da lei citata in questo video, è una delle città più violente degli Stati Uniti, se non la più violenta. Nel 2011, Il 75.3% delle vittime e il 70.5% degli offensori erano afroamericani.

In in suo articolo dell'anno scorso, il criminologo Barry Latzer, professore emerito di criminologia al John Jay Collage of Criminal Justice di New York, ha evidenziato come, dal 1976 al 2005, il 94% delle vittime afroamericane sono state uccise da altri afroamericani.

"Nonostante i linciaggi e altri maltrattamenti da parte dei bianchi alla fine del 19 ° secolo, l'omicidio tra neri è stato condotto in modo schiacciante da altri afroamericani. A Savannah, in Georgia, ad esempio, dal 1896 al 1903, i ricercatori hanno scoperto 91 omicidi in cui era nota l'etnia sia dell'autore del reato che della vittima. Sessantotto delle vittime (il 75% di tutte le vittime) erano nere e 61 afroamericani, o il 90% dei presunti responsabili, furono arrestati per questi omicidi".

Ora il razzismo da parte delle forze dell'ordine è una questione, e la percentuale di omicidi perpetuati da afroamericani nei confronti di altri afroamericani è un'altra questione. Il problema è che si vuole fare credere che negli Stati Uniti la polizia non di colore abbia una predilezione nell'uccidere cittadini di colore, e non si evidenzia che il maggiore tasso di omicidi a livello nazionale è tra afroamericani. Si vuole fare credere che sia il razzismo l'origine della violenza contro i neri, mentre, come sottolinea Latzer:

"Ci sono problemi con questa teoria del razzismo bianco. In primo luogo, ci si aspetterebbe livelli più elevati di criminalità afroamericana quando l'oppressione razziale era al massimo e livelli più bassi quando lo era meno. Ma non è stato così. I tassi di omicidi tra neri erano quasi gli stessi dei tassi di omicidi tra bianchi durante la schiavitù. Erano spesso più alti sia nel Nord che nel Sud più oppressivo durante il XX secolo. E raggiunsero nuove vette alla fine degli anni '60, un'epoca in cui i bianchi sostenevano la più ampia legislazione sui diritti civili nella storia americana".

Strano vero?

Non più di tanto. La narrativa della vittimizzazione, dell'oppressone bianca, dell'innocenza nera, della brutalità del sistema, ecc. è oggi egemone. È una delle grandi vittorie del marxismo culturale che, dagli anni '60 in poi si è imposto negli USA e ha fatto scuola in Europa.

Questa narrativa, mutato l'attore, dall'afroamericano al palestinese, è la stessa che informa la propaganda contro Israele. I palestinesi sarebbero vittime della "colonizzazione" europea ebraica, la violenza una legittima risposta all' oppressione, gli israeliani (eccetto, ovviamente quelli di sinistra) sarebbero razzisti, e così via.

Il poliziotto che ha ucciso George Floyd è un criminale, ma questo non ha nulla a che vedere con quello a cui stiamo assistendo, con the bigger picture.

Vediamo in atto una rappresentazione scenica, una piece teatrale, in cui, i fatti, vengono manipolati, distorti, la realtà stravolta.

La propaganda di sinistra ha questo grande vantaggio. Si fa megafono degli "oppressi", delle "vittime", e divide il mondo tra i primi e i secondi, "gli oppressori" e i "carnefici".

La donna di colore nel video ha il coraggio di smontarla. Urla. "Non sono una vittima!". Ci dice, "Non sono una oppressa".

"Shut up!" ("Taci!") le viene intimato.

È quello che vogliono. Silenziare la verità per imporre la loro fiction.


https://www.frontpagemag.com/fpm/2020/0 ... e-editors/

Nestride Yumga, a Washington D.C. resident, throws a barrage of truth bombs on Black Lives Matter supporters protesting in the wake of the death of George Floyd in police custody in Minneapolis. Check out the video below as she slams the BLM organization for its hypocrisy and race-baiting.
https://youtu.be/ylAh9VjLTiU
Nestride Yumga, residente a Washington D.C., lancia una raffica di bombe della verità sui sostenitori della Black Lives Matter che protestano in seguito alla morte di George Floyd in custodia della polizia a Minneapolis. Guardate il video qui sotto mentre sbatte l'organizzazione BLM per la sua ipocrisia e i suoi attacchi razziali.


IL MARTELLO NECESSARIO
Niram Ferretti

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Si potrebbe anche sorvolare. Ci sono tante cose importanti di cui occuparsi. Si potrebbe. Ma non lo farò.
La giornalista Myrta Merlino, una delle vedette de La 7, dopo avreci spiegato che Trump getta benzina sul fuoco, mentre Mattarella, lui sì che ha parole giuste e responsabili, quanto siamo fortunati ad avere Mattarella presidente invece di Trump, eccola che si inginocchia in studio mentre sullo schermo appare la scritta "Black Life Matters", l'organizzazione rivoluzionaria di estrema sinistra, che la Merlino pensa sia una associazione pia che si adopera per la giustizia sociale.
E così si inginocchia. E così noi abbiamo la nostra nuova dose di trash quotidiano.
Ma non è solo trash, dal trash siamo sommersi. E' il glutine spaventoso della demagogia e della propaganda che invischia tante teste e testoline, è l'assassinio dell'intelligenza e del pensiero critico, è lo sprezzo della verita, la ripugnante aquiescienza al linguaggio unico.
E allora, come insegnava Nietzsche, ci vuole il martello. Il martello, beninteso delle parole che infrangano questo casa costruita da altri in cui ci vorrebbero tutti imprigionare.
Altro che il lockdown per il Covid-19.




FALLACIE LOGICHE
Silvia Molè‎
2 giugno 2020
https://www.globalist.it/world/2020/06/ ... 59309.html

(Tamika Mallory) "Non possiamo considerarlo un incidente isolato. La ragione per cui i palazzi stanno bruciando non è solo la morte del nostro fratello George Floyd. Stanno bruciando perché le persone qui nel Minnesota stanno dicendo alle persone a New York, in California, a Menphis, a tutta la nazione, che quando è troppo è troppo".
"Non possiamo essere responsabili per la malattia mentale che è stata inflitta sulle persone dal governo americano, dalle istituzioni, da chi si trova in una posizione di potere. Non me ne frega nulla se i palazzi bruciano. Non me ne frega nulla se bruciano i negozi di Target, perché Target dovrebbe essere in strada con noi, chiedendo giustizia che la nostra gente merita. Dove era AutoZone quando Philando Castile è stato ucciso in una delle loro auto?"
"Se non vieni in difesa del popolo, non sfidarci quando siamo frustrati: siete voi che avete pagato coloro che ci istigano, siete voi che avete voluto tutto questo".
"C'è un modo semplice per fermarlo: arrestate i poliziotti. Indagateli. Indagateli tutti. Non solo qualcuno. Tutti, in ogni città americana dove i neri sono stati uccisi. Questo non è mai stato un paese libero per i neri. E ora i neri sono stanchi. Non parlateci di saccheggi. Voi siete i saccheggiatori: la violenza l'abbiamo imparata da voi. Avete saccheggiato i neri, i nativi americani, il saccheggio è la vostra specialità. Se volete che ci comportiamo bene allora cazzo, cominciate a farlo voi".

Gino Quarelo
Questa è una criminale, andrebbe arrestata per gravi calunnie e istigazione alla violenza razzista!


Chi giustifica le violenze se ne frega di giustizia e diritti, è mosso solo da odio politico
Atlantico Quotidiano
Dorian Gray
3 giugno 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -politico/

Chi scrive fa parte delle milioni di persone che sono rimaste scioccate dalla brutale uccisione di George Floyd. Chi scrive, guardando quel terribile filmato di oltre dieci minuti, fa parte di coloro che hanno detto “non è possibile” e che nella loro testa hanno gridato, a coloro che riprendevano la scena, “ma perché cazzo non intervenite per fermarli?”. Chi scrive, si è emozionato vedendo le scene delle manifestazioni pacifiche e soprattutto le scene che vedevano manifestanti e poliziotti scendere in piazza insieme, marciare l’uno a fianco dell’altro, per gridare che non tutti i poliziotti sono come il criminale che ha ucciso Floyd e soprattutto che la vita delle persone di colore va difesa come quella di tutte le altre.

Detto questo, chi scrive fa parte di coloro che non possono tacere davanti alla violenze brutali e indiscriminate cui stiamo assistendo, e soprattutto davanti ai rappresentanti politici che, per farsi mettere qualche like, pubblicano video di discorsi di attivisti e attiviste che, fregandosene delle conseguenze politiche, giustificano ogni sorta di violenza contro civili inermi e innocenti, o contro le proprietà e le attività commerciali di questi stessi civili, frutto di anni di onesto lavoro di chi, proletario tra i proletari, ha magari ancora anni di mutuo e debiti da pagare.

Ecco allora che sorge un dubbio, un dubbio tremendo: ma questi politici che sono disposti a giustificare ogni sorta di azione dei manifestanti americani, lo fanno perché vogliono giustizia per George Floyd, o lo fanno per un odio politico che travalica il tema stesso delle manifestazioni? Coloro che stanno offrendo alle proteste in America un sostegno incondizionato, lo fanno perché vogliono ottenere un avanzamento dei diritti dei neri americani, o semplicemente perché tutto va bene pur di attaccare gli “yankees” e il presidente Donald Trump? No perché fino a poco tempo fa, lì dove ora siede il “bianco” Donald, sedeva il “nero” Barack Obama e a quanto pare la questione razziale è rimasta sempre la stessa, con la comunità afroamericana rimasta ugualmente ai margini della società.

Peggio: chi oggi giustifica ogni sorta di protesta negli Stati Uniti, resta quasi sempre zitto quando la protesta popolare, quasi sempre pacifica, esplode in Paesi governati da regime autoritari e lontani anni luce dal rispetto di ogni minimo standard di stato di diritto. Regimi dove, quando capita un caso come quello del povero George Floyd, non si licenziano su due piedi i poliziotti, non viene arrestato in pochi giorni il colpevole e, quasi sempre, neanche si avvia una inchiesta. Non serve neanche fare una ricerca precisa per arrivare a capire che molti dei politici (anche italiani) che stanno giustificando le violenze negli States, non hanno mai scritto una sola riga, dedicato un solo pensiero, sulle repressioni del regime comunista di Pechino, su quelle del regime islamista iraniano o su quelle di Hamas nella Striscia di Gaza.

Due pesi e due misure, che in realtà sono solamente il frutto della libertà che anche e soprattutto i cattivoni “yankees” ci hanno aiutato a riconquistare. Non dimentichiamolo mai.




La figlia di George Floyd merita di piangere suo padre lontano dalle fauci della protesta
Annalisa Teggi
4 giugno 2020

https://it.aleteia.org/2020/06/04/georg ... ato-mondo/

Ho studiato e amato gli USA sui libri, pochissimo li conosco per esperienza diretta e proprio quel poco di esperienza diretta mi ha confermato che c’è tantissimo che ignoro. C’è una scena ben impressa nella mia testa, sebbene accaduta 12 anni fa: ero all’uscita di un ristorante a New York e aspettavo mio marito che aveva fatto un salto alla toilette. All’ingresso del bagno c’era un inserviente afroamericano, apriva e chiudeva la porta ai clienti. Mio marito, uscendo, gli chiese qualcosa e lui rispose: «Yes, Sir». Mi pareva di essere tornata indietro di secoli, ma anche no. Mi spiego: il locale era pieno di bianchi, anche tra i camerieri, e il nero – parliamoci schietti – stava sull’uscio del bagno a rispondere qualcosa di molto simile a «Sì, padrone»; eppure il tono e lo sguardo di quell’uomo erano pieni della consapevolezza di chi pronuncia certe frasi anche come sfida di orgoglio. Quello stesso orgoglio ferito e ruggente per cui c’è chi è fiero di definirsi nigger («negro»). Ho intuito in quel momento che capivo pochissimo le vere implicazioni della questione razziale che dilania gli Stati Uniti. Perciò l’errore peggiore che può fare chi è lontano da quel contesto è giudicare l’ondata di proteste attuali fingendo di conoscere la storia e andando a tirar fuori la trita faccenda delle navi negriere e i canti dei raccoglitori di cotone nelle piantagioni del Sud.

Con questo gigantesco «so di non sapere» mi accingo ad avvicinare la tragica vicenda di George Floyd.
Soffocare

Un pacchetto di sigarette pagato con una banconota falsa, da questo sospetto si è innescato un incendio che infiamma tuttora l’America. Sì, è drammaticamente simbolico che tutto sia nato da qualcosa che va acceso col fuoco. La sera del 25 maggio l’intervento della polizia, degenerato fino a procurare la morte di George Floyd, 46 anni, è stato motivato dalla telefonata al 911 degli addetti del negozio dove Floyd aveva comprato le sigarette e che ritenevano di essere stati truffati.

Ne è seguita una catena di eventi, documentati da video e ricostruzioni precise al secondo, che ha portato al decesso di George Floyd tenuto bloccato a terra per 8 minuti e 46 secondi con il ginocchio del poliziotto Derek Michael Chauvin sul collo. Testimoni presenti riferiscono di aver sentito più volte la vittima implorare aiuto dicendo: «Non respiro». L’intervento dei paramedici e il trasporto in ospedale non hanno potuto salvare l’uomo.

Da questo punto in poi è difficile riuscire a raccontare con chiarezza gli eventi che ne sono seguiti; si può certamente dire che il ruggito della violenza ha generato ciò che è gli congeniale, altra incontrollata violenza. Focolai di protesta si sono accesi in diverse zone degli Stati Uniti, sotto la bandiera della condanna della discriminazione razziale e degli abusi delle forze dell’ordine. Ma è impossibile inquadrare quello che accade per le strade d’America in modo così semplicistico; è qui che la faccenda ci sfugge, e saremmo davvero un po’ ipocriti e anche poco onesti se ci sentissimo coinvolti nella storia di George Floyd solo perché dal nostro divano ci siamo entusiasmati vedendo qualche film su Malcom X e Marthin Luther King.

L’ha capito anche Elettra Lamborghini che non ci fanno una gran bella figura quegli pseudo-pacifisti tutti hastag e mascherine con il volto di Floyd che partecipano al BlackoutTuesday (trattasi di postare una foto completamente nera in sostegno della causa di George Floyd). Molto ci sfugge, non da ultimo che anche dietro queste proteste incorniciate dal motto #Blacklivesmatters ci siano le acque altrettanto torbide e nere di chi usa il caso Floyd per un preciso scopo politico, dare un definitivo scossone al bianco più cattivo di tutti, Mr Trump. E dire questo non significa stare da una parte piuttosto che dall’altra, significa solo dire che è razzismo anche usare la morte di un uomo per scopi diversi dall’esigere giustizia per lui.

Il fumo e le fiamme avvolgono la cronaca che arriva da oltreoceano, si possono mettere in fila certi dati incontestabili e poi ammettere che questa storia è decisamente qualcosa di più grosso e meno lineare della lotta contro l’eccesso di violenza delle forze dell’ordine sugli afroamericani. Che non è materia di discussione, ed è esecrabile. Altrettanto terribile è accorgersi di quanto sia appetibile per molti addentare pezzi di George Floyd e imbandire un macabro banchetto per scopi molto lontani dagli slanci umanitari.


Da che parte vuoi guardare? In ogni direzione c’è un fiume che ribolle di parole, grida, lacrime, appelli.

Se sbirciamo oltre la porta del tribunale, ecco la cascata di dettagli su cui ci si batterà nei processi inerenti il caso: il soffocamento è stata la vera causa del decesso (l’autopsia ufficiale dice di no, altre due autopsie indipendenti volute dagli avvocati di parte sostengono di sì)? Tutti i poliziotti sono stati licenzianti e arrestati ma è adeguata l’accusa di omicidio volontario nei confronti dell’agente Chauvin? È in qualche modo significativo sapere che Floyd e Chauvin si conoscevano perché avevano lavorato assieme come addetti alla sicurezza di un locale? La platea dei fan di Law and Order ha di che sollazzarsi, discutere, commentare, stracciarsi le vesti.

Se voltiamo lo sguardo verso le piazze e le strade veniamo travolti dall’ondata di proteste. Limitiamoci a una panoramica sommaria.

Almeno 90 persone sono state arrestate la notte scorsa a New York nelle proteste per la morte di George Floyd. Lo riferisce la polizia locale, precisando che le manifestazioni sono state relativamente calme e senza saccheggi. Martedì notte erano stati arrestati 280 dimostranti. (da Ansa)

Altrove la scia di violenza stata ben più devastante, soprattutto a Minneapolis: si è assistito alla devastazione di centri commerciali, fiamme appiccate a molte auto, strade invase dai lacrimogeni e i trasporti pubblici sospesi. Un incendio è divampato all’esterno del commissariato degli ex agenti coinvolti nella morte di Floyd e l’edificio, assediato dai manifestanti, è stato abbandonato. C’è una furia che serpeggia e non è intermanente riconducibile alla voce di chi difende i diritti degli afroamericani; inoltre non c’è più solo la morte di Floyd da contare, ma anche altre. Ed è raccapricciante constatare come certa carta stampata voglia piangere solo vittime nere e altre testate solo vittime in divisa. Ci sarebbe un poema pungente da scrivere sulla scarsa onestà intellettuale con cui i giornali filtrano le notizie per inquadrarle nella propria ideologia di parte, che non è in sé una novità ma in questo caso ci mostra il volto veramente cinico di chi usa la morte altrui come pedone su una schacchiera.

Le manifestazioni, inoltre, continuano in diversi Stati americani (FOTO) anche con scontri violenti: a Detroit, Michigan, un ragazzo di 19 anni è morto durante una sparatoria e una quarantina di persone sono state arrestate, mentre a Oakland, in California, un agente del Servizio di protezione federale è stato ucciso e un altro è rimasto ferito a colpi d’arma da fuoco Il Servizio federale di protezione, che rientra nel Dipartimento di sicurezza nazionale, fornisce servizi di sicurezza e di contrasto presso le strutture del governo degli Stati Uniti. La seconda vittima delle proteste è un 19enne rimasto ucciso a Detroit: qualcuno ha sparato sulla folla dei manifestanti da un suv ed è poi scappato. (SkyTG24)

Qualcosa cova dentro questa violenza, il cui innesco è senz’altro il dramma spinosissimo del razzismo nella terra del sogno americano (ed è una matassa molto più intricata del bianco vs nero). Ma c’è altro sotto: ci sono – innanzitutto – le lacerazioni dentro l’anima di ciascuno; lo sfogo brutale è l’alternativa di chi non sa come curarle. Da che mondo è mondo, sappiamo che l’ira è una dea affamata, si nutre di pretesti anche giusti per divampare senza ritegno nel male. Per questo, faticando io stessa a trovare una luce sensata in mezzo alla nebbia infuocata di queste proteste, ho trovato nelle parole di Davide Rondoni l’orizzonte più ampio e giusto da fermarmi a fissare la scena; e la prima cosa da dire è che ci sono molti punti incandescenti sul globo:

Le radici che infiammano tali proteste sembrano lontane tra loro: la rabbia razziale in Usa, le difficoltà economiche altrove, la insubordinazione alle regole imposte con stile autoritario in nome del virus in altri luoghi. Le proteste dei giovani a Hong Kong sembrano invece differenziarsi per richieste di libertà basilari e per stile non violento. Radici diverse per fenomeni diversi ma tutte accomunate da un carburante, l’ira, pronto a infiammarsi per motivi o pretesti diversi, ma di certo largamente disponibile e facile a accendersi. (da Quotidiano.net)

Allora mi sono chiesta: che il punto allora sia altro? Di cosa ha fame l’uomo che si ciba di violenza (dal poliziotto che abusa al militante che protesta incendiando)? E poi: chi vogliamo strappare dalle fauci voraci dell’ira?

Gianna Floyd, figlia non idolo

C’è un volto che spicca tra la folla, è una bambina di 6 anni e la tiene sulle spalle l’ex cestista dell’NBA Stephen Jackson. È Gianna, la figlia di George Floyd e grida: «Mio padre ha cambiato il mondo». Questa immagine non mi ha commosso, ma ferito.

Temo, e lo dico subito, che questa bambina diventi vittima del ventre ingordo dell’ira e della violenza che ancora divampa. Si può fare male a una bambina senza torcerle un capello, sventolandola come una bandiera ed esponendola al pubblico a pochi giorni dalla morte del padre. Non accuso direttamente nessuno, ma mi si stringe il cuore nel vedere la piccola Gianna ospite a Good Morning America, di fronte a una graziosissima giornalista e accanto a un avvocato. C’è anche sua madre, in lacrime, vicino a lei; e penso che questa donna straziata sia stata consigliata davvero male, mi dispiace. Vedo il furbo occhio mediatico pronto a ghermire una preda succulenta e vedo anche lo scaltro animale da tribunale fare le mosse giuste per la battaglia legale che verrà.

Non vedo alcuna sincera cura e premura per la bambina e sua madre. A quel giocatore di pallacanestro che solleva la piccola Gianna sulle spalle e promette di aiutarla, in nome dell’amicizia con il padre, direi: non sollevare la bimba, nascondila al pubblico e mettila al sicuro dove possa vivere un dolore fortissimo in una dimensione umana. Non esporla, proteggila. Le molte voci di questa protesta – alcune sincere, alcune molto meschine – hanno bisogno di idoli per cui infiammarsi ancora di più; ma Gianna ha bisogno di questo? La cosa più terribile che può capitarle, oltre ad aver perso un padre, è quello di convincersi che è la figlia di un monumento e non di un uomo in carne e ossa.

Durante l’intervista la bimba sorride alla telecamera mentre gli altri attorno dicono ad alta voce che ancora non le è stato raccontato come è morto suo padre. È un pugno nello stomaco vederla esposta a un pubblico nell’innocenza di quel suo sorriso, ignara del peso di lacrime che porterà. Ora per lei ci vorrebbe solo un ritaglio intimo di affetti sinceri con cui attraversare il lutto in silenzio, lontano da ogni genere di folla. Non illudiamola che venerare un eroe e diventare la paladina di un movimento antirazzista, lenirà la mancanza di un padre con cui ha vissuto un rapporto vivo e vero, per quanto breve.

Gianna dichiara di voler fare il dottore da grande, per curare le persone; certo non è consapevole di quanto strida questo suo slancio umano con la violenza di cui è stato oggetto suo padre e che inonda le strade del paese, ma l’alternativa all’ingordigia dell’ira è proprio quella che in inglese si definisce «care». La cura è fatta di volti e relazioni, ed è su questo terreno – il più delle volte silenzioso e nascosto – che l’umano operoso e virtuoso disinnesca crimini abominevoli. La protesta, anche quella che dovesse sorgere per i motivi più sacrosanti, sarà sempre un momento rumoroso e passeggero. Il cambiamento accade elemosinando un cuore alla volta, guardandosi in faccia e discutendo anche fieramente, ma sullo stesso sentiero in salita.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:36 pm

L'America è in fiamme: chi sono i "piromani" che alimentano il caos?
Autore Andrea Muratore
4 giugno 2020

https://it.insideover.com/politica/lame ... omani.html

Saccheggi, furti, violenze di ogni genere. Spesso a danni di piccoli commercianti ed esercenti, anche di colore, che nulla hanno a che vedere con il razzismo o con le giuste rivendicazioni di una comunità – quella afroamericana – ferita nel cuore dall’ennesima ingiustizia, la morte di George Floyd, soffocato brutalmente da un poliziotto di Minneapolis e già duramente colpita dalle gravi ripercussioni economiche del Covid-19. Ma la – doverosa e comprensibile – indignazione, così come le proteste pacifiche, hanno fatto spazio a scene apocalittiche da guerra civile, che rendono gli Stati Uniti d’America una polveriera, portata alla deriva dall’Identity Politics e dalle diseguaglianze sociali.

Ma ciò che non solo una democrazia, ma uno stato in generale non può tollerare se non vuole collassare, sono le scene a cui abbiamo assistito in questi giorni e che nulla hanno a che fare con la politica e che Tucker Carlson ha elencato in un monologo su Fox News che ha preso di mira tutti, ma proprio tutti. Non solo i manifestanti più violenti e facinorosi, ma un’intera classe politica, dai democratici passando per l’ex vicepresidente Joe Biden, fino a Donald Trump e all’ex ambasciatrice Onu Nikky Haley. Tutti nel mirino dell’anchor man che non ha paura di dire le cose come stanno.


L’escalation di violenza

In primo luogo Carlson ricorda alcune delle scene di violenza che si sono registrate in tutto il Paese. La verità nuda e cruda. A Columbia, un uomo ha avvertito la polizia quando le cose stavano cominciando a degenerare. I manifestanti lo hanno visto mentre chiamava le forze dell’ordine. Hanno circondato quell’uomo e l’hanno picchiato. Gli spettatori hanno ridevano mentre veniva preso a pugni. A Rochester, New York, un gruppo di otto uomini ha sfondato le finestre di una gioielleria. La coppia che viveva sopra il negozio è scesa per affrontarli. Entrambi sono stati brutalmente picchiati con una scala.

A Dallas, un uomo armato di quella che sembrava essere una spada ha fatto del suo meglio per difendere un’azienda dai saccheggiatori. La folla lo ha colpito alla testa con una pietra e uno skateboard. A San Jose, i manifestanti con piede di porco hanno preso d’assalto l’autostrada e hanno attaccato i veicoli, cercando di tirare fuori i conducenti dalle loro auto. A Birmingham, in Alabama, un giornalista locale, Stephen Quinn, è stato picchiato, e poi è stato derubato in diretta televisiva mentre cercava di documentare il furto. A Saint Louis David Dorn, un poliziotto in pensione di 77 anni, è morto dopo essere stato aggredito da un gruppo di persone che avevano fatto irruzione in un banco dei pegni per saccheggiarlo e il suo omicidio è stato ripreso in diretta Facebook.

A Buckhead, un quartiere di lusso di Atlanta, i manifestanti hanno rubato una Tesla da un concessionario e l’hanno guidata in un centro commerciale. A Portland, in Oregon, la folla ha saccheggiato Louis Vuitton, Apple e Chase Bank, mentre a Chicago un negozio di scarpe è stato svaligiato. “Ok, quali sono esattamente le richieste di quei manifestanti? Cosa stanno chiedendo? Se il Congresso accettasse di attuare il loro programma, quale sarebbe il programma?” Incalza Carlson. “Non una sola persona suggerisce nemmeno la risposta perché non esiste una risposta”. In realtà, prosegue, “ciò che stiamo osservando non è una protesta politica. È l’opposto di una protesta politica. È un attacco all’idea della politica”. I manifestanti, osserva, “vogliono rovesciare il nostro sistema politico”. Per definire ciò che stanno combinando negli Stati Uniti queste bande di criminali torna alla mente un vecchio aforisma di Richard Nixon, del 1970: “Riconosciamoli per quello che sono: non sono rivoluzionari romantici ma gli stessi teppisti che hanno sempre afflitto la brava gente”. E così è.


Le colpe della politica

Ma, come si diceva, anche la politica ha grandi responsabilità. E quello di Carlson è un affondo bipartisan. Il Partito Democratico sta giocando col fuoco tentando di cavalcare le proteste per affondare su Trump sul tema razzismo. L’importante sezione di Fairfax, Virginia, sottolinea che i riots sono “una parte integrante della marcia del Paese verso il progresso”. Una fase che apparirebbe come il tragico contrappasso di quanto detto dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld nel 2003 quando, assistendo ai saccheggi di Baghdad dopo la fuga di Saddam Hussein, affermò che essi erano parte dellatransizione dell’Iraq “verso la libertà”. Ma che in realtà lascia trasparire una leggerezza clamorosa e la mancata consapevolezza dell’assoluta precarietà della condizione interna degli States piegati da dure tensioni sociali.

I dem e l’establishment mediatico e “pop” che li sostengono (da Hollywood ai campioni dello sport) puntavano sul calcolo spericolato di cavalcare le proteste per inchiodare il Presidente al suo sostegno a un presunto “razzismo istituzionale” e usare l’arma del caso Floyd come nuova mossa elettorale in vista del voto di novembre. Nulla di più rischioso e spericolato, se si pensa che oramai anche i più pacifici dei cortei di protesta sono stati infiltrati, ridimensionati e deviati da teppisti senza colore e ideale, la rabbia sociale comprensibile che covava nella terra delle disuguaglianze piegata al servizio di pochi, rumorosi facinorosi.

Trump, dal canto suo, ha la possibilità, secondo Carlson di scottarsi (e molto) sul tema delle proteste, che assieme al coronavirus rischiano di mandare in frantumi la sua immagine, invero raramente suffragata dalla realtà, di leader decisionista e capace di leadership forte. L’arrivo dei manifestanti a due passi dalla Casa Bianca, la fuga del Presidente in un bunker, l’inseguimento di un reporter della Fox a Lafayette Square, nel cuore della capitale, ad opera dei protestanti sono tutti segnali di un indebolimento della leadership. Forzando i toni, Carlson azzarda un paragone con Nerone che abbandona Roma in tempo di crisi: ma il rischio è che con la gestione rapsodica delle crisi la Casa Bianca rischi un crollo di popolarità.

Sul virus e sulle proteste Trump si è mostrato volatile, incostante: il suo consigliere alla Sicurezza Nazionale Robert O’Brien si è dichiarato vicino ai “manifestanti pacifici”, senza però individuare organizzazioni precise di riferimento. Trump ha oscillato tra il cordoglio per il dolore della famiglia Floyd, la minaccia di mobilitare le truppe e il richiamo “nixoniano” alla maggioranza silenziosa, ovvero il cuore profondo laborioso e moderato della società statunitense.

Si tratta di una gara a chi tira di più la corda: i democratici rischiano sul tema dell’identificazione tra Trump e il razzismo e sul sostegno generalizzato ai moti; i repubblicani, invece, vedono una minaccia politica da una possibile imputazione di incapacità gestionale a Trump nel caso in cui non si assista a un pronto riflusso della violenza e delle proteste. Carlson accusa in particolare la debolezza dell’élite americana: “la debolezza chiama l’aggressività: questo è vero in natura e ancora più in una società umana. I nostri leader sono deboli, e i saccheggiatori lo sanno. Ecco perchè tutto questo sta accadendo”. Mai come oggi la maggioranza silenziosa è, in realtà, ammutolita, stupita dall’escalation di violenza e dall’incapacità della politica di porvi un freno o di evitare di sfruttarla cinicamente. Della morte di George Floyd, purtroppo, sembra non importi più niente a nessuno: l’America è in fiamme e in giro si vedono molti piromani e pochi pompieri.


IL NEMICO E LA NECESSITA' DELLA VITTIMA PERPETUA
Niram Ferretti
5 giugno 2020

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Joseph Goebbels, un nome, una garanzia. Tra gli undici punti di una efficace propaganda da lui stilati il primo è la colonna e il fondamento.

"È necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali".

Lo abbiamo visto fruttuosamente messo in atto nella storia. Gli ebrei erano il Nemico per i nazisti, i borghesi erano il Nemico per i bolscevichi, l'uomo bianco è il Nemico per "i guerrieri sociali" (la maggioranza dei quali bianchi), che in questi giorni hanno manifestato per la morte di George Floyd.

Ovviamente, l'uomo bianco è il Nemico soprattutto per una associazione come Black Life Matters, ed è il Nemico per l'associazione suprematista islamica afroamericana Nation of Islam. Sì, i "suprematisti" non sono solo bianchi e neonazisti. Sorry for that.

C'è anche un altro Nemico, si chiama Donald Trump, il Presidente Divisivo. Mica come il suo predecssore. Obama univa. Univa tutti, nell'amore, nel rispetto, nella dignità. Peccato che la violenza, soprattutto quella tra afroamericani, non sia diminuita sotto la sua illuminata presidenza durata otto anni. Ma questo è meglio non metterlo troppo a fuoco.

Ciò che va messo a fuoco è che gli USA sono strutturalmente razzisti, che i poliziotti bianchi, la maggioranza razzisti, godano nell'uccidere i criminali afroamericani, e che insomma non è cambiato molto da Missisipi Burning.

Questa narrazione è forte, perchè, come ho scritto innumerevoli volte e non mi stancherò di scrivere in futuro, si basa sulla dicotomia manichea tra vittime e oppressori. E una volta che sono state identificate le vittime, automaticamente sono stati identificati gli oppressori.

Il complesso di colpa gioca un ruolo fondamentale nel caso degli USA. Nonostante enormi passi avanti nell'integrazione dei neri nel tessuto sociale, nonostante da Rosa Parks in poi di acqua sotto i ponti ne sia passata tanta, c'è oggi, chi ha tutto l'interesse a che la comunità nera venga percepita senza sosta come discriminata e oppressa. Ciò serve una ben precisa agenda politica, quella liberal, e serve per riscrivere la storia degli Stati Uniti come una storia di oppressione e criminalità nei confronti delle minoranze, come una storia basata sul sopruso. Non ci si deve e non ci si può discostare da questa narrativa perchè se no il Nemico, l'uomo bianco, l'Occidente, perderebbe consistenza.

Vittima e oppressore sono indissolubilmente uniti, aut simul stabunt aut simul cadent.

Al presunto colpevole deve essere sempre ricordata la sua colpevolezza e gli si deve chiedere un costante pentimento. Uno dei segni del pentimento maturo è l'inginocchiarsi nei confronti delle vittime, non di una vittima, George Floyd in questo caso, ma di tutte le vittime che lui rappresenterebbe. E' un buon segno e si accompagna ad altri segni, di cui, uno dei più eloquenti, è provare vergogna per i propri privilegi, per il proprio status, per la propria storia. E' il meaculpismo introiettato, trasformato in costitutivo ontologico.

Una delle cose più aberranti di tutto ciò, è la sudditanza psicologica che si osserva nei confronti di chi accusa e chiede il pentimento, in modo molto più perentorio di quanto facesse Girolamo Savonarola. Chi osa ribellarsi a questo ricatto viene immediatamente accusato di fare parte del campo avverso del Nemico del Progresso e della Giustizia. Perchè la Vittima, in quanto tale, è detentrice esclusiva delle due prerogative.

E così accade anche che la categoria di Vittima debba riguardare anche quei neri che respingono la stigmate che gli si vorrebbe imprimere vita natural durante, che non la riconoscono. Molti neri, la maggioranza, che non vanno in giro a delinquere, hanno fatto carriera, vivono vite tranquille e dignitose, tralasciando le celebrità multimiliardarie di colore americane, alcune delle quali, tuttavia, si sentono obbligate a dare il proprio assenso per non venire tacciate di tradimento, perchè, se non sei Vittima non puoi essere mai dalla parte giusta della storia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:36 pm

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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:36 pm

Ricordo il caso accaduto nel 2017 sempre a Minneapolis in cui un poliziotto afroamericano nero e mussulmano ha ucciso una donna bianca.

Nel 2017 Justine Damond, una donna australiana, è stata uccisa dal Minneapolis Police Department in un quartiere borghese a prevalenza bianca. Il poliziotto responsabile dell’omicidio della donna era una somalo-americano che è stato condannato per direttissima.
In questo caso i bianchi non fecero alcuna manifestazione, alcuna devastazione, alcun saccheggio, alcuna rappresaglia nei quartieri abitati dai neri e non bruciarono alcun edificio della polizia e non accusarono nessuno di razzismo.
Il somalo era anche maomettano.

https://en.wikipedia.org/wiki/Shooting_ ... ine_Damond

Il 15 luglio 2017, Justine Ruszczyk, conosciuta anche come Justine Damond,[ una quarantenne austro-americana, è stata uccisa a morte da Mohamed Noor, un ufficiale somaloamericano del Dipartimento di Polizia di Minneapolis, dopo aver chiamato il 9-1-1 per denunciare la possibile aggressione di una donna in un vicolo dietro casa sua. Noor è stato infine arrestato e accusato di omicidio colposo di secondo grado e omicidio di terzo grado a seguito di un'indagine durata otto mesi condotta dal Minnesota Bureau of Criminal Apprehension e dall'ufficio del procuratore della contea di Hennepin. Nell'aprile 2019, Noor è stato condannato per omicidio di terzo grado e omicidio colposo, ma assolto per omicidio intenzionale di secondo grado. Nel giugno 2019, Noor è stato condannato a 12,5 anni di carcere. La famiglia di Damond ha intentato una causa civile contro la città di Minneapolis per violazione dei diritti civili di Damond, che la città si è accontentata di 20 milioni di dollari, uno dei più grandi insediamenti in una causa che ha comportato un omicidio della polizia.

https://www.youtube.com/watch?v=vc6dECtUMBc


Perché mai se un poliziotto bianco uccide un nero (pregiudicato) si grida al razzismo e se un poliziotto nero e maomettano uccide un bianco (in questo caso una donna bianca) nessuno grida al razzismo?
https://www.youtube.com/watch?v=ERgx3kkFIjk



Mohamed Noor (nato il 20 ottobre 1985), è l'ufficiale che ha sparato a Damond. Il partner di Noor, Matthew Harrity (allora 25 anni), era l'autista della loro auto. Noor era stato lodato in passato dal sindaco di Minneapolis, Betsy Hodges, e dalla locale comunità somala, come uno dei primi poliziotti somali della zona. Al momento della sparatoria, Noor era stato con il Dipartimento di Polizia di Minneapolis per 21 mesi; Harrity era in servizio da un anno.
In due anni di servizio di polizia, Noor ha ricevuto tre denunce formali contro di lui, due delle quali, al settembre 2017, erano in attesa di risoluzione. In un altro caso, a partire dal maggio 2017, è stato citato in giudizio per aver presumibilmente aggredito una donna mentre era in servizio.
A seguito della fucilazione mortale, la Tribuna della Stella ha segnalato che l'addestramento di polizia del Noor era stato "fast tracked", facendo riferimento al programma di addestramento immersivo di sette mesi per i cadetti; alcuni dipartimenti di polizia suburbani vedono i programmi del cadetto come senso aggiungere rapidamente la diversità alle loro forze di polizia.[20] L'addestramento di polizia del Noor faceva parte del programma del cadetto per il Dipartimento di Polizia di Minneapolis, un programma accelerato [20] di sette mesi puntato sui candidati che già hanno un grado dell'istituto universitario e desiderano entrare nell'applicazione di legge. L'ex capo della polizia Janeé Harteau ha sostenuto l'addestramento di Noor:

Abbiamo una formazione molto solida e un processo di assunzione ... Questo ufficiale ha completato la formazione molto bene, proprio come ogni ufficiale. Era molto adatto a stare per strada ... Credo che le azioni in questione vadano contro chi siamo come dipartimento, come ci addestriamo e le aspettative che abbiamo come dipartimento. Queste erano le azioni di un singolo individuo.

Il 23 luglio 2017, l'MPD e il membro del Consiglio Elizabeth Glidden hanno negato la notizia dell'esistenza di un programma di formazione di sette mesi "fast-track" per l'MPD[22][23] Nel settembre 2018, è stato riferito che nel 2015 due psichiatri e altri ufficiali di formazione avevano sollevato dubbi sull'idoneità di Noor a svolgere il servizio di polizia[24]. Due mesi prima della sparatoria, Noor ha puntato una pistola alla testa di un autista che aveva accostato per una piccola violazione del codice della strada[24].

La notte della sparatoria, Damond ha chiamato il 9-1-1 alle 23:27, e di nuovo otto minuti dopo, alle 23:35[25] Ha riferito che pensava di aver sentito una donna che faceva sesso o che veniva violentata.[26] Gli addetti hanno classificato la chiamata come "guai sconosciuti: donne che urlavano" - una priorità relativamente bassa.[27] Gli agenti hanno risposto alla zona, il quartiere a bassa criminalità di Fulton nel sud-ovest di Minneapolis,[27] e non hanno trovato nessun sospetto o segno del sospetto stupro che abbia spinto Damond a chiamare il 9-1-1.[28]

Gli agenti Noor e Harrity, dopo aver guidato in un vicolo con le luci della loro Ford Explorer della polizia spente, non hanno sentito alcun segno di attività criminale[27] Mentre i due partner si preparavano ad andarsene, Noor "ha inserito il 'Codice Quattro' nel computer della cruiser, il che significa che la scena era sicura"[27] Harrity avrebbe indicato "che è stato spaventato da un forte rumore vicino alla squadra", e subito dopo, Damond si è avvicinato al finestrino del lato guida dell'auto della polizia. [29] Harrity estrasse la sua arma, ma, puntandola verso il basso, non sparò. [30] Noor, tuttavia, sparò una volta attraverso il finestrino aperto, colpendo fatalmente Damond al petto. [27] [29] Damond era disarmato e scalzo. [27] Gli agenti tentarono la rianimazione cardiopolmonare senza successo; Damond morì 20 minuti dopo. [31]

Harrity più tardi disse a un supervisore: "Ci siamo spaventati entrambi"[27] Al processo di Noor, Harrity ha testimoniato di aver sentito "qualcosa ha colpito la macchina e ho anche sentito una specie di mormorio", e che temeva un "agguato", ma ha ritenuto "prematuro" usare la forza letale[30] Noor ha testimoniato di non aver visto la mano di Damond o qualsiasi oggetto in mano, ma ha comunque creduto che il suo compagno "temesse per la sua vita" e "ci fosse una minaccia". "Al processo di Noor, i procuratori hanno presentato le prove che le impronte digitali di Damond non erano sull'auto della polizia, suggerendo che non aveva mai preso contatto con essa, e i procuratori hanno chiamato due testimoni esperti sull'uso della forza da parte della polizia, che hanno testimoniato che la decisione di Noor di sparare era irragionevole[33].

Entrambi gli agenti hanno fatto spegnere le telecamere del corpo.[34] Minneapolis ha introdotto le telecamere del corpo della polizia nel 2016, ma la loro attivazione non era obbligatoria in tutte le situazioni.[35] Nessuna registrazione audio o video ha catturato l'uccisione,[27] anche se un ciclista sedicenne ha ripreso il video della scena con il cellulare dopo la sparatoria.[36]

Dichiarazioni degli avvocati

L'avvocato di Harrity, Fred Bruno, ha detto alla Tribuna della Stella "è certamente ragionevole" supporre che qualsiasi ufficiale si sarebbe preoccupato di un'imboscata. Ha fatto riferimento alla recente morte di un ufficiale di New York ucciso nella sua auto della polizia[37].

La famiglia di Damond ha mantenuto l'avvocato Robert Bennett, lo stesso che rappresentava la famiglia di Filando Castiglia. In un'intervista televisiva, egli respinse le affermazioni dell'avvocato di Harrity (che era ragionevole per gli ufficiali temere un'imboscata) come "disinformazione"[38].
Stati Uniti

Il giorno dopo l'omicidio, una veglia in onore di Damond si è tenuta sul luogo della sua morte nel vicolo all'ingresso del vicolo situato sul lato nord della 51a Strada Ovest tra Xerxes Avenue South e Washburn Avenue South a Minneapolis. [39] Alcuni giorni dopo l'uccisione, centinaia di persone hanno marciato verso il Beard's Plaisance Park di Minneapolis, in onore di Damond[40] L'11 agosto 2017, sulla riva del lago Harriet a Minneapolis, si è tenuta una funzione commemorativa per Damond. La funzione si è svolta presso il Bandhell e in seguito c'è stata una silenziosa passeggiata intorno al lago. Vi hanno partecipato la famiglia e il fidanzato di Damond e circa 1000 persone in lutto[41][42].

L'Unione Americana per le Libertà Civili (ACLU) ha rilasciato un comunicato che definisce "inaccettabile" il disuso delle body camera. Blue Lives Matter ha controbattuto, sostenendo che gli agenti che effettuano un semplice controllo della zona non hanno motivo di utilizzarle. L'ACLU ha risposto che la polizia dovrebbe almeno iniziare a registrare dopo una sparatoria[43].

Il 19 luglio 2017, il repubblicano Michele Bachmann, che aveva rappresentato il sesto distretto congressuale del Minnesota nel Congresso degli Stati Uniti dal gennaio 2007 al gennaio 2015, ha dichiarato durante un discorso all'ottavo Hog Roast annuale e al forum governatoriale repubblicano di Waconia che Noor era un "noleggio di azioni positive". Parlando al World Net Daily, Bachmann ha dichiarato: "Noor proviene dalla cultura della copertura delle donne. Ecco perché mi chiedo se gli chiederanno se le sue opinioni culturali lo hanno portato a spararle. Questo è qualcosa, se è vero, non riesco a immaginare che i progressisti gli permettano di uscire"[44].
Australia

Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull ha detto che il governo australiano voleva delle risposte:[45]

E' un omicidio scioccante. È inspiegabile. Come si può sparare in questo modo a una donna per strada in pigiama che chiede aiuto alla polizia? Chiediamo risposte a nome della sua famiglia. È davvero un tragico omicidio a Minneapolis. È chiaro che qualcosa è andato tragicamente storto. Sembra inspiegabile. È una perdita tragica.

La famiglia e gli amici di Damond hanno organizzato una veglia all'alba per lei a Freshwater Beach il 19 luglio 2017.[46] Un'altra veglia all'alba si è svolta nella stessa spiaggia il 15 luglio 2018.[47]

Indagine

Una richiesta di mandato di perquisizione per per perquisire il vicolo in cui è avvenuta la sparatoria, con riferimento all'incidente della sparatoria, ha dichiarato: "All'arrivo della polizia, una donna "schiaffeggia" il retro della squadra di pattuglia. Dopo di che, gli agenti della BCA non sanno cosa sia successo esattamente, ma la donna è deceduta nel vicolo"[48] Tra gli oggetti raccolti vi erano le impronte digitali dal finestrino del portellone posteriore dell'auto della squadra[49].

Ore dopo la sparatoria, gli investigatori del Minnesota Bureau of Criminal Apprehension hanno ottenuto controverso un secondo mandato di perquisizione e hanno perquisito la casa di Damond alla ricerca di prove, tra cui "fluidi corporei, sostanze controllate e scritti". Non hanno preso nulla dalla proprietà.[50] Noor si è rifiutato di parlare con gli investigatori, invocando il suo diritto contro l'autoincriminazione.[51][52] Noor e Harrity erano allora in congedo amministrativo retribuito.[53]

Nel febbraio 2018, un gran giurì è stato convocato per indagare sulla morte di Damond[54]. Il 15 febbraio 2018, Harrity è comparso davanti al gran giurì[55].


Processo e condanna

Il 20 marzo 2018 è stato emesso un mandato per omicidio di terzo grado e omicidio colposo di secondo grado, e Noor si è consegnato alla polizia. Si è anche dimesso dal Dipartimento di Polizia di Minneapolis[56].[56] Con l'approvazione del tribunale, i procuratori hanno successivamente aggiornato le accuse contro Noor in omicidio intenzionale di secondo grado[57][58].

Il 30 aprile 2019, Noor è stato condannato per omicidio di terzo grado e omicidio colposo di secondo grado. [59] Secondo la legge del Minnesota, l'omicidio di terzo grado è definito come "una persona che causa la morte di un altro commettendo un atto eminentemente pericoloso per gli altri e senza riguardo per la vita umana, ma senza l'intenzione di causare la morte di qualsiasi persona"; l'omicidio colposo di secondo grado è definito come "chiunque, per negligenza colposa, con la quale crea un rischio irragionevole e prende consapevolmente la possibilità di causare la morte o gravi danni fisici ad un'altra persona, causa la morte di un altro è colpevole di omicidio colposo di secondo grado"[60].

L'Associazione di Polizia Somali-Americana ha emesso una dichiarazione dopo il verdetto, affermando che il pregiudizio razziale ha contribuito alla condanna di Noor[61].

Nel maggio 2019, gli avvocati di Noor hanno presentato una mozione di assoluzione per entrambe le accuse, sostenendo che le prove erano insufficienti[62][63].

Il 7 giugno 2019, Noor è stato condannato a 12,5 anni e mezzo di carcere[5].


Il capo della polizia di Minneapolis Janeé Harteau era in vacanza al momento dell'uccisione di Damond, e continuò la sua vacanza per quattro giorni, piuttosto che tornare immediatamente a Minneapolis dopo l'uccisione[64]. Dopo essere tornata in città, Harteau disse in una conferenza stampa: "Justine non doveva morire... La morte di Justine non sarebbe dovuta avvenire". Riguardo al rifiuto di Noor di parlare con gli investigatori, Harteau ha detto: "Preferirei che l'agente Noor parlasse"[65] Meno di una settimana dopo l'uccisione di Damond, Harteau è stato spodestato, dopo che il sindaco Betsy Hodges ha detto che lei e la città avevano perso fiducia nella capacità di Harteau di comandare.[66][67] Le sparatorie della polizia hanno contribuito a far perdere a Hodges la sua candidatura per la rielezione nel 2017[68].

Dopo la sparatoria, il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, ha annunciato che gli agenti di polizia avrebbero dovuto accendere le telecamere indossate dal corpo durante tutte le chiamate e gli stop del traffico[69]. Bob Kroll, il presidente del sindacato degli agenti di polizia di Minneapolis, si è opposto a far registrare le telecamere mentre gli agenti stavano andando a una chiamata, dicendo che la discussione delle tattiche degli agenti "durante la risposta a una chiamata non dovrebbe essere divulgata pubblicamente"[70].

Un documentario sulla vita e la morte di Damond è stato proiettato su Australian Story nel novembre 2017 su ABC TV[71].

Questo è Mohamed Noor un afroamericano somalo, poliziotto di Minneapolis che nel 2017 uccise la donna bianca austroamericana Justine Damond.
Il 30 aprile 2019, Noor è stato processato per omicidio di terzo grado e omicidio colposo di secondo grado. Secondo la legge del Minnesota, l'omicida di terzo grado è definito come "una persona che causa la morte di un altro commettendo un atto eminentemente pericoloso per gli altri e senza riguardo per la vita umana, ma senza l'intenzione di causare la morte di qualsiasi persona"; l'omicidio colposo di secondo grado è definito come "chiunque, per negligenza colposa, con la quale crea un rischio irragionevole e prende consapevolmente la possibilità di causare la morte o gravi danni fisici ad un'altra persona, causa la morte di un altro è colpevole di omicidio colposo di secondo grado". Il 7 giugno 2019, Noor è stato condannato a 12,5 anni e mezzo di carcere.


Perché mai se un poliziotto bianco uccide un nero (pregiudicato) si grida al razzismo e se un poliziotto nero e maomettano uccide un bianco (in questo caso una donna bianca) nessuno grida al razzismo?
https://www.youtube.com/watch?v=ERgx3kkFIjk


«Persone molto diverse tra loro. Sebbene Minneapolis sia una città caratterizzata da una forte segregazione razziale, , in queste ore molti si chiedono se anche Derek Chauvin – il poliziotto bianco che si è inginocchiato sul collo di George Floyd uccidendolo – verrà dichiarato colpevole di omicidio con la stessa solerzia. In questo momento è in arresto: è il primo poliziotto bianco di Minneapolis a essere accusato di omicidio».


https://www.dailymail.co.uk/news/articl ... oting.html

E dubito che racconteranno bene la storia del capo della polizia di Minneapolis, che è nero e ha sostituito il suo predecessore in quanto costretto a dimettersi perché un poliziotto afroamericano aveva ucciso una incolpevole donna bianca che aveva chiesto l’intervento della polizia.

https://www.open.online/2020/05/31/minn ... ifestante/

Minneapolis, parlano i manifestanti: «Stop alle proteste solo a due condizioni» - L'intervista - Open
Serena Danna
Guardando le immagini delle proteste di Minneapolis di questi giorni – i palazzi bruciati, le vetrine rotte, la devastazione in strada – si corre il rischio di dimenticare che tra i manifestanti ci sono anche uomini e donne come Eric Daigre, che dal 25 maggio chiede giustizia – in strada e online – per l’assassinio di George Floyd, ucciso da un poliziotto bianco in diretta video.
Eric Daigre, docente dell’Università del Minnesota, e membro del consiglio di Communities United Against Police Brutality (Cuapb)

Daigre è un amatissimo docente dell’Università del Minnesota, e membro del consiglio di Communities United Against Police Brutality (Cuapb), un’organizzazione di volontari nata a Minneapolis agli inizi degli anni Duemila per «documentare e combattere «la brutalità delle forze dell’ordine». Dalla sede centrale di Cuapb – diventata in questi giorni un punto di incontro per i manifestanti – risponde alle domande di Open nella giornata di sabato.

Come è la situazione a Minneapolis?

«C’è tantissima energia in città, vedere tutte queste persone in strada che chiedono giustizia per George Floyd ci dà davvero molta carica e ispirazione. Tuttavia la situazione è confusa: ci sono manifestazioni organizzate, marce, raduni pacifici, ma anche saccheggi e razzie. Molti palazzi stanno bruciando, compresa una terza stazione della polizia. La Guardia Nazionale è arrivata e si è unita alla polizia locale in tenuta antisommossa. Come è già successo venerdì, anche oggi (sabato 29 maggio ndr) c’è il coprifuoco alle 20, e questo non impedirà a molti di continuare a protestare. Manifestazioni di solidarietà stanno arrivando da tante città del Minnesota, come St. Paul, che è un altro focolaio di brutalità delle forze dell’ordine, e da tante città in giro per gli Stati Uniti».

Chi protesta?

«Persone molto diverse tra loro. Sebbene Minneapolis sia una città caratterizzata da una forte segregazione razziale, nel 2017 Justine Damond, una donna australiana, è stata uccisa dal Minneapolis Police Department in un quartiere borghese a prevalenza bianca. L’episodio è servito a svegliare l’attenzione di tanti bianchi convinti che la brutalità della polizia non li riguardasse. Siccome il poliziotto responsabile dell’omicidio della donna era una somalo-americano che è stato condannato in direttissima, in queste ore molti si chiedono se anche Derek Chauvin – il poliziotto bianco che si è inginocchiato sul collo di George Floyd uccidendolo – verrà dichiarato colpevole di omicidio con la stessa solerzia. In questo momento è in arresto: è il primo poliziotto bianco di Minneapolis a essere accusato di omicidio».

Qual è la sua opinione sull’operato delle autorità cittadine? Il sindaco e il capo della polizia hanno usato parole di condanna verso la polizia e di empatia verso i manifestanti

«La nostra organizzazione è stata molto critica con il sindaco e con il consiglio comunale attuale, così come con quelli precedenti, per l’incapacità di mettere la polizia di Minneapolis davanti alle proprie responsabilità. Tutti i meccanismi di controllo e tutte le strade per riconoscere torti e responsabilità delle forze dell’ordine finora si sono rivelate un completo fallimento. Giusto per fare qualche esempio: nell’ottobre del 2012 il consiglio ha smantellato la Civilian Review Authority, un organo che vigilava sulla condotta della polizia, per sostituirla con l’Office of Police Conduct Review (OPCR). Con tutti i suoi difetti, la prima dava seguito al 7-8% delle segnalazioni dei cittadini contro la polizia, mentre la nuova autorità ha abbassato la percentuale allo 0.36% negli anni dal 2012 al 2017.
Kerem Yucel / AFP

Questo fallimento istituzionale nel disciplinare i poliziotti ha avuto conseguenze reali: l’ufficiale che ha ucciso Terrance Franklin nel 2013 aveva avuto 19 segnalazioni prima dell’omicidio, mai un richiamo o una sanzione. Quelli che hanno assassinato Jamar Clark nel 2015 ne avevano ricevuti tre: ancora una volta, senza alcuna conseguenza. Gli agenti della pattuglia responsabile dell’omicidio di Justine Damond nel 2017 erano stati segnalati 6 volte e, anche in questo caso, alcun provvedimento era stato preso sul loro conto.

Oggi sappiamo che quelli che hanno ucciso George Floyd – Chauvin e Tou Thao – avevano ricevuto numerose lamentele e segnalazioni per la condotta aggressiva: Chauvin 7 dal 2012, senza alcuna conseguenza, e Thao 5, di cui una è ancora aperta. Terrance Franklin, Jamar Clark, Justine Damond, e George Floyd sarebbero ancora vivi se questi poliziotti fossero stati puniti?

La nostra organizzazione ha presentato al sindaco e al consiglio comunale report sui fallimenti dell’Office of Police Conduct Review anno dopo anno: vuol dire che erano pienamente consapevoli della funzione di “timbro di gomma” svolto dall’ufficio».

Tutti sapevano e nessuno agiva?

«Communities United Against Police Brutality attribuisce la responsabilità di quello che sta succedendo al sindaco di Minneapolis, al consiglio cittadino e al capo della polizia. Hanno contribuito a creare, e in qualche caso hanno creato in prima persona, le condizioni sistemiche e amministrative in cui prosperano brutalità della polizia, incoscienza e mancanza di responsabilità rispetto alle proprie azioni. Purtroppo siamo sicuri che se i cittadini di Minneapolis, dotati di grande senso civico, non avessero registrato la morte di Floyd, a quest’ora saremmo davanti alla stazione della polizia a chiedere le immagini dell’intervento del poliziotto: non ce le avrebbero mai date fino a quando non avessero trovato un modo per controllare la narrativa».

Quando fermerete le proteste? Molti speravano che l’arresto del poliziotto avrebbe avuto conseguenze positive sui manifestanti

«Chiediamo che non solo Derek Chauvin, ma tutti e quattro i poliziotti di Minneapolis responsabili dell’omicidio di George Floyd nel giorno del Memorial Day siano arrestati e accusati di omicidio. Ci sono molte ragioni per chiederlo e ottenerlo. Chiediamo anche al governatore del Minnesota Tim Walz di nominare un procuratore indipendente, esterno all’ufficio del procuratore della Hennepin County ed esterno anche all’ufficio del procuratore generale, data la loro lunga storia di copertura delle malefatte della polizia».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Razzismo dei neri contro i bianchi

Messaggioda Berto » ven giu 05, 2020 7:38 pm

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