Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab ott 12, 2019 9:17 pm

Campus Einaudi di Torino.
Emanuel Segre Amar
12 ottobre 2019

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 8270745265

Miko Peled ieri pomeriggio con la sua kefiah appoggiata bene in vista sulla cattedra universitaria, accanto al traduttore. Chi interessato può leggere la trascrizione completa della sua “lectio magistralis” organizzata da Progetto Palestina. Quando leggerete il suo desiderio, per il quale invita i giovani a lottare, di uno stato unico democratico dal Giordano al mare e dal Libano ad Eilath, nel quale ovviamente palestinesi ed ebrei vivranno felicemente accanto gli uni agli altri, pensate all’Art. 6 dello statuto di Hamas: Hamas “innalzerà la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della Palestina.”


La seconda immagine dimostra che la mia presenza è stata ampiamente apprezzata.

Il nome che uso è Palestina
Palestina paragono a un corpo che sanguina fino alla morte
Sono molto ottimista per il futuro della Palestina
Ovunque vado trovo aule strapiene
Centinaia di migliaia ci seguono sui social media
È la questione morale dei giorni nostri
Come contro l’apartheid in Sud Africa, ogni generazione ha la sua lotta
Avremo l’orgoglio di avere avuto un ruolo in questa lotta per la libertà e la giustizia
Molti chiamavano Mandela terrorista e oggi quelli oggi si vergognano. Succederà lo stesso quando la Palestina sarà libera
Tutti quelli che oggi ostacolano la giustizia un giorno o l’altro saranno ricordate e mentiranno o si nasconderanno, ma noi ricorderemo
Sono nato a Gerusalemme e le cose le ho viste crescendo in famiglia sionista
Ho pubblicato il libro il figlio del generale (nel 67)
Sono ancora considerati gli dei nell’Olimpo, i giganti del sionismo
Gente coinvolta nella creazione e nella crescita. Alcuni familiari sono stati giudici e ambasciatori
Tutti mi parlavano sempre in tutte le occasioni di sionismo e delle lotte
Parlo dei crimini di Israele e del dovere di rifiutare lo Stato di Israele qui e ovunque
Come è possibile che mi sia ribellato?
Questo cambiamento non succede spesso e di solito è dovuto ad evento traumatico che mina tutte le nostre certezze
In settembre 97 mia sorella è stata uccisa in attacco palestinese (in realtà la vittima fu la figlia della sorella che, anche lei, ha poi seguito le orme del fratellino; mi sono sfuggite le parole di Peled, ma non quelle del traduttore che vedete nella immagine, che forse ignora, tra le altre cose, anche le vicende della famiglia Peled)
Questo evento è il trauma di cui parlavo
3 giovani della vostra età si sono uccisi in mezzo alla strada ed hanno ucciso altri giovani; come si può spiegare?
Siamo obbligati a cercare di capire
Sono cresciuto a Gerusalemme e conoscevo la realtà e ho deciso di fare un viaggio di un israeliano in Palestina
Cosa sono un israeliano ed un palestinese? Israeliano ed ebreo è cosa diversa
Tu puoi essere ebreo e italiano o americano
Il viaggio è breve perché lo Stato è piccolo. Belle strade e tanto verde poi nelle terre occupate il viaggio è geograficamente piccolissimo e si finisce dove c’è oppressione - viaggio breve
Anche se geograficamente è un viaggio breve, politicamente e spiritualmente è lunghissimo
Gerusalemme è segregato e non c’è connessione tra le due parti. Non si va nella parte palestinese. Segregazione forte e se si cresce a due isolati da loro si può non entrare mai in contatto con loro
Sappiamo che gli arabi (non li chiamiamo palestinesi) sono non educati e per chi viene da condizioni molto privilegiate andare lì equivale a condanna a morte
Da una parte tutto molto europeo, pulito, dall’altra parte poco sviluppato, ci sono sempre problemi. Loro sono indietro, si pensa che manchino di conoscenze e della volontà
I palestinesi sono tra i più educati al mondo e allora perché sono poveri? Perché non hanno le possibilità perché gli israeliani controllano tutto e a loro mancano le opportunità
Tutta l’acqua del paese è controllata dallo stato israeliano tramite società che controlla la distribuzione
Area tra Giordano e mare e tra Libano, Siria ed Eilat e la maggior parte della popolazione sono palestinesi e solo 3% dell’acqua è concessa ai palestinesi
Da una parte della strada la gente naviga nell’acqua e dall’altra parte hanno l’acqua una volta alla settimana per 10/12 ore e devono sempre preoccuparsi e le priorità sono del tutto diverse
E le cose vanno peggiorando. Gaza è un enorme campo di concentramento, non hanno accesso ad assistenza medica e la mancanza d’acqua è tra le situazioni più terribili al mondo
Sono 2.2 milioni di persone
Poi c’è il deserto ma in realtà è molto adatto all’agricoltura e molto fertile con 200000 beduini
La metà vive in cittadine non riconosciute e vivono da prima della nascita dello Stato e per tale ragione le persone rifiutano di essere deportate. Non ricevono accesso ad acqua ed elettricità e alla educazione
La ragione è di fatto una punizione. Senza accesso anche a strade, ma sono cittadini israeliani
Popolazione che è israeliana, metà delle persone che abitano lì. Sono state trasferite in cittadine terribilmente degradate e Israele impedisce loro di lavorare la terra mentre attorno le terre degli israeliani dall’altro lato della strada sono tutte verdi. Ma entrambi i gruppi sono cittadini israeliani
Poi c’è la west Bank che è un’area rimasta fuori da Israele nel 48 che dopo 20 anni Israele si è presa e la chiamano Giudea e Samaria
Ci sono città strade scuole e parlano di popolazione problematica, che sono i palestinesi che vivono sotto leggi militari e lasciati fuori dalla democrazia e dalle elezioni con tre milioni di persone
Questi 5 milioni sono governati da Israele e non hanno parola su chi e come li governa e adesso non hanno avuto voce in capitolo nelle ripetute votazioni
Alcuni hanno quasi una cittadinanza israeliana e poi ci sono quelli di Gaza e quelli di Gerusalemme insomma tanti regimi diversi
E Israele dice che loro sono l’unica democrazia in medio oriente. Gli israeliani hanno gli stessi diritti ovunque. E poi ci sono tutti gli espulsi
La definizione di apartheid è se usi diverse leggi per popolazioni diverse. Gli israeliani sono infastiditi se diciamo che è un regime di apartheid
Ottimo libro è Palestina 4000 anni di storia, uscito in inglese e ve lo consiglio
È forse la prima volta che la storia è scritta sulla base della storia e delle scoperte e non sulla Bibbia. Popolazioni del posto che vissero nelle terre palestinesi sulla base di documenti storici che risalgono ai tempi dei greci e dei romani e il territorio è detto Palestina risalendo indietro 4000 anni
E dal giorno che è nato Israele tutti parlano solo di Israele e i nomi palestinesi sono distrutti giorno dopo giorno in tutto il mondo, come se ci fosse sempre stato solo Israele. Storia monumenti identità culturale dei palestinesi viene erosa
Come è successo? Quale processo? Se si parla di apartheid i sionisti si stupiscono, ma il processo degli ultimi 70 anni è tutta una serie di crimini di genocidio, pulizia etnica e apartheid
Check delle definizioni di genocidio, apartheid e pulizia etnica
La definizione descrive ciò che Israele ha fatto decennio dopo decennio. Fate voi stessi i confronti
I sionisti non si sentono offesi dalle loro azioni, ma per aiutare la lotta per la libertà e per trovare la soluzione dobbiamo capire il processo che ha portato alla situazione di oggi. E tutto continua ancora
Se vuoi uccidere una persona basta togliergli l’acqua. E conosciamo i bombardamenti su Gaza e le uccisioni nella west Bank. Ma sono uccisi anche con la negazione dell’acqua
Noi siamo impossibilitati perché siamo tutti partecipanti perché viviamo in democrazia. Se vogliamo cambiare dobbiamo agire fino a che vedremo Palestina liberata e garantito il ritorno ai profughi e rilasciati i prigionieri politici. Siamo tutti responsabili perché parte di regimi democratici. Siamo tutti complici obbligati ad agire
C’è un modo per aiutare senza essere additati come antisemiti? No perché la macchina sionista è molto forte. Per questa ragione la nostra è anche una sfida. Combattiamo contro il razzismo contro una realtà che lotta per la propria esistenza
Il sionismo non rappresenta tutti gli ebrei. Non c’è una sola comunità ebraica, ma centinaia. Quale comunità ebraica è stata offesa? Molti ebrei parlano come me. Non ha a che vedere con antisemitismo. Molte comunità ebraiche sostengono la lotta contro il sionismo. Il sionismo è messo in pratica da ebrei, ma non rappresenta tutti gli ebrei. Quale comunità ebraica è offesa dal fatto che Peled parla?
C’è un documento pubblicato da un grande rabbino nel 1900 dove parlano del pericolo che sionismo e idea di stato ebraico comporta e invita il popolo ebraico a non partecipare. È un documento di prima dell’Olocausto.
La solidarietà coi palestinesi non è più sufficiente. Dare solidarietà non aiuta, ma bisogna partecipare alla resistenza!!! È come essere con persona che sanguina fino alla morte e starle vicini non salva la vita!!! i palestinesi ci hanno fatto un dono.
Palestina ci dà la Road map ed è il BDS. È stato demonizzato è reso come un mostro ma è un non senso. Non comporta violenza. Le sue sono le domande più logiche e sensitive. Ritratto però come mostro antisemita.
Le domande del BDS sono le più ragionevoli richieste che si possano fare. Non servono a creare problemi ma per rimediare la situazione. Si richiede di porre fine al regime militare e di far tornare i profughi e il rispetto dei diritti fondamentali. Principi in contrasto con ebraismo e antisemiti? Nonsense
Ci sono i palestinesi fuori dalla Palestina nel degrado dei campi profughi, quelli che sono senza cittadinanza e quelli israeliani in condizioni diverse a seconda che siano qui o lì. Quando tutto ciò finirà e ci sarà uguaglianza per tutti allora tutti potranno vivere in pace in Palestina. Questa è la chiave per la pace e la giustizia.
È cruciale che tutti capiscano come possono partecipare. C’è un gruppo che qui ha organizzato questo evento. Siamo qui obbligati non solo a lottare (strugge), ma anche trovare la speranza. Noi dobbiamo trovare la speranza ed io sono sicuro che possiamo fare il cambiamento che tutti possano vivere in pace. Non abbiamo diritto di pensare che non c’è speranza. Dobbiamo combattere per la speranza per far cambiare le cose ma le cose non cambieranno se non parteciperemo a questa lotta.
Se non definiamo Palestina e libertà, Palestina da fiume a mare e da nord a sud, e libertà e non più check point, questa è libertà. Tutta l’area libera dal regime di apartheid e vi invito tutti a chiamare tutta la terra Palestina. Se la chiamiamo col nome storico dobbiamo lottare per la libertà e non si va contro nessuno. Così tutti saranno liberi. Profughi che tornano nelle loro terre e che non ci sono prigionieri politici. Free Palestine significa che tutti saranno liberi. Palestina libera è scritta ovunque. Non chiamiamolo Israele che è un regime che ha fatto cose orribili.


Domande e risposte

Già chiarito: Israele è un popolo nuovo, non siamo indigeni del posto. Non intendo deportare ma vivere tutti insieme ma senza privilegi. Non uccidere nessuno. Finire con i privilegi.
A Milano quello che conta è che ho fatto la mia conferenza. Ciò che è successo non conta. In questo caso gli studenti sono stati molto forti. Hanno reso libera Milano e possono rendere libera la Palestina. Questo non mi capita spesso, ma capita. Negli USA c’è un’ottima organizzazione che si chiama Palestine legal. Hanno avvocati che lavorano molto bene. Bisogna liberare Milano e Torino perché i gruppi sionisti cercano ovunque di bloccarmi
Io vado sempre in Palestina senza problemi. È un privilegio che ho essendo da quel lato che è quello privilegiato.

Domanda su Erdogan ed azione militare turca
Non vuole rispondere rapidamente e ci vorrebbe tempo

Alla mia obiezione sulle falsità dette circa i beduini risponde senza rispondere
La propaganda sionista non è nuova. Tutti gli stati coloniali hanno dato la loro spiegazione alla loro violenza. La segregazione razziale di Israele e quella dei bianchi nei confronti dei neri e degli australiani. Tutti hanno le loro spiegazioni. I neri in Sud Africa i neri erano felici e così in America erano felici. E lo stesso con gli aborigeni. Questo spiega perché i beduini sono felici e spiega perché i beduini sono felici. Ci raccontiamo che senza di noi sarebbero spersi.
Non si può essere di sinistra e nello stesso tempo sionisti. Ci sono molti sionisti liberali in Israele che si fingono di sinistra ma in realtà non lo sono perché il sionismo rifiuta il compromesso che pensa che quella terra appartenga agli ebrei e gli arabi sarebbero invasori. Anche se si è d’accordo al 95% il problema è nel restante 5%
Rimpiango di non avere rifiutato il mio servizio militare dal 1980 al 1983, ma hai amici, parenti ecc e volevo partire ed essere volontario e comandare e ricordo la prima volta che ero di controllo nella west Bank. Ero volontario in corpo speciale. Ci diedero manette e manganello e dissero che si doveva camminare nelle strade e se qualcuno ci guardava dovevamo rompere tutte le ossa del suo corpo. Ma ovviamente tutti ci guardavano. È uno dei momenti nei quali realizzai che non aver rifiutato il servizio militare era stato un grande errore. Nel 1982 poi ci fu l’invasione del Libano. Per mia fortuna subii un intervento chirurgico e uscii dal corpo. Ogni israeliano dovrebbe rifiutare perché non c’è modo di fare un buon servizio.
Il Sud Africa ci offre un’ottima road map. In Palestina la situazione è molto meno complicata. In Palestina ci sono due popoli entrambi educati, solo che uno è impossibilitato a lavorare, il che è complicato ma non come in Sud Africa. I tuoi bambini vanno a scuola coi bambini palestinesi. Il popolo si rende conto che si può stare insieme, ed è la realtà nuova. Ci vuole del tempo, popolazione deve tornare, ci vogliono compensazioni, ma la situazione è ben diversa dal Sud Africa. La memoria storica è molto importante ma c’è soluzione per tutto, e vedere che il sindaco è palestinese ma che nulla cambia farà capire alla gente che va bene così.

Domanda: ha mai pensato a lasciare la cittadinanza israeliana? Potrebbe essere un gesto molto forte
Non vedo nessuna ragione di rinunciarvi. Ma voglio vedere il giorno in cui i palestinesi avranno gli stessi diritti miei




Dova Cahan
Vi immaginate che questo disgraziato è il nipote del famoso Katsenelson, uno dei membri che ha firmato la Dichiarazione dell'Indipendenza d'Israele ?

Debby Fait
Questo essere è lo zio di Smadar, figlia di Nurit Peled, ammazzata a 13 anni dai palestinesi. Nurit Peled, madre della bambina ammazzata, e' anche peggio del fratello. Sono due ignobili indecenti bastardi.

Dova Cahan
Alessandro Matta .questo è un pacifinto non un pacifista, odiatore delle sue origini e della sua patria dove è nato. I suoi protetti palestinesi lo avrebbero già impiccato in piazza da un pezzo. Un maledetto antisemita ed antisionista.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 1:58 pm

Israele e la gestione dell'acqua: parte seconda

http://www.linformale.eu/israele-e-la-g ... emh8U414wg

Nell’articolo precedente sul tema dell’acqua e del modo in cui Israele gestisce le risorse idriche, è stato sottolineato in che modo Israele con innovazione, ricerca e riciclaggio dell’acqua sia riuscito a superare la crisi idrica che nell’ultimo decennio ha investito tutto il Medio Oriente. Questa crisi è stata una causa indiretta delle rivolte e dei problemi politici che hanno interessato diversi paesi della regione: ad iniziare dalla Siria, ma che ha colpito anche l’Iraq e l’Iran per citare i paesi più grandi e popolati. Israele ancora una volta grazie alla sua innovazione anche in campo idrico è rimasta fuori dalle turbolenze politiche regionali e risulta sempre più come uno dei Paesi più stabili e sicuri dell’intera area mediorientale. Con questo secondo articolo, dopo gli aspetti tecnici e innovativi affrontati nel precedente verranno affrontati quelli storico-politici.

Già in passato – a partire dalla metà degli anni Sessanta – gli Arabi tentarono di sottrarre le risorse idriche allo Stato ebraico e non viceversa. I casi più importanti si verificarono con Libano e Siria. Nel 1964, il fiume Hashbani, un affluente del Giordano in territorio libanese fu fatto oggetto di un progetto della Lega araba per deviarne il corso per congiungerlo con il fiume Banias in territorio siriano così da ridurre drammaticamente le risorse idriche di Israele. Questo progetto fu bloccato da Israele che minacciò un intervento armato se fosse stato compiuto. Altro progetto portato avanti dagli arabi – sotto la supervisione egiziana – fu quello di deviare le acque del fiume Yarmuk nel suo tratto siriano per mettere in crisi l’approvvigionamento idrico israeliano. Ci furono scontri armati anche pesanti tra Israele e Siria tra il 1964 e il 1965 a causa di questo tentativo di deviazione del fiume. Alla fine la Siria desistette dal portare avanti il progetto di fronte alla forte reazione israeliana. Questa però è una delle radici che portarono alla guerra dei Sei Giorni sotto la regia egiziana (sia il progetto in Libano che quello siriano era supervisionato dagli egiziani). Va evidenziato come le attività di sbarramento o di deviazione delle acque tra Stati confinanti, se non concordata tra le parti, sono una violazione del diritto internazionale. Oggi il controllo delle alture del Golan riveste una grande importanza, oltre che dal punto di vista militare, anche per la gestione delle fonti idriche. Infatti l’area del Golan è il punto di confluenza di quasi un terzo delle risorse idriche israeliane. Pensare di rinunciare alle alture senza un trattato di pace e di cogestione delle fonti idriche, con la Siria, sarebbe un pericolo mortale per Israele.

Anche più di recente si è riproposto il problema dell’acqua tra Libano e Israele. Risale a una quindicina di anni fa, la decisione libanese di deviare le acque del fiume Wazzani, arrivando a sottrarre da 3,5 mmc fino a 11 mmc d’acqua all’anno al lago di Tiberiade. Questo progetto ha minacciato seriamente la stabilità al confine israelo-libanese. Si trattò di un’azione che poteva creare un precedente per futuri tentativi di bloccare le risorse idriche israeliane, soprattutto dopo che Israele – ottemperando alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU -aveva ritirato le proprie forze dal Libano meridionale. La diplomazia europea si mosse per disinnescare il potenziale conflitto con il proprio rappresentante a Beirut Patrick Renauld. Per ora il progetto è stato ridimensionato rispetto a quello iniziale. Ma se Israele non avesse dedicato risorse e tecnologia a favore della desalinizzazione delle acque questo sarebbe stato un vero e proprio casus belli, come succede in altre parti del mondo.

L’importanza dell’acqua e la sua gestione sono componenti fondamentali sia del trattato di pace siglato con la Giordania nell’ottobre del 1994 sia degli accordi di Oslo (nello specifico Oslo II del settembre 1995) siglati con l’Autorità Nazionale Palestinese.

Trattato di Pace con la Giordania

Per poter consultare il testo completo del trattato di pace tra Israele e la Giordania consigliamo il seguente link:

https://mfa.gov.il/MFA/ForeignPolicy/Pe ... reaty.aspx

Con il trattato di pace, Israele e Giordania decisero, tra le altre cose, anche la riallocazione delle acque dei fiumi Yarmuk e Giordano.

Proprio per voler indicare l’importanza che le parti attribuivano al problema delle fonti idriche, già nel preambolo del trattato di pace vi è un riferimento alle disposizioni delle questioni idriche che vengono subito dopo quelle riguardanti i confini internazionali e la sicurezza tra i due Paesi. Le disposizioni vere e proprie si trovano negli allegati “sull’acqua e sull’ambiente” (allegati II e IV). I principali temi riguardanti l’acqua e le fondi idriche si trovano nell’articolo VI del trattato, denominato “acqua”, e dettagliato successivamente nell’allegato II.

Così ad esempio, nel comma II dell’art. VI entrambe le parti riconoscono che “l’acqua potrebbe essere motivo di cooperazione” e, contestualmente, si impegnano a “non recare danno in alcun modo alle risorse idriche dell’altra parte attraverso i propri progetti di sviluppo idrico”. Questa cooperazione, ovviamente, riguarda tutti gli aspetti dello sfruttamento e dello sviluppo idrico, con esplicito riferimento al trasferimento di acque transfrontaliere, implica altresì l’impegno alla prevenzione dell’inquinamento, alla minimizzazione degli sprechi, come anche allo svolgimento di ricerche comuni e allo scambio di informazioni.

Mentre la maggior parte delle disposizioni del trattato sono di carattere generale, è l’Allegato II a contenere le vere e proprie indicazioni per la suddivisione delle risorse idriche sopra citate. Dall’art. I al IV dell’allegato II troviamo infatti le indicazioni per la distribuzione delle acque dello Yarmuk e del Giordano, le possibilità di immagazzinamento e deviazione, la protezione della qualità delle acque di superficie nella valle dell’Aravà. In ultimo, l’art. VII prevede l’istituzione di un Comitato comune per l’acqua al fine di provvedere alle disposizioni dell’Allegato.

Va sottolineato che questo trattato bilaterale ha così fruttato alla Giordania un accrescimento idrico di circa il 7% fin dall’immediato, in più la Giordania a margine del trattato ha ottenuto degli scambi d’acqua interstagionali, cioè “l’immagazzinamento” nel lago di Tiberiade di una parte delle acque dello Yarmuk spettanti alla Giordania, durante la stagione invernale avendone grande beneficio per il periodo estivo. Il 10 novembre 1997, inoltre, è stato raggiunto un ulteriore accordo tra i due Paesi, il Jordan Plan Development, che prevede tra l’altro anche la costruzione di comuni impianti di desalinizzazione.

Un altro significativo esempio di cooperazione israelo-giordana ci viene offerto dal progetto per la creazione di un canale Mar Rosso-Mar Morto. La realizzazione di questo progetto permetterà di immettere nel Mar Morto 1,8 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno dal Golfo di Aqaba/Eilat. La costruzione del canale, che correrà da sud verso nord per 180 km attraverso condotte e tunnel prevalentemente in territorio giordano, ma a ridosso del confine fra i due Paesi, avrà un costo iniziale di un miliardo di dollari, coperto dalla Banca Mondiale. Altri 3-4 miliardi saranno necessari per costruire impianti di desalinizzazione in grado di produrre 850 mmc d’acqua dolce all’anno. Due terzi di quest’acqua serviranno la Giordania , il rimanente verrà suddiviso tra Israele e territori palestinesi.

Accordi di Oslo II, settembre 1995

Per consultare il testo completo degli accordi, si consiglia il seguente link:

https://www.jewishvirtuallibrary.org/in ... ip-oslo-ii

Come per il trattato di pace con la Giordania, Israele ha disciplinato nel testo degli accordi tutte le disposizioni in materia di sfruttamento e distribuzione dell’acqua con l’Autorità Nazionale Palestinese. Specificatamente, nell’appendice I, all’art. 40, le parti hanno concordato in modo estremamente dettagliato l’utilizzo delle risorse, i compiti delle parti nella gestione del sistema idrico e lo stabilirsi di una commissione congiunta per la verifica del fabbisogno della popolazione. Tra i compiti di parte israeliana, c’è quello di fornire la maggior parte dell’acqua per la popolazione palestinese. Inizialmente, fu stabilito che le autorità israeliane dovessero fornire una quantità pari a 28.6 mcm/anno di acqua fresca per la popolazione palestinese. Nel corso degli anni successivi la commissione congiunta ha aumentato enormemente questa quantità d’acqua per migliorare la situazione idrica dei palestinesi. Così già nei primi anni 2000, la quantità erogata da Israele è passata da 28.6 mcm/anno (concordata negli accordi di Oslo) a 47 mcm/anno fino a raggiungere i 52 mcm/anno. Quindi il doppio di quella prevista dagli accordi (fonte: rapporto annuale del capo dipartimento delle infrastrutture civili colonnello Amnon Cohen). Va anche sottolineato che è la società statale israeliana Mekorot che trasporta oltre l’80% dell’acqua nei territori palestinesi. Allora come si spiega l’accusa, rivolta ad Israele, di “rubare” l’acqua e l’emergenza cronica nei territori amministrati dai palestinesi se l’acqua erogata, da Israele, è doppia di quella stabilita dagli accordi? Basta entrare nel dettaglio della situazione dei territori palestinesi e di come sono amministrati.

Le competenze palestinesi, sancite dagli accordi di Oslo e nello specifico come stabiliti dal comma 8 che si riporta in originale:

Palestinian Responsibility:
An additional well in the Nablus area – 2.1 mcm/year.
Additional supply to the Hebron, Bethlehem and Ramallah areas from the Eastern Aquifer or other agreed sources in the West Bank – 17 mcm/year.
A new pipeline to convey the 5 mcm/year from the existing Israeli water system to the Gaza Strip. In the future, this quantity will come from desalination in Israel.
The connecting pipeline from the Salfit take-off point to Salfit
The connection of the additional well in the Jenin area to the consumers.
The remainder of the estimated quantity of the Palestinian needs mentioned in paragraph 6 above, over the quantities mentioned in this paragraph (41.4 – 51.4 mcm/year), shall be developed by the Palestinians from the Eastern Aquifer and other agreed sources in the West Bank. The Palestinians will have the right to utilize this amount for their needs (domestic and agricultural).

Come si evince dal testo, tra le competenze palestinesi si trovano: l’apertura di nuovi pozzi, la costruzione di reti di acquedotti tra le aree popolate, la connessione di acquedotti con la rete israeliana, la salvaguardia e la valorizzazione delle falde acquifere presenti nel territorio amministrato. Oltre a ciò gli accordi prevedono la manutenzione della rete idrica e l’abbattimento dell’inquinamento delle falde acquifere a causa della scarsità della rete fognaria nelle città palestinesi. Cosa è stato fatto in questi 25 anni? Praticamente nulla. Oltre a tutto questo, nel 2007 l’Autorità palestinese ha avuto in uso – da parte del governo israeliano – un terreno, sulla costa mediterranea di Israele vicino alla città di Hadera, per costruirvi un impianto di desalinizzazione dell’acqua, il quale, se in funzione, potrebbe fornire 100 milioni di metri cubi di acqua potabile all’anno. Cosa ne ha fatto? Nulla.

In base ai dati raccolti si può affermare che l’emergenza idrica tra i palestinesi non è data dall’acqua “rubata” da Israele – che fornisce il doppio dell’acqua pattuita negli accordi di Oslo – ma dalla totale assenza di investimenti palestinesi per la costruzione di impianti di desalinizzazione, di infrastrutture, di manutenzione dalla rete idrica (recenti indagini di tecnici hanno stabilito che le perdite d’acqua nella rete idrica palestinese è pari al 70%) e di costruzione di depuratori fognari. Oltre a ciò, ci sono da aggiungere i numerosissimi casi di allacci abusivi alla rete idrica e la endemica morosità nel pagamento delle bollette dell’acqua. Perché allora si da la colpa ad Israele? Semplice, perché così la dirigenza palestinese ha un duplice risultato: da un lato scarica le proprie responsabilità e inefficienze agli occhi della propria popolazione verso Israele e dall’altro ottiene nuovi aiuti internazionali che vengono fatti sparire dai “cleptocrati” dell’ANP.

Vale la pena, a questo proposito, fare un solo esempio di come l’informazione viene creata e diffusa in tutto il mondo su questo argomento. Circa una decina di anni fa la World Bank pubblicò un rapporto, molto superficiale, che non analizzava le cause del disastro idrico nei “territori”, ma affermava che gli ebrei potevano disporre di molta più acqua degli arabi, citando unicamente “fonti” palestinesi. La BBC lo riprese, ed essendo, appunto, “prestigiosa”, la notizia finì sui nostri media come se fosse una verità incontrovertibile. C’è anche da sottolineare che insieme alla Cisgiordania, il rapporto della World Bank inseriva anche la striscia di Gaza, dove, non essendoci nessun israeliano da numerosi anni, permette di comprendere con quale accuratezza la banca mondiale stili i suoi rapporti. Ecco come si è creato il mito dell’acqua “rubata”.

Di questo mito si è poi fatto portavoce anche Martin Shultz in qualità di presidente del Parlamento europeo. Per Shultz, il quale si recò in Israele nel 2014 a chiederne ragione, Israele applicava nei confronti dei palestinesu una vera e propria “apartheid dell’acqua”. Le autorità israeliane gli fecero notare notare come stavano e stanno effettivamente le cose: le erogazioni medie di acqua disponibile sono alla pari, cioè 160 metri cubi pro capite per consumo annuo per ogni israeliano e altrettanti metri cubi per ogni palestinese. La differenza sta nel suo utilizzo: le tecniche di trattamento e di riciclaggio delle acque reflue fruttano una maggiorazione di circa 800 milioni di metri cubi in Israele (otre alle altre tecniche descritte nell’articolo del 8 ottobre ad iniziare agli impianti di desalinizzazione). I palestinesi, invece, disperdono circa il 95% dei 56 milioni di metri cubi d’acqua destinati al consumo soprattutto in agricoltura, cioè i palestinesi sovrairrigano i loro campi perché adottano metodi di coltivazione ancora molto arretrati. Inoltre, essi non hanno mai considerato la possibilità di mettere mano alla ricostruzione della fatiscente rete idrica, la quale causa notevoli perdite d’acqua disponibile, nonostante i molti fondi internazionali pervenuti all’Autorità Nazionale Palestinese per interventi infrastrutturali sul territorio, come evidenziato in precedenza. Infine venne spiegato a Schultz che in Cisgiordania è operativo un solo impianto di depurazione. Questo è la causa del perché ogni anno 17 milioni di metri cubi di liquami palestinesi finiscono in territorio israeliano. Tocca poi da Israele farsi carico di trattare anche la quota palestinese dei liquami, per evitare il rischio di inquinamento delle falde. Ma il mito resta inscalfibile: Israele “ruba” l’acqua dei palestinesi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » lun ott 21, 2019 9:02 pm

Rai3 e Erasmus uniti nella propaganda contro Israele
Commento di Deborah Fait
Informazione Corretta
21 ottobre 2019

http://www.informazionecorretta.com/mai ... w.facebook

https://www.raiplay.it/video/2019/10/Do ... cdbb1.html

a cura di Chiara Avesani e Matteo Delbò.

Indegno, indecente, da denuncia! Questo è stato ieri sera alle ore 23,15 il servizio di Rai 3 intitolato "I diari di Gaza". Il peggior documentario degli ultimi anni, anzi non si può nemmeno onorare quella schifezza con l'appellativo di -documentario-. È stato semplicemente un'accozzaglia propagandistica degna di Hamas, un programma pieno di odio e di menzogne, di cose inventate, di vittimismo spicciolo e buonismo talmente ipocrita da far venire la pelle d'oca per lo sdegno.
Cosa può avere in mente un ragazzo italiano per decidere di andare a fare l'Erasmus nell'unica università di Gaza per imparare dagli esimi professoroni che vi operano a trattare i buchi delle pallottole… naturalmente pallottole dei perfidi israeliani?
Non voglio pensare che l'Università italiana sia così malridotta da costringere i giovani ad andare a studiare non nel terzo ma nel quarto, forse anche quinto mondo, in un'università che è quasi sempre chiusa per permettere ai suoi studenti di andare a occuparsi di terrorismo, l'unico lavoro redditizio da quelle parti.

Ogni ferito ha un prezzo, un morto poi non ne parliamo e se il morto ha fatto anche dei morti israeliani, oltre che diventare eroe e martire, ha sistemato la famiglia per sempre.

ERASMUS alleato con Gaza, c'è poco da festeggiare!
La storia racconta di Riccardo, 24 anni, iscritto all’ultimo anno di medicina dell’università di Siena e probabilmente contagiato dalla propaganda arabo palestinese, che decide di andare a studiare a Gaza con il progetto Erasmus.
È talmente compreso nella parte del prode Anselmo, crociato partito per redimere la Palestina, da tenere in camera sua un enorme poster che ricorda quell'altro prode, Vittorio Arrigoni, tanto innamorato dei palestinisti da accettare di farsi garrotare fino alla morte pur di farli contenti. Lo hanno trovato con il filo di ferro intorno al collo e il volto tumefatto dai pugni e dalle torture. Ma si sa quei poveretti di Gaza vivono in una prigione a cielo aperto, come ripete tristemente il nostro Riccardo, perciò in qualche modo devono sfogarsi e divertirsi.
Il giovane parla con affetto e ammirazione delle migliaia di ragazzi che ogni venerdì vanno a riempirsi i polmoni di fumo nero di pneumatici e a tirar bombe a mano, pietre e tutto il loro odio contro gli israeliani al di là della rete di confine. "Ecco, dice Riccardo, sono partiti dei missili e adesso di sicuro Israele risponderà con le bombe".
Già… già, Riccardo, Israele è così cattivo che arriva a difendersi, pensa un po'. Quello che si vede nella scena seguente è patetica, il nostro prode che, quasi piangendo e tappandosi le orecchie con le dita per non sentire le bombe, cammina su e giù per le scale terrorizzato. "Io posso andare via di qua, dice ansimando, ma i miei amici no perché hanno il passaporto sbagliato, sono come in una prigione a cielo aperto".
E rieccoci, queste parole mi mancavano, non so se Riccardo è ancora là, probabilmente si, ma vorrei dirgli che i suoi amici non hanno il passaporto sbagliato ma l'anima sbagliata, il cervello sbagliato. Un'intera popolazione non può vivere nell'odio e crogiolarsene per decenni, senza fare altro al mondo che pensare come ammazzare l'odiato ebreo. Insomma un insieme dei peggiori stereotipi della propaganda antisemita organizzata da Telekabul, mai cambiata negli anni. La Rai non demorde, è televisione pubblica, con tanto di canone, e usa i soldi degli utenti per fare sporca propaganda filo terrorista e antisemita diffondendo a piene mani odio contro Israele.
Questa volta i dirigenti Rai si sono avvalsi della complicità del Progetto Erasmus il cui scopo dovrebbe essere "formare, educare e istruire la gioventù". Mandare dei ragazzi in mezzo alla barbarie palestinese di Gaza fa parte di questo programma? Insegnar loro a odiare un paese che si difende, come Israele, da un terrorismo feroce significa educare e istruire? Fare in modo che, attraverso le bugie più indegne e il buonismo più stomachevole, considerino eroi e martiri degli assassini il cui unico sogno nella vita è ammazzare gli ebrei?

Mi auguro che i nostri lettori guardino questo orrendo servizio della TV pubblica che sono anche costretti a pagare, e scrivano ai dirigenti Rai il proprio sdegno. E' l'unica arma che abbiamo, la tastiera del computer, usiamola!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » dom feb 23, 2020 4:21 am

I palestinesi: storia di un popolo completamente inventato
L'Informale
Niram Ferretti
31 Dicembre 2015

http://www.linformale.eu/i-palestinesi- ... RklKgZRdMk

Come Atena nacque dalla testa di Zeus, la fantastoria nacque dall’ideologia. Il nome “Palestina” deriva dai filistei, una popolazione originaria del Mediterraneo Orientale (forse dalla Grecia o da Creta) la quale invase la regione nell’undicesimo e dodicesimo secolo A.C. Parlavano una lingua simile al greco miceno. La zona nella quale si insediarono prese il nome di “Philistia”. Mille anni dopo, i Romani chiamarono la zona “Palestina”. Seicento anni dopo gli Arabi la ribattezzarono “Falastin”.

Per tutta la storia successiva non ci fu mai una nazione chiamata “Palestina” né ci fu mai un popolo chiamato “palestinese”. La regione passò dagli Omayyadi agli Abassidi, dagli Ayyumidi ai Fatimidi, dagli Ottomani agli Inglesi. Durante questo millennio il termine “Falastin” continuò a riferirsi a una regione dai contorni indeterminati e MAI a un popolo originario.

Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.

Reland pubblicò a Utrecht nel 1714 un libro dal titolo “Palaestina ex monumentis veteribus illustrata”, nel quale non c’è alcuna prova dell’esistenza di un popolo palestinese, né di un’eredità palestinese né di una nazione palestinese. In altre parole, nessuna traccia di una storia palestinese.

Stiamo parlando di un testo uscito nel 1714, non duemila anni fa. Un testo moderno dal quale si evince che all’epoca non esisteva alcun “popolo palestinese”.

Quando nasce dunque questa realtà di cui si parla da decenni?

Dobbiamo avvicinarci ai nostri tempi, più precisamente al periodo in cui gli inglesi crearono, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dell’impero ottomano (durante il quale nessuno aveva ancora sentito parlare di questa fantomatica entità), la Palestina mandataria.

Gli arabi protestarono in modo acceso nei confronti della nuova realtà chiamata “Palestina”. Infatti, per loro, la Palestina era inestricabilmente collegata alla Siria. Gli arabi chiamavano la regione “Balad esh sham (la provincia di Damasco) o “Surya-al-Janubiya” (Siria del sud). Per i nazionalisti arabi la Palestina non era altro che la Siria del sud. Punto. I siriani, ovviamente, non potevano che annuire.

Il Congresso Generale Siriano del 1919 sottolineò con forza l’identità esclusivamente siriana degli arabi della “Siria del sud”, quella che gli inglesi chiamavano “Palestina”.

Nel suo libro, “Il Risveglio Arabo” del 1938, George Antonious, il padre della storiografia moderna araba, documenta il tumulto sorto tra gli arabi della “Grande Siria” e dell’Iraq quando inondarono le strade delle città siriane, Gerusalemme inclusa, per protestare contro la divisione geografica che gli inglesi, per ragioni geopolitiche, avevano imposto alla Siria. Antonious, come Reland prima di lui, non fa alcuna menzione di un “popolo palestinese”. Motivo? Di nuovo, non esisteva.

Facciamo un passo indietro. Nel 1920, la Francia conquista la Siria. E’ in questo periodo, durante il controllo francese della Siria, che inizia a prendere forma l’idea di una “Palestina” come stato arabo-musulmano indipendente, e fu il famigerato Mufti di Gerusalemme, Amin-al-Husseini, la personalità di maggior spicco tra i leaders arabi dell’epoca, a creare un movimento nazionalista in opposizione all’immigrazione ebraica determinata dal movimento sionista. In altre parole, fu il sionismo a fare da levatrice al palestinismo nazionalista. Anche allora, tuttavia, nessuno parlava di un “popolo palestinese”. Siamo nel 1920.

Ancora nel 1946, Philip Hitti, uno dei più eloquenti portavoce della causa araba dichiarava al Comitato di Inchiesta Anglo-Americano che un’entità nazionale chiamata Palestina…non esisteva.

Nel 1947, quando le Nazioni Unite stavano valutando la spartizione della Palestina mandataria in due stati separati, uno ebraico, l’altro arabo, numerosi politici e intellettuali arabi protestarono in modo acceso poiché sostenevano che la regione in questione fosse parte integrante della Siria del sud. Non c’era una popolazione “palestinese” in senso proprio, ed era dunque un’ingiustizia smembrare la Siria per creare un’altra entità che di fatto le apparteneva di diritto.

Nel 1957, Akhmed Shukairi, l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite dichiarò che, “È conoscenza comune che la Palestina non è altro che la Siria del sud“. Concetto ribadito da Hafez-al-Assad nel 1974, “La Palestina non solo è parte della nostra nazione araba ma è una parte fondamentale del sud della Siria”.

Dal 1948 al 1967, i diciannove anni intercorsi tra la Guerra di Indipendenza e la Guerra dei Sei Giorni, tutto quello che restava del territorio riservato agli arabi della Palestina mandataria britannica, era la West Bank (nome dato dai giordani alla Giudea e alla Samaria), che si trovava in quegli anni sotto il dominio illegale giordano, e Gaza, sotto il dominio illegale egiziano.

Durante questo periodo nessuno dei leader arabi prese neanche lontanamente in esame il diritto all’autodeterminazione degli arabi “palestinesi” che si trovavano sotto il loro dominio. Perché? Ancora, perché un “popolo palestinese” per i giordani e gli egiziani…semplicemente non esisteva.

Persino Yasser Arafat fino al 1967 usò il termine “Palestinesi”, unicamente come riferimento per gli arabi che vivevano sotto la sovranità israeliana o avevano deciso di non essere sottoposti ad essa. Nel 1964, per Arafat la “Palestina”, non comprendeva né la Giudea e la Samaria né Gaza, le quali, infatti, dopo il 1948 appartenevano reciprocamente alla Giordania e all’Egitto.

Lo troviamo scritto nella Carta fondante dell’OLP all’articolo 24, “L’OLP non esercita alcun diritto di sovranità sulla West Bank nel regno hashemita di Giordania, nella Striscia di Gaza e nell’area di Himmah”.

L’articolo 24 venne cambiato nel 1968 dopo la Guerra dei Sei Giorni, dietro ispirazione sovietica. Ora la sovranità “palestinese” si estendeva anche alla West Bank e a Gaza. Libero da possibili attriti con la Giordania e l’Egitto, Arafat, protetto dai russi, poteva allargare il campo della propria azione. La “Palestina”, adesso, inglobava anche Giudea, Samaria e Gaza.

La Guerra dei Sei Giorni è stata lo spartiacque per la creazione del “popolo palestinese”. Dopo la Guerra dei Sei Giorni tutto cambia. Da Davide, Israele diventa Golia e i “palestinesi” entrano ad occupare il proscenio della storia come popolo autoctono espropriato della propria terra dai “sionisti imperialisti”.

Questa è la narrazione ormai consolidata e che, come un parassita, si è incistata nella mente di una moltitudine. Potere della menzogna. Potere della propaganda.

“Nella grande menzogna c’è una certa forza di credibilità poiché le grandi masse di una nazione sono molto più facilimente corruttibili nello stato più profondo della loro materia emozionale di quanto lo siano consciamente o volontariamente, e quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie per piccole cose, ma si vergognerebbero di utilizzare menzogne su larga scala. Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falistà colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”. (Adolf Hiltler, “Mein Kampf”)

Per creare questa nuova realtà del “popolo palestinese”, priva di qualsiasi aggancio con il passato era necessario che il passato venisse interamente fabbricato, o meglio, come in “Tlon, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, bisognava fare in modo che il reale venisse risucchiato dalla finzione.

Dunque ecco apparire i “palestinesi”, i quali fin da un tempo immemorabile hanno sempre vissuto nella regione e addirittura si possono fare risalire ai gebusei o, a piacimento, ai cananei. Questo popolo mitico sarebbe stato poi cacciato dagli invasori sionisti.

Il 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.

Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.




Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.

L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.

Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.

Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.

Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.

Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.

Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.

Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.

Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.

Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.

Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.

Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.

Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.

Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica

Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.

In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.


Onu, cosa ha detto un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Anniversario delibera spartizione Onu, le parole di un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Ugo Volli
4 Dicembre 2019

https://www.progettodreyfus.com/onu-isr ... CskS7rqgOk


Giovedì scorso, nel palazzo della Mukata a Ramallah, si è svolto un evento rievocativo della votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ne 1947 stabilì la partizione del mandato britannico (già suddiviso nel ‘21 dalla Gran Bretagna la dare agli arabi “il loro stato”).

Come è noto Israele accettò la divisione, anche se era era tracciata in maniera da rendere difficilissima la sopravvivenza della parte ebraica, gli arabi la rifiutarono, il giorno stesso con la complicità britannica iniziarono attacchi terroristici agli insediamenti ebraici e ad aprile del ‘48, quando Israele proclamò finalmente il suo stato alla vigilia della partenza degli inglesi, le armate di tutti gli stati arabi circostanti tentarono di invadere e distruggere il neonato stato di Israele; ma con grandi sacrifici furono sconfitte dall’esercito israeliano nel ‘49 dovettero ritirarsi dietro una linea armistiziale ben più arretrata, la cosiddetta linea verde.

Da questa storia l’evento della Mukata, amministrato dal noto filoterrorista Jibril Rajoub, non ha tratto motivi di riflessione sulla necessità di un accordo, ma al contrario ha voluto rilanciare la narrativa palestinista sull’”occupazione israeliana”. L’aspetto più curioso di questa riunione è la presenza di circa 300 ebrei israeliani. Erano i soliti ultraortodossi antisionisti di Naturei Karta, che hanno usato l’occasione per dichiarare che l’”entità sionista” non rappresenterebbe il popolo ebraico, sarebbe odiata da “Allah” (questo è il nome con cui il loro leader Meir Hirsh ha scelto per l’occasione di chiamare la Divinità) e costituirebbe la violazione di tutte le leggi internazionali: un piccolo gruppo di estremisti che frequenta con piacere tutti gli antisemiti da Corbyn a Achamadinedjad, e la cui presenza non poteva meravigliare.

Dall’altro lato, però, c’era una folte rappresentanza di militanti di sinistra: alcuni cani sciolti, ma soprattutto Mosi Ratz l’ex leader e ancora influente dirigente del partito israeliano di sinistra Meretz, l’unico che abbia ufficialmente abiurato il sionismo, alla guida di una delegazione di alto livello.

Raz ha parlato avendo alle spalle una foto di Yasser Arafat e ha detto: “Siamo venuti qui per esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese nei territori occupati, in esilio nella speranza che i ministri palestinesi entrino presto nel prossimo governo. Sostengo uno stato palestinese entro i confini del 67 con uno scambio di territori concordato a fianco dello Stato di Israele, la cui capitale dev’essere Gerusalemme est. Questo marzo andremo alle elezioni in cui Netanyahu sarà sconfitto e Gantz sarà eletto.”

È una dichiarazione molto significativa, non solo per il luogo e l’occasione, ma anche per il contenuto. Meretz, pur avendo pochi seggi, è un pezzo centrale della coalizione di Gantz che certamente non può farne a meno. Si è molto parlato del pericolo di un accordo fra il partito bianco-azzurro e gli arabi filoterroristi, ma non abbastanza dell’influenza delle estrema sinistra ebraica.

La dichiarazione di Raz spiega molto sulle ragioni reali del braccio di ferro che è in corso nella politica israeliana da un anno. Non è detto che Ganz sia d’accordo, ma è chiaro che il progetto di alcune forze che lo appoggiano e di cui egli avrà certamente bisogno consiste nel cancellare o minimizzare la natura ebraica dello stato di Israele, rovesciando le scelte di settant’anni fa.



Informazione corretta: Palestina, ecco l'origine del nome di uno Stato arabo che non è mai esistito
Vivi Israele
Fabrizio Tenerelli
21 febbraio 2018

http://viviisraele.it/2018/02/21/inform ... -esistito/


Cari lettori, io cerco di parlare poco della questione arabo-israeliana, perchè la mia mission è soprattutto approfondire i temi legati a Israele e all’ebraismo. Tuttavia, talvolta è doveroso far chiarezza su alcuni aspetti che riguardano la cosiddetta “corretta informazione”. La disinformazione dilagante in materia (il suo esatto opposto), purtroppo contribuisce a dare una cattiva immagine di uno Stato che da vittima, passa come carnefice.

Ciò senza nulla togliere all’aspirazione ultima che è quella della pace in Medio Oriente e della convivenza di due popoli. Utopia? Una pace che, a mio modestissimo avviso, potrà giungere soltanto, quando il mondo arabo riconoscerà il diritto ad Israele di esistere.

Detto ciò, dopo un mio primo approfondimento in tema di informazione corretta (LEGGI QUI) vi propongo questa sorta di “upgrade”, che riguarda i concetti di “Palestina” e “palestinese”. Molto spesso chi non studia abbastanza, attacca con estrema arroganza il popolo ebraico, sulla base di falsi presupposti e di clamorosi equivoci.

In attesa di preparare un digest, tratto da “Arabi ed Ebrei”, del buon Bernard Lewis, ho pensato di scrivere queste poche righe, invitandovi a divulgarle, condividerle e via dicendo, affinchè si faccia chiarezza su una questione importante.

La prima cosa che va detta è che non c’è mai stata una nazione araba di nome “Palestina”. Questo, in realtà, è il nome che gli antichi romani diedero a Eretz Yisrael, con l’espresso proposito di umiliare gli ebrei, dopo la conquista. Gli inglesi chiamarono così la terra sulla quale avevano avuto il mandato, dopo lo scioglimento dell’Impero Ottomano.

Gli arabi, in disputa con gli ebrei, decisero allora di raccontare che quello era l’antico nome della loro terra, “malgrado non fossero capaci a pronunciarlo in modo corretto, ma trasformandolo in Falastin”, come disse nel 1995, Golda Meir, in una intervista a Sarah Honig del Jerusalem Post. Ma soprattutto va detto che non esiste una lingua palestinese, non una cultura e neppure una terra governata da palestinesi.

Quest’ultimi non sono altro che arabi non distinguibili dai giordani o dai siriani, dai libanesi o dagli iracheni. A ciò aggiungiamo che il mondo arabo controllo il 99,9 per cento del Medio Oriente. Israele, pensate, che rappresenta soltanto un decimo dell’uno per cento del totale. Ma ciò è troppo per gli arabi, che vogliono anche quella minuscola parte. Non importa, dunque, quanti territori un domani potrebbero concedere gli israeliani: in ogni modo non saranno mai abbastanza. Ma allora, da dove deriva questo termine? Palestina ha da sempre designato un’area geografica, che deriva da “Peleshet”, un nome che appare di frequente nella Torah, successivamente chiamata “Philistine”.

Il nome inizia ad essere usato nel tredicesimo secolo a.e.v. da una serie di migranti del mare, provenienti dal mar Egeo e dalle isole greche, i quali si insediarono nella costa sud della terra di Canaan. Laggiù istituirono cinque città-stato indipendenti, inclusa Gaza, in una stretta striscia di terra chiamata “Philistia”, i greci e i romani la chiamarono “Palastina”.

I palestinesi, dunque, non erano arabi e neppure semiti; non avevano alcun legame etnico o linguistico e neppure storico con l’Arabia e il termine Falastin non è altro che la pronuncia araba del termine “Palastina”. Dunque, chi si può considerare palestinese? Durante il mandato britannico era la popolazione ebraica ad essere considerata palestinese, inclusi coloro che hanno servito l’esercito britannico nella Seconda Guerra Mondiale. L’indirizzo britannico fu quello di limitare l’immigrazione di ebrei. Nel 1939, il Churchill White Paper (3 giugno 1922) mette fine all’ammissione di ebrei in Palestina. Uno “stop” che avviene nel periodo in cui c’era più disperatamente bisogno di emigrare in Palestina, quello dopo l’avvento del nazismo in Europa.

Nello stesso tempo in cui sbattevano la porta in faccia agli ebrei, gli inglesi permettevano (o facevano finta di niente) il massiccio ingresso clandestino nella Palestina occidentale di arabi provenienti da Siria, Egitto, Nordafrica e via dicendo. In questo modo, sembra che dal 1900 al 1947, gli arabi sulla sponda ovest del fiume Giordano si siano quasi triplicati. Il legame degli ebrei con la Palestina risale ai tempi biblici. Quello tra gli ebrei ed Hebron, ad esempio, corre indietro ai tempi di Abramo, ma nel 1929, gruppi di arabi in rivolta cacciano la comunità, uccidendo numerosi ebrei.

A supporto della tesi che non esiste uno stato arabo chiamato Palestina, c’è una letteratura fiume. Noi ricordiamo alcune dichiarazioni, tra le più significative, come quella del professore di storia araba, Philip Hitti (uno dei più illustri), secondo cui: “There is no such thing as Palestine in history, absolutely not”, dichiarò al Anglo-American Committee of Inquiry (1946). E poi. “It is common knowledge that Palestine in nothing but southern Syria”, affermò nel 1956: Ahmed Shukairy (United Nations Security Council).




L'inesistente storia della Palestina arabo maomettano palestinese
https://www.facebook.com/HalleluHeb/vid ... 0838079851


La Mappa della Palestina: Un Falso Creato dell'AIC
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
http://www.progettodreyfus.com/la-mappa ... a-un-falso

La Mappa della Palestina è un clamoroso falso creato ad hoc negli anni’60 da un ufficio di propaganda arabo. Spesso definita come “mappa dell’occupazione israeliana in palestina” e in tanti altri modi, questa mappa ha una storia molto lunga e completamente diversa da quella che viene raccontata su molti libri, dossier, siti e social media. Dedicando due minuti alla lettura di questo articolo, avrete a disposizione tutti gli elementi per mettere a tacere il prossimo amico o lontano conoscente che condividerà questo assurdo falso storico.


Palestina: le ragioni di Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2271


Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.


Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2765

Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2774

Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2558
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio mag 28, 2020 7:26 pm

Nel 1848 tutti in paesi nazi maomettani siriani, arabi, egiziani, giordani, irakeni aggredirono Israele dopo che gli ebrei dichiararono la nascita dello stato ebraico di Israele e questo fu riconosciuto dall'ONU
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_ar ... a_del_1948
Questa guerra di aggressione nazista e razzista contro gli ebrei e il loro paese comportò l'abbandono di molti villaggi mussulmani di Israele in quanto i suoi abitanti fecero parte delle forze di aggressione di Israele


Assommano a circa 400 le città e villaggi arabi spopolati durante la guerra arabo-israeliana del 1948, che hanno provocato l'esodo delle loro popolazioni.
https://it.wikipedia.org/wiki/Citt%C3%A ... a_del_1948
Alcune località furono interamente distrutte e rese inabitabili; altre restarono abitate da poche centinaia di residenti e furono ripopolate da immigranti ebrei e successivamente chiamate in modo diverso, secondo le tradizioni storico-culturali ebraiche.

Queste aree, che entrarono a far parte dello Stato d'Israele, mantennero un'esigua presenza araba in circa 100 villaggi e due città. Gli arabi palestinesi rimasero in piccolo numero in alcune città più importanti e popolose (Haifa, Giaffa e Acri); e Gerusalemme fu divisa tra Transgiordania (presto diventata Giordania) e Israele stessa. Quasi 30 000 palestinesi rimasero nella Città Santa, in quella che divenne nota come "parte araba" di Gerusalemme (o, semplicemente, Gerusalemme Est). All'incirca 30 000 rifugiati non-ebrei si sistemarono del pari a Gerusalemme Est, mentre 5 000 rifugiati ebrei si spostarono dalla parte orientale della Città Santa in quella occidentale ebraica. Un numero enorme di residenti arabi, e altre componenti non-ebraiche - come greci e armeni, che vivevano nelle città entrate a far parte dello Stato d'Israele (Acri, Haifa, Safad, Tiberiade, al-Majdal Asqalan, Beersheba, Giaffa e Beisan) - fuggirono o furono espulsi. Molti dei palestinesi dei villaggi vicini che erano rimasti, furono sistemati all'interno d'Israele e classificati come "Presenti assenti".



La falsa narrativa della "Nakba"
Raphael G. Bouchnik-Chen
Postato il 21 Aprile 2019

http://www.linformale.eu/la-falsa-narra ... lla-nakba/

Sommario: Il termine “Nakba”, originariamente coniato per descrivere l’estensione della sconfitta palestinese e araba autoinflitta nella guerra del 1948, è diventato negli ultimi decenni un sinonimo del vittimismo palestinese, con gli aggressori falliti trasformati in vittime sfortunate e viceversa . Israele dovrebbe fare tutto il possibile per sradicare questa falsa immagine esponendo la sua base storica palesemente falsa.

Ai giorni nostri, il fallito tentativo palestinese di distruggere lo Stato di Israele alla sua nascita e la conseguente fuga di circa 600.000 arabi palestinesi, è diventato noto a livello internazionale come la “Nakba”, la catastrofe, accompagnato da false implicazioni di vittimismo.

Ironicamente, questo era l’opposto del significato originale del termine, quando fu applicato per la prima volta al conflitto arabo-israeliano dallo storico siriano Constantin Zureiq. Nel suo opuscolo del 1948, Il significato del disastro (Ma’na al-Nakba), Zureiq attribuì la fuga palestinese / araba all’assalto panarabo contro il nascituro Stato ebraico piuttosto che a un premeditato disegno sionista per diseredare gli arabi palestinesi:

“Quando è scoppiata la battaglia, la nostra pubblica diplomazia ha cominciato a parlare delle nostre vittorie immaginarie, allo scopo di addormentare il pubblico arabo e parlare della capacità di vincere e vincere facilmente – fino a quando si è verificata la Nakba… Dobbiamo ammettere i nostri errori … e riconoscere l’estensione della nostra responsabilità per il disastro che grava su di noi”.

Zureiq ha sottoscritto questa visione critica per decenni. In un libro successivo, Il significato della catastrofe (Ma’na al-Nakbah Mujaddadan), pubblicato dopo la guerra del giugno 1967, definì quest’ultima sconfitta come una “Nakba” piuttosto che come una “Naksa” (o battuta d’arresto), come venne ad essere definita nel discorso arabo, in quanto – proprio come nel 1948 – fu un disastro autoinflitto provocato dall’incapacità del mondo arabo di confrontarsi con il sionismo.

A quel tempo, il termine “Nakba” era chiaramente assente dal discorso arabo e / o palestinese. La sua prima menzione – nell’influente libro di George Antonius The Arab Awakening – non aveva nulla a che fare con il (ancora inesistente) conflitto arabo-israeliano, ma con la creazione successiva alla Seconda guerra mondiale del moderno Medio Oriente (“L’anno 1920 ha una cattiva nomea negli annali arabi: è indicato come l’Anno della Catastrofe o, in arabo, Aam al-Nakba “).

Allo stesso modo, nel suo libro del 1956 Fatti sulla questione della Palestina (Haqa’iq e Qadiyat Falastin), Hajj Amin Husseini, il capo degli arabi palestinesi dai primi anni 1920 al 1948, usò il termine “al-Karitha” per descrivere il crollo e la dispersione araba-palestinese. Secondo l’accademico palestinese Anaheed Al-Hardan dell’Università americana di Beirut, ciò riflette il desiderio di Husseini di evitare il termine “Nakba”, che all’epoca era ampiamente associato a un disastro arabo palestinese autoinflitto – sia attraverso vendite di terreni ai sionisti, incapacità di combattere, o dando istruzioni alle persone di andarsene.

Né il termine riemerse per decenni dopo la guerra del 1948 – nemmeno nel sacro documento di fondazione dell’OLP, The Palestinian Covenant (1964, revisionato nel 1968). Fu solo alla fine degli anni ’80 che cominciò a essere ampiamente percepita come una ingiustizia inflitta da Israele. Ironia della sorte, fu un gruppo di nuovi storici” israeliani politicamente impegnati, che fornirono al movimento nazionale palestinese forse il suo miglior strumento di propaganda capovolgendo la saga della nascita di Israele, con gli aggressori trasformati in vittime sfortunate e viceversa, sulla base di una massiccia deformazione delle prove archivistiche.

Mentre generazioni precedenti di accademici e intellettuali palestinesi si erano astenuti dall’esplorare le origini della sconfitta del 1948, il presidente dell’OLP Yasser Arafat, che era stato trasferito a Gaza e in Cisgiordania come parte degli Accordi di Oslo del 1993 e aveva permesso di stabilire la sua Autorità Palestinese (AP) in alcune parti di quei territori, colse l’immenso potenziale di reincarnare la Nakba come simbolo del vittimismo palestinese piuttosto che come un disastro autoinflitto. Nel 1998, proclamò il 15 maggio una giornata nazionale di commemorazione della Nakba. Negli anni successivi, la “Nakba Day” diventò una componente integrale della narrativa nazionale palestinese e l’evento più importante che commemora la “catastrofe” del 1948.

La sensibilità israeliana nei confronti del termine “Nakba” crebbe quando si venne a sapere che il 15 maggio 2007, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon aveva telefonato al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per esprimere simpatia nei confronti dell popolo palestinese in onore della “Nakba Day”. Il vice capo della missione delle Nazioni Unite di Israele lamentò che la parola “Nakba” era uno strumento di propaganda araba usato per minare la legittimità dell’istituzione dello Stato di Israele e non avrebbe dovuto fare parte del lessico delle Nazioni Unite.

Mentre i diplomatici israeliani erano impegnati a dissuadere le loro controparti dal cadere nella trappola della falsa narrativa dell’AP, nel luglio 2007 la Knesset discusse una decisione del ministro dell’educazione Yuly Tamir volta a includere la Nakba come argomento nel programma annuale per la minoranza araba in Israele.

Fortunatamente, il 30 marzo 2011, la legge sui principi di bilancio (nota come emendamento n. 40) – “Riduzione delle elargizioni finanziarie o supporti dovuti all’attività contro i principi dello Stato” – è stata pubblicata nel registro ufficiale israeliano. L’emendamento n. 40 ha aggiunto una sezione alla legge sui principi di bilancio del 1985 che autorizza il ministro delle finanze a ridurre le elargizioni finanziarie o il sostegno a qualsiasi organizzazione o entità che riceve finanziamenti statali se svolge una delle cinque attività seguenti:

Rigettare l’esistenza dello Stato di Israele come Stato ebraico e democratico.
Incitare al razzismo, alla violenza, o al terrorismo.
Sostenere la lotta armata o un’azione terrorista da parte di uno Stato nemico o di una organizzazione terroristica contro lo Stato di Israele.
Commemorare il Giorno dell’Indipendenza o il giorno della nascita dello Stato come un giorno di lutto.
Vandalizzare o dissacrare fisicamente la bandiera dello Stato o il suo simbolo.

L’emendamento n. 40, soprannominato in modo non ufficiale “la legge Nakba”, è ormai radicato nel discorso quotidiano giuridico e parlamentare israeliano, nonostante abbia dovuto fronteggiare forti critiche da parte dei partiti arabi che sostenevano che non superava la prova della libertà di espressione. A loro avviso, la legge minerebbe la libertà di espressione artistica in eventi come produzioni teatrali o letture di poesie che trattano esplicitamente della Nakba, dei profughi palestinesi o del desiderio di tornare in patria.

La legittimazione dell’uso ormai comune del termine “Nakba” nel discorso ufficiale israeliano, sia orientato positivamente che negativamente, fornisce un servizio alla causa palestinese. Se considerato come un segmento integrale della storia israeliana, il termine contraddice la posizione corretta di Israele che respinge la responsabilità per la creazione del problema dei rifugiati. Nel processo, legittima la falsa narrativa vittimistica palestinese che definisce la Nakba come il “più grande peccato del Ventesimo secolo”.

La “Nakba” non è un fatto. È un termine manipolatorio e accattivante progettato allo scopo di servire la campagna di propaganda palestinese contro Israele. Israele dovrebbe astenersi dal legittimare il termine, in quanto impone un falso senso di colpa o di colpevolezza per la creazione del problema dei rifugiati addossandolo allo Stato. Né si dovrebbe usare la parola per riferirsi alla deportazione di massa degli ebrei dagli stati arabi, poiché ciò crea un’impressione di ingiustizia equivalente. La fuga degli arabi palestinesi è stata il risultato diretto di una fallita “guerra di sterminio e di un massacro epocale” (nelle parole del segretario generale della Lega araba). L’espulsione delle proprie popolazioni ebraiche da parte degli Stati arabi fu un atto inequivocabile di pulizia etnica.

Israele farebbe bene a dare nuovamente ascolto al discorso epocale di Abba Eban, allora ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, tenuto il 17 novembre 1958. Affrontò la questione dei rifugiati senza usare il termine Nakba:

“Il problema dei rifugiati arabi è stato causato da una guerra di aggressione, lanciata dagli Stati arabi contro Israele nel 1947 e nel 1948. Che non ci siano errori. Se non ci fosse stata una guerra contro Israele, con il conseguente raccolto di sangue, miseria, panico e fuga, oggi non ci sarebbe alcun problema dei rifugiati arabi. Una volta che venga stabilita la responsabilità di quella guerra, si è determinata la responsabilità in merito al problema dei rifugiati. Nulla nella storia della nostra generazione è più chiaro o meno controverso dell’iniziativa dei governi arabi a favore del conflitto da cui è scaturita la tragedia dei rifugiati. Le origini storiche di quel conflitto sono chiaramente definite dalle confessioni dei governi arabi stessi: ‘Questa sarà una guerra di sterminio’, dichiarò il segretario generale della Lega araba parlando a nome di sei Stati arabi. ‘Sarà un massacro memorabile a cui riferirsi come a quello dei mongoli o alle crociate'”.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio mag 28, 2020 7:26 pm

Paragoni improponibili: la mistificazione e le omissioni di Repubblica
Niram Ferretti
20 Ottobre 2019

https://www.progettodreyfus.com/repubbl ... ila-curdi/


Come scrivere la storia inserendo la mistificazione e la distorsione nel tessuto degli eventi, creando paralleli improponibili. E’ ciò che fa il giornalista di Repubblica, Gianluca Di Feo rievocando in un articolo del 19 Ottobre scorso dal titolo “I curdi e la lezione di Sabra e Chatila”, il massacro omonimo per mano dei falangisti libanesi occorso durante la prima guerra del Libano del 1982, e accostandolo in modo totalmente improprio e tendenzioso all’offensiva turca nei confronti dei curdi avvenuta in questi giorni in Siria.

Il copione è identico, in maniera agghiacciante. Una nazione potente che invade all’improvviso un altro Paese piegato dalla guerra civile, ma solo per colpire una comunità precisa. Aerei che bombardano le città e carri armati che avanzano inarrestabili. Poi la tregua. I combattenti sconfitti consegnano le armi pesanti e vanno via. Con la garanzia americana che la popolazione sarà protetta.

L’avevano chiamata operazione “Pace in Galilea”, così come quella di oggi è stata battezzata “Fonte di pace”. Il 6 giugno 1982, mentre si giocavano i Mondiali di Spagna, l’esercito israeliano irrompe in Libano. Obiettivo dichiarato: creare una fascia di sicurezza sul confine, per impedire gli attacchi terroristici. Lo stesso che oggi viene ripetuto da Ankara: “Cacciare i terroristi lontano dalla frontiera”. Allora erano palestinesi, ora curdi.

Ed ecco, già qui, il primo raffronto fraudolento tra i curdi operativi in Siria e membri del YPG (Unione di Protezione del Popolo), il braccio siriano dell’PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e i “miliziani” dell’OLP guidati da Arafat.

Di Feo si guarda bene dallo specificare la differenza sostanziale tra operativi palestinesi dell’OLP e membri del YPG, e di cosa stessero facendo i primi nel paese in cui si trovavano, il Libano, perché, se lo facesse, dovrebbe raccontare la parabola di Arafat e dei suoi seguaci prima dell’operazione Pace in Galilea.

Dovrebbe ricordare una lunga storia di terrore e sedizione, di come quando l’OLP, “i palestinesi” si trovavano in Siria nel 1966, vennero cacciati per sovversione e terrorismo. Dovrebbe ricordare quando, cacciati dalla Siria e trasferitosi in Giordania tra il 1968 e il 1970 la usarono come principale piattaforma terroristica per attaccare Israele e di come, anche qui, nel 1970, si sentirono abbastanza forti per cercare di rovesciare il regime hashemita. La guerra civile che ne seguì li costrinse a fuggire. E qui giungiamo al Libano, dove, riprodussero lo stesso schema.

Nel 1975 si sentirono abbastanza forti per cercare di rovesciare il governo centrale di Beirut. A questo punto, Beirut per contrastare i “palestinesi”, ovvero i terroristi dell’OLP (definiti tali già dai siriani e dai giordani), dovettero ricorrere in aiuto alla Siria che occupò militarmente il Libano per fronteggiare l’emergenza.

Di Feo dovrebbe ricordare anche come l’OLP avesse creato in Libano uno Stato nello stato e fosse uno degli attori principali della guerra civile all’interno del paese e dovrebbe, di seguito, visto che si parla di massacri, rendere giusta memoria alle azioni gloriose dei “palestinesi”, come quelle avvenute a Damour il 20 gennaio del 1976 quando l’OLP macellò 584 civili e poi si diede al saccheggio del cimitero cristiano, esumando le bare e sparpagliando i cadaveri e gli scheletri in giro, per poi collocare un ritratto di Arafat armato sull’altare della chiesa.

Dovrebbe ricordare quello che accadde il 12 agosto del 1976 a Tel al-Zaatar quando la città venne sottoposta a un’orgia di stupri, mutilazioni e omicidi e dove vennero massacrati tra i 2000 e i 3000 civili. Di questo orrore abbiamo la diretta testimonianza di John Bulloch, corrispondente sul posto del The Daily Telegraph e certamente non di un amico di Israele, un altro celebre corrispondente inglese, Robert Frisk.

Dovrebbe ricordare di come Arafat, durante l’assedio alla parte occidentale di Beirut nel 1982, dove aveva creato una infrastruttura terroristica per attaccare la popolazione israeliana tramite il lancio di missili, avesse applicato la tecnica che anni dopo Hamas avrebbe fatto propria, collocando le postazioni militari vicino a ospedali, moschee, centri abitati.

Dovrebbe infine ricordare di come Israele venne costretto a invadere il Libano perché l’organizzazione terroristica di Arafat costituiva una minaccia concreta per la sicurezza dello Stato ebraico. Ma tutto ciò è, ovviamente, omesso. Ciò che il giornalista ricorda di Arafat e dei “palestinesi” è questa commovente fotografia:

I guerriglieri dell’Olp lasceranno il Libano, sotto la protezione di una forza internazionale a guida americana. Partono in più di 14 mila. I filmati ingialliti mostrano Yasser Arafat che si imbarca, alzando un ramoscello di ulivo come fosse un segno di vittoria.

Il ramoscello di ulivo alzato da un signore della guerra conclamato, e i guerriglieri dell’OLP, responsabili di stupri, mutilazioni, massacri, che se ne vanno come se fossero degli inermi, degli innocenti, costretti ad abbandonare il paese da una forza proterva e soverchiante.

I curdi, in Siria, non hanno neanche lontanamente fatto ciò che fecero i palestinesi in Libano dal 1975 al 1982, destabilizzato il paese per sette lunghi anni, massacrando una parte della sua popolazione, cercato di rovesciare il suo legittimo governo, e creando una struttura militare atta a colpire Israele a soli pochi chilometri di distanza.

I curdi si sono alleati con gli americani per sconfiggere l’ISIS, e la Turchia non è intervenuta in Siria come Israele intervenne in Libano, per rimettere ordine nel paese ed eliminarvi chi, dal 1964 aveva fatto della eliminazione dell’”entità sionista” la propria ragione d’essere. La Turchia è intervenuta pretestuosamente (i curdi in Siria non rappresentano alcuna minaccia immediata o diretta alla sicurezza turca) per impedire il consolidamento di una realtà curda in una regione non limitrofa, così come ha già fatto al proprio interno e in Iraq.

Ma Di Feo non è soddisfatto dal parallelo, deve, evocare Sabra e Chatila. I falangisti libanesi che massacrarono i rifugiati palestinesi nel campo mentre gli israeliani non impedirono il massacro, starebbero ai turchi a cui gli americani hanno dato il via libera per l’invasione nel nordest della Siria.

Paragone farraginoso e oscenamente sbilanciato. Gli israeliani non diedero nessun via libera ai falangisti libanesi di massacrare i palestinesi nel campo di Sabra e Chatila.

Fu una grave negligenza e una sottovalutazione del comando militare israeliano, così come stabilito dalla Commissione Khan, non considerare la sete di vendetta dei falangisti libanesi. L’Amministrazione Trump ha dato il via libera all’operazione militare turca, lasciando intenzionalmente i curdi esposti all’offensiva delle truppe. Differenza sostanziale.

La realtà dei fatti, la sua ragione d’essere, la profonda diversità dei contesti, delle situazioni, degli attori in scena, viene rimossa al fine di potere creare un parallelo improponibile, di trovare il modo di fare dei terroristi dell’OLP gli omologhi dei combattenti curdi al fianco degli Stati Uniti e delle vittime innocenti della furia falangista gli omologhi delle eventuali vittime della violenza turca, (“In Siria domani potrebbe succedere la stessa cosa, scrive il giornalista). Eventuali, sì, perché non c’è stato fortunatamente alcun massacro dei curdi da parte turca.

Su una pura eventualità si tira in ballo retrospettivamente Israele, convocandolo sul banco degli imputati in correo con gli Stati Uniti, per un massacro di cui non è stato direttamente responsabile, in rapporto a un massacro non avvenuto. Analogamente, si associano i terroristi dell’OLP che sventrarono un paese e furono cacciati precedentemente da altri due, ai combattenti turchi che hanno valorosamente combattuto contro l’ISIS.

È questo il risultato della mistificazione, degli accostamenti improponibili, che travisando la realtà dei fatti li piegano del tutto alla strumentalizzazione più grossolana.



Massacro di Ma'alot, quando i terroristi palestinesi uccisero i bambini israeliani
Progetto Dreyfus
11 Agosto 2017

https://www.progettodreyfus.com/maalot- ... lestinesi/

Il massacro di Ma’alot avvenne il 15 maggio 1974 per mano del terrorismo palestinese. Un giorno scelto non a caso, visto che coincideva con il 26esimo anniversario della nascita dello Stato d’Israele. Ma’alot è una piccola città nella parte settentrionale di Israele, situata tra le colline della Galilea occidentale, molto vicino al confine con il Libano.

Proprio dal confine con il Libano in quel giorno, che ricordava anche la Nakba palestinese, entrarono in territorio israeliano tre terroristi appartenenti al FDLP (Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina), con indosso divise dell’IDF (Forze di difesa israeliane).

Armati con fucili AK-47 d’assalto, granate ed esplosivi, uccisero subito due donne arabo-israeliane e ne ferirono una terza. Bussarono a tutte le porte di un condominio fino a quando Fortuna, incinta di sette mesi, e Yosef Cohen aprirono la porta, trovando la morte assieme ai figli Eliahu e Miriam, rispettivamente di 4 e 5 anni. L’unico sopravvissuto della famiglia fu Yitzhack, terzo figlio di 16 mesi, sordomuto.

I sei omicidi commessi non placarono la sete di morte dei tre terroristi palestinesi, che si diressero verso la scuola elementare di Netiv Meir grazie all’indicazione di Yaakov Kadosh, un lavoratore dei servizi igienico-sanitari, che uccisero dopo aver ricevuto le informazioni.

Giunti alla scuola, la spietatezza e la malvagità di uccidere gli ebrei non si fermò: i tre terroristi palestinesi assassinarono subito il guardiano e alcuni bambini. Gli altri 105 bimbi assieme ai 10 maestri furono presi in ostaggio. All’interno dell’edificio erano presenti anche degli studenti di una scuola superiore in gita. Per il loro rilascio i terroristi-sequestratori chiesero la liberazione di altri 23 terroristi palestinesi, detenuti nelle carceri israeliani, fissando ultimatum alle ore di 18 dello stesso giorno.

Alle 10 Sylvan Zerach, in congedo dall’esercito, si avvicinò nei pressi della scuola, ma fu ucciso dai terroristi.

Alle 15 la Knesset (il Parlamento israeliano), si riunì per discutere della richiesta e decise di negoziare con i palestinesi, che si rifiutarono di prolungare l’ultimatum.

Alle 17.45, la Sayeret Matkal, un’unità della brigata d’élite Golani, cominciò l’operazione di salvataggio, assaltando la scuola. Riuscì a uccidere i tre terroristi palestinesi, che però fecero in tempo a utilizzare le armi contro gli ostaggi, non avendo pietà nello sparare ai bambini inermi. Nella massacro morirono 25 persone, di cui 22 bambini, e vennero ferite 68 persone.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio ago 12, 2021 7:29 am

Palestina, 1920: i pogrom arabi contro gli ebrei. Quell’odio che viene da lontano
Ugo Volli
7 Maggio 2020

https://www.progettodreyfus.com/palesti ... rom-arabi/

Nei giorni scorsi è stato molto ricordato, e giustamente, il centenario dell’incontro di Sanremo fra le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale e del trattato che vi fu approvato, perché esso è il primo riconoscimento giuridico internazionale del diritto del popolo ebraico alla costituzione di una patria nei suoi territori di origine. Questo riconoscimento fu poi ribadito due anni dopo dall’assemblea della Società delle Nazioni nella forma di un “mandato di Palestina” che aveva l’obiettivo esplicito di favorire l’immigrazione e l’insediamento ebraico ed è ancor oggi valido, perché nello statuto dell’Onu si stabilisce la ricezione integrale delle deliberazioni della Società delle Nazioni. E’ dunque da quelle decisioni che ha una indiscutibile base giuridica la sovranità israeliana su tutto il territorio fra il Giordano e il mare, incluse le parti rivendicate dall’Autorità Palestinese.

Ma vi è un altro centenario che ricorre in questi mesi, riguardando Israele in maniera molto meno positiva. All’inizio del 1920, anche prima del trattato di Sanremo, risale infatti la guerra che gli arabi locali, appoggiati dai paesi circostanti, hanno mosso senza soste agli ebrei insediati nelle antiche terre dei regni di Giudea e di Israele. Ricordiamo preliminarmente che la popolazione ebraica di quella regione non era mai scomparsa. Vi erano ebrei a Gerusalemme quando fu conquistata all’Islam dal califfo Omar nel 637 (e poi quando la presero i crociati nel 1099, sterminandone molti). Ve n’erano in Galilea in quei secoli, quando la trascrizione massoretica delle Scritture fu realizzata a Tiberiade. Vi passò Maimonide nel XII secolo e vi morì Nachmanide nel XIII, nello stesso periodo Beniamino de Tudela vi censì la comunità ebraiche; nel XVI secolo si stabilirono a Safed i cabalisti, ma vi erano comunità almeno anche a Gerusalemme e Gaza. Napoleone ne cercò l’appoggio durante la sua campagna d’Egitto, il primo censimento turco di Gerusalemme nel 1844 mostra una maggioranza ebraica, che poi si è conservata fino ad oggi. La grande ondata di ritorno degli ebrei è iniziata negli anni ‘60 dell’Ottocento, nel 1882 nascono le prime nuove città (Rishon Lezion, Zichron Yaakov), nel 1909 si fonda Tel Aviv e il primo Kibbutz (Degania, sulle sponde del Lago di Tiberiade).

Nel 1920 la popolazione ebraica era insomma da tempo presente, sia nella sua forma tradizionale di insediamenti religiosi molto poveri, sia nelle nuove città e villaggi popolati da immigranti europei, che ne avevano comprato a caro prezzo le terre ed era accettata dalle popolazioni arabe, che avevano avuto grandi vantaggi dalla vitalità economica portata dall’immigrazione ebraica. C’era stata certamente la solita oppressione degli ebrei nelle terre governate dall’Islam e l’ottuso dominio burocratico dei turchi; durante i decenni del risveglio ebraico c’erano stati anche degli episodi di banditismo beduino, ma la convivenza in genere era abbastanza buona. La presenza ebraica non era coloniale, gli immigrati non sfruttavano la manodopera locale, ma lavoravano con le loro mani i campi e avevano con i vicini arabi rapporti commerciali.

C’erano stati anche degli importanti progetti di collaborazione politica Nel Gennaio 1919 Weizmann, presidente dell’Organizzazione sionista e il Grande Sceriffo di Mecca, Emiro Faisal Ibn al-Hussein sottoscrissero una dichiarazione che impegnava le parti sui seguenti punti :

“ARTICOLO I La più cordiale buona volontà e comprensione regoleranno tutte le relazioni e gli impegni fra lo Stato Arabo e la Palestina [E’ importante notare che per Palestina si intende qui lo stato degli ebrei ], e a questo fine agenti arabi ed ebrei debitamente accreditati saranno posti e mantenuti nei rispettivi territori.

ARTICOLO II Immediatamente dopo il completamento delle delibere della Conferenza di Pace, i confini definiti fra lo Stato Arabo e la Palestina saranno determinati da un’apposita Commissione, gradita ad ambo le parti.

ARTICOLO III Nello stabilire la Costituzione e l’Amministrazione della Palestina si adotteranno tutte le misure possibili per garantire l’applicazione della Dichiarazione del Governo Britannico del 2 novembre 1917.

ARTICOLO IV Si prenderanno tutte le misure per incoraggiare e stimolare l’immigrazione su larga scala degli Ebrei in Palestina e per insediare il più presto possibile gli immigranti ebrei sul territorio, mediante insediamenti contigui e coltivazione intensiva della terra. Nel prendere tali misure i diritti dei contadini e dei proprietari di tenute arabi saranno salvaguardati, ed essi saranno assistiti nel portare avanti il loro sviluppo economico”

(Trovate il testo qui e una analisi storica qui) .

I giochi imperialisti di Francia e Gran Bretagna impedirono poi la realizzazione dell’accordo. Suo fratello ʿAbd Allāh ibn al-Ḥusayn (bisnonno dell’attuale sovrano di Giordania), che cercò di riprendere la sua politica dopo la sconfitta del ‘48-49, fu ucciso da un palestinista ante litteram, mentre pregava alla moschea di Al Aqsa a Gerusalemme.

L’incitamento delle folle arabe per “salvare al Aqsa dagli ebrei” (1929)

Torniamo al nostro centenario. La violenza organizzata contro gli ebrei iniziò sul serio all’inizio del 1920. A Gennaio, contadini arabi attaccarono Tel Hai, un insediamento ebraico in Galilea vicino al confine siriano, uccidendone due membri. Due mesi dopo, il 1 marzo 1920, centinaia di arabi di un villaggio vicino scesero di nuovo su Tel Hai, uccidendo altri sei ebrei. Tra questi c’era Joseph Trumpeldor che aveva combattuto nella guerra russo-giapponese e che aveva organizzato la difesa degli insediamenti in Galilea, riconosciuto da Israele come il primo comandante e il primo eroe caduto delle forze di difesa. Durante i mesi di marzo e aprile, oltre una dozzina di insediamenti agricoli ebraici in Galilea (fra cui Kfar Tavor, Degania, Rosh Pina, Ayelet Hashahar, Mishmar Hayarden, Kfar Giladi e Metulla) furono attaccati da arabi palestinesi armati.

Il culmine di questi primi atti organizzati di guerra contro gli insediamenti ebraici avvenne il 4 aprile 1920: I musulmani stavano celebrando il terzo e ultimo giorno della festa di Nebi Musa (il profeta Mosè), con un pellegrinaggio nel luogo della sua tomba presunta. Al ritorno a Gerusalemme, decine di migliaia di arabi furono incitati da Haj Amin al-Husseini, che sarebbe stato successivamente nominato Mufti della città, ad assalire gli ebrei. Ripetendo lo slogan (usato ancora oggi…) “La Palestina è la nostra terra e gli ebrei sono i nostri cani” la folla passò all’offensiva. Entrarono nelle case del quartiere ebraico, assalirono tutti quelli che trovarono, violentarono le donne e saccheggiarono le proprietà. Anche i cimiteri e le yeshivot furono attaccate: pietre tombali e rotoli della Torah furono distrutti. I poliziotti arabi, il cui compito sarebbe stato quello di mantenere l’ordine, si unirono invece all’attacco, mentre le autorità obbligatorie britanniche inizialmente evitarono ogni reazione. Oltre 100 ebrei furono feriti nelle prime ore e la rivolta si intensificò il giorno seguente, portando gli inglesi a imporre la legge marziale. Alla fine, dopo diversi altri giorni di disordini, la violenza fu finalmente repressa: cinque ebrei erano stati uccisi e più di duecento feriti.

Il 19 aprile 1920, su un treno diretto alla Conferenza di Sanremo, Chaim Weizmann scrisse a sua moglie Vera, che viveva a Londra:

“Mia cara, la cosa più terribile e terribile ci è successa: un pogrom in Gerusalemme, con tutti i segni caratteristici di un pogrom … Sono stanco, in frantumi, sfinito e nauseato da tutto. Se le baionette degli inglesi non ci avessero fermato, il primo giorno avremmo respinto gli arabi, ma gli inglesi hanno smantellato la nostra autodifesa e imprigionato i nostri, incluso Vladimir Yevgenyvich (Jabotinsky).”

Jabotinsky, il padre fondatore dell’attuale destra israeliana (Begin era stato il suo segretario) organizzò la difesa degli ebrei della Città Vecchia con soldati smobilitati della legione ebraica che avevano partecipato alla campagna militare britannica contro gli ottomani. (Jabotinsky e Trumpeldor avevano organizzato e aiutato a guidare le unità militari volontarie ebraiche che avevano combattuto con gli inglesi.) Quando le autorità britanniche alla fine repressero le rivolte, Jabotinsky e 19 associati furono arrestati per possesso di armi illegali. Jabotinsky fu condannato a 15 anni di carcere duro poi commutati in seguito alla pressione internazionale.

Ebrei in fuga dai pogrom arabi nella Città Vecchia di Gerusalemme (1929)

Nel frattempo, Haj Amin al Husseini e altri leader arabi avevano continuato a incitare contro gli ebrei. Il 1 maggio 1921, ribelli e poliziotti arabi con coltelli, pistole e fucili presero le strade di Giaffa, picchiando e uccidendo ebrei e saccheggiando case e negozi ebraici. Ventisette ebrei furono uccisi e 150 feriti. Gli attacchi degli abitanti dei villaggi arabi si estesero alle comunità ebraiche di Petach Tikvah, Rehovot, Hadera e fino a nord di Haifa. Una commissione d’inchiesta, guidata da Sir Thomas Haycraft, Capo della Giustizia in Palestina, fu istituita per indagare sulle cause e le circostanze delle rivolte e concluse che la violenza era dovuta al risentimento arabo degli immigrati ebrei in Palestina. Di conseguenza, l’alto commissario britannico, Sir Herbert Samuel, ordinò di fermare temporaneamente l’immigrazione ebraica. E’ uno schema d’azione che gli inglesi hanno ripetuto tutte le volte che esplodeva la violenza araba contro gli ebrei, per esempio nel 1928-29 a Gerusalemme, cui seguirono i terribile pogrom di Hebron e Safed, e poi ancora nella “grande rivolta araba” del 36-39, fino alla loro uscita di scena quando si scatenò la guerra araba contro lo Stato di Israele, ancora prima della sua fondazione, nel ‘47.

Insomma, chi ragiona della guerra degli arabi contro Israele deve partire da questa data, 1920, e da questo nome, Amin Al Husseini. Gli arabi hanno iniziato a cercare di cancellare sistematicamente la presenza ebraica in “Palestina” (come si chiamava allora il mandato per preparare la patria ebraica), ventott’anni prima di ogni “occupazione”, cioè stato ebraico, quando le terre che gli ebrei coltivavano e edificavano erano state tutte solo comprate a caro prezzo dai loro proprietari e l’amministrazione era inglese e non ebraica, o se si vuole 47 anni prima della Guerra dei Sei Giorni e dell’ ”occupazione” di Giudea e Samaria. Da allora non hanno mai abbandonato il programma di sterminare o quantomeno ributtare a mare gli ebrei.

Questa guerra insomma dura ormai da cent’anni e non accenna a smettere. Chi si è illuso (come Rabin, Peres la sinistra israeliana, europea e americana) che si potesse rabbonire la loro leadership, la quale impropriamente si definisce “palestinese”, concedendole uno stato da gestire e che così sarebbe nata la pace, non ha capito nulla di questo conflitto secolare, che da parte araba non ha come obiettivo la costruzione di uno stato (mai richiesto sotto il dominio turco, britannico, egiziano e giordano), ma solo la distruzione degli ebrei. Come sapeva già Jabotinski (e Ben Gurion, che pure gli era nemico, condivideva), la sola strada per mantenere la pace è la forza di Israele e la sua determinazione a difendersi.

Tags: Antisemitismo, Chaim Weizmann, Conferenza di Sanremo 1920, David Ben Gurion, diritto internazionale, Israele, Joseph Trumpeldor, Mandato britannico, Mandato britannico sulla Palestina, Mandato di Palestina, Medio Oriente, Muhammad Amin al-Husseini gran muftì, Palestina, pogrom, pogrom arabi, Società delle Nazioni, Storia di Israele, Vladimir Jabotinsky




Il vecchio di Ramallah ha credibilità solo in Europa
Niram Ferretti
28 Maggio 2020

https://www.italiaisraeletoday.it/il-ve ... in-europa/

Già ora si odono gli strepiti e le urla, le minacce e gli appelli, come quello dei settanta parlamentari italiani, contro l’estensione di sovranità israeliana sul 30% dei territori della Giudea e Samaria (Cisgiordania) e conseguenti insediamenti. In testa la UE, che, dal 1967 in poi, quando era ancora in fieri, ha impostato la propria politica mediorientale su una netta direttiva pro-palestinese.

Udiamo il mantra già profferito quando Donald Trump decise di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele: la decisione israeliana destabilizzerà il Medio Oriente. Non accadde nulla dopo il riconoscimento di Gerusalemme capitale, così come non accadde quando gli USA riconobbero la sovranità israeliana sulle Alture del Golan, e nulla di eclatante accadrà quando Israele procederà in accordo con gli USA i primi di luglio.

Niram Ferretti

Dagli Stati sunniti, in testa Arabia Saudita, nessuno sembra pronto a stracciarsi le vesti. La “causa palestinese” ha da tempo stancato i potentati arabi. Sono passati gli anni furenti e bellicosi del terrorismo dell’OLP, delle intifade sanguinarie, specialmente la Seconda, dell’incondizionato appoggio.

Il realismo è prevalso. Israele non può essere sloggiato. Bisogna fare i conti con questo fatto. Sì, certo, la propaganda contro lo Stato ebraico, che prese avvio dalla fine della Guerra dei sei giorni, non ha mai perso il suo mordente, ma oggi, gli arabi guardano altrove, soprattutto all’Iran, alla sua politica egemonica, al pericolo concreto che rappresenta per i propri assetti. Hanno bisogno dell’ombrello americano contro il nemico sciita e Israele è indispensabile per il suo contenimento.

Abu Mazen

Abu Mazen a Riad come al Cairo, da anni non gode più di alcuna credibilità. Quando si reca in visita, il vecchio capobastone di Ramallah, non è ricevuto come in Europa con i tappeti rossi, i “fratelli” arabi ne conoscono assai bene le gesta, le propensioni cleptocratiche, la drammatica inadeguatezza come leader. Appare per quello che è, una figura affondata nel passato.

Le cancellerie europee ripetono frasi ormai stantie, invocano negoziati, come se, dal 1993 in poi, anno degli Accordi di Oslo, le munifiche proposte fatte prima ad Arafat e poi ad Abu Mazen, nel 2000 e nel 2008, dai due Ehud, Barak e Olmert, non ci fossero mai state, come se Gaza non fosse stata lasciata nel 2005.

L’indisponibilità palestinese a ogni proposta è stata costante ed inflessibile. E come poteva essere altrimenti? Il business fioriva alla grande. Centinaia di milioni di dollari in sussidi dati dall’Europa e dagli Stati Uniti prima all’OLP e poi all’Autorità Palestinese, di cui una parte consistente è entrata nelle tasche personali di Arafat e Abu Mazen, per non parlare di quelli defluiti nelle tasche dei jihadisti in carcere e delle loro famiglie, facevano il paio con la leggenda che fosse l’intransigenza israeliana a impedire ogni accordo.

Chiagni e fotti e nel mentre si procedeva all’incasso e si continua a procedere anche ora, seppure Donald Trump abbia contribuito in modo determinante a diminuire i flussi e a mostrare, dietro i fondali dipinti, la realtà.

E’ stato l’unico presidente americano, nella lunga fila dei democratici e dei repubblicani che si sono alternati vicendevolmente alla Casa Bianca, a sbaragliare il campo dagli equivoci e dalle ipocrisie, a togliere da sotti i piedi di Abu Mazen i tappeti di dollari americani per pagare i terroristi, a cessare il finanziamento all’UNRWA, carrozzone ONU per la moltiplicazione senza fine dei “rifugiati” palestinesi, a dire quello che era ovvio, che Gerusalemme è di fatto, dal 1948, la capitale dello Stato ebraico. Ha messo Abu Mazen e la sua cricca nell’angolo dove nessuno prima di lui li aveva messi, mostrando al mondo quello che ogni uomo di buona volontà sapeva già, che si tratta di un vecchio baro circondato da una corte di goodfellas.

Il Piano di pace con il suo nome, promette ai palestinesi un loro Stato ma solo a condizione che riconoscano la legittimità esistenziale, non meramente geografica, di Israele, e che i gruppi terroristi, Hamas in testa, rinuncino alla lotta armata. Allora si potrà andare al sodo.

Venendo meno queste condizioni, Israele potrà procedere ad estendere la sua sovranità su quei territori che l’unico documento che fa testo nell’ambito del diritto internazionale, il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 e l’annesso memorandum, mai abrogato, mai venuto meno nelle sue disposizioni essenziali, concedeva all’abitabilità ebraica. E dove se no? Giudea e Samaria dall’inconfondibile suono ebraico incrostato di storia biblica, non Sharm El Sheikh.

Il diritto ebraico di dimorare a occidente del fiume Giordano è chiaramente stabilito nel Mandato e non vi è nessun altro documento che lo scalzi, né possa farlo. Le terre “palestinesi” lo sono solo in senso geografico e Israele ne occupa il suolo legittimamente dopo una guerra di aggressione che vide la Giordania sconfitta e mise fine alla sua occupazione e poi annessione, questa sì, del tutto illegale di quegli stessi territori. Ma il mondo allora scrollò le spalle. I giordani non sono mica ebrei. Così come Israele non aveva un diritto legale sui territori del Sinai restituiti all’Egitto la Giordania non ne aveva nessuno sui territori cisgiordani a cui rinunciò di fatto nel 1994.

I tempi sono ormai maturi per Israele, dopo 98 anni, e grazie a un presidente americano dai modi spicci e senza peli sulla lingua, per prendersi ciò che è suo. I palestinesi hanno perso tutti i treni della storia sui quali potevano salire, Israele, questo non intende perderlo.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio ago 12, 2021 7:30 am

Sabra e Chatila, sono certamente da condannare!
Fabrizio Fasolo
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Ma perché i libanesi sono arrivati a vendicarsi? Perché di vendetta si tratta e non di un massacro premeditato! Che poi sia stato sfruttato per scaricare le colpe su Israele ed i suoi soldati presenti proprio in Libano per disarmare alcune fazioni armate ed ostili ad Israele ed anche alle comunità cristiane, fa parte del sistema che ben conosciamo! Negli anni 70/80, ero molto vicino a delle associazioni, che denunciavano i soprusi nei confronti dei cristiani e degli ebrei del Libano. Nella lenta e costante islamizzazione del paese! Dopo il crollo dell'impero Ottomano, il Libano era controllato dalla Francia e l'economia divenne molto florida, grazie alla tranquilla e prospera convivenza tra musulmani, ebrei e cristiani! Con l'arrivo dei (presunti) palestinesi, iniziarono le tensioni, allora "sponsorizzate" da Ryad ed altri. Che con il peso economico, facevano fallire le attività dei cristiani e degli ebrei. Ma anche il peso del piombo e del TNT, andava benissimo per liberare il libano dei miscredenti. Ormai era guerra civile irreversibile. Anche se con l'indipendenza del Libano, si erano divisi i poteri tra cristiani e musulmani, era chiaro che i musulmani non volevano altro che il controllo totale del paese. Con l'entrata in campo dell'Iran degli Ayatollah lo squilibrio di potere si fece sempre più a favore dei musulmani. Denunciare la "decristianizzazione" del Libano, è stata una cosa inutile! Come vediamo negli ultimi anni, ammazzare i cristiani, è cosa normale, guai se si toccano i musulmani e specialmente i palestinesi! La storia del Libano andrebbe studiata, o un po' vissuta, come nel mio caso. Ma libri obbiettivi ne trovi pochi e tutti vengono stralciati dalla realtà attuale, che mette in evidenza una realtà, da sempre raccontata in maniera fraudolenta. I giovani libanesi, anche musulmani, sono stufi dell'ingerenza iraniana, sono stufi di doversi combattere a vicenda, anche perché era un paese ricco, prima che i musulmani presero il sopravvento....
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio ago 12, 2021 7:32 am

La calunnia dell'acqua contro Israele

http://veromedioriente.altervista.org/c ... _acqua.htm


Le Organizzazioni non governative (ONG) hanno incrementato la strumentalizzazione del problema dell'acqua nell'offensiva politica nei confronti di Israele. Si va dalle false accuse di «discriminazione» e di «sottrarre acqua», alle pressioni nei confronti di società internazionali affinché boicottino la compagnia israeliana idrica, la Mekerot; per giungere alla spudorata distorsioni degli accordi sottoscritti fra israeliani e palestinesi.

A seguito di queste campagne diffamatorie, la compagnia idrica olandese Vitens ha cancellato l'accordo di collaborazione pianificato con Mekerot; l'italiana Acea è stata indotta a fare altrettanto, e analoghe campagne hanno visto la luce nel Regno Unito e in Argentina.

Le questione e le dispute legate ai diritti sull'acqua non sono definite dai confini internazionali tracciati su una mappa. Una stretta collaborazione e cooperazione fra le parti è prescritta affinché i problemi siano risolti in modo creati e costruttivo, onde l'accesso ad acque pulite e sicure sia garantito in modo paritario e ottimale. Inoltre, la complessità e la centralità della questione delle acque nel conflitto arabo-israeliano sono esasperate dalla scarsità della medesima a livello locale. Infatti, in queso ambito è stato istituito un "Comitato Congiunto per l'acqua" israelo-palestinese" (JWC), allo scopo di «gestire tutte le problematiche relative all'acqua potabile e alle acque sporche nel West Bank». Il processo decisionale alla base del JWC è di tipo «consensuale, inclusa la pianificazione, le procedute e le altre problematiche». Analogamente, un principio cardine del Trattato di Pace fra Israele e Giordania del 1994 prevede che «la cooperazione nelle problematiche relative alle acque vada a beneficio di ambo le parti, e contribuirà ad alleviare la scarsità di acqua».

Sfortunatamente, malgrado l'esistenza di una cooperazione fra israeliani, palestinesi e giordani, l'acqua è diventata un'arma nelle mani delle ONG politicizzate, che usano le accuse sulla disponibilità e sui diritti idrici come parte dello strumentario di delegittimazione e di antinormalizzazione nei confronti di Israele. Le ONG presentano una descrizione distorta dei fatti, ignorando gli accordi negoziali fra Israele e palestinesi, come gli Accordi Interinale del 1995 (che seguirono gli Accordi di Oslo), allo scopo di accusare falsamente Israele di violazione del diritto internazionale; quando nella realtà la fornitura di acqua da parte di Israele è ben superiore a quella precisata negli Accordi.

Questa narrativa inoltre accusa falsamente Israele di bloccare i progetti di sviluppo idrico palestinesi, inclusi gli impianti di trattamento delle acque reflue, di creare una «crisi idrica» a Gaza, e di fornire ai palestinesi la «quantità strettamente necessaria a sopravvivere, fornendo al contempo generose quantità di acqua ai coloni».

Le ONG che hanno condotto questa campagna diffamatoria includono Al Haq, Al Haq, Palestinian Center for Human Rights (PCHR), BADIL, Coalition of Women for Peace/Who Profits, e EWASH (una coalizione di ONG palestinesi, organizzazioni internazionali per lo sviluppo, e agenzie ONU). ONG internazionali ed europee, come Human Rights Watch, Amnesty International e United Civilians for Peace (UCP: un ombrello che comprende l'olandese ICCO, Oxfam Novib, Pax - meglio nota come Pax Christi - e Cordaid), analogamente accusano Israele di negare un «equo accesso all'acqua», architettando accuse infondate sulla fornitura di acqua ai palestinesi.

Non di rado, queste ONG riconoscono di agire sulla base di motivazioni politiche ed ideologiche, e non per garantire un migliore accesso alle risorse idriche da parte di Israele. Ad esempi, EWASH si è opposta alla costruzione di un impianto di desalinizzazione a Gaza, che avrebbe sensibilmente migliorato l'approvvigionamento idrico, sostenendo che avrebbe «accomodato l'occupazione» e «legittimato le azioni israeliane». EWASH inoltre ha affermato, malgrado l'evidenza opposta, che «la desalinizzazione sia una «soluzione tampone», mentre è pacifico per tutti che la desalinizzazione sarebbe un rimedio definitivo per la scarsità oggettiva di fonti idriche.


LE CALUNNIE PIU' RICORRENTI

Accusa. «Mekerot approfitta del controllo israeliano di un'area sottoposta ad occupazione. Gli Accordi di Oslo impediscono ai palestinesi di sviluppare il loro settore idrico, e negano la possibilità di acquistare acqua da altri stati o da aziende internazionali» (Who Profits, 2013). «Israele impedisce la costruzione e la gestione di infrastrutture idriche nel 59% del West Bank, nella zona nota come Area C, mediante la negazione sistematica di permessi di costruire o ripristinare impianti idrici» (Al Haq, 2013).

Realtà. Il coinvolgimento di Israele nel settore idrico nel West Bank, nonché la fornitura idrica ad alcune comunità palestinesi e agli insediamenti ebraici nel West Bank, sono regolati dagli Accordi Interinali del 1995, sottoscritti da Israele e dall'OLP, e garantiti dalla comunità internazionale. Al contrario di quanto affermano alcune ONG, questo accordo non «preclude ai palestinesi di sviluppare il loro settore idrico e della depurazione». L'articolo 40 afferma che l'approvazione dei progetti idrici nel West Bank è demandata al JWC, che si esprime all'unanimità. I palestinesi sono liberi di realizzare tutti gli impianti che desiderano, a patto che vi sia la preventiva approvazione del JWC. Una volta approvato il progetto, Israele non ha alcuna autorità sulle aree B e C. I progetti idrici palestinesi nell'area C, sottoposta a controllo amministrativo e militare israeliano, richiedono il permesso dell'Israeli Ministry of Defense Civil Administration (CA). Tuttavia, nella maggior parte dei casi l'implementazione di questi progetti è demandata al PWA. In molti casi i palestinesi rinunciano ad implementare progetti già approvati e finanziati, per motivazioni politiche legate dal conflitto con Israele, e per le pressioni esercitate dalla lobby agricola palestinese.
Dal 2000 il CA ha approvato 73 richieste su 76 presentate con riferimento all'area C. Il carteggio fra CA e PWA dimostra che progetti approvati nel 2001 non sono stati ancora eseguiti nel 2009. Ulteriori 44 progetti approvati dal JWC nelle area A e B, inclusi diversi impianti per il trattamento delle acque reflue, condutture primarie e reti di distribuzione che raggiungono diverse città e villaggi, nonché cisterne idriche; non sono ancora stati implementati.
Infine Mekerot non trae alcun profitto dalla fornitura di acqua ai palestinesi. Il prezzo corrisposto è stabilito di mutuo accordo, alla luce degli Accordi Interinali di Oslo. Questo prezzo, fissato a 1,66 shekel israeliani per metro cubo (1996), è stato in seguito aggiornato a 2,85 shekel, alla luce della crescita dei costi di produzione. L'entrata complessiva per Mekerot è pari a 4,16 shekel per metro cubo; tale in realtà da comportare una perdita. Come riferimento, gli israeliani pagano 8,89 shekel per metro cubo, sussidiando così l'erogazione di acqua ai palestinesi.


Accusa. «Il blocco israeliano su Gaza e le restrizioni sulle importazioni dalla Striscia di Gaza di materiali e strumentazioni necessari per lo sviluppo e la manutenzione degli impianti, hanno indotto il raggiungimento di una crisi nella questione idrica» (EWASH, 2015). «Il blocco ha privato i bambini di Gaza della normale possibilità di bere acqua pulita» (Save the Children, 2012). «Stringenti restrizioni imposte da Israele negli ultimi anni all'accesso alla Striscia di Gaza di materiali e strumentazioni occorrenti per la riparazione degli impianti, hanno cagionato un ulteriore deterioramento della qualità dell'acqua e degli impianti di desalinizzazione a Gaza» (Amnesty, 2009).

Realtà. Gli Accordi di Oslo prevedono che la manutenzione degli impianti idrici a Gaza sia interamente demandata ai palestinesi (eccezion fatta per gli insediamenti e le basi militari), con Israele che si impegna a fornire 5 milioni di metri cubi all'anno ai palestinesi. Pertanto, dopo il disimpegno unilaterale del 2005, il governo di Hamas e l'Autorità Palestinese sono gli unici responsabili della situazione di Gaza.
Malgrado gli incessanti attacchi missilistici contro le famiglie israeliane da parte di Hamas da Gaza, Israele ha continuato a mantenere l'impegno di fornire la quantità di acqua prevista dagli Accordi di Oslo. Inoltre, malgrado le aggressioni, il personale dell'azienda dell'acqua israeliana ha garantito la riparazione e la manutenzione degli impianti a Gaza.
Un fattore cruciale nella scarsità di acqua a Gaza è la mediocre manutenzione della rete idrica, che comporta una perdita di acqua del 40% (a fronte del 3% della rete israeliana e del 33% di perdita nel West Bank). Affrontare questa problematica migliorerebbe in modo decisivo la disponibilità di acqua a Gaza, e ciò senza assistenza dall'esterno. Il trattamento delle acque reflue, il riciclo, l'irrigazione a goccia migliorerebbero immediatamente la situazione idrica nella Striscia.
Nel lungo periodo, la desalinizzazione è probabilmente l'unica soluzione per fornire una fonte affidabile e sicura di acqua a Gaza (come in Israele). La comunità internazionale si è offerta di costruire questi impianti; ma i palestinesi e le ONG si rifiutano di collaborare , sostenendo che normalizzerebbe la situazione, legittimando Israele.
Malgrado i problemi di sicurezza, Israele ha consentito che a Gaza entrino impianti idrici, completando la costruzione di una conduttura aggiuntiva, che fornire a Gaza ulteriori 5 milioni di metri cubi di acqua all'anno.



Israele: smontata la calunnia dell'acqua
domenica 22 marzo 2015
http://ilborghesino.blogspot.com/2015/0 ... acqua.html


Telegiornale Rai 2: Marrazzo comincia male
Commento di Deborah Fait
Informazione Corretta
http://www.tg2.rai.it/
Servizio numero 10 del 23 luglio ore 20.30 di Piero Marrazzo.
"La ripartizione delle risorse idriche causa forti tensioni tra israeliani e palestinesi" (http://www.tg2.rai.it/#sthash.4A5Xo6GM.dpuf )

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=59010


Patetico e delirante il servizio di Piero Marrazzo sul TG2 alle 20.30 del 23 luglio. Pericoloso, consapevolmente superficiale e completamente falso. Perché dico consapevolmente superficiale? Perché parlare delle risorse idriche e loro ripartizione in questa parte del mondo è un argomento molto delicato usato sempre dagli odiatori di professione per demonizzare Israele. Il messaggio che simili servizi mandano ai telespettatori è sempre lo stesso, Il potere forte e sionista contrapposto alla debolezza di un povero popolo vessato e maltrattato, e lo fanno pur sapendo di raccontare un sacco di palle, lo fanno sapendo di creare odio e repulsione, ecco la pericolosità, ecco la superficialità e la consapevolezza di fare del male.

Risultati immagini per tg2

“Gli uni (i palestinesi) in fila a litigarsi un litro d’acqua per le esigenze primarie..., gli altri (gli israeliani... coloni) in grado di irrigare prati o di riempire piscine.” Sappiamo che Piero Marrazzo è nuovo da queste parti ma questo non giustifica il servizio. Prima di parlare e di fare il lavaggio del cervello alla gente è obbligatorio informarsi!

Ciclicamente i media tirano fuori la grande calunnia dell’acqua, fa parte della propaganda cui sono abituati da decenni ormai. Raccontare che i palestinesi sono senza acqua, che Israele invece ne ha in abbondanza, è una di quelle menzogne sempre vincenti, come dire che Gaza è una prigione a cielo aperto. E’ la retorica di Pallywood, quel grande carrozzone propagandistico che tanto successo ottiene nel mondo e che riesce sempre a diffamare Israele senza che mai nessuno si ponga un dubbio.

Il servizio, mandato in onda durante un telegiornale, quindi molto seguito, ha presentato, da un lato, il quadretto dei poveri palestinesi cui manca persino l’acqua da bere, impossibilitati a irrigare i campi quindi anche di mangiare, dall’altro eccoli là, i perfidi giudei (coloni, pardon) che invece sguazzano nelle piscine e coltivano inutili fiori in inutili prati. Non è stato minimamente accennato il fatto reale che i palestinesi non hanno acqua perché la maggior parte serve ai loro capi corrotti per riempire le loro piscine e perché manca la volontà di fare il bene della popolazione. A una comunità che insegna ai propri bambini come si diventa kamikaze, dell’acqua sì o acqua no non potrebbe fregar di meno. Quello che preme loro è di passare per le vittime del cattivo spietato occupante sionista che prima o poi dovrà scomparire per far posto alla grande nazione palestinista.

Detto questo vediamo di fare un po' di informazione seria, è l’unico mezzo che abbiamo per contrastare la propaganda dei palestinisti cui i media mondiali, non solo quelli italiani, fanno da cassa di risonanza. Dopo gli accordi di Oslo ai palestinesi furono assegnati 70 milioni di metri cubi dalla falda acquifera, Israele gliene da molti di più. Ma allora cosa succede? Per quale motivo se un palestinese apre il rubinetto di casa non esce una sola goccia d’acqua?

Risultati immagini per acqua

Succedono un sacco di cose, amici. Incominciamo col menzionare la pessima gestione della classe dirigente palestinista, passando attraverso la corruzione, le ruberie, la perdita delle risorse idriche che, a causa della noncuranza, dell’apatia, della non manutenzione, vanno a finire, inutilizzate, nel Mar Morto. Israele ha identificato 40 siti per la trivellazione, siti che, se utilizzati, avrebbero coperto l’esigenza d’acqua di tutti i territori contesi. Bene, anzi male, perché non ne hanno trivellato nemmeno un terzo nonostante la pioggia di soldi inviati dalla comunità internazionale. A questa inettitudine, a questa pigrizia mentale bisogna aggiungere il problema delle tubature che sono vecchie, usurate, piene di buchi e di ruggine che nessuno si preoccupa di riparare o di sostituire. E allora che succede? Succede che l’acqua si perde nel terreno ma non qualche goccetta, no, vanno persi un’infinità di metri cubi d’acqua. Allora uno si fa una domandina semplicissima: perché non sistemano le tubature visto che hanno i soldi per farlo? La risposta è che forse è meglio lamentarsi, si suda di meno e si ottiene di più e il “di più” sono i soldi e la simpatia del mondo intero a scapito dell’odiato Israele.


Un impianto di desalinizzazione in Israele

Ma adesso vi do la notizia bomba, una notiziona che avrebbe risolto tutti i problemi e che si chiama IMPIANTO DI DESALINIZZAZIONE. Ebbene, Israele e la comunità internazionale glielo hanno offerto, gratis, glielo avrebbero costruito e dato in regalo. GRATIS! E loro hanno rifiutato! Lo ripeto perché forse non si è capito, è talmente assurdo che risulta difficile da capire: gli è stato offerto un impianto di desalinizzazione, gratis, e la dirigenza palestinese lo ha rifiutato!

Allora, amici, ditemi se è ammissibile e professionale mandare in onda un servizio strappalcrime sugli israeliani che non danno l’acqua ai palestinesi perché devono riempirsi le piscine? Ma non si vergognano quelli della Rai? Ogni volta che Abu Mazen va in giro per il mondo fa la questua, ogni volta che un politico occidentale va in visita all’ANP si sente chiedere soldi. E’ successo anche a Renzi durante la sua breve visita a Betlemme: “Soldi soldi soldi, dateci soldi”. Va bene, ha risposto il premier, e orgogliosamente ha detto che l’Italia è uno dei maggiori donatori dell’ANP. Beh, sinceramente non c’è di che esserne fieri!

http://www.rightsreporter.org/palestina ... -di-soldi/ leggetevi questo articolo e inorridite perché si tratta di soldi vostri/nostri con cui vengono letteralmente inondati i palestinisti, soldi a palate che vanno a ingrossare i conti in banca dei loro corrotti dirigenti senza che nessuno abbia il coraggio di chiedere un riscontro, senza che nessuno abbia l’onestà di chiedere “Cosa ne avete fatto? Dove li avete spesi?”. Sì, onestà e rettitudine perché non si possono dare a questa gente miliardi, come nessuno al mondo riceve dalla comunità internazionale, sapendo che finiscono in terrorismo e corruzione. Significa essere complici! http://forzaisraele.altervista.org/blog ... vista.org#

Israele ha costruito ben cinque impianti di desalinizzazione, quello di Sorek, tra Rishon leZion e Tel Aviv è il più grande del mondo. Ormai Israele non ha più problemi di siccità grazie a questi impianti , non dobbiamo più contare le gocce d’acqua che cadono dal cielo e misurare i metri del lago di Tiberiade, “quanto è sceso... quanto è salito quest’anno...”. Abbiamo acqua a volontà e i palestinesi potrebbero essere nella stessa felice situazione se fossero meno corrotti, se ai loro boss mafiosi interessasse un po' la gente comune invece di costruirsi, loro sì, ville con piscine: http://www.centrometeoitaliano.it/scien ... 015-27938/ http://www.genitronsviluppo.com/2011/07 ... e-israele/

Un articolo di Rainews si intitola “Israele beve l’acqua del mare”. E’ vero ma non è un miracolo, servono soltanto un po’ di buona volontà, intelligenza e interesse per il benessere della popolazione. Capito signor Piero Marrazzo? Si informi la prossima volta! http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 7d9dd.html




La questione dell'acqua all'interno del conflitto arabo-israeliano
Oikonomia
Arturo Marzano
febbraio 2011

https://www.oikonomia.it/index.php/it/o ... israeliano

pdf

È ormai un argomento condiviso da politologi ed esperti di relazioni internazionali che la principale causa delle guerre che accadranno nei prossimi decenni sarà l'acqua, in alcune zone del globo più che in altre. Il Medio Oriente, da questo punto di vista, ha precorso i tempi, dal momento che l'acqua è già ora una delle ragioni delle tensioni e dei conflitti esistenti.

In riferimento al conflitto arabo-israeliano, la spartizione e l'uso delle risorse idriche è fra le questioni chiave, ancora irrisolte, che ostacolano da decenni la pace nella regione: da un lato, la gestione del bacino del Giordano1 e delle sue sorgenti, che interessa Israele e gli Stati arabi vicini, cioè la Giordania, con cui Israele ha firmato un trattato di pace nel 1994, e il Libano e la Siria, con cui, invece, c'è solo una situazione di armistizio (tanto che i due paesi arabi non hanno ancora riconosciuto l'esistenza di Israele); dall'altro, quella relativa allo sfruttamento delle falde acquifere che si trovano nei TOP (i territori occupati palestinesi, cioè la Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e la striscia di Gaza, che Israele ha occupato a seguito della Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967) e che interessa israeliani e palestinesi.

Il Giordano nasce dal monte Hermon, così come tre dei suoi quattro affluenti, l'Hasbani, il Dan e il Banias, che vi confluiscono nel suo primo tratto. Dopo aver attraversato il lago di Tiberiade - cioè "il mare di Galilea" dei Vangeli - confluisce nel Giordano il suo quarto affluente, lo Yarmuk, che nasce invece in Giordania2. Affrontare la questione delle sorgenti del Giordano significa parlare delle alture del Golan, dove si trova il monte Hermon, da cui nascono, come detto, il Giordano e tre dei suoi affluenti. Mentre, però, l'Hasbani nasce dal versante ovest del monte, in territorio libanese, il Dan e il Banias nascono dai versanti meridionali, nel Golan, cioè in quella parte di territorio siriano che Israele ha occupato nel giugno del 1967. Al momento, dunque, con l'eccezione dell'Hasbani, Israele controlla totalmente il tratto superiore del Giordano. Ciò è molto importante perché, in questo modo, Israele dispone completamente dell'acqua che il Giordano porta al lago di Tiberiade, e che da qui viene trasportata - tramite il cosiddetto National Water Carrier, un acquedotto completato nel 1964 - alle città della costa mediterranea e da qui fino al Negev, la parte meridionale del paese, in gran parte desertica. E' chiaro, dunque, come oltre alle questioni di sicurezza anche l'acqua svolga un ruolo fondamentale nelle trattative con la Siria per una possibile restituzione del Golan in cambio del riconoscimento da parte di Damasco dell'esistenza dello Stato di Israele. Con la firma del trattato di pace con la Giordania, si è, invece, parzialmente appianata - alcune divergenze rimangono tuttora - la questione del controllo del tratto inferiore del Giordano, dopo che questo, lasciato il lago di Tiberiade, procede verso sud sfociando nel Mar Morto. Uno degli elementi affrontati dal trattato di pace con la Giordania riguardava proprio la gestione delle acque del Giordano, il cui corso delimita il confine tra Israele e la Giordania, più a nord, e tra Cisgiordania e Giordania, più a sud.

Per quanto concerne la questione dello sfruttamento delle falde acquifere presenti nei TOP, la situazione è, invece, ancora molto controversa. Quando Israele, come detto, conquistò la Cisgiordania e la striscia di Gaza, lo Stato ebraico si trovò a controllare le due falde acquifere che si trovavano in quei territori e che tra la guerra del 1948 e quella del 1967 erano rimaste sotto il controllo rispettivamente della Giordania e dell'Egitto. Si trattava delle cosiddette "falde acquifere di montagna", in Cisgiordania, e della "falda acquifera costiera", a Gaza3. A partire da quel momento e fino alla firma degli accordi di Oslo, in particolare del cosiddetto Oslo II (settembre 1995), la gestione dell'acqua nei TOP è stata completamente nelle mani di Israele, che ne ha disposto interamente sia per aumentare i consumi interni, vale a dire della popolazione residente nel territorio dello Stato come definito dalla guerra del '48, sia per soddisfare le richieste del crescente numero di coloni israeliani che hanno deciso di risiedere nei TOP. Vale la pena ricordare che entrambi questi comportamenti sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale, sulla base della Quarta Convenzione di Ginevra, che disciplina il comportamento che la potenza occupante è tenuta ad avere nei territori sottoposti ad occupazione militare, come è nel caso dei TOP4. È infatti illegittimo, secondo la Convenzione, sottrarre risorse dal territorio occupato in modo tale che queste vengano consumate dalla popolazione della potenza occupante.

A partire dal 1967, Israele ha sostanzialmente vietato ai palestinesi che vivono nei TOP - ma non ai coloni israeliani - di scavare nuovi pozzi e di effettuare lavori di riparazione o mantenimento a quelli già esistenti. L'obiettivo principale era evitare l'aumento del consumo d'acqua da parte della popolazione palestinese - che dal 1967 è cresciuta sensibilmente, da circa un milione a quasi quattro milioni - in modo tale che solo i cittadini israeliani potessero beneficiare della possibilità di attingere alle nuove fonti d'acqua, le falde acquifere di cui si è detto. Soltanto a seguito degli Accordi di Oslo, Israele ha accettato il principio che anche i palestinesi avessero diritto ad una parte delle acque delle falde acquifere. Con l'accordo del 1995, è stato dunque previsto un aumento di consumo da parte dei palestinesi, a patto, però, che questo non inficiasse i consumi israeliani. E' stata pertanto prevista la costruzione di nuovi pozzi e di nuovi acquedotti, all'interno di un meccanismo di controllo congiunto israelo-palestinese, il cosiddetto Joint Water Committee, che avrebbe supervisionato qualsiasi lavoro. In questa maniera, Israele continuava ad aver diritto di veto su qualsiasi questione riguardante l'acqua. In più, con tale accordo, non venivano prese decisioni a lungo termine, perché l'intera cornice negoziale di Oslo prevedeva che le questioni principali - il futuro degli insediamenti, i confini di un possibile futuro Stato palestinese (Oslo non prevedeva la creazione di uno Stato, ma solo di un autogoverno), lo status di Gerusalemme, la questione dei profughi, e l'acqua - fossero rimandate alla fase finale delle trattative, cui non si giunse mai a causa della continua posticipazione e dello scoppio della Seconda Intifada. Pertanto, nonostante l'accordo raggiunto nel 1995, la situazione in termini di utilizzo delle falde acquifere non è cambiata in maniera considerevole.

Con la costruzione della barriera di separazione da parte dello Stato d'Israele5, iniziata nell'aprile del 2002, la situazione in termini di consumo d'acqua è chiaramente peggiorata, perché la barriera - tuttora in costruzione - ha permesso a Israele di annettere de facto una parte considerevole di territorio della Cisgiordania, circa il 16,6%. Una ONG palestinese, il Palestinian Hydrology Group, e una ONG israeliana, B'tselem, stanno monitorando la situazione sul terreno, e hanno messo in luce come il percorso della barriera abbia inciso negativamente sui consumi idrici palestinesi. Numerosi, infatti, sono stati i pozzi parzialmente danneggiati o interamente distrutti, il che ha chiaramente portato ad una diminuzione dei consumi d'acqua della popolazione palestinese, sia domestici, sia agricoli. Alcuni dati sono, a tale proposito, significativi. Sebbene le falde acquifere di montagna siano per la maggior parte situate in Cisgiordania, Israele utilizza più del 57% dell'acqua sotterranea totale, mentre i palestinesi solo poco più dell'8%. In termini agricoli, sebbene circa il 25% della Cisgiordania sia coltivata, solo meno dell'11% viene irrigata, per mancanza d'acqua. Anche per quanto riguarda i consumi individuali, i dati sono preoccupanti. Il consumo domestico pro-capite per gli israeliani è di 98 metri cubi di acqua al giorno; per i palestinesi di soli 34 metri cubi.

È alla luce di questa situazione di chiara discriminazione che vanno lette le negoziazioni israelo-palestinesi in vista di un accordo di pace. Una pace tra israeliani e palestinesi, perché abbia possibilità di successo, infatti, non può non affrontare anche la questione di una distribuzione più egualitaria dei consumi d'acqua tra israeliani e palestinesi. Così come una gestione comune delle sorgenti del Giordano, che porti ad una distribuzione equa delle sue acque, è indispensabile perché le trattative trapdf Israele e Siria possano avere margini di successo.

In un periodo in cui sono ripartiti i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, ci si augura, perciò, che le parti in causa riescano a trasformare l'acqua da un elemento di conflitto in strumento di dialogo, cosicché possa essere un bene comune da cui trarre beneficio in maniera equa e responsabile.

1 Si fa notare come la portata del Giordano - sottoposta peraltro a forti variazioni tra l'inverno e l'estate - sia molto esigua. Per fare un confronto con altri fiumi del contesto medio orientale, si pensi che la portata d'acqua del Giordano è pari al 2% di quella del Nilo e al 6% di quella dell'Eufrate.

2 Per una mappa delle risorse acquifere che riguardano il conflitto arabo-israeliano, cfr. http://www.passia.org/publications/bull ... ater04.pdf, accesso del 27.08.2010.

3 Si rimanda alla cartina indicata nella nota n. 2.

4 Vale la pena ricordare che Israele, a differenza di quanto non faccia la comunità internazionale, non definisce tali territori "occupati", ma "contestati" e ritiene, dunque, che le Convenzioni di Ginevra non si possano applicare al caso specifico dei TOP.


ADESSO DISCRIMINARE ISRAELE NON E' DISCRIMINAZIONE: LA SENTENZA SCANDALOSA DELLA CORTE EUROPEA DI STRASBURGO
15 giugno 2020

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Boicottare Israele parlando di apartheid, nazismo ed evitando di acquistare qualsiasi prodotto abbia la dicitura “made in Israel” è libertà di espressione. E come tale va tutelata. Poco importa se tutto ciò si fonda sulla volontà di negare l'esistenza stessa di uno stato e di un popolo, per la Corte europea dei diritti dell'uomo non si tratta di discriminazione.

I fatti. Nel 2009 e nel 2010, undici attivisti del movimento Bds, parteciparono in Francia a una campagna all'interno dei supermercati per chiedere il boicottaggio di prodotti israeliani. Portati a giudizio gli attivisti vennero condannati a pagare un risarcimento a chi si era costituito come parte civile (la Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo, gli Avvocati senza, l'Alleanza Francia-Israele e il Bureau national de vigilance contre l’antisémitisme). La condanna, confermata nel 2015 dalla Cassazione, trovava la sua base giuridica in una legge del 1881 sulla libertà di stampa che prevede che chiunque si è reso protagonista “di incitamento alla discriminazione, all'odio o alla violenza contro una persona o un gruppo di persone a causa della loro origine o della loro (non) appartenenza a un determinato gruppo etnico, a una nazione, a una razza o una religione” può essere punito con un anno di reclusione o una multa”.

Gli attivisti hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo che l'11 giugno ha emesso la propria sentenza. Due le questioni sollevate dai ricorrenti: la prima riguardava il fatto che la legge non fa alcuna menzione di boicottaggi di natura economica tra le fattispecie di discriminazione, la seconda che la condanna era legata alla loro partecipazione a una campagna di boicottaggio internazionale e quindi poteva configurarsi come una violazione della libertà d'espressione. Secondo gli attivisti quindi, la loro condanna violava gli articoli 7 (Nulla poena sine lege) e 10 (Libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

La Corte ha deciso di accogliere il secondo punto sollevato dal ricorso sottolineando che, come ricordato in altre occasioni, pur ammettendo la Convenzione un restringimento della libertà di espressione, questa è difficilmente applicabile all'ambito “del discorso politico o a questioni di interesse pubblico”. Per la Corte la condanna non era basata su motivi pertinenti e sufficienti. Non solo, la condanna non era legata nemmeno a danni provocati durante gli “assalti” ai supermercati. Insomma, poco importa che il boicottaggio delle merci israeliane, ricordi molto tempi passati quando bastava essere etichettati come ebrei per rischiare la propria vita. Secondo la Corte la condanna vìola la libertà di espressione e, quindi, l'articolo 10 della Convenzione. Dopotutto di cosa stupirsi, se il mondo applaude a chi abbatte le statue dei colonialisti bianchi perché non dovrebbe difendere chi si batte contro il “colionalismo di Israele”.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio ago 12, 2021 7:34 am

VIOLENTO ANTISEMITISMO DURANTE LE PROTESTE AMERICANE CONTRO IL RAZZISMO
di Manfred Gerstenfeld

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In Germania diverse manifestazioni contro le restrizioni alla libertà dovute alla pandemia di Coronavirus includevano anche episodi antisemiti. L'infiltrazione di odio ebraico correlata a nulla di ebraico o israeliano è stata un evento frequente nelle proteste di massa occidentali negli ultimi decenni. Ora, è emerso un esempio ancora peggiore di questo fenomeno: l'espressione violenta di antisemitismo durante le proteste contro il razzismo negli Stati Uniti, dopo l'assassinio di George Floyd da parte di un poliziotto a Minneapolis. Molte di queste manifestazioni sono state accompagnate da incendi e saccheggi. Alcune delle peggiori violenze sono esplose a Los Angeles: nel distretto di Fairfax sono stati distrutti diversi negozi Kosher e di Judaica. Diverse istituzioni ebraiche sono state danneggiate, tra cui le sinagoghe e una scuola. Una statua di Raoul Wallenberg è stata imbrattata con slogan antisemiti. I rivoltosi hanno distrutto le finestre della Congregazione Riformata, Beit Ahaba, a Richmond, in Virginia.

Attaccare le sinagoghe è un atto di antisemitismo. Diversi commentatori hanno evidenziato questi aspetti dell’antisemitismo nelle suddette manifestazioni. Sul quotidiano britannico Telegraph, Zoe Strimpel ha scritto: “Eppure, accanto a coloro che protestano pacificamente, ci sono quelli che saccheggiano in modo criminale, in nome della giustizia sociale. Alcuni di questi lo fanno in nome dell'antirazzismo - come si è visto sopra - e altri in nome dell'antifascismo. I capibanda degli antifascisti appartengono al gruppo ripugnante degli AntiFa… Mentre AntiFa va ben oltre gli ebrei, sembra che le persone che pretendono di essere" antifasciste o antirazziste " prima o poi inizino a comportarsi come il più basso dei criminali e dei bulli, usando una causa, come scusa per atti di vandalismo e distruzione ... È paradossale che dove c'è AntiFa c'è antisemitismo. ”

Melanie Phillips ha sottolineato lo strano atteggiamento di molte organizzazioni ebraiche. Ha scritto che in una dichiarazione del Consiglio ebraico per gli Affari Pubblici, 130 organizzazioni hanno dichiarato di essere "indignate per l'uccisione di Floyd, di aver espresso ‘solidarietà’ con la comunità nera e di aver chiesto ‘di porre fine al razzismo sistemico’”. Phillips ha osservato: “Loro non protestano contro gli attacchi mirati specificatamente a sinagoghe e a negozi di ebrei”. Phillips ha definito il Black Lives Matter un “movimento di odio anti-bianchi, anti-capitalisti e anti-ebrei ".

Il movimento American Black Lives Matter mira a rimediare ai torti perpetrati contro i cittadini afroamericani nel passato e nel presente. Il suo manifesto di 40.000 parole accusa Israele di aver perpetrato un genocidio contro i palestinesi, identifica Israele come uno "stato di apartheid" e si unisce al movimento BDS chiedendo il totale boicottaggio accademico, culturale ed economico del Paese. Non sono state fatte richieste simili per nessun altro Stato.

In un blog dell'Organizzazione Sionista d'America, anche Daniel Greenfield ha affrontato l'atteggiamento delle organizzazioni ebraiche scrivendo: “Si potrebbe pensare che l'odioso vandalismo contro otto istituzioni ebraiche e una folla che urla insulti dopo aver messo a soqquadro delle attività commerciali ebraiche, avrebbe generato una sorta di risposta significativa. Ma quello sarebbe il punto di vista ottimistico di persone che non hanno sperimentato il livello di assoluta codardia e arrendevolezza che coinvolge la vita istituzionale ebraica, praticamente ad ogni livello.”

Anche i palestinesi e i pro-palestinesi hanno approfittato delle sommosse. A.J. Caschetta ha scritto: “Quando George Floyd fu ucciso ... - lunedì 25 maggio - era inevitabile che la sua morte fosse manipolata dal movimento BDS. Il giorno successivo, il "gruppo di lavoro" sulla solidarietà tra BDS e Palestina dei Socialisti Democratici d'America, ha twittato che ‘la violenza della polizia che sta avvenendo stanotte a Minneapolis è copiata direttamente dal manuale dell'IDF ... I poliziotti statunitensi si allenano in Israele’.”

Il Guardian ha pubblicato un articolo del suo corrispondente Oliver Holmes con il titolo ‘Palestinian Lives Matter’. "La polizia israeliana che uccide un uomo autistico trova una corrispondenza negli Stati Uniti". L'articolo faceva riferimento all'uccisione di un palestinese disarmato da parte della polizia israeliana che lo aveva considerato erroneamente un terrorista. Ciò ha portato alle scuse da parte del Ministro della Difesa israeliano. Questa tragedia è stata pretestuosamente segnalata da attivisti palestinesi, israeliani e statunitensi come esempio di ciò che sostengono sia pura indifferenza per le vite di palestinesi e di neri, simile in Israele e negli Stati Uniti. " Adam Levick su Camera ha così reagito: "Holmes va oltre la semplice osservazione dei due incidenti, facendo avanzare narrazioni comuni tra antisionisti e antisemiti, che suggeriscono che il conflitto israelo-palestinese è uno scontro tra i" bianchi "razzisti (israeliani) e persone di colore oppresse.” Levick ha aggiunto che Holmes cita il giornalista israeliano, Gideon Levy, e lo definisce una delle voci anti-occupazione più importanti del Paese. Levick commenta: "Tuttavia, Levy non è semplicemente una voce “anti-occupazione”. È un anti-sionista che ha fortemente sostenuto che il sionismo è un’impresa intrinsecamente razzista - retorica considerata antisemita secondo la definizione operativa dell’ IHRA. Cioè, Levy è un ebreo israeliano usato da pubblicazioni di estrema sinistra come il Guardian, per legittimare opinioni odiose sullo Stato ebraico ".

Micha Danzic ha scritto sul Jewish Journal: "Immediatamente dopo la morte atroce di George Floyd, abbiamo visto immagini terribili postate sui social media anti-israeliani che cercavano di collegare Israele alla sua morte. Alcuni erano dei veri e propri falsi - come un'immagine pubblicata di un ufficiale di polizia cileno con il ginocchio sul collo di qualcuno - ma con una didascalia che lo etichettava come un soldato israeliano. Altri erano sotto forma di vignette che raffiguravano un soldato che ha sul braccio una stella di David, onnipresente, con il ginocchio sul collo di un arabo con kefiah, proprio accanto all'immagine di uno sbirro come Derek Chauvin [il poliziotto che ha ucciso Floyd] con il ginocchio sul collo di un afroamericano. ”

Il Museo Palestinese di Woodbridge, nel Connecticut, ha pubblicato un disegno dell'artista palestinese, Waleed Ayyoub, per onorare il ricordo di George Floyd ed esprimere la solidarietà palestinese con la comunità afroamericana nella loro lotta contro il razzismo e l'ingiustizia. Floyd è raffigurato con una kefiah sullo sfondo costituito dalla bandiera palestinese.

Anche in passato l'uccisione di una persona di colore da parte della polizia americana era stata sfruttata da provocatori neri anti-Israele. A.J Caschetta scrive che il parallelo tra neri americani e palestinesi fu introdotto quando "Ferguson nel Missouri divenne l’innesco per manifestazioni anti-polizia. Le rivolte scoppiarono dopo che l'agente di polizia di Ferguson, Darren Wilson, uccise l'afro-americano Michael Brown. Dopo la morte di Brown, il sito web ufficiale del movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele (BDS) aveva rilasciato una dichiarazione che esprimeva "profonda solidarietà con la comunità afroamericana a Ferguson, MO". Nel 2016, la professoressa universitaria, provocatrice anti-israeliana e attivista nera americana militante, Angela Davis, aveva usato l'omicidio di Michael Brown per lo stesso scopo. Ha pubblicato un libro di discorsi e interviste. Sebbene la maggior parte del libro affronti altri argomenti, lo ha intitolato: ‘La libertà è una Lotta Continua: Ferguson, Palestina e le basi di un Movimento’.

L'attuale grande dibattito e le manifestazioni anti-razziste rappresentano una sfida per le organizzazioni ebraiche. Devono seguire una linea sottile che corre tra l'identificazione con la lotta della comunità nera contro il razzismo - finché è pacifico - e l'esposizione dell'antisemitismo del movimento Black Lives Matter.


"Liberate i palestinesi". E l'islamico sequestra sei persone in banca
Roberto Vivaldelli - Gio, 06/08/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/so ... 81924.html

Un uomo già noto all'intelligence per sospetta radicalizzazione ha sequestrato alcuni ostaggi nella filiale di una banca a Le Havre, in Normandia. Ha precedenti penali e disturbi psichiatrici

Liberare i bambini palestinesi "ingiustamente imprigionati in Israele" e garantire "l'accesso dei palestinesi di età inferiore ai 40 anni alla spianata della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme": sono le richieste del sequestratore armato che nel pomeriggio ha preso in ostaggio sei persone nella sede dell'agenzia bancaria Bred-Banque Populaire, nel centro della città di Le Havre, in Normandia, importante porto sulla Manica.

Secondo quanto riporta l'agenzia Nova, intorno all'istituto di credito è stato creato un perimetro di sicurezza dalla polizia per convincere il sequestratore a liberare gli ostaggi. Secondo la polizia della città francese sono solo due gli ostaggi rimasti nelle mani del sequestratore fino a tarda serata: inizialmente gli ostaggi erano sei ma, secondo gli ultimi aggiornamenti, un uomo di 53 anni sarebbe riuscito a fuggire, mentre altre persone sono state rilasciate dall'uomo. Il sequestratore è un uomo noto alla polizia a causa di alcuni problemi psicologici.


Disturbi psichiatrici e sospetta radicalizzazione

L'identitò dell'uomo non è stata ancora resa nota. Come riporta Le Figaro, le motivazioni del sequestratore armato di pistola, tuttavia, rimangono poco chiare e confuse. L'uomo, di 34 anni, avrebbe dei precedenti penali, secondo quanto riportato dalla testata francese. È anche noto ai servizi di intelligence e probabilmente negli ultimi anni si è radicalizzato: soffrirebbe inoltre anche di gravi disturbi psichiatrici di tipo bipolare. La filiale della banca nella quale si è trincerato da oggi pomeriggio si trova vicino alla stazione di polizia della città situata nel nord della Francia, in Normandia. Tutte le forze di polizia della città sono mobilitate. È stato stabilito un perimetro di sicurezza tra il municipio e la prefettura. Il ministro dell'Interno Gèrald Darmanin ha commentato su Twitter la notizia e spiegando di seguire la situazione "con grande attenzione, in stretto contatto con il Prefetto e il Direttore generale della Polizia Nazionale". Una bella grana per il nuovo sindaco di Le Havre Edouard Philippe, l'ex primo ministro del presidente Emmanuel Macron, dimessosi lo scorso luglio.

In attesa che venga più o meno confermata la pista dell'estremismo islamico, va detto che per la Normandia non sarebbe affatto il primo atto criminale da parte di una persona radicalizzata. Nel luglio 2016 due uomini armati hanno preso in ostaggio un sacerdote e diversi fedeli all'interno di una chiesa vicino Rouen. Gli aggressori, in possesso di coltelli, hanno poi sgozzato il parroco, Jacques Hamel, 86 anni. In quell'occasione, lo Stato Islamico (Daesh) rivendicò l'attacco.



18,000 condivisioni di una fake news si prega di segnalare come una falsa notizia, questo è applicare l'antisemitismo, l'unica cosa in comune con una prigione israeliana è che sono tutti terroristi. Quelli non sono palestinesi, quelli sono terroristi dell'ISIS arrestati in Iraq molto tempo fa.
https://www.facebook.com/francesco.cesc ... 4827189409

Guillaume Savaete
3 ottobre 2019

Mondo di merda...
I prigionieri palestinesi nelle carcere israeliane vengono trattati come animali. I carnefici israeliani torturano ogni giorno questi prigionieri palestinesi e né le organizzazioni per i diritti umani né le Nazioni Unite denunciano tali abusi. La mia vita è la mia vita
(A Morgane)


DISINFORMAZIONE DI TGCOM24: LETTERA DI DEBORAH FAIT ALLA REDAZIONE
Deborah Fait
11 agosto 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8174765883


Gentili signori del Tgcom24,

Sulla vostra pagina internet che ha in oggetto l'elezione di una donna musulmana a capo della polizia di New York https://amp.tgcom24.mediaset.it/tgcom24 ... e/36600056, 8 agosto 2021, leggo con un senso di vero raccapriccio questa frase che copio esattamente come è stata scritta: "Filastine Srour è nata nel Bronx da immigrati palestinesi. I suoi genitori, infatti, provengono dal villaggio di Beit Nuba in Palestina, dove hanno vissuto prima di rifugiarsi nel campo profughi di Qalandia, vicino Gerusalemme, dopo aver lasciato il loro villaggio in seguito al genocidio del 1948." Sarei veramente grata a chi ha scritto il pezzo se mi spiegasse a quale genocidio allude.
L'Enciclopedia Treccani definisce genocidio: "la distruzione sistematica di un popolo, una stirpe, una razza o una comunità religiosa". A questo punto mi sento in dovere di precisare che chi parla di "genocidio dei palestinesi" commette un errore storico madornale, oltre che immorale, perché sarebbe l'unico caso al mondo di genocidio con aumento della popolazione "genocidiata". Nel 1948 gli abitanti arabi di Israele (che, prima del 47, si chiamava Protettorato Britannico di Palestina) erano dai 500 ai 600 mila. Nel 2005, e vi porto i dati pubblicati da Infopal, non da Israele, i palestinesi erano 10 milioni così distribuiti: 5 milioni nei vari paesi arabi (dove vivono segregati), 1.100.000 in Israele ( dove sono liberi cittadini con gli stessi diritti di tutti), 3.700.000 tra Ramallah e Gaza (dove vivono sotto feroci dittature). Oggi, 15 anni dopo tali statistiche, sono molti di più. A questo punto vi chiedo seriamente: di quale genocidio parlate nell'articolo in questione?
Dare notizie false e tendenziose va contro l'etica del vero giornalismo e diventa pettegolezzo. Sono stupita che le reti Mediaset arrivino così in basso. Rivedetevi la storia e provate a scrivere la verità non la propaganda.
Saluti
Deborah Fait
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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