Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:09 pm

Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:10 pm

A me, alla mia gente, al mio paese e all'umanità intera gli ebrei e Israele, nei millenni, non hanno mai fatto del male, anzi hanno fatto del bene e sono uno dei popoli e dei paesi più umani e civili della terra;
al contrario dei nazi maomettani con la loro idolatria terrificante e disumana e il il loro violento espansionismo politico religioso teocratico, tra cui i cosidetti impropriamente palestinesi con la loro incivile disumanità maomettana e antisemità.


Chi non ama e non rispetta gli ebrei e Israele è molto più disumano di che non ama e non rispetta gli animali.
Amare e rispettare gli ebrei e Israele che sono uno dei popoli e dei paesi più umani, civili e democratici della terra, è indice e garanzia di umanità, di civiltà e democraticità come null'altro al mondo.

Io sono veneto e non ho e non trovo alcuna ragione per non amare e rispettare gli ebrei e Israele che è il loro paese come il nostro è il Veneto.
Noi veneti abbiamo avuto secoli di esperienza con gli ebrei e abbiamo potuto verificare personalmente e quotidianamente che sono tra gli uomini e i popoli più umani e civili della terra, lo sono stati anche come operatori economici e banchieri, prima come non cittadini segregati nei ghetti e poi come liberi cittadini in mezzo a noi.
Noi veneti non abbiamo memoria alcuna che gli ebrei ci abbiano mai fatto in qualche modo del male come invece ci hanno fatto abbondantemente molti altri tra cui i cristiani, gli zingari e i nazi maomettani:

gli ebrei non ci hanno mai aggredito militarmente;
non ci hanno mai ostacolato politicamente e come tanti altri veneti hanno appoggiato le istanze di evoluzione democratica;
non ci hanno mai derubato e imbrogliato come singoli e come banchieri, non hanno mai praticato tassi di usura come quelli dei banchieri cristiani;
mai nessun ebreo ci ha rapinato, truffato, stuprato, schiavizzato, ucciso, ..., non si trova alcuna traccia in tal senso, nelle cronache giudiziarie delle nostre città.

I cristiani che si scagliano contro gli ebrei per la loro ragionevole religione e che invece solidarizzano con i nazi maomettani e la loro idotratia islamica dell'orrore e del terrore che ha seminato e semina ogni giorno morte in tutto il mondo non si accorgono che in tal modo fanno un gran male a se stessi e a tutta l'umanità.
Così è anche per coloro che si scagliano contro Israele e appoggiano i nazi maomettani palestinesi, siriani, libanesi, iraniani, ... e tutti coloro che vivono in Europa e in America, che assediano e aggrediscono quotidianamente Israele, gli israeliani e gli ebrei dei mondo che desiderano solo poter vivere in pace al loro paese e altrove nel mondo come lo desidera ogni buon uomo della terra.

Israele è un dei pochi paesi/stati al mondo che non ha mai fatto guerre imperialiste di espansione, coloniali e predatorie ma solo guerre per legittima difesa dall'aggressione dei vicini nazi maomettani che vorrebbero la sua distruzione.

Israele non ha nulla contro i veneti e il Veneto e nemmeno avrebbe da ridire se i veneti esprimessero a maggioranza una volontà d'indipendenza visibile al mondo; non mi è mai capitato di sentire qualche ebreo israeliano che si esprimesse contro i veneti e il loro desiderio minoritario di indipendenza dallo stato italiano; il fatto è che la volontà indipendentista è talmente minoritaria che non può essere presa in considerazione da Israele come da qualsiasi altro stato del mondo.
Che poi vi siano degli ebrei italiani che allo stesso modo di tanti veneti italiani e cristiani italiani siano contro l'indipendenza dei veneti questo è vero come è vero che vi sono ebrei italiani, cristiani italiani e veneti che sono contro Israele e che demenzialmente sostengono i nazi maomettani palestinesi, siriani e iraniani.

Per me gli ebrei e Israele in Medio oriente sono il bene e i nazi maomettani palestinesi, siriani, giordani, iraniani, iracheni, egiziani, ..., che vorrebbero distruggere Israele e sterminare gli ebrei e, perseguitare-cacciare o uccidere ogni diversamente religioso e pensante sono il male, il male assoluto.
Per me difendere Israele i suoi ebrei equivale a difendere i valori/i doveri/i diritti umani universali, la cultura e la civiltà del rispetto per la diversità, dell'amore per la libertà e la responsabilità umane, della vita.

Cosa vi è di più assurdo della demenza dei cristiani che odiano gli ebrei e Israele che a loro fanno unicamente del bene e che amano i nazi maomettani che invece li perseguitano e uccidono in tutti i paesi a dominio islamico e anche in Occidente dove predominano i cristiani?

Amare e rispettare gli ebrei e Israele è una gioia, una necessità, un dovere, fondamento di umanità, di civiltà e di libertà
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https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 1981597548
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:10 pm

Guida alle principali bugie su Israele

http://veromedioriente.altervista.org/b ... sraele.htm

<< Lo strumento privilegiato dei detrattori di Israele è la propagazione di affermazioni assurde e prive di fondamento, nella speranza che diventino verità convenzionali. >>

Premessa: sugli ebrei e su Israele esiste una imponente disinformazione che cresce di continuo, il tutto volto a metterli in cattiva luce. I risultati sono che i fatti vengono stravolti, la storia viene riscritta, i media ed internet rendono una idea falsa di Israele, degli ebrei e della questione palestinese.

Chi c'è dietro tutto questo? Principalmente persone disinformate che continuano a ripetete a pappagallo quello che antisemiti, ciarlatani, neonazisti ed estremisti islamici vanno affermando: così facendo si è diffusa una disinformazione assurda, tale che se la gente andasse a ricercare informazioni in merito difficilmente troverebbe qualcosa di corretto, anche perché questa disinformazione è purtroppo arrivata anche in media apparentemente seri.

L'obbiettivo di chi mette in giro falsità del genere è quello di delegittimare Israele non potendolo attaccare diversamente: è il nuovo fronte dell’antisemitismo.


I miti più diffusi su Israele e sui palestinesi spiegati in breve

Le 12 principali bugie su Israele

La bufala dell’apartheid in Israele
In Israele c’è l’apartheid verso gli arabi?
Israele sta attuando un genocidio contro i palestinesi?
Israele fu responsabile per il massacro di profughi palestinesi a Sabra e Shatila?
Israele ha utilizzato bombe al fosforo contro i palestinesi nell'operazione Piombo Fuso?
Sono vere le mappe che dimostrano l'espansione territoriale da parte di Israele?
I sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi?
Gli insediamenti israeliani sono illegali? Le colonie stanno rubando terra ai palestinesi?
La falsità che il sionismo sia una forma di razzismo
Suscitare l’odio contro Israele per mezzo delle false citazioni
La maggior parte dei palestinesi è originaria della Palestina?
Le bugie su Gerusalemme e su Gesù contro Israele
La cultura della menzogna contro Israele nel mondo arabo
Rapporto Amnesty: mai cosi mendace e fazioso contro Israele
Come manipolare le risoluzioni dell'ONU contro Israele
I palestinesi ricevono solo un quarto dell’acqua pro capite di quella che riceve Israele?
Il Sionismo è imperialista?
Gli insediamenti Israeliani sono illegittimi?
10 diffuse bugie su Israele


Altre 10 bugie diffuse su Israele

Quel paragone osceno tra Shoah e questione palestinese
La calunnia dell'acqua contro Israele
Espressioni usate per manipolare la verità su Israele e palestinesi
Parlare bene di Israele non basta, è necessario lottare contro la disinformazione

Perché il mondo appoggia le bugie su Gerusalemme?

Si raccomanda inoltre di visitare la sezione "Miti e fatti sul conflitto arabo-israeliano" che contiene ulteriori argomenti di questo tipo

Quell’impalpabile confine fra critica e istigazione all’odio, sicuramente scavalcato dalle menzogne. C’è qualcosa di spaventoso nella facilità con cui si dà credito ad ogni accusa contro Israele (e non alle sue smentite); c’è qualcosa di agghiacciante nell’insostenibile leggerezza con cui si trasforma Israele in un mostro.

Le lampanti menzogne contro Israele non rientrano nei limiti della critica legittima, e costituiscono invece una pura e semplice istigazione all’odio. Quando Israele viene continuamente accusato di commettere un genocidio contro i palestinesi, questa non è critica, bensì una “calunnia del sangue” (sullo stile di quelle medioevali che accusavano gli ebrei di infanticidi rituali, avvelenamento dei pozzi e cose di questo genere). Quando Israele viene continuamente accusato di essere l’erede di Hitler, o quando le Forze di Difesa israeliane vengono definite “naziste” per la morte di due palestinesi durante una manifestazione violenta, questa non è critica: è antisemitismo.

I tumulti e le angherie del sanguinoso pogrom della Kristallnacht, la Notte dei Cristalli del novembre 1938, non furono l’effetto di critiche contro i comportamenti degli ebrei: furono il frutto di istigazione all’odio basato su una montagna di ingiurie e menzogne. Una parte significativa degli attentati terroristici, tra cui probabilmente quello di Bruxelles, sono il risultato di un analogo lavaggio del cervello che trasforma i “nemici” in veri e propri rappresentanti di Satana, espressioni del Male assoluto.



Le verità sul medio oriente oltre la propaganda antisemita

http://veromedioriente.altervista.org


Idiozie e odio contro Israele e gli ebrei
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:11 pm

Il vittimismo palestinese e le bugie su Israele. I fatti
L'intraprendente - Alessandro Bertoldi
27 febbraio 2015

http://www.lintraprendente.it/2015/02/i ... le-i-fatti

Israele“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità.” È questa la frase più celebre del ministro nazista per la propaganda Joseph Goebbels, un insegnamento che alla fine è risultato essere una delle più note lezioni di quella storia che non si deve ripetere. Non sono pochi i politici e i regimi che nel ‘900 parrebbe si siano ispirati a questa sua massima per condurre le loro campagne politiche, così anche la strategia comunicativa dei palestinesi pare ispirarsi proprio a quella del gerarca nazista.
Non casualmente visto gli storici legami, infatti negli anni ’30 il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al Husseini, capo spirituale dei mussulmani palestinesi, e il leader nazista Adolf Hitler si incontravano per confrontarsi e scambiarsi sostegno reciproco. Vittimismo, retorica e menzogna sono stati la base su cui i “poveri” palestinesi e i loro strenui difensori hanno costruito un castello di balle, fragile quanto solido e ben noto al grande pubblico.

Fortunatamente esiste però ancora chi si prende la briga di confutare tutte le menzogne che da decenni vengono diffuse sul conflitto israelo-palestinese, sulle condizioni dei palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania ed in particolare contro Israele. È infatti un noto giornalista israeliano storico-scientifico, ad occuparsi da anni di ricercare la semplice verità, dati alla mano, sulla realtà di Israele e Palestina, ma anche su quanto viene detto dai protagonisti delle due realtà e dai loro supporters sparsi nel mondo. Ben-Dror Yemini, è il giornalista israeliano di origini yemenite che sta girando il mondo per raccontare la verità, consentendo a chi lo ascolta di farsi un’idea senza basarsi sui pregiudizi o sui preconcetti. Yemini ha da poco ha fatto tappa in Italia per alcune presentazioni dei suoi dossier, nei quali cita le fonti di ogni sua affermazione e menzione con maniacale precisione, così che quel che dice sia verificabile e inconfutabile.

Qual è la verità snocciolata in dati sulle condizioni dei palestinesi e sul conflitto israelo-palestinese? Lui ce l’ha in tasca. In questi anni abbiamo sentito dire che il conflitto israelo-palestinese è la maggiore causa di violenza nel mondo, che l’oppressione del popolo palestinese da parte di Israele è un dato certo di una violenza sconvolgente, che Gaza è una prigione a cielo aperto o addirittura un lager, che Hamas si occupa di difendere il suo popolo, che è necessario continuare a finanziare e sostenere in ogni forma la resistenza palestinese e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina affinché si possano liberare dall’invasione israeliana fondando uno Stato, che per farlo hanno bisogno di avere i territori “occupati” o addirittura tutto il territorio dell’ex mandato britannico. Abbiamo sentito dire che hanno ragione a voler distruggere Israele perché loro erano lì prima e la fine dell’unico Paese solido, stabile e democratico del Medio oriente sarebbe l’unica soluzione al conflitto.

Bansky - Muro israelianoNiente di più falso, propagandistico e fazioso di quanto ho riportato sopra ma, come sappiamo, ripetere continuamente qualsiasi menzogna rischia di farla divenire verità. La chiave di lettura dello schema che tiene in piedi il “giochetto” politico, diplomatico e mediatico palestinese probabilmente è la questione dei “rifugiati” palestinesi. La scusa umanitaria di ogni scellerata scelta politica dei loro rappresentanti. Il termine “rifugiato” è nato durante il primo esodo palestinese, la cosiddetta “Nakba“, la “catastrofe”, l’inizio del conflitto che ha portato all’esodo degli arabi locali, i palestinesi, da quello che è divenuto lo Stato ebraico. L’organizzazione delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA), definisce “rifugiato palestinese” una persona “il cui normale luogo di residenza è stata in Palestina tra il giugno 1946 e maggio 1948, che ha perso sia l’abitazione che i mezzi di sussistenza a causa della guerra arabo-israeliana del 1948”. La questione della liquidazione dei rifugiati è spesso citata come un potenziale accordo per i negoziati di pace israelo-palestinesi.

La definizione di rifugiato dell’UNRWA copre anche i discendenti delle persone divenute profughi nel 1948 indipendentemente dalla loro residenza nei campi profughi palestinesi o in comunità permanenti. Si tratta di una grande eccezione alla normale definizione di rifugiato. In base a questa definizione, il numero di profughi palestinesi per l’ONU è passata da 711.000 nel 1950 a oltre 4 milioni di iscritti nel 2002, divenuti oggi oltre 5 milioni. La vicenda dei “rifugiati” palestinesi risulta così essere più unica che rara, anomala quanto strumentale al gioco dei terroristi di Hamas, di Hezbollah e dell’Olp. Dal 1913 al 1995 i rifugiati nel mondo sono stati 52 milioni, nessuno di loro è più tale, tranne i palestinesi.

Fu in realtà proprio il presidente della Palestina Abu Mazen a dire più volte negli scorsi anni che “la maggior parte dei palestinesi vive una vita normale”, la domanda sorge spontanea allora, come mai sono il popolo che ha ricevuto più aiuti economico-umanitari procapite nella storia di sempre? La risposta è semplice: in qualche modo l’apparato dell’Olp e quello militare terroristico di Hamas devono tirare avanti. Stesse motivazioni per le quali le l’Autorità palestinese non ha mai accettato proposte di risoluzione del conflitto, anche quando queste favorivano più i palestinesi degli israeliani, come nel caso della proposta Olmert, del Clinton plane o di Oslo, quando addirittura il principe saudita ambasciatore negli Usa disse che se Arafat avesse rifiutato sarebbe stato un criminale, “atto criminale” che ha ovviamente commesso. Pertanto tutti i palestinesi continueranno a vivere ancora per anni in quello che è considerato universalmente uno status d’emergenza temporaneo. Ripeto, questa forma di tutela non è mai stata data in questi termini e per tutto questo tempo a nessun altro nella storia dell’umanità. Ma facciamo un passo indietro, cosa successe 1948? Il 14 maggio nacque lo Stato d’Israele, che venne riconosciuto da quasi tutti i paesi del mondo, fatta eccezione che per tutti i paesi arabi, furono infatti gli arabi confinanti ad invadere Israele il giorno successivo la sua nascita. Il risultato di quella che divenne la guerra d’indipendenza d’Israele fu la vittoria d’Israele, nonché, 850.000 profughi (ebrei) israeliani, un numero superiore di quasi 150.000 persone rispetto a quelli palestinesi. Nonostante questi numeri oggi nessun ebreo o cittadino israeliano è più un profugo, mentre i palestinesi lo sono tutti. Ma vediamo come vivono oggi realmente i palestinesi: la loro aspettativa di vita è di 74-75 anni, notevolmente più alta della media globale che si ferma a 68 e più alta anche di paesi come la Russia e l’Egitto che si fermano mediamente a 70 anni. La mortalità infantile è la più bassa del Medio Oriente, con un’incidenza del 13 per mille che diminuisce ogni anno. Passiamo all’istruzione, settore nel quale i palestinesi raggiungono addirittura dei record, avendo il più alto tasso di laureati del mondo arabo, il 49% della popolazione scolarizzata e il 95% di loro sono alfabetizzati. Se questi sono i risultati della violenta Bandiere Israele-Palestinaoccupazione israeliana c’è solo da sperare che Israele occupi tutto il Medio oriente e oltre. Una cosa è vera rispetto a tutte le accuse, questi dati d’eccellenza per il mondo arabo i palestinesi non li hanno sicuramente ottenuti grazie a se stessi, ma piuttosto grazie ad Israele, che continua, nonostante la loro morosità, a fornire gratuitamente loro acqua, elettricità, cibo e risorse di ogni sorta.

Quantifichiamo la violenza del conflitto israelo-palestinese, di cui sentiamo parlare costantemente, questa che percentuale rappresenta rispetto alla violenza nel mondo? Lo zero virgola qualcosa percento. Mentre la jihad islamica mondiale può vantare un 29%. L’ultimo dato che ci tengo a fornirvi è il seguente, Hamas, il braccio armato della lotta palestinese contro Israele, riporta ancora nel suo statuto come obiettivo la distruzione dello Stato ebraico e l’eliminazione degli ebrei dalla zona e non è soltanto un’organizzazione palestinese di resistenza anti-israeliana, come vogliono farci credere alcuni, ma si considera ed è considerata parte della jihad, la guerra santa dell’islam. Mi auguro che con questi dati abbiate almeno un po’ di strumenti in più per smentire e combattere le tantissime menzogne che ogni giorno vengono diffuse contro Israele, perché difendere Israele è un dovere di ognuno di noi, se cadrà Israele cadrà l’Occidente intero.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:12 pm

Stampa e Israele: disinformazione “corretta”. Calunnia, calunnia... ... qualcosa resterà
Ber Magazine Mosaico
di Nathan Greppi
2 Giugno 2018
http://www.mosaico-cem.it/attualita-e-n ... sa-restera

Perché i media italiani “odiano” Israele? Ecco voci e testimonianze di un fenomeno diffuso. È dopo la Guerra dei Sei giorni che lo Stato ebraico perde la simpatia occidentale. Poiché ha osato vincere. E vivere

È ormai un dato di fatto: i maggiori media italiani hanno sempre provato un certo astio verso Israele, soprattutto quelli di sinistra. O meglio, una data di nascita per questo sentimento c’è: giugno 1967, all’indomani della vittoriosa Guerra dei Sei Giorni. Israele osa vincere e vivere, umilia gli eserciti arabi (e la loro alleata, la Russia). E così, da un giorno all’altro, la musica cambia: l’Unità, organo del Partito Comunista Italiano, rinnega le simpatie sino ad allora manifestate verso il piccolo Stato degli ebrei e inizia la sua campagna antisionista, come ben documenta il saggio di Luciano Tas Cartina rossa del Medioriente. Ma oggi, come si manifesta questo sentimento di ostilità, che dovrebbe essere incompatibile con una informazione oggettiva e corretta? E quali sono le sue cause? Lo abbiamo chiesto ai testimoni diretti dal fronte della stampa, giornalisti italiani che hanno respirato per anni l’aria delle Redazioni Esteri di casa nostra.
Vi ricordate il caso Al Dura, quello del video in cui compariva un dodicenne palestinese presumibilmente ucciso dai soldati dell’IDF a Gaza? Dopo che il canale televisivo France 2, nel 2000, aveva messo in onda il video, questo fece subito il giro del mondo, facendo del piccolo Muhammad Al Dura un simbolo, tanto che in molti Paesi islamici gli dedicarono strade e francobolli. Se non che, quattro anni dopo, il giornalista francese Philippe Karsenty dimostrò che il video era un falso, ma dovette prima affrontare un processo per diffamazione conclusosi solo nel 2008. E chi si ricorda di quando a Ramallah, il 12 ottobre 2000, due miluim, soldati israeliani della riserva, con l’unica colpa di aver sbagliato strada, vennero linciati da una folla inferocita? In quell’occasione una troupe di Mediaset filmò tutto, e il cameraman palestinese, minacciato di morte, fu espatriato in Giordania la notte stessa. Mentre il corrispondente della RAI, Riccardo Cristiano, si era precipitato a scrivere all’ANP che “lui non aveva filmato il linciaggio”, fedele alle regole d’ingaggio palestinesi.


La manipolazione, Un automatismo

Non sono, questi, casi isolati: nei maggiori media italiani, specialmente quelli di sinistra, è molto comune imbattersi in manifestazioni di astio, manipolazioni della realtà più o meno sottili e subdole, omissioni e veleni nei confronti dello Stato ebraico. Chi lo ha sperimentato in prima persona, ed è disposta a raccontarlo, è Lucia Ferrari, ex-vicecaporedattore di Tg3 RAI, oggi free lance, la quale ha avuto una carriera lunga e intensa. Giornalista dal 1986, negli anni ha visitato molti Paesi: dall’Iraq della guerra del Golfo, alla guerra dei Balcani, in Bosnia; dall’Etiopia alla Costa d’Avorio, portando avanti i suoi ultimi reportage in Sierra Leone. Ma nel corso di questa carriera, che ha concluso nel 2016 quando è andata in pensione, ha assistito a numerosi atti di disinformazione sistematica, attuata nei modi peggiori e a scopi ideologici, sul conflitto israelo-palestinese.
«Nelle redazioni dove ho lavorato ho constatato di persona un atteggiamento prevalentemente anti-israeliano – dichiara Lucia Ferrari a Bet Magazine-Bollettino. – Nella maggioranza dei casi i colleghi si definivano ‘di sinistra’, e io non ho mai colto posizioni obiettive verso Israele. Ad esempio, in occasione della Seconda Intifada, ho cominciato ad accorgermi di pregiudizi antisraeliani che coincidevano con l’antisemitismo: quando scrivevo il breve testo di lancio di un servizio che il conduttore doveva leggere, e indicavo il numero delle vittime sia israeliane sia palestinesi fornito dalle agenzie di stampa, il numero delle vittime palestinesi veniva aumentato, in diretta, durante la messa in onda del telegiornale. E quando eravamo in onda non potevo più intervenire. Alla fine del Tg chiedevo al conduttore o alla conduttrice perché avessero cambiato la cifra e rispondevano: ‘eh, perché quello che ci dai, anche se lo prendi dalle agenzie, è tutto di parte’. Per loro, agenzie come ANSA o Reuters, per esempio, erano di parte filo-occidentale, filo-israeliana, filo-americana. Da quel momento, – racconta Ferrari – con il passare degli anni, da così grossolana la propaganda si è fatta sempre più subdola, fino ad arrivare a capovolgere la regola delle “cinque W”, alla base del giornalismo occidentale. Dopo la Seconda Intifada mi sono accorta che la disinformazione è diventata un modo di fare costante. Si negano le cause e viene modificata la storia. Anche durante l’Operazione Piombo Fuso si è sempre preferita l’espressione “attacco militare” piuttosto che “risposta militare”».

Lucia Ferrari aggiunge che «in tanti anni di riunioni di redazione riguardo a Israele e alla questione palestinese, ho sempre detto le mie opinioni, ma sono sempre stata in minoranza. E il taglio dei pezzi veniva realizzato così come la direzione desiderava. La battuta che mi è stata rivolta spesso negli ultimi anni è stata “meglio il velo delle divise”; mi hanno dato della fascista, della conservatrice, a me che vengo da tradizioni culturali di sinistra; a me che non appartengo a nessuna congrega, a nessuna confessione religiosa, a nessun partito politico», conclude Ferrari.
Tuttavia, oltre ai casi di disinformazione più o meno velata da lei descritti, ne esistono anche di più espliciti: la rivista Internazionale, ad esempio, nel maggio 2017 ha pubblicato un articolo del filosofo sloveno Slavoj Zizek, il quale insinuava che l’antisemitismo di oggi fosse causato dal Sionismo e dall’esistenza di Israele. La stessa rivista, alla fine del 2017, ha dedicato un intero numero a storie sulla Palestina. Un caso analogo è quello di Radio Popolare, che nel febbraio 2016 accusò Israele di essere un regime di apartheid che “ruba l’acqua ai palestinesi”. Ma come ha avuto origine tutto questo? Se guardiamo a come la stampa parlava di Israele pochi decenni fa, ci accorgiamo che sono cambiate molte cose. Oggi pochi potrebbero credere che, nel febbraio 1948, L’Unità accusò il Gran Muftì di Gerusalemme di voler massacrare gli ebrei. All’epoca la sinistra sosteneva Israele perché era ciò che voleva l’URSS. Una posizione che ha cominciato a vacillare dopo la Guerra dei Sei Giorni, in seguito alla quale Israele venne sempre più dipinto come “un’entità colonialista”.


La Sindrome dell’American Colony

Ferrari non è l’unica persona ad aver assistito a una tale avversione e a manifestazioni di pregiudizio anti-israeliano da parte di giornalisti italiani: lo sa bene anche Daniele Moro, per anni inviato di guerra del TG 5, caporedattore della testata e collaboratore di Terra!, oggi docente alla Johns Hopkins University, il quale racconta a Bet Magazine le radici del fenomeno, e in particolare quella che lui chiama “Sindrome dell’American Colony”: «L’American Colony, – spiega – è un albergo, ma anche un’istituzione. È a Gerusalemme Est, ed è da sempre il luogo dove i media internazionali fanno base quando “coprono” il Medio Oriente. Idem per il personale delle Agenzie dell’ONU che hanno gli uffici nelle vicinanze. È in “territorio occupato”, e tu dormi dalla parte dei palestinesi. È considerato un luogo neutro, ma tradizionalmente tutto il personale è palestinese. Il condizionamento ambientale è una cosa di cui gli israeliani non hanno mai capito l’importanza, e all’American Colony questo condizionamento è clamoroso, perché se tu vuoi sapere qualcosa devi andare lì, perché lì ci stanno tutti i giornalisti, lì arrivano tutte le notizie. È un luogo molto protettivo, ti trattano bene, ma è chiaro che se tu fai un servizio giornalistico scrivendo dalla terrazza dell’American Colony non lo fai “contro” i palestinesi, perché altrimenti corri dei rischi».

Parlando delle sue esperienze personali, Moro ha raccontato un fatto avvenuto dieci anni fa, legato al programma televisivo Terra!: «C’era una puntata su Israele, per cui mi mandarono a fare un servizio, ma poi durante il montaggio ho scoperto che mi usavano per giustificare altri quattro servizi filopalestinesi; divenni la foglia di fico della redazione. Loro pensavano che io fossi “il filoisraeliano”, mentre io cercavo solo di essere obiettivo, di fare un lavoro professionale e serio».
Un altro caso, più recente, di disinformazione legato a Mediaset riguarda il programma Le Iene che, il 4 aprile di quest’anno, mostrava le reazioni dell’esercito israeliano alle manifestazioni a Gaza, senza spiegarne minimamente il contesto, e tacendo sulla violenza di Hamas. Altro esempio legato al mondo della televisione riguarda il programma La Gabbia su La7, dove, nel giugno 2016, il giornalista Giulietto Chiesa accusò Israele di finanziare l’Isis, oltre a definirlo, assieme a Turchia e Arabia Saudita, «tre Stati canaglia a cui bisogna tagliare le unghie». Una dichiarazione, la sua, alla quale non aveva ribattuto né il conduttore Gianluigi Paragone né il pubblico in sala.
Tuttavia, secondo Moro, negli ultimi anni ci sono stati anche esempi di buona informazione, dovuti a una presenza massiccia di italiani nello Stato ebraico: «La comunità italiana in Israele si è distinta per aver fatto sentire la propria voce. Sui social network, attraverso lettere ai giornali o interventi nei blog degli opinionisti, migliaia di ebrei italiani che oggi vivono in Israele hanno espresso la loro opinione e raccontato la realtà dei fatti, il che ha scombussolato i filopalestinesi». «Noi italiani siamo “razzisti alla rovescia” – conclude Moro – per cui, dato che gli israeliani sono “occidentali” e gli arabi ‘poveretti’, allora simpatizziamo per i palestinesi. Nella sinistra si pensa che se sostieni Israele sei automaticamente “di destra”, ed è un pregiudizio difficile da scalfire».


La Shirley Temple Palestinese

Un chiaro esempio di buona informazione proviene proprio da La7, e riguarda il caporedattore Silvia Brasca, la quale si è occupata della storia di Ahed Tamimi, la “Shirley Temple palestinese”, protagonista di tante provocazioni e sceneggiate davanti ai soldati israeliani. «Nel suo caso,- spiega – sono andata a cercare, e ho visto che compariva più volte in altri video, sin da quando era bambina. Ora ha 17 anni, è stata processata da un tribunale israeliano; si può discutere se la sentenza sia giusta o meno, ma per capire vanno approfondite la sua storia e quella della sua famiglia.

Lei è figlia di un clan, il più importante nel suo villaggio, ed è una famiglia di persone con atteggiamenti violenti nei confronti di Israele, di filo-terrorismo, che i suoi genitori non hanno mai sconfessato. Inoltre, noi siamo abituati a immaginarci il ragazzo palestinese con la keffiyah; lei invece è una ragazza di pelle chiara con i capelli biondi, che cattura l’attenzione, un’immagine che si presta bene per la pubblicità, con una forza di comunicazione molto accesa. Ovviamente Amnesty e Human Rights Watch la dipingono come un’eroina, emblema di una protesta pacifica. Ma questa storia va raccontata bene, non c’è niente di pacifico nelle loro proteste. Uno dei suoi parenti ha postato, sul suo profilo Facebook, calunnie contro Israele, come quella di asportare organi di palestinesi, derivante dall’accusa medievale del sangue».

Ma ci sono casi dove l’astio non proviene solo dai giornalisti, ma anche dal pubblico; a testimoniarlo è l’avvocato Barbara Pontecorvo, che dal luglio 2017 al febbraio 2018 ha curato un blog sul sito de Il Fatto Quotidiano. Una collaborazione nata «in seguito a un articolo di Gianluca Ferrara, oggi senatore del Movimento 5 Stelle, che parlava di ‘Shoah dei palestinesi’. Dato che avevo recentemente partecipato al programma Matrix con Peter Gomez e gli avevo detto che ero indignata per quell’articolo, dopo esserci scontrati lui mi propose di avere un mio blog. Ci riflettei a lungo, e dopo un po’ accettai. Sul primo articolo ricevetti 480 commenti, quasi tutti di odio, all’ultimo 270. Ma poi mi sono arrivate minacce dirette, pesanti. Alla fine ho chiuso il blog, anche se sono rimasta in buoni rapporti con la redazione, che mi ha detto che potrei tornare se lo volessi».
Barbara Pontecorvo ha aggiunto che, prima del diverbio con Gomez, ne aveva avuti altri con giornalisti del Fatto: nel gennaio 2017 aveva partecipato a una conferenza al Teatro Farnese di Roma, dove «mi scontrai con un giornalista del Fatto, Stefano Citati. Avevo chiesto di partecipare perché il panel era troppo squilibrato, ma nonostante fossi tra i quattro relatori, non mi hanno mai interpellata».

Ma allora, quali sono i media che non sono prevenuti, vittime di pregiudizi antisionisti o altro? Secondo Ugo Volli, oltre a significative eccezioni come Il Foglio e Il Giornale, nei maggiori media italiani esistono anche singoli opinionisti che esprimono idee diverse (come Pierluigi Battista sul Corriere della Sera e Maurizio Molinari su La Stampa). Come abbiamo visto, dunque, è dopo il ’67 che è cambiato radicalmente il modo in cui una parte della sinistra racconta Israele, al quale non viene perdonato il fatto di esser riuscito a sopravvivere. In questo contesto, assumono valore le parole del giornalista israeliano Ben-Dror Yemini, pubblicate su Yediot Ahronoth in occasione dei 50 anni della Guerra dei Sei Giorni: «Dobbiamo ricordare una cosa: l’alternativa alla vittoria era l’annientamento. Perciò, scusateci se abbiamo vinto. Poiché un’occupazione senza annientamento è preferibile a un annientamento senza occupazione».
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:20 pm

La sventurata profezia di Morris “Entro 50 anni in Israele domineranno di sicuro gli arabi”
18 gennaio 2019
(Haaretz)

http://www.italiaisraeletoday.it/la-sua ... BU6uSwTCGo

Chi è Benny Morris? È uno storico israeliano, uno dei più influenti rappresentanti dei Nuovi Storici post-sionisti, un gruppo di ricercatori universitari che ha rimesso in discussione alcune visioni dei conflitti arabo-israeliani, specialmente quello del 1948 susseguente all’autoproclamazione d’indipendenza dello Stato d’Israele. È docente di storia al dipartimento di Studi Medio-orientali della Università Ben Gurion del Negev a Be’er Sheva, Israele. Riportiamo la sua analisi, la sua sventurata profezia su Israele pubblicata da Haaretz

“Israele non puó durare, gli arabi sono destinati a vincere”. Così Benny Morris, storico israeliano di fama. “Questo posto declinerà come uno stato mediorientale con una maggioranza araba. La violenza tra le diverse popolazioni, all’interno dello stato, aumenterà. Gli arabi chiederanno il ritorno dei rifugiati. Gli ebrei rimarranno una piccola minoranza all’interno di un vasto mare arabo di palestinesi, una minoranza perseguitata o massacrata, come lo erano quando vivevano nei paesi arabi. Quelli tra gli ebrei che possono, fuggiranno in America e in Occidente. I palestinesi guardano tutto da una prospettiva ampia, a lungo termine. Vedono che al momento ci sono cinque-sei-sette milioni di ebrei qui, circondati da centinaia di milioni di arabi. Non hanno motivo di arrendersi, perché lo stato ebraico non può durare. Sono destinati a vincere. Tra 30 o 50 anni ci supereranno”.



https://it.wikipedia.org/wiki/Benny_Morris

Obiettore di coscienza
Nel 1988, aumenta la propria notorietà rifiutando di effettuare il suo periodo di riserva nei Territori Occupati ed è conseguentemente incarcerato per 3 settimane. È il 39º refuznik (obiettore di coscienza) israeliano. Ha già servito con reticenza nel 1982, in occasione della guerra del Libano e una prima volta nei Territori Occupati nel 1986, ma la prima intifada non era ancora stata proclamata a quell'epoca.

La Nuova Storiografia israeliana
All'uscita dalla prigione e a seguito delle reazioni suscitate dalla sua opera, egli inventa il termine di Nuova storiografia per identificare gli storici che sono impegnati a indagare documentariamente sulla storia delle origini d'Israele, non contentandosi più delle dichiarazioni orali, inevitabilmente di parte, dei protagonisti delle vicende. Come lui, in questa corrente s'identificano Avi Shlaim e Ilan Pappé. Questi ultimi sono attaccati con virulenza dai compatrioti e da molti ebrei della Diaspora, accusati di antisionismo e di metodi paragonati, con intenti evidentemente diffamatori, addirittura a quelli dei negazionisti.

Il licenziamento dal Jerusalem Post
Nel 1990, quando il Jerusalem Post è acquistato da Conrad Black, che cambia la sua tradizionale linea editoriale per farne il portavoce del Likud, Benny Morris fa parte "dei 35 giornalisti di sinistra" che sono licenziati.
Fra il 1990 e il 1995, vive in condizioni precarie come storico freelance. Per guadagnarsi la vita, pubblica nuovi libri: 1948 and After: Israel and the Palestinians (1990), Israel's Secret Wars (1991), The Roots of Appeasement (1992), Israel's Border Wars (1993).


La versione di Benny Morris
Mosaico
Laura Brazzo
25 Maggio 2011

http://www.mosaico-cem.it/cultura-e-soc ... nny-morris

Certe volte la storia è propria buffa: colui che per anni, per via delle sue ricerche, è stato accusato di voler distruggere uno dei miti fondativi dello Stato di Israele, di screditare il suo paese agli occhi del mondo, è colui che oggi, proprio alla luce di quelle ricerche, si ritrova davanti alla platea internazionale a difendere il suo paese dalle accuse del leader palestinese Abu Mazen.

Abu Mazen, Mahmoud Abbas, il 16 maggio ha chiuso le celebrazioni della Naqba palestinese, con un articolo sul New York Times dal titolo “The Long Overdue Palestinian State”, la lunga attesa dello stato palestinese. In esso oltre a fornire la “sua” versione dei fatti del 1947-1948, Abbas attribuisce ad Israele la responsabilità del fallimento, in questi anni, dei negoziati di pace (“abbiamo negoziato con lo stato di Israele per venti anni senza arrivare nemmeno vicino alla creazione di un nostro stato autonomo”).

Benny Morris, uno dei maggiori studiosi israeliani delle vicende del 1948 e della questione dei rifugiati palestinesi, ha pensato di dover rispondere in qualche modo alla ricostruzione dei fatti proposta da Abbas. Così, è intervenuto sulla rivista americana The National Interest.com, per rimettere a posto le cose, o, se non altro per dare ai lettori anche la “sua” versione dei fatti, così come ha potuto ricostruirla sulla base dei documenti d’archivio israeliani. Un intervento, peraltro sollecitato anche da un commento dell’editorialista di The National Interest, Paul Pillar, il quale ha definito l’articolo di Abu Mazen sul New York Times, meritevole di essere letto in quanto “parla di alcune delle più importanti verità di questo conflitto”. Secondo Benny Morris la versione di Abu Mazen merita di essere letta invece proprio per la ragione opposta: perché mette in luce le bugie e le distorsioni dei fatti su cui, per decenni si è basata la politica delle elites palestinesi.

Data l’importanza delle voci e dei temi affrontati, abbiamo pensato di riproporre le risposte di Benny Morris alle affermazioni del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas. Le versioni integrali degli articoli si possono leggere sul New York Times e su The National Interest.

I profughi palestinesi

Abu Mazen: i palestinesi lasciarono le loro case e la loro terra perchè costretti dall’esercito israeliano. Abu Mazen a questo proposito ricorda la propria personale esperienza quando nel maggio del 1948, all’età di tredici anni, insieme alla sua famiglia dovette lasciare Safed in Galilea per rifugiarsi in Siria. Migliaia di palestinesi subirono la stessa sorte, scrive, e per anni tutti loro hanno sperato di far ritorno nella nella loro patria. Finora però “questo diritto fondamentale è stato negato loro”.

Benny Morris: “Gli arabi di Safed non furono espulsi, bensì abbandonarono la città perché si trovava sotto i colpi di mortaio dell’Haganah – che poi la conquistò il 9-10 maggio 1948. A Safed, afferma Morris, non ci fu nessuna “espulsione”.

La risoluzione ONU del novembre 1947 sulla spartizione della Palestina.

Abbas: nel novembre 1947 i palestinesi accolsero positivamente la risoluzione Onu per la spartizione della Palestina. Subito dopo però – aggiunge Abu Mazen – “le forze sioniste espulsero dai loro territori gli arabi palestinesi per assicurare agli ebrei la maggioranza della popolazione del nuovo stato”. Seguirono poi l’intervento degli eserciti arabi, la guerra e nuove espulsioni. La conclusione, osserva Abbas, è che “lo stato palestinese da allora fino ad oggi è rimasto una promessa non mantenuta”.

Morris: gli stati arabi, come anche la leadership palestinese (Haj Amin Al Husseini) si opposero alla spartizione della Palestina, poichè ritenevano che essa dovesse essere assegnata per intero al popolo arabo. Infatti quando il 29 novembre l’assemblea generale votò per la spartizione, non solo si ebbe il rifiuto di quella soluzione da parte dei rappresentanti palestinesi, ma cominciò l’attacco alla popolazione ebraica da parte delle milizie palestinesi che volevano impedire la nascita del nuovo stato ebraico. Gli eserciti arabi, sostennere i palestinesi e per settimane sabotarono i rifornimenti dell’esercito ebraico. Alla fine, però, quest’ultimo riuscì ad avere la meglio e 300.000 palestinesi furono allontanati (“displaced”) dalle loro case e dalle loro terre.
Il 15 maggio 1948 quando Israele dichiarò la propria indipendenza, gli eserciti di Egitto, Siria ed Iraq invasero la Palestina ed attaccarono lo stato ebraico. L’esercito giordano occupò a sua volta la West Bank e Gerusalemme est – i territori che, in base alla risoluzione del 29 novembre dovevano diventare il cuore dello stato palestinese. I palestinesi in quel frangente non dichiararono la propria indipendenza e il governo giordano, per parte sua, non consentì loro di stabilire uno stato; anzi si annettè i territori appena conquistati. L’Egitto nel frattempo aveva preso e teneva sotto il suo controllo la striscia di Gaza. Israele nei mesi che seguirono riuscì a contenere gli eserciti nemici fino a respingerli, spiega ancora Benny Morris. Nel corso di quella guerra, circa 400.000 palestinesi furono allontanati dalle loro case: alcuni furono effettivamente espulsi (come accadde per esempio a Lidda e a Ramla nel luglio 1948); ad altri invece fu “consigliato” (“advised”) di andarsene dagli stessi leader arabi (per esempio a Haifa nell’aprile del 1948, e a Majdal ad ottobre). La verità comunque è che la gran parte dei 700.000 palestinesi che secondo Abu Mazen furono espulsi, semplicemente se ne andarono spontaneamente, per timore di essere catturati o di essere arruolati.

Nell’estate del 1948, aggiunge ancora Morris, il governo israeliano decise di non permettere agli arabi che se ne erano andati, di fare ritorno alle loro case, per il semplice fatto che essi erano da considerarsi come “nemici” (non avevano forse attaccato la popolazione ebraica e tentato di distruggere lo stato appena sorto?).

“Abbas non fa menzione di ciò nel suo articolo, perché vuole dipingere i palestinesi solo come delle vittime. I palestinesi, scrive ancora Benny Morris, furono i principali responsabili di quanto accadde subito dopo l’approvazione della risoluzione del 1947: l’assalto alla comunità ebraica scatenò la reazione sionista dalla quale derivò il collasso della società palestinese e la nascita della questione dei rifugiati palestinesi. “I popoli pagano per le loro aggressioni ed errori, e questo è quel che è accaduto in Palestina” conclude Morris.

La campagna di Abu Mazen per il riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese da parte dell’assemblea generale dell’ONU

Abbas: “Ci rivolgiamo alle Nazioni Unite per assicurarci il diritto di vivere liberi nel rimanente 22 % della nostra patria storica, poichè in 20 anni di negoziati con Israele non siamo mai arrivati nemmeno vicini alla realizzazione di uno Stato indipendente. I palestinesi si rivolgono così “alla comunità internazionale affinchè questa la assista nel conservare l’opportunità di una fine sicura e pacifica del conflitto con gli israeliani”.

Morris: nel 2000 fu offerto ai palestinesi un compromesso di pace che prevedeva una soluzione binazionale: essa fu rifiutata da Abu Mazen (appoggiato da Arafat); nel 2008 il primo ministro Olmert propose come via d’uscita dal conflitto una soluzione statale palestinese che Abu Mazen ancora una volta rifiutò. In entrambi i casi lo stato palestinese proposto avrebbe compreso il 94% della West Bank, e l’intera striscia di Gaza, la metà araba di Gerusalemme inclusa metà o 3/4 della città vecchia. Ciò che i governi israeliani chiedevano in cambio era il riconoscimento di Israele.
Abbas (e Arafat) rifiutò quel compromesso perchè non voleva e “non vuole una soluzione binazionale bensì l’intera Palestina, perciò non ha alcun interesse a negoziare con Israele”. L’affermazione di Abu Mazen secondo cui per i palestinesi la “prima opzione è il negoziato” è falsa. L’anno scorso Netanyahu, sulla spinta delle pressioni di Obama, ha congelato gli insediamenti nelle colonie; ciononostante non si è arrivati a nessun tipo di negoziato. Abbas ha trascinato le cose, e Netanyahu, che rifiutò di estendere ulteriormente il blocco degli insediamenti, venne percepito dall’opinione pubblica internazionale come il responsabile delle tensioni in atto.

Ciò che vuol fare Abu Mazen ora, scrive Morris – è di ottenere uno stato palestinese senza pagare il prezzo del riconoscimento di Israele. “Una volta che i palestinesi avranno il loro stato nella West Bank e nella Striscia di Gaza, lo useranno per nuovi attacchi, politici e militari contro Israele”. E l’attacco più forte sarà la pretesa di vedere applicata la risoluzione 194 del 1948 sul ritorno dei rifugiati palestinesi nelle loro terre. Una pretesa che riporterebbe in Israele 5-6 milioni di persone fra rifugiati del 1948 e loro discendenti. Se questa richiesta venisse accolta, conclude Morris, Israele semplicemente smetterebbe di esistere come tale: l’attuale popolazione ebraica sarebbe infatti nettamente inferiore a quella araba; gli ebrei sarebbero minoranza all’interno del loro stesso stato. Questo d’altra parte “è l’obiettivo dei palestinesi e questa la verità che Abbas propone e persegue”.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:22 pm

Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato alcuna terra altrui

Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali.



Non vi è alcuna occupazione della Palestina da parte degli ebrei e di Israele
https://www.facebook.com/david.rakas.94 ... 8193280345

Spesso i bambini e i ragazzi palestinesi nazi maomettani vengono imbottiti di esplosivo dai loro demenziali genitori per tentare poi tentano di ammazzare qualche israeliano ebreo facendoli esplodere in mezzo a loro e prendersi la pensione da Hamas finanziata anche con i contributi europei.

L'antisemitismo è diventato divertente. Questa parodia della cantante israeliana Netta è stata appena trasmessa dalla tv pubblica olandese. Si ride, si balla e dietro scorrono le immagini di Gaza. Le parole sembrano scritte dal ministro della Propaganda nazista Goebbels:

“Guardatemi, siamo una nazione così carina!
I leader di tutto il mondo mangiano dalla mia mano!
Faccio scomparire tutti i fuochi con un bacio!
Facciamo un party, vuoi venire?
Presto nella Moschea di al Aqsa, che sarà presto vuota!
Da Haifa al Mar Morto, c'è cibo kosher!
Vieni a ballare con me!
Il tuo paese è circondato da lanciatori di pietre?
Costruisci mura come Trump sogna e spara loro i missili!
Israele sta vincendo!
70 anni di celebrazioni, guarda come è meraviglioso!
Non consentirò ai palestinesi di entrare!
Sono un cane che respinge i palestinesi!
La vostra festa è stata rovinata dagli estremisti?
Aprite un'altra ambasciata e fateci su più dollari”.

Non è uno spasso?

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 6038483848



I sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi?

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 0472419360

Una delle più grandi menzogne create dalla propaganda araba è che "i sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi. Una colossale bugia.

Quello che è certo e che nessuno può confutare è che sono i musulmani che nel 637 hanno invaso e rubato quella che era storicamente la terra degli ebrei e successivamente anche dei cristiani, conquistandola con la forza e le guerre sante. Il discorso prescinde dal fatto che gran parte degli ebrei se ne fossero andati già durante le varie diaspore e a causa delle continue invasioni da parte di un pò tutti. Nonostante le invasioni gli ebrei sono l'unico popolo che è rimasto ininterrottamente in Palestina da quando ce li portò Mosè fino quando nel 1948 fu fondato lo stato di Israele.

Un pò di storia. L'espansionismo arabo e musulmano non ha avuto limiti, fino al 600 gli arabi erano solo in regioni dell'Arabia Saudita, con la nascita dell'Islam hanno invaso, occupato e annientato intere etnie e culture, dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano al Pacifico.

Tanto per fare un esempio, a noi oggi ci sembra normale che in Egitto ci siano gli arabi ma in realtà quelli chiamiamo "egiziani" sono appunto arabi, un popolo invasore che ha quasi totalmente cancellato le etnie e le culture precedenti. Fino al 600 l'Egitto era uno dei paesi più cristiani, popolato da un'etnia discendente dagli antichi faraoni, era una popolazione totalmente diversa da quella araba (http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/…/Fayum-39.jpg ) che parlava egiziano e non arabo e che - dopo la caduta in disuso dei geroglifici - scriveva in egiziano usando l'alfabeto greco.

Oggi gli unici discendenti rimasti dei veri egiziani sono quelli che oggi vengono chiamati "Cristiani Copti", una piccolissima minoranza discriminata e sottomessa dalla maggioranza araba-musulmana. Il termine latino "copto" deriva dal greco "còptos" che deriva dall'arabo "qubt", ovvero il temine che inizialmente usavano gli arabi per definire gli "egiziani". Questa premessa solo per far capire che è evidenti ragioni cronologiche sono sempre gli arabi musulmani che hanno invaso e distrutto, gli ebrei e i cristiani già c'eran, sono i musulmani che sono arrivati dopo come spietati colonizzatori, pure in Europa, pure in Spagna (al-Andalus) e Sicilia (Siqilliyya) che ancora oggi considerano delle terre sante dell'Islam da strappare agli infedeli.

Ritorniamo alla Palestina moderna. All’inizio del ‘900 in tutta la Palestina ci sono poche migliaia di abitanti. Motivo per cui il motto del sionismo è "Un popolo senza terra per una terra senza un popolo".

Quando i sionisti sono emigrati in Palestina quella terra malsana e deserta l'hanno legalmente comprata a dei prezzi esorbitanti, anche cento volte il loro valore reale. La maggioranza degli arabi erano nomadi che non possedevano un bel nulla. Gli ebrei la terra la comprarono attraverso dei regolari contratti dagli sceicchi e dai pochi grandi latifondisti arabi che possedevano legittimamente quasi tutte le terre.

Gli stessi latifondisti arabi che poi furono massacrati insieme agli ebrei dai nazionalisti arabi guidati dai fondamentalisti islamici e antisemiti come Amin al-Husseini che oltre che l'autore delle stragi di ebrei di Hebron del 1920 e 1929 fu anche il mandante degli omicidi decine di latifondisti e politici arabi moderati, lo stesso al-Husseini (zio e maestro di Arafat) che poi a partire dal 1933 fu il più fedele alleato di Hitler nella campagna per lo sterminio degli ebrei.

Tutto questo lo riassume così Indro Montanelli sul Corriere della Sera il 16 settembre 1972:

"Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d'Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta.

Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso."

Al termine di questo post troverete l'illuminante articolo integrale di Montanelli.

La terra di Israele è sempre stata la terra degli ebrei. Se leggiamo le descrizioni di Gerusalemme fatta nel 1800 da Marx e Mark Twain, leggiamo di "una città povera e miserabile abitata nella parte Est, interamente, da ebrei poveri e miserabili che erano sempre vissuti lì, da tremila anni". Gli arabi erano sì in leggera maggioranza numerica ma in gran parte erano nomadi senza terra, l'unica vera comunità stanziale era quella ebraica che abitava le stesse case da migliaia di anni.

Gli ebrei sionisti emigrati nel '900 si sono massacrati a dissodare, irrigare, fabbricare desalinizzatori, sono morti a migliaia di stenti e di malaria, parassitosi, colera, ameba, tifo, setticemia e tetano. Sono morti a decine di migliaia, ma poi hanno vinto, il deserto è fiorito, dove cerano lande desolate è nato un paese di filari di vite e di limoni.

Per poter di nuovo odiare gli ebrei è violato il diritto civile, che per dirla con un toscanismo si riassume in "chi vende, poi, non è più suo". Gli arabi la loro terra se la sono venduta, prima ai sionisti facendola pagare carissima, poi alla comunità internazionale intascando 66 anni di fiumi di denaro per risarcirgli il "dolore" di aver perso 20.000 chilometri quadrati di terra che non è mai stata loro, meno del Piemonte, che quando c'erano loro era un terra di sassi, paludi e scorpioni.

Vi riporto le parole che Re Feisal al Hashemi, re dell’Iraq, scrive a Londra nel 1919:

“Quando gli Ebrei rientreranno in Palestina daremo loro un clamoroso benvenuto. Noi Arabi, tutti e a maggior ragione quelli colti, consideriamo con la più grande simpatia il movimento sionista. Lavoreremo insieme per un nuovo Medio Oriente, c’è abbastanza posto in Palestina per entrambi. Penso sinceramente che non possiamo non riuscire assieme.”

I “palestinesi” in Palestina non c’erano. Quelli che oggi si vantano di essere "palestinesi" sono in gran parte degli immigrati arabi provenienti da altri paesi: Giordania, Siria, Iraq, Egitto, Arabia Saudita etc. Basta vedere i leaders palestinesi, tranne Abu mazen non uno solo di loro è nato Palestina, tutti nati altrove a partire dall'egiziano Arafat nato e vissuto al Cairo fino alla maggiore età.

La maggioranza degli arabi che oggi si dichiarano "palestinesi" in Palestina ci sono arrivati solo dopo il 1916, dopo che gli inglesi "liberarono" la Palestina da 400 di anni di dominazione dell'Impero Turco Ottomano, ci arrivarono in gran parte negli negli anni Venti e Trenta, portati dagli inglesi del Mandato Britanni per lavorare per loro.

Ci sono arrivati quando gli ebrei avevano già "dissodato", approfittando dell’acqua e delle fogne che altri avevano creato e che permettevano anche ai loro bambini di vivere meglio. E i sionisti, che erano socialisti, che credevano nell’uomo e nella fratellanza dei popoli, li hanno accolti a braccia aperte, e hanno vaccinato i loro bambini e insieme hanno cominciato a costruire un paese che sarebbe stato il paese del miracolo, dell’abbondanza e della fratellanza.

Nella maggioranza dei casi, chi oggi si dichiara "palestinese" altro non è che un immigrato arabo in Palestina. Approfittando del fatto che sono arabi hanno lasciato credere di essere sempre stati in Palestina quando in realtà la maggioranza di loro ci sono arrivati tra il 1916 e il 1948, ne più ne meno come la maggioranza degli immigrati ebrei che però lor chiamano "invasori sionisti".

Dal 1515 al 1916, per ben 400 anni, la Palestina è stata solo una misera regione dell'Impero Turco Ottomano



Non serve a niente gridare “Basta con l’occupazione”
Non esistono ricette facili e gli slogan superficiali non aiutano. Vediamo perché Israele non può semplicemente “andarsene” dalla Cisgiordania
Di Peter Lerner
(Da: Haratez, 28.11.18)

https://www.israele.net/non-serve-a-nie ... ccupazione


“Basta con l’occupazione! – mi ha gridato un uomo di mezza età durante una mia recente conferenza – È così semplice, finitela con l’occupazione!”. Siamo nell’era dell’impazienza, nell’era delle risposte istantanee su Twitter, delle notizie a portata di mano, di “pace subito” e così via. Magari fosse così semplice.

Mentre aspettiamo tutti l’”accordo del secolo” del presidente Donald Trump, dobbiamo essere realisti e tenere a mente alcune cose. Non sto parlando dell’eterno dibattito su diritti storici e religiosi: diritti che sono ampiamente menzionati da politici e osservatori, e fonte di ispirazione per tante polemiche, ma che non costituiscono i fattori di real-politik in gioco per arrivare a un accordo definitivo tra israeliani e palestinesi. Sono questioni importanti, ma non servono per capire le sfide e le difficoltà con cui dobbiamo fare i conti, di fronte alla pressante domanda da parte di organizzazioni nazionali e internazionali di “porre fine all’occupazione”.

In Israele, anche quello che ama definirsi “il campo della pace” non dispone di una ricetta pronta per arrivare alla pace: e questo è dovuto al fatto che non riesce a cogliere le vere sfide con cui Israele deve fare i conti.

Vediamo in breve perché Israele non può semplicemente “andarsene” dalla Cisgiordania. Gli impedimenti allo stato attuale sono tre: leadership, geografia e sfiducia.

Propaganda di regime in Iran: “Israele deve essere cancellato dalla faccia del mondo”
...

Innanzitutto vediamo la questione della leadership, o meglio della mancanza di leadership. Il capo palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha 83 anni, ha problemi di salute e nel 2018 è già stato ricoverato diverse volte. Dal 2007 ha autorizzato le sue forze di sicurezza a coordinarsi strettamente con quelle israeliane. Le forze di sicurezza palestinesi cooperano con Gerusalemme non per amore d’Israele, ma per la paura che Hamas si impadronisca della Cisgiordania. Tuttavia, il fatto che Abu Mazen minaccia continuamente di revocare questo coordinamento sulla sicurezza mette Israele in una sorta di limbo, con la conseguente necessità di mantenere un controllo diretto in quest’area così importante per la sua sicurezza nazionale.

Abu Mazen non ha un chiaro successore, e se dobbiamo trarre qualche insegnamento dalla realtà del Medio Oriente dobbiamo mettere in conto una durissima lotta di potere, nel suo campo, una volta che lui sarà uscito di scena. Anche Hamas sta a guardare come una pantera pronta al balzo, in vista della la sfida per la leadership sulla Cisgiordania che si scatenerà nell’Autorità Palestinese.

Nella parte israeliana, Benjamin Netanyahu ha smorzato il sostegno alla soluzione a due stati che aveva espresso nel famoso discorso del 2009 all’Università Bar Ilan. Ora sottolinea il fatto che diversi soggetti intendono cose diverse quando discutono un accordo negoziato in questi termini. E non ha più ripetuto il congelamento per dieci mesi di tutte le attività edilizie ebraiche nei Territori che decretò tra il 2009 e il 2010 con l’intento di rabbonire l’allora presidente americano Barak Obama e di convincere Abu Mazen a tornare al tavolo dei negoziati. Non ottenne né l’una né l’altra cosa, ma pagò un pesante prezzo politico. Oggi nessuno dei contendenti israeliani per la leadership del paese è in grado di proporre un piano alternativo che sia realistico e praticabile, il che lascia poche possibilità di cambiamento nel futuro immediato.

In secondo luogo ci sono la topografia e la geografia, che restano il fattore statico nel dibattito strategico sulla pace con i palestinesi. Giudea e Samaria, cioè la Cisgiordania, costituiscono un crinale montuoso che separa la valle del Giordano dalla piana costiera, dando a Israele quella minima profondità strategica che gli è necessaria per salvaguardare la propria popolazione civile.

Nel cerchio rosso, un aereo civile in decollo dall’aeroporto internazionale Ben-Gurion, visto dalla Cisgiordania. Sullo sfondo, il mar Mediterraneo (clicca per ingrandire)
...


All’ombra delle alture della Cisgiordania, da Haifa a Ashkelon passando per Tel Aviv si trova il 70% della popolazione israeliana e l’80% delle attività economiche israeliane, tra cui centrali energetiche, impianti connessi alle piattaforme off-shore, l’aeroporto internazionale Ben-Gurion. Chiunque controlli quelle alture può imporre il bello e il cattivo tempo a tutto ciò che si trova ai loro piedi. Con le note turbolenze che imperversano in tutta la regione, con i capi iraniani che definiscono Israele un tumore canceroso e guardando alla Giordania come al loro prossimo campo di battaglia per la sovversione del Medio Oriente, quale leadership israeliana potrebbe mai rinunciare a cuor leggero al controllo di sicurezza su una risorsa strategica come la Cisgiordania?

Infine, la sfiducia. I fallimenti e i rifiuti del processo di Oslo, le attività negli insediamenti, le ripetute guerre con Hamas a Gaza e la generale animosità politica lasciano israeliani e palestinesi in uno stato di profonda sfiducia, che non fa che aumentare al perdurare dell’impasse attuale. Affinché lo stato ebraico abbia un vero futuro come tale senza scivolare verso un futuro da “stato unico”, questa questione deve essere affrontata, e prima lo si fa meglio è. La fiducia deve essere costruita con l’aiuto di partner internazionali: governi e ong che operino sul serio in questo senso e non per seminare discordia; attori statali come l’Egitto e la Giordania, e forse qui ha senso che entri in gioco anche l’Arabia Saudita. Bisogna costruite alleanze. Bisogna riaccendere la fiducia in un processo diplomatico, affinché Israele possa tendere la mano di pace e di buon vicinato, in nome del bene comune della regione, che già tendeva nella sua Dichiarazione d’Indipendenza. Bisogna concepire misure di sicurezza e tecnologiche per garantire quella profondità strategica che una soluzione a due stati richiederebbe per la sicurezza di Israele. Bisogna favorire la formazione di una prossima generazione di leader pragmatici da entrambe le parti.

Si deve guardare ai problemi con mente aperta, ma realistica e pratica. Si deve esplorare un percorso che riconosca il patrimonio ebraico in questo Paese, ma prenda atto delle rinunce che bisogna fare per non finire ad essere minoranza in un unico stato di “Terra Santa”. E sappiamo qual è la sorte delle minoranze in Medio Oriente.

Sono processi lunghi e devono essere accettati come tali. C’è molto lavoro da fare, sia per gli israeliani che per i palestinesi. Non ci sono soluzioni immediate e gli slogan superficiali e supponenti non sono di alcun aiuto. Quindi, la si smetta di gridare: “Basta con l’occupazione”.



Pałestina: Le raxon de Ixrael
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab gen 19, 2019 10:22 pm

"OCCUPAZIONE" USO E ABUSO
Niram Ferretti
19 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Va detto subito, a scanso di equivoci, l’offensiva che da cinquanta anni si combatte contro Israele è un’offensiva sostanzialmente lessicale, cioè propagandistica, in cui la realtà dei fatti è stata sostituita, come in tutti gli apparati propagandistici, dalla fiction.

Goebbels che se ne intendeva assai bene di protocolli propagandistici lo chiariva programmaticamente, “La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.

Quando i propal affermano che "Secondo il diritto internazionale" Israele occuperebbe illegalmente i territori della Giudea Samaria, Cisgiordania, o West Bank, mentono.

Il diritto internazionale, diversamente dal diritto interno, non è emanato da nessuna autorità centrale e sicuramente questa autorità non è rivestita dall'ONU.

“Occupazione” è un termine che manda in fibrillazione tutti gli avversatori e demonizzatori di Israele perché suggerisce che l’esercito israeliano che si trova in Cisgiordania occuperebbe territori che apparterrebbero ai palestinesi espropriati.

La vulgata degli ebrei ladri di terra è irresistibile, sollucchera, riporta alla memoria altre accuse del passato, criminalizzazioni passate alla storia: avvelenatori di pozzi, profanatori di ostie, sacrificatori di bambini, deicidi. Il repertorio nero antisemita ruota da secoli intorno a poche ma ben rodate idee.

I territori della Cisgiordania o Giudea e Samaria, questo il loro nome storico, non hanno alcun detentore sovrano essendo passati dopo la fine dell’impero Ottomano agli inglesi per il periodo del Mandato sulla Palestina. Di seguito, nel 1922, il Mandato stabilì inequivocabilmente che gli ebrei avrebbero potuto dimorare in tutti i territori a occidente del fiume Giordano. Il testo del Mandato fu fatto proprio dalla allora Società delle Nazioni, l’ONU odierno, e non è mai stato abrogato nelle sue disposizioni generali.

Ma gli inglesi, come è sempre stata loro abitudine, variarono gli accordi a seconda di come tirava il vento. Ridussero progressivamente il territorio che avrebbe dovuto essere inizialmente degli ebrei regalando alla tribù hashemita la Trangiordania.

Con il primo Libro Bianco del 1922 l’esclusione della Transgiordania per un futuro insediamento ebraico venne sancita formalmente. A seguito della rivolta araba del 1936 la Gran Bretagna costituì una apposita commissione, la Commissione Peel, per fornire un resoconto delle cause della rivolta e fornire suggerimenti. L’esito della Commissione Peel relativamente alla questione territoriale della Palestina Mandataria fu quello, nel 1937, di proporre di assegnare agli ebrei meno del 20% del territorio mentre l’80% sarebbe stato assegnato agli arabi. A questa proposta, la più vantaggiosa che avrebbero mai ricevuto, gli arabi dissero di no. Applicando come sempre il principio del dividi et impera, la Gran Bretagna si era riorientata in senso filoarabo già nel 1930, come testimonia il secondo Libro Bianco del 1930 che si proponeva di frenare la costituzione del focolare ebraico in Palestina. Il terzo Libro Bianco del 1939 (dopo che quello del 1930 era stato annullato in virtù delle forti proteste delle organizzazioni sioniste), di fatto metteva una pietra sopra la proposta avanzata dalla Commissione Peel, abbozzando l’ipotesi di un futuro stato palestinese a sovranità araba che si sarebbe costituito nell’arco di dieci anni.

Nel 1947, l'Assemblea Generale dell'ONU approvava la Risoluzione 181 la quale, trasgredendo la lettera del Mandato Britannico per la Palestina del 1922, stabiliva che un futuro Stato arabo (attenzione, non "palestinese", i palestinesi avrebbero fatto la loro comparsa ufficiale sul teatro della storia nel 1964) avrebbe compreso anche la Giudea e la Samaria. L'Agenzia ebraica accettò a malincuore questa privazione poichè era riuscita a salvare in extremis il deserto del Negev che il Dipartimento di Stato americano voleva concedere agli arabi. Chi fu totalmente contrario in campo sionista fu Menachem Begin, il quale riteneva che essa espropriasse gli ebrei di un territorio che gli spettava.

Tuttavia, la Risoluzione 181 non è mai entrata in vigore, poichè gli arabi la rigettarono e preferirono dichiarare guerra a Israele allo scopo di annientarlo. La Giordania invase i territori, cacciò da essi gli ebrei presenti e nel 1951 se li annesse abusivamente fino al 1967 quando, a seguito della Guerra dei Sei Giorni, Israele li catturò. Va aggiunto che secondo il regolamento dell'ONU, le risoluzioni emanate dall'Assemblea Generale non sono legalmente vincolanti. Lo possono essere solo quelle emanate dal Consiglio di Sicurezza in base al Capitolo 7.

Da allora esiste sui territori una presenza militare israeliana, nello specifico, dopo gli Accordi di Oslo del 1993-95, nella cosiddetta Area C. L’Area A è sotto piena tutela palestinese mentre l’Area B è a tutela mista. Solo l’Area C è di pieno controllo israeliano.

Si può dunque parlare di “presenza militare”, di “vigilanza”, di “tutela territoriale”, ma certo non di "occupazione" nel senso distorto che è stato promosso negli ultimi cinquantun anni, ovvero di presenza abusiva su un territorio conculcato ai suoi legittimi possessori, come è stato il caso, per esempio dell’occupazione nazista su buona parte dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale (ma molti altri casi si possono citare).

Sono le parole, false o vere, che plasmano la realtà. Il linguaggio della menzogna ha unicamente lo scopo di deformarla.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » dom gen 20, 2019 1:25 am

Palestina. Un'opera storico geografica del 1695. I più disattenti, e politicamente orientati, potrebbero sorprendersi nello scoprire che non vi fosse traccia di popolazioni arabe ne tantomeno palestinesi. E a Gaza gli abitanti erano al 50 % ebrei e al 50 % cristiani

http://www.terredisrael.com/Doc-Blog/palestina-2.jpg


http://www.terredisrael.com/palestina.php

Raphael Aouate pour http://www.actu.co.il
A une époque où il est de bon ton de remettre constamment en question la légitimité juive en Israël, la découverte d’un ouvrage historique capital sur cette question, écrit au XVII ème siècle, apporte un nouvel éclairage de la plus haute importance.

“Voyage en Palestine“, est le titre d’une œuvre écrite en 1695, par Hadrian Reland (ou Relandi), cartographe, géographe, philologue et professeur de philosophie hollandais. Le sous-titre de l’ouvrage, rédigé en Latin, s’intitule : “Monumentis Veteribus Illustrata”, édité en 1714 aux Editions Brodelet. Cette belle histoire commence de façon quasi anecdotique, dans un rayon d’une librairie de Budapest, qui renferme des antiquités littéraires, dont une partie concerne le judaïsme : d’anciennes reliques, usées par le temps mais de grande valeur historique (et monétaire), parfois manuscrites, probablement dérobées, issues d’anciennes synagogues. Cette pièce peut aujourd’hui être consultée à l’Université de Haïfa.

L’auteur de cet ouvrage, l’un des premiers orientalistes, connaissait les langues, hébraïque, arabe et grecque (ancien). En 1695, Relandi (ou Reland) est envoyé en voyage d’études en Israël, en Palestine d’alors, pour un objectif bien spécifique : recenser plus de 2500 lieux (villes et villages) apparaissant dans le texte du Tanah (Bible) ou de la Michna, dans leur appellation originelle. A chaque fois, Reland y mentionne le nom hébraïque tel qu’il apparaît dans le texte et le verset exact auquel il se réfère. Reland y fait également figurer son équivalent en Latin-Romain ou Grec ancien. Outre ce remarquable travail linguistique, l’auteur opère surtout un recensement de l’époque, pour chaque localité visitée : d’abord une considération d’ordre général spécifiant que la terre d’Israël d’alors est pratiquement déserte, très peu peuplée.
La majorité de ses habitants se concentre alors dans les villes de Jérusalem, Acco (Acre), Tsfat (Safed), Yafo (Jaffa), Tveria (Tibériade) et Aza (Gaza). Surtout, le constat établi par le géographe conclut à une présence dominante de Juifs sur cette terre, quelques Chrétiens et très peu de Musulmans, dont la plupart étaient des Bédouins.

Quelques remarques extraites de cette passionnante étude :

· Aucune localité d’alors ne propose de nom ou de source arabe
· La grande majorité de ses villes ou villages possède un nom hébreu, quelques-uns en Grec ou Latin-Romain
· Pratiquement aucune ville qui possède aujourd’hui un nom en arabe n’en possédait à l’époque : ni Haïfa, ni Yafo, ni Naplouse (Shehem), Gaza ou Djénine.
· Aucune trace dans les recherches de Reland de sources historiques ou philologiques établies aux noms arabes, plus tardifs, de Ramallah, Al Halil (Hébron) ou Al Qods (Jérusalem)
· En 1696, Ramallah s’appelle “Beteïlé” (du nom hébreu “Bet El”), Hévron s’appelle … Hévron et Méarat Hamahpéla (Caveau des Patriarches) : Al Halil, du nom donné à Avraham Avinou en arabe.
· La plupart des villes étaient composées de Juifs, à l’exception de Naplouse (Shehem) qui comptait 120 personnes issues d’une même famille musulmane, les “Natashe”, ainsi que 70 Samaritains
· A Nazareth, en Galilée, une ville entièrement Chrétienne : 700 Chrétiens
· A Jérusalem, plus de 5000 habitants, dont la plus grande majorité est juive, et quelques Chrétiens. Reland n’évoque que quelques familles bédouines musulmanes isolées, composées d’ouvriers temporaires saisonniers, dans les domaines de l’agriculture ou de la construction.
· A Gaza, près de 550 personnes, 50% de Juifs et 50% de Chrétiens. Les Juifs étaient essentiellement spécialisés dans l’agriculture : la vigne, les olives et le blé (Goush Katif). Les Chrétiens s’occupant davantage de commerce et transport des différents produits de la région
· Tibériade et Safed étaient de localités juives. On sait surtout que la pêche du Lac de Tibériade constituait le principal emploi de l’époque.
· Une ville comme Oum El Fahem par exemple était complètement chrétienne : 10 familles

L’une des conclusions qui découle de ces recherches est la contradiction définitive et rédhibitoire apportée aux arguments arabes, à savoir l’affirmation d’une légitimité palestinienne ou même d’un “peuple palestinien”.
On en veut pour preuve le fait même qu’un nom latin, celui de “Palestine”, ait été repris à son compte par le camp arabe…



Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » dom gen 20, 2019 8:32 am

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