La calunnia dell'acqua contro Israelehttp://veromedioriente.altervista.org/c ... _acqua.htm Le Organizzazioni non governative (ONG) hanno incrementato la strumentalizzazione del problema dell'acqua nell'offensiva politica nei confronti di Israele. Si va dalle false accuse di «discriminazione» e di «sottrarre acqua», alle pressioni nei confronti di società internazionali affinché boicottino la compagnia israeliana idrica, la Mekerot; per giungere alla spudorata distorsioni degli accordi sottoscritti fra israeliani e palestinesi.
A seguito di queste campagne diffamatorie, la compagnia idrica olandese Vitens ha cancellato l'accordo di collaborazione pianificato con Mekerot; l'italiana Acea è stata indotta a fare altrettanto, e analoghe campagne hanno visto la luce nel Regno Unito e in Argentina.
Le questione e le dispute legate ai diritti sull'acqua non sono definite dai confini internazionali tracciati su una mappa. Una stretta collaborazione e cooperazione fra le parti è prescritta affinché i problemi siano risolti in modo creati e costruttivo, onde l'accesso ad acque pulite e sicure sia garantito in modo paritario e ottimale. Inoltre, la complessità e la centralità della questione delle acque nel conflitto arabo-israeliano sono esasperate dalla scarsità della medesima a livello locale. Infatti, in queso ambito è stato istituito un "Comitato Congiunto per l'acqua" israelo-palestinese" (JWC), allo scopo di «gestire tutte le problematiche relative all'acqua potabile e alle acque sporche nel West Bank». Il processo decisionale alla base del JWC è di tipo «consensuale, inclusa la pianificazione, le procedute e le altre problematiche». Analogamente, un principio cardine del Trattato di Pace fra Israele e Giordania del 1994 prevede che «la cooperazione nelle problematiche relative alle acque vada a beneficio di ambo le parti, e contribuirà ad alleviare la scarsità di acqua».
Sfortunatamente, malgrado l'esistenza di una cooperazione fra israeliani, palestinesi e giordani, l'acqua è diventata un'arma nelle mani delle ONG politicizzate, che usano le accuse sulla disponibilità e sui diritti idrici come parte dello strumentario di delegittimazione e di antinormalizzazione nei confronti di Israele. Le ONG presentano una descrizione distorta dei fatti, ignorando gli accordi negoziali fra Israele e palestinesi, come gli Accordi Interinale del 1995 (che seguirono gli Accordi di Oslo), allo scopo di accusare falsamente Israele di violazione del diritto internazionale; quando nella realtà la fornitura di acqua da parte di Israele è ben superiore a quella precisata negli Accordi.
Questa narrativa inoltre accusa falsamente Israele di bloccare i progetti di sviluppo idrico palestinesi, inclusi gli impianti di trattamento delle acque reflue, di creare una «crisi idrica» a Gaza, e di fornire ai palestinesi la «quantità strettamente necessaria a sopravvivere, fornendo al contempo generose quantità di acqua ai coloni».
Le ONG che hanno condotto questa campagna diffamatoria includono Al Haq, Al Haq, Palestinian Center for Human Rights (PCHR), BADIL, Coalition of Women for Peace/Who Profits, e EWASH (una coalizione di ONG palestinesi, organizzazioni internazionali per lo sviluppo, e agenzie ONU). ONG internazionali ed europee, come Human Rights Watch, Amnesty International e United Civilians for Peace (UCP: un ombrello che comprende l'olandese ICCO, Oxfam Novib, Pax - meglio nota come Pax Christi - e Cordaid), analogamente accusano Israele di negare un «equo accesso all'acqua», architettando accuse infondate sulla fornitura di acqua ai palestinesi.
Non di rado, queste ONG riconoscono di agire sulla base di motivazioni politiche ed ideologiche, e non per garantire un migliore accesso alle risorse idriche da parte di Israele. Ad esempi, EWASH si è opposta alla costruzione di un impianto di desalinizzazione a Gaza, che avrebbe sensibilmente migliorato l'approvvigionamento idrico, sostenendo che avrebbe «accomodato l'occupazione» e «legittimato le azioni israeliane». EWASH inoltre ha affermato, malgrado l'evidenza opposta, che «la desalinizzazione sia una «soluzione tampone», mentre è pacifico per tutti che la desalinizzazione sarebbe un rimedio definitivo per la scarsità oggettiva di fonti idriche.
LE CALUNNIE PIU' RICORRENTI
Accusa. «Mekerot approfitta del controllo israeliano di un'area sottoposta ad occupazione. Gli Accordi di Oslo impediscono ai palestinesi di sviluppare il loro settore idrico, e negano la possibilità di acquistare acqua da altri stati o da aziende internazionali» (Who Profits, 2013). «Israele impedisce la costruzione e la gestione di infrastrutture idriche nel 59% del West Bank, nella zona nota come Area C, mediante la negazione sistematica di permessi di costruire o ripristinare impianti idrici» (Al Haq, 2013).
Realtà. Il coinvolgimento di Israele nel settore idrico nel West Bank, nonché la fornitura idrica ad alcune comunità palestinesi e agli insediamenti ebraici nel West Bank, sono regolati dagli Accordi Interinali del 1995, sottoscritti da Israele e dall'OLP, e garantiti dalla comunità internazionale. Al contrario di quanto affermano alcune ONG, questo accordo non «preclude ai palestinesi di sviluppare il loro settore idrico e della depurazione». L'articolo 40 afferma che l'approvazione dei progetti idrici nel West Bank è demandata al JWC, che si esprime all'unanimità. I palestinesi sono liberi di realizzare tutti gli impianti che desiderano, a patto che vi sia la preventiva approvazione del JWC. Una volta approvato il progetto, Israele non ha alcuna autorità sulle aree B e C. I progetti idrici palestinesi nell'area C, sottoposta a controllo amministrativo e militare israeliano, richiedono il permesso dell'Israeli Ministry of Defense Civil Administration (CA). Tuttavia, nella maggior parte dei casi l'implementazione di questi progetti è demandata al PWA. In molti casi i palestinesi rinunciano ad implementare progetti già approvati e finanziati, per motivazioni politiche legate dal conflitto con Israele, e per le pressioni esercitate dalla lobby agricola palestinese.
Dal 2000 il CA ha approvato 73 richieste su 76 presentate con riferimento all'area C. Il carteggio fra CA e PWA dimostra che progetti approvati nel 2001 non sono stati ancora eseguiti nel 2009. Ulteriori 44 progetti approvati dal JWC nelle area A e B, inclusi diversi impianti per il trattamento delle acque reflue, condutture primarie e reti di distribuzione che raggiungono diverse città e villaggi, nonché cisterne idriche; non sono ancora stati implementati.
Infine Mekerot non trae alcun profitto dalla fornitura di acqua ai palestinesi. Il prezzo corrisposto è stabilito di mutuo accordo, alla luce degli Accordi Interinali di Oslo. Questo prezzo, fissato a 1,66 shekel israeliani per metro cubo (1996), è stato in seguito aggiornato a 2,85 shekel, alla luce della crescita dei costi di produzione. L'entrata complessiva per Mekerot è pari a 4,16 shekel per metro cubo; tale in realtà da comportare una perdita. Come riferimento, gli israeliani pagano 8,89 shekel per metro cubo, sussidiando così l'erogazione di acqua ai palestinesi.
Accusa. «Il blocco israeliano su Gaza e le restrizioni sulle importazioni dalla Striscia di Gaza di materiali e strumentazioni necessari per lo sviluppo e la manutenzione degli impianti, hanno indotto il raggiungimento di una crisi nella questione idrica» (EWASH, 2015). «Il blocco ha privato i bambini di Gaza della normale possibilità di bere acqua pulita» (Save the Children, 2012). «Stringenti restrizioni imposte da Israele negli ultimi anni all'accesso alla Striscia di Gaza di materiali e strumentazioni occorrenti per la riparazione degli impianti, hanno cagionato un ulteriore deterioramento della qualità dell'acqua e degli impianti di desalinizzazione a Gaza» (Amnesty, 2009).
Realtà. Gli Accordi di Oslo prevedono che la manutenzione degli impianti idrici a Gaza sia interamente demandata ai palestinesi (eccezion fatta per gli insediamenti e le basi militari), con Israele che si impegna a fornire 5 milioni di metri cubi all'anno ai palestinesi. Pertanto, dopo il disimpegno unilaterale del 2005, il governo di Hamas e l'Autorità Palestinese sono gli unici responsabili della situazione di Gaza.
Malgrado gli incessanti attacchi missilistici contro le famiglie israeliane da parte di Hamas da Gaza, Israele ha continuato a mantenere l'impegno di fornire la quantità di acqua prevista dagli Accordi di Oslo. Inoltre, malgrado le aggressioni, il personale dell'azienda dell'acqua israeliana ha garantito la riparazione e la manutenzione degli impianti a Gaza.
Un fattore cruciale nella scarsità di acqua a Gaza è la mediocre manutenzione della rete idrica, che comporta una perdita di acqua del 40% (a fronte del 3% della rete israeliana e del 33% di perdita nel West Bank). Affrontare questa problematica migliorerebbe in modo decisivo la disponibilità di acqua a Gaza, e ciò senza assistenza dall'esterno. Il trattamento delle acque reflue, il riciclo, l'irrigazione a goccia migliorerebbero immediatamente la situazione idrica nella Striscia.
Nel lungo periodo, la desalinizzazione è probabilmente l'unica soluzione per fornire una fonte affidabile e sicura di acqua a Gaza (come in Israele). La comunità internazionale si è offerta di costruire questi impianti; ma i palestinesi e le ONG si rifiutano di collaborare , sostenendo che normalizzerebbe la situazione, legittimando Israele.
Malgrado i problemi di sicurezza, Israele ha consentito che a Gaza entrino impianti idrici, completando la costruzione di una conduttura aggiuntiva, che fornire a Gaza ulteriori 5 milioni di metri cubi di acqua all'anno.
Israele: smontata la calunnia dell'acquadomenica 22 marzo 2015
http://ilborghesino.blogspot.com/2015/0 ... acqua.htmlTelegiornale Rai 2: Marrazzo comincia maleCommento di Deborah Fait
Informazione Corretta
http://www.tg2.rai.it/Servizio numero 10 del 23 luglio ore 20.30 di Piero Marrazzo.
"La ripartizione delle risorse idriche causa forti tensioni tra israeliani e palestinesi" (
http://www.tg2.rai.it/#sthash.4A5Xo6GM.dpuf )
http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=59010 Patetico e delirante il servizio di Piero Marrazzo sul TG2 alle 20.30 del 23 luglio. Pericoloso, consapevolmente superficiale e completamente falso. Perché dico consapevolmente superficiale? Perché parlare delle risorse idriche e loro ripartizione in questa parte del mondo è un argomento molto delicato usato sempre dagli odiatori di professione per demonizzare Israele. Il messaggio che simili servizi mandano ai telespettatori è sempre lo stesso, Il potere forte e sionista contrapposto alla debolezza di un povero popolo vessato e maltrattato, e lo fanno pur sapendo di raccontare un sacco di palle, lo fanno sapendo di creare odio e repulsione, ecco la pericolosità, ecco la superficialità e la consapevolezza di fare del male.
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“Gli uni (i palestinesi) in fila a litigarsi un litro d’acqua per le esigenze primarie..., gli altri (gli israeliani... coloni) in grado di irrigare prati o di riempire piscine.” Sappiamo che Piero Marrazzo è nuovo da queste parti ma questo non giustifica il servizio. Prima di parlare e di fare il lavaggio del cervello alla gente è obbligatorio informarsi!
Ciclicamente i media tirano fuori la grande calunnia dell’acqua, fa parte della propaganda cui sono abituati da decenni ormai. Raccontare che i palestinesi sono senza acqua, che Israele invece ne ha in abbondanza, è una di quelle menzogne sempre vincenti, come dire che Gaza è una prigione a cielo aperto. E’ la retorica di Pallywood, quel grande carrozzone propagandistico che tanto successo ottiene nel mondo e che riesce sempre a diffamare Israele senza che mai nessuno si ponga un dubbio.
Il servizio, mandato in onda durante un telegiornale, quindi molto seguito, ha presentato, da un lato, il quadretto dei poveri palestinesi cui manca persino l’acqua da bere, impossibilitati a irrigare i campi quindi anche di mangiare, dall’altro eccoli là, i perfidi giudei (coloni, pardon) che invece sguazzano nelle piscine e coltivano inutili fiori in inutili prati. Non è stato minimamente accennato il fatto reale che i palestinesi non hanno acqua perché la maggior parte serve ai loro capi corrotti per riempire le loro piscine e perché manca la volontà di fare il bene della popolazione. A una comunità che insegna ai propri bambini come si diventa kamikaze, dell’acqua sì o acqua no non potrebbe fregar di meno. Quello che preme loro è di passare per le vittime del cattivo spietato occupante sionista che prima o poi dovrà scomparire per far posto alla grande nazione palestinista.
Detto questo vediamo di fare un po' di informazione seria, è l’unico mezzo che abbiamo per contrastare la propaganda dei palestinisti cui i media mondiali, non solo quelli italiani, fanno da cassa di risonanza. Dopo gli accordi di Oslo ai palestinesi furono assegnati 70 milioni di metri cubi dalla falda acquifera, Israele gliene da molti di più. Ma allora cosa succede? Per quale motivo se un palestinese apre il rubinetto di casa non esce una sola goccia d’acqua?
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Succedono un sacco di cose, amici. Incominciamo col menzionare la pessima gestione della classe dirigente palestinista, passando attraverso la corruzione, le ruberie, la perdita delle risorse idriche che, a causa della noncuranza, dell’apatia, della non manutenzione, vanno a finire, inutilizzate, nel Mar Morto. Israele ha identificato 40 siti per la trivellazione, siti che, se utilizzati, avrebbero coperto l’esigenza d’acqua di tutti i territori contesi. Bene, anzi male, perché non ne hanno trivellato nemmeno un terzo nonostante la pioggia di soldi inviati dalla comunità internazionale. A questa inettitudine, a questa pigrizia mentale bisogna aggiungere il problema delle tubature che sono vecchie, usurate, piene di buchi e di ruggine che nessuno si preoccupa di riparare o di sostituire. E allora che succede? Succede che l’acqua si perde nel terreno ma non qualche goccetta, no, vanno persi un’infinità di metri cubi d’acqua. Allora uno si fa una domandina semplicissima: perché non sistemano le tubature visto che hanno i soldi per farlo? La risposta è che forse è meglio lamentarsi, si suda di meno e si ottiene di più e il “di più” sono i soldi e la simpatia del mondo intero a scapito dell’odiato Israele.
Un impianto di desalinizzazione in Israele
Ma adesso vi do la notizia bomba, una notiziona che avrebbe risolto tutti i problemi e che si chiama IMPIANTO DI DESALINIZZAZIONE. Ebbene, Israele e la comunità internazionale glielo hanno offerto, gratis, glielo avrebbero costruito e dato in regalo. GRATIS! E loro hanno rifiutato! Lo ripeto perché forse non si è capito, è talmente assurdo che risulta difficile da capire: gli è stato offerto un impianto di desalinizzazione, gratis, e la dirigenza palestinese lo ha rifiutato!
Allora, amici, ditemi se è ammissibile e professionale mandare in onda un servizio strappalcrime sugli israeliani che non danno l’acqua ai palestinesi perché devono riempirsi le piscine? Ma non si vergognano quelli della Rai? Ogni volta che Abu Mazen va in giro per il mondo fa la questua, ogni volta che un politico occidentale va in visita all’ANP si sente chiedere soldi. E’ successo anche a Renzi durante la sua breve visita a Betlemme: “Soldi soldi soldi, dateci soldi”. Va bene, ha risposto il premier, e orgogliosamente ha detto che l’Italia è uno dei maggiori donatori dell’ANP. Beh, sinceramente non c’è di che esserne fieri!
http://www.rightsreporter.org/palestina ... -di-soldi/ leggetevi questo articolo e inorridite perché si tratta di soldi vostri/nostri con cui vengono letteralmente inondati i palestinisti, soldi a palate che vanno a ingrossare i conti in banca dei loro corrotti dirigenti senza che nessuno abbia il coraggio di chiedere un riscontro, senza che nessuno abbia l’onestà di chiedere “Cosa ne avete fatto? Dove li avete spesi?”. Sì, onestà e rettitudine perché non si possono dare a questa gente miliardi, come nessuno al mondo riceve dalla comunità internazionale, sapendo che finiscono in terrorismo e corruzione. Significa essere complici!
http://forzaisraele.altervista.org/blog ... vista.org# Israele ha costruito ben cinque impianti di desalinizzazione, quello di Sorek, tra Rishon leZion e Tel Aviv è il più grande del mondo. Ormai Israele non ha più problemi di siccità grazie a questi impianti , non dobbiamo più contare le gocce d’acqua che cadono dal cielo e misurare i metri del lago di Tiberiade, “quanto è sceso... quanto è salito quest’anno...”. Abbiamo acqua a volontà e i palestinesi potrebbero essere nella stessa felice situazione se fossero meno corrotti, se ai loro boss mafiosi interessasse un po' la gente comune invece di costruirsi, loro sì, ville con piscine:
http://www.centrometeoitaliano.it/scien ... 015-27938/ http://www.genitronsviluppo.com/2011/07 ... e-israele/ Un articolo di Rainews si intitola “Israele beve l’acqua del mare”. E’ vero ma non è un miracolo, servono soltanto un po’ di buona volontà, intelligenza e interesse per il benessere della popolazione. Capito signor Piero Marrazzo? Si informi la prossima volta!
http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 7d9dd.html La questione dell'acqua all'interno del conflitto arabo-israelianoOikonomia
Arturo Marzano
febbraio 2011
https://www.oikonomia.it/index.php/it/o ... israelianopdf
È ormai un argomento condiviso da politologi ed esperti di relazioni internazionali che la principale causa delle guerre che accadranno nei prossimi decenni sarà l'acqua, in alcune zone del globo più che in altre. Il Medio Oriente, da questo punto di vista, ha precorso i tempi, dal momento che l'acqua è già ora una delle ragioni delle tensioni e dei conflitti esistenti.
In riferimento al conflitto arabo-israeliano, la spartizione e l'uso delle risorse idriche è fra le questioni chiave, ancora irrisolte, che ostacolano da decenni la pace nella regione: da un lato, la gestione del bacino del Giordano1 e delle sue sorgenti, che interessa Israele e gli Stati arabi vicini, cioè la Giordania, con cui Israele ha firmato un trattato di pace nel 1994, e il Libano e la Siria, con cui, invece, c'è solo una situazione di armistizio (tanto che i due paesi arabi non hanno ancora riconosciuto l'esistenza di Israele); dall'altro, quella relativa allo sfruttamento delle falde acquifere che si trovano nei TOP (i territori occupati palestinesi, cioè la Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e la striscia di Gaza, che Israele ha occupato a seguito della Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967) e che interessa israeliani e palestinesi.
Il Giordano nasce dal monte Hermon, così come tre dei suoi quattro affluenti, l'Hasbani, il Dan e il Banias, che vi confluiscono nel suo primo tratto. Dopo aver attraversato il lago di Tiberiade - cioè "il mare di Galilea" dei Vangeli - confluisce nel Giordano il suo quarto affluente, lo Yarmuk, che nasce invece in Giordania2. Affrontare la questione delle sorgenti del Giordano significa parlare delle alture del Golan, dove si trova il monte Hermon, da cui nascono, come detto, il Giordano e tre dei suoi affluenti. Mentre, però, l'Hasbani nasce dal versante ovest del monte, in territorio libanese, il Dan e il Banias nascono dai versanti meridionali, nel Golan, cioè in quella parte di territorio siriano che Israele ha occupato nel giugno del 1967. Al momento, dunque, con l'eccezione dell'Hasbani, Israele controlla totalmente il tratto superiore del Giordano. Ciò è molto importante perché, in questo modo, Israele dispone completamente dell'acqua che il Giordano porta al lago di Tiberiade, e che da qui viene trasportata - tramite il cosiddetto National Water Carrier, un acquedotto completato nel 1964 - alle città della costa mediterranea e da qui fino al Negev, la parte meridionale del paese, in gran parte desertica. E' chiaro, dunque, come oltre alle questioni di sicurezza anche l'acqua svolga un ruolo fondamentale nelle trattative con la Siria per una possibile restituzione del Golan in cambio del riconoscimento da parte di Damasco dell'esistenza dello Stato di Israele. Con la firma del trattato di pace con la Giordania, si è, invece, parzialmente appianata - alcune divergenze rimangono tuttora - la questione del controllo del tratto inferiore del Giordano, dopo che questo, lasciato il lago di Tiberiade, procede verso sud sfociando nel Mar Morto. Uno degli elementi affrontati dal trattato di pace con la Giordania riguardava proprio la gestione delle acque del Giordano, il cui corso delimita il confine tra Israele e la Giordania, più a nord, e tra Cisgiordania e Giordania, più a sud.
Per quanto concerne la questione dello sfruttamento delle falde acquifere presenti nei TOP, la situazione è, invece, ancora molto controversa. Quando Israele, come detto, conquistò la Cisgiordania e la striscia di Gaza, lo Stato ebraico si trovò a controllare le due falde acquifere che si trovavano in quei territori e che tra la guerra del 1948 e quella del 1967 erano rimaste sotto il controllo rispettivamente della Giordania e dell'Egitto. Si trattava delle cosiddette "falde acquifere di montagna", in Cisgiordania, e della "falda acquifera costiera", a Gaza3. A partire da quel momento e fino alla firma degli accordi di Oslo, in particolare del cosiddetto Oslo II (settembre 1995), la gestione dell'acqua nei TOP è stata completamente nelle mani di Israele, che ne ha disposto interamente sia per aumentare i consumi interni, vale a dire della popolazione residente nel territorio dello Stato come definito dalla guerra del '48, sia per soddisfare le richieste del crescente numero di coloni israeliani che hanno deciso di risiedere nei TOP. Vale la pena ricordare che entrambi questi comportamenti sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale, sulla base della Quarta Convenzione di Ginevra, che disciplina il comportamento che la potenza occupante è tenuta ad avere nei territori sottoposti ad occupazione militare, come è nel caso dei TOP4. È infatti illegittimo, secondo la Convenzione, sottrarre risorse dal territorio occupato in modo tale che queste vengano consumate dalla popolazione della potenza occupante.
A partire dal 1967, Israele ha sostanzialmente vietato ai palestinesi che vivono nei TOP - ma non ai coloni israeliani - di scavare nuovi pozzi e di effettuare lavori di riparazione o mantenimento a quelli già esistenti. L'obiettivo principale era evitare l'aumento del consumo d'acqua da parte della popolazione palestinese - che dal 1967 è cresciuta sensibilmente, da circa un milione a quasi quattro milioni - in modo tale che solo i cittadini israeliani potessero beneficiare della possibilità di attingere alle nuove fonti d'acqua, le falde acquifere di cui si è detto. Soltanto a seguito degli Accordi di Oslo, Israele ha accettato il principio che anche i palestinesi avessero diritto ad una parte delle acque delle falde acquifere. Con l'accordo del 1995, è stato dunque previsto un aumento di consumo da parte dei palestinesi, a patto, però, che questo non inficiasse i consumi israeliani. E' stata pertanto prevista la costruzione di nuovi pozzi e di nuovi acquedotti, all'interno di un meccanismo di controllo congiunto israelo-palestinese, il cosiddetto Joint Water Committee, che avrebbe supervisionato qualsiasi lavoro. In questa maniera, Israele continuava ad aver diritto di veto su qualsiasi questione riguardante l'acqua. In più, con tale accordo, non venivano prese decisioni a lungo termine, perché l'intera cornice negoziale di Oslo prevedeva che le questioni principali - il futuro degli insediamenti, i confini di un possibile futuro Stato palestinese (Oslo non prevedeva la creazione di uno Stato, ma solo di un autogoverno), lo status di Gerusalemme, la questione dei profughi, e l'acqua - fossero rimandate alla fase finale delle trattative, cui non si giunse mai a causa della continua posticipazione e dello scoppio della Seconda Intifada. Pertanto, nonostante l'accordo raggiunto nel 1995, la situazione in termini di utilizzo delle falde acquifere non è cambiata in maniera considerevole.
Con la costruzione della barriera di separazione da parte dello Stato d'Israele5, iniziata nell'aprile del 2002, la situazione in termini di consumo d'acqua è chiaramente peggiorata, perché la barriera - tuttora in costruzione - ha permesso a Israele di annettere de facto una parte considerevole di territorio della Cisgiordania, circa il 16,6%. Una ONG palestinese, il Palestinian Hydrology Group, e una ONG israeliana, B'tselem, stanno monitorando la situazione sul terreno, e hanno messo in luce come il percorso della barriera abbia inciso negativamente sui consumi idrici palestinesi. Numerosi, infatti, sono stati i pozzi parzialmente danneggiati o interamente distrutti, il che ha chiaramente portato ad una diminuzione dei consumi d'acqua della popolazione palestinese, sia domestici, sia agricoli. Alcuni dati sono, a tale proposito, significativi. Sebbene le falde acquifere di montagna siano per la maggior parte situate in Cisgiordania, Israele utilizza più del 57% dell'acqua sotterranea totale, mentre i palestinesi solo poco più dell'8%. In termini agricoli, sebbene circa il 25% della Cisgiordania sia coltivata, solo meno dell'11% viene irrigata, per mancanza d'acqua. Anche per quanto riguarda i consumi individuali, i dati sono preoccupanti. Il consumo domestico pro-capite per gli israeliani è di 98 metri cubi di acqua al giorno; per i palestinesi di soli 34 metri cubi.
È alla luce di questa situazione di chiara discriminazione che vanno lette le negoziazioni israelo-palestinesi in vista di un accordo di pace. Una pace tra israeliani e palestinesi, perché abbia possibilità di successo, infatti, non può non affrontare anche la questione di una distribuzione più egualitaria dei consumi d'acqua tra israeliani e palestinesi. Così come una gestione comune delle sorgenti del Giordano, che porti ad una distribuzione equa delle sue acque, è indispensabile perché le trattative trapdf Israele e Siria possano avere margini di successo.
In un periodo in cui sono ripartiti i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, ci si augura, perciò, che le parti in causa riescano a trasformare l'acqua da un elemento di conflitto in strumento di dialogo, cosicché possa essere un bene comune da cui trarre beneficio in maniera equa e responsabile.
1 Si fa notare come la portata del Giordano - sottoposta peraltro a forti variazioni tra l'inverno e l'estate - sia molto esigua. Per fare un confronto con altri fiumi del contesto medio orientale, si pensi che la portata d'acqua del Giordano è pari al 2% di quella del Nilo e al 6% di quella dell'Eufrate.
2 Per una mappa delle risorse acquifere che riguardano il conflitto arabo-israeliano, cfr.
http://www.passia.org/publications/bull ... ater04.pdf, accesso del 27.08.2010.
3 Si rimanda alla cartina indicata nella nota n. 2.
4 Vale la pena ricordare che Israele, a differenza di quanto non faccia la comunità internazionale, non definisce tali territori "occupati", ma "contestati" e ritiene, dunque, che le Convenzioni di Ginevra non si possano applicare al caso specifico dei TOP.
ADESSO DISCRIMINARE ISRAELE NON E' DISCRIMINAZIONE: LA SENTENZA SCANDALOSA DELLA CORTE EUROPEA DI STRASBURGO15 giugno 2020
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... __tn__=K-R Boicottare Israele parlando di apartheid, nazismo ed evitando di acquistare qualsiasi prodotto abbia la dicitura “made in Israel” è libertà di espressione. E come tale va tutelata. Poco importa se tutto ciò si fonda sulla volontà di negare l'esistenza stessa di uno stato e di un popolo, per la Corte europea dei diritti dell'uomo non si tratta di discriminazione.
I fatti. Nel 2009 e nel 2010, undici attivisti del movimento Bds, parteciparono in Francia a una campagna all'interno dei supermercati per chiedere il boicottaggio di prodotti israeliani. Portati a giudizio gli attivisti vennero condannati a pagare un risarcimento a chi si era costituito come parte civile (la Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo, gli Avvocati senza, l'Alleanza Francia-Israele e il Bureau national de vigilance contre l’antisémitisme). La condanna, confermata nel 2015 dalla Cassazione, trovava la sua base giuridica in una legge del 1881 sulla libertà di stampa che prevede che chiunque si è reso protagonista “di incitamento alla discriminazione, all'odio o alla violenza contro una persona o un gruppo di persone a causa della loro origine o della loro (non) appartenenza a un determinato gruppo etnico, a una nazione, a una razza o una religione” può essere punito con un anno di reclusione o una multa”.
Gli attivisti hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo che l'11 giugno ha emesso la propria sentenza. Due le questioni sollevate dai ricorrenti: la prima riguardava il fatto che la legge non fa alcuna menzione di boicottaggi di natura economica tra le fattispecie di discriminazione, la seconda che la condanna era legata alla loro partecipazione a una campagna di boicottaggio internazionale e quindi poteva configurarsi come una violazione della libertà d'espressione. Secondo gli attivisti quindi, la loro condanna violava gli articoli 7 (Nulla poena sine lege) e 10 (Libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
La Corte ha deciso di accogliere il secondo punto sollevato dal ricorso sottolineando che, come ricordato in altre occasioni, pur ammettendo la Convenzione un restringimento della libertà di espressione, questa è difficilmente applicabile all'ambito “del discorso politico o a questioni di interesse pubblico”. Per la Corte la condanna non era basata su motivi pertinenti e sufficienti. Non solo, la condanna non era legata nemmeno a danni provocati durante gli “assalti” ai supermercati. Insomma, poco importa che il boicottaggio delle merci israeliane, ricordi molto tempi passati quando bastava essere etichettati come ebrei per rischiare la propria vita. Secondo la Corte la condanna vìola la libertà di espressione e, quindi, l'articolo 10 della Convenzione. Dopotutto di cosa stupirsi, se il mondo applaude a chi abbatte le statue dei colonialisti bianchi perché non dovrebbe difendere chi si batte contro il “colionalismo di Israele”.