Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » ven dic 17, 2021 10:59 am

Esemplare, da leggere e condividere, questo intervento di Marco Paganoni:
Emanuel Segre Amar
12 dicembre 2021

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 2233911528
Questa è troppo gustosa per lasciarsela scappare. Breve premessa. Quei rompiscatole di Palestine Media Watch si sono presi la briga di leggere 17 numeri pubblicati fra dicembre 2014 e settembre 2021 di Waed, un giornaletto edito dal movimento giovanile di Fatah che viene distribuito nelle scuole e nei campi estivi ai ragazzini palestinesi fra i 6 e i 15 anni (https://palwatch.org/.../Waed-The-PA-Fatah-Vision-for...). Waed esalta i terroristi che ammazzano israeliani e sostiene la cancellazione dello stato ebraico con relativa cacciata degli israeliani dal Paese. Per i redattori di Waed, infatti, gli israeliani non sono altro che “invasori ebrei venuti da ogni angolo della Terra, che non conoscevano la Palestina e non vivevano in essa: né loro, né i loro padri e antenati”. Per sostenere la tesi, Waed reinventa la storia, con un popolo “arabo palestinese cananeo” (sic) che si sarebbe stabilito nel paese cinquemila anni fa.
E qui arriva la perla. A pagina 17 del numero 40, Waed pubblica l’immagine di un siclo di Giudea definendolo un esempio di “moneta palestinese”. Facendo notare che porta la stessa immagine che compare sul moderno shekel israeliano, aggiunge: “Che ladri, vero?”. Come dire: quegli impostori di israeliani ci rubano anche la storia coniando il loro moderno shekel a immagine dell’antico siclo palestinese. Peccato che sull’antico “siclo palestinese” si legga distintamente la scritta Yehud, Giudea, in caratteri ebraici. Non si saprebbe se definire più patetico o più svergognato un tentativo così goffo di taroccare la storia. Ma suvvia, in fondo non è peggio dei propagandisti palestinesi che spacciano Gesù di Nazareth come palestinese, anzi come “il primo profugo palestinese” e persino come “il primo martire palestinese” (https://palwatch.org/database/213), ignorando serenamente che Gesù era ebreo in base a ogni nozione storica (e per la dottrina cristiana). Sanno, ma tacciono, che l’Impero Romano cambiò in “Palestina” il nome della Terra d’Israele, e della regione di Giudea, solo cento anni dopo l’epoca di Gesù, e che lo fece appunto per cancellare ogni legame fra il Paese e gli ebrei. Per questo, sentir parlare di “Gesù palestinese” o della “Palestina in cui visse Gesù” stride quanto sentire che Giulio Cesare conquistò la Francia.
Conosciamo la difesa d’ufficio di questi strafalcioni. Palestinese è solo un aggettivo che significa, come da vocabolario, “relativo alla regione dell’Asia sud-occidentale tra il Mediterraneo e il tavolato transgiordanico, storicamente indicata con varie denominazioni fra cui quella di Palestina”. Come avrebbe detto von Metternich, una mera espressione geografica. In questo senso, se l’antico siclo di Giudea è “palestinese” per mera collocazione geografica, allora è palestinese anche lo shekel di oggi. Se Gesù era palestinese, allora aveva ragione Golda Meir a definirsi palestinese (https://www.youtube.com/watch?v=GZPyyAWGK0w), e aveva ragione l’Onu nel ’47 a parlare di popolo ebraico palestinese. E sarà forse per questo che fino a tutta la prima metà del XX secolo, “palestinesi” in Palestina erano gli ebrei e le loro istituzioni (mentre gli arabi si guardavano bene dal definirsi a quel modo). E dunque, sono palestinesi gli ebrei che vivono a Tel Aviv come quelli che vivono a Gerusalemme (est e ovest). Ma, un momento. Waed dice una cosa un po’ diversa. Come tutti i dirigenti, gli imam, gli insegnanti e i propagandisti palestinesi, Waed dice che no, gli ebrei non sono affatto palestinesi, sono colonialisti stranieri imposti dall’esterno e se ne dovrebbero andare. E dicono che “palestinese” significa distintamente “arabo e musulmano”. Lo hanno anche sancito per legge. La Legge fondamentale dell’Autorità Palestinese approvata a Ramallah il 29 maggio 2002 stabilisce, all’art.1, che “il popolo palestinese fa parte della nazione araba” e all’art. 4 che “l’islam è la religione ufficiale della Palestina” e che “i principi della shari’a islamica sono la fonte primaria della legislazione”. Riassumendo. Quando vogliono fabbricare una storia antica che delegittimi Israele, “palestinese” è solo un generico aggettivo che si può candidamente applicare anche a Gesù e al siclo in caratteri ebraici. Quando invece si tratta di sovranità e autodeterminazione, ecco che “palestinese” significa esclusivamente “arabo e musulmano” e vadano al diavolo Gesù, gli ebrei, la loro storia e le monete che coniavano duemila anni fa. Insomma, un volgare imbroglio da pataccari. Cerchiamo di ricordarcene quando a Natale ci sentiremo ripetere che – testuale – “Gesù è palestinese e coloro che lo hanno combattuto duemila anni fa stanno ora distruggendo il suo popolo”



Il demenziale pentastellato sinistrato Di Battista

Nell'era dell'ipocrisia e della strumentalizzazione facile basta esprimere solidarietà al popolo palestinese per essere accusati di antisemitismo.
Alessandro Di Battista
5 gennaio 2022

https://www.facebook.com/dibattista.ale ... 5875298775

Nell'era dell'ipocrisia e della strumentalizzazione facile basta esprimere solidarietà al popolo palestinese per essere accusati di antisemitismo. Tra l'altro anche i palestinesi sono un popolo di origine semita. Ma il punto qui è un altro. Oggi è sempre più difficile esporsi a favore dei diritti di un popolo martoriato, ghettizzato e sotto occupazione come quello palestinese. Si rischia il “linciaggio” a mezzo social. La solita disavventura mediatica è appena capitata ad Emma Watson, la popolare attrice britannica. Per aver pubblicato su instagram una foto di una manifestazione pro-Palestina con la frase "La solidarietà è un verbo" si è beccata la solita accusa di antisemitismo. Sono i consueti “manganelli” mediatici e servono a bastonare coloro che osano esprimere solidarietà ai palestinesi. In passato hanno colpito Roger Waters, Oliver Stone, Ken Loach e tutti coloro che hanno osato schierarsi. Colgo l'occasione per ripubblicare un reportage che ho scritto per TPI sui campi profughi palestinesi in Libano. Evviva Hermione Granger e abbasso la pavidità!


“GLI ULTIMI TRA GLI ULTIMI”
"Sul lungomare di Sidone, a pochi metri dal castello che i crociati costruirono su un isolotto che ospitava un tempio fenicio, decine di pescatori lanciano le lenze nel Mediterraneo orientale. Per molti la pesca non è più solo un hobby. E' il modo per rimediare un pasto in un Paese dilaniato dalla povertà. L'esplosione nel porto di Beirut del 2020 ha peggiorato le condizioni economiche del Paese già deficitarie per via della guerra civile del 1975, dei bombardamenti israeliani del 2006 e della crisi economica del 2019. Il Libano è uno dei paesi più piccoli al mondo. L'Abruzzo è più grande. Gli abitanti sono poco più di 6,5 milioni e tra questi, oltre 400.000, sono rifugiati palestinesi. A pochi km dal lungomare di Sidone c'è il campo profughi più grande del Libano. Si chiama Ein al-Hilweh ed è un mondo a parte. Qui i primi profughi palestinesi, costretti a lasciare le loro terre, arrivarono nel 1948. Da 73 anni sperano di tornare a casa. I primi arrivati sono ormai morti mentre la maggior parte degli attuali abitanti di Ein al-Hilweh non hanno visto altro che il campo. Prigionieri sebbene non abbiano commesso alcun reato. Oggi ai palestinesi si sono aggiunti i profughi siriani fuggiti dall'ennesima guerra per procura combattuta per ragioni che nulla hanno a che vedere con i diritti umani. Ein al-Hilweh è diviso per zone ed ognuna di esse è sotto il controllo delle organizzazioni politiche palestinesi e dei lori rispettivi bracci armati. Ci sono settori controllati da Al-Fatah, il partito di Abū Māzen per anni guidato da Arafat e altri governati da Hamas. Esercito e polizia libanese qui non entrano. In cambio, davanti alle moschee, uomini armati di kalashnikov sono responsabili della sicurezza del campo. Sebbene Ein al-Hilweh sia il campo più popoloso del Libano la povertà non è paragonabile a quella di Burj Albarajne, un campo che si trova tra l'aeroporto ed il centro storico di Beirut. E' difficile trovare al mondo un altro luogo con una carenza tale di diritti. La maggior parte degli abitanti di Burj Albarajne sono indigenti. Il sistema fognario è precario, l'acqua è salata a tal punto da essere imbevibile, il sovraffollamento è spaventoso e la rete elettrica, oltre ad essere deficitaria, uccide. Sì uccide. Ogni anno, mediamente, una dozzina di abitanti del campo muore fulminata da un filo della luce esposto che viene giù per via della pioggia o per l'assenza della minima manutenzione. Se nel Libano di oggi è sempre più complicato accedere alle cure o procurarsi una medicina, nei campi profughi risulta spesso impossibile. Tuttavia, oltre all'intollerabile mancanza di diritti economici e sociali, è l'assenza di diritti civili e politici a dare il voltastomaco. Nel mondo occidentale si parla spesso di profughi. Politici ed opinionisti si dividono su come gestire i flussi migratori, sul pagare o meno Erdogan che minaccia l'Europa con l'arma dei rifugiati, su come comportarsi con i migranti che vivono nei campi nella periferia di Atene o con quelli che tentano di attraversare il canale di Sicilia o lo stretto di Gibilterra. Ma sui profughi palestinesi non si divide nessuno perché, semplicemente, nessuno ne parla. I palestinesi sono gli spettri del mondo alla rovescia che è meglio non mostrare. Poveri, disoccupati, profughi e senza una patria dove un giorno far ritorno o, quantomeno, sognare di farlo. Ai profughi palestinesi manca addirittura la speranza, una delle poche cose che tiene in vita. Questo in virtù dell'ipocrisia che caratterizza la politica mondiale. “Sostengo l'idea di due popoli e due Stati” dicono i farisei moderni. Salvo poi dimenticare che esistono due popoli ma non esistono due Stati. Lo Stato di Palestina in pochi hanno il coraggio di riconoscerlo e soprattutto, di fatto, non esiste. La maggior parte delle terre lasciate dai profughi palestinesi sono oggi occupate dagli israeliani ma anche la Cisgiordania è sotto occupazione. Lo sanno i perbenisti di oggi che anche nelle enclave palestinesi della Palestina continuano a crescere illegalmente le colonie israeliane? Lo sanno gli ipocriti moderni che i soldati israeliani fanno il bello ed il cattivo tempo anche a Ramallah, Hebron o nei quartieri arabi di Gerusalemme? Lo sanno i sepolcri imbiancati della pseudo-sinistra che in Cisgiordania la moneta che si usa è lo shekel israeliano? Probabilmente no, ma anche se lo sapessero insisterebbero con la litania dei “due popoli e dei due Stati”, tanto per lavarsi le mani come tanti Ponzio Pilato moderni. Se ne lavano le mani delle tragedie che necessitano risposte politicamente scorrette. Oppure si voltano dall'altra parte. Quel che non possono fare gli abitanti di Burj Albarajne i quali, dovunque guardino, vedono miseria, mura pericolanti, infiltrazioni di acqua e di rabbia che l'ignavia dei potenti non fa altro che alimentare. La questione palestinese, che negli anni 80' era oggetto di dibattiti parlamentari, di consigli di ministri o dei discorsi alla nazione del Presidente della Repubblica, pare oggi non interessare più a nessuno. Non interessa l'angosciosa sopravvivenza dei profughi palestinesi perché interessa sempre meno schierarsi in un modo governato dal conformismo. Meglio dimenticarsi di Shatila, del suo massacro, dei suoi carnefici e delle migliaia di persone che oggi vivono in questo campo profughi tra immondizia ed indigenza. Meglio convincersi del fatto che i palestinesi siano solo fantasmi. Così se dovesse capitare di legger qualcosa sull'apartheid che vivono dentro e fuori la Palestina, si potrebbe sempre pensare ad una visione, una fantasticheria, un brutto sogno di cui scordarsi presto. Nulla a che vedere con l'incubo che vivono da 73 anni i palestinesi. Un incubo difficile da dimenticare perché non è mai finito".


Luisa Morgantini
Grazie molto di fare informazione giusta, anche in Italia sono stati fatti attacchi vergognosi alla già Presidente della Camera Laura Boldrini per avere ospitato due Ong palestinesi come Al Haq e Addameer, accusati senza prove di terrorismo.Laura ha difeso la Costituzione e la sovranità del parlamento visto l'ingerenza dell' Ambasciata Israeliana

Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e nazi cristiano)
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2804
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab lug 09, 2022 8:18 am

La menzogna sovietico-palestinese
Judith Bergman
8 dicembre 2016

https://it.gatestoneinstitute.org/9515/ ... -sovietica

La recente scoperta che Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese (Ap) era una spia del KGB a Damasco nel 1983, è stata definita dai media mainstream come una "curiosità storica", se non fosse che la notizia è venuta fuori in modo inopportuno nel momento in cui il presidente Vladimir Putin stava cercando di organizzare un incontro tra Abbas e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per far ripartire i colloqui di pace. Com'era prevedibile, l'Autorità palestinese ha respinto la notizia. Nabil Shaath, dirigente di Fatah, ha negato che Abbas sia mai stato un agente operativo del KGB e ha parlato di "campagna diffamatoria".

La scoperta, ben lungi dall'essere una "curiosità storica", è un aspetto di uno dei tanti tasselli del puzzle delle origini del terrorismo islamico del XX-XXI secolo. Quelle origini sono quasi sempre offuscate e occultate nei tentativi malcelati di presentare una particolare narrativa sulle cause del terrorismo contemporaneo, biasimando qualsiasi prova del contrario come "teoria del complotto".

Non c'è nulla di cospiratorio riguardo alla recente rivelazione che arriva da un documento degli archivi Mitrokhin custoditi dal Churchill Archives Center dell'Università di Cambridge, nel Regno Unito. Vasily Mitrokhin era un alto funzionario del servizio di intelligence sovietico, poi degradato ad archivista del KGB. Mettendo la sua vita in grave pericolo, ha trascorso 12 anni a copiare diligentemente i dossier segreti del KGB che erano secretati (gli archivi dell'intelligence estera del KGB non sono stati aperti al pubblico, nonostante il crollo dell'Unione Sovietica). Quando Mitrokhin disertò nel 1992 rifugiandosi nel Regno Unito, portò con sé i documenti copiati. Le parti declassificate dell'archivio Mitrokhin sono state portate a conoscenza dell'opinione pubblica negli scritti del professor Christopher Andrew, docente dell'Università di Cambridge, che è coautore del libro del disertore sovietico L'archivio Mitrokhin (pubblicato in due volumi). Gli archivi di Mitrokhin portarono, tra le altre cose, alla scoperta di molte spie del KGB in Occidente e altrove.

Purtroppo, la storia dell'entità dell'influenza del KGB e delle informazioni fasulle non è così nota come dovrebbe essere, considerando l'enorme influenza che l'organo di polizia segreta dell'Unione Sovietica ha esercitato sulle questioni internazionali. Il KGB ha condotto operazioni ostili contro la NATO, contro il dissenso democratico in seno al blocco sovietico e ha messo in moto eventi sovversivi in America Latina e in Medio Oriente, con ripercussioni fino ad oggi.

Inoltre il KGB è stato un attore molto attivo nella creazione dei cosiddetti movimenti di liberazione in America Latina e in Medio Oriente, movimenti coinvolti nel terrorismo letale, come documentato tra l'altro nell'Archivio Mitrokhin e anche nei libri e negli scritti di Ion Mihai Pacepa, l'ufficiale comunista più alto in grado che abbia disertato dall'ex blocco sovietico.

Pacepa era ex capo del Servizio di informazioni estere dell'intelligence romena e consigliere personale del leader comunista romeno Nicolae Ceausescu prima che disertasse negli Stati Uniti nel 1978. Pacepa ha lavorato con la CIA per più di dieci anni per sconfiggere il comunismo; l'agenzia ha descritto la sua cooperazione come "un importante e straordinario contributo agli Stati Uniti".

In un'intervista del 2004 a FrontPage Magazine, Pacepa disse:

L'OLP è stata concepita dal KGB, che aveva un debole per le organizzazioni di 'liberazione'. C'era l'Esercito di liberazione nazionale della Bolivia, creato nel 1964 dal KGB con l'aiuto di Ernesto "Che" Guevara (...) il KGB ha anche creato il Fronte per la liberazione della Palestina, che ha compiuto numerosi attacchi dinamitardi. (...) Nel 1964, il primo Consiglio dell'OLP, composto da 422 rappresentanti palestinesi selezionati con cura dal KGB, approvò la Carta nazionale palestinese – un documento che era stato redatto a Mosca. Anche il Patto nazionale palestinese e la Costituzione palestinese sono nati a Mosca, con l'aiuto di Ahmed Shuqairy, un influente agente del KGB che è diventato il primo presidente dell'OLP...

Nel Wall Street Journal, Pacepa ha spiegato come il KGB costruì Arafat, o nel gergo corrente, come costruirono una narrativa per lui:

Egli era un borghese egiziano trasformato in un devoto marxista dall'intelligence estera del KGB. Il KGB lo aveva formato nella sua scuola per operazioni speciale a Balashikha, cittadina a est di Mosca e a metà degli anni Sessanta decise di prepararlo come futuro leader dell'OLP. Innanzitutto, il KGB distrusse i documenti ufficiali che certificavano la nascita di Arafat al Cairo, rimpiazzandoli con documenti falsi che lo facevano figurare nato a Gerusalemme e, pertanto, palestinese di nascita.

Come ha scritto lo scomparso storico Robert S. Wistrich in A Lethal Obsession, la guerra dei sei giorni scatenò una lunga e intensa campagna da parte dell'Unione Sovietica volta a delegittimare Israele e il movimento per l'autodeterminazione ebraica, conosciuto come sionismo. Ciò è stato fatto al fine di porre rimedio ai danni creati al prestigio dell'Urss dopo che Israele sconfisse i suoi alleati arabi:

Dopo il 1967, l'Urss cominciò a inondare il mondo di un costante flusso di propaganda antisionista. (...) I nazisti, nei loro dodici anni di potere, furono gli unici che siano mai riusciti a produrre un flusso sostenuto di false calunnie a mezzo stampa come strumento della loro politica interna ed estera.[1]

Per questo l'Urss utilizzò una serie di parole-chiave naziste per descrivere la sconfitta inflitta da Israele all'aggressione araba del 1967, e molte di queste parole-chiave sono ancora usate oggi dalla sinistra occidentale nei confronti di Israele, come ad esempio "esperti di genocidio", "razzisti", "campi di concentramento" e "Herrenvolk".

Inoltre, l'Urss intraprese una campagna internazionale di diffamazione nel mondo arabo. Nel 1972, l'Unione Sovietica lanciò l'operazione "SIG" (Sionistskiye Gosudarstva o "Governi sionisti"), onde ritrarre gli Stati Uniti come "un arrogante e altezzoso feudo ebraico finanziato dal denaro ebraico e governato da politici ebrei, il cui obiettivo era quello di subordinare tutto il mondo islamico". Circa 4.000 agenti furono inviati dal blocco sovietico nel mondo islamico, armati di migliaia di copie dei Protocolli dei Savi anziani di Sion, falso documentale utilizzato dalla Russia zarista. Secondo Yuri Andropov, capo del KGB:

"Il mondo islamico era una piastra di Petri in cui potevamo coltivare un ceppo virulento di odio antiamericano e antisraeliano, cresciuto dal batterio del pensiero marxista-leninista. L'antisemitismo islamico ha radici profonde... Dovevamo solo continuare a ripetere i nostri argomenti – che gli Stati Uniti e Israele erano 'paesi fascisti, imperial-sionisti" finanziati da ricchi ebrei. L'Islam era ossessionato dall'idea di evitare l'occupazione del suo territorio da parte degli infedeli ed era assolutamente ricettivo al ritratto da noi fatto del Congresso americano come un rapace organismo sionista volto a trasformare il mondo in un feudo ebraico.

Già nel 1965, l'Urss aveva proposto ufficialmente una risoluzione all'ONU che condannava il sionismo come colonialista e razzista. Sebbene il tentativo fallì, le Nazioni Unite si rivelarono grate all'Unione Sovietica per l'intolleranza e la propaganda e nel novembre del 1975 fu alla fine approvata la Risoluzione 3379 che condannava il sionismo come "una forma di razzismo e discriminazione razziale". Ciò fece seguito a quasi un decennio di diligente propaganda sovietica rivolta al Terzo Mondo, che descriveva Israele come un cavallo di Troia per l'imperialismo occidentale e il razzismo. Questa campagna fu concepita allo scopo di raccogliere consensi a favore della politica estera sovietica in Africa e Medio Oriente.[2] Un'altra strategia consisteva nel fare comparazioni visive e verbali nei media sovietici tra Israele e il Sud Africa (questa è l'origine della frottola "apartheid israeliana").

Il Terzo Mondo e la sinistra occidentale si sono bevuti tutta questa propaganda sovietica. E la sinistra occidentale continua a disseminarla in gran parte. In realtà, diffamare qualcuno, chiunque esso sia, definendolo razzista, è diventata una delle armi primarie della sinistra da utilizzare contro chi non condivide le sue posizioni.

Parte delle tattiche sovietiche volte a isolare Israele facevano apparire l'OLP come un'organizzazione "rispettabile". Secondo Pacepa, questo era il compito assegnato al leader romeno Nicolae Ceausescu, che riuscì nell'impresa improbabile di far credere all'Occidente che lo spietato Stato di polizia romeno fosse un paese comunista "moderato". Niente di più lontano dalla verità, come alla fine si scoprì nel processo del 1989 contro Nicolae Ceausescu e la moglie Elena, che si concluse con l'esecuzione della coppia [fucilata da un plotone di esecuzione, N.d.T.].

Yasser Arafat (a sinistra nella foto) con il leader romeno Nicolae Ceausescu durante una visita a Bucarest nel 1974. (Fonte dell'immagine: Museo Nazionale di Storia della Romania)

Pacepa ha scritto nel Wall Street Journal:

Nel marzo del 1978 condussi in gran segreto Arafat a Bucarest per le istruzioni finali su come comportarsi a Washington. "Devi solo far finta di rompere con il terrorismo e riconoscere Israele, ancora, e ancora e ancora", disse Ceausescu ad Arafat. (...) Ceausescu era euforico all'idea che Arafat e lui potessero riuscire ad accaparrarsi un Premio Nobel per la pace con la loro farsa del ramoscello d'ulivo.

... Ceausescu non riuscì a ottenere il suo Premio Nobel per la pace. Ma nel 1994 Arafat lo ricevette, proprio perché continuò a interpretare alla perfezione il ruolo che gli avevano affidato. Aveva trasformato la sua OLP terrorista in un governo in esilio (l'Autorità palestinese), fingendo sempre di porre fine al terrorismo palestinese, pur continuando ad alimentarlo. Due anni dopo la firma degli accordi di Oslo, il numero degli israeliani uccisi dai terroristi palestinesi era aumentato del 73 per cento.

Nel suo libro Orizzonti rossi, Pacepa ha riportato quello che disse Arafat nel corso di un incontro che ebbe con lui nel quartier generale dell'OLP a Beirut, nel periodo in cui Ceausescu cercava di rendere l'OLP "rispettabile":

Sono un rivoluzionario. Ho dedicato la mia intera vita alla causa palestinese e alla distruzione di Israele. Non cambierò, né scenderò a compromessi. Non sarò d'accordo su qualcosa che riconosce Israele come Stato. Mai... Ma sono sempre disposto a far credere all'Occidente che voglio fare quello che il Fratello Ceausescu vuole che io faccia.[3]

La propaganda ha aperto la strada al terrorismo, ha spiegato Pacepa in National Review:

Il generale Aleksandr Sakharovsky, che creò la struttura di intelligence della Romania comunista e poi diresse l'intelligence estera della Russia sovietica, spesso mi diceva: "Nel mondo di oggi, in cui le armi nucleari hanno reso obsoleta la forza militare, il terrorismo dovrebbe diventare la nostra arma principale".

Il generale sovietico non stava scherzando. Solo nel 1969 ci furono 82 dirottamente aerei in tutto il mondo. Secondo Pacepa, la maggior parte di questi dirottamenti fu compiuta dall'OLP o da gruppi affiliati, tutti appoggiati dal KGB. Nel 1971, quando Pacepa incontrò Sakharovsky nell'ufficio di quest'ultimo nel palazzo della Lubjanka (sede del KGB), il generale si vantava: "I dirottamenti aerei sono una mia invenzione". Al Qaeda usò la tattica del dirottamento dei voli di linea per gli attentati dell'11 settembre, facendo schiantare gli aerei contro gli edifici e provocandone il crollo.

E Mahmoud Abbas che ruolo ha in tutto questo? Nel 1982, Mahmoud Abbas studiava a Mosca presso l'Istituto di Studi orientali dell'Accademia delle Scienze dell'Urss. (Nel 1983 divenne una spia del KGB.) A Mosca, egli scrisse la sua tesi di dottorato, pubblicata in arabo, dal titolo "L'altra faccia: Le relazioni segrete tra il nazismo e i capi del movimento sionista". Nella sua dissertazione, Abbas ha negato l'esistenza delle camera a gas nei campi di concentramento e ha messo in discussione il numero delle vittime dell'Olocausto definendo i sei milioni di ebrei che erano stati uccisi "una fantastica menzogna", accusando al contempo gli ebrei stessi dell'Olocausto. Il relatore della sua tesi era Yevgeny Primakov, che in seguito divenne ministro degli Esteri della Russia. Anche dopo aver finito la tesi, Abbas ha mantenuto stretti legami con la dirigenza sovietica, l'esercito e i membri dei servizi di sicurezza. Nel gennaio del 1989, Abbas fu nominato copresidente del Comitato di lavoro palestinese-sovietico (e poi russo-palestinese) sul Medio Oriente.

La notizia che l'attuale leader degli arabi palestinese era un accolita del KGB – le cui macchinazioni hanno provocato la morte di migliaia di persone solo in Medio Oriente – non può essere liquidata come una "curiosità storica", anche se gli opinionisti contemporanei preferirebbero vederla come tale.

Anche se Pacepa e Mitrokhin hanno lanciato l'allarme molti anni fa, solo in pochi si sono preoccupati di ascoltarli. Occorre farlo.

Judith Bergman è avvocato, scrittrice, editorialista, e analista politica.

[1] Robert S. Wistrich, 'A Lethal Obsession' (2010) p 139.

[2] Robert S. Wistrich, 'A Lethal Obsession' (2010), p 148.

[3] Ion Mihai Pacepa, 'Red Horizons' (1990) p 92-93.





Perché i palestinesi festeggiano l'uccisione degli ebrei

Khaled Abu Toameh
19 aprile 2022

https://it.gatestoneinstitute.org/18449 ... ione-ebrei

I festeggiamenti che hanno avuto luogo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza dopo i recenti attacchi terroristici in Israele sono un altro segno della crescente radicalizzazione tra i palestinesi e del loro rifiuto di riconoscere il diritto di Israele di esistere. Nella foto: gli abitanti di Gaza manifestano il loro sostegno al terrorista che ha ucciso tre uomini a Tel Aviv questa settimana, così come a tre terroristi della Jihad Islamica che sono stati uccisi dopo aver aperto il fuoco sui soldati israeliani. (Photo by Said Khatib/AFP via Getty Images)

I festeggiamenti che hanno avuto luogo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza dopo i recenti attacchi terroristici in Israele sono un altro segno della crescente radicalizzazione tra i palestinesi e del loro rifiuto di riconoscere il diritto di Israele di esistere.

La gioia espressa dai palestinesi scesi in strada per distribuire dolci e inneggiare slogan a sostegno dei terroristi è identica a quella esplosa nel 1991, quando il dittatore iracheno Saddam Hussein lanciò missili contro Israele nel 1991 durante la prima guerra del Golfo, o quando Hamas, Fatah, la Jihad Islamica palestinese e altri gruppi terroristici lanciarono attentati suicidi, uccidendo centinaia di israeliani durante la Seconda Intifada, scoppiata nel 2000.

Tali festeggiamenti non solo mostrano la mancanza di rispetto dei palestinesi per la vita umana e il sostegno da loro offerto al terrorismo, ma comprovano ancora una volta che un palestinese che uccide un ebreo è un eroe, mentre uno che cerca la pace con Israele è un traditore.

Un sondaggio d'opinione pubblica pubblicato il 22 marzo scorso ha rilevato che il sostegno palestinese a una "lotta armata" contro Israele è aumentato passando dal 42 per cento di tre mesi fa al 44 per cento.

Nel lessico dei palestinesi, la "lotta armata" è un eufemismo per designare varie forme di terrorismo contro Israele, che vanno dal lancio di pietre, alle sparatorie, agli accoltellamenti, allo speronamento di auto, al lancio di salve di razzi fino agli attentati suicidi.

Il sondaggio, condotto dal Palestine Center for Policy and Survey Research, ha mostrato che una maggioranza del 70 per cento degli intervistati si oppone alla ripresa del processo di pace con Israele.

Secondo i risultati del sondaggio, se oggi si tenessero nuove elezioni per la presidenza dell'Autorità Palestinese (AP), Ismail Haniyeh, il leader di Hamas, il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran che cerca di distruggere Israele, sconfiggerebbe il presidente dell'AP Mahmoud Abbas. Inoltre, la maggioranza dei palestinesi ha affermato che voterebbe per Hamas alle elezioni parlamentari.

Un altro 73 per cento dell'opinione pubblica palestinese vuole che l'86enne Abbas si dimetta. Dai sondaggi precedenti è emerso che quasi l'80 per cento dell'opinione pubblica vuole che Abbas rassegni le dimissioni.

Mentre la maggior parte dei palestinesi afferma di voler vedere il proprio presidente allontanarsi dalla scena, l'amministrazione statunitense sembra essere tra i pochi attori della scena internazionale che continuano a trattare con Abbas e a riporre speranze su di lui riguardo alla cosiddetta soluzione a due Stati e alla pace con Israele.

Dopo il suo ultimo incontro con Abbas avvenuto a Ramallah il 27 marzo, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha riaffermato ancora una volta l'impegno preso dall'amministrazione Biden riguardo al "principio di base" della soluzione a due Stati:

"I palestinesi e gli israeliani meritano allo stesso modo di vivere in modo sicuro e protetto e di godere di uguali misure di sicurezza, libertà, dignità e opportunità, e riteniamo, in fin dei conti, che il modo più efficace per dare espressione a quel principio di base sia attraverso due Stati".

Ecco una verità scomoda per Blinken: il sondaggio condotto una settimana prima del suo arrivo a Ramallah, la capitale de facto dei palestinesi, ha mostrato che la maggior parte dei palestinesi (58 per cento) è contraria alla soluzione dei due Stati. Come mai? Non credono nel diritto di Israele di esistere.

Questi palestinesi vogliono la pace senza Israele, e non la pace con Israele. L'unica pace che immaginano è quella in cui Israele cesserebbe di esistere.

Ecco perché, come hanno dimostrato questo sondaggio e altri precedenti, la maggior parte dei palestinesi continua a sostenere Hamas, il cui statuto chiede apertamente l'eliminazione di Israele.

Per loro, è un dovere religioso lavorare per la "liberazione di tutta la Palestina, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo". L'articolo 11 della Carta afferma:

"Il Movimento di Resistenza Islamico [Hamas] crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell'Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa.".

L'articolo 15 dice:

"Quando i nemici usurpano un pezzo di terra musulmana, il jihad [la guerra santa] diventa un obbligo individuale per ogni musulmano. Di fronte all'usurpazione della Palestina da parte degli ebrei, dobbiamo innalzare la bandiera del jihad".

La Carta di Hamas ricorda anche ai musulmani il famoso detto del Profeta Maometto:

"L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo".

Inoltre, il sondaggio ha rilevato che la stragrande maggioranza dei palestinesi (73 per cento) crede che il Corano contenga una profezia sulla fine di Israele. Tuttavia, la maggioranza degli intervistati (57 per cento) non crede al giudizio, espresso da alcuni studiosi musulmani, secondo cui i versetti del Corano predicono l'anno esatto della scomparsa di Israele: il 2022.

Pertanto, la stragrande maggioranza dei palestinesi è convinta che il Corano includa riferimenti alla fine di Israele, ma non sono sicuri in quale anno accadrà. Questa convinzione è una chiara espressione di un pio desiderio da parte della maggior parte dei palestinesi, in particolare di coloro che hanno esultato, ballato e distribuito dolci per festeggiare gli attacchi terroristici avvenuti nelle città israeliane di Be'er Sheva, Bnei Brak e Tel Aviv nelle ultime settimane.

Elogiando la recente ondata di attacchi terroristici in Israele, il leader di Hamas Mahmoud Zahar ha affermato il 9 aprile: "Queste operazioni eroiche ricorrenti dimostrano un fatto chiaro: non c'è futuro per gli ebrei nella nostra terra palestinese".

Come emerge dal sondaggio, i palestinesi preferirebbero avere come loro presidente un leader come Zahar. Un dirigente palestinese che parla di distruggere Israele o uccidere ebrei ha maggiori possibilità di essere eletto rispetto a uno che afferma di essere contrario al terrorismo e vuole lavorare per raggiungere una soluzione a due Stati.

Per i palestinesi è molto più importante laurearsi in una prigione israeliana che in qualsiasi università. Ecco perché l'ex primo ministro dell'AP Salam Fayyad, un economista e riformatore di fama mondiale formatosi negli Stati Uniti, ha ottenuto solo due seggi quando la sua lista si è presentata alle ultime elezioni legislative del 2006. La mancanza di popolarità di Fayyad è principalmente attribuita al fatto che egli non ha mai scontato la pena in una prigione israeliana per aver ucciso o ferito un ebreo o per aver compiuto attività terroristiche contro Israele.

Una delle ragioni alla base della crescente radicalizzazione dei palestinesi è il feroce incitamento di Abbas e dell'Autorità Palestinese contro Israele e gli ebrei.

Nei giorni e nelle settimane precedenti l'inizio dell'ondata di terrorismo, i leader palestinesi hanno detto alla loro popolazione che gli ebrei avevano intenzione di profanare e commettere crimini contro la moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme. Tali calunnie fomentano i terroristi e accrescono la loro motivazione ad uccidere gli ebrei. È anche questo tipo di incitamento che spinge più palestinesi nelle braccia accoglienti di Hamas e di altri estremisti.

Ai palestinesi che si compiacciono della morte degli ebrei è stato detto dai loro leader che il terrorismo mira a impedire a Israele di "commettere crimini" contro la moschea di Al-Aqsa. Questo ovviamente è completamente falso perché dall'inizio del Ramadan, decine di migliaia di fedeli musulmani hanno avuto un accesso libero e sicuro alla moschea per pregare.

Questo è un altro esempio di come i leader palestinesi abbiano radicalizzato il proprio popolo tanto che l'uccisione di giovani ebrei che trascorrono piacevolmente il loro tempo in un bar nel centro di Tel Aviv diventa motivo di esultanza pubblica. I palestinesi sono stati radicalizzati e sottoposti al lavaggio del cervello dai loro leader al punto che la pace con Israele o una soluzione a due Stati è vista come un'opportunità di massacro.

Intanto, l'amministrazione Biden continua a fingere che Abbas e il suo governo siano partner credibili e che gli israeliani e gli americani possano trattare con loro.

Sarebbe stato più utile se Blinken avesse denunciato i festeggiamenti e avesse esercitato pubblicamente pressioni sulla leadership palestinese per fermare immediatamente la massiccia campagna di incitamento contro Israele e la glorificazione dei palestinesi che uccidono gli ebrei.

Ignorare le scene di giubilo per le strade palestinesi e continuare a fingere che l'Autorità Palestinese sia un partner affidabile per la pace porterà solo a ulteriori violenze e spargimenti di sangue. È giunto il momento che l'amministrazione Biden e altri donatori occidentali inizino a battere i pugni sul tavolo e a chiedere la fine della campagna velenosa per delegittimare Israele e demonizzare gli ebrei. Fino a quando ciò non accadrà, continueremo a vedere i palestinesi ballare e distribuire dolcetti perché il sangue ebraico scorre ai loro piedi.

Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme. È Shillman Journalism Fellow al Gatestone Institute.
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » sab lug 09, 2022 8:19 am

La giornalista palestinese e cristiana uccisa propabilmente dai nazi maomettani palestinesi e usata contro gli ebrei di Israele



La giornalista di Al Jazeera uccisa in un conflitto a fuoco a Jenin - Quel che è successo spiegato in breve
Hitframe, Agenzia Web - Roma
Ugo Volli
13-05-2022

https://www.shalom.it/blog/israele-bc1/ ... e-b1115431

Che cos’è successo

Mercoledì scorso, Shireen Abu Akleh, giornalista di Al Jazeera cinquantenne, è stata uccisa in un conflitto a fuoco mentre seguiva una missione delle forze di difesa israeliane nel campo profughi di Jenin in Samariae. Si tratta di una roccaforte della Jihad Islamica, da cui sono partiti molti degli attacchi che hanno provocato l’uccisione di 19 cittadini israeliani nelle ultime settimane. Le forze di sicurezza di Israele sono impegnate a bloccare l’ondata terrorista e ad arrestare i colpevoli quando riescono a fuggire e dunque hanno la necessità di entrare anche nei luoghi più difficili come questi. Sono operazioni ad alto rischio perché i militari sono attesi e subiscono agguati con le armi dalle case e dai vicoli. Ne nascono vere e proprie battaglie, in cui si sparano migliaia di proiettili. Seguendo una di queste operazioni che si è svolta mercoledì all’alba, con l’obiettivo dell’arresto di un terrorista, Abu Akleh si è trovata sulla linea di fuoco e ha ricevuto un proiettile nella testa che l’ha uccisa.

Le accuse a Israele

Immediatamente è partita una campagna di stampa per accusare Israele della responsabilità di questa morte. L’hanno fatto inizialmente Al Jazeera e l’Autorità Palestinese, seguite da Hamas e quindi da tutte le fonti di propaganda palestinista. L’accusa è di aver ucciso deliberatamente la giornalista, sparandole apposta nella testa. L’esercito israeliano ha espresso rincrescimento per la morte e ha subito smentito di aver sparato su Abu Akleh.

Al Jazeera

La televisione del Qatar ha incolpato Israele per la morte di Abu Akleh, twittando: "La nostra collega è stata uccisa dall'esercito israeliano mentre copriva l'attacco al campo profughi di Jenin". In una dichiarazione pubblicata sul canale, ha invitato la comunità internazionale a "condannare e ritenere responsabili le forze di occupazione israeliane per aver preso di mira e ucciso deliberatamente la nostra collega". La terminologia usata (“Attacco”, “uccisa deliberatamente”) corrisponde all’ostilità che l’emittente ha da sempre per Israele. Vale la pena di ricordare che nel 2017 Bibi Netanyahu, dopo una serie di incitamenti al terrorismo, aveva ordinato la chiusura della sede di Gerusalemme. Al Jazeera è stata anche espulsa dall’Egitto e parzialmente proibita in Arabia Saudita perché considerata non un canale giornalistico, ma la voce propagandistica dei Fratelli Musulmani.

L’inchiesta

Israele ha chiesto all’Autorità Palestinese di condurre un’inchiesta comune sulla morte. L’AP ha respinto l’inchiesta comune e ha anche rifiutato di lasciar esaminare il proiettile causa della morte, il cui esame avrebbe potuto rilevare il tipo di arma usata e forse avrebbe potuto permettere di risalire a chi aveva sparato (anche se bisogna dire che i terroristi palestinesi usano abbastanza spesso armi rubate dai depositi israeliani). Mohamed Abbas ha anche annunciato una mossa propagandistica: la denuncia di Israele alla corte dell’Aja sui crimini di guerra, anche se un caso del genere non rientra certo nelle competenze della corte.

Quel che è uscito finora

Nel frattempo però è stato pubblicato l’esame dell’autopsia della giornalista condotto alla An Najah University di Nablus, dove si dice che non è possibile stabilire chi abbia ucciso la giornalista e che la sola cosa sicura è che il colpo non è stato sparato da vicino: se si considera che vengono da medici palestinesi, queste due affermazioni non sono certo favorevoli alla propaganda dell’AP. Vi sono dei filmati in rete che mostrano un terrorista di Jenin esultare per aver colpito un soldato israeliano. Fra i militari però non vi sono perdite o feriti. Che quella raffica sparata a casaccio abbia colpito la giornalista? E’ quel che un’inchiesta israeliana si propone di indagare.

Le conseguenze internazionali

La campagna contro Israele, che aveva perso qualche slancio in seguito all’ondata terrorista, ha ripreso forza. Gli Stati Uniti hanno chiesto spiegazioni, l’Europa ha condannato Israele, la stampa araba anche. E però sono accuse che mancano di ogni credibilità. Israele è fiero di avere una stampa libera e combattiva e non impedisce affatto ai giornalisti di fare il loro mestiere, né li minaccia con le armi. E’ evidente che questo incidente danneggia Israele, che non aveva nessun interesse ad eliminare una giornalista che certo non gli era favorevole, ma che non era certo in questo diversa dalla maggior parte dei reporter internazionali, quasi sempre schierati dalla parte palestinese.


ISRAELE? COLPEVOLE FINO A PROVA CONTRARIA (E SPESSO ANCHE DOPO PROVA CONTRARIA
Fred Maroun
Progetto Dreyfus
21 Giugno 2022

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 2629338390

La morte della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh l’11 Maggio 2022 durante un’operazione antiterroristica condotta dai soldati israeliani nella cosiddetta Cisgiordania è stata seguita nel giro di poche ore dall’accusa immediata che fosse stata uccisa da Israele. Il giorno stesso, prima che venisse condotta qualsiasi indagine, Al Jazeera stabilì che era stata “uccisa dalle forze israeliane”. Sempre lo stesso giorno, Middle East Monitor scriveva: “Oggi le forze israeliane hanno assassinato un’icona palestinese”, e Mondoweiss: “Israele uccide la corrispondente veterana di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nella Cisgiordania occupata”.
Agli occhi dei mass-media filo-palestinesi, Israele era colpevole senza nessun bisogno di indagini e di prove. Già il giorno successivo, come ha sottolineato David Horovitz su Times of Israel, la “irremovibile narrazione palestinese” era che “non solo Abu Akleh è stata sicuramente colpita dalle truppe israeliane e non eventualmente da colpi palestinesi sparati in modo indiscriminato, ma che è stata deliberatamente presa di mira da Israele per mettere a tacere la voce dei palestinesi”. Il 26 maggio la CNN affermava d’aver concluso, sulla base di una propria indagine, che “Shireen Abu Akleh è stata uccisa in un attacco mirato delle forze israeliane”.
Lo scorso 16 giugno, Al Jazeera ha pubblicato l’immagine di un proiettile sostenendo che è quello che ha ucciso Abu Akleh. Israele ha chiesto di poter esaminare quel proiettile sin dal giorno in cui la giornalista è stata uccisa, e successivamente ha ripetuto molte volte la richiesta, ma l’Autorità Palestinese non l’ha mai messo a disposizione e rifiuta la proposta di Israele di condurre un’indagine congiunta. Al Jazeera afferma che si tratta di un proiettile “calibro 5,56 mm, lo stesso usato dalle forze israeliane” (senza specificare che è usato anche da miliziani palestinesi, e comunque non è quello usato dai tiratori scelti israeliani ndr). Non abbiamo modo di sapere se il proiettile mostrato da Al Jazeera sia effettivamente il proiettile che ha ucciso Abu Akleh. Considerando che Al Jazeera aveva già giudicato Israele colpevole solo poche ore dopo la morte della giornalista, la sua credibilità e obiettività è nella migliore delle ipotesi un po’ dubbia.
Forse non sapremo mai come è stata uccisa Abu Akleh. Ma una cosa la sappiamo per certo: non appena c’è un’occasione per muovere accuse contro Israele, i mass-media filo-palestinesi si precipitano a emettere sentenze di colpevolezza senza alcun bisogno di prove e verifiche, e alcuni organi d’informazione internazionali li seguono a ruota fin troppo volentieri. La morte di Abu Akleh, avvenuta a Jenin in Cisgiordania, mi ricorda un’altra accusa contro Israele: il cosiddetto “massacro di Jenin”...



Storia di un proiettile e dello sfruttamento propagandistico della morte di una giornalista
Hitframe, Agenzia Web - Roma
Ugo Volli
06-07-2022

https://www.shalom.it/blog/israele-bc1/ ... a-b1117881

Molti reporter di guerra uccisi

Secondo la federazione internazionale dei giornalisti (IFJ), fra il 1990 e il 2020 ben 2658 giornalisti sono stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro, la maggior parte in episodi di guerra. Nei soli primi quattro mesi dell’invasione russa dell’Ucraina, secondo l’Ansa i giornalisti morti in azione sono stati 32. Certamente accade che qualcuno dei contendenti cerchi di impedire che vengano diffuse notizie che possono danneggiarli, ma è chiaro che la maggior parte di queste morti non sono intenzionali, anzi la pettorina con la scritta “PRESS” costituisce spesso un lasciapassare, tanto da essere spesso indossata più o meno abusivamente da terroristi che cercano l’impunità o da “giornalisti militanti” che cercano di fare del loro mestiere un’arma contro il nemico. I giornalisti di guerra però per svolgere il loro compito devono andare sui campi di battaglia, nei quartieri delle città in cui si spara o dove arrivano missili e cannonate e talvolta ne restano vittime come la popolazione che si trovano vicino.

Il caso Abu Akleh

Dei giornalisti morti sul lavoro in genere si parla poco, c’è una sorta di pudore da parte della categoria. Ma vi sono delle eccezioni, spesso motivate politicamente. Una di queste è il caso di Shireen Abu Akleh: giornalista palestinese cristiana nata nel 1971 a Gerusalemme, dove risiedeva, corrispondente dell’emittente televisiva Al Jazeera, uccisa all’alba dell’11 maggio durante pesanti scontri fra le forze militari di Israele e i terroristi asserragliati in un quartiere di Jenin, che lei era venuta a seguire. Shireen Abu Akleh era una dei protagonisti del giornalismo militante anti-israeliano di Al Jazeera, la televisione del Qatar che è stata espulsa dall’Egitto e dall’Arabia Saudita per il carattere propagandistico e fazioso delle sue trasmissioni. In Israele la stampa è libera e nessuno ha mai impedito all’emittente o alla reporter di fare il suo lavoro, anche se c’erano state forti polemiche sul suo estremismo anti-israeliano.

Le circostanze della morte e gli sviluppi successivi

Fra aprile e maggio vi è stata in Israele una notevole ondata di attentati, causata per lo più da terroristi provenienti da Jenin e Nablus. L’esercito israeliano era impegnato in un’operazione per eliminare le cellule terroriste e spesso doveva spingersi di notte nei vicoli di queste città per arrestare i sospetti; ne nascevano conflitti a fuoco molto intensi. In uno di questi è morta Abu Akleh. L’esercito israeliano ha subito espresso rincrescimento e il governo ha offerto all’Autorità Palestinese un’inchiesta congiunta. Ma l’offerta è stata respinta, è partita la solita macchina propagandistica, con minacce di denunce alla Corte Penale Internazionale, mozioni all’Onu e coinvolgimento di politici e giornalisti di sinistra soprattutto negli Usa. Il funerale di Abu Akleh a Gerusalemme è stato sequestrato da Hamas, i suoi militanti hanno tolto la bara ai famigliari per portarla in testa a un corteo di protesta che è stato disperso dalla polizia.

Le inchieste

Nel frattempo l’ufficio del Pubblico Ministero dell’Autorità Palestinese aveva ordinato un’autopsia, che è stata compiuta da Rayan Al-Ali, direttore del dipartimento di medicina alla al-Najah University di Nablus. Il risultato è stato negativo, come ha spiegato l’accademico in una conferenza stampa. Non gli è stato possibile stabilire dall’esame del corpo e della pallottola chi avesse ucciso Abu Akleh, la sola cosa chiara è che il colpo era partito da lontano. Israele ha chiesto di poter esaminare la pallottola, ma questo gli è stato negato. Il proiettile è stato invece consegnato all’ambasciata americana, che aveva chiesto di poterla studiare per vedere se c’era la possibilità di un processo, dato che la giornalista aveva anche il passaporto americano. L’esame è stato fatto nei giorni scorsi, ma la pallottola era così danneggiata dall’impatto sull'elmetto che la giornalista indossava, da non lasciar determinare la sua provenienza: un risultato che ha suscitato ira e polemica da parte dell’Autorità Palestinese. Bisogna aggiungere che spesso i terroristi palestinesi usano armi israeliane rubate nei depositi o tratte dai rifornimenti alla polizia palestinese, per cui l’esame del proiettile è comunque poco significativo.

Le conclusioni

Molto probabilmente non si saprà mai chi ha sparato il colpo che ha ucciso Shireen Abu Akleh. La giornalista è morta durante un convulso scontro a fuoco nei vicoletti della kasbah di Jenin, in una situazione di poca luce e di grande confusione. È chiaro che l’esercito israeliano non ammazza i giornalisti e l’idea di un cecchino che in una situazione operativa del genere mirasse proprio a lei è semplicemente ridicola. Vi sono delle registrazioni di voci dei terroristi che dicono di aver ucciso un uomo dell’esercito israeliano; ma quel giorno non vi sono stati vittime fra i militari e il bersaglio potrebbe essere stato proprio Abu Akleh. Ma non si può escludere che fra i colpi sparati dai soldati uno per sfortuna sia finito proprio a colpire la giornalista. Una cosa è chiara, non è stato un omicidio, una morte voluta, ma una disgrazia come le parecchie che purtroppo colpiscono i reporter di guerra.


Indagine Usa, impossibile stabilire chi abbia ucciso Shrireen Abu Akleh
6 luglio 2022

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 5558170430
https://www.progettodreyfus.com/indagin ... h-israele/

È impossibile stabile chi abbia ucciso Shrireen Abu Akleh. Il dipartimento di Stato americano ha spiegato, infatti, che non si può ricostruire con esattezza cosa sia avvenuto l’11 maggio scorso a Jenin, dicendo espressamente di non poter giungere a nessuna “conclusione definitiva”.

Ripetiamo: l’esame statunitense sul proiettile che ha ucciso la giornalista di Al Jazeera non ha potuto stabilire chi abbia premuto il grilletto.

Il risultato comunicativo, però, è ben diverso. Non solo perché gran parte dei media hanno subito incolpato Israele, ma anche perché lo Stato ebraico è stato accusato di aver ucciso Shrireen Abu Akleh in maniera volontaria.

Media che hanno titolato puntando il dito contro Gerusalemme, salvo poi essere più cauti all’interno dell’articolo.

CNN, il New York Times e il Washington Post in precedenza avevano pubblicato proprie indagini, sostenendo che la mano che dato la morte a Shrireen Abu Akleh fosse israeliana, senza aver potuto analizzare il proiettile.

In estrema sintesi: indagini nulle perché non hanno analizzato l’unica cosa che doveva analizzare: la pallottola mortale.

Il segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina Hussein a-Sheikh al termine dell’indagine americana ha twittato:

“Non consentiremo tentativi di nascondere la verità o di fare solo riferimenti timidi quando si punta il dito di accusa verso Israele. Il governo dell’occupazione è da ritenersi responsabile per l’assassinio di Abu Akleh. Porteremo avanti le nostre procedure nelle Corte internazionali”.

Hussein a-Sheikh ha fatto finta di dimenticare che anche il medico palestinese, che ha eseguito l’autopsia di Shrireen Abu Akleh aveva dichiarato l’impossibilità di stabilire chi l’avesse uccisa.

La domanda che ci dobbiamo porre è: perché una giornalista uccisa è stata fatta diventare una martire palestinese?

Shrireen Abu Akleh, nata a Gerusalemme nel 1971 da una famiglia araba cristiana di Betlemme appartenente alla comunità greco-melchita, trascorse diverso tempo negli Stati Uniti, dove riuscì a ottenere la cittadinanza.

Frequentò la scuola secondaria a Beit Hanina, per poi immatricolarsi alla Jordan University of Science and Technology per studiare architettura, senza concludere gli studi. In seguito si postò in Giordania, dove frequentò la Yarmouk University laureandosi in giornalismo.

L’11 maggio 2022 è diventata una martire palestinese per volontà dei leader palestinesi, che l’hanno inserita nella campagna contro lo Stato d’Israele.




UCCISIONE GIORNALISTA AL JAZEERA: DALLA TRAGEDIA ALLA FARSA

Deborah Fait
Progetto Dreyfus
8 luglio 2022

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 4011230918

Allora, i fatti ormai li conosciamo, tragedie che per noi , in Israele, sono purtroppo la quotidianità. Israele negli ultimi mesi è stato colpito da una forma di terrorismo individuale che in poche settimane ha fatto più di 30 vittime innocenti prese a caso tra i passanti ( nella completa indifferenza del mondo) . Ogni tanto capita che un individuo dall’aspetto normale, zainetto in spalla, berretto in testa, impossibile da riconoscere come terrorista, arrivi in Israele per lo più aiutato a nascondersi da qualche arabo israeliano, e si metta a sparare all’impazzata contro i passanti, contro chi prende il fresco della sera seduto al bar a bere una birra, ammazzandone quanti più possibile prima di essere reso innocuo.
Questi individui arrivano tutti da un villaggio del nord della Samaria che si chiama Jenin e che ha la gran brutta nomea di essere una fucina di terroristi. I soldati israeliani, nel tentativo di porre un freno al terrorismo, non hanno avuto altra scelta che entrare nel villaggio per scovare gli autori degli ultimi attentati e si sono trovati coinvolti in uno scontro a fuoco con miliziani palestinesi armati fino ai denti con kalashnikof e M16. Nello scontro i proiettili volavano da tutte le parti ma nessun soldato è stato colpito. Improvvisamente uno dei terroristi si è messo a urlare “ne abbiamo colpito uno” ma quell’uno non era israeliano. A terra, colpita a morte, era una giornalista reporter di guerra, inviata da Al Jazeera. Una pallottola le era entrata nel cervello fulminandola. Da quel momento sono iniziate le accuse contro Israele. Sia Al Jazeera, notoriamente contro Israele, che Abu Mazen, manco a dirlo, hanno subito addossato la responsabilità a Israele. Al Jazeera, dal Qatar, ha annunciato “La giornalista è stata uccisa a sangue freddo. L’occupazione israeliana ha ucciso la giornalista con un colpo al volto.”A questo punto Zahal nega proponendo subito un’inchiesta bilaterale. I palestinesi rifiutano e si appropriano del cadavere della povera Shireen Abu Akleh, proiettile compreso. L’autopsia viene eseguita, senza risultati, all’Istituto di medicina legale di Nablus. Poi i funerali nel solito stile palestinese, vergognoso e dissacrante a dire poco. Hamas ha letteralmente strappato il corpo dalle braccia dei parenti e ha incominciato a correre facendolo ballonzolare da tutte le parti sparando all’impazzata contro la folla, anche questa volta Zahal ha risposto per farli smettere e più che un funerale si è trattato di una bolgia infernale.
In seguito i palestinesi hanno consegnato il proiettile agli Usa, anche perché la giornalista aveva passaporto americano, e qui incomincia la farsa e la puzza di bruciato. Che proiettile hanno consegnato? Come si fa a sapere che era quello giusto? Come faceva a essere così rovinato essendo entrato nel volto della poveretta? Infatti, dopo pochi ore ecco la risposta: il proiettile era impossibile da esaminare! Ma che strano! Chissà perché lo avrei giurato! E, manco a dirlo, dopo tutte le accuse deliranti fatte a Israele dai palestinesi, l’amministrazione Biden ha rilasciato questa dichiarazione: “Il proiettile era troppo rovinato ma, con ogni probabilità, è stato sparato da un soldato israeliano. Israele ha la responsabilità di far lavorare i giornalisti in totale sicurezza” Poi ha aggiunto ”Questo è un caso di morte inutile di una cittadina americana. Il nostro obiettivo è che non si ammazzino più dei giornalisti in zone di guerra. Non deve più accadere”. Se la pallottola era troppo rovinata come fanno a dire che “probabilmente” è stato un israeliano a spararla? Israele deve sempre essere messo sotto processo, anche senza prove e con infiniti dubbi? Israele deve per forza avere tutta la responsabilità, anche se i disordini avvengono in un territorio sotto la giurisdizione di Abu Mazen? Israele deve fare, deve evitare, deve salvare. E poi cosa ancora? Può anche mandare al diavolo qualcuno? Siamo d’accordo che i reporter di guerra non debbano essere colpiti ma il loro lavoro li mette sempre in serio pericolo. Ricordiamo che in questi ultimi tre anni sono stati ammazzati in zone di guerra più di 200 giornalisti e nessuno ha mosso un dito. Venivano uccisi in guerre lontane da Israele e ultimamente nell’Ucraina invasa dai russi. L’unica che, per sua e nostra sfortuna, è stata colpita nelle vicinanze dell’esercito Israeliano è stata anche l’unica per cui si è creato un caso internazionale mettendo ancora una volta sulla graticola, condannato dal mondo intero, senza alcuna prova, Israele. Tragedia? Farsa? Si ma il tutto condito col solito virus del pregiudizio antiisraeliano e dal concetto malefico che i palestinesi, qualsiasi porcheria facciano, sono sempre innocenti.




QUANDO LA "SECONDA GIORNALISTA UCCISA DA ISRAELE" E' UNA TERRORISTA RECIDIVA
Noi che amiamo Israele
8 gougnop 2022

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... TVyWiLmxfl

“Un’altra giornalista uccisa” da Israele. Questa la notizia rilanciata da Francesca Albanese, da poco più di un mese nuova “relatrice speciale per le Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Territori palestinesi occupati”, e da innumerevoli attivisti palestinesi. “La notizia di un’altra giornalista palestinese uccisa colpisce con profondo dolore” si leggeva la settimana scorsa nel tweet di Francesca Albanese, successivamente cancellato, a suo dire accidentalmente. Il tweet invocava rispetto e protezione per i giornalisti, dicendo che “condannare la morte di un’importante giornalista mentre si sorvola sugli altri genera impunità”. “Il regime dell’apartheid israeliano ha appena sparato e ucciso la seconda giornalista palestinese in meno di un mese” rincarava Benjamin Norton, fondatore e direttore della testata on-line Multipolarista. La “notizia” data in questi termini è stata prontamente ripresa e rilanciata da numerosi organi di stampa in tutto il mondo.
In realtà, come era stato immediatamente chiarito dalle fonti ufficiali e dai mass-media israeliani, la palestinese Ghufran Warasneh, 31 anni, già arrestata in passato per un analogo tentativo di accoltellamento, mercoledì primo giugno si è avventata coltello in pugno verso i soldati delle Forze di Difesa israeliane in servizio sulla Statale 60, presso il campo palestinese di al-Arroub (a sud di Betlemme). I militari hanno reagito colpendo Warasneh, che è successivamente deceduta nell’ospedale al-Ahli di Hebron.
“Naturalmente ciò che il ‘relatore speciale’ palestinese delle Nazioni Unite convenientemente omette – ha risposto ad Albanese Arsen Ostrovsky, presidente di International Legal Forum – è che la cosiddetta giornalista Ghufran Warasneh si è lanciata contro i soldati israeliani brandendo un coltello nel tentativo di ucciderli. E non era la prima volta che ci provava”. Stando al network arabo con sede a Londra Alarraby, Warasneh era appena stata assunta come lettrice di notizie e avrebbe dovuto iniziare a lavorare quel giorno. Secondo David Lange, direttore del blog IsraellyCool, indicarla come “giornalista” tacendo i suoi attacchi terroristici è stato un trasparente tentativo di rilanciare le accuse scagliate contro Israele per la morte della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, uccisa il mese scorso durante uno scontro a fuoco tra terroristi palestinesi e soldati israeliani a Jenin.
Al momento non è ancora possibile affermare con certezza chi ha sparato il proiettile che ha ucciso Abu Akleh. L’Autorità Palestinese afferma che è stata “intenzionalmente” uccisa dai soldati israeliani, ma continua a rifiutarsi di mettere a disposizione il proiettile per un esame balistico professionale.
Grazie a chi condividera' questo post.
Iraele. Net
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Re: Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele

Messaggioda Berto » gio mar 30, 2023 7:55 pm

ATTIVISTA PALESTINESE AMMETTE: “ACCUSO ISRAELE DI APARTHEID SOLO PER AIZZARE L’OPINIONE PUBBLICA CONTRO LO STATO EBRAICO”
Progetto Dreyfus
23 marzo 2023
https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 215638766/
Mohammed El-Kurd è un attivista palestinese molto amato dai mass-media. È un aperto sostenitore del terrorismo palestinese e propinatore della propaganda antisemita. Secondo il TIME è nella lista delle 100 persone più influenti del mondo e recentemente al festival della letteratura australiana ha fatto un intervento video nel quale ha ammesso che quando accusa Israele di “apartheid” lo fa unicamente per aizzare l’opinione pubblica contro lo stato ebraico senza dare la minima importanza alla veridicità della sua insinuazione perché strumentale alla causa palestinese.
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