Torino, se il marito picchia la moglie ogni tanto «non si può parlare di maltrattamenti in famiglia»Giovanni Falconieri
18 gennaio 03
(L'uomo che sia un maomettano africano o asiatico e che ciò venga nascosto?)
http://torino.corriere.it/cronaca/18_ge ... 2ba9.shtmlTORINO - Nella sua requisitoria, il pubblico ministero aveva sottolineato le «continue aggressioni fisiche» e le «umiliazioni morali» che la donna era stata costretta a subire. Aveva parlato di calci, pugni e schiaffi, di lancio di oggetti e di offese quasi quotidiane. Ma al momento della sentenza, il giudice ha stabilito che si era trattato di «atti episodici» avvenuti in «contesti particolari» e non in grado di causare nella vittima «uno stato di prostrazione fisica e morale». E ha aggiunto che non ci sarebbero stati «atti di vessazione continui tali da cagionare un disagio incompatibile con normali condizioni di vita». In parole povere, se le aggressioni non sono «frequenti e continue» non si può parlare di «maltrattamenti in famiglia». Soprattutto se non c’è una sopraffazione sistematica della vittima. La quinta sezione penale del Tribunale di Torino ha così accolto la tesi dell’avvocato difensore Vincenzo Coluccio, che assisteva un 41enne disoccupato finito sotto processo con l’accusa di aver maltrattato la moglie per anni.
Referti medici e liti
«Non c’è collegamento — ha spiegato il legale in aula — tra i referti medici portati dall’accusa e le liti o le presunte aggressioni». Tesi che ha trovato conferma nella sentenza pronunciata dal giudice: «Dall’esame della persona offesa e dei testi non è emersa una situazione tale da cagionare un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita». Risultato: il 41enne imputato è stato assolto, anche in virtù del fatto che le aggressioni sono state ritenute configurabili come «atti episodici» avvenuti in «contesti particolari». E questo anche se la donna, a quanto risulta, è corsa in ospedale nove volte in otto anni perché aveva il naso rotto o una costola incrinata. Però, scrive il Tribunale nelle motivazioni della sentenza, «non tutti gli episodi sono riconducibili ad aggressioni da parte dell’imputato». Episodi che la moglie ha ricollegato genericamente a una lite, ma per i quali non è stata in grado di fornire, a parte per l’ultimo, una descrizione dettagliata. «Tali fatti non paiono perciò riconducibili, proprio perché traggono origine da situazioni contingenti, a un quadro unitario di un sistema di vita tale da mettere la vittima in uno stato di prostrazione fisica e morale». I litigi in casa erano all’ordine del giorno e anche la donna si scagliava a volte contro il marito. Tant’è che sia i figli della coppia sia i vicini di casa non sono stati in grado, in alcune occasioni, di indicare chi tra marito e moglie avesse usato violenza per primo nei confronti del coniuge. L’imputato è stato comunque condannato a sei mesi di reclusione per l’abbandono della casa familiare e per il «mancato contributo al mantenimento dei figli minorenni».
«Sconcerto e preoccupazione»
In una «revisione del giudizio in appello» spera la senatrice Francesca Puglisi (Pd), presidente della Commissione parlamentare contro il Femminicidio: «La sentenza del Tribunale di Torino — spiega la parlamentare — suscita sconcerto e preoccupazione. La minimizzazione della violenza all’interno di un rapporto affettivo non solo rischia di pregiudicare la richiesta di giustizia da parte delle vittime, ma costituisce fattore disincentivante rispetto alle istanze di tutela. Fermare la violenza si può e si deve. Spero in una revisione del giudizio in appello».
Torino, la sentenza "Se le aggressioni non sono frequenti, non sono maltrattamenti in famiglia"Una donna magistrato assolve un disoccupato di 41 anni: la compagna si era presentata nove volte in otto anni al pronto soccorso
di CARLOTTA ROCCI
03 gennaio 2018
http://torino.repubblica.it/cronaca/201 ... -185715715Se le aggressioni non sono frequenti e continue non c’è il reato di maltrattamenti in famiglia. Suona più o meno così la motivazione della sentenza choc che assolve dall’accusa un disoccupato di 41 anni che all’epoca dei fatti viveva a Collegno, alle porte di Torino. A pronunciare la sentenza e a motivarla è stata la giudice Maria Iannibelli della quinta sezione penale del tribunale di Torino. Il magistrato parla di “atti episodici” avvenuti in “contesti particolari”. Per quei fatti il pm Dionigi Tibone aveva chiesto più di tre anni portando in tribunale un faldone di certificati medici per documentare le aggressioni dell’uomo nei confronti della compagna costretta a subire “continue aggressioni fisiche e umiliazioni morali” che le avrebbero causato “uno stato di prostrazione fisico e morale”. Proprio su questo punto la giudice contesta le motivazioni dell’accusa e accoglie la tesi della difesa sostenuta dall’avvocato Vincenzo Coluccio. “Non c’è collegamento tra i referti medici portati dall’accusa e le liti o le presunte aggressioni”, spiega il legale. E la giudice conferma: “Dall’esame della persona offesa e dei testi non è emersa una situazione tale da cagionare un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita".
La donna si è presentata in pronto soccorso nove volte in otto anni: una volta con una costola rotta, un’altra con il setto nasale fratturato ( anche se aveva detto di esserselo rotto in un incidente stradale) “Non tutti gli episodi sono riconducibili ad aggressioni da parte dell’imputato”, scrive Iannibelli nelle motivazioni della sentenza. Episodi che “la teste ha ricollegato genericamente a una lite ma non è stata in grado di fornire, a parte per l’ultimo, una descrizione dettagliata”. Per tutte queste ragioni questi fatti “non paiono riconducibili, proprio perché traggono origine da situazioni contingenti, a un quadro unitario di un sistema di vita tale da mettere la vittima in uno stato di prostrazione fisica
e morale”. Nessun maltrattamento in famiglia dunque, ma anche nessuna lesione come era stato chiesto in subordine dal legale che chiedeva l’assoluzione che è arrivata con formula piena: il fatto non sussiste. L’uomo è stato invece condannato a sei mesi, con sospensione condizionale della pena per altri due reati minori di cui era imputato: l’abbandono della casa familiare e il “mancato contributo al mantenimento dei figli minorenni”.
IL CASO A TORINO. «Le botte episodiche alla compagna non sono maltrattamenti in famiglia»https://cronacaqui.it/cronaca/caso-tori ... iglia.htmlSe le aggressioni alla compagna ci sono state, si tratta comunque di “atti episodici” nati “da situazioni contingenti e particolari”. E l’imputato, secondo una giudice del tribunale di Torino, va assolto dall’accusa di maltrattamenti in famiglia.
Maltrattamenti che, sosteneva il pm, Dionigi Tibone, sarebbero proseguiti per otto anni. Con pestaggi brutali che l’imputato, 41 anni, disoccupato, avrebbe compiuto “colpendo” la convivente anche davanti ai figli “con pugni in faccia, prendendola a calci e facendola cadere a terra, lanciandole oggetti addosso, insultandola reiteratamente con epiteti” irripetibili, “costringendola a subire continue aggressioni fisiche e umiliazioni morali e così facendola vivere in uno stato di prostrazione sia fisica che morale”.
Uno “stato” che però non viene ravvisato dalla giudice, che nelle motivazioni ripercorre la vicenda, sottolineando che “sin dall’inizio il rapporto era stato difficile”, e i due “litigavano continuamente”.
Quanto ai maltrattamenti, “dall’esame della persona offesa e dei testi non è emersa una situazione di sottoposizione” della donna “a una serie di atti e vessazioni continui tali da cagionare un disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di vita”. E i certificati prodotti dal pm rilasciati dal pronto soccorso in cui lei una volta raccontò di essersi rotta una costola cadendo dalle scale, un’altra volta di aver sbattuto un occhio contro una mensola, un’altra ancora di essersi rotta il naso in un incidente stradale, sono comunque “nove in un arco temporale di circa otto anni”.
“Non tutti poi- sottolinea il giudice – sono riconducibili ad aggressioni da parte dell’imputato”. Quanto agli altri “la teste li ha ricollegati genericamente a una lite, ma non è stata in grado di fornire, a parte per l’ultimo, una descrizione più dettagliata”. Per il magistrato “si tratta allora di atti episodici che, se autonomamente, qualora ne sussistano i presupposti, possono integrare i delitti contro la persona, non paiono riconducibili, proprio perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari, a un quadro unitario di un sistema di vita tale da porre la vittima in una stato di prostrazione sia fisica, sia morale”.
Il fatto, dunque, non sussiste, come aveva sostenuto l’avvocato difensore, Vincenzo Coluccio, che nulla ha potuto fare per il capo di imputazione relativo alla violazione degli obblighi assistenziali.
L’imputato, infatti, ha “abbandonato la casa familiare” quando la convivente ha scoperto che lui la tradiva con un’amica, e non avendo in alcun modo “contribuito al mantenimento dei figli minorenni”, va condannato con sospensione condizionale e beneficio della non menzione a sei mesi. Molti meno dei tre anni e 9 che aveva chiesto il pubblico ministero.