I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » gio gen 05, 2017 10:13 pm

I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?
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???

https://it.wikipedia.org/wiki/Rohingya

I Rohingya sono un gruppo etnico, di religione islamica, che parla il rohingya, una lingua indoeuropea del ramo delle lingue indoarie, strettamente legata alla lingua chittagong e più alla lontana alla lingua bengalese. La loro origine è molto discussa: alcuni ritengono indigeni dello stato di Rakhine (noto anche come Arakan o Rohang in lingua Rohingya) in Birmania, mentre altri sostengono che siano immigrati musulmani che, in origine, vivevano in Bangladesh

I Rohingya sono stati descritti come "il popolo meno voluto al mondo" e "una delle minoranze più perseguitate al mondo". Per una legge sulla concessione della cittadinanza del 1982, essi non possono prendere la cittadinanza birmana. Non è consentito ai Rohingya di viaggiare senza un permesso ufficiale, di possedere terreni e, inoltre, sono tenuti a firmare un impegno a non avere più di due figli.

Secondo Amnesty International, la popolazione musulmana Rohingya continua a soffrire per violazioni dei diritti umani da parte della dittatura militare birmana dal 1978, di conseguenza molti sono fuggiti nel vicino Bangladesh.
« La libertà di movimento dei Rohingya è fortemente limitata e alla maggior parte di loro è stata negata la cittadinanza birmana. Essi sono anche sottoposti a varie forme di estorsione e di tassazione arbitraria; confisca delle terre; sfratto e distruzione delle loro abitazioni; e restrizioni finanziarie sui matrimoni. I Rohingya continuano ad essere utilizzati come lavoratori-schiavi sulle strade e nei campi militari, anche se la quantità di lavoro forzato nel nord dello stato Rakhine è diminuita negli ultimi dieci anni. [...]

Nel 1978 oltre 200 000 Rohingya sono fuggiti in Bangladesh, in seguito all'operazione Nagamin (Re Drago) dell'esercito birmano. Ufficialmente questa campagna aveva lo scopo di "controllare ogni individuo vivente nello stato, distinguere i cittadini e gli stranieri in conformità con la legge e intraprendere azioni contro gli stranieri che si sono infiltrati nel paese illegalmente." Questa campagna militare era mirata direttamente contro i civili e ha portato a omicidi diffusi, stupri e distruzione di moschee e ad ulteriori persecuzioni religiose. [...]

Durante il 1991 e il 1992 una nuova ondata, di oltre un quarto di milione di Rohingya, è fuggita in Bangladesh. Hanno riferito che spesso erano costretti a sopportare il lavoro forzato, ma anche esecuzioni sommarie, torture, e stupri. I Rohingya sono stati costretti a lavorare senza paga da parte dell'esercito birmano su progetti infrastrutturali ed economici, spesso in condizioni difficili. Molte altre violazioni dei diritti umani sono state commesse dalle forze di sicurezza riguardo al lavoro forzato di civili Rohingya. »
(Rapporto di Amnesty International del 2004)
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » gio gen 05, 2017 10:16 pm

???

In Birmania un altro Aylan, bimbo Rohingya morto annegato
Mohammed Shohayet, 16 mesi, perde la vita durante la fuga verso il Bangladesh. La sua minoranza di religione musulmana vittima di un massacro dimenticato

http://www.lastampa.it/2017/01/05/ester ... agina.html

Il corpicino riverso, la faccia affondata nel fango. Il cadavere di un bimbo giace lungo la sponda del fiume Naf. È morto affogato con il fratellino e la madre. Mohammed Shohayet, 16 mesi, stava scappando dal pogrom di cui il suo popolo, i Rohingya, è vittima in Birmania. La barca su cui viaggiava verso il Bangladesh è affondata lo scorso dicembre, mentre i soldati sparavano sui fuggitivi.

L’immagine choc riporta la mente all’estate del 2015. Turchia, spiaggia di Bodrum. Una giornalista fotografa un bimbo senza vita sul bagnasciuga, le braccia stese dalla risacca. La posizione di Aylan Kurdi, tre anni, è la stessa di Mohammed. Anche lui è morto insieme al fratellino e alla madre, scappati dalla Siria inseguendo il sogno europeo. Solo il padre sopravvive. Come nel caso di Mohammed: «La mia vita non ha più senso. Preferirei essere morto», ha detto alla Cnn dal campo profughi del Bangladesh dove si trova.

Differenti le cause della fuga, identico l’epilogo: Mohammed e Aylan sono legati da un tragico filo. L’immagine del piccolo Rohingya è stata pubblicata dalla Cnn, con il titolo: «Il mondo si indignerà anche ora?». Il riferimento è proprio ad Aylan. In quel caso l’immagine si trasformò in un atto d’accusa contro la politica dei muri. Inchiodò il mondo alle sue responsabilità, rompendo il muro dell’indifferenza. E diventò il simbolo della crisi dei migranti.

In Birmania la tragedia dimenticata dei Rohingya dura dal secolo scorso. La minoranza di fede musulmana - circa un milione in un Paese dove il 90% della popolazione è buddista - vive principalmente nello stato di Rakhine, nel nordovest. La maggioranza dei birmani li considera immigrati dal Bangladesh che si sono stabiliti illegalmente.

Il governo nega loro la cittadinanza e il voto e li ha esclusi dalla lista dei 135 gruppi etnici del Paese. Non hanno nessun diritto, nemmeno quello di essere chiamati con il loro nome. Una circolare del ministero dell’informazione ha vietato ai funzionari di utilizzare il termine Rohingya, imponendo la definizione «popolazioni di origine islamica». Quasi 150 mila di loro vivono in squallidi campi-ghetto, da cui possono uscire solo con il permesso, accordato di rado, delle autorità.

La tragedia dei Rohingya inizia nel 1970, data del primo grande esodo: 250 mila persone fuggono dalla persecuzione dell’esercito. Negli ultimi anni la repressione si è intensificata, obbligando migliaia di disperati a cercare rifugio nei Paesi vicini: Bangladesh, Thailandia, Malaysia. Spesso la traversata si rivela mortale. Secondo l’Oim, l’agenzia Onu per le migrazioni, negli ultimi mesi 34 mila Rohingya sono fuggiti in Bangladesh attraverso il fiume in cui è morto Mohammed. Nell’ottobre scorso è iniziata un’offensiva militare con rastrellamenti arbitrari. Il bilancio è di 86 morti e 27 mila fuggiti.

L’accesso allo Stato di Rakhine è vietato a giornalisti e attivisti. Ma nei giorni scorsi Human Rights Watch ha diffuso foto satellitari in cui si vedono interi villaggi bruciati e centinaia di case abbandonate. In una di quelle viveva la famiglia di Mohammed. «I soldati sparavano dagli elicotteri sulle case. I miei nonni sono morti bruciati vivi. Noi siamo scappati e ci siamo nascosti nella giungla per giorni. Dovevamo cambiare posto perché i soldati cercavano i Rohingya», ha raccontato il padre, Zafor Alam. Una storia che il governo ha bollato come «montatura».

Ma il massacro dei Rohingya continua nel silenzio colpevole di Aung San Suu Kyi. La presidente, che ha dedicato la sua vita alla lotta per i diritti umani, ha finora voltato la testa dall’altra parte, ignorando quella che l’Unhcr ha definito «pulizia etnica». Nei giorni scorsi 23 leader mondiali, tra cui diversi Nobel per la Pace, hanno inviato una lettera all’Onu per costringerla a riconoscere gli abusi in atto e garantire i «pieni diritti di cittadinanza» ai Rohingya.





https://www.facebook.com/lastampa.it/po ... 7420110389

Marwan Sabha
In Myanmar, un paese a maggioranza buddista che un tempo si chiamava Birmania, vivono oltre un milione di musulmani, i Rohingya. Ci vivono da lungo tempo, ma non vengono riconosciuti come cittadini e li si considera immigrati privi di diritti. Vengono discriminati e sono oggetto di una repressione dura e indiscriminata.
Purtroppo l'esclusione e la discriminazione nei confronti di chi è diverso non è monopolio di una sola cultura o di una sola religione. Condanniamo giustamente l'intolleranza del radicalismo islamico nei confronti dei cristiani, ma in questo caso i musulmani sono gli oppressi, mentre gli oppressori appartengono alla religione che più viene associata alla pace e alla comprensione universale: il buddismo. Tutte le religioni hanno avuto storicamente una versione intollerante, quando non fascista, e il buddismo evidentemente non fa eccezione.



Alberto Pento
La Birmania non è terra islamica e i birmani non sono mussulmani, si abbia rispetto per i birmani e per i loro diritti umani. Gli islamici portatori di guerra, di discriminazione, morte, terrore e orrore, giustamente non li vuole nessuno e a ragione. I birmani buddisti non sono oppressori, si difendono soltanto e non hanno nemmeno un torto; il loro diritto a vivere in pace senza i mussulmani è superiore ad ogni altra considerazione. Far entrare la morte in casa è da dementi e contro ogni buon senso universale. Nel mondo, da quando esiste l'Islam ovunque sia arrivato, ha portato morte e distruzione, orrore e terrore e ogni altro diversamente religioso è stato sterminato o costretto a convertirsi o ad andarsene dal suo paese perdendo tutti i suoi beni.

Sebastiano Sarcià ha scritto più avanti: "In merito ai musulmani Rohingya i buddhisti birmani raccontano un'altra storia. Dicono che sono arrivati da profughi e si comportano da invasori: Non intendono integrarsi, non rispettano, ma disprezzano la cultura e la religione del popolo che li ospita (in questo caso il Buddhismo, che per loro è paganesimo da combattere), rapiscono ragazze e ci possiamo immaginare il seguito, profanano e distruggono templi buddhisti, bruciano vivi monaci ecc. ecc. NON da ieri, ma da SECOLI. Così dicono i Buddhisti, ma anche Indù, Zoroastriani, Cristiani, Ebrei ecc.."

Io aggiungo:
Se questa gente muore io non verso una lacrima.
Io non rido, per la morte di questo bambino (come in altri casi fanno sempre tanti islamici quando muoiono bambini cristiani, ebrei, yazidi, indù, ...) però nemmeno piango; le mie lacrime vanno per i bambini cristiani, yazidi, ebrei, ed altri, massacrati dai mussulmani da sempre e ovunque nel mondo.

Dove sono finiti i milioni di ebrei, cristiani, zoroastriani, politeisti e tanti altri diversamente religiosi che c'erano nei paesi oggi mussulmani ? I buddisti della Birmania, gli ebrei di Israele e anch'io nella mia terra veneta non vogliamo fare la stessa fine. Via gli islamici, via il nazismo islamico e via anche i loro complici e protettori! Altro che Hitler e i nazisti!

Il cristianismo non è come l'islamismo. L'ebreo Cristo non è stato come l'arabo Maometto e i primi ebrei cristiani non sono stati come i primi arabi mussulmani o maomettani. Cristo non ha mai ucciso e mai ha ordinato di uccidere, così hanno detto e fatto per secoli anche i suoi apostoli e discepoli ebrei e poi non ebrei; Maometto invece ha ucciso centinaia di persone innocenti e ha ordinato ai suoi seguaci di uccidere migliaia di altre persone e così i suoi discepoli e apostoli e seguaci hanno fatto sempre e così continuano a fare anche oggi. È falso e criminale affermare che tutte le religioni sono uguali. Santificare Maometto e l'Islam quale religione di pace e amore è un crimine contro l'umanità, sarebbe come santificare Hlitler e il nazismo. L'Islam è il nazismo mafioso dell'umma e la sua essenza è il disprezzo razzista l'odio per tutti i non mussulmani, va perseguito sia anche con le leggi antimafia che con la Legge Mancino.

Poi non si confonda la spiritualità ed il sacro con la religiosità e le religioni con i loro culti e le loro credenze e fedi: si può essere spirituali senza essere religiosi e si può essere religiosi senza spiritualità; la spiritualità non è monopolio di alcuna religione o delle religioni, di qualche libro o di qualche uomo detto profeta a cui D-o si sarebbe rivelato; e allo stesso modo non si confonda D-o con gli idoli delle varie religioni che hanno l'assurda pretesa di essere D-o, poiché nessuna interpretazione umana del divino e nessuna particolare rivelazione è D-o.
La spiritualità è data per natura, è connaturata alla vita, al Creato e a tuttI gli esseri viventi e non, e non è un portato di qualche persona invasata o toccata da D-o chiamata profeta; D-o creatore di tutte le cose del Creato non ha bisogno di nessuno per essere presso gli uomini poiché egli è da sempre in ogni cosa, in ogni luogo e in ogni creatura. Quindi colui o coloro che vanno per il mondo a raccontare che il loro idolo è D-o sono soltanto dei bugiardi idolatri e se il loro racconto è accompagnato dalla violenza per renderlo vero e costringere gli altri ad accettarlo per vero è un crimine contro l'umanità e una bestemmia contro D-o. Costoro non sono uomini spirituali ma dei semplici criminali che coprono i loro crimini con una religiosità che nulla ha di spirituale.

Mi permetto di far presente ai cristiani cattolico romani che portare un imam in chiesa e mettere il Corano sull'altare accanto alla Bibbia e ai Vangeli forse è peggio che portare la statua della Madonna davanti la casa di un mafioso durante una processione paesana.
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » ven gen 06, 2017 9:37 am

Birmania, la strage silenziosa dei bimbi Rohingya
25 NOVEMBRE 2012 | di Monica Ricci Sargentini
http://lepersoneeladignita.corriere.it/ ... i-rohingya

Il massacro è avvenuto alla fine di ottobre ed è passato del tutto inosservato in Italia. Eppure 28 bambini uccisi, di cui 13 minori di 6 anni è sicuramente una notizia. Ma di quel piccolo lembo di terra lontano devastato dalle violenze etniche forse non ci vogliamo occupare o preoccupare. Stiamo parlando dello Stato birmano di Rakhine, al confine con il Bangladesh, dove gli scontri di tra buddisti Rakhine e musulmani Rohingya hanno causato circa 200 morti e lasciato 110mila persone senza casa, la maggior parte dei quali islamici. Ieri sul Times si poteva leggere il bel reportage di Kenneth Denby dal titolo: “Nel villaggio in cui sono stati massacrati degli innocenti”. Il giornalista è riuscito ad entrare Yin Thei dove alla fine di ottobre è avvenuta la strage. Il suo racconto lascia senza fiato: madri che scappano con i neonati in braccio, buddisti armati di coltelli che sgozzano senza pietà i bambini, le case che bruciano, le terribili ferite dei sopravvissuti. “Molti di noi sono riusciti a fuggire – ha raccontato a Denby il capovillaggio – ma gli anziani e le madri con i bambini non potevano correre velocemente. Il più piccolo a morire aveva pochi mesi. Nessuno è stato risparmiato”.

È dallo scorso maggio (come avevamo raccontato in questo post) che nella regione si registrano forti tensioni. Ad innescare gli scontri è stato l’arresto di tre Rohingya per lo stupro di una donna buddista cui sono seguite le violenze e le persecuzioni della comunità musulmana. Qualche giorno fa anche il presidente Obama durante la sua breve visita in Birmania ha detto chiaramente che non ci poteva essere “nessuna scusa” per gli orrori che stanno accadendo a Rakhine.

Una situazione di tensione creata dallo stesso governo che negli anni Novanta ha trasferito con la forza decine di migliaia di rohingya dallo stato di Rakhine. Nonostante si sia impegnato a rispettare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, le autorità birmane continuano a negare ai bambini e alle bambine rohingya il diritto alla cittadinanza, che pregiudica il godimento di tutta una serie di altri diritti: all’educazione, al lavoro, alla salute, alla vita familiare. Da molti anni, le organizzazioni per i diritti umani chiedono al governo di Myanmar di porre fine alla discriminazione di stato nei confronti dei rohingya, che alimenta il disprezzo e il pregiudizio nei loro confronti.

Per cominciare bisogna porre rimedio all’emergenza umanitaria. Nei giorni scorsi le Nazioni unite hanno lanciato un appello per la raccolta di almeno 41 milioni di dollari necessari per coprire fino a giugno 2013 i bisogni nello Stato di Rakhine. L’annuncio è arrivato da Ashok Nigam, coordinatore umanitario dell’Onu, secondo cui i donatori hanno già stanziato 27 milioni di dollari. Dal canto suo il ministro birmano per gli Affari di confine, il tenente generale Thein Htay, ha promesso una consegna degli aiuti rapida e senza intoppi, aggiungendo che gli operatori umanitari non subiranno intimidazioni. Una promessa che speriamo sia mantenuta.



20 morti negli scontri tra musulmani e buddisti in Birmania
Le foto degli scontri nati da un banale litigio tra un orefice e un cliente, un quartiere islamico è stato distrutto
22 marzo 2013

http://www.ilpost.it/2013/03/22/scontri ... birmania-2

Mercoledì 20 marzo a Meikhtila, a nord di Rangoon, in Birmania, sono scoppiati dei violenti scontri tra buddisti e musulmani che hanno causato 20 morti e decine di feriti. Secondo fonti locali il numero delle persone uccise potrebbe essere più alto.

Win Htein, un deputato della Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi, ha detto che la situazione continua ad essere molto tesa anche nella giornata di oggi e che per questo motivo è stato imposto il coprifuoco. All’origine dei disordini ci sarebbe un banale litigio tra un venditore d’oro di origini islamiche e un cliente buddista: i due hanno iniziato a discutere sul prezzo di un oggetto attirando l’attenzione della folla, e la situazione è rapidamente degenerata. La morte di un monaco nella lite ha poi scatenato la rabbia della comunità buddista che in poche ore ha distrutto il quartiere musulmano di Meikhtila, incendiando numerosi edifici, tra cui decine di case di musulmani, una scuola coranica, cinque moschee e un importante edificio governativo, impedendo alla polizia di spegnere gli incendi e costringendo centinaia di persone a lasciare le proprie case.

La tensione tra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana è ancora molto alta in Birmania, dopo gli scontri dello scorso anno nello stato occidentale di Rakhine: nella regione a maggio 2012 fu imposto il coprifuoco, dopo che una donna buddista fu stuprata e uccisa da un musulmano, portando una catena di ritorsioni tra i due gruppi e causando centinaia di morti e più di 100 mila sfollati. Gli 800 mila musulmani Rohingya che vivono in Birmania vengono considerati immigrati irregolari dal governo e sono per questo molto spesso oggetto di abusi e persecuzioni.



Bangladesh, bruciati i templi buddisti “La foto su Facebook offende il Corano”
Migliaia di musulmani si scagliano contro edifici religiosi e case a Ramu
http://www.lastampa.it/2012/09/30/ester ... agina.html

Migliaia di musulmani hanno incendiato oggi templi buddisti ed abitazioni nel sud est del Bangladesh dopo la pubblicazione su Facebook di una foto giudicata offensiva nei confronti del Corano.
Una folla di 25mila persone ha dato fuoco ad almeno cinque templi buddisti e a centinaia di case nella città di Ramu e i villaggi circostanti, a circa 350 chilometri dalla capitale Dacca, ha detto alla France Presse il responsabile del distretto, Joinul Bari.



In Indonesia musulmana bruciato templi buddisti
30th July 2016
http://www.meganewsweb.com/it/news/brea ... skie-hramy
Un incendio ha colpito anche auto e moto.
Nella provincia indonesiana di Sumatra Settentrionale musulmani hanno bruciato cinque templi buddisti e due monasteri a Tanjung Balai, riferisce l'edizione locale Tempo.

I disordini sono iniziati dopo che un residente, etnico cinese, si è lamentato che gli impedisce di forte chiamata alla preghiera della moschea, situata di fronte alla sua casa. Informazioni circa l'incidente ha colpito i social network, dove invaso le voci false.
Dopo questa mentalità aggressiva musulmani venuti a casa di cinese, hanno danneggiato la proprietà a lui. E poi si sono messi a fuoco i templi buddisti. Un incendio ha colpito anche auto e moto. Si dice che le vittime a causa di un incidente. Per calmare la rivolta, sono stati attratti da una forza di polizia e militari.





Birmania, scontri tra esercito e militanti musulmani
Otto morti
13 novembre 2016
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/a ... 572e2.html

Nuovi scontri tra l'esercito birmano e presunti militanti musulmani di etnia Rohingya hanno causato otto morti ieri nel nord dello stato occidentale Rakhine, nell'ultima serie di violenze che da un mese avvengono nell'area al confine con il Bangladesh. Lo riportano oggi i media statali birmani, aggiungendo che le autorità hanno arrestato 36 persone. Secondo il quotidiano 'Global New Light of Myanmar', una sessantina di militanti armati di armi da fuoco, lance e coltelli hanno attaccato un gruppo di soldati, che ha risposto al fuoco e ha dovuto chiamare degli elicotteri di rinforzo per respingere l'attacco. Le violenze nell'area sono iniziato lo scorso 9 ottobre, quando un gruppo di Rohingya ha assaltato diverse postazioni delle forze di sicurezza, riuscendo a portar via centinaia di armi da fuoco. Da allora, le autorità hanno chiuso la zona a giornalisti e operatori umanitari, intensificando la presenza dell'esercito. Secondo l'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch, immagini satellitari mostrano un'estesa distruzione di villaggi di Rohingya nell'area nell'ultimo mese. La zona è abitata in larga parte dalla minoranza musulmana, che secondo diverse stime conta un milione di persone. Le recenti violenze costituiscono la più grave crisi nel Rakhine dalle violenze settarie del 2012, quando attacchi reciproci sfociarono in veri e propri pogrom anti-musulmani, che provocarono almeno 200 morti e costrinsero 140mila Rohingya a cercare rifugio in squallidi campi di sfollati che esistono tuttora. Nonostante la pressione internazionale sul nuovo governo formato da Aung San Suu Kyi, le autorità birmane continuano a ignorare le richieste di maggiori diritti della comunità Rohingya, privati della cittadinanza e considerati dai birmani niente più che immigrati clandestini provenienti dal Bangladesh.
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » ven gen 06, 2017 9:40 am

Gli islamici bengalesi a Venezia e nel Bangladesh
viewtopic.php?f=188&t=2055

Dove arriva l'Islam, se diventa forte minoranza o maggioranza distrugge quei paesi
viewtopic.php?f=188&t=1895

Islam e persecuzione e sterminio dei cristiani
viewtopic.php?f=181&t=1356
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » ven feb 10, 2017 7:13 am

???

Papa Francesco si schiera a fianco dei «fratelli migranti musulmani»
di Franca Giansoldati
Mercoledì 8 Febbraio 2017

http://www.ilmessaggero.it/index.php?p= ... o&start=15

Città del Vaticano Il Papa si schiera a fianco dei “fratelli migranti musulmani” e lancia un appello internazionale al termine dell'udienza generale. "Preghiamo per tutti i migranti sfruttati e umiliati. Preghiamo in modo speciale per i nostri fratelli 
Rohingya, che sono cacciati dal Myanmar gente pacifica: non sono cristiani, sono buoni, fratelli e sorelle nostri". Poi ha chiesto ai presenti nell'Aula Paolo VI di pregare e si è messo a recitare il Padre Nostro.

“È da anni - ha ricordato - che questi fratelli soffrono, torturati, uccisi semplicemente per portare avanti le 
loro tradizioni, la loro fede musulmana". "Preghiamo insieme il Padre Nostro per loro, i nostri fratelli Rohingya".

I Rohingya sono un gruppo etnico di fede musulmana che risiede principalmente nel nord dello stato birmano del Rakhine, al confine con il Bangladesh, e non è riconosciuto come minoranza dalla Birmania (Myanmar). La crisi umanitaria è scoppiata nel 2012 quando hanno subìto violenti attacchi da parte della maggioranza buddista. Le autorità birmane sono accusate di non essere intervenute per fermare le violenze, che hanno spinto sempre più Rohingya a scappare. A peggiorare la situazione è intervenuta la politica di respingimento adottata da Thailandia, Malesia e Indonesia.


Papa Francesco: “Pregare per i musulmani birmani perseguitati per la loro fede”
Michele M. Ippolito 8 febbraio 2017

http://www.lafedequotidiana.it/papa-fra ... ti-la-fede

Papa Francesco ha invitato oggi a pregare per i Rohingya, “cacciati via dal Myanmar, che vanno da una parte all’altra perché nessuno li vuole. È gente buona, pacifica: sono buoni, sono fratelli e sorelle! È da anni che soffrono: sono stati torturati, uccisi, semplicemente per portare avanti la loro tradizione, la loro fede musulmana”.

I Rohingya sono una minoranza musulmana, circa 1 milione 100mila persone che vivono nello Stato Rakhine nel nord del Myanmar (Birmania), Paese a maggioranza buddista. Nonostante dallo scorso anno il Paese sia governato dal partito della leader birmana e Premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi, queste popolazioni subiscono da anni la repressione delle forze di sicurezza, con gravi violazioni dei diritti umani che li costringono alla fuga. Negli ultimi mesi almeno 65mila persone sono fuggite verso il Bangladesh, ma nessuno vuole accogliere queste imbarcazioni piene di disperati. Si parla anche di un’isola dove confinarli.

Da un report pubblicato di recente dall’ufficio dei diritti umani delle Nazioni Unite circa 220 testimoni hanno raccontato di “uccisioni di bambini, donne e anziani, stupri e violenze sessuali sistematiche e su larga scala, distruzione intenzionale di cibo e fonti di sostentamento”, tanto da far temere una sorta di pulizia etnica. Gli abusi nei confronti dei Rohingya hanno origine da 50 anni di dura dittatura militare (l’esercito controlla ancora il 25% del parlamento, i tre ministeri della Difesa, Interni, Affari di Confine e il Consiglio per la Difesa e la Sicurezza nazionale) che ha sempre represso le minoranze etniche buddiste e musulmane per raggiungere i suoi scopi, tra cui lo sfruttamento delle ricchezze naturali. Dopo un picco di violenze nel 2012 circa 100mila Rohingya già vivevano abbandonati nei campi profughi, senza alcun diritto all’istruzione, alla salute, alla cittadinanza.

L’ulteriore escalation di repressione nei loro confronti è dovuta all’intensificarsi delle azioni militari del gruppo armato musulmano Harakah al-Yaqin Hay, che ha rafforzato la sua presenza nei villaggi Rohingya, facendo proselitismo e azioni di guerriglia. Il conflitto con l’esercito si è quindi inasprito dal 9 ottobre 2016, con scontri che hanno coinvolto miliziani Rohingya, tra cui alcuni provenienti dall’Arabia Saudita. Ma la rabbia nasce dalle disumane condizioni di vita in cui sono costrette queste popolazioni: nello Stato Rakhine, dove vivono 3 milioni di persone, il tasso di povertà tocca il 78%. Non c’è elettricità, pochissime le infrastrutture e le scuole, non c’è lavoro. (SIR)



Vergognate Bergojo, ła xente ła fa ben a pararli via, sti muxlim no łi ga creansa par nesuni. Mi prego parké el diavoło el se łi toga. Pensa ai cristiani persegoità ente tuti i paexe xlameghi, endoe k'a ghè el nasixmo maometan.
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » lun giu 05, 2017 8:15 pm

Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
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Filippine, battaglia strada per strada a Marawi: "L'Isis vuole conquistare la città"
L'esercito di Manila sta combattendo contro alcune decine di militanti del gruppo Maute, che ha giurato fedeltà ad al-Baghdadi, e che cerca di insediare un emiro a capo del "califfato" di Lanao. Ed è allarme senza precedenti per il tentativo ormai ripetuto di stabilire un’area franca sotto l’egida dell’Isis in una delicata provincia dell’arcipelago a maggioranza cattolica
di RAIMONDO BULTRINI
23 maggio 2017

http://www.repubblica.it/esteri/2017/05 ... -166224382

Soldati inviati da Manila nel sud del paese
Nel sud delle Filippine un gruppo alleato dello Stato islamico sta combattendo armi in pugno per stabilire il califfato di Lanao al comando di un “emiro”. La battaglia è ancora in corso nella città di Marawi, capitale dell’omonima provincia, tra l’esercito di Manila e alcune decine di militanti del gruppo Maute, ex membri del Fronte islamico Moro affiliati all’IS e alleati dei terroristi-sequestratori di Abu Sayyaf.

Anche se non accade niente di paragonabile agli scenari di guerra di Mosul, l’assalto su larga scala contro il carcere cittadino, dato alle fiamme, l’ospedale generale, diversi edifici governativi e una serie di altri obiettivi, ha provocato devastazioni e un numero imprecisato di feriti tra la popolazione civile. Ma ha soprattutto creato un allarme senza precedenti per il tentativo ormai ripetuto di stabilire un’area franca sotto l’egida dell’Isis in una delicata provincia dell’arcipelago a maggioranza cattolica.

Le autorità hanno invitato la popolazione a mantenere la calma e a denunciare ogni movimento sospetto attorno alle loro case, mentre altre truppe stanno raggiungendo l’area degli scontri per difendere ed evacuare gli abitanti sotto minaccia oltre a liberare le strade dai militanti che secondo alcuni testimoni hanno anche issato bandiere dell’Is su qualche tetto.

Non è la prima impresa attribuita alla formazione che porta il nome del suo fondatore, Abdullah Maute. Per celebrare l’alleanza con i fratelli di fede in Siria, il Maute assaltò nel novembre scorso una scuola di Butig, dove venne per la prima volta issata la famigerata bandiera nera su territorio filippino, oltre a occupare una moschea e altri obiettivi della città che ospita il quartier generale del gruppo, il califfato di Lanao e il Fronte islamico Moro, gestiti da vere e proprie famiglie di militanti legate da antichi vincoli di sangue e di matrimonio, anche se spesso in contrasto tra loro sulle strategie dei sequestri e della lotta armata.

I portavoce dell’esercito e della polizia hanno dichiarato che i nuovi attacchi di Marawi, dove una buona parte della popolazione è fuggita dal fuoco incrociato lasciando le strade semideserte, sarebbero guidati personalmente da Isnilon Hapilon, 50 anni, già comandante di Abu Sayyaf e da poco autoproclamato “emiro” dei guerrieri islamici di Lanao. Dal gennaio scorso l’IS ha riconosciuto il suo gruppo, formato da 100 o 200 uomini, come un membro effettivo e rappresentante ufficiale nel Sud est asiatico, dopo che nell’aprile del 2016 tutti i “Maute” hanno promesso la loro fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi. Ma solo a novembre, dopo ripetuti dinieghi, il governo di Manila ha ammesso i legami tra militanti filippini e IS con un discorso in tv del presidente Duterte, a sua volta appena reduce da un attentato compiuto proprio a Butig contro la sua scorta, con 9 guardie speciali ferite poco prima del suo arrivo.

Come nel caso dei sospetti sul nucleo di ex guerriglieri addestrati in Siria o Iraq e rientrati a Manchester e in Inghilterra, anche parte dei militanti del califfato di Lanao sarebbero reduci recenti dai campi dell’IS. L’ipotesi è confermata dalle intelligence straniere e dalle indagini degli esperti filippini, anche se il numero dei militanti armati effettivi resta incerto, come lo sono i legami tra Maute, Abu Sayyaf, irriducibili del Fronte Moro contrari agli accordi di pace col governo e Jemaah Islamiyah, la più grande formazione islamica del Sud Est con base in Indonesia e ambizioni altrettanto forti di formare un califfato pan-asiatico.

Secondo la ministra degli Esteri australiana Julie Bishop i militanti sudorientali di ritorno dai campi di battaglia in Iraq e Siria sarebbero almeno 600. “C'è la preoccupazione reale – disse due mesi fa di ritorno da un vertice antiterrorismo negli Usa - che IS possa cercare di dichiarare un califfato islamico nelle Filippine meridionali".

Per questo nessuno sottovaluta gli incidenti di questi giorni a Marawi, nonostante la confusione sulle dimensioni reali del conflitto ancora in corso, che potrebbe coinvolgere anche Cagayan de Oro, Butig e altre località comprese nel nascente e ancora sconosciuto “emirato di Lanao”.



Filippine, militanti Isis assediano la città di Marawi: 21 morti, scontri a fuoco nelle strade e gruppo di cattolici in ostaggio
25 maggio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... io/3613895


Il capo della polizia decapitato, edifici governativi presi d’assalto, una cattedrale data alle fiamme, il prete e una dozzina di fedeli cattolici presi in ostaggio: le Filippine sono piombate nel caos per la guerriglia portata avanti da alcuni militanti affiliati all’Isis. E il presidente Rodrigo Duterte, eletto nel 2016, ha proclamato la legge marziale nel sud del Paese, promettendo di usare il pugno di ferro contro la crescita dell’estremismo islamico, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale. “Sarò duro”, ha affermato il presidente, tracciando un collegamento tra la sua legge marziale e quella dell’ex dittatore Ferdinand Marcos e dicendosi pronto a tenerla in vigore per un anno, senza escludere di estenderla da Mindanao a tutto l’arcipelago a maggioranza cattolica se la minaccia islamica dovesse propagarsi.

La crisi è scoppiata martedì 23 maggio a Marawi, una città di 200mila abitanti nell’isola di Mindanao, dopo un blitz fallito dell’esercito per mettere le mani su Isnilon Hapilon, comandante del gruppo ribelle Abu Sayyaf e considerato tra i terroristi più pericolosi del Paese. I miliziani hanno chiamato i rinforzi del gruppo islamico Maute, che ha giurato fedeltà all’Isis. Decine di uomini armati hanno assaltato diversi edifici tra cui un carcere e una chiesa, a cui hanno appiccato il fuoco. Un sacerdote e almeno altre 13 persone tra fedeli e personale della chiesa sono state prese in ostaggio, con la minaccia di ucciderli se l’esercito non interromperà l’offensiva. Si contano almeno 21 morti, tra cui 12 militanti islamici, negli scontri con l’esercito, e migliaia di residenti hanno ormai abbandonato le proprie case mentre proseguono le operazioni militari per riprendere il controllo delle aree occupate dai combattenti, che continuano ad avere 13 persone sotto ostaggio.

L’esplosione di violenza ha sorpreso Duterte mentre si trovava in visita a Mosca per incontrare Putin. Il leader è tornato in patria mercoledì, dicendosi pronto a combattere gli estremisti e proclamando la legge marziale a Mindanao. Già nei mesi scorsi Duterte aveva lanciato un’offensiva contro alcuni piccoli gruppi islamici radicali che avevano giurato fedeltà all’Isis, con scontri nelle campagne che avevano causato decine di morti. La prospettiva della legge marziale era stata evocata più volte: “Vi avevo detto di non costringermi a farlo”, ha dichiarato mercoledì. “Se volete morire, morirete. E se molte persone dovessero morire, che sia così”.

“Non è escluso” che la legge marziale proclamata a Mindanao possa essere estesa a tutto il Paese se la minaccia dell’Isis si dovesse diffondere al resto dell’arcipelago. Ma il presidente ha aggiunto che non permetterà abusi del provvedimento. Per quanto l’opinione pubblica cattolica sia fermamente ostile al pericolo di infiltrazione dell’Isis, il provvedimento è storicamente associato agli abusi dei diritti umani perpetrati dal regime di Marcos. Il predecessore di Duterte, Benigno Aquino, non proclamò la legge marziale quando dovette fronteggiare una simile situazione a Zamboanga, nel cui assedio morirono 200 persone. Ma l’attuale presidente ha già dimostrato di essere pronto a tutto per far fronte alle minacce: nella sua crociata contro la droga e il crimine sono già morte 9mila persone.



Filippine, l’Isis controlla una città di 200 mila abitanti
Ottocento jihadisti occupano Marawi: chiese bruciate e bandiere nere
25/05/2017
giordano stabile
http://www.lastampa.it/2017/05/25/ester ... agina.html

Con un blitz a sorpresa i gruppi jihadisti filippini alleati con l’Isis hanno occupato la città di Marawi, 200 mila abitanti, nell’isola meridionale di Mindanao. Le formazioni Abu Sayyaf e Maute si sono unite per formare un battaglione di “500-800 combattenti”, secondo stime locali. Sono armati con moderni fucili mitragliatori, armi pesanti, fuoristrada.

Gli islamisti hanno cacciato la polizia locale, ucciso numerosi agenti, occupato l’ospedale principale, assaltato e distrutto la prigione, issato la bandiera nera sugli edifici governativi del distretto. Poi hanno assaltato la Cattedrale di Nostra Signora, dato alle fiamme l’edificio e sequestrato il sacerdote Teresito Sugano, assieme a 13 fedeli, come ha confermato la Conferenza episcopale delle Filippine.

Il governo del presidente Rodrigo Duterte ha reagito con l’imposizione della legge marziale, ha chiesto a tutta la popolazione di chiudersi in casa. Le forze speciali della 103esima brigata, unità di élite per il controterrorismo, stanno per dare l’assalto ai check-point islamisti nei sobborghi della città e nei villaggi circostanti.


Mindanao: l’esercito filippino controlla gran parte di Marawi
29 maggio 2017
(con fonte AsiaNews)


http://www.analisidifesa.it/2017/05/min ... -di-marawi

Le forze armate filippine hanno dichiarato di avere assunto il controllo della maggior parte della città di Marawi, città islamica nell’isola di Mindanao di circa 200mila abitanti, dove militanti armati legati allo Stato islamico hanno lanciato un sanguinoso assedio quasi una settimana fa. Il 23 maggio avevano incendiato la cattedrale cattolica e rapito alcune persone.

Ernesto Abella, portavoce presidenziale, ha dichiarato oggi che solo alcune piccole aree della città rimangono sotto il dominio di un numero imprecisato di guerriglieri Maute e jihadisti di Abu Sayyaf, gruppo che aveva già aderito ad al-Qaeda.

I combattimenti a Marawi (video) si sono intensificati dal momento che i miliziani oppongono una strenua resistenza, inaspettata dal comando filippino, sfidando i militari che hanno schierato elicotteri, UH-1H e pribabilmente AW-109, mortai e obici da 105 millimetri, veioli blindati V-150 e GKN FS-100 Simba e migliaia di soldati.

I vertici militari hanno disposto ieri i primi attacchi aerei per respingere i terroristi, mentre centinaia di civili hanno agitato drappi bianchi dalle proprie abitazioni per segnalare la loro presenza all’aviazione filippina. La Regione autonoma del Mindanao musulmano ha riferito che, a partire da sabato, 42.142 persone sono fuggite dalle loro case.

Circa 30.600 persone si trovano nei centri di evacuazione, mentre altre 11.500 hanno trovato rifugio dai parenti fuori Marawi. Circa 2.200 abitanti sono invece segnalati in città, intrappolati nei combattimenti.

Nel frattempo, i soldati hanno proseguito le operazioni porta a porta per stanare i jihadisti e le autorità hanno comunicato ieri il ritrovamento di 19 cadaveri nelle strade della città. Tra questi vi erano i corpi di otto civili, comprese tre donne e un bambino, giustiziati dai terroristi.

Dall’inizio delle ostilità sale così a 97 il numero delle vittime. Hanno perso la vita 19 civili, 13 soldati, quattro poliziotti e 61 membri del gruppo Maute e Abu Sayyaf. Tra questi ultimi, sei combattenti sono stranieri, indonesiani e malaysiani.

Le violenze a Marawi sono scoppiate lo scorso 23 maggio, quando l’esercito filippino ha tentato la cattura di Isnilon Hapilon, leader islamico estremista. Attaccati dalle forze governative, Hapilon e più di una dozzina dei suoi uomini hanno trovato il sostegno dei guerriglieri Maute e in circa 50 sono riusciti ad entrare nella città.

Hapilon è riuscito a scappare e i combattenti a lui fedeli hanno occupato alcune parti di Marawi, bruciando edifici, tra cui la cattedrale e facendo 14 ostaggi, compreso padre Teresito “Chito” Suganob. Le loro condizioni sono al momento sconosciute.

Nei giorni scorsi si è diffusa la notizia, non confermata, della liberazione del sacerdote. Una fonte di AsiaNews a Mindanao dichiara che “le notizie da Marawi sono molto confuse, ma la liberazione di padre Chito, conosciuto e rispettato dai musulmani locali, è credibile. Per quanto riguarda i tre impiegati della chiesa e i 10 fedeli, l’intenzione dei guerriglieri è quella di usarli come scudi umani e avere un maggior margine di trattativa con il governo”.

Hapilon, comandante dei guerriglieri di Abu Sayaaf, nel 2014 è stato nominato emiro dallo Stato islamico, quando ha giurato fedeltà ad al Baghdadi. I Maute sono uno dei nuovi gruppi armati filippini di stampo islamista che hanno sposato l’ideologia del Califfato siglando con altri gruppi nel sud delle Filippine un’alleanza, della quale si ritiene Hapilon sia il leader e promotore.

Le violenze hanno spinto il presidente Rodrigo Duterte a dichiarare la legge marziale per 60 giorni nel sud del Paese, dove da decenni è in corso una ribellione della minoranza musulmana, che rappresenta circa il 20% della popolazione filippina. Nei mesi scorsi il presidente aveva paventato la possibilità di imporre il provvedimento qualora i ribelli avessero tentato azioni violente.

L’amministrazione Duterte, da un lato cerca di condurre dei colloqui di pace con i ribelli islamici, dall’altro ha dato mandato all’esercito di distruggere la rete dei gruppi armati minori, legati allo Stato islamico. Di fronte alla decisione di Duterte, i gruppi di attivisti per i diritti civili e l’opposizione esprimono i propri timori che i poteri derivanti dalla legge marziale possano condurre il Paese verso una deriva autoritaristica.

Tuttavia, un’altra fonte di AsiaNews afferma: “I critici ritengono che queste violenze siano solo un pretesto, ma la maggioranza della popolazione sostiene la presa di posizione di Duterte. Nell’ultimo anno l’isola di Mandanao è diventata un luogo di addestramento per gli islamisti, filippini e stranieri, e gli abitanti sono molto spaventati. Crescono infatti gli episodi di intolleranza nei confronti dei cristiani, anche se il governo non ne parla”.

Ad aumentare le paure sono però le dichiarazioni del presidente, che lo scorso 28 ha affermato che ignorerà il parere della Corte Suprema e del Congresso, qualora non venisse accordato il prolungamento del periodo di legge marziale.

“Fino a quando le forze armate non dicono che le Filippine sono al sicuro, questa legge marziale continuerà. Non voglio ascoltare altri. I giudici della Corte Suprema, i congressisti, non sono qui”, ha detto Duterte in un discorso ai soldati.

La Costituzione del 1987 impone limiti alla legge marziale per impedire una ripetizione degli abusi effettuati sotto il regime del dittatore Ferdinand Marcos, deposto nel 1986 dalla rivoluzione di Edsa People Power.

La Costituzione richiede che il Congresso approvi la dichiarazione della legge marziale e limita la regola militare a 60 giorni. Se il presidente vuole estendere la durata della legge marziale, deve nuovamente ottenere l’approvazione del Congresso.


Guerra nelle Filippine. L'estremismo islamico avanza ma i media occidentali se la prendono con Duterte
(di Giampiero Venturi)
30/05/17

http://www.difesaonline.it/geopolitica/ ... ccidentali

L'isola di Mindanao è per tradizione l’isola “diversa” della Repubblica delle Filippine e per evidenza il tallone d’Achille della sua stabilità. Grande un terzo dell’Italia e tra le dieci isole più popolose del mondo, è da decenni il covo del separatismo islamico e dell’opposizione alla supremazia cristiano-cattolica di Manila.

L’attacco all’unità del Paese e alle sue radici è più forte nella Regione Autonoma del Mindanao Musulmano, territorio speciale di 5 province a cui si aggiunge la città autonoma di Marawi. La storia dell’attrito è lunga ma le evoluzioni recenti meritano un’attenzione particolare.

La galassia delle milizie islamiche filippine ha ruotato fin dagli anni ‘70 intorno al Fronte di Liberazione Islamico Moro ma nell’ultimo ventennio è rimasta attratta dai metodi più spiccioli di Abu Sayyaf, milizia operativa dal ‘91 e intenzionata ad allargare la pressione islamista a tutto il Sudest asiatico.

L’arrivo nel 2013 del gruppo Maute (scissionista dal Fronte Islamico impegnato in colloqui col governo) e la sua scelta successiva di affiliarsi all'ISIS, ha ufficialmente trasformato la jihad filippina da focolaio locale a problema internazionale. Messo alle corde in Medio Oriente, lo Stato Islamico appare dunque ancora capace di proiettare fascino e rigenerare il progetto fondamentalista in altre parti del mondo, tra cui sembra spiccare proprio l’Asia.

Agli attacchi sistematici ma circoscritti contro le forze armate e la polizia, sono seguiti atti di vera e propria insorgenza militare sfociata il 23 maggio in guerra aperta.

500 miliziani islamisti hanno occupato Marawi, città di 200.000 abitanti, a cui è seguita la reazione dei militari di Manila.

A Mindanao lo schiermento di forze filippine è imponente: oltre alle 1a, 4a, 6a e 10a Divisione di fanteria dell’esercito (tutte impegnate contro la guerriglia separatista nell’isola) vanno considerate le forze speciali tra cui il 1° Reggimento, il Light Reaction Regiment e i Rangers, tutti derivazione della Delta Force USA e coordinati direttamente dal Comando Operazioni Speciali di Manila. A questi si aggiungono i ”seals” della marina filippina e il 710° Squadrone Operazioni Speciali delle forze aeree.

Lo sforzo è immenso e si è concretizzato negli ultimi giorni in un intervento accompagnato da bombardamenti aerei e da operazioni mirate condotte con elicotteri.

Le notizie che Reuters rimbalza in queste ore da quotidiani locali, parlano di recupero dell’80% della città da parte dei governativi grazie ad un’operazione di rastrellamento che ha portato alla luce esecuzioni di civili e violenze inenarrabili da parte dei miliziani islamici. Gli scontri sarebbero tuttavia ancora in corso.

Mindanao non è solo importante per l'unità della Repubblica delle Filippine ma è strategica per tutto il Sudest asiatico. La presenza di combattenti stranieri è già stata segnalata tra i miliziani integralisti filippini e l'insorgenza islamista appare in evidente progressione in tutta la regione: Malesia, Brunei, Indonesia (più grande paese islamico al mondo) Singapore, Tailandia sono interessati al fenomeno e rischiano di divenire parte di un dinamismo integralista continentale. Fondamentalismo e jihad hanno già trasformato il subcontinente indiano (Bangladesh), l’Asia centrale (Uzbekistan, Kirghizistan) e la Cina occidentale (Xinjiang) in serbatoi di reclutamento per il terrorismo internazionale islamico. L'apertura di ulteriori fronti potrebbe innescare una spirale incontrollabile, soprattutto alla luce del fatto che il Sudest asiatico è caratterizzato da un'enorme pressione demografica e da infiniti disagi sociali.

L'Islam radicale è un pericolo quindi per l'Asia sudorientale?

La risposta è sì, ma ovviamente in Occidente le preoccupazioni sono altre.

Anziché puntare i riflettori sulle esecuzioni di massa, sulle violenze e sulle prospettive legate all'avanzata islamista, i media occidentali preferiscono soffermarsi sulle pesanti dichiarazioni del presidente filippino Duterte e sui suoi metodi da sceriffo.

Dopo aver criticato la sua richiesta di prolungamento della Legge Marziale, necessaria per le operazioni di controguerriglia a Mindanao, i media (anche gli italiani, nessuno escluso) si sono soffermati sulle parole sessiste di Duterte, che in un discorso ai soldati avrebbe "incitato” allo stupro.

Nell’occhio del ciclone mediatico fin dal suo insediamento, a Duterte viene perfino imputata la guerra al traffico di droga, ambito nel quale ha ottenuto finora risultati macroscopici, seppur con metodi violenti. Amnesty e Human right Watch, rimbalzati da La Repubblica (4 marzo, nda), parlano senza mezzi termini di guerra finta, usata come scusa per uccidere i poveri e instaurare una dittatura.

Nemico del politically correct e noto per il suo stile bellicoso (leggi articolo) e indiscutibilmente provocatorio, Duterte non piace al bon ton politico dell’Occidente. Per quanto criticabile sotto molto aspetti, relativamente all’Islam radicale sta però fronteggiando da solo una sfida che riguarda l'Occidente più di quanto la geografia non dica. Le sue proposte di sforzo congiunto fatte ai separatisti non jihadisti e ai guerriglieri comunisti dell'NPA (nemico storico di Manila), lasciano spunti per più di una riflessione.

Mentre l’Asia estrema s’infiamma, l’unico contributo occidentale sembra essere per ora una campagna di scredito sistematico, la cui utilità pratica nel contesto del radicalismo islamico attuale appare quanto meno discutibile.
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » lun ago 28, 2017 7:10 am

???

Giulio Meotti

Il Papa prega per i Rohingya, i musulmani perseguitati in Birmania. Che momento epico! Mai che pregasse per gli ebrei perseguitati in Europa e in Medio Oriente. E quante sue afasie abbiamo visto sui milioni di cristiani perseguitati dai musulmani. La Repubblica deve avergli fatto davvero il lavaggio del cervello. Forse da fascio-islamofobo-sionista-giudeocristiano non capisco io. Forse era davvero necessario che un Papa pregasse per i Rohingya. Forse lo fa sentire più buono ignorare i nostri.


Myanmar, Papa Francesco: "Salvare i Rohingya perseguitati"

Durante l'Angelus, il Pontefice ha chiesto di pregare per la minoranza musulmana, su cui si è abbattuta la repressione dell'esercito dopo una serie di attentati contro la polizia. Reporter hanno raccontato di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, presi a cannonate nella loro fuga verso il Bangladesh. Francesco si recherà nel Paese guidato dalla criticata Aung San Suu Kyi il prossimo novembre
27 agosto 2017

http://www.repubblica.it/vaticano/2017/ ... -173988463


CITTA' DEL VATICANO - Papa Francesco ha dedicato un passaggio dell'Angelus alla drammatica escalation delle violenze a sfondo religioso in Myanmar, che il Pontefice visiterà nel prossimo mese di novembre. Nel Paese guidato dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, le forze governative hanno dato il via alla repressione di gruppi legati alla minoranza musulmana di etnia Rohingya. Ma le notizie rilanciate dai reporter raccontano non di un'azione militare contro i militanti ma contro l'intera popolazione Rohingya, con migliaia di persone in fuga inseguite dai colpi di mortaio dell'esercito nel loro esodo verso il Bangladesh. "Sono arrivate tristi notizie sulla persecuzione della minoranza religiosa dei nostri fratelli Rohingya - le parole di Francesco a San Pietro -. Vorrei esprimere loro tutta la mia vicinanza. Tutti noi chiediamo al Signore di salvarli e di ispirare gli uomini e le donne di buona volontà perché li aiutino e perché tutti i loro diritti siano rispettati".

Le violenze in Myanmar sono iniziate giovedì notte, quando i militanti del Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), una delle sigle della ribellione musulmana, hanno attaccato centrali di polizia e avamposti di frontiera nel nord del Rakhine, stato sulla costa occidentale del Paese, rivendicando le azioni con la difesa della comunità Rohingya da tempo brutalizzata dalle forze governative. Da quel momento l'esercito è entrato in azione. Gli scontri vanno avanti da tre giorni. L'ultimo bilancio diffuso dal governo parla di 98 vittime, 80 tra gli insorti e 12 tra le forze di sicurezza.

Fonti governative riferiscono dell'evacuazione dai villaggi del Rakhine di almeno 4mila non musulmani. Stretti nella morsa del confronto armato, migliaia di Rohingya, soprattutto donne e bambini, si sono spinte verso la frontiera con il Bangladesh, nella speranza di riuscire ad attraversare il fiume Naf che separa i due Paesi. Sia i reporter di France Presse che i colleghi della Reuters hanno confermato che, mentre tentavano di trovare scampo oltre frontiera, i profughi Rohingya sono stati presi di mira dai colpi di mortaio dell'esercito di Myanmar.

Mentre su Aung San Suu Kyi piovono critiche dalla comunità internazionale per il suo silenzio sulla "persecuzione" dei Rohingya, l'esercito ha giustificato la portata della sua azione dando l'immagine di un confronto con qualcosa di più di un semplice gruppo di insorti. "Tutti gli abitanti dei villaggi sono insorti, stanno facendo la rivoluzione. Noi non riusciamo a distinguere chi, tra loro, sia un insorto e chi no". La minoranza Rohingya è costituita di poco più di un milione di persone su una popolazione complessiva di circa 50 milioni, per la maggioranza buddista.

Dopo Aung San Suu Kyi, anche la Commissione nazionale per i diritti umani di Myanmar ha condannato gli attacchi dei militanti dell'Arsa contro agenti e guardie di frontiera che hanno determinato l'escalation, "atti brutali che vogliono vanificare gli sforzi del governo per la stabilizzazione e la riconciliazione nel Rakhine".

Giovedì scorso, quasi in coincidenza con le prime azioni dei miliziani musulmani di Arsa, una commissione Onu presieduta dall'ex segretario generale Kofi Annan aveva pubblicato un rapporto su Myanmar, individuando in un rapido miglioramento dello sviluppo economico e della giustizia sociale nello stato di Rakhine lo strumento per sedare le violenze tra la maggioranza buddista e i Rohingya. Facendo probabilmente riferimento anche al lavoro della commissione Onu, Aung San Suu Kyi aveva condannato l'attacco dei miliziani musulmani, "un calcolato tentativo di vanificare gli sforzi di quanti lavorano alla costruzione della pace e dell'armonia nello stato di Rakhine".


Alberto Pento
Questo non è un Papa buono e giusto ma irresponsabile e ingiusto, non si preoccupa minimamente dei Birmani e dei buddisti che si difendono dai mussulmani Rohingya

Questo Papa filoislamico (senza alcun riguardo per i cristiani, gli ebrei, i buddisti, gli indù e tutti i diversamente religiosi e pensanti della terra oppressi, perseguitati e sterminati dai maomettani) ti porta la morte in casa



Antonio Balthazar Barbieri

Preghi pure per i Rohingya, ma preghi anche per tutti gli altri e di popoli perseguitati nel mondo ce ne sono a migliaia. Peraltro una buona dose di colpa nella complessa questione dei Rohingya ce l'ha il Bangladesh, stato musulmano, che non li vuole, mentre i rohingya appartengono ad un'etnia simile a quella bengali, parlano una lingua di quel gruppo e non hanno alcun legame con i birmani. Il Bangladesh però non li accoglie a braccia aperte, li sbatte in campi-profughi. Solidarietà islamica, dove sei? Adesso hanno creato un loro esercito ARSA e il Myanmar teme il contagio del terrorismo islamico. Non hanno la cittadinanza birmana. Aung San Su Kyii ha spiegato il perché del comportamento, certo troppo duro, del governo birmano: non vogliono il terrore islamico in Birmania. Le altre etnie birmane sono tutte buddhiste e pacifiche: i mon, i karen, gli shan, gli arakanesi (che vivono nell'Arakan, dove si trovano anche i rohingya).
Se l'ebraismo fosse una variante dell'islamismo, il pontefice li citerebbe ogni 10 minuti.




Non portarti la morte in casa, non hai colpe né responsabilità
viewtopic.php?f=194&t=2624

Islam, Maometto, Allah, Corano e Sharia sono orrore e terrore
viewtopic.php?f=188&t=2644

Il Papa bugiardo e l'infernale alleanza con l'Islam
viewtopic.php?f=188&t=2378

Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
viewtopic.php?f=188&t=1895
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » lun ago 28, 2017 7:51 am

Myanmar: è guerra tra buddisti e musulmani
23 ottobre 2012

http://video.repubblica.it/mondo/myanma ... 619/107004

Almeno tre persone sono rimaste uccise nel corso di violenti scontri religiosi nello stato di Rakhine in Myanmar. A confrontarsi buddisti e musulmani. Molti villaggi in fiamme, centinaia le persone costrette a fuggire



Birmania: buddisti uccidono musulmani e bruciano moschee
28 marzo 2013

http://lmticino.blogspot.it/2013/03/bir ... ani-e.html

Da una settimana il centro della Birmania è in preda a violente rivolte contro i musulmani, scontri nutriti da monaci buddisti estremisti.

Nella cittadina di Meiktila gli scontri fra monaci e musulmani (con questi ultimi che hanno avuto la peggio) sono iniziati il 20 marzo. A scatenare i disordini era stato un semplice litigio fra commercianti d’oro musulmani e i loro clienti buddisti. Un segno palese dei gravi attriti che esistono fra queste due comunità.
Il bilancio delle violenze è pesante : innumerevoli feriti e una trentina di morti, moschee, case e centri musulmani dati alle fiamme.

La sera del 21 marzo, il giornale News-Eleven ha diffuso fotografie che mostrano una lunga fila di musulmani obbligati a lasciare la città. Quel che colpisce in queste immagini è che tutti, incluse le donne e i bambini, camminano con le mani alzate, scortati dalle forze di sicurezza. Tutt’attorno abitanti armati sorvegliano la loro partenza.
meiktila“Immagini che evocano quelle dei rifugiati ebrei scortati dai soldati nazisti durante il III. Reich – commenta Maung Zarni, fondatore del movimento d’opposizione al governo birmano Free Burma Coalition.
All’inizio dell’anno, in Birmania era stata lanciata la campagna 969. In un paese dove la numerologia occupa un posto importante, questo movimento di massa viene condotto da monaci buddisti estremisti. Il numero 969 viene dalla tradizione buddista secondo cui i
Tre Gioielli, o Tiratana, sono composti da 24 attributi (9 del Buddha, 6 del Dharma e 9 del Shangha).
Per i militanti, la campagna 969 vuole proteggere la razza e la religione birmana con mezzi pacifici. In realtà si tratta di un movimento apertamente ostile ai musulmani, violento e lontano dagli insegnamenti del Buddha.
Questa campagna afferma che i musulmani controllano l’economia del paese e che i buddisti non dovrebbero avere alcuna relazione commerciale con loro. In molte regioni il commercio con i musulmani è categoricamente vietato e severe punizioni sono previste per chi infrange questa regola. In tutta la Birmania i musulmani sono presentati come pericolosi stranieri venuti per prendere il controllo dell’intero paese.



In Birmania sale la tensione tra musulmani e buddisti
Le Monde, Francia
5 luglio 2016

https://www.internazionale.it/notizie/2 ... i-buddisti

Da anni percorsa da tensioni intercomunitarie, la Birmania si trasforma periodicamente in una vera e propria polveriera religiosa; in poco più di una settimana due moschee sono state saccheggiate dai buddisti.

Armati di bastoni, coltelli e armi di vario genere, gli aggressori hanno attaccato un luogo di culto musulmano a Hpakant, nel nord del paese, che è buddista al 90 per cento. Le forze di sicurezza non sono state in grado di controllare la folla, che ha demolito l’edificio e poi incendiato la sala di preghiera. Il 23 giugno una moschea di Thayethamin (nel centro del paese) aveva subito la stessa sorte.

Testimone della scena, Ali Ahmed, 60 anni, un imam in pensione della regione di Bago, ha raccontato di aver visto un gruppo di uomini gridare “Uccidete i kalar! Eliminate i kalar!” (kalar è un termine peggiorativo per indicare i musulmani birmani).

Le tensioni interetniche continuano dal 2012, quando lo stato di Rakhine, a ovest del paese è stato teatro di violenti scontri fra buddisti e musulmani rohingya, che sono stati costretti a fuggire dai loro villaggi. Molti di loro vivono ancora nei campi profughi.

Diritti negati

I rohingya, considerati una delle comunità più perseguitate del mondo, sono visti come degli immigrati illegali arrivati dal vicino Bangladesh. Di fatto i buddisti negano loro ogni diritto e li definiscono con il termine dispregiativo di “bengali”.

A dimostrazione di questo rifiuto di accettarli, migliaia di buddisti, fra cui dei monaci, hanno manifestato domenica nell’ovest del paese, in segno di protesta contro la decisione del governo civile di Aung San Suu Kyi di riconoscere questa minoranza sotto la denominazione di “comunità musulmane nello stato di Rakhine”.

Mentre Yanghee Lee, relatrice speciale sulla situazione dei diritti dell’uomo in Birmania, ha chiesto alle autorità che la lotta contro la discriminazione antimusulmana diventi una “priorità assoluta”, Aung San Suu Kyi cerca di trovare una strada alternativa e di far emergere una cultura politica più conciliante. Una scommessa azzardata?

(Traduzione Andrea De Ritis)


L'esercito del Myanmar tira con l'artiglieria sui civili musulmani
Lucio Di Marzo - Sab, 26/08/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/les ... 34227.html

In Myanmar continua lo scontro. Almeno 71 i morti nei giorni scorsi

Nel Paese di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace, la pace è ancora un miraggio. Lo dice bene quanto racconta oggi un giornalista della France Press che si trovava sul posto in Myanmar e che parla di centinaia di civili in fuga dai villaggi popolati dalla minoranza musulmana dei Rohingya, sotto il fuoco d'artiglieria dell'esercito.

Al confine di Ghundhum, dove da venerdì i civili erano intrappolati dai combattimenti in atto nello Stato di Rakhine, nella zona settentrionale del Myanmar, i soldati hanno usato mitra e mortai contro la popolazione, noncuranti delle parole di Renata Lok-Dessallien, coordinatore delle Nazioni Unite nel Paese, che aveva chiesto di tornare a dialogare, mettendo da parte la violenza.

Almeno 71 persone e tra queste 12 uomini delle forze di sicurezza sono morti nei giorni scorsi, dopo attacchi armati lanciati proprio dai militanti Rohingya con bombe a mano ed esplosivi artigianali. Secondo l'ufficio della presidenza, che definisce la minoranza "terroristi bengalesi", ritenendoli immigrati clandestini del Paese confinante, circa 150 insorti hanno tentato di penetrare in una base militare.




Alberto Pento
Potrebbe capitare anche qua in Italia che i mussulmani divenendo maggioranza in qualche territorio pretendano di instaurarvi la legge del Corano innescando la guerra civile.
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » lun ago 28, 2017 8:01 pm

Scene di pulizia etnica nel Myanmar del Nobel San Suu Kyi
Gianluca Di Donfrancesco
2017-08-28

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... um=twitter

Chi può permetterselo compra un passaggio in barca, chi non può tenta la sorte via terra o magari guadando il fiume Naf, che per 35 chilometri divide il Myanmar, un inferno, dove si rischiano morte, torture e stupri, dal Bangladesh, un altro inferno, dove si sopravvive a stento in campi profughi. Dall’inizio degli anni 90, sono già più di 400mila i musulmani rohingya scappati dallo Stato Rakhine, nel Nord-Est del Myanmar. Le loro condizioni di vita, in un Paese a maggioranza buddhista che li considera immigrati illegali, non sono cambiate dopo la capitolazione della giunta militare birmana e l’ascesa del Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi.

Anzi, violenze etniche rimaste sopite durante i decenni di dittatura sono esplose nel 2012 (con centinaia di morti e 140mila profughi), anche grazie ai militari, che hanno soffiato sulle loro braci per conservare una qualche forma di consenso nel nuovo Myanmar. Gli 1,1 milioni di musulmani rohingya del Rakhine vivono in condizioni di apartheid, senza cittadinanza né libertà di movimento nello Stato più povero del Myanmar. Per tantissimi di loro non c’è alternativa che cercare scampo nel poverissimo Bangladesh: che non è in grado di gestire un simile esodo e ha deciso di chiudere le frontiere. Ma che dovrà fronteggiare l’arrivo di una nuova ondata di profughi, dopo l’escalaton delle violenze iniziata venerdì 25 agosto.

Armati di bastoni, coltelli e ordigni rudimentali, diversi gruppi di rohingya hanno attaccato 30 stazioni di polizia e una caserma dell’esercito birmane, in un assalto poi rivendicato dall’Arakan Rohungya Salvation Army (Arsa - Arakan è il nome della regione durante il periodo coloniale britannico). Il bilancio degli scontri è al momento di 104 morti tra gli insorti e 12 tra le forze di sicurezza, secondo il resoconto del Governo birmano, che ha dichiarato l’Arsa un’organizzazione terroristica. E che avrebbe aperto il fuoco sulla popolazione in fuga.

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La rappresaglia ha costretto 3mila persone a cercare di oltrepassare il confine con il Bangladesh. Molti di loro vengono respinti alla frontiera e rispediti indietro, condannati ad accamparsi nella giungla, in campi improvvisati: quattro bastoni piantati nel terreno e un telo sospeso l’unico rifugio per intere famiglie.

È dal Bangladesh che arrivano i resoconti delle agenzie di stampa internazionali, dato che da tempo il Governo guidato da Suu Kyi, che sembra aver ereditato dalla Giunta l’allergia a ogni forma di critica, ha negato ai media l’accesso alla zona. Il 9 ottobre del 2016, un altro molto più limitato attacco rivendicato dall’Arsa contro tre caserme birmane, con l’uccisione di 9 agenti, aveva scatenato la rappresaglia generalizzata delle forze di sicurezza e delle milizie create armando la popolazione locale: uccisioni indiscriminate, esecuzioni di imam, torture, stupri di gruppo, detenzione di massa, saccheggi, distruzione di cibo, 1.500 abitazioni date alle fiamme, spesso con famiglie intere chiuse dentro. Da allora 66mila persone fuggite in Bangladesh, alle quali si aggiungono altri 22mila profughi interni (sono 120mila le quelli che vivono nei campi messi in piedi nel Rakhine). Abbastanza da spingere l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) a parlare in un terrificante report del 2 febbraio di «pulizia etnica», anche sulla base di immagini satellitari delle distruzioni, e a istituire una commissione d’inchiesta per far luce sulle violazioni di diritti umani, con decisione del 24 marzo. Ma i suoi tre membri non possono investigare “sul campo”: Suu Kyi si è detta contraria all’indagine e il suo vice-ministro degli Esteri, Kyaw Tin, ha dichiarato che non concederà ai membri della commissione i visti d’ingresso.

Il Myanmar ha condotto una propria indagine interna. A guidarla c’era l’ex generale e attuale vice-presidente Myint Swe. L’esercito birmano, il Tatmadaw creato dal padre di Suu Kyi, il generale-eroe dell’indipendenza birmana Aung San, ne è uscito assolto da ogni accusa. Oltre a questa commissione, su esplicita richiesta di Suu Kyi, ne è stata istituita un’altra, guidata dall’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Che però aveva lo stretto mandato di indagare sulle radici storiche della conflittualità tra rohingya e popolazione locale (i 2 milioni di abitanti dell’etnia locale rakhine) e non sulle violazioni dei diritti umani. Riguardo alle quali, tuttavia, anche la commissione Annan invoca un’indagine indipendente nel report pubblicato il 24 agosto. Solo una manciata di Stati «paria», ricorda l’Unhcr, ha rifiutato l’accesso alle ispezioni dell’Unhcr: Siria, Corea del Nord, Eritrea e Burundi.

Lunedì 28 agosto, Suu Kyi, che non ha mai speso parole a sostegno dei rohingya, ha invece accusato i funzionari delle organizzazioni umanitarie, che ancora operano nella regione con le forti limitazioni imposte dalle autorità, di «aver partecipato al saccheggio di un villaggio da parte dei terroristi», attraverso un post sulla pagina Facebook del suo ufficio. Dichiarazioni che hanno spinto la missione Onu in Myanmar a ritirare parte del proprio personale.

Malgrado in molti in Myanmar considerino i rohyngia immigrati illegali arrivati dal Bangladesh, insediamenti musulmani nel Myanmar Nord-occidentale sono rintracciabili dal 15° secolo. L’origine dei rohingya, termine emerso solo negli anni 50 del Novecento, è però più complessa e risalirebbe alla seconda metà del 1800, quando l’impero britannico favorì una migrazione di massa dalle regioni dell’attuale Bangladesh nello Stato Arakan, sulla costa occidentale della Birmania, abitato da un’altra minoranza allora maltrattata, i buddhisti rakhine. La convivenza tra i due gruppi, complici gli errori del colonialismo e poi le vicende della seconda guerra mondiale e la successiva “ritirata” britannica, non è mai stata pacifica, con violenze da entrambe le parti che hanno stratificato pregiudizi e rancore.

La tragedia dei rohingya sta offuscando l’immagine di paladina dei diritti umani che Suu Kyi si era conquistata con la sua lotta non violenta contro la dittatura. Una battaglia ancora in corso: il Myanmar è al centro di una delicata transizione verso la democrazia: la Giunta militare ha sì ceduto il potere, almeno di facciata, ma si è garantita nella Costituzione ampi margini di autonomia e il controllo dell’Esercito e della Politica dei confini. Ed è ben allacciata nei gangli economici del Paese.


Il dramma dei migranti nel Sudest asiatico

Quella dei rohingya è però ormai una crisi regionale. Campi profughi sono stati istituiti anche in Thailandia e Malesia, dove decine di migliaia di rifugiati sono finiti al centro di un traffico di esseri umani e schiavi. E all’inizio del mese, l’India ha annunciato la volontà di espellere migliaia di rohingya arrivati nelle zone di confine con il Bangladesh: sono 40mila in tutto e hanno già incontrato l’ostilità dichiarata dei gruppi radicali induisti. Per affrontare la questione, Papa Francesco ha messo in programma una visita in Myanmar, tra il 27 e il 30 novembre, e poi in Bangladesh, tra il 30 novembre e il 2 dicembre.




Gino Quarelo
Da quando esiste l'Islam, nato con Maometto, in nessun paese del mondo i mussulmani si sono fatti ben volere, anzi si sono fatti soltanto odiare. Nessuno che abbia un po di senno può fidarsi dei maomettani, portarseli in casa equivale a portarsi dentro la morte.
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Re: I mussulmani Rohingya perseguitati o persecutori ?

Messaggioda Berto » mer ago 30, 2017 6:03 am

“Aiutate il terrore”: San Suu Kyi critica le Ong sugli islamici
Roberta Zunini
29/08/2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... i-islamici

Musulmani perseguitati - Il caso dei Rohingya, accusati di scontri con le forze di sicurezza. In fuga migliaia di civili
“Aiutate il terrore”: San Suu Kyi critica le Ong sugli islamici

Il titolo The Lady, “La Signora”, dato all’attuale ministra degli Esteri del Myanmar, Aung Saan Suu Kyi nonché premio Nobel per la pace, scricchiola sempre di più. Il motivo più evidente è la sua presa di posizione contro le poche organizzazioni non governative che si occupano di aiutare la minoranza etnica musulmana Rohingya, insediatasi nel […]



Alessandro Prignacchi

IL MYANMAR HA SCELTO DI ELIMINARE IL PROBLEMA ISLAM ALLA RADICE CONTRO IL PARERE DEL RESTO DEL MONDO E DELLE VARIE ASSOCIAZIONI UMANITARIE METTENDO IN EVIDENZA CHE SIAMO DI FRONTE DI DUE SCELTE CHIARE: COMBATTERE OPPURE SOCCOMBERE.

Da qualche giorno in Myanmar (o Birmania) vanno avanti scontri molto violenti tra ribelli della minoranza musulmana rohingya e forze di sicurezza birmane.
I rohingya sono musulmani e vivono per lo più nello stato del Rakhine: sono poco più di un milione, in un paese dove la stragrande maggioranza delle persone è buddista.
Con grande lungimiranza, nel 1982 ai rohingya fu tolta la cittadinanza birmana, non avendo la cittadinanza, i rohingya non godono di alcun beneficio o sussidio statale riservati ai cittadini Birmani e ovviamente non hanno il diritto di voto, eppure questo non è bastato nel farli desistere dal loro intento di islamizzare il paese e continuare a fare del proselitismo radicale.
Così, dallo scorso anno il governo birmano ha deciso di ritirare loro le “carte di identità temporanee”, trasformandoli in tutto e per tutto in apolidi, cioè persone prive di nazionalità nella speranza che tornassero da dove erano venuti: Il Bangladesh, per tutta risposta i ribelli rohingya hanno attaccato trenta centrali di polizia e una base militare.
Il Governo ha così deciso che la misura fosse colma dando il via ad una operazione da parte dell'esercito birmano per mettere in sicurezza il territorio e i propri cittadini da futuri attacchi terroristici a matrice islamica.
Aung San Suu Kyi premio nobel per la pace e i diritti umani nonchè consigliere del governo birmano riferisce: «Non è in atto una pulizia etnica nei confronti dei rohingya, ma una operazione militare a legittima difesa dei nostri valori»,
La situazione degli ultimi giorni sembra stia iniziando a dare i primi risultati, tant'è che da venerdì duemila rohingya hanno superato il confine con il Bangladesh e altri migliaia si stanno mettendo in marcia
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