Serbi e croati nasionałisti asolti e condannati ???

Re: Serbi e croati nasionałisti asolti e condannati ???

Messaggioda Berto » gio nov 30, 2017 9:02 pm

Srebrenica: i 3mila morti cristiani dimenticati
2015/07/11

https://voxnews.info/2015/07/11/srebren ... imenticati

I Balcani sono l’ultima arena dove gli USA e la loro appendice UE stanno favorendo gli islamici in funzione anti-russa.

Questa risoluzione anti-russa e autolesionista si esprime nel tentativo occidentale di demonizzare i serbi e delegittimare la filo-russa Repubblica di Srpska (componente autonoma serba della Bosnia), nel tentativo di centralizzare la Bosnia e dare la guida ai musulmani.

Per questo, i media di distrazione di massa descrivono la repubblica dei serbi di Bosnia come una “entità genocida”, indebolendo ulteriormente la posizione serba già debole nei Balcani e rafforzando il regime albanese in Kosovo e spingendo il Montenegro verso l’adesione alla NATO.

Più di 3.200 donne, bambini, anziani, uomini e prigionieri di guerra serbi (cristiani) sono stati massacrati nei villaggi serbi intorno a Srebrenica tra il 1992 e il 1995 dai soldati musulmani bosniaci con sede a Srebrenica. Le forze musulmane sotto Naser Oric erano “impegnate in attacchi contro gli ortodossi (cristiani), hanno lasciato villaggi distrutti, massacrando tutti gli abitanti. Questo ha creato un livello di odio che era piuttosto alto nella regione.”

Questo è stato il primo di molti massacri da parte dei musulmani che vengono ignorati dall’Occidente. Il cosiddetto ‘massacro di Srebrenica, è stato una reazione’.

Il numero di 8.000 vittime musulmane a Srebrenica è gonfiato. La maggior parte dei cosiddetti “7.000 uomini e ragazzi musulmani” presumibilmente assassinati erano in realtà soldati della divisione 28 dell’Esercito di Bosnia ed Erzegovina sotto formata Naser Oric. Sono morti entrambi come soldati e come prigionieri di guerra, sono stati uccisi in combattimento e altri come vendetta per le vittime serbo-bosniache massacrate da loro stessi nei mesi precedenti.

Furono 5.500 i soldati musulmani che combatterono sotto Naser Oric.
La maggior parte di loro sono stati uccisi quando, dopo la caduta dell’enclave islamica di Srebrenica hanno rifiutato di arrendersi, tentando un ritiro nei territori controllati dai serbi. Lungo la strada sono stati attaccati da forze serbe in quello che era si, un combattimento irregolare, ma non certo un massacro di civili.

Edward S. Herman, professore emerito presso l’Università della Pennsylvania e autore di “Il massacro di Srebrenica: Evidence, Context and Politics” definisce il “genocidio di Srebrenica come una gigantesca frode politica e un mito costruito dall’Occidente”

Anche l’ex capo della NSA ha ammesso che “La maggior parte dei musulmani uccisi a Srebrenica erano soldati che si rifiutavano di arrendersi.”


Vent'anni fa il massacro di Srebrenica
Valentina Cominetti - Sab, 11/07/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ven ... 50419.html

Il tempo tutto guarisce, si dice. Ma a volte può anche peggiorare le cose, come nel caso di Srebrenica e delle sue vittime. A vent'anni da quel tragico 11 luglio del 1995, qui il tempo non ha rimarginato le vecchie ferite: 136 corpi riesumati dalle fosse comuni nel 2014 saranno seppelliti sabato nel cimitero di Potocari, alla presenza di 50mila persone e 85 tra Capi di Stato e di Governo, compreso Bill Clinton.

Degli 8372 dispersi, scomparsi nel luglio del 1995, 7057 sono i riesumati da un'ottantina di fosse comuni, dette “secondarie” perché i cadaveri vennero messi qui dai militari serbo-bosniaci in un secondo momento, a guerra finita, per tentare di occultare le prove del massacro. Tanti mancano ancora all'appello, e non si smette di cercare perché chi non ha trovato traccia dei propri famigliari non ha intenzione di arrendersi. Proprio come Razim Nukic che dal 1999, data del suo ritorno nel villaggio di Kamenica, ha svolto la macabra attività di “cacciatore di ossa”: cercava il padre e il fratello minore nei boschi intorno a Srebrenica, ma era come cercare un ago in un pagliaio perchè non c'era giorno che non tornasse a casa con qualche resto umano. Così Razim è diventato uno dei più validi collaboratori dell'Istituto bosniaco per la ricerca dei dispersi: grazie a lui 300 vittime del genocidio hanno finalmente un nome e un loculo. Quest'anno anche Razim potrà piangere su una tomba: qualcuno ha ritrovato i resti di suo padre, ma la sua ossessiva ricerca non è terminata: “Continuerò a cercare mio fratello e quello che rimane di mio padre, fino alla fine dei miei giorni”.

Il tempo con Srebrenica è stato impietoso: non solo non è riuscito ancora a dare la pace eterna alle sue vittime, non solo non è stato in grado di rimarginare le vecchie ferite, ma ne ha aperte anche di nuove, e profonde. Mercoledì scorso la Russia ha posto il veto su una risoluzione presentata dalla Gran Bretagna per ribadire la condanna delle atrocità di Srebrenica e rafforzare la prevenzione del genocidio in tutto il mondo. La Serbia ritiene questo documento un'umiliazione, perchè ancora non accetta che questa strage sia stata classificata come “genocidio” da ben due tribunali internazionali, la Corte Internazionale di Giustizia e il Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia (ICTY). “Furono risparmiate le donne e i bambini di età inferiore ai dodici anni” ci riferisce Sinisa Mihailovic, editor della Radiotelevisione della Repubblica Srpska “non si trattava di un disegno sistematico per far scomparire un popolo, ma della necessità di difendersi”. Così il presidente della Serbia Tomislav Nikolic ha deciso che non parteciperà alle celebrazioni per il ventennale e non perchè non sia pronto ad inginocchiarsi di fronte alle vittime musulmane, ma perchè non ha intenzione di essere il solo a farlo: non accetta che Bakir Izetbegovic (esponente musulmano della presidenza tripartita bosniaca) “non faccia lo stesso a Kravica, Bratunac e in altri luoghi”. Anche il presidente della Repubblica Srpska, Milorad Dodik, non sarà presente alla commemorazione perchè ritiene il genocidio di Srebrenica “una menzogna”. Più morbido il premier serbo, Aleksandr Vucic, che ha deciso di esserci perchè vuole avviare il percorso verso la riconciliazione, ma rifiuta comunque la definizione di genocidio.

E lo scorrere del tempo non solo riporta alla ribalta divisioni vecchie sulla guerra nei Balcani, con la Russia schierata con i serbi di Bosnia e di Serbia, e i Paesi occidentali con i musulmani bosniaci. Perchè con il passare del tempo si declassificano i documenti e vengono a galla nuove e gravi responsabilità che riguardano l'Occidente. Un'inchiesta realizzata dal domenicale britannico The Observer spiega che il massacro dei serbi sui musulmani di Srebrenica, all'epoca zona protetta dall'Onu, fu consapevolmente ignorato da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Il diplomatico Usa Robert Frasure riferì a Washington che "Milosevic non avrebbe accettato una mappa dell'accordo di pace che non comprendesse la cessione ai serbi delle aree sicure” e il suo capo, Anthony Lake, il consigliere Usa per la Sicurezza nazionale, accettò la revisione della mappa in cui veniva ceduta Srebrenica, tanto da invitare le truppe Onu a "ritirarsi dalle posizioni vulnerabili, ossia dalle aree sicure". E Francia e Regno Unito accettarono, convinte che le aree protettee fossero "indifendibili". E mentre le truppe di Mladic avanzavano su Srebrenica, la Cia seguiva la strage quasi in diretta. Una volta conquistata la città, come ha raccontato al quotidiano britannico il generale Van der Wind del ministero della Difesa olandese, "le Nazioni unite fornirono 30mila litri di benzina, usati dai serbi per portare il loro bottino ai campi di massacro e per nascondere i cadaveri nelle fosse comuni".

Ma per fortuna il tempo porta anche consiglio, infonde negli animi il coraggio del domani e aiuta così a creare lo spazio per un futuro diverso in cui, al di là delle polemiche vecchie e nuove, cose simili non capitino più a nessuno. Per questo l'11 luglio 7mila persone si sdraieranno di fronte al Parlamento di Belgrado, proprio in Serbia, per ricordare le vittime di Srebrenica. L'iniziativa è stata del giornalista serbo Dusan Masic che ha lanciato una campagna su Twitter sulla scorta di una manifestazione degli studenti di Zagabria che l'anno scorso, in solidarietà coi 147 studenti massacrati in Kenya, si sono sdraiati davanti al teatro nazionale croato per alzare l’attenzione sul crimine avvenuto. E ancora, il 12 luglio al Teatro Nazionale di Sarajevo si terrà un Concerto per la pace: protagonista la Filarmonica della Scala, su iniziativa dell'Ambasciata italiana. Saranno presenti tutti, anche le autorità serbe, e questo è un traguardo diplomatico per il nostro ambasciatore a Sarajevo Ruggero Corrias: “La gente vuole superare frizioni, vuole guardare al domani. Ed è proprio grazie al desiderio di pace del popolo bosniaco che si stanno superando le contrapposizioni politiche e ci si sta avviando in direzione Europa, per costruire il futuro della Bosnia”.
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Re: Serbi e croati nasionałisti asolti e condannati ???

Messaggioda Berto » gio nov 30, 2017 9:06 pm

Sui massacri della Bosnia bisogna ricordare i massacri dei maomettani lungo i secoli, le loro scorrerie, le loro riduzioni in schiavitù a cominciare dai bambini rubati alle famiglie europee cristiane e ridotti ad essere Giannizzeri che combattevano contro la loro gente.



L’Impero Ottomano: una grande potenza mussulmana governata da figli di poveri pastori e contadini cristiani
di Giovanni Zucconi
L’Impero Ottomano è stato per secoli l’incubo peggiore per l’occidente cristiano.

http://www.orticaweb.it/limpero-ottoman ... -cristiani


E a ragione… Era un impero ricco e potente, militarmente quasi invincibile, con l’obiettivo mai nascosto di estendere il potere del Sultano di Costantinopoli su tutta l’Europa. Era la voce e la spada dell’Islam, la religione che si era velocemente diffusa in quasi tutto il bacino del Mediterraneo ed oltre. Un mondo di Mussulmani che, incredibilmente, è stato per secoli governato da figli di poveri pastori e contadini cristiani. Un paradosso straordinario che si basava su una delle più curiose istituzioni del mondo ottomano: il “Devşirme”, che si può tradurre in “Raccolta”, e che dava origine ad un meccanismo di scelta della classe dirigente assolutamente originale e antitetico rispetto a quello utilizzato in Europa nello stesso periodo. Dal XIV al XVII secolo, ogni 3-5 anni, alcuni ufficiali dei Giannizzeri (la guardia scelta del Sultano) venivano inviati nei paesi cristiani dell’Impero, dalla Grecia ai Balcani, dove visitavano ogni villaggio: albanese, serbo, bosniaco, croato o ungherese. Qui parlavano con il sacerdote della diocesi e con i vari notabili, informandosi sui giovani più promettenti. Ma non era una visita di cortesia. Era il Devşirme, e il loro compito era quello di individuare i giovani migliori, per fisico e per capacità, di strapparli alle loro famiglie, e di portarli a Costantinopoli dal loro Sultano. Inizialmente prelevavano giovani di 10-12 anni, in seguito anche di 17-18 anni. Immaginatevi il panico delle famiglie dei villaggi visitati e le bustarelle che dovevano girare tra gli ufficiali. Una direttiva era quella di non prendere mai i figli unici, quelli di madre vedova o quelli che erano l’unico sostentamento della famiglia. Inoltre si stava attenti a non portare via troppi bambini dallo stesso villaggio: una regola era circa uno ogni 40 famiglie. L’orientamento era comunque quello di non scegliere i figli dei notabili o dei capi del villaggio, ma di portare via solo i figli dei contadini e dei pastori. Quindi, ogni pochi anni, arrivava a Costantinopoli un flusso di centinaia, spesso migliaia, di bambini cristiani. Qui diventavano degli schiavi del Sultano, che aveva su di loro un potere di vita e di morte. La maggior parte di essi veniva affidata a dei contadini turchi, che si impegnavano a mantenerli per qualche anno e a farli lavorare duramente in campagna. Da loro imparavano la disciplina, l’ubbidienza, la legge islamica e il turco. Naturalmente, anche se la legge islamica lo vietava, venivano “convinti” a convertirsi alla fede dell’Islam. Dopo qualche anno, quando la loro preparazione era giudicata ormai completa ed erano Mussulmani a pieno titolo, venivano arruolati nel corpo dei Giannizzeri, cioè nella milizia scelta dell’esercito del Sultano. Un corpo militare potente e ben pagato, il più temuto dagli Europei, e che era composto praticamente solo da ex bambini cristiani. Ma gli ex cristiani non solo difendevano l’Impero, ma lo governavano anche. I migliori di questi ragazzini arrivati a Costantinopoli, quelli che sembravano più promettenti, non venivano affidati ai contadini, ma entravano direttamente a Palazzo. Venivano educati e preparati sotto gli occhi del Sultano, che li conosceva personalmente. Li faceva lavorare come giardinieri, paggi o domestici. Quelli che gli piacevano di più entravano al suo servizio personale. Qualcuno diventava anche il suo amante; la pederastia era accettata nella cultura ottomana, anche se non era ammessa dalla legge islamica. A corte imparavano tutto quello che era necessario per amministrare e governare l’Impero. Dopo questa educazione e formazione, ogni tanto il sultano decideva che c’era un gruppo di loro che era ormai pronto, e a decine, a volte a centinaia, venivano indirizzati verso nuovi, prestigiosi, incarichi. Come minimo diventavano Cavalieri della Guardia Imperiale, che è un altro corpo scelto, ancora meglio pagato dei Giannizzeri. Ma i migliori in assoluto diventavano immediatamente, per decisione irrevocabile del sultano: pascià, visir (i ministri del governo), gran visir (che erano quelli che gestivano effettivamente gli affari dell’Impero), ammiragli, capudàn pascià (il comandante della flotta), comandanti dei Giannizzeri o governatori delle provincie. Tutti questi, almeno fino al tempo del sultano Solimano il Magnifico (dopo le cose cambieranno un po’, anche se lentamente) erano stati bambini nati cristiani nei Balcani. Per secoli, l’intero gruppo dirigente dell’Impero Ottomano è stato scelto in questo modo. Ma perché non venivano presi anche i bambini mussulmani? La risposta è semplice. Tutti i ragazzi “raccolti” diventavano a tutti gli effetti degli schiavi del Sultano, e questo poteva essere fatto solo con i sudditi Cristiani, perché la legge islamica vieta di mettere in schiavitù dei Mussulmani. Vediamo adesso quali erano i vantaggi (per il Sultano) di questo meccanismo di selezione della classe dirigente. L’Impero Ottomano non conosceva il concetto di nobiltà di nascita. Non esisteva il diritto di avere dei posti importanti di comando solo perché si apparteneva ad una famiglia nobile. Era una società totalmente aperta, dove era il Sultano che decideva chi doveva fare carriera. In Europa, nello stesso periodo, tutti erano invece fermamente convinti dell’importanza della stirpe, del sangue e della nobiltà: solo i nobili avevano il diritto di comandare. Sembrerebbe che la civiltà ottomana fosse un po’ più moderna di quella occidentale dell’epoca, ma a parte le considerazioni sulla possibilità di emergere solo sulla base delle proprie capacità individuali e non per la nobiltà della nascita (circostanza che ha comunque un fascino straordinario), questo sistema di selezione andava soprattutto a favore del Sultano. I nobili, in Europa, erano una forza che poteva bilanciare i poteri del Re. Rappresentavano un insieme di privilegi ingiusti, che però attenuavano l’autorità del Re e ne limitavano la tendenza verso l’assolutismo. Nella società ottomana il sultano è un monarca assoluto. Quando doveva prendere delle decisioni non aveva la necessità di mediare con dei nobili potenti, con la Chiesa o con i Comuni. Doveva solo ordinare i propri voleri a una classe dirigente sulla quale aveva un pieno potere di vita o di morte. E naturalmente è più facile comandare se si è circondato da schiavi fedeli, e che devono a te tutte le loro fortune passate, presenti e future. Per la cronaca il Devşirme venne definitivamente abolito nel 1648.


https://it.wikipedia.org/wiki/Giannizzeri
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Re: Serbi e croati nasionałisti asolti e condannati ???

Messaggioda Berto » gio nov 30, 2017 9:09 pm

Scorrerie saracene dalla Bosnia


https://it.wikipedia.org/wiki/Incursion ... del_Friuli

Le incursioni turche del Friuli furono un fenomeno che colpì la medesima regione nel corso del XV e XVI secolo, in un contesto più grande, ovvero le guerre e le tensioni fra la Repubblica di Venezia e l'Impero Ottomano. Quasi sempre si trattava di cavalleria irregolare che, oltrepassato l'Isonzo, distruggeva e razziava villaggi interi, uccidendo e facendo prigionieri uomini e donne delle fasce più giovani, poiché gli adulti e gli anziani, il più delle volte, venivano fatti letteralmente a pezzi con la spada. Dalla prima incursione del 1415 a l'ultima verso la prima metà del 1500 ce ne furono 9. Le conseguenze di queste incursioni furono la totale distruzione di alcuni paesi, alcuni ricostruiti ed altri lasciati al loro destino, molteplici uccisioni e stupri, e la dimostrazione che la Repubblica di Venezia non era in grado di gestire i propri territori. Va inoltre precisato che benché si chiamino incursioni "turche", di fatto questi predoni non erano veri e propri Turchi, ma piuttosto Albanesi, Croati, Serbi, Macedoni, Ungheresi e soprattutto Bosgnacchi, tutti, il più delle volte, di fede musulmana.
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Re: Serbi e croati nasionałisti asolti e condannati ???

Messaggioda Berto » gio nov 30, 2017 9:25 pm

DAL KOSOVO ALL'OSSEZIA: DRAMMA DELL'EST E IPOCRISIA DELL'OCCIDENTE.
Di Giorgio Da Gai

http://win.ilpiave.it/modules.php?name= ... e&sid=6506

Questo breve saggio è stato scritto in occasione dell’indipendenza del Kosovo e dei recenti fatti in Ossezia.

Kosovo ed Ossezia sono regioni diverse e geograficamente lontane ma legate da elementi comuni: il dramma della guerra etnica, l’effetto a catena che il Kosovo sembra avere scatenato sulle repubbliche ex sovietiche, il ritorno della “guerra fredda” e l’ipocrisia dell’Occidente.

Il Kosovo è grande come l’Abruzzo, circa 11 mila chilometri quadrati. Un bacino a 500 metri di altezza, incuneato tra Montenegro, Albania, Macedonia e Serbia.

In Kosovo il 17 novembre 2007 si sono tenute le prime elezione dopo la fine della guerra del 1999. A vincere è stato il Partito Democratico di Hashim Thaci, 39anni, ex comandante dell’UCK (Ushtria Clirimtare e Kosoves o KLA KosovoLiberation Army). Hashim Taci ha fama di uomo duro e spietato, durante la guerra si era guadagnato il sopranome di “serpente”, perché era spietato non solo contro i serbi ma anche con gli oppositori interni che gli davano fastidio. Taci e l’UCK, furono sempre ostili ad Ibrahim Rugosa, leader storico dell’indipendenza albanese e pacifista, morto il 6 agosto 2006.

L’UCK è la formazione terroristica e criminale che scatenò la guerra nel Kosovo.

Gli obbiettivi dell’UCK sono sempre stati: la secessione da Belgrado e la creazione di uno Stato indipendente da annettere eventualmente all’Albania. Un narco-stato, etnicamente puro (privo di serbi e rom), centro di attività illecite e criminali, una zona franca per il riciclaggio del denaro sporco, il traffico di droga e armi, lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina.

Il 17 febbraio 2008 il Kosovo ha proclamato l’indipendenza. L’UCK ha realizzato l’ultimo e il più importante dei suoi obbiettivi.

La popolazione serba del Kosovo e i suoi rappresentanti hanno avuto la dignità e il buon senso di non presenziare a tale dichiarazione e di astenersi dalla consultazione elettorale del 17 novembre 2007.

L’indipendenza del Kosovo ha ottenuto il parere positivo degli Stati Uniti, della Turchia e dell’Unione Europea (con l’eccezione di Grecia, Cipro, Spagna, Romania, e Slovacchia). Contrari Serbia e Russia, perplessa la Cina. La Turchia del fondamentalista Erdogan e i media del mondo islamico festeggiano la nascita del primo Stato islamico nel cuore dell’Europa, il primo “sangiaccato” (1) dopo la fine della dominazione turca. Il primo ministro turco Erdogan dichiara di: <>. Successivamente, in un incontro con i giornalisti, Erdogan ha spiegato le ragioni del riconoscimento turco facendo riferimento “ai valori ed alla fede comuni, a legami storici e culturali profondi”. Il “ragno” Erdogan tesse la tela per islamizzare l’Europa. Con il “sangiaccato” del Kosovo, l’entrata della Turchia nell’Unione Europea e la crescente immigrazione islamica, presto L’Europa diverrà “Eurabia”. Erdogan lo ha capito, i nostri politici di Roma e Bruxelles no!

L’Unione Europea si è presentata divisa, incapace di elaborare una politica autonoma dagli Stati Uniti. L’Europa ha dimostrato al mondo intero e a quello slavo in particolare, di essere gigante economico ma nano politico. Un’Europa priva di autorevolezza e faziosa, non può sviluppare una politica internazionale di alto livello e contribuire alla soluzione del dramma balcanico.

Gli onorevoli Prodi e D’Alema per la sinistra, Berlusconi e Fini per la destra, possono andare fieri della nascita del narco-stato Kosovo e dell’aver sempre sostenuto la causa dei “fratelli” albanesi. Fratelli, quelli albanesi, che spesso ci ricompensano: riempiendo di puttane i marciapiedi delle nostre città, stuprando, uccidendo, rapinando, rubando, alimentando il traffico: di armi, di droga e di esseri umani.

Qualunque siano le opinioni sulla questione kosovara, per comprenderla a fondo è necessario conoscere la storia dei Balcani. Una terra da secoli crocevia e scontro di culture.

Tutto ebbe inizio nel quattordicesimo secolo, quando l’Impero ottomano invase l’Oriente cristiano.

Le armate turco-islamiche per cinquecento anni misero a “ferro e fuoco” l’Europa Orientale: occuparono Grecia, Bulgaria, Romania, Balcani e Ungheria, spingendosi fino alle porte di Vienna che nel 1683 misero sotto assedio. Dal 1472 al 1499, con le loro scorrerie terrorizzarono la regione più Orientale d’Italia, il Friuli.

Tutta la cristianità orientale oppose una fiera e tenace resistenza, nei Balcani i popoli slavi di religione cristiana (croati, serbi, sloveni e in parte albanesi), appoggiati dall’Austria Imperiale e dalla Repubblica di Venezia, cercarono disperatamente di respingere l’invasione islamica. I serbi pagarono il maggiore contributo di sangue, furono sconfitti ma non si piegarono al dominio turco.

Anche in Kosovo eroica e disperata fu la lotta dei serbi in difesa della “croce” e della Patria. Nel 1389, Lazar, principe della Serbia, fu ucciso dai Turchi nella battaglia del Kosovo e l’esercito serbo sconfitto.

In Kosovo, l’Islam fece molti proseliti fra i cristiani albanesi, ma non fra i serbi. Gli albanesi kosovari si convertirono direttamente all'Islam. In gran parte i motivi della conversione furono economici e sociali, dal momento che i musulmani godevano di maggiori diritti e privilegi dei cristiani. I cristiani, per i dominanti turchi erano “reaya” o “raya” (sudditi non mussulmani dell’impero ottomano), sudditi di serie B, dai diritti limitati e dall’identità negata. La vita religiosa cristiana continuò sotto i turchi, anche se le chiese cristiane e le loro congregazioni subirono un alto livello di tassazione.

Con la sconfitta del Kosovo inizia l’occupazione turca dei Balcani che durerà circa 500 anni. L’Islam si diffuse in Kosovo e in tutti i Balcani con la forza delle armi e il ricatto.

Nel 1689 il Kosovo fu coinvolto nella Grande Guerra turca (1683-1699), uno degli eventi epocali della mitologia nazionale serba. Nell'ottobre di quell'anno, le truppe imperiali austriache aprirono una breccia nell'Impero Ottomano e si spinsero tanto lontano da giungere in Kosovo. Molti Serbi e Albanesi giurarono lealtà all'Impero Asburgico e molti di costoro si unirono all'esercito austriaco guidati dal vescovo cattolico albanese Pietro Bogdano. Una massiccia contro-offensiva ottomana obbligò gli Austriaci a ripiegare nella loro fortezza di Nis, poi in quella di Belgrado (che avevano liberato) e infine, attraversando il Danubio, nella stessa Austria.

L'offensiva ottomana fu accompagnata da selvagge rappresaglie e razzie, i serbi guidati da Arsenije III, Patriarca della Chiesa Ortodossa Serba, furono costretti a fuggire. Questo evento è stato immortalato nella storia serba come il “Velika Seoba” (Grande Migrazione). L’esodo serbo ammontò a centinaia di migliaia di rifugiati, che lasciò un vuoto riempito da un flusso di immigranti albanesi. Altre migrazioni avvennero nel 1735-39 a causa della guerra fra la Russia e il Regno Asburgico contro l’Impero Ottomano. Tutte le migrazioni serbe furono il frutto della pulizia etnica turco-albanese.

Le forzate migrazioni di serbi dal Kosovo consentirono alla minoranza albanese-mussulmana di divenire maggioranza all’interno della regione.

La Serbia ottenne l’autonomia dall’Impero Ottomano con due rivoluzioni: nel 1804 e nel 1815, sebbene le truppe turche continuassero a presidiare la capitale Belgrado fino al 1867.

Le due guerre balcaniche (1912 – 1913), che videro lo scontro tra la Lega Balcanica (Bulgaria, Regno del Montenegro, Grecia e Serbia) e l’Impero Ottomano, segnarono la fine dell’occupazione turca nei Balcani e la riconquista serba del Kosovo. L’occupazione turca lasciò il segno: milioni di slavi di religione mussulmana stanziati in Albania, Macedonia, Montenegro, Bosnia e Kosovo.

Con il crollo dell’Impero Ottomano, nei Balcani si rafforzarono i giovani stati nazionali: Serbia, Montenegro, Bulgaria, Romania, Grecia e Albania.

La Serbia, uscita vittoriosa dalle guerre balcaniche, mirava a riunire sotto la propria guida tutti gli slavi del sud (2) e porre fine alla secolare influenza turca e asburgica sui Balcani. A causa di ciò, Austria e Serbia entrarono in conflitto. Il 28 giugno 1914, l'Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede al trono d'Austria- Ungheria, e sua moglie Sofia, furono assassinati a Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, da Gavrilo Princip, un nazionalista serbo. L’Austria ritenne responsabile dell’attentato la Serbia e reagì attaccandola. Era il 28 luglio 1914, scoppiava la prima guerra mondiale, guerra che si concluderà con la sconfitta degli Imperi centrali e la dissoluzione dell’Impero Ottomano.

Nel 1919, in base agli accordi di Versailles, il Kosovo e la Macedonia vengono assegnati al regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che dal 1929 prenderà il nome di “Jugoslavia”. A guidare il nuovo stato fino al 1941 sarà la casa reale serba dei Karadordevic. La casa reale serba creò uno stato fortemente centralizzato, dove l’apparato amministrativo e le forze armate, erano composte prevalentemente da personale di etnia serba e montenegrina. Il centralismo serbo soffocava il sentimento di autonomia dei diversi popoli della Jugoslavia, in particolare dei croati. Contro questo centralismo gravi disordini scoppiarono nel Paese, il ministro degli interni fu ucciso. A tali disordini il re Aleksandar reagì con un colpo di stato, sciolse il parlamento e impose la dittatura. Era il 6 gennaio 1929. La dittatura di re Aleksandar colpì soprattutto il popolo croato, che a Belgrado chiedeva maggiore autonomia. Il 9 ottobre 1934, durante una visita in Francia, il re Aleksandar fu ucciso dal gruppo nazionalista croato Ustascia (3) guidato da Ante Pavelic.

La Seconda Guerra Mondiale vide la Jugoslavia divisa tra Germania, Italia, e Bulgaria.

Con l’appoggio italo-tedesco nasce la Repubblica di Croazia (1941-1945), a guidarla è Ante Pavelic. Per la prima volta nella storia la Croazia conquista l’indipendenza.

Anche il Kosovo viene occupato dalle truppe dell’Asse. L’Italia forma unita albanesi, impiegate in Grecia. La Germania una divisione di SS, la Divisione Skanderbeg, unità albanese comandata da ufficiali tedeschi, che si rese responsabile dello sterminio dei serbi e di migliaia di ebrei balcanici. In Kosovo, con la logica della pulizia etnica, in sostituzione dei Serbi e degli Ebrei uccisi o deportati dai tedeschi e dalle SS albanesi, arrivarono 70.000 coloni dall’Albania.

Con la seconda guerra mondiale, nei Balcani, all’odio etnico si aggiunge quello politico: da una parte gli italo-tedeschi e i loro alleati slavi (gli “ustascià” croati, le SS islamiche bosniache e albanesi, le SS slovene); dall’altra i partigiani comunisti del maresciallo Tito e i cetnici (i nazionalisti serbi) (4). Cetnici, prima alleati dei titini, contro gli invasori italo-tedeschi e i loro alleati; poi dal 43 nemici dei titini, per ragioni ideologiche, erano monarchici e anticomunisti.

Ambedue le parti in lotta si macchiarono di orribili delitti: da una parte i massacri italo-tedeschi e dei loro alleati, a danno di serbi, ebrei e zingari; dall’altra i partigiani titini con le foibe e la sistemica eliminazione fisica di tutti gli oppositori politici, anche antifascisti. Il progetto criminale del comunista Tito prevedeva: la “pulizia etnica” degli italiani e lo spostamento del confine slavo fino all’Isonzo, con l’annessione alla Jugoslavia di Gorizia e di Trieste. Le conseguenze furono: le foibe e il drammatico esodo dei profughi giuliano-dalmati (1945 -1954).

Al termine della II guerra mondiale nasce la Repubblica Federativa di Jugoslavia, la cui Costituzione approvata il 31 gennaio 1946 sancisce l’unione di sei repubbliche e due regioni autonome (Kosovo e Vojvodina). Con la riforma costituzionale del 1971 e la nuova carta del 1974 le repubbliche federali ottennero la sovranità statale, il Kosovo lo status di provincia autonoma con proprie istituzioni indipendenti da quelle serbe.

Il collante che teneva unita la giovane repubblica era il carisma di Tito e il socialismo. Socialismo inteso non solo come ideologia (il partito e le organizzazioni ad esso collegate), ma anche come regime (l’apparato poliziesco, la magistratura le forze armate e le grandi imprese pubbliche). Un regime che su tale utopia si fondava e da tale utopia traeva legittimazione.

La morte nel 1980 del maresciallo Tito, padre e fondatore della Jugoslavia socialista, e il crollo negli anni ottanta del comunismo in tutto l’Est Europa; determinarono la dissoluzione della Jugoslavia. Dissoluzione che avvenne in maniera violenta a causa dei conflitti etnici e religiosi latenti e mai sopiti. Le fasi più drammatiche e significative di tale dissoluzione furono le recenti “guerre balcaniche” (1990 – 1999): la secessione di Croazia e Slovenia, la frammentazione della Bosnia-Erzegovina e la guerra del Kosovo. Conflitti che hanno provocato: la morte di migliaia di persone in prevalenza civili, oltre un milione di profughi in prevalenza serbi, interi paesi come Vukovar rasi al suolo, il collasso economico di una intera nazione, parti del territorio jugoslavo contaminati dall’uranio impoverito.

La dissoluzione della Jugoslavia ebbe inizio il 25 giugno del 1990, con la dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia. Una guerra durata quasi dieci anni, che provocò la morte di circa 100 mila persone, oltre un milione di profughi, migliaia di mutilati e oltre 25 mila casi di stupro (stupri etnici perché diretti a colpire le donne dell’etnia nemica soprattutto mussulmane).

La Serbia, detentrice del potere centrale, (serbi e montenegrini costituivano la maggioranza dell’élite politico-economica e delle forze armate jugoslave), invase con le proprie truppe il territorio delle repubbliche secessioniste: per tutelare le proprie minoranze dalla eventuale “pulizia etnica” di croati e mussulmani e per realizzare la “Grande Serbia”. Belgrado, nel nome della “Grande Serbia”: << dove ci sono serbi è Serbia>> non esitò ad usare in maniera strumentale, le enclavi serbe presenti in territorio croato e bosniaco. Lo scopo di Belgrado non era impedire la secessione delle repubbliche ribelli, ma espandere il proprio territorio, annettendo quelle parti di Croazia e di Bosnia, occupati dalle proprie minoranze. Emblematico fu il caso della Slavonia, regione della Croazia che i serbi volevano tutta per sè, anche se in tale regione erano da tempo minoranza.

Le conseguenze furono drammatiche, in breve tempo la Yugoslavia precipitò nella guerra civile. La “pulizia etnica”, divenne il mezzo con cui le etnie in lotta si assicuravano il controllo del territorio e sopravvivenza. Quando nei Balcani scoppia un conflitto, un’etnia annienta l’altra, per non venire annientata. Questo è avvenuto dalla dominazione turca ad oggi.

Nella Slovenia, dove la presenza serba non era storicamente radicata, la guerra durò pochi giorni e le truppe di Belgrado si ritirano, lasciando la repubblica secessionista al suo destino.

Più sanguinose e sofferte furono la secessione della Croazia, della Bosnia e della provincia autonoma del Kosovo, che nel proprio territorio avevano enclavi serbe da secoli radicate. Enclavi che Belgrado non poteva e non voleva abbandonare.

In Croazia le enclavi serbe erano concentrate nella Slavonia (5) e nella Krajina (6) regioni croate che divennero l’epicentro dello scontro Zagabria e Belgrado.

In Bosnia le cose andarono in maniera analoga, con la sola differenza che ai due contendenti (serbi e croati) si aggiunse un terzo, i mussulmani di Bosnia detti anche Bosgnacchi. Ancora una volta, come nel passato, cristianesimo e islam si affrontarono nei Balcani.

A scatenare la guerra in Bosnia (1992 – 1995) furono i mussulmani, nella persona del delinquente comune divenuto poi generale, Ramiz Delalic Celo, responsabile dell’omicidio del “convitato serbo alle nozze di Bascarsija”, Nikola Gardovic, il primo marzo 1992.

Il territorio della Bosnia risultava suddiviso nel seguente modo: la parte occidentale, a maggioranza croata, la centrale con la capitale Sarajevo a maggioranza mussulmana e quella orientale a maggioranza serba. I contendenti si affrontarono con la solita ferocia, cercando di “ripulire” dalle etnie avversarie la propria parte di Bosnia. Gravi per l’intera Europa furono le scelte dei bosgnacchi. I bosgnacchi, per islamizzare la Bosnia e sconfiggere gli avversari, non esitarono a ricorrere all’aiuto dei “fratelli mussulmani” provenienti dai Paesi islamici e dall’Europa; trasformando la Bosnia in un avamposto del fondamentalismo e del terrorismo islamico(7).

Dopo una sanguinosa guerra interetnica, durata tre anni, il 21 novembre 1995, a Dayton (Ohio – USA), le parti belligeranti firmarono un accordo di pace (l'accordo finale venne firmato a Parigi il 14 dicembre 1995).

Con l’accordo di Dayton, la Bosnia Erzegovina ottenne l’indipendenza, ora è divisa in due entità territoriali confederate: la Federazione croato-musulmana, che detiene il 51 percento del territorio bosniaco, e la Repubblica Srpska (Repubblica Serba di Bosnia),che ne ha il 49 percento.

Come in tutta la Jugoslavia, anche nel Kosovo, i rapporti tra le diverse etnie andavano logorandosi. Il Kosovo godeva di ampia autonomia. Autonomia ben superiore a quella concessa dall’Italia alle proprie regioni. Il Kosovo, dopo la morte di Tito, ebbe diritto di veto su tutta la legislazione serba che lo riguardava, mentre la Serbia non aveva il veto sulle leggi in vigore nel Kosovo, che ora aveva il suo proprio governo, il suo parlamento, la sua polizia, il suo potere giudiziario e la sua corte suprema. Non contenta di tutto ciò, la maggioranza albanese presente nella regione rivendicò per il Kosovo il ruolo di settima repubblica della federazione e non di semplice provincia autonoma.

Con lo status di “repubblica” il Kosovo, al pari di Slovenia, Croazia, Bosnia, Montenegro e Macedonia, avrebbe potuto chiedere unilateralmente la secessione da Belgrado. Questo perché la Jugoslavia era una federazione di stati sovrani, non una repubblica unitaria. Federazione che riconosceva alle proprie repubbliche il diritto di secessione.

Temendo una nuova secessione, il governo jugoslavo, guidato da Slobodan Milosevic, revocò l’autonomia alla provincia kosovara, revocò lo status paritario goduto dalla lingua albanese-kosovara (fino ad allora lingua ufficiale nel Kosovo accanto al serbo-croato) chiuse le scuole autonome, sostituì i funzionari di partito albanesi con serbi.

Dal 1989 al 1995, la maggioranza albanese, in risposta alla linea dura di Belgrado, mise in atto una campagna di resistenza non violenta sotto la guida del partito LDK e del suo leader Ibrahim Rugosa.

Non sempre la resistenza degli albanesi fu pacifica, il 26 marzo 1991 a Pristina Serbi e Montenegrini vennero assaliti e bastonati, le loro case e negozi saccheggiati ed incendiati. L’esercito intervenne e la repressione fu spietata: un centinaio di albanesi furono uccisi.

Con la fine della guerra in Bosnia, i reduci albanesi-kosovari che avevano combattuto nelle milizie bosniaco-mussulmane organizzarono in Kosovo una propria formazione paramilitare, l’UCK.

Con la comparsa dell’UCK si scatena la guerra in Kosovo, guerra che va distinta in due fasi.

Dal 1996 al 1999, l’UCK mette a segno una serie di attentati, con morti e feriti. Una vera e propria strategia della tensione a danno della comunità serba, delle istituzioni statali e delle minoranze etniche non albanesi (rom in particolare). Belgrado reagisce impiegando le forze armate e le milizie paramilitari composte da estremisti serbi. I serbi agiscono in maniera brutale, non diversamente dai terroristi albanesi che combattono. L’opinione pubblica internazionale si indigna, i governi e i media occidentali accusano la Serbia di genocidio. Contro la Serbia si scatena una guerra gonfiata dai media (8). I serbi vengono dipinti come carnefici e gli albanesi come vittime. In realtà, ambo le parti si macchiarono di crimini efferati in prefetto stile balcanico. Nel febbraio del 1999, a Rambouillet in Francia, con la mediazione della NATO, le parti in lotta (serbi e albanesi) cercano un compromesso. La mediazione fallisce, la Serbia è costretta ad abbandonare il tavolo delle trattative per le condizioni vessatorie ed umilianti che le vengono imposte dall’Alleanza Atlantica: il 22 febbraio il Segretario di Stato Madeleine Albright, si era impegnata con la parte kosovara a garantire entro tre anni, il distacco del Kosovo dalla Serbia; fu introdotta un’appendice (Annex B2) alla parte militare dell’accordo, che prevedeva l’occupazione militare dell’intera Serbia a garanzia degli accordi presi.

I serbi non potevano sottoscrivere un accordo di pace alle condizioni sopra citate. Nessuna nazione avrebbe accettato la sottrazione di parte del proprio territorio da parte di una potenza straniera (gli Stati Uniti) a favore di una etnia secessionista (gli albanesi). Egualmente non avrebbe accettato l’occupazione militare del proprio territorio da parte di una potenza straniera per garantire tale sottrazione. Lapidario fu il commento di Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano:<< Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un Serbo angelico avrebbe potuto accettare. Era un pessimo documento diplomatico che non avrebbe dovuto essere presentato in quella forma >>.(9)

Gli Stati Uniti accetterebbero la secessione della California, se la maggioranza ispanica presente in tale Stato, con la violenza e il terrorismo cercasse di ottenerla? Ed inoltre, gli Stati Uniti accetterebbero che il proprio territorio venisse occupato da un esercito straniero (cubano), a tutela degli accordi presi con gli ispanici secessionisti? L’Italia accetterebbe la secessione dell’Alto Adige, se gli altoatesini con la violenza e il terrorismo cercassero di ottenerla? L’Italia accetterebbe l’occupazione del proprio territorio da parte di un esercito straniero (austriaco) schierato in difesa dei secesionisti (gli altoatesini)? In tutti i casi la risposta sarebbe no! In Italia, da destra a sinistra, i paladini dell’unità nazionale, si strapperebbero i capelli. Forse, in un rigurgito di virilità, invocherebbero la “guerra patriottica” per un nuovo “Risorgimento”. Gli ipocriti di destra e di sinistra, in perfetta malafede, sono centralisti a casa propria ma indipendentisti in casa altrui. Bombardano uno stato sovrano (la Serbia) per appoggiare le mire secessioniste dell’etnia albanese; ma si oppongono al federalismo a casa propria, nel nome di un concetto retorico di unità nazionale e per garantire la “pagnotta” a un Sud assistito e mafioso.

Il 24 marzo 1999, in seguito al fallimento dei negoziati di Rambouillet e con il pretesto dell’intervento umanitario, la Nato attacca la Serbia.

Quella contro la Serbia fu una guerra voluta dai “moderati” di destra e di sinistra. Si distinsero: i democratici o “liberal” americani del Presidente Bill Clinton; i progressisti italiani, del Partito Democratico con l’allora Presidente del Consiglio Massimo d’Alema. All’armata dei “buoni” non mancò l’appoggio del centro-destra (Forza Italia e Alleanza Nazionale e la variegata galassia degli ex democristiani), che con fedeltà canina seguirono la crociata umanitaria del padrone americano. Ad opporsi all’intervento Nato, pur da posizioni diverse, furono solo gli “estremisti” di Rifondazione Comunista, di Forza Nuova e della Lega Nord.

I principali attori dell’aggressione alla Serbia furono gli Stati Uniti per la parte offensiva ( i bombardamenti) e l’Italia, principalmente per la parte logistica (le basi da cui gli aerei americani decollavano per bombardare la Serbia). Da fedeli gregari, fornimmo all’esercito americano le basi (in particolare quella di Aviano in Friuli), per far decollare gli aerei, che colpivano con una media di 600 raid al giorno il territorio serbo, seminando ovunque morte e distruzione.

L’esercito serbo e i paramilitari serbi reagirono ai bombardamenti NATO, sfogando la loro rabbia sulla popolazione albanese, spingendola alla fuga verso la Macedonia e l’Albania. Un esodo di circa 800 mila persone. Esodo provocato non solo dalle rappresaglie serbe ma anche dai bombardamenti Nato. Bombardamenti, che non colpivano solo le truppe serbe, ma anche la popolazione kosovara.

Quella contro la Serbia fu una guerra: illegittima, ipocrita e devastante nelle conseguenze: sociali, ambientali e politiche. Non solo un dramma balcanico, ma anche e soprattutto, una vergogna per l’Occidente.

Illegittimi, furono i bombardamenti della Nato iniziati il 24 marzo 1999 e durati 78 giorni; perché non solo violarono la Carta dell’ONU (non furono autorizzati dalla stessa), ma anche gli stessi statuti fondativi dell’Alleanza Atlantica (alleanza difensiva e non offensiva), oltre all’Articolo 11 della Costituzione italiana (10).

Ipocrite furono le motivazioni ufficiali dell’intervento. La “guerra umanitaria”, la guerra combattuta per impedire o fermare il genocidio (degli albanesi per mano serba) e abbattere la tirannia (Milosevich e il suo regime). In realtà, gli Stati Uniti e loro alleati, aggredirono la Serbia: per estendere ai Balcani la propria area di influenza, un processo iniziato con lo scioglimento del Patto di Varsavia e il conseguente allargamento ad est della Nato. La Serbia filo-russa era l’unico paese della regione balcanica non legato alla Nato (11).

E’ inesatto e scorretto attribuire solo ai serbi il ruolo di “orchi” dei Balcani. Da tutte le parti furono compiute atrocità di ogni tipo e genere, ivi compresa la pulizia etnica. La stessa strage di Srebrenica (luglio 1995) fu la risposta agli attacchi provenienti dalle "enclave" mussulmane (Gorazde, Srebrenica, Tuzla, Bihac, Zepa). Attacchi compiuti dai paramilitari bosgnacchi di Naser Oric, che avevano raso al suolo una trentina di villaggi abitati da serbi. A Srebrenica vennero uccise oltre 8000 persone di sesso maschile, molti erano combattenti dell’esercito bosniaco non donne e bambini.

Ogni etnia affidava il lavoro sporco della pulizia etnica alle proprie milizie paramilitari, comandate dai famosi “sceriffi”dei Balcani, i signori locali della guerra (12). Individui che agivano per conto e con la complicità dei governi delle singole repubbliche. A tale riguardo Slodoban Milosevic (ex Presidente della Serbia) (13), non fu né migliore né peggiore dei suoi omologhi croato, bosgnacco e dei capi dell’UCK. Milosevic ebbe il torto di aver scatenato la guerra nei Balcani per realizzare il progetto della “Grande Serbia”; e la sfortuna di aver ostacolato gli interessi statunitensi nei medesimi. A causa di ciò, divenne il bersaglio ideale di una “guerra umanitaria” criminale ed ipocrita.

La storia dei Balcani è una storia intrisa di odio etnico e di nazionalismo estremista, estranea ai valori della tolleranza e della democrazia. Una storia che il socialismo titino non ha saputo e non ha voluto cambiare. Il mito dello slavo feroce e sanguinario, l’“orco” dei Balcani, non è uno stereotipo ma realtà. La ferocia dei popoli balcanici non è genetica ma antropologica, il prodotto di secoli di conflitti etnico-religiosi, di un’odio latente mai sopito. La tragedia di una terra, dove le parti in lotta sono allo stesso tempo vittime e carnefici.

Devastanti furono le conseguenze sociali, ambientali e politiche, dell’intervento Nato.
Sociali o meglio umanitarie. La vittoria albanese scatenò la pulizia etnica a danno dei “non albanesi”, tutto avvenne a dispetto della presenza delle truppe KFOR (le truppe Nato in Kosovo), impotenti nell’impedire lo scempio. Circa 300.000 mila profughi di tutte le etnie, ma nella stragrande maggioranza serbi e rom, scacciati dalla loro terra e mai più rientrati; più di 3.000 i desaparecidos (di cui 1.300 già dati per morti) denunciati all’ONU, rapiti e assassinati dal marzo ’99 ad oggi; quasi 100.000 persone vivono in poche decine di enclavi, sopravvissute alle violenze e alla pulizia etnica dei secessionisti albanesi; migliaia di case bruciate e distrutte; 148 monasteri e luoghi di culto ortodosso, distrutti o danneggiati dall’UCK. Il numero esatto di vittime dei bombardamenti Nato non è ancora noto, si stima nell’ordine di alcune migliaia tra serbi e albanesi, civili e militari. Gravi episodi coprirono di vergogna la Nato, cito solo i pincipali: 12 aprile, Il treno viaggiatori nella gola di Grdelica (20 morti); 14 aprile, una colonna di profughi in Kosovo (73 morti), 23 aprile, la sede della Radio-Televisione serba (16 morti); 1 maggio, un ponte in Kosovo (39 morti); 3 maggio, un bus nei pressi del villaggio Savine Vode in Kosovo (17 morti); 7 maggio città di Nish (17 morti); 13 maggio, un campo profughi in Kosovo ( 97 morti); 9 e 21 maggio, la prigione Durava nel Kosovo (23 morti); 30 maggio, il ponte nella città di Varvarin sul fiume Morava, durante una festa religiosa (10 morti). Questi sono gli effetti dell’ intervento “umanitario”.

Anche i danni ambientali furono enormi. Intere regioni della Serbia e in particolar modo il Kosovo, inquinati a causa dell’uso dell’uranio impoverito. Oggi, il Kosovo è una regione completamente uranizzata dai bombardamenti “umanitari”, dove diffuse sono le nascite di neonati deformi e i decessi per linfomi di Hodgkin.(14)

Devastanti sono le conseguenze politiche dell’intervento NATO e dell’indipendenza del Kosovo: l’affermazione del principio ipocrita e assurdo della “guerra umanitaria”, il consolidamento dell’influenza islamica nei Balcani, la trasformazione del Kosovo in un narco-stato, l’acuirsi delle tensioni tra est ed ovest, l’effetto domino della secessione delle micro-patrie.

La “guerra umanitaria” annulla il principio della sovranità internazionale, su cui ogni Stato e popolo fondano la propria indipendenza. Nel nome della guerra umanitaria, il mondo viene diviso in “buoni” (Stati Uniti e loro alleati) e “cattivi” (gli altri). Ai “buoni” è concesso di annientare i “cattivi”, con lo scopo di imporre la democrazia, il libero mercato e tutelare i diritti umani. Anche un ingenuo capisce quali siano le conseguenze di questo principio: calpestare la sovranità nazionale di qualsiasi Paese, per imporre i nostri valori o per realizzare i nostri interessi politici ed economici, sotto le insegne della “crociata umanitaria”.

Infatti, non si può negare l’uso fazioso ed ipocrita della guerra umanitaria. In un mondo dove sono ampiamente diffuse sono la dittatura, il genocidio e la pulizia etnica; gli interventi umanitari degli Stati Uniti e dei loro alleati si concentrano solo in quelle aree geografiche, dove tali Paesi hanno interessi economici e politici da tutelare: l’area Balcanica e il Medio Oriente. Le “guerre umanitarie” non vengono combattute in quelle aree geografiche, dove gli interessi occidentali sono assenti (Africa), o i costi economici ed umani dello scontro troppo elevati (Asia e Caucaso).

L’Occidente non intervenne: in Ruanda nel 1988, per fermare la pulizia etnica nata dallo scontro tra hutu e tutsi: circa un milione di morti; a Timor Est nel 1999, per fermare il massacro dei cristiani, ad opera delle milizie filo-islamiche appoggiate dall’Indonesia.

Oggi, l’Occidente non interviene militarmente contro la Cina, per fermare il genocidio culturale e la sanguinaria repressione poliziesca nel Tibet; contro con la Russia, per l’indipendenza della Cecenia e contro la dittatura di Putin; contro il regime islamico del Sudan, responsabile della morte di oltre un milione tra cristiani ed animisti; contro il regime della Corea del Nord, una tirannia comunista che affama il popolo. In questi casi prevalgono la moderazione e l’indifferenza. L’Occidente da “falco” si trasforma in “colomba”. E’ il trionfo della doppia morale dei vili e degli ipocriti.

Altra conseguenza dell’intervento Nato e dell’indipendenza del Kosovo è la nascita del narco-stato Kosovo, centro di traffici illeciti e di covo di terroristi. Secondo Pino Arlacchi, ex responsabile Onu per la lotta alle narco-mafie (UNDCP): <>. Lo stesso ex premier albanese kosovaro B. Bukoshi ha dichiarato al giornale tedesco Der Spiegel nell’intervista del 1 agosto 2004:<>. Il generale Fabio Mini, l'ufficiale che guidò la Nato in Kosovo dal 2002 al 2003, ha affermato in un'intervista al Corriere della Sera: << l'indipendenza del Kosovo conviene soltanto "ai clan" kosovari e a quelli della Serbia come "porto franco” per il denaro che arriva dall'est>>.

Il prodotto interno lordo pro-capite del Kosovo è di circa 800 euro: il 50% deriva dal traffico di droga, armi e prostituzione; il 40% arriva dagli aiuti umanitari e il 10% dall’economia locale.(15)

Kosovo indipendente non solo un narco-stato, ma anche primo stato islamico dei Balcani. Un’area protetta, destinata a base logistica ed operativa di cellule dormienti di Al Qaeda nei Balcani. Cellule già da tempo insediate e attive durante i recenti conflitti in Bosnia e Kosovo. Una pericolosa incognita per l’ Europa che con i Balcani confina; ma anche per gli Stati Uniti, a cui va ricordato che l’attacco dell’11 settembre 2001 partì dalla Germania. Oggi il nemico degli Stati uniti e dell’Europa non è il comunismo (fortunatamente crollato), ma l’islam con le sue componenti fondamentaliste.

Tra le conseguenze politiche dell’indipendenza del Kosovo, va ricordato anche l’effetto domino della secessione delle micro-patrie. Se l’Unione Europea, riconosce il diritto di autodeterminazione alla minoranza etnica e alla provincia del Kosovo, in futuro qualche movimento o partito autonomista potrebbe rivendicare tale diritto anche per la propria minoranza etnica, provincia e regione. Un effetto domino di difficile controllo e dalle conseguenze imprevedibili. Oggi il Kosovo, domani i Paesi Baschi e la Catalogna in Spagna, la Transilvania ungherese in Romania, la Repubblica di Srpska dei serbi di Bosnia, il Veneto e l’Alto Adige in Italia, il Kurdistan. Popoli, regioni e provincie che hanno gli stessi diritti degli albanesi del Kosovo. Non esistono popoli o regioni di serie A e popoli o regioni di serie B.

Infine, tra gli effetti dell’intervento NATO e dell’indipendenza del Kosovo, va aggiunto anche l’aumento della tensione tra Est ed Ovest.

Ora che il comunismo è crollato, perché l’Europa deve entrare in collisione con Mosca e Belgrado e rivivere il dramma della “guerra fredda”? Una nuova “guerra fredda” dalle gravi conseguenze: l’interruzione delle forniture di gas; l’impossibilità di creare con l’est Europa un fronte comune in tema di lotta alla criminalità, alla mafia, al terrorismo islamico e difesa dell’ambiente; l’esplosione di un nuovo conflitto nei Balcani ( la prima guerra mondiale scoppiò nei Balcani, e la Serbia fece da detonatore). La storia non si ripete mai nello stesso modo, ma spesso si ripete in modo diverso. Questo non hanno capito i “cowboys” di Washington e i loro servi sciocchi di Roma e Bruxelles.

Mosca ha sempre sostenuto che la soluzione adottata in Kosovo e l’allargamento ad est della Nato rappresentava un pericoloso precedente capace di minare i rapporti internazionali. Le dichiarazioni dell’ex presidente Putin non lasciavano dubbi, sia sul Kosovo che sull’allargamento ad est della Nato: Europa, dove costituiscono circa un terzo della popolazione. A partire dalla loro terra natia (principalmente l'Europa orientale

) nel VI secolo

, si sono spostati anche verso l'Europa centrale

e verso i Balcani

. I popoli slavi sono tradizionalmente divisi lungo linee linguistiche in slavi occidentali

(che comprendono i cechi

, i polacchi

e gli slovacchi

), slavi orientali

(che comprendono i bielorussi

, i russi

e gli ucraini

) e slavi meridionali

(tra cui i serbi

, i bulgari

, i croati

, i macedoni

, i montenegrini

, i bosniaci

e gli sloveni

).

3) Il termine ùstascia (in croato

ustaša, plurale ustaše, dal verbo "ustati" che significa insorgere), già usato dagli slavi balcanici per indicare coloro che lottavano contro i turchi, venne ripreso dal bosniano Croato Ante Pavelić

per designare gli appartenenti al movimento nazionalista croato di estrema destra che si opponeva ad un regno di Jugoslavia federativo nonché dominato da elementi serbi (1928

). Negli anni 30 gli ùstascia si avvicinarono alla Germania di Hitler, nella quale individuarono un protettore più forte e affidabile, sia economicamente che politicamente. In questo contesto il 9 ottobre 1934 mettono in atto l'assassinio di Re Alessandro a Marsiglia.

Costituito il Partito unico dello Stato Indipendente di Croazia (1941), con l'aiuto dei nazionalisti, del regime fascista italiano e la benevolenza della Germania nazista, gli ustascia commisero spaventose atrocità sterminando centinaia di migliaia di persone, per quanto le stime siano controverse, tra serbi, ebrei, zingari e dissidenti politici.

Nel 1945, dopo aver guidato fino all'ultimo le truppe croate, Pavelic riuscì a fuggire dapprima in Austria, quindi a Roma e infine in Argentina. La Chiesa Cattolica di Roma ed il papa Pio XII, che era stato sempre particolarmente benevolo nei suoi confronti, furono sospettati di averne favorito la fuoriuscita.

Pavelic morì nel 1959 nella Spagna di Francisco Franco in seguito alle ferite di pistola riportate in un attentato opera di un nazionalista serbo.

4) Cetnici sono un movimento politico e militare serbo. Il loro nome deriva dal termine četa ("truppa" o "banda").

I Cetnici si formarono inizialmente dallo scontro della Macedonia

con gli Ottomani

.

Combatterono in Erzegovina contro i Turchi e nella Macedonia settentrionale contro i Turchi e gli Albanesi che li appoggiavano.

I Cetnici erano monarchici e nella Prima Guerra Mondiale

combatterono contro l'Austria-Ungheria

.

I loro valori sono quelli della Destra conservatrice

, incentrati sulla difesa della famiglia e della proprietà privata (erano di conseguenza anti-comunisti). Lottavano per la restaurazione della monarchia e la creazione di una Grande Serbia (nazionalismo panserbo).

Durante la Seconda guerra mondiale

i cetnici erano contrapposti a 2 nemici principali: gli occupanti tedeschi e gli Ustascia

da una parte, e i partigiani comunisti di Tito, ideologicamente avversi, dall'altra. E gli Italiani? l'Italia fascista non combatté i cetnici ma si alleò con loro in funzione antipartigiana ed anti (segretamente) ustascia, poiché l'Italia occupava tutta la Dalmazia croata rivendicata anche (timidamente) dagli ustascia.

Nell'estate del 1941 l'attività di guerriglia aumentò e i nazisti risposero molto duramente contro la popolazione civile, con delle pene predeterminate: 100 civili serbi per ogni soldato della Wehrmacht ucciso e 50 per ogni ferito. I due movimenti anti-fascisti, cetnici e partigiani di Tito, dapprima collaborarono mentre in un secondo tempo iniziarono a combattersi l'uno contro l'altro.

Nella parte meridionale della loro zona d'occupazione, gli Italiani strinsero un'alleanza strategica coi cetnici contro i partigiani e (indirettamente) gli ustascia. I cetnici collaborarono anche col governo filo-tedesco

di Milan Nedić in Serbia

. Alla fine i cetnici iniziarono a concetrare i loro sforzi contro le forze partigiane, perfino alleandosi con i nazisti in alcune parti della Bosnia e con gli Italiani in Montenegro. Mihailović sperava di preservare il maggior numero possibile di vite serbe anche se questo voleva dire collaborare col nemico, e uccidere decine di migliaia di civili musulmani e croati in Bosnia-Erzegovina e in Croazia (la Bosnia Erzegovina faceva allora parte della Croazia di Pavelic) in risposta agli eguali eccidi degli ustascia croati.

Alla fine della guerra i cetnici erano ancora numericamente validi. Alcuni si unirono alle forze tedesche per non arrendersi ai sovietici e partigiani di Tito. Mihailović e i suoi pochi fedelissimi rimasti (incluso il padre di Radovan Karadžić), furono catturati dai partigiani di Tito. Nel marzo del 1946 Mihailović fu trasferito a Belgrado, dove in luglio fu processato e condannato a morte con l'accusa di tradimento.

5) La Slavonia è la regione croata che sta tra l'Ungheria e la Bosnia e confina ad est con la Serbia. Per Slavonia Orientale si intende quella a ridosso del confine serbo con capoluogo Vukovar, per Slavonia Occidentale quella che comprende la cittadina di Okucani riconquistata dai croati nell'aprile 1995.

La Slavonia era abitata prima della guerra da una maggioranza di croati con la presenza di una forte minoranza serba. Dal marzo 1991 (con la rivolta di Pakrac) la minoranza serba, armata da Belgrado, cominciava una serie di azioni di guerriglia e di atti terroristici che portarono una parte della popolazione croata ad allontanarsi. Da quel momento il copione, destinato a ripetersi fino alla fine dell'anno, fu: le bande paramilitari serbe attaccavano la polizia croata (dalla quale Tudjman aveva fatto escludere gli elementi serbi), l'esercito federale (ma in realtà filoserbo) interveniva, ufficialmente per dividere i contendenti, in realtà per sancire l'avanzata dei serbi. l'esercito federale attaccava direttamente in prima persona solo per conquistare le grosse città, Tra queste Vukovar che, lungo una resistenza di tre mesi, venne praticamente rasa al suolo e solo così conquistata dai serbi nel novembre 1991. Nel maggio del 1995 i croati con l’appoggio della Nato riconquistano la Slavonia.

6) La Kraijna é una regione della Croazia che confina con la Bosnia, e che era abitata, sino all'agosto del 1995, in gran parte da serbi. Costoro erano insediati nella regione da secoli, separati dai serbi di Serbia. l'origine di questo stanziamento risale alla fine del 1500 quando l'Austria si trovò a difendere dai turchi il proprio territorio, che comprendeva la Croazia. La striscia di territorio (l'attuale Krajina e la parte meridionale della Slavonia) che separava la Croazia dall'impero ottomano (che arrivava fino in Bosnia) era spopolata a causa delle incursioni turche. l'Austria trovò dunque conveniente insediarvi quei profughi serbi che erano fuggiti a nord e che furono allettati a rimanere in quei posti attraverso la concessione di speciali diritti di possesso della terra, in cambio della difesa del territorio dai turchi. I serbi di Krajina sono rimasti maggioritari sino all'agosto 1995. In Slavonia invece col tempo i serbi divennero una minoranza.

L'origine e la dinamica del conflitto nella Krajina sono gli stessi della Slavonia e portarono al controllo da parte dei serbi della regione e alla cacciata della minoranza croata. Nel 1991, con un referendum che le autorità federali non riconobbero, la Krajina si pronunciò per il distacco dalla Croazia e per la fusione con la Serbia ancor prima che si producesse effettivamente l'indipendenza croata. I croati, nell'agosto 1995, con un'offensiva lampo e l’appoggio aereo della Nato riconquistarono l'intera Kraijna senza che la Serbia intervenisse. 250.000 serbi furono costretti ad un esodo forzato, mentre le truppe croate si abbandonarono ad atti di pulizia etnica e vendetta nei confronti dei serbi in fuga.

7) I volontari islamici che iniziarono ad arrivare in Bosnia nell’estate del 1992 avevano due scopi: il primo era la “djihad” la guerra santa, il secondo la “dawa” il missionariato islamico. I “volontari” sapevano che la djihad non era sufficiente, finita la guerra il loro ruolo sarebbe stato ridimensionato e così anche la possibilità di esportare il fondamentalismo nei Balcani. Era quindi necessario sviluppare una rete di organizzazioni umanitarie, educative e culturali per diffondere lo stesso.

8) Secondo un articolo apparso alla fine del 1989, sul quotidiano “La Nazione”; la CNN, prima fra le TV occidentali, iniziò a trasmettere ogni giorno filmati di stragi compiute dai serbi sui kosovari. Si trattava di due episodi in cui rimasero uccisi 205 civili, mentre venivano messi in onda spezzoni sempre diversi dello stesso filmato, in modo che sembrasse che in Kosovo fosse in corso un genocidio. Se ciò fosse dimostrato, si ridimensionerebbe la proporzione tra un pericolo di genocidio da parte dei serbi e l'intervento armato sua conseguenza.

9) Henry Kissinger al Daily Telegraph, 28 giugno 1999: « The Rambouillet text, which called on Serbia to admit NATO troops throughout Yugoslavia, was a provocation, an excuse to start bombing. Rambouillet is not a document that an angelic Serb could have accepted. It was a terrible diplomatic document that should never have been presented in that form».

10) Recita l’articolo 11 della Costituzione italiana: << l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo>>.

11) La Serbia è storicamente e culturalmente legata alla Russia zarista prima e sovietica poi: religione ortodossa, alfabeto cirillico. La Serbia nasce e si sviluppa in maniera indipendente, spesso in antitesi con l’Europa Occidentale e le potenze allora egemoni: l’Austria imperiale, l’Asse Roma-Berlino nella II g. m., la Nato nel dopoguerra.

Slovenia e Croazia sono storicamente e culturalmente legate all’Europa Occidentale. Sono Paesi di religione cattolica, filo-atlantici. Storicamente legati all’Europa Occidentale: furono colonie romane, poi passarono sotto l’influenza degli Asburgo e della Repubblica di Venezia (Istria e Dalmazia).

I mussulmani balcanici (albanesi e bosgnacchi) sono filo-turchi e la Turchia è membro della Nato.

12) Vale la pena ricordare chi erano e per chi operarono gli “sceriffi” balcanici.

Per la parte croata, operavano in Croazia durante la guerra del 1990-1991: Tihomir Oreskovic, Tomislav Mercep, Branimir Glavas e Djuro Brodarac, attivi a : Zagabria, Pakracka poljana, Karlobag, Vukovar, Osijek e Gospic,. Sempre per la parte croata ma attivi in Bosnia ed Erzegovina: Mladen Natetilic Tuta, Vinko Martinovic Stela e Ivica Rajic, tutti membri o personaggi legati all’HVO (Consiglio Croato di Difesa). Per la parte serba, oltre ai noti serbo-bosniaci Radovan Karadzic presidente della Repubblica serba di Bosnia e Ratko Mladić, generale serbo-bosniaco responsabili del massacro di Srebrenica, vanno ricordati: le squadre “Dusan Silni” e “Beli Orlovi” (Aquile Bianche), vicine al partito radicale serbo e guidate dal regista cinematografico del periodo ante bellico, Dragoslav Bokan, Djordje Bozovic definito da alcuni l’astro della malavita belgradese, comandava la “Srpska Dobrovoljacka Garda” (Guardia Volontaria Serba), Arkan, criminale schedato, capo dei tifosi della “Zvezda” creatore dei “Tigrovi”, Slobodan Medic Boca, comandante degli “Scorpioni” responsabile dei crimini a Srebrenica. Per la parte mussulmana: il Generale Jusuf Pralina Juka, prima della guerra era un piccolo criminale di Sarajevo, Ramic Delalic Celo, comandante della “Deveta Brdska Brigada” (Nona Brigata Montana) dell’Armija BiH (l’ esercito dei mussulmani di Bosnia), Naser Oric ex poliziotto e delinquente comune, utilizzava l’enclave bosgnacca di Srebrenica come base per omicidi e razzie ai danni della comunità serba presente nella zona.

Personaggi, quelli sopra citati, condannati a vario titolo dai tribunali dei Paesi di appartenenza o dal tribunale dell’Aia, per l’omicidio e le violenze compiute ai danni dei civili appartenenti alle etnie nemiche. Oppure assassinati: nei regolamenti di conti della malavita a cui alcuni di loro appartenevano; o dai servizi segreti, affinché non svelassero verità scomode sui governi che avevano sostenuto, come nel caso del serbo Arkan, dei bosgnacchi Musan Topalovic Caco e Naser Oric.

Per fortuna, la guerra kosovara è stata troppo breve per far sì che fra gli Albanesi potesse nascere un grande numero di comandanti di guerra di marcata provenienza criminale, e i due più importanti già da qualche tempo trascorrono le loro giornate all'Aja. Ramush Haradinaj Smajl, arrivato all'Aia dalla posizione di premier kosovaro, nel 1998 e nel 1999 era il primo uomo dell'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK, ndt.) nella zona Operativa Dukadjin che comprendeva Pec, Decani, Djakovica e le parti dei comuni di Istok e di Klin: questa regione era importante per l'UCK per il collegamento con l'Albania, da dove giungevano le armi e tutto quanto era necessario, compresi centinaia di chili di eroina che poi veniva distribuita sul territorio di tutti i Balcani. Haradinaj lì era un intoccabile prepotente ed insieme ai fratelli e ai cugini (Daut, Frasher, Shkelzen e Nasim Haradinaj) il suo più fedele e più pericoloso uomo era Idriz Balaj Porucnik, comandante dell'unità speciale dell'UCK “Crni orlovi” (Aquile nere, ndt.).

Il tribunale dell'Aia accusa Haradinaj e Balaj - e il vice di Haradinaj e suo cugino Lahi Brahimaj – di aver condotto durante la guerra in Kosovo operazioni organizzate finalizzate a omicidi, torture e deportazione della popolazione civile serba, e di quegli albanesi e Rom dei quali si riteneva che fossero membri della quinta colonna o che non fossero in dovuta misura fedeli all'Esercito di liberazione. l'ideatore delle operazioni era Haradinaj, mentre i “Crni orlovi” di Balaj - fra altro una formazione perfettamente addestrata e armata - realizzavano tali idee facendo i conti in modo brutale con i civili serbi e rom, e con i connazionali disubbidienti. Quella che nella guerra era la Zona operativa di Dukadjin, dopo la guerra è diventato il centro della criminalità organizzata in Kosovo: il traffico di droga e di donne è diventato l'unico ramo dell'economia, e gli sceriffi Haradinaj e Balaj, e i loro numerosi fratelli e cugini, sono diventati persone molto ricche. Così ricche che Ramush Haradinaj è riuscito ad arrivare alla funzione di premier, che però non gli ha evitato il processo del tribunale dell'Aia.

Fonte il dossier di Ivica Dikic “ Mramor, Kame i Zeljezo”, pubblicato sul settimanale croato “Federal Tribune” il 18 agosto 2005. Traduzione di Ivana Tabelak per “Osservatorio dei Balcani: “Gli sceriffi delle guerre jugoslave”.

13) Milošević fu arrestato il 1 aprile 2001 con mandato del tribunale internazionale dell'Aja, dopo molte titubanze del nuovo regime democratico, come imputato per crimini contro l'umanità. Il processo si è interrotto a poca distanza dalla sua conclusione, a causa della morte dell'imputato l'11 marzo 2006 per arresto cardiaco.

14) La NATO ha dichiarato di aver sparato circa 31.000 proiettili all'uranio impoverito per un totale di circa

dieci tonnellate di DU sparse in Kosovo, anche se le fonti non ufficiali parlano di un numero più elevato.

15) Fonte: “Kosovo, Ue in missione divisa sull’indipendenza” su “Il Sole 24 Ore” del 15.12.2007.

16) Per panslavismo si intende il movimento culturale nato nel XIX secolo con l'arrivo di ideali liberali e nazionali diffusi negli ambienti colti slavi in seguito al romanticismo e alle guerre napoleoniche. Mirava alla presa di coscienza dei popoli slavi di radici comuni, e si poneva come obiettivo quello di creare un unico stato nazionale.

I principali teorici furono presso le popolazioni residenti dentro i confini dell'Impero Asburgico, ovvero Cechi, Sloveni, Slovacchi, Croati e Serbi.

Il primo congresso panslavo fu a Praga nel 1848, presieduto dallo storico F.Palack. La più grande divisione teorica è quella tra il "Piccolo Panslavismo" (che esclude la Russia) e il "Grande Panslavismo".

La Russia zarista, usò spesso l'idea della riunificazioni slava giustificare la sua espansione nell'Europa centro-orientale e nei Balcani. Putin e i nazionalisti della Russia post-sovietica nel nome del panslavismo appoggiano la Serbia nei Balcani e le istanze separatiste delle popolazioni russe nelle repubbliche ex sovietiche.

Il panslavismo ebbe ruolo ideologico fondamentale per la creazione del Regno di Jugoslavia.

I principali ostacoli alla riunione dei popoli slavi, sono aspri conflitti storici e la mancanza di coesione territoriale, essendo slavi del nord e del sud divisi geograficamente, dalla presenza di Austriaci, Ungheresi e Romeni, popoli di cultura e lingua non slava.

17) L’oleodotto BTC, (Bakù, Tiblisi, Ceyan) accreditato come il più lungo al mondo con i suoi 1.770 km congiunge la città di Baku, sulle sponde occidentali del Mar Caspio, con il porto turco di Ceyhan situato sulle sponde orientali del Mediterraneo, attraversando le ex repubbliche sovietiche dell’Azerbaijan e della Georgia per poi penetrare in Turchia.

18) Marcello Foa: “Le minoranze russe nuova arma di Putin”, Il Giornale 13.8.2008.

19) La Metohija o Kosovo serbo, comprende tre dei sette distretti del Kosovo: Pec Dakovica e Prizren, circa il 30% del territorio dell’intero Kosovo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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