USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 9:17 am

Gruppi medici vogliono censurare e perseguire gli americani che si oppongono al cambio di sesso dei bambini
L'Osservatore Repubblicano
(UpwardNews)
12 ottobre 2022

https://www.facebook.com/ossrepubblican ... 6rxB4pyobl

La richiesta assomiglia alla famigerata lettera sul "terrorismo interno" inviata al governo dai consigli scolastici liberal, che ha portato alle indagini dell'FBI sui genitori che protestavano.
Cosa è successo: L'Accademia Americana di Pediatria, l'Associazione Medica Americana e l'Associazione Ospedaliera dei Bambini hanno inviato una lettera al Procuratore Generale Merrick Garland in cui si mettevano in guardia da "attacchi coordinati" contro le strutture che forniscono "cure per l'affermazione del genere".
La campagna di "disinformazione": Gruppi conservatori, attivisti ed opinionisti hanno puntato i riflettori a livello nazionale sugli ospedali pediatrici che offrono "cure per l'affermazione del genere" e sulle associazioni mediche che promuovono la transizione di genere ai bambini. I gruppi di medici sostengono che questa "campagna di disinformazione" abbia portato a "e-mail moleste, telefonate e picchetti di manifestanti presso le strutture sanitarie" ed a un allarme bomba. Esortano il Dipartimento della Giustizia ad "indagare e perseguire" i responsabili e le società di social media a censurare questo tipo di contenuti.
Una tattica però familiare: L'anno scorso, mentre i genitori protestavano presso i consigli scolastici per i programmi e le politiche controverse adottate dalle scuole, l'Associazione nazionale dei consigli scolastici inviò una lettera in cui chiedeva a Merrick Garland di indagare sui manifestanti sulla base di una minaccia inventata di "terrorismo interno". Garland ha quindi mobilitato l'FBI, che avrebbe iniziato a monitorare i genitori come possibili minacce di tipo terroristico. Allo stesso modo, queste organizzazioni mediche stanno inquadrando le proteste, per lo più non violente, contro i trattamenti transgender come una "minaccia nazionale" che richiede un giro di vite da parte del governo federale.
Il quadro generale: Le procedure per il cambio di sesso dei minorenni sono molto controverse, nonostante gli sforzi dei media tradizionali per screditare le preoccupazioni. Incapaci di resistere alle persistenti critiche, questi gruppi medici stanno cercando di collaborare con il governo federale e le Big Tech per intimidire e mettere a tacere gli americani.




Con la Drag Queen a “Dancing With The Stars”, la Disney punta su un’ulteriore propaganda sessuale per i bambini – The Federalist
Poiché “Dancing With The Stars” è considerato uno show “adatto alle famiglie”, anche i bambini possono guardare la serie su Disney Plus senza che i genitori lo sappian
o
Tratto e tradotto da un articolo di Bailey Duran per The Federalist
14 ottobre 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ederalist/

In una mossa che non dovrebbe sorprendere, vista la propensione della Disney a rivolgersi ai bambini con la propaganda sessuale, la stagione 31 di “Dancing With The Stars” presenta una Drag Queen. Nella prima puntata, la Drag Queen “Shangela” e il suo partner Gleb Savchenko si sono guadagnati gli elogi dei giudici e si sono classificati terzi su sedici coppie di ballerini.

Permettere ad una Drag Queen di gareggiare, per di più con un ballerino professionista maschio, è solo un’altra parte di uno sforzo sistematico della Disney – che ora ospita “Dancing with the Stars” su Disney Plus – per spingere la perversa agenda sessuale del gigante dell’intrattenimento sui bambini.

Shangela è un uomo di 40 anni di nome Darius Pierce. Pierce è cresciuto a Paris, in Texas, ed è stato allevato da una madre single veterana dell’esercito. Da bambino faceva parte del coro della chiesa, ma si è avvicinato al mondo delle Drag Queen all’età di 16 anni per un progetto scolastico. È diventato famoso dopo aver partecipato a tre stagioni di “RuPaul’s Drag Race“.

Darius Pierce dice di identificarsi come Queer e Gay. Pur non dichiarandosi transgender, è d’accordo con l’indottrinamento dei bambini con l’ideologia trans.

All’inizio di quest’anno, durante un gioco a premi ispirato a “Jeopardy!“, è stato chiesto ai concorrenti di individuare quale governatore “ha paragonato le cure per l’affermazione del genere agli abusi sui bambini“. Senza perdere tempo, Pierce ha risposto: “Penso che si riferisca a quel pazzo tiranno noto come il governatore del Texas Greg Abbott“. Ha poi elogiato la “GLAAD” (Gay and Lesbian Alliance Against Defamation) per aver “radunato Hollywood e i media per combattere la legislazione anti-trans in Texas ed in tutto il Paese“.

Ha anche preparato la sua figlioccia Hailey, di 9 anni, per il concorso “Toddlers and Tiaras“ e la si può vedere camminare come una modella davanti a dei bambini mentre è completamente travestita. Nel video, la figlioccia dice: “Penso che le Drag Queen siano forti. Sono come dei modelli”.

Questo tipo di propaganda sessuale non è quello che la maggior parte del pubblico target della Disney vuole che gli venga propinato ogni volta che accende la televisione. La Disney ha commesso lo stesso errore con il fiasco di “Lightyear“. I registi hanno infarcito un film per bambini con la propaganda LGBTQ e il film è stato bocciato. Naturalmente, i media e la stessa Disney hanno fatto finta che l’insuccesso del film non avesse nulla a che fare con la politica, ma ora dovranno fare i conti con la realtà.

Nelle prove con il partner professionista Gleb Savchenko, Darius Pierce ha l’aspetto di un qualsiasi uomo che si vede per strada (anche se sgargiante), ma nelle interviste e negli spettacoli è vestito da donna. Quando ho guardato per la prima volta le foto dei membri del cast, non avevo idea che Pierce fosse un Drag performer. Quanto potrebbero rimanere confusi i bambini?

Anche se Savchenko e Pierce saranno la prima coppia tutta al maschile nella storia di “Dancing With The Stars“, l’agenda sessuale dello show non è iniziata quest’anno. La prima coppia tutta al femminile è stata presentata l’anno scorso nella stagione 30, quando l’icona dei bambini gay JoJo Siwa è stata abbinata alla professionista di “Dancing With The Stars” Jenna Johnson.

Molti non erano soddisfatti di questo abbinamento, ed è uno dei fattori che ha portato la stagione 30 a registrare un calo record di ascolti. La prima ha ottenuto poco più di 5 milioni di telespettatori, con un calo del 33% rispetto alla stagione 29.

A quanto pare, i dirigenti dello show non hanno imparato la lezione.

I genitori sono stanchi di vedere i loro figli bersagliati da una grossolana propaganda sessuale, ovunque, dalle piattaforme di intrattenimento come Disney Plus alle aule scolastiche. Permettere questo tipo di contenuti è dannoso per i bambini e addirittura malvagio. Ogni sottigliezza è sparita e al suo posto c’è un megafono che grida attraverso la televisione che il matrimonio tradizionale e la visione tradizionale del sesso non sono solo un’opzione tra le tante, ma sono superate, strane e “non più cool“.

Come se non fosse già abbastanza difficile per i genitori combattere contro un gigantesco insieme di istituzioni, dall’istruzione all’intrattenimento, che spingono alla confusione sessuale, devono farlo in un mondo abituato a celebrare la licenziosità anche a prescindere da un’agenda LGBTQ. La nostra cultura sconcia è stata impregnata di così tanti eccessi sessuali che le persone eterosessuali che si vestono come spogliarelliste sono viste come “normali”, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Il passaggio alle persone omosessuali che si vestono in modo simile o al cross-dressing non è purtroppo un salto così grande.

Uomini e donne sono stati creati in modo diverso e per adempiere a uno scopo specifico. Allo stesso modo, la sessualità è una parte importante e bella dell’essere umano, progettata per essere goduta in modi ordinati, non per essere abusata o commercializzata. I giganti dell’intrattenimento della Sinistra che distorcono la verità e celebrano la confusione sessuale danneggiano proprio le persone che affermano di voler sostenere. La confusione sessuale non è qualcosa di cui essere entusiasti. Dovremmo mostrare con amore alle persone da dove viene il loro valore e la loro identità intrinseca, non spingerle ulteriormente verso uno stile di vita dannoso e malvagio.

Ora che “Dancing With The Stars” ha dato il via a questa tendenza, è probabile che da qui in avanti ci sarà almeno una coppia di ballerini dello stesso sesso in ogni stagione. E poiché è considerato uno show “adatto alle famiglie”, i bambini che hanno accesso agli account Disney Plus potranno guardare la serie senza che i genitori lo sappiano.

Bailey Duran è una scrittrice appassionata di fede, famiglia e valori americani tradizionali. Si è laureata alla Liberty University nel maggio 2021 con una laurea in giornalismo.


Il CDC userà 85 milioni di dollari per fare pressione sulle scuole affinché adottino i gruppi di studenti LGBTQ
(UpwardNews)
L'Osservatore Repubblicano
14 ottobre 2022

https://www.facebook.com/ossrepubblican ... LinF8Wbdpl

Un'organizzazione giovanile LGBTQ con club in oltre 4.000 scuole statunitensi ha ottenuto l'approvazione dal governo federale.
Il programma: I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) finanziano un programma di sovvenzioni che assegna fino a 350.000 dollari alle scuole che promuovono gruppi di Gender and Sexuality Alliance o Gay-Straight Alliance (GSA) per gli studenti.
Requisiti di ammissibilità: Oltre ad ospitare i GSA, il CDC richiede che le scuole forniscano "programmi di studio inclusivi" e modi per gli insegnanti di "riconoscere e sfidare" eventuali "convinzioni normative" sulla sessualità e l'identità di genere. Inoltre, incoraggia la concessione dell'accesso ai bagni ed agli spogliatoi in base al genere scelto dagli studenti.
Cosa fanno i club GSA: Pur promuovendo l'"inclusione" delle identità LGBTQ dei ragazzi, questi club introducono gli studenti alla più ampia narrativa delle politiche identitarie, dell'"intersezionalità" e dei "sistemi di oppressione" presenti nella società occidentale "bianca e capitalista". Un'attività richiede ad un ragazzo di identificare il proprio posto in una lista che descrive i "gruppi con potere sistemico (cioè, i c.d. privilegiati)" e i "gruppi con potere sistemico minore o nullo (cioè, i c.d. oppressi)". L'attività svolta dal gruppo dice al ragazzo come aiutare i suoi coetanei appartenenti alle minoranze che sono "colpiti" dal "suprematismo bianco" o dal "patriarcato" di cui possono beneficiare.
Nascondersi dai genitori: Se i genitori di uno studente "non sostengono i giovani trans e queer", ai leader delle GSA viene detto di non informarli della partecipazione del figlio al club, a meno che non sia "richiesto" dalla legge.
Il quadro generale: I GSA sono presenti in oltre 4.000 scuole statunitensi in 40 Stati e sono una forza di primo piano nel movimento di indottrinamento degli studenti al progressismo, spesso contro la volontà dei genitori. La sovvenzione del CDC dimostra che l'organizzazione gode del sostegno del governo federale. Il CDC utilizzerà 85 milioni di dollari per fare pressione sulle scuole affinché adottino i gruppi LGBTQ.



Riepilogo dell'impegno dell'amministrazione Biden per promuovere il cambio di sesso dei minorenni
(UpwardNews)
L'Osservatore Repubblicano
13 ottobre 2022

https://www.facebook.com/ossrepubblican ... wfusJFVr4l

A marzo, Joe Biden e il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani hanno rilasciato nuove misure per promuovere il cambio di sesso dei bambini.
Che cosa hanno fatto? In occasione della "Giornata internazionale della visibilità transgender", Biden e le fazioni progressiste all'interno del suo governo hanno delineato piani d'azione politica volti ad abbattere le leggi statali conservatrici che limitano le cosiddette cure mediche per l'affermazione del genere.
Le misure dell'amministrazione Biden comprendono:
Difendere l'accesso dei bambini transgender alle cure mediche per la "conferma del genere".
Promuovere nuovi programmi di studio e materiali scolastici LGBTQ.
Fare in modo che le agenzie governative aggiungano l'opzione di genere "X" ai loro sistemi di identificazione.
Rafforzare le protezioni federali per i bambini transgender.
Perché lo hanno fatto? Biden e il Partito Democratico stanno riorientando la loro agenda politica per dare priorità e promuovere il transgenderismo tra i bambini. Questo probabilmente in risposta ai governatori conservatori come Ron DeSantis della Florida, che ha fortemente limitato i medici dal fornire interventi chirurgici per la transizione di genere ai bambini. Biden si è opposto a gran voce a queste iniziative ed è arrivato a difendere le pratiche per attuare la transizione di genere delle iniezioni di ormoni e della mutilazione chirurgica dei bambini, definendole "cruciali per la salute ed il benessere generale".
Azioni all'estero: Il Dipartimento di Stato di Biden ha intenzione di spingere la sua agenda "attraverso le linee di politica estera e di assistenza all'estero" e di classificare i Paesi che non accettano i diffusi cambiamenti di sesso dei bambini come "violatori dei diritti umani".
È controverso. Le pratiche di assistenza al c.d. "gender-affirming" sono ancora in acque poco esplorate. La spinta dell'amministrazione Biden verso l'ideologia e le procedure transgender nei confronti dei bambini potrebbe finire con il sottoporre i minorenni a trattamenti ormonali e a cambiamenti di sesso irreversibili e dannosi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 9:17 am

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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 9:19 am

12)
Biden e la Cina




Pechino aumenta la pressione su Taiwan: il vero banco di prova della presidenza Biden
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
9 Ott 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... nza-biden/

Negli ultimi giorni un numero record di aerei da guerra della Repubblica Popolare nella zona di difesa di Taiwan, che Pechino considera una sua provincia. L’amministrazione Biden è davvero pronta a difendere l’isola da una aggressione da parte della Cina comunista?

La possibilità che Taiwan venga invasa dall’esercito della Repubblica Popolare Cinese, e quindi annessa con la forza alla “madre patria”, cessa di essere un’ipotesi fantascientifica. Ne abbiamo conferma dal comportamento sempre più aggressivo di Pechino negli ultimi tempi.

Agli inizi di ottobre, e per parecchi giorni, circa 150 aerei da guerra cinesi hanno volato intorno all’isola in ondate successive. Pur non spingendosi oltre il limite delle 12 miglia nautiche dalla costa – limite che Taipei considera il proprio spazio aereo sovrano – sono tuttavia penetrati più volte nella zona di difesa e identificazione aerea dell’isola.

Il problema è che tale zona vale ufficialmente solo per il governo di Taiwan. È noto, infatti, che la Repubblica Popolare è riuscita a isolare quasi completamente, sul piano internazionale, Taiwan, che da parte sua continua orgogliosamente ad autodefinirsi “Repubblica di Cina”.

Ma la Repubblica Popolare, dopo lo storico incontro del 1972 tra Mao Zedong e Richard Nixon, con la partecipazione di Henry Kissinger da un lato e di Zhou Enlai dall’altro, è riuscita a imporre il principio che esiste “una sola Cina”. Del resto tanto Mao quanto Zhou chiarirono subito agli ospiti americani che nessuna deroga a tale principio sarebbe stata ammessa.

Di conseguenza solo una manciata di Stati poco importanti ora riconoscono l’indipendenza di Taiwan. E, a tale proposito, mette conto ricordare il coraggio della piccola Lituania, che ha aperto a Taipei un ufficio di rappresentanza ufficiale, senza escludere in futuro il pieno riconoscimento diplomatico. Attirandosi ovviamente l’immediata minaccia di ritorsioni economiche e commerciali da parte della leadership cinese.

Il vero problema di Taiwan, tuttavia, è l’atteggiamento assai ambiguo degli Stati Uniti al riguardo. Washington infatti ha troncato le relazioni diplomatiche con la Cina nazionalista dopo la visita di Nixon a Pechino, pur impegnandosi a difenderla in caso di aggressione esterna. Ma non esiste un vero e proprio trattato che garantisca tale impegno.

I taiwanesi, insomma, devono fidarsi sulla parola, e ciò li lascia tutt’altro che tranquilli. Anche perché vedono gli aerei da guerra cinesi scorrazzare indisturbati sulle loro teste in pratica ogni giorno. Si tratta di una vera e propria guerra di nervi, nella quale i sistemi di difesa dell’isola vengono messi a dura prova su base quotidiana.

A fronte di questa situazione gli Stati Uniti hanno aumentato la fornitura di armamenti sofisticati, e si sono impegnati ad addestrare in maniera adeguata l’esercito taiwanese affinché possa respingere l’eventuale invasione.

Facile capire, tuttavia, che da sola l’isola – peraltro vicinissima alla costa della Cina continentale – non è assolutamente in grado di bloccare l’eventuale invasione a causa dell’enorme divario tra le forze in campo. In quel caso, l’unica possibilità di salvezza risiede in un intervento militare diretto degli Usa, come per esempio avvenne in Corea negli anni ’50 del secolo scorso.

Vista l’aria che tira, tuttavia, è legittimo chiedersi se Joe Biden sarebbe veramente disposto a inviare truppe, navi e aerei in soccorso del fedele alleato. Molti ne dubitano, e a tale proposito la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ha scritto su Foreign Affairs che, se l’isola cadesse, “ci sarebbero conseguenze catastrofiche per la pace nella nostra regione e per tutto il sistema di alleanze democratiche”.

Pechino ha risposto con grande cinismo attraverso il Global Times, quotidiano in lingua inglese del Partito comunista, sostenendo che “la grande parata militare della Festa della Repubblica Popolare, il primo ottobre, invece che in Piazza Tienanmen si è svolta sui cieli di Taiwan”. A riprova del fatto che l’espansionismo aggressivo della Cina comunista non conosce ormai più limiti.

Tra l’altro, è pure opportuno rammentare che negli ambienti politici ed economici americani esiste una lobby del tutto contraria ad atti di forza nei confronti della Repubblica Popolare. I membri di tale lobby sono ben presenti al Congresso Usa, e non intendono danneggiare i fiorenti traffici commerciali tra le economie delle due superpotenze, notoriamente interconnesse, per l’appunto, sul piano economico e commerciale.

Proprio per questo Biden cerca il dialogo con Xi Jinping, cosciente del fatto che un intervento militare diretto nello stretto di Formosa non verrebbe visto con favore da gran parte dell’opinione pubblica americana. E tenta, al contempo, di coinvolgere giapponesi, britannici e australiani nel contenzioso con Pechino.

Taiwan è dunque sacrificabile in nome dei traffici commerciali? Solo pochi anni fa tutti avrebbero risposto con un chiaro “no”. Adesso la situazione è cambiata, altro segno che, nel mondo, l’influenza di quello che un tempo si chiamava “Occidente” è calata in modo drastico.




Biden avverte la Cina: "Difenderemo Taiwan" Pechino: "Secessionisti"
Xi Jinping: "La riunificazione è prioritaria". Gli Usa rilanciano: "Nessun passo indietro"
Roberto Fabbri
23 Ottobre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1634968136

«Stati Uniti pronti a difendere Taiwan se sarà attaccata», «Su Taiwan non esiste alcuno spazio per compromessi». Il botta e risposta tra Joe Biden e il ministero degli Esteri di Pechino è di quelli senza equivoci: e, verrebbe da dire, finalmente. Il presidente americano ha fatto un'affermazione quasi senza precedenti per chiarezza, superando lo standard abituale di ambiguità strategica che Washington predilige sulla questione taiwanese: lo ha fatto perché ritiene che le circostanze attuali ormai lo impongano, ossia per dare una risposta alle crescenti provocazioni militari ordinate da Xi Jinping, che nelle scorse settimane ha inviato per ben 150 volte i suoi jet nella zona d'identificazione aerea di Taipei. E se adesso non ci sono più dubbi sulle intenzioni americane, Pechino ha voluto rispondere in modo altrettanto chiaro: la riunificazione è per noi prioritaria e dovrà comunque avvenire e consideriamo quelle di Biden nient'altro che interferenze in una questione interna cinese.

Muro contro muro, dunque. Significa l'avvio di una nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina? «Non voglio una guerra fredda con la Cina ha chiarito Biden parlando alla Cnn -. Voglio che Pechino capisca che non faremo passi indietro. Gli Stati Uniti hanno preso un sacro impegno per quel che riguarda la difesa degli alleati della Nato in Canada e in Europa, e lo stesso vale per il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan». Taiwan con cui, è bene ricordarlo, Washington non ha più relazioni ufficiali dal 1979, avendole allacciate con Pechino, ma con la quale mantiene stretti legami e un impegno alla difesa militare fino a ieri solo sottinteso, ma da ieri inequivocabile. Un impegno che è parte di una più ampia strategia di contenimento dell'aggressività cinese, resa visibile dalla recente creazione di una doppia alleanza nella cruciale regione dell'Indo-Pacifico: la «Quad» (Usa, Giappone, India e Australia) e la «Aukus» (Usa, Australia e Gran Bretagna).

Biden, nel corso del suo intervento alla Cnn, si è detto non preoccupato di un possibile conflitto con Pechino («Le nostre forze armate sono le più potenti della Storia»), ma ha lanciato piuttosto un monito alla Cina ma anche alla Russia, che è ormai entrata nell'orbita cinese come «junior partner» e che sostiene il suo «obiettivo nazionale» di conquistare Taiwan, a evitare pericolose escalation: «Ci sarebbe da preoccuparsi se questi Paesi fossero coinvolti in attività che li mettano in una posizione in cui potrebbero commettere un grave errore». È un fatto che la questione di Taiwan sia diventata negli ultimi tempi il punto di attrito peggiore nei rapporti tra Washington e Pechino. E questo perché il rapidissimo sviluppo delle capacità militari cinesi rende ormai plausibile un attacco all'isola nazionalista che fino a pochi anni fa era impossibile. Per gli Stati Uniti, Taiwan rappresenta dal punto di vista strategico un tassello fondamentale della «prima catena di isole» che di fatto impedisce alla sempre più potente marina militare cinese il libero accesso al Pacifico dominato dagli States; ma è anche un baluardo di democrazia e di valori occidentali che non può essere abbandonato all'aggressione del rivale cinese pena una rovinosa crisi di credibilità soprattutto presso gli alleati giapponesi e coreani, oltre che il principale produttore mondiale di quei microchip senza i quali l'industria occidentale resterebbe paralizzata. Per Xi Jinping, invece, che vuol passare alla Storia come il leader che ha posto fine al «secolo di umiliazioni» imposte dall'Occidente al suo Paese, la sola esistenza dell'«altra Cina» democratica davanti alle sue coste rappresenta un intollerabile oltraggio: da qui l'inflessibile volontà di annettere Taiwan, anche con la forza.




Wall Street Journal – Il confuso signor Biden
La performance di Biden nel suo ultimo dibattito è motivo di preoccupazione.
25 ottobre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... nor-biden/

I responsabili della Casa Bianca proteggono Joe Biden dalla stampa il più possibile, e il dibattito di giovedì sulla CNN mostra perché. Anche con un pubblico amichevole e domande facili, la performance di Biden ha rivelato perché così tanti Americani stanno perdendo fiducia nei suoi confronti.

Un grosso problema è che Joe Biden spesso non sembra sapere di cosa stia parlando. Prendete l’aumento dei prezzi del carburante che sono una crescente preoccupazione per il pubblico. Biden ha incolpato il cartello dell’OPEC per non aver prodotto più petrolio, ma poi ha detto che la risposta è “in ultima analisi… investire nelle energie rinnovabili“.

La maggior parte delle auto va ancora a benzina, non ad energia solare o eolica. Le auto elettriche rimangono ancora inarrivabili per la maggior parte degli Americani. Il modo per ridurre i prezzi della benzina è produrre più petrolio per aumentare l’offerta. Biden non dovrebbe mettersi a supplicare l’OPEC di produrre di più, poiché lui stesso sta lavorando duramente per limitare la produzione di petrolio negli Stati Uniti.

E le strozzature nella catena di approvvigionamento che contribuiscono alla scarsità e all’inflazione? Joe Biden ha incolpato il Covid-19 e i datori di lavoro che non pagano abbastanza per attirare i lavoratori. Ma i datori di lavoro stanno aumentando i salari da tempo ed in quasi tutti i settori economici e anche così non possono comunque coprire i più di 10 milioni di posti di lavoro aperti a livello nazionale.

Alla domanda se avrebbe chiamato la Guardia Nazionale per affrontare lo sciopero di camionisti, Biden ha detto che l’avrebbe fatto. Ma il dispiegamento della Guardia Nazionale è in realtà sovrinteso dai governatori, che lo devono richiedere, come la Casa Bianca ha poi chiarito.

La confusione di Joe Biden si è estesa anche alla politica estera, che dovrebbe essere il suo punto di forza. Per quanto riguarda Taiwan – una questione cruciale con la Cina – Biden ha espresso male la politica degli Stati Uniti. Alla domanda “può giurare di proteggere Taiwan“, Biden ha detto “Sì“.

Il conduttore della CNN Anderson Cooper deve aver pensato che questa fosse una notizia, perché ha dato a Biden un’altra possibilità: “Quindi sta dicendo che gli Stati Uniti accorrerebbero in difesa di Taiwan se…”

Biden: “Sì”.

Sig. Cooper: “… la Cina attaccasse?”

Biden: “Sì, ci siamo impegnati a farlo”.

L’attuale politica degli Stati Uniti verso Taiwan è quella della “ambiguità strategica” sulle intenzioni degli Stati Uniti. Il Taiwan Relations Act impegna gli Stati Uniti ad aiutare Taiwan a difendersi, ma non include un impegno “stile NATO” ad andare in guerra per difendere la democrazia sull’isola. Molte persone pensano che gli Stati Uniti dovrebbero rendere esplicito un tale impegno in modo che Pechino non sbagli i calcoli e invada l’isola. Biden stava annunciando un cambiamento nella politica degli Stati Uniti?

Apparentemente No, perché la Casa Bianca ha subito ritrattato le parole di Biden. L’ambiguità strategica vive, o forse dovremmo dire la “confusione strategica” nel caso di Biden. C’è da chiedersi cosa pensano gli uomini forti di Pechino di questa performance. La rapida presa di distanza della Casa Bianca dalle parole di Joe Biden significa che gli Stati Uniti non intendono difendere Taiwan? Qual è la politica degli Stati Uniti? Delle guerre sono scoppiate quando segnali contrastanti vengono dati agli avversari.

Non proviamo alcun piacere nel sottolineare tutto questo, poiché gli Stati Uniti hanno bisogno di un presidente che possa gestire le tensioni del lavoro. Biden non è mai stato Demostene, e tutti i presidenti inciampano nei discorsi. Ma la frequente confusione che manifesta in pubblico Joe Biden sulle principali questioni del giorno è una ragione che giustifica la crescente preoccupazione del pubblico.



Usa e Cina: guerra fredda per le materie prime
Angelo Allegri
26 Ottobre 202

https://www.ilgiornale.it/news/usa-e-ci ... 1635288546

Donald Trump, sbrigativo come la caricatura di un uomo d'affari americano, si era offerto di comprare in una volta sola tutto il Paese. Gli abitanti della Groenlandia, 60mila in un territorio grande come mezza Unione Europea, non l'hanno presa bene. Nelle ultime elezioni, tenute in primavera, della proposta si è parlato ancora. E anzi uno dei motivi per cui Trump si era mosso, le enormi risorse minerarie dell'isola più grande del mondo, sono state al centro della contesa elettorale.

Alla fine i socialdemocratici, che governavano praticamente senza interruzioni dall'indipendenza nel 1979, hanno perso; a vincere è stato un partito ancora più a sinistra, Ataqatigiit, ovvero «Comunità». I primi avevano mostrato più di un'apertura verso i progetti di sfruttamento minerario, gli esponenti di «Comunità» vogliono frenare su tutta la linea.

Nel grande Nord la corsa all'oro è destinata, dunque, con ogni probabilità, a rallentare. Anche se bisogna intendersi: l'oro della Groenlandia non è oro vero (c'è anche quello ma non è più importante come una volta); si parla piuttosto di sostanze minerali diventate ormai indispensabili per nutrire il mondo digitale e ipertecnologizzato. Tra di esse una famiglia di 17 elementi chimici sconosciuti ai più, che hanno nomi come cerio, lantanio, neodimio, disprosio, gadolinio. Sono le cosiddette terre rare, su cui da tempo è in corso un braccio di ferro a livello globale che coinvolge in prima linea America e Cina, ma vede anche come attore l'Europa. E si calcola che i giacimenti presenti in Groenlandia (sempre che un giorno si possano sfruttare a pieno ritmo) possano soddisfare per 150 anni il fabbisogno mondiale.

PREZIOSE E DIFFUSE

Il fatto è che le terre rare servono praticamente a tutto quello che sta diventando indispensabile: batterie elettriche e motori ibridi, turbine per energia eolica, convertitori catalitici, apparecchi elettromedicali, leghe metalliche speciali, polveri lucidanti per chip di silicio, schermi e monitor. Nel nome collettivo che le accomuna c'è una inesattezza: le terre rare non sono poi così rare, anzi, sono parecchio diffuse, sia pure legate a circa 200 tipi di minerali diversi. Il problema è la concentrazione molto bassa: si parla di livelli tra 0,5 e 0,60 parti per milione. Per procurarsele, dunque, bisogna estrarre i minerali più interessanti e poi procedere a complesse procedure di separazione con enormi impieghi di acqua ed energia, nonché di sostanze estremamente inquinanti come l'acido solforico. Spesso oltretutto i minerali coinvolti finiscono per liberare sostanze radioattive.

Tutto questo contribuisce a spiegare perché oggi ci sia un unico dominatore del mercato: la Cina, che attualmente gestisce circa il 93% del fabbisogno internazionale. Partendo dal primo e maggiore giacimento di terre rare ancora in attività, quello di Bayan Obo, nella Mongolia Interna, Pechino ha deciso di conquistare un predominio mondiale accettando di devastare dal punto di vista ecologico intere zone del suo territorio. Fino alla seconda metà degli anni Ottanta tra i maggiori produttori c'erano gli Stati Uniti con la miniera di Mountain Pass in California, che però ha dovuto fare i conti con regolamentazioni ecologiche, processi per risarcimento danni e conseguenti fallimenti. In anni recenti ha riaperto (gestisce circa il 15% del fabbisogno globale) ma trasferendo, ed è un paradosso, le lavorazioni più inquinanti proprio in Cina. La stessa scelta hanno fatto altri produttori mondiali, il che non ha fatto altro che consolidare il primato di Pechino: che quando non fa tutto in casa (si parla delle attività di estrazione, separazione, lavorazione dei materiali) controlla almeno una delle fasi più delicate della cosiddetta «catena del valore». Da notare, tra l'altro, che la stessa Cina ha deciso a sua volta negli ultimi anni di «traslocare» parte del lavoro più sporco in Myanmar, dove gli standard ecologici sono per il momento ancora più bassi.

DIPENDENTI DAL NEMICO

Dal punto di vista geopolitico il risultato di tutta questa evoluzione è quasi grottesco: uno dei settori in cui le terre rare sono ormai indispensabili è l'aviazione e un recente Rapporto del Congresso Usa ha calcolato che un solo F-35 della Lockheed, caccia di ultima generazione dell'aviazione Nato, ne contenga per 417 kilogrammi. A chi devono rivolgersi gli americani per procurarsi questo materiale? Al loro principale avversario, la Cina, appunto.

Nessuna meraviglia che le terre rare siano diventate una delle aree di tensione tra i due Paesi. Secondo quanto riferito dal Financial Times le società produttrici cinesi sarebbero state di recente convocate dal governo di Pechino per una serie di audizioni. L'obiettivo era quello di stabilire se un eventuale embargo avrebbe davvero messo in crisi gli americani o se questi avrebbero potuto in qualche modo rivolgersi agli altri (pochi) fornitori presenti al mondo e risolvere così i loro problemi. Sempre Pechino ha poi inserito in una «lista nera» produttori aeronautici o missilistici come Lockheed, Boeing o Raytheon per le loro forniture di armi a Taiwan. E la lista nera potrebbe trasformarsi in un divieto di fornitura. Da parte loro gli americani, Pentagono e Dipartimento di Stato, hanno definito come priorità strategica la creazione di canali alternativi di approvvigionamento.

IL PRECEDENTE

La crisi attuale, secondo molti analisti, assomiglia all'unico precedente, che risale al periodo tra il 2010 e il 2011. Allora la Cina, che già deteneva il semi-monopolio del settore, decise di contingentare le esportazioni per una delle periodiche crisi politiche con il Giappone. Lo scossone fu avvertito, ma l'industria mondiale reagì trovando materiali alternativi o mobilitandosi per trovare nuovi giacimenti. In quel momento, però, l'utilizzo delle terre rare era più limitato rispetto a quello di oggi. Un «infarto» delle forniture rischierebbe di provocare in questi anni conseguenze più gravi.

A peggiorare le cose è che la Cina non sta mettendo le mani solo sulle terre rare. «Sia la decarbonizzazione globale dell'economia sia la quarta rivoluzione industriale si basano sulle terre rare e su un gruppo sempre più numeroso di altri minerali critici (in inglese critical raw materials) come il litio e il cobalto», spiega Sophia Kalantzakos, docente alla New York University in un libro («Terre Rare») appena pubblicato da Egea.

Secondo un recente rapporto della Banca Mondiale, la produzione di litio e di cobalto dovrà aumentare del 500% entro il 2050 solo per soddisfare la domanda di energia pulita. Per quanto riguarda la produzione di litio il valore è già triplicato nei tre anni dal 2015 al 2018 sfiorando le 100mila tonnellate. La stessa cosa si può dire per altri materiali, e perfino le forniture di nickel e rame, un tempo considerati abbondanti, dice Kalantzakos, sono diventate un problema (vedi l'altro articolo in questa pagina, ndr).

Anche in questo caso dice Kalantzakos, la Cina «ha guardato avanti e ha in mano le carte migliori. In Africa e in America Latina, ha creato forum per il dialogo e la cooperazione. Ha inoltre concordato con singoli Paesi partenariati bilaterali che comprendono investimenti in infrastrutture, estrazione di risorse e raffinazione». Tutto per assicurarsi il controllo delle risorse decisive per la quarta rivoluzione industriale. «Per le batterie e i magneti, per esempio, la Repubblica Popolare Cinese domina intere catene di fornitura che non possono essere facilmente ricostruite». Il libro della Kalantzakos fa l'esempio del cobalto, ingrediente fondamentale per batterie, smartphone, laptop e veicoli elettrici. La sua concentrazione geografica assomiglia molto a quella delle terre rare, con la Repubblica Democratica del Congo, uno dei Paesi più poveri dell'Africa, che contribuisce per oltre il 60% alla produzione mineraria e con le più grandi riserve globali. Manco a dirlo a dettare legge in Congo è la Cina, che già produce circa tre quarti delle batterie al litio del mondo e che, dal Cile all'Australia, ha negli ultimi anni fatto shopping di tutte le materie prime destinate a diventare indispensabili.

Gli altri Paesi fanno fatica a reggere il confronto con la determinazione strategica cinese. Il primo vero passo dell'Europa è solo dell'anno scorso con la creazione di quella che è conosciuta con la sigla inglese di Erma: alleanza per i materiali critici. Più di un centinaio tra università, centri di ricerca e aziende che hanno come obiettivo rafforzare la competitività europea nel campo delle nuove materie prime strategiche. Quanto alle terre rare il vecchio continente potrà utilizzare nuove miniere in Serbia e Ucraina, che però saranno operative solo dal 2030.



Soldati Usa a Taiwan. "Ma il super razzo cinese è come un altro Sputnik"
Valeria Robecco
29 Ottobre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/so ... 1635489236

Taipei ammette la presenza americana: "Ci difendereanno". Pechino: "Sarà unificazione"
Soldati Usa a Taiwan. "Ma il super razzo cinese è come un altro Sputnik"

New York Dal triangolo ad altissima tensione con Taiwan ai missili ipersonici, i rapporti tra Usa e Cina sono sempre più infuocati. L'ultimo scontro tra le due potenze si è consumato dopo che il segretario di stato americano Antony Blinken ha auspicato che «Taiwan possa partecipare in modo significativo e robusto al sistema delle Nazioni Unite». «Non ne ha alcun diritto», è stata la secca risposta del gigante asiatico, sottolineando tramite il portavoce dell'Ufficio del governo di Pechino per gli Affari con Taipei, Ma Xiaoguang, che «l'Onu è un'organizzazione governativa internazionale composta da stati sovrani», ma l'isola è parte della Cina. E dal ministero degli Esteri, il portavoce Zhao Lijian ha ammonito del rischio di un «effetto dirompente» sulle relazioni bilaterali tra i due Paesi se Washington continuerà a usare la «carta di Taiwan».

A infiammare ulteriormente la situazione sono poi state le parole della presidente di Taiwan, Ing-wen, la quale in una intervista alla Cnn si è detta sicura e fiduciosa che gli Stati Uniti difenderanno l'isola in caso di aggressione della Cina. Oltre a sottolineare che la minaccia del Dragone «aumenta ogni giorno», e a confermare per la prima volta che nell'isola sono presenti militari americani. Quindi, si è detta aperta a un «confronto» con Pechino e con il presidente Xi Jinping, pur nel rispetto delle «differenze». «Il compito storico della riunificazione della madrepatria deve essere adempiuto e lo sarà sicuramente. Qualsiasi tentativo di ostacolare la riunificazione e il rinnovamento nazionale è destinato a fallire», ha replicato il portavoce del ministero della Difesa, Tan Kefei: «Se gli Stati Uniti continueranno ad aggrapparsi ostinatamente all'illusione di usare Taiwan per controllare la Cina e tenteranno di migliorare i legami militari con l'isola, Pechino si opporrà risolutamente e contrattaccherà». «Ci opponiamo con fermezza a ogni forma di scambio ufficiale e di contatto militare fra Usa e Taiwan», ha poi precisato Wang Wenbin, del ministero degli Esteri. Nessuno deve sottovalutare la determinazione del Paese asiatico nella difesa della «propria sovranità e integrità territoriale», ha proseguito, ribadendo che l'esercito americano ha mandato «segnali sbagliati alle forze indipendentiste dell'isola, minacciando la pace nello Stretto di Taiwan».

Intanto il generale Mark Milley, capo di stato maggiore delle Forze armate Usa, ha spiegato a Bloomberg che la Cina dal punto di vista militare è in «rapida espansione» ed è «molto preoccupante» che Pechino abbia sperimentato dei missili ipersonici la scorsa estate. Milley ha paragonato il presunto test (negato dal Dragone) a un «momento Sputnik», a quando cioè l'Unione Sovietica superò gli Stati Uniti nell'inaugurare la corsa spaziale con il lancio nel 1957 del primo satellite. «Ciò che abbiamo visto - ha detto il generale - rappresenta un evento significativo, ed è molto preoccupante». «Non so se sia un momento Sputnik, ma ci è andato molto vicino», ha proseguito, sottolineando che gli Usa stanno lavorando a rafforzare i propri sistemi di difesa e su un progetto di missile ipersonico.

Le armi strategiche di ultima generazione sono in grado di trasportare testate nucleari a grandi distanze volando fino a cinque volte la velocità del suono, sono molti più manovrabili rispetto ai missili balistici e sono praticamente impossibili da intercettare con le tecnologie di difesa antimissile e difesa aerea attuali. Sono già state sperimentate con successo due anni fa dalla Russia e, recentemente, dalla Corea del Nord.



È nonno Biden il ventre molle dell'Occidente

Vittorio Macioce
12 novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1636702684

Il segno del comando. L'impero ha bisogno di qualcuno che assomigli a un imperatore. Non importa se il protocollo lo indica ancora come segretario generale del partito comunista cinese. Xi Jinping tocca il suo terzo mandato, come Mao Tse-tung, come Deng Xiaoping, come il padre fondatore e l'architetto del riformismo. Il suo potere non ha più un orizzonte definito e segna il passo di un'altra metamorfosi. Il comunismo ora è solo una scatola, dove dentro puoi metterci quello che serve: brandelli di marxismo bagnato nel XII secolo, le parole d'ordine, il nazionalismo, il confucianesimo e il capitalismo di Stato. Tutto questo senza aprire le porte ai demoni occidentali della libertà individuale e della democrazia. Quello che davvero conta è riportare il corso del sole verso Est. La Cina non ha mai smesso di sentirsi una grande civiltà, antica e mai tramontata, di immensi spazi e grandi numeri, in grado di dettare le condizioni al mondo, per i soldi e per le armi. La sfida è riprendersi ciò che nei secoli gli è stato strappato dai capricci improvvisati della storia. L'occidente visto da Pechino è un'anomalia.

È così che mentre si discute sul futuro della madre terra ci si ritrova a fare i conti con una sorta di guerra fredda, dove l'ideologia non è tutto. Chi c'è dall'altra parte? Un impero riluttante. L'accidente è che il contraltare di Xi Jinping sia un'altra caricatura di presidente. Non è che tutto si riduce a un duello di personaggi, però la leadership non è irrilevante. Il volto degli Stati Uniti adesso è quello di Joseph Robinette Biden, arrivato alla Casa Bianca troppo tardi, quando la vita gli ha già mostrato il conto. Biden arrivato per tranquillizzare la classe dirigente americana e utile per dare il benservito a Donald Trump, ma che adesso si ritrova a inciampare nei suoi stessi pensieri. Biden come un caratterista, qualche volta imbarazzante, che abbassa il tono del discorso e si rifugia nei sogni di Sleeping Joe. Biden che per molti resta il vice di Obama.

La partita, certo, non dipende tutta da Joe. È l'occidente che da tempo ha rinnegato se stesso. Xi Jinping è pronto a prendersi Taiwan, perché quell'isola è un simbolo. È uno schiaffo ribelle all'impero. Washington può fare poco per difenderla e non ci saranno folle a scendere in piazza per Taiwan.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 9:19 am

Sorrisi al vertice, ma la Cina avverte: "Attenti o vi brucerete". Ai Giochi diplomatici assenti
Taiwan, scontro Xi-Biden. E Usa pronti a boicottare le Olimpiadi di Pechino

Valeria Robecco
17 Novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1637134327

È durato oltre tre ore il faccia a faccia virtuale tra Joe Biden e Xi Jinping, nel tentativo di allontanare il rischio che la concorrenza tra le due potenze si trasformi in un conflitto. «Dobbiamo stabilire alcune barriere di buon senso, essere chiari e onesti dove non siamo d'accordo e lavorare insieme dove i nostri interessi si intersecano», ha detto il presidente americano al collega cinese, rivolgendo l'appello a «evitare un conflitto» tra Washington e Pechino. Da entrambe le parti hanno fatto sapere che si è trattato di un colloquio dai toni «franchi e schietti», da cui è emersa la volontà di un disgelo. Biden e Xi hanno individuato nella lotta ai cambiamenti climatici e nel campo dell'energia i due terreni su cui far partire una proficua cooperazione tra Stati Uniti e Cina, tentando di aprire una nuova era nei rapporti, mai così difficili da decenni. I punti di scontro tuttavia sono molti, e i nodi quanto mai irrisolti. Come riferisce il Washington Post, citando fonti dell'amministrazione Biden, gli Stati Uniti sarebbero pronti ad annunciare il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali che si svolgeranno a Pechino il prossimo febbraio in segno di protesta per la violazione dei diritti umani da parte del governo cinese nello Xinjiang, in Tibet e ad Hong Kong. Nessuna decisione sarebbe stata ancora tecnicamente formalizzata (e durante il bilaterale non se ne è parlato), ma sulla scrivania dello Studio Ovale sarebbe approdata una raccomandazione che dovrebbe essere approvata dal presidente americano entro la fine di novembre, secondo cui né lui né altri esponenti del suo governo saranno presenti ai Giochi. Decisione che non avrà però alcun impatto sulla partecipazione degli atleti. Nel corso del colloquio l'inquilino della Casa Bianca si è detto molto preoccupato per la violazione dei diritti umani nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong, quindi ha richiamato il Dragone a rispettare le regole sul fronte economico e commerciale, parlando di pratiche inique» che danneggiano le imprese e i lavoratori americani. Ma il confronto tra i due leader ha assunto toni minacciosi soprattutto sulla questione di Taiwan. Il Comandante in Capo ha messo ha messo in guardia il presidente cinese da «azioni unilaterali che cambino lo status quo e minino la pace e la stabilità nella regione». Parole a cui Xi ha risposto inviando un messaggio inequivocabile: coloro che cercano l'indipendenza di Taiwan e i loro sostenitori negli Usa «stanno giocando col fuoco». «La Cina è paziente e cerca la riunificazione pacifica con grande sincerità e impegno, ma se i secessionisti di Taiwan provocano, o addirittura superano la linea rossa, dovremo adottare misure decisive», ha avvertito. E a poche ore dall'incontro virtuale, il gigante asiatico ha effettuato un'incursione nello spazio aereo di difesa dell'isola con 8 jet militari. A riferirlo è stato il ministero della Difesa di Taipei, precisando di aver fatto decollare i propri caccia e di aver lanciato avvertimenti radio. D'altronde, Pechino ha promesso di portare l'isola sotto il controllo cinese se necessario con la forza, e negli ultimi mesi le tensioni nello stretto sono aumentate. Il vertice virtuale tra Biden e Xi non ha insomma portato a passi avanti sostanziali: «Non credo che lo scopo fosse quello di allentare le tensioni. Vogliamo assicurarci che la competizione sia gestita in modo responsabile», ha riferito un alto funzionario dell'amministrazione Usa.


Washington sfida Pechino e invita Taiwan al vertice per la Democrazia
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
26 Nov 2021

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... emocrazia/

Mantenendo una promessa formulata in campagna elettorale, Joe Biden ha fatto organizzare dal Dipartimento di Stato il vertice virtuale “The Summit for Democracy”. L’incontro si terrà il 9 e 10 dicembre, vedrà la partecipazione di ben 110 nazioni e tratterà soprattutto il tema dei diritti umani caro ai Democratici Usa (in particolare ai tempi della presidenza Obama).

Fin qui niente di eclatante. Si tratta del solito vertice internazionale, che per di più si svolgerà a distanza, destinato a ribadire le posizioni dei vari Paesi partecipanti senza che nessuno si attenda esiti importanti. C’è però un fatto clamoroso e degno di nota. A differenza di quanto avveniva in occasione di eventi simili, tra gli invitati non figura la Repubblica Popolare Cinese (ossia la Cina comunista fondata da Mao Zedong), bensì la Repubblica di Cina (ovvero Taiwan, erede della Cina nazionalista di Chiang Kai-shek).

Scontata la reazione furiosa di Xi Jinping e dei media cinesi, che hanno ancora una volta avvertito Biden di “non scherzare col fuoco”, frase usata ogni volta che qualcuno osa mettere in dubbio l’appartenenza di Taiwan alla Cina continentale. E, di conseguenza, il “diritto” di Pechino ad annettere la piccola isola – che è pure una grande potenza tecnologica – con le buone o con le cattive.

In ogni caso mette conto notare che il presidente americano, con questa mossa di alto valore simbolico, continua a manifestare l’intenzione di difendere Taiwan ad ogni costo, anche militarmente se necessario. E tale atteggiamento, invece, non è affatto scontato. Negli ultimi decenni gli Stati Uniti, pur mantenendo stretti rapporti economici e politici con Taiwan, hanno accettato lo slogan di Pechino “Una sola Cina”, lasciando di fatto l’isola in una sorta di “limbo” diplomatico che ha consentito al Partito comunista cinese di isolarla quasi completamente nello scenario internazionale.

Si tratta ora di capire se Biden, che deve far dimenticare agli alleati la sua disastrosa gestione del ritiro dall’Afghanistan, è disposto a giocare sino in fondo questa fondamentale partita, magari cercando di capire quali carte ha in mano il suo avversario (e vecchio conoscente) Xi Jinping. In altri termini, bisogna capire, da un lato, se il presidente Usa è disposto a correre il rischio di uno scontro diretto con la Repubblica Popolare, che potrebbe anche condurre a un conflitto con armi nucleari.

Lo stesso ragionamento vale per i cinesi, che probabilmente non si sentono ancora pronti ad affrontare un simile scontro visto che le forze armate americane sono tuttora le prime al mondo. Diversi sono i fattori in gioco in questo caso. Xi si è impegnato personalmente a far “rientrare” l’isola nella Cina, mossa che non è riuscita ai suoi predecessori da Mao in avanti. Se andate a Pechino, trovate facilmente molti gadget con slogan inneggianti al ritorno di Taiwan nei confini cinesi, anche se l’isola può vantare lunghi periodi si separazione dalla cosiddetta “madrepatria”.

Ma bisogna pure tener conto del fatto che dall’ultimo plenum del Partito comunista è giunto a Xi l’invito a non esacerbare troppo le ragioni di conflitto con gli Usa. Di questo segnale il segretario del PCC deve tener conto, anche perché l’anno prossimo sarà in gioco la sua nomina al terzo mandato, avendo il suddetto plenum cancellato la norma che imponeva il vincolo dei due mandati. L’unica carta che Xi potrebbe giocare è la profonda divisione della società e del mondo politico americani, che di fatto indeboliscono un presidente già debole per suo conto. Ma è tutto da dimostrare che tale divisione sia così forte da impedire una decisa reazione Usa all’invasione di Taiwan.

I giochi, insomma, sono del tutto aperti. Difficile che l’invito di partecipazione rivolto alla Repubblica di Cina, a scapito della Repubblica Popolare, preluda al pieno riconoscimento diplomatico di Taiwan. Pechino ha fatto capire più volte che un simile riconoscimento verrebbe considerato una vera e propria dichiarazione di guerra. E l’America, come del resto le altre nazioni occidentali, non può permetterselo visti i rapporti economici e commerciali – tuttora stretti – che legano Pechino alle nazioni dell’Occidente. Tuttavia è importante che il problema sia stato posto in termini espliciti in occasione di un vertice internazionale.

Gli eredi di Mao sono finora riusciti ad evitare proteste ufficiali per l’isolamento diplomatico cui Taiwan è condannata a causa dei diktat di Pechino. Ma era inevitabile che, in occasione di un vertice dedicato allo stato di salute della democrazia, la Repubblica Popolare venisse esclusa considerata la sua natura dittatoriale. Altrettanto inevitabile (anche se c’è voluto coraggio) invitare al suo posto Taiwan, una liberal-democrazia in linea con quelle occidentali.



La proliferazione della "democrazia con caratteristiche cinesi"
Atlantico Quotidiano
Mauro Giubileo
22 dicembre 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... he-cinesi/

Da almeno due anni viviamo in un mondo in preda al caos. La pandemia ha portato con sé un enorme carico di morti ed insieme altri e sempre nuovi problemi. Soprattutto in Occidente, a volte si ha l’impressione che una tragedia dopo l’altra si abbatta su di noi; sembra che non vada bene nulla. Ogni fragile certezza si sgretola di fronte ai quotidiani sconvolgimenti. L’economia è flagellata da vecchi e nuovi mali che tornano. Le nazioni si trovano ad essere sempre più deboli e sempre più sole. In molti si sentono smarriti e atterriti. Ecco, penso che di fronte a una tale situazione nulla possa fare più male di una ignobile e sadica risata alle nostre spalle. Specialmente se questa risata giunge proprio da chi detiene una larghissima quota di maggioranza in questo capitale di mali che affliggono ultimamente il pianeta.

E invece è proprio quello che da quasi due anni sta avvenendo. L’ultimo episodio risale a poche settimane fa. Si tratta di un tweet, datato 3 dicembre 2021, della signora Hua Chunying, portavoce e direttore generale del Dipartimento informazione del Ministero degli Affari esteri della Repubblica Popolare Cinese. Tweet che recava il seguente testo:

“#China’s model of #democracy fits in well with its national conditions. It enjoys the support of the people. It is real, effective, and succesfull democracy. China is indeed a true democratic country.”

(Traduzione italiana: “Il modello di democrazia cinese si adatta bene alle sue condizioni nazionali, gode del sostegno del popolo, ed è una democrazia reale, efficace e di successo. La Cina è davvero un Paese democratico.”)

Ancora più beffarda la chiusura, con gli ebeti, cerulei e sadici hashtag “#whatisdemocracy #whodefinesdemocracy”.

Per rispondere alla signora Hua si potrebbe partire da qualche insignificante dato oggettivo. Ad esempio, il fatto che nella Repubblica Popolare non si svolgano elezioni (non “libere elezioni”, attenzione, ma elezioni punto e basta) da ben 68 anni, ossia da quel glorioso 1949 in cui i comunisti di Mao presero il potere e indirizzarono il Paese sulla strada del sol dell’avvenire. Oppure le si potrebbe ricordare come una democrazia moderna non sia monopartitica. O che, per esempio, il capo dello Stato o del governo non abbiano un mandato vitalizio, o che le minoranze etniche o religiose non vengano solitamente rinchiuse nei lager, o che non sia “democratico” tacere di fronte al mondo sulla diffusione di un virus letale, eccetera eccetera. Ma purtroppo armi del genere potrebbero avere un impatto totalmente risibile nei confronti di chi è conscio di mentire e mistificare.

E la signora Hua è una vera esperta in quest’arte. Scorrendo sul suo profilo Twitter – social che ella usa con significativa abitudine e che è invece interdetto ai comuni cittadini cinesi – si nota con quanta acribia si profonda nella diffusione di post che mettono in luce le criticità e le malattie dell’Occidente, e in modo particolare della democrazia americana. Lo fa attingendo a fonti giornalistiche – perlopiù di area liberal-progressista – come il Guardian, Bbc, Abc News, National Public Radio. Testate che in una società democratica dovrebbero cercare di rendere trasparenti al pubblico le manovre di chi è chiamato a governarlo, ma che in questo caso vengono sfruttate ad uso e consumo di una autocrazia per seminare un sentimento di profondo scoramento, rassegnazione e delusione tra i cittadini dell’Occidente allargato, proprio nei giorni nei quali alla corte di Joe Biden i leader dello stesso Occidente allargato si ritrovano in un giusto, nobile ma forse scarsamente efficace consesso a parlare di loro stessi e dello stato delle democrazie nel mondo. A questo meeting telematico ospitato dal presidente Biden nei giorni 9 e 10 dicembre, il cosiddetto Summit for Democracy, la Cina rappresentava di fatto il grande non-invitato, assieme alla Russia, la Turchia, l’Iran, l’Arabia Saudita e (per motivazioni alquanto deboli) l’Ungheria di Viktor Orbán (curiosa invece la decisione di ammettere tra i convitati il Pakistan amico dei Talebani e prima potenza nucleare in Medio Oriente, peraltro non aderente al Tnp).

Emblematiche, in questo incontro sbandierato dal presidente americano come un capolavoro di multilateralismo, sono state le parole del ministro taiwanese Audrey Tang, che rispondendo alle lamentele di chi non è stato invitato ha suggerito a queste nazioni di “raddoppiare gli sforzi per democratizzarsi”, in modo da potersi “ritrovare assieme al prossimo meeting”. Sforzo che da un Paese come la Repubblica Popolare, che ha aderito (o meglio, è stata fatta entrare estromettendo di forza proprio Taiwan) all’Onu nel 1971, sposandone mandato e valori (solo sulla carta, dato che proprio in quegli anni si dilettava nel supportare con ogni risorsa gli Khmer Rossi in Cambogia), tutto il mondo si sarebbe aspettato da tempo, specialmente a seguito delle riforme economiche sotto il regno di Deng Xiaoping e all’ingresso, a Doha nel 2001, nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) dopo ben quindici anni di negoziati. Ci si aspettava, e per anni ci si è aspettato, che a seguito di un ingresso di Pechino nel club del mondo libero, quelli di Piazza Tienanmen, della Grande carestia del 1960, o dell’invasione del Tibet, sarebbero rimasti solo come dei brutti ricordi. E invece non è stato così.

Un cambio di rotta significativo è avvenuto soprattutto con l’ascesa al potere, nel 2012, di un despota come Xi Jinping, che con grande ragione il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, nel mandarne alle stampe una biografia, ha efficacemente definito “il nuovo Mao”. La sua politica è chiara: fare della Cina la potenza egemone globale, comprandone pezzo per pezzo ogni asset strategico con le Vie della Seta, individuate nel 2017 con una riforma dello stesso statuto del Pcc come il mezzo privilegiato per cambiare le sorti del mondo, imporre il dominio di Pechino, ribaltare il quadro delle alleanze e far soccombere l’Occidente (non è un caso, tra l’altro, che la Nuova Via della Seta sia uno strumento di pertinenza del Ministero per la sicurezza nazionale, e non di quello del commercio estero). E già dal 2015 in poi, con ben quattro revisioni legislative, “il nuovo Mao” – che, lo ricordiamo, ha anche cambiato la Costituzione per restare presidente a vita – ha imposto l’obbligo (non la facoltà, l’obbligo!) a qualsiasi cittadino e azienda cinese di rispondere ai Servizi di sicurezza e militari, e di fornire loro informazioni e assistenza. Non proprio una manovra democratica.

A questo si accompagnano potenti e spregiudicati attacchi cyber e soprattutto una massiccia opera di infiltrazione e di influenza cinese in Occidente: nel mondo accademico, tra i parlamentari (si rimanda al rapporto di qualche mese fa di Sinopsis e del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, ripreso nei contenuti in un articolo a firma di Marco Respinti e Andrea Morigi uscito su Libero il 20 novembre 2021) e nei settori strategici dell’economia e dell’industria. Va riconosciuto al presidente del Consiglio Draghi il merito di aver saputo finora utilizzare con efficacia lo strumento del golden power, come è avvenuto per la vicenda delle sementi e dei semiconduttori, e come speriamo avvenga per quella – per citarne solo una – del porto di Palermo.

E allora, di fronte a un nemico tanto grande e quanto potente, ben venga il multilateralismo, ben venga la cooperazione, ben vengano i summit di Biden, ben venga il rafforzamento dell’Occidente allargato in nome dell’esaltazione del valore della democrazia. Ma finché non si imporrà sul tavolo con durezza la verità, finché sarà consentito alla Cina di prenderci in giro, finché una dittatura riuscirà a diffondere menzogne perché le sarà permesso farlo da un Occidente che si autoflagella e si auto dipinge in continuazione come “razzista”, “omofobo”, “non inclusivo”, “intollerante”, “retrogrado”, “chiuso”, “ricettacolo di diseguaglianze”, “palude di sovranismi”, non potremo mai pensare di avere un adeguato potere contrattuale nei confronti di Pechino.

E ancor più non potremo averlo se a rappresentarci saranno (come oggi sono) persone che credono a queste fandonie, e che solo ora, forse, si rendono conto di aver compiuto – magari inconsapevolmente – per anni, il più grande capolavoro di autolesionismo mai visto sulla scena geopolitica mondiale: quello di rendere debole la democrazia in nome della stessa democrazia, e di dare adito a tante, troppe ipotesi di volerla soppiantare. Magari proprio con una “democrazia con caratteristiche cinesi”.



Il trionfo del "politically correct" rende più simili Usa e Cina
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
3 gennaio 2022

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... sa-e-cina/

Il vertice virtuale The Summit for Democracy, convocato dal presidente americano Joe Biden il 9 e 10 dicembre, non ha avuto il successo sperato. L’irritazione di alcuni Paesi per non essere stati invitati era scontata. Ma anche i partecipanti hanno mostrato scarso entusiasmo.

Pesa ovviamente lo scacco subito con il disorganizzatissimo e disastroso ritiro dall’Afghanistan, che la promessa di difendere Taiwan da un’eventuale invasione cinese non ha affatto mitigato. Si fa strada, insomma, la sensazione di trovarsi di fonte a un declino dell’impero americano, già evocato – con toni degni del “Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler – da numerosi intellettuali ed analisti.

Elementi che confermano un quadro così fosco non derivano soltanto da considerazioni relative al mantenimento o meno della supremazia militare Usa. Ad essere in crisi, nell’America attuale, è la cultura nel senso più vasto del termine. Ovvero il settore che ha garantito il soft power degli Stati Uniti e la diffusione della American way of life nel mondo.

La crisi si manifesta infatti, in primo luogo, nelle università americane (e anche britanniche) con la diffusione senza limiti del politically correct, un fenomeno che impone la diffusione di un pensiero unico e che giunge al punto di togliere la parola a chi non è d’accordo con determinate tesi.

E non basta. Acquista sempre più forza la tendenza a licenziare docenti, anche famosi e in molti casi per niente reazionari, che non si adeguano a tesi preconfezionate spacciate come “verità assolute”.

Il problema è che non si tratta di casi relativi a piccoli college dell’Arkansas o del North Dakota. Ad essere coinvolti sono soprattutto gli atenei più prestigiosi della Ivy League come Harvard, Princeton, Yale, Cornell, MIT etc. Dunque proprio quelli che in teoria sono il cuore della cultura americana, e che ogni anno riescono ad attirare milioni di studenti stranieri, in primo luogo cinesi.

Poiché in un primo tempo sembrava una tendenza “di sinistra”, studiosi e docenti, in grande maggioranza progressisti, lo appoggiarono volentieri e con forza. In seguito i più accorti tra loro, soprattutto gli anziani come Noam Chomsky, iniziarono a fiutare il pericolo.

Se tu neghi d’ufficio la parola a chi non concorda con te, e se poi organizzi pure campagne per licenziarlo confidando sull’acquiescenza di rettori compiacenti (o semplicemente impauriti), compi un attentato contro la libertà d’espressione nel suo complesso. Stravolgi inoltre le caratteristiche principali della comunicazione culturale nel tuo Paese (gli Stati Uniti).

Tale cultura diventa insomma “illiberale”, poiché toglie il diritto di parlare agli avversari. E questo – almeno finora – in America non era possibile. Lo era invece nella Cina della Rivoluzione Culturale maoista, e lo è tuttora in quella di Xi Jinping.

Come possono allora gli americani convocare un summit globale sulla democrazia, accusando i Paesi non invitati di non rispettare i diritti umani e la libertà di espressione, se poi, a casa loro, si verificano fenomeni assai simili? Ecco quindi il fallimento del Summit e l’imbarazzo del presidente Biden nel rispondere a queste accuse.

E’ pur vero che il governo Usa non è direttamente responsabile di questa situazione, poiché i suoi atenei sono politicamente autonomi. Potrebbe tuttavia difendere con maggiore vigore il diritto alla libera espressione delle idee, e proteggere il dissenso ovunque esso si manifesti.

Ciò in realtà non avviene poiché gran parte della cultura liberal Usa, e molti rappresentanti del Partito democratico americano al Senato e nella Camera dei rappresentanti, sono allineati con le follie del politically correct e le appoggiano senza rimorso alcuno.

Attenzione però. Se l’attuale tendenza proseguirà con la medesima forza, o addirittura si espanderà, avremo una conseguenza che definire “curiosa” è dir poco. Gli studenti provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese si troveranno infatti inseriti in un ambiente culturale assai più simile al loro di quanto possano immaginare.

Negli atenei cinesi ogni manifestazione di dissenso è repressa immediatamente, e i dipartimenti che promuovono il marxismo-maoismo quale unica filosofia ufficiale ed ammessa vegliano con attenzione sull’ortodossia ideologica. Durante la Rivoluzione culturale promossa da Mao furono innumerevoli i docenti processati, inviati in esilio nelle campagne e, molto spesso, uccisi.

Se il politically correct americano prendesse sempre più piede, anche grazie alla presenza di un presidente debole come Joe Biden, non sarebbe lecito attendersi una diminuzione significativa della distanza ideologica tra le due superpotenze oggi in competizione? Qualcuno risponderà che l’America possiede gli anticorpi necessari a prevenire un esito tanto infausto. Chi scrive, tuttavia, comincia a nutrire dei dubbi al riguardo.



Svelati i legami della famiglia Biden con la Cina
Breitbart News
29 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... n-la-cina/

Sean Hannity ha elogiato l’ultimo libro di Peter Schweizer, “Red-Handed: How American Elites Get Rich Helping China Win” come “fenomenale” e “da leggere assolutamente” durante un’intervista con l’autore nell’edizione di martedì del suo omonimo show radiofonico.

Hannity ha detto che avrebbe fatto una “serie di interviste” con Peter Schweizer, presidente del Government Accountability Institute ed ospite del Drill Down oltre ad essere un collaboratore senior di Breitbart News, “per arrivare in fondo a tutta” la documentazione del libro che espone la corruzione delle élite americane rispetto al Partito Comunista Cinese (PCC).

Red-Handed esamina come la strategia del governo cinese della “cattura dell’élite” prenda di mira figure di spicco degli Stati Uniti nel mondo degli affari, dello spettacolo, della politica e della tecnologia. Il PCC si procura influenza e complicità con tali figure attraverso lo sviluppo di relazioni finanziarie.

Il libro di Schweizer documenta un caso di un membro dell’élite del PCC che “se la ride” per il compromesso del governo cinese con Joe Biden.

Hannity ha dichiarato: “Tu parli di una scena. Tu fornisci anche una data. Era il 28 novembre 2020, solo poche settimane dopo le elezioni presidenziali americane, e di come apertamente parlino dell’accesso che ora hanno ai più alti livelli del governo degli Stati Uniti, e letteralmente, i membri del politburo [e] gli ambasciatori stanno quasi ridendo del fatto che – fondamentalmente – hanno compromesso il più alto funzionario eletto degli Stati Uniti d’America“.

Schweizer ha risposto:

“Questo è stato in un incontro a Pechino che si è tenuto poco dopo le elezioni. Un accademico, che è stato anche coinvolto in alcune operazioni di influenza straniera negli Stati Uniti a Washington, D.C., si è alzato di fronte a questo gruppo [di élite cinesi] ed ha parlato di tutti gli amici che Pechino ha ora negli Stati Uniti, ed ha parlato di Wall Street – e naturalmente ho un capitolo nel libro sui titani di Wall Street che sono intimi amici di Pechino – ma a due terzi del discorso dice: “Oh, e abbiamo il figlio del nuovo presidente, Hunter Biden, che ha avviato tutte queste imprese. Chi lo ha aiutato ad avviare tutte queste attività?”

“È una scena incredibile, perché questa grande folla di centinaia di alti dirigenti cinesi e funzionari governativi inizia a ridere. Sanno la risposta, ed è davvero straordinario.”

“Questo non è un libro [potremmo] arrivare in fondo [se gli] dessimo tutte le tre ore del nostro show”, ha detto Hannity del nuovo libro di Peter Schweizer Red-Handed.
Schweizer: “Pechino ha potere” sulla famiglia Biden – “Questo richiede un’indagine.

Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha detto martedì ad “Hannity” della Fox News che la Cina, la Russia e l’Ucraina hanno anche “assolutamente” informazioni compromettenti sulla famiglia di Joe Biden.

Schweize ha detto: “Quello che abbiamo scoperto è che circa 31 milioni di dollari sono stati dati alla famiglia Biden da cinque individui provenienti dalla Cina“.

Ha continuato: “Questi individui hanno tutti legami con i più alti livelli dell’intelligence cinese. Così quella che è stata una storia di corruzione e clientelismo è sempre più una storia di spionaggio, spionaggio e di sicurezza nazionale”.

Schweizer ha aggiunto: “Questo richiede un’indagine. Non si tratta solo di politici che ricevono denaro dal loro ufficio”.

Sean Hannity ha chiesto: “Questo dossier su Hunter, e sapevano essere un tossicodipendente. Gli piaceva assumere donne lavoratrici della notte – Lo diremo in questo modo. Lei crede che con tutta probabilità, e che le possibilità siano molto alte, per cui la Cina, la Russia, l’Ucraina, e molti di questi paesi abbiano compromesso la famiglia Biden?“

Schweizer ha detto: “Oh, assolutamente, non c’è dubbio. Guarda, se il ministero cinese per la sicurezza dello stato sta cercando di impegnarsi nella ‘cattura dell’élite‘, come la chiamano loro, con i Biden e sono stati forniti 31 milioni di dollari, lo vedrebbero come un fallimento catastrofico dell’intelligence se non avessero ottenuto almeno una leva sulla famiglia Biden. Questo è ciò che rende questo così preoccupante e che richiede un’indagine, perché se non lo facciamo, il presidente sta per basare le decisioni sui suoi interessi finanziari familiari, e sul fatto che Pechino abbia una leva sulla sua famiglia“.

Il collaboratore senior di Breitbart News Peter Schweizer ha poi detto, sempre martedì a “Stinchfield“, un programma di Newsmax TV, che “ogni singolo accordo” che la famiglia di Joe Biden ha ottenuto in Cina è stato fatto con funzionari che erano collegati ai più alti livelli dell’intelligence cinese.

Il conduttore Grant Stinchfield ha chiesto: “Una domanda per te, se puoi, molto veloce. Ci sono accuse impressionanti e fatti realmente accaduti in questo libro. Ce n’è uno che ti colpisce che non potevi credere quando l’hai scoperto?

Schweizer ha detto: “La cosa che mi ha colpito di più sono state le informazioni sui Biden. Ho trovato questa storia sul loro coinvolgimento commerciale con la Cina nel 2018. “

E ha continuato: “Quello che abbiamo fatto in questo libro è stato usare il portatile di Hunter Biden, usando le email che abbiamo ottenuto da uno dei partner commerciali di Hunter Biden. Siamo risaliti a come sono avvenuti quegli affari. E quello che abbiamo scoperto è che ogni singolo affare che i Biden hanno condotto– ed il totale è di circa 31 milioni di dollari – ogni singolo affare che hanno condotto è venuto da un funzionario in Cina che era collegato ai più alti livelli dell’intelligence cinese. Ciò che voglio dire è che erano partner di persone come il viceministro della sicurezza dello stato, le cui responsabilità includono il reclutamento di stranieri, quindi questa è stata la più grande rivelazione per me”.

Schweizer ha aggiunto: “Ecco perché credo che dobbiamo fare la domanda e indagare se i Biden sono compromessi“.




L'élite diventata ricchissima con la Cina
Giulio Meotti
31 gennaio 2022

https://meotti.substack.com/p/lelite-di ... issima-con

“‘I capitalisti ci venderanno la corda con cui li impiccheremo’. Ci sono poche prove che Vladimir Lenin abbia pronunciato queste parole esatte. Ma mentre l'Unione Sovietica di Lenin è finita nelle pagine della storia, oggi a Wall Street, nella Silicon Valley e a Washington, troppi giocano a vendere corde. E l'acquirente è Pechino”.

Si apre così il libro di Peter Schweizer pubblicato da Harper Collins in cui rivela che i ricchi e i potenti in America sono diventati intimi con la Cina a spese del proprio paese. Lo scoop centrale di Red-Handed è che la famiglia Biden ha raccolto 31 milioni di dollari da individui legati all'intelligence cinese. Ma non solo. Il libro è il racconto della più grande porta girevole internazionale: politica, affari, famiglie, aziende…

Come scegliere il nome della prima figlia? Mark Zuckerberg lo ha chiesto al presidente cinese Xi Jinping. A una cena di gala alla Casa Bianca, il creatore di Facebook avrebbe chiesto a Xi di fare l'onore a lui e alla compagna Priscilla Chan e decidere il nome della loro prima figlia. Xi ha declinato dicendo che si tratta di una responsabiltà troppo grande. “Chiedere al leader cinese di nominare tuo figlio può sembrare strano o inquietante” scrive Schweizer. “Ma molti dei più grandi nomi della tecnologia hanno collaborato attivamente con il regime cinese, aiutandoli a controllare meglio la loro popolazione. Hanno persino aiutato il tentativo della Cina di superare gli Stati Uniti nelle capacità militari. Accecate dalla loro ambizione, le élite della Silicon Valley stanno aiutando la Cina a raggiungere il suo obiettivo finale: la ‘supremazia tecnologica’ sull'Occidente. Alla fine del 2014, un alto funzionario cinese di nome Lu Wei fece un viaggio nella Silicon Valley. Xi Jinping lo aveva nominato a capo del ‘Gruppo centrale per la sicurezza e l'informazione in Internet’. In breve, Lu era lo zar cinese di Internet, con il compito di limitare l'accesso a determinate idee e monitorare il flusso di informazioni. Ma quando Lu ha visitato il quartier generale di Facebook in California a Menlo Park, Zuckerberg lo ha trattato come un vip”.

Nel febbraio 2017, l'Università della Pennsylvania (Penn) ha annunciato che l'ex vicepresidente Joe Biden era stato nominato a una cattedra e che il Biden Center all’università avrebbe promosso la visione dell'ex vicepresidente. “Dopo l'annuncio del Biden Center all'Università della Pennsylvania, le donazioni dalla Cina alla Penn sono triplicate. Nei tre anni precedenti l'annuncio, l'università ha ricevuto 15 milioni di dollari. Nei tre anni successivi, 40 milioni. Gran parte del denaro cinese dopo l'apertura del Biden Center è anonimo. Ma il 19 aprile 2018, poche settimane dopo l'apertura del Biden Center, la China Merchants Bank ha inviato un contributo di 950.000 dollari alla Penn. La banca è un'impresa statale sotto la diretta supervisione del Consiglio di Stato cinese”.

Si scopre poi che il marito di Nancy Pelosi, Paul, è diventato un investitore in Matthews International Capital Management, un fondo di investimenti che ha interessi importanti in Cina. Ma Schweizer non risparmia neanche la famiglia di Mitch McConnell, a capo dei Repubblicani al Senato, e di John Boehner, già speaker della Camera. E poi i legami del ceo di Google, Eric Schmidt, e di Bill Gates, con l’apparato militare cinese.

Il marito della potentissima senatrice democratica Diane Feinstein, Richard Blum, è stato uno dei primi investitori americani in Cina e direttore di una società chiamata Shanghai Pacific Partners. Quella società ha creato una joint venture con una banca governativa cinese chiamata Shanghai Investment and Trust Company. Un’altra società di Blum, la Newbridg,e ha acquistato una partecipazione del 18 per cento nella Shenzhen Development Bank. Per la prima volta una società straniera poteva acquistare una partecipazione in una banca di stato cinese.

Poi c’è il capitolo Wall Street. “Stephen Schwarzman è una delle persone più potenti di Wall Street. Soprannominato il ‘Re di Wall Street’ dalla rivista Fortune, ha fondato il Blackstone Group e lo ha trasformato in un titano finanziario globale. Gli enormi successi finanziari di Schwarzman, in parte, derivano dal suo stretto rapporto con i funzionari del Partito Comunista Cinese. Nel 2007, Blackstone è stata quotata in borsa e Schwarzman ha trovato un nuovo partner. Il governo cinese ha acquistato una partecipazione del 9,9 per cento nella neonata azienda per 3 miliardi di dollari”.

Una delle persone più potenti di Wall Street è Ray Dalio, fondatore di Bridgewater, il più grande hedge fund del mondo. “Dalio ha guadagnato miliardi da fondi di investimento. Nel solo 2018, il suo compenso da Bridgewater è stato di 2 miliardi. Nel 2010, Bridgewater aveva fatto grandi affari con la Cina. La State Administration of Foreign Exchange del governo cinese ha investito miliardi di dollari in una serie di hedge fund negli Stati Uniti, tra cui Bridgewater. Mentre costruiva potenti legami a Pechino, Dalio assumeva persone con relazioni a Washington. Dalio ha scelto James Comey, ex procuratore generale degli Stati Uniti, che nel 2013 è stato nominato direttore dell'FBI da Barack Obama”.

Senza contare le donazioni del regime cinese alle università americane. In dieci anni, 1 miliardo di dollari. La sola Harvard, 93 milioni.

Nei giorni scorsi, il giornale giapponese Nikkei ha raccontato in una inchiesta come la Cina sta diventando la “farmacia del mondo”, stabilendo un legame dietro l’altro con i grandi gruppi farmaceutici occidentali.

"Ci troviamo in quello che i tedeschi chiamano Systemwettbewerb, una competizione di sistemi tra le democrazie liberali e il capitalismo della Cina, che sta proiettando sempre più la sua pretesa assoluta di potere oltre i suoi confini", ha detto Thorsten Benner, fondatore del Global Public Policy Institute a Berlino. La guerra Fredda con la Russia sovietica era più chiara. “Avevamo un antagonista ideologico e della sicurezza che non era un concorrente economico. C'era un muro cinese tra le economie dell'Occidente e dell'Unione Sovietica. Oggi, ci troviamo di fronte a un avversario che è un potente concorrente economico e riuscito ad attirare l'Occidente nella sua orbita, per stritolarlo”.
Non si è ancora capito quanto sia stretta la corda che i cinesi ci hanno messo al collo.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 10:45 am

La Cina ora accelera il "decoupling" auspicato da Donald Trump
Michele Marsonet
17 agosto 2022

https://www.nicolaporro.it/atlanticoquo ... ald-trump/

Si rammenterà che uno dei principali obiettivi di Donald Trump era il decoupling, vale a dire il distacco (o disaccoppiamento) tra l’economia Usa e quella cinese, che l’ex presidente giudicava – e con buone ragioni – troppo interconnesse. Aveva inoltre impostato una politica dei dazi destinata a frenare le strategie di dumping praticate da Pechino senza molte remore.

Circa i dazi non vi sono notizie certe. Pareva a un certo punto che il presidente Joe Biden intendesse mitigarli, o addirittura abolirli, per cercare di migliorare le relazioni tra le due potenze vista la crescente tensione sul problema di Taiwan.


Il delisting da Wall Street

Più chiara la situazione del decoupling, giacché Pechino lo sta realizzando per conto suo. Giunge infatti notizia che cinque grandi aziende cinesi hanno deciso di lasciare la Borsa di New York, dove erano approdate in tempi più tranquilli.

Si tratta del gigante petrolifero Sinopec, oltre a China Life Insurance, PetroChina, China Petroleum Chemical Corp. e Aluminium Corp. of China. Assieme hanno una capitalizzazione di circa 370 milioni di dollari. Qualcuno ha notato che valgono più della metà della capitalizzazione totale di Piazza Affari.

Non si tratta dunque di un’uscita di poco conto, anche se i cinesi sostengono che il volume delle loro negoziazioni a Wall Street è piuttosto esiguo rispetto a quello di alcune piazze asiatiche, e soprattutto di Hong Kong. Citano inoltre gli oneri amministrativi troppo elevati praticati a New York.


Regole Usa più stringenti

In realtà i problemi sarebbero altri. Nella Repubblica Popolare non esistono aziende completamente private, in quanto ognuna deve sottostare al controllo del governo e del Partito comunista. Si dà invece il caso che negli Stati Uniti esista una legge che richiede alle società quotate nelle Borse americane di non essere possedute dal governo cinese.

Inoltre, le regole Usa esigono l’accesso, da parte delle autorità di controllo, ai libri contabili delle aziende quotate, e tali regole ai cinesi non vanno bene. E’ quindi prevedibile che in futuro la quotazione delle aziende del Dragone nelle Borse Usa diventerà sempre più difficile e i cinesi, per l’appunto, reagiscono con il delisting, cioè andandosene in tempi rapidi. Il completamento dell’operazione è infatti previsto tra agosto e settembre dell’anno in corso.


Lo statalismo di Xi

Contano però le implicazioni politiche del suddetto delisting. Da quando Xi Jinping è al potere, si è verificata in Cina una svolta statalista volta a contestare le innovazioni “capitaliste” introdotte a suo tempo da Deng Xiaoping. Il controllo statale su ogni tipo di attività economica (e non solo) è diventato più stringente, al punto che alcuni vi hanno visto un ritorno al maoismo.

Per l’attuale gruppo dirigente di Pechino business e profitto sono importanti, ma sempre meno dell’ideologia che ora assomiglia al marxismo-leninismo rivisto da Mao Zedong (con in più una spruzzata di confucianesimo).


Dialogo Usa-Cina difficile

Si noti che il dialogo tra Washington e Pechino diventa a questo punto sempre più difficile. In novembre è previsto un faccia a faccia tra Biden e Xi Jinping, ma sulla sua fattibilità esistono parecchi dubbi.

Una delegazione del Congresso Usa ha visitato Taiwan pochi giorni dopo il viaggio di Nancy Pelosi, e questo ha rinfocolato l’ira cinese. Forse non accadrà, ma è anche possibile che Xi compia degli atti di forza contro l’isola per presentarsi come “vincitore” al congresso del Partito del prossimo novembre, che dovrebbe concedergli un inedito terzo mandato.





Dazi - i giusti dazi del buon Trump che difende gli USA
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =94&t=2781
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Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 10:46 am

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Messaggioda Berto » dom nov 21, 2021 10:46 am

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Messaggioda Berto » gio nov 25, 2021 2:31 am

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Messaggioda Berto » gio nov 25, 2021 2:31 am

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Messaggioda Berto » gio nov 25, 2021 2:32 am

13)
Biden e Israele



Dalla parte dei fatti e della verità
Niram Ferretti
13 Ottobre 2021

http://www.linformale.eu/dalla-parte-de ... la-verita/

Alla conferenza annuale del Jerusalem Post, un Mike Pompeo vistosamente dimagrito e in grande forma, nel suo breve discorso prima delle domande di rito, ha detto alcune cose fondamentali sulle quali occorre soffermarsi brevemente.

L’ex Segretario di Stato americano sotto la presidenza Trump ha specificato che, dal punto di vista legale, ovvero quello del diritto internazionale, l’esistenza di Israele poggi su fondamenta solidissime. Ha sottolineato come l’Articolo 80 dello Statuto ONU il quale recepisce quanto disposto dal patto della allora Società delle Nazioni, sia l’architrave su cui poggia tutto, e che nessuna risoluzione ONU successiva ad esso possa sostituirlo o superarlo.

L’articolo in questione, occorre rammentarlo, recepisce nella sua interezza tutti i diritti garantiti agli ebrei in base al Mandato britannico per la Palestina del 1922, anche dopo il venire meno dello stesso Mandato, come avvenne, di fatto, il 14-15 maggio del 1948.

Questi diritti prevedevano che in base all’Articolo 6 del Mandato, gli ebrei avessero piena titolarità di insediarsi sul territorio della Palestina mandataria, compresi i terreni demaniali e quelli desertici, con la sola eccezione, in base all’Articolo 25 del Mandato medesimo di quei territori ad est del Giordano, i quali, in seguito, furono ceduti agli hashemiti come ricompensa per il contributo dato agli inglesi contro i turchi.

Al di là della delirante delegittimazione di Israele in quanto tale, l’Articolo 80, opportunisticamente negletto, basta da solo a mettere in mora l’accusa pretestuosa di “occupazione” rivolta a Israele in merito ai territori di Giudea e Samaria, (Cisgiordania, West Bank). Come è noto, la propaganda anti-israeliana afferma che la presenza non solo militare israeliana ma gli stessi insediamenti ebraici su quel territorio, siano abusivi perchè si troverebbero su una terra che apparterrebbe di diritto agli arabi-palestinesi. Nulla di più smaccatamente falso.

Nel suo breve discorso Mike Pompeo ha sottolineato come, “Uno dei miei compiti principali nella mia veste di Segretario di Stato è stato di mettere ordine nella confusione che era stata generata. Dovete sapere che la situazione che ho trovato al Dipartimento di Stato era un guazzabuglio politico lasciato imputridire fin dai tempi dell’Amministrazione Carter e basato sull’ignorare opportunamente i fatti e la storia”.

E’ un passaggio chiave che permette andare direttamente all’origine della propagazione della mistificazione seconda la quale in Giudea e Samaria gli ebrei occuperebbero illegalemente il territorio, ovvero permette di risalire per li rami al memorandum Hansell, dal nome del giurista e consulente dell’amministrazione Carter, sulla cui interpretazione del comma VI dell’Articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra, si è poi edificata interamente la fiction dell’illegalità della presenza ebraica in Giudea e Samaria, come ha spiegato qui su L’Informale, David Elber. http://www.linformale.eu/la-iv-convenzi ... rumentale/

Pompeo non entra nel merito tecnico della questione, si limita a specificare come uno dei tasselli principali della criminalizzazione di Israele, la sua presunta violazione del diritto internazionale, sia una leggenda atta a distorcere necessariamente i fatti, quei fatti che, ripristinati in virtù della sua supervisione, hanno portato alla dichiarazione che fece nel novembre del 2019 quando era Segretario di Stato, la quale rifletteva la posizione assunta dall’amministrazione Trump, ovvero che gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria sono legittimi.

Di seguito, Pompeo ha fatto presente come l’amministrazione Biden sia intenzionata a riconfigurare la presenza ebraica in Giudea e Samaria sotto il profilo dell’illegalità: “Chiediamo loro, di sostanziare in modo esaustivo che Israele sia un occupante, sotto il profilo della legge e della storia. Sostenete questa posizione basandovi sulla ragione, sulla legge e sui fatti”.

Ma l’ex Segretario americano sa benissimo che non possono farlo, non sono in grado di farlo e non lo faranno. Il motivo è semplice, i fatti, la legge e la storia, remano loro contro con una evidenza che soltanto la menzogna e la propaganda indefessa contro Israele possono sperare di occultare, come accade incessantemente e con successo dal 1967 a oggi.



Haley, Pence, Warn Israel Not to Rely on Biden
Aryeh Savir, Tazpit News Agency
7 novembre 2021

https://www.jewishpress.com/news/breaki ... 021/11/07/

“Israel should not count on Biden to stop the Iran nuclear program,” Nikkei Haley, former US ambassador to the United Nations, warned, calling on Israel to defend itself.

“The Iranian nuclear threat is existential for Israel. If Israel makes the grave decision that its security depends on removing that threat, it should not wait for an American green light that might never come,” she stated over the weekend.

Haley’s warning is joined by that of former Vice President Mike Pence who cautioned that President Joe Biden has “turned his back on Israel.”

“Make no mistake about it, President Joe Biden has turned his back on Israel,” Pence told the Republican Jewish Coalition over the weekend.

Biden has “restored funding for the Palestinian Authority, announced his intention to rejoin the Iran Nuclear Deal, and now the Biden administration is planning to open a consulate in Jerusalem for the Palestinian people,” Pence said, noting that the consulate opening “is an unlawful step and it’s time for Congress to act to deny President Biden from opening a consulate in Jerusalem.”

The Biden administration is seeking to reengage Tehran in talks on a new nuclear agreement, while Europe is seeking to salvage the one signed in 2015, which the US under Donald Trump left.

State Department spokesperson Ned Price state Thursday that the Biden administration “remain[s] interested to determine whether we can achieve a mutual return to compliance with the JCPOA (the Joint Comprehensive Plan of Action).”

“We continue to believe that a mutual return to compliance is the most effective means by which to put Iran’s nuclear program back in the box that it was in for several years after the deal was implemented in 2016. So that is the first step,” he added.

Israel has warned that the Iranian nuclear program has reached a critical stage and is weeks away from accumulating the material needed for a nuclear bomb, requiring action.
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