Trump non ha mai difeso le minacce a “impiccare Mike Pence”, ma i media senza vergogna non possono smettere di mentire a riguardo
FACT-CHECK: Trump non ha “difeso” le esortazioni a “impiccare Mike Pence”, e chiunque abbia ascoltato la clip audio lo sa.The Federalist
13 novembre 2021
https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -riguardo/Se avete letto qualche titolo o siete stati su Twitter, probabilmente avete sentito la notizia: Donald Trump ha giustificato le esortazioni ad “impiccare Mike Pence”. Ma se ascoltate l’intervista che presumibilmente supporta questa affermazione, capirete presto che i media corrotti sono di nuovo all’opera. Semplicemente non è vero.
L’audio proviene da un’anticipazione di un’intervista tra Donald Trump ed il corrispondente capo di Washington della ABC News Jonathan Karl, per il suo prossimo libro in uscita sul 6 gennaio, che è destinato ad essere una sciocchezza se l’interpretazione che il giornalista dà a questa particolare intervista. E i media aziendali hanno avuto una giornata campale venerdì mattina, annunciando tutti con shock e stupore che Trump sarebbe stato d’accordo con la folla nell’impiccare Mike Pence.
“Trump difende i cori “Impiccate Mike Pence” dei rivoltosi del Campidoglio“: “La gente era molto arrabbiata“, è stato il titolo del Daily Beast, mentre Business Insider ha affermato: “Trump ha giustificato i suoi sostenitori che chiedevano di impiccare Mike Pence alla rivolta del Campidoglio, dicendo che fu “buon senso”“.
Mike Allen di Axios se ne è uscito con il titolo: “Audio esclusivo: Trump difende le minacce di ‘impiccare’ Pence“, e ha postato la storia nella sua newsletter del mattino. Trump “ha difeso, abbastanza ampiamente, i sostenitori che hanno minacciato di ‘impiccare’ l’ex vicepresidente Mike Pence”, ha detto Allen, aggiungendo, “è senza precedenti per un ex presidente dire apertamente che era giusto minacciare la vita del suo vicepresidente”.
Ma per avere il quadro completo, è necessario ascoltare l’audio, non solo guardare la trascrizione, perché lo scambio non è avvenuto in un formato di domande e risposte come i media dicono.
Ascoltate qui:
Se avete mai ascoltato un’intervista a Donald Trump, sapete che il suo stile di comunicazione è quello della filippica. I membri dei media lo sanno bene, ed è un fatto così consolidato che il “Saturday Night Live” la usa persino come base per alcune delle sue battute su Trump. È anche il modo in cui si ottengono interviste come questa.
Come si può sentire, ascoltando l’audio, Trump inizia dicendo a Karl che non era preoccupato per la sicurezza di Pence perché il Vicepresidente era ben protetto dalla minaccia dei rivoltosi entrati al Campidoglio e Trump aveva sentito che stava bene – fine della storia per quanto riguarda la sicurezza di Pence, per quanto riguarda Trump.
Trump inizia a fare una sfuriata, ma Karl interviene, rivolgendo la sua attenzione ai rivoltosi. “Perché avete sentito quei cori, è stato terribile. Voglio dire, sapete,…” Karl inizia prima di interrompere.
Trump salta di nuovo nella questione, prima per continuare il suo sfogo con “Avrebbe potuto…”, ma poi per rispondere alla menzione di Karl su dei cori non ben specificati.
“Beh, la gente era molto arrabbiata“, ha detto Trump, e mentre l’ex presidente è già partito per spiegare perché erano arrabbiati – pensavano che l’elezione fosse stata rubata – ecco che Karl scivola dento il discorso di Trump menzionando “impiccate Mike Pence“.
Ma Trump era già impegnato in una sfuriata sulla frode elettorale. Mentre Karl interrompe, Trump non gli dà nemmeno la possibilità di finire “impiccate M-” prima di continuare il suo pensiero precedente: “Perché è – è buon senso, Jon. È il senso comune che si suppone di proteggere – come puoi, se sai che un voto è fraudolento, giusto? Come puoi trasmettere un voto fraudolento al Congresso?”
Questo è il motivo per cui Trump usa la parola “perché”. Non è chiaramente in risposta all’interiezione di Karl “impiccate Mike Pence”.
Nel contesto e senza interruzioni, il significato di Trump è chiarissimo: “Beh, la gente era molto arrabbiata perché è – è buon senso, Jon. È senso comune che si suppone che tu debba proteggere [l’integrità delle elezioni]”.
I media mainstream sanno questo dello stile di Trump, e se hanno ascoltato la clip, sanno che Trump stava solo finendo il suo treno di pensieri quando Karl gli butta in mezzo la menzione “impiccare Mike Pence“. Eppure i media hanno scelto di correre con titoli oltraggiosi e di strutturare i loro articoli con l’intervista inclusa in un formato pulito di domande e risposte.
Ecco come ha fatto Axios, e altri media hanno seguito l’esempio:
Notate come hanno strutturato il testo che ho evidenziato sopra, per far sembrare che Trump stesse rispondendo direttamente al coro “impiccate Mike Pence” con “è buon senso“.
I media lo fanno su ogni cosa. L’hanno fatto con le interviste durante tutta la presidenza di Trump, come con la bugia su Charlottesville “persone molto belle da entrambe le parti”. Lo fanno modificando in modo ingannevole i video delle bodycam per diffondere la narrativa che la polizia è cattiva. Lo fanno per infangare i leader repubblicani che hanno gestito con successo il COVID-19 nonostante ignorino una certa saggezza convenzionale, per citare alcuni degli infiniti esempi.
Dobbiamo ricordare due cose chiave sui media ogni volta che vediamo titoli come quelli di venerdì mattina: 1) Sono ancora assolutamente ossessionati da Trump, e 2) Scelgono la narrativa più appropriata da dare ai fatti ogni singola volta.
Trump non ha “difeso” le esortazioni ad “impiccare Mike Pence”, e chiunque abbia ascoltato la clip audio lo sa.
Steve Bannon accusato di oltraggio al Congresso per aver sfidato la citazione in giudizio della commissione sul 6 gennaio Breitbart News
13 novembre 2021
https://osservatorerepubblicano.com/202 ... 6-gennaio/ https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 8807284454Steve Bannon, un alleato di lunga data dell’ex presidente Donald Trump, è stato incriminato per oltraggio al Congresso dopo aver sfidato un mandato di comparizione della commissione della Camera che indaga sull’insurrezione del 6 gennaio.
Steve Bannon, un alleato di lunga data dell’ex presidente Donald Trump, è stato incriminato per due capi d’accusa di oltraggio al Congresso dopo aver sfidato un mandato di comparizione della commissione della Camera che indaga sull’insurrezione del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti.
Venerdì, il Dipartimento di Giustizia ha detto che Bannon, 67 anni, è stato incriminato con un capo d’accusa per aver rifiutato di apparire per una deposizione il mese scorso e l’altro per aver rifiutato di fornire documenti in risposta al mandato di comparizione della Commissione. Ci si aspetta che si consegni alle autorità lunedì e che compaia in tribunale lo steso pomeriggio, ha detto all’AP un funzionario delle forze dell’ordine. Al funzionario è stato concesso l’anonimato per discutere il caso.
L’incriminazione arriva dopo che numerosi funzionari dell’amministrazione Trump – compreso Bannon – hanno sfidato le richieste e le domande del Congresso negli ultimi cinque anni riportando poche conseguenze, anche durante l’inchiesta di impeachment dei Democratici. Tra i precedenti, anche l’amministrazione del presidente Barack Obama aveva rifiutato di accusare due dei suoi funzionari che avevano evaso le richieste del Congresso.
Il procuratore generale Merrick Garland ha detto che l’incriminazione di Bannon riflette il “fermo impegno” da parte del Dipartimento di Giustizia verso lo “stato di diritto”. Ogni capo d’accusa comporta un minimo di 30 giorni di prigione e fino ad un anno dietro le sbarre.
L’incriminazione è arrivata mentre un secondo testimone atteso, l’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, ha sfidato anch’egli il proprio mandato di comparizione dalla commissione venerdì e mentre Donald Trump ha intensificato le sue battaglie legali per trattenere documenti e testimonianze sull’insurrezione.
Se la Camera voterà per trattenere Meadows agli arresti, quella raccomandazione verrebbe anche inviata al Dipartimento di Giustizia per una possibile incriminazione.
Funzionari di entrambe le amministrazioni, sia democratiche che repubblicane, sono stati accusati di oltraggio dal Congresso, ma le incriminazioni penali per l’oltraggio al Congresso sono estremamente rare. Gli esempi più recenti di sanzioni penali per non aver testimoniato davanti al Congresso risalgono agli anni ’70, quando l’aiutante del presidente Richard Nixon, G. Gordon Liddy, fu condannato per reati minori per aver rifiutato di rispondere alle domande sul suo ruolo nello scandalo Watergate.
I Democratici che hanno votato per arrestare Bannon per oltraggio hanno lodato la decisione del Dipartimento di Giustizia, dicendo che le accuse rafforzano l’autorità del Congresso di indagare sul ramo esecutivo e segnalano potenziali conseguenze per coloro che si rifiutano di collaborare.
“I giorni in cui si sfidano impunemente i mandati di comparizione sono finiti”, ha twittato il presidente della commissione Intelligence della Camera Adam Schiff, che siede nella commissione sul 6 gennaio e che ha anche guidato la prima inchiesta di impeachment di Trump. “Smaschereremo i responsabili del 6 gennaio. Nessuno è al di sopra della legge”.
Il presidente della commissione sul 6 gennaio, il rappresentante democratico Bennie Thompson, ha detto ai giornalisti in un evento nel suo stato natale del Mississippi, venerdì, che raccomanderà l’arresto di Meadows la prossima settimana.
Thompson e la vicepresidente della commissione, la repubblicana Liz Cheney del Wyoming, hanno detto in una dichiarazione: “Il signor Meadows, il signor Bannon e gli altri che seguiranno questa strada non prevarranno nel fermare lo sforzo del comitato ristretto di ottenere risposte per il popolo americano sul 6 gennaio, fare raccomandazioni legislative per aiutare a proteggere la nostra democrazia e aiutare a garantire che nulla come quel giorno accada di nuovo”.
Meadows e Bannon sono testimoni chiave per il comitato, poiché entrambi erano in stretto contatto con Trump nel periodo dell’insurrezione.
Meadows è stato il principale aiutante di Trump alla fine della sua presidenza ed era una delle diverse persone che hanno fatto pressione sui funzionari statali per cercare di ribaltare i risultati elettorali. Bannon ha promosso le proteste del 6 gennaio sul suo podcast e ha predetto che ci sarebbero stati disordini. Il 5 gennaio, ha predetto che “si scatenerà l’inferno”.
L’accusa dice che Bannon non ha comunicato con la commissione in alcun modo dal momento in cui ha ricevuto la citazione in giudizio il 24 settembre fino al 7 ottobre, quando il suo avvocato ha inviato una lettera, sette ore dopo la deadline per la consegna dei documenti.
Bannon, che ha lavorato alla Casa Bianca all’inizio dell’amministrazione Trump e che attualmente serve come conduttore del podcast “War Room“, di stampo cospirativo secondo AP, è un privato cittadino che “ha rifiutato di apparire per testimoniare come richiesto da un mandato di comparizione”, dice l’accusa.
Quando Bannon ha rifiutato di apparire per la sua deposizione in ottobre, il suo avvocato ha detto che l’ex consigliere di Trump era stato consigliato da un avvocato di Trump circa il privilegio per i membri dell’esecutivo di non rispondere alle domande. L’avvocato non ha risposto as un messaggio di commento venerdì.
Questa non è la prima volta che l’alleato di lunga data di Trump affronta una causa legale. Nell’agosto dell’anno scorso, Bannon è stato tirato fuori da uno yacht di lusso ed arrestato con l’accusa che lui e tre associati avessero frodato i donatori che cercavano di finanziare un muro al confine meridionale. Trump ha poi graziato Bannon nelle ultime ore della sua presidenza.
Meadows, un ex membro del Congresso della North Carolina, ha sfidato la sua citazione in giudizio venerdì dopo settimane di discussioni con la commissione. Il suo avvocato ha detto che Meadows ha una “forte disputa legale” con il comitato, poiché Trump ha rivendicato il privilegio esecutivo sulla testimonianza dell’ex capo dello staff, come aveva fatto con quella di Bannon.
La Casa Bianca ha detto in una lettera giovedì che Joe Biden avrebbe rinunciato a qualsiasi privilegio che avrebbe impedito a Meadows di collaborare con la commissione, spingendo l’avvocato di Meadows a dire che non lo avrebbe rispettato.
“Le controversie legali vengono opportunamente risolte dai tribunali”, ha detto l’avvocato, George Terwilliger. “Sarebbe irresponsabile per il signor Meadows risolvere prematuramente quella disputa rinunciando volontariamente a privilegi che sono al centro di quelle questioni legali”.
Joe Biden ha finora rinunciato alla maggior parte delle affermazioni di Trump sul privilegio su documenti ed interviste, citando l’interesse del pubblico a sapere cosa è successo il 6 gennaio. Trump ha fatto causa alla commissione e agli archivi nazionali per fermare il rilascio dei documenti, e il giudice distrettuale degli Stati Uniti Tanya Chutkan ha ripetutamente sostenuto la posizione di Biden, notando in una sentenza di questa settimana che “i presidenti non sono re, e il querelante non è il presidente”.
I procedimenti della commissione e i tentativi di raccogliere informazioni sono stati ritardati poiché Trump ha fatto appello alla sentenza della Chutkan. Giovedì, una corte d’appello federale ha temporaneamente bloccato il rilascio di alcuni dei documenti della Casa Bianca che la commissione sta cercando, dando al tribunale il tempo di considerare gli argomenti di Trump.
Tuttavia, la commissione della Camera sta continuando il suo lavoro, e i membri hanno già intervistato più di 150 testimoni nel tentativo di costruire una documentazione completa su come una folla violenta di sostenitori di Trump abbia fatto irruzione nel Campidoglio ed abbia temporaneamente fermato la certificazione della vittoria di Biden.
La commissione ha citato in giudizio quasi tre dozzine di persone, tra cui ex collaboratori della Casa Bianca, alleati di Trump che hanno fatto strategie su come ribaltare la sua sconfitta e persone che hanno organizzato una gigantesca manifestazione vicino alla Casa Bianca la mattina del 6 gennaio. Mentre alcuni, come Meadows e Bannon, si sono rifiutati, altri hanno parlato alla commissione e fornito documenti.
Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha criticato il Dipartimento di Giustizia dopo l'accusa contro l'ex consigliere di Trump Steve Bannon, sostenendo che "le idee e il pensiero non sono mai criminali in un paese libero".L'Osservatore Repubblicano
13 novembre 2021
https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 4953948506Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha criticato il Dipartimento di Giustizia dopo l'accusa contro l'ex consigliere di Trump Steve Bannon, sostenendo che "le idee e il pensiero non sono mai criminali in un paese libero".
"Come vi abbiamo detto, il Dipartimento di Giustizia di Biden si sta trasformando davanti ai nostri occhi in uno strumento politico armato il cui lavoro principale sembra essere punire i critici del Partito Democratico. Ecco l'ultimo esempio: Hanno appena incriminato l'ex consigliere di Trump Steve Bannon per oltraggio al Congresso. Beh, se questo suona come un'accusa insolita, lo è sicuramente. Il DOJ non ha mai fatto arrestare nessuno per oltraggio al Congresso in quasi 40 anni."
"Il DOJ non ha fatto arrestare Eric Holder dopo che era stato accusato di oltraggio, per esempio. Il DOJ non ha accusato Jim Clapper o John Brennan quando hanno mentito al Congresso. Questa non è una speculazione. Hanno mentito. Sono stati scoperti. Ma Joe Biden non era presidente all'epoca. Come abbiamo detto, il DOJ è ora il braccio esecutivo del Partito Democratico, che punisce chiunque non si conformi alle richieste della Commissione del 6 gennaio di Nancy Pelosi e Liz Cheney."
"Da quello che posso dire, stanno cercando di criminalizzare le opinioni che non gli piacciono. Vi è permesso avere qualsiasi opinione sulle ultime elezioni che volete, qualsiasi opinione che volete su qualsiasi cosa in questo paese. Punto."
"Le vostre opinioni non possono essere criminalizzate perché le idee e la parola non sono mai criminali in un paese libero. Non capisco, voglio dire, il pretesto per - vogliono buttare Bannon in prigione se possono perché non gli piacciono le sue opinioni?"
"Dove sono i leader Repubblicani che si oppongono a questo?"
Tucker Carlson, intervistando Michael Flynn, che afferma che rispetterà il suo mandato di comparizione perché "non hanno niente in mano".
L'ex stratega di Trump si è consegnato alle autorità per affrontare l’accusa di oltraggio dopo essersi rifiutato di comparire di fronte alla Commissione della Camera che indaga sull’assalto del 6 gennaio a Capitol HillArrestato Steve Bannon, ex stratega di Trump
Orlando Sacchelli
15 Novembre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ar ... 89308.htmlL'ex consigliere di Trump e capo stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, è stato arrestato dagli agenti dell'Fbi - a cui si è consegnato - con l'accusa di oltraggio al Congresso. Come più volte aveva preannunciato si è rifiutato di testimoniare davanti alla commissione investigativa sui fatti del 6 gennaio 2021, il famoso assalto al Campidoglio, e si è altresì rifiutato di fornire documenti a tal riguardo. Bannon è sospettato di avere informazioni su possibili legami tra l’ex presidente e i suoi sostenitori che presero parte all’assalto del Parlamento Usa.
Trump più volte ha fatto appello al privilegio dell’esecutivo. Di cosa si tratta? È il diritto del presidente a mantenere segrete le conversazioni (comprese e-mail e messaggi) avute con i suoi collaboratori. Questo teoricamente esenterebbe i suoi collaboratori dall'obbligo di testimoniare e impedirebbe alla Commissione di accedere ai documenti della sua amministrazione.
Bannon aveva già fatto sapere che non avrebbe testimoniato finché la questione del privilegio non fosse stata chiarita. Il tema è stato discusso dalla Camera dei Rappresentanti, che ha girato per competenza al Dipartimento di giustizia i due capi d’accusa per oltraggio al Congresso (ognuno può comportare una pena da un mese a un anno di carcere e una multa di 100mila dollari).
In una nota di alcuni giorni fa il segretario alla Giustizia, Merrick Garland ha detto che sin dal suo primo giorno in carica, ha "promesso ai dipendenti del Dipartimento che insieme avremmo mostrato al popolo americano, con le parole e con i fatti, che il dipartimento si attiene allo Stato di diritto, ai fatti e alla legge e ricerca una giustizia equa secondo la legge". In altre parole, nessuno è super partes.
Architetto della vittoria di Trump nel 2016, attivissimo con il sito di controinformazione Breibart che dirigeva, Steve Bannon approdò alla Casa Bianca come stratega ma restò in carica soltanto pochi mesi, fino all'agosto 2017. Quelli di oggi non sono i suoi primi guai. L'anno scorso, infatti, fu arrestato e incriminato per aver frodato i sostenitori di una campagna per raccogliere fondi privati per costruire il muro sul confine con il Messico.
Incriminato per oltraggio al Congresso, compare davanti al giudice. Alle tv: "Combatteremo il regime di Joe Biden"Bannon si consegna all'Fbi e trasforma l'arresto in show
Valeria Robecco
16 Novembre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1637048466Steve Bannon si è consegnato all'Fbi. L'ex controverso stratega di Donald Trump si è presentato agli uffici del Bureau di Washington ed è stato arrestato dopo l'incriminazione per oltraggio al Congresso per aver negato la sua collaborazione alla commissione della Camera che sta indagando sull'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Il 67enne comparirà in Tribunale giovedì prossimo, ma non sarà detenuto in attesa di giudizio: ha acconsentito a presentarsi per controlli settimanali, consegnare il passaporto, e riferire di ogni spostamento al di fuori del distretto. In ottobre Bannon si era rifiutato di testimoniare e venerdì scorso un gran giurì federale lo ha accusato per due capi di imputazione: uno per non aver testimoniato e l'altro per non aver consegnato i documenti richiesti. Su questo secondo punto, il suo avvocato Robert Costello ha spiegato che le carte erano protette dal privilegio esecutivo invocato dall'ex presidente americano: «I privilegi esecutivi appartengono a Trump» e la sua richiesta deve essere «onorata», ha precisato. L'ex direttore del sito di estrema destra Breitbart News - che se verrà condannato rischia fino a due anni di carcere e una multa di mille dollari - è arrivato negli uffici dell'Fbi su un Suv nero poco prima delle 10 di mattina e prima di consegnarsi ha detto ai giornalisti che lo aspettavano: «Stiamo abbattendo il regime di Joe Biden. Voglio che voi, ragazzi, restiate concentrati sul messaggio. Nessuno deve distogliere l'attenzione da ciò che facciamo ogni giorno, questo è tutto rumore».
Con la sua incriminazione il dipartimento di Giustizia di Biden si trova di fronte al difficile test di perseguire uno dei maggiori consiglieri di un ex inquilino della Casa Bianca, rischiando di spaccare ulteriormente l'opinione pubblica. Intanto, alla luce della decisione del gran giurì trema anche Mark Meadows, l'ex capo di gabinetto di Trump, chiamato a deporre dalla commissione che indaga sull'assalto a Capitol Hill. Tramite i suoi legali pure lui ha fatto sapere che non intende adempiere al mandato ricevuto fino a che non sarà più chiara la definizione e l'applicazione del privilegio esecutivo che il tycoon e i suoi legali rivendicano. Il deputato democratico Adam Schiff e la deputata repubblicana (acerrima nemica di Trump) Liz Cheney, che siedono nella commissione istituita dalla speaker della Camera Nancy Pelosi, hanno detto che stanno lavorando per deferire rapidamente l'ex capo di gabinetto per oltraggio criminale. La strada scelta da Bannon e Meadows «non prevarrà sugli sforzi della commissione di ottenere risposte sul 6 gennaio e assicurare che una cosa del genere non si ripeta», ha detto Cheney, sottolineando come l'incriminazione dell'ex capo stratega della Casa Bianca «dovrebbe inviare un messaggio chiaro a chiunque pensi di poter ignorare il panel o cercare di ostruire la nostra indagine, ossia che nessuno è al di sopra della legge». In totale sono circa una decina gli ex funzionari e alleati di Trump che hanno ricevuto citazioni a testimoniare o condividere documenti con la commissione. L'ex Comandante in capo, invece, ha festeggiato nei giorni scorsi due importanti vittore legali: l'ex concorrente dello show televisivo Apprentice, Summer Zervos, ha rinunciato alla causa contro di lui per diffamazione, e un giudice di New York ha accolto la mozione di The Donald per archiviare l'azione legale del suo ex avvocato Michael Cohen contro la Trump Organization. Zervos aveva fatto causa al tycoon nel 2017 dopo che lui aveva negato di averla assalita sessualmente e il 23 dicembre era stata fissata la sua deposizione.
Questo non era un trumpiano.Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesiOrlando Sacchelli
17 Novembre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/mondo/as ... 1637174383Jacob Chansley, noto come lo "sciamano" dei cospirazionisti di QAnon, diventato il simbolo dell'assalto al Congresso del 6 gennaio da parte dei sostenitori di Trump, è stato condannato a tre anni e 5 mesi di prigione
Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesi
Ricordate l'uomo con il volto truccato e in testa un copricapo da vichingo che, insieme a molte altre persone, fece irruzione al Congresso degli Stati Uniti il 6 gennaio di quest'anno? Jacob Chansley, noto come lo "sciamano", è stato condannato a 3 anni e cinque mesi di carcere per l'assalto al Campidoglio. Tenuto conto del fatto che non era accusato di aggressione la condanna che gli è stata inflitta può essere considerata molto pesante, anche se è inferiore ai 51 mesi richiesti dai procuratori federali, che volevano una sentenza esemplare perché lo "sciamano" era diventato l'emblema dell'assalto alla democrazia americana.
Ma torniamo al 6 gennaio di inizio anno. Non appena le foto e i video dell'assalto iniziarono a girare, con il volto truccato e il bizzarro copricapo da vichingo Chansley divenne il simbolo di quella clamorosa protesta che, ricordiamo, vide i sostenitori di Donald Trump contestare a gran voce la ratifica della vittoria di Biden alla presidenziali di Novembre 2020. Dopo essersi seduto alla scrivania di Mike Pence aveva lasciato un messaggio: "È solo questione di tempo, la giustizia sta arrivando".
Originario dell’Arizona e vicino al movimento cospirazionista QAnon, a febbraio Chansley aveva iniziato lo sciopero della fame protestando perché in carcere non era previsto un menù vegano. A marzo, invece, aveva rilasciato un’intervista che aveva adirato non poco il giudice distrettuale Royce Lamberth. A settembre, infine, si era dichiarato colpevole di un solo capo d’accusa, ostacolo a procedimenti ufficiali, per aver preso parte all’assalto.
La condanna di oggi è la più dura inflitta ad un partecipante alla rivolta, insieme a quella (sempre di 41 mesi) decisa la scorsa settimana per Scott Fairlamn, un ex lottatore Mma che ha ammesso di aver aggredito un agente di polizia. Il terzo rivoltoso finora arrivato a sentenza, Paul Hodginks, ha subito una condanna ad otto mesi.
Dipartimento di Giustizia ed FBI hanno dato credito ad una fonte del Dossier Steele accusata di aver mentitoWashington Examiner
17 novemmbre 2021
https://osservatorerepubblicano.com/202 ... r-mentito/Il Dipartimento di Giustizia e l’FBI hanno continuato a difendere l’uso delle informazioni provenienti dalla fonte principale di Christopher Steele, Igor Danchenko, anche dopo i colloqui con il Bureau, durante i quali lo special counsel John Durham ha affermato che il russo abbia mentito ripetutamente.
Igor Danchenko, un ricercatore, nato in Russia ma residente negli Stati Uniti, è stato accusato “di cinque capi d’accusa per aver fatto false dichiarazioni all’FBI” che Durham sostiene vertano sulle informazioni che aveva fornito a Christopher Steele per la compilazione del suo dossier. L’atto d’accusa di Durham afferma che Danchenko ha mentito all’FBI per cinque volte nel 2017. Si è dichiarato non colpevole mercoledì 10 novembre.
Igor Danchenko
Gli sforzi del DOJ e dell’FBI per difendere la credibilità del dossier di Steele e della sua fonte erano stati notevoli nel 2018, l’anno dopo che Danchenko aveva già presumibilmente mentito al Bureau, e nel mezzo dell’indagine del procuratore speciale Robert Mueller.
L’allora assistente procuratore generale John Demers aveva detto al giudice della Foreign Intelligence Surveillance, Court Rosemary Collyer, in una lettera del luglio 2018, che Danchenko era stato “sincero e cooperativo” con l’FBI. Il funzionario del DOJ aveva poi difeso le richieste di mandati di sorveglianza FISA irregolari emessi contro Carter Page, che lavorava per la la campagna di Donald Trump.
I mandati FISA sono basati sul Foreign Intelligence Surveillance Act del 1978 (“FISA”), una legge federale degli Stati Uniti che stabilisce procedure per la sorveglianza fisica ed elettronica e la raccolta di “informazioni di intelligence” di agenti di potenze straniere sospettati di spionaggio o terrorismo. La legge ha creato anche la Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC) che ha il compito di supervisionare le richieste dei mandati di sorveglianza da parte delle forze dell’ordine federali e delle agenzie di intelligence (principalmente il Federal Bureau of Investigation e la National Security Agency) contro sospetti agenti segreti stranieri all’interno degli Stati Uniti.
John Demers aveva detto alla corte responsabile dell’emissione dei mandati FISA: “Il governo sostiene che le richieste (dei mandati di sorveglianza FISA, n.d.r.), lette alla luce di queste informazioni aggiuntive, contengano una previsione sufficiente perché la Corte possa rinvenire una causa probabile che l’obiettivo fosse un agente di una potenza straniera”.
Tuttavia il DOJ sapeva già all’epoca che il socio della campagna di Trump George Papadopoulos aveva ripetutamente negato qualsiasi collusione con la Russia nelle sue conversazioni nel 2016 con la fonte confidenziale dell’FBI Stefan Halper, rivelazioni però non trasmesse alla corte che doveva disporre le intercettazioni attraverso i mandati di sorveglianza FISA.
“Anche considerando le informazioni aggiuntive riguardanti le conversazioni di Papadopoulos con la fonte n. 2 [Halper] ed altri, e per quanto riguarda la fonte n. 1 [Steele], le domande contenevano una premessa sufficiente perché la Corte vi ritrovasse una causa probabile che Carter Page stesse agendo come agente del governo della Russia”, aveva detto Demers al tribunale FISA. “L’FBI ha rivisto questa lettera ed ha confermato l’accuratezza di fatti”.
Il rapporto dell’ispettore generale del DOJ Michael Horowitz del dicembre 2019 ha infine minato le affermazioni contenute nel falso Dossier Steele, ed ha criticato il DOJ e l’FBI per almeno 17 “errori ed omissioni significative” relativi ai mandati di sorveglianza FISA emessi contro Carter Page e per l’affidamento “centrale ed essenziale” del Bureau sul falso dossier di Steele.
Horowitz ha detto inoltre che gli interrogatori dell’FBI con Danchenko “hanno sollevato domande significative sull’affidabilità del dossier di Steele” ed hanno messo in dubbio alcune delle sue maggiori affermazioni. I documenti mostrano che l’FBI stessa aveva precedentemente indagato su Danchenko come una possibile “minaccia alla sicurezza nazionale” a causa di presunti collegamenti con l’intelligence russa.
Collyer ha bollato le azioni dell’FBI come “antitetiche rispetto agli elevati requisiti di onestà” che erano richiesti per verificare l’attendibilità del Dossier Steele.
In un altro caso, il “Draft Talking Points” dell’FBI per un briefing del Senate Intelligence Committee, datato febbraio 2018, include ulteriori difese a Steele e Danchenko.
Il Bureau aveva parlato delle interviste con Danchenko nel gennaio 2017, scrivendo che “ha avvisato che diversi rapporti sembravano essere derivati da più fonti, per includere le informazioni che ha fornito a Steele così come le informazioni che non aveva raccolto”, e che Danchenko “non ha citato alcuna preoccupazione significativa circa il modo in cui il suo rapporto è stato riportato nel dossier.”
Le note dell’FBI di un’intervista del gennaio 2017 con Danchenko hanno mostrato che egli aveva detto al Bureau che “non conosceva le origini“ di alcune delle affermazioni di Steele e che “non ricordava” altre informazioni che erano presenti nel dossier. Aveva notato come gran parte di ciò che aveva passato a Steele erano dei “passaparola” e dei “sentito dire” e che alcune informazioni provenivano da una “conversazione… con degli amici davanti a delle birre”, mentre le accuse più gravi potrebbero essere state fatte per “scherzo“.
Horowitz ha concluso che Danchenko “ha contraddetto le affermazioni di una ‘cospirazione ben sviluppata’” attorno al dossier di Steele.
Dai Draft Talking Points dell’FBI emerge che il Bureau ritenesse che Steele stesse facendo affidamento su una fonte principale nell’ottobre 2016, e sempre il Bureau aveva fornito una risposta su come i contatti con Danchenko avessero influenzato la fiducia dell’FBI nel dossier.
“Come minimo, le nostre discussioni con [Danchenko] confermano che il dossier non è stato fabbricato da Steele”, aveva scritto l’FBI. “Le nostre discussioni con [Danchenko] hanno confermato che egli opera all’interno di circoli accademici e governativi di alto livello, mantiene relazioni di fiducia con individui che sono in grado di riferire sul materiale che ha raccolto per Steele, e che Steele e [Danchenko] hanno utilizzato un ragionevolmente valido tradecraft di intelligence“.
L’FBI aveva anche affermato davanti ai senatori di aver “protetto con successo dalla divulgazione pubblica la stragrande maggioranza degli individui che hanno contribuito a riportare le fonti del Dossier Steele”. Ma le presunte fonti del dossier di Steele sono poi state in gran parte accusate di aver mentito, o hanno negato esse stesse di essere delle fonti, o hanno preso le distanze dal dossier.
Il senatore repubblicano Lindsey Graham, già capo della commissione giudiziaria del Senato all’epoca dei fatti, ha detto nell’agosto 2020 che il briefing del 2018 ha dimostrato che l’FBI aveva fuorviato il Senato su Danchenko ed il dossier di Steele.
Più tardi quel mese, il repubblicano della Carolina del Sud aveva rivelato come Bill Priestap, l’ex capo del controspionaggio dell’FBI, fosse il funzionario che sostiene abbia cercato di “imbiancare” il dossier al Senato nel 2018. Graham ha detto che stava girando le informazioni a Durham per indagare, definendolo “potenzialmente un altro crimine”.
Bill Priestap, il capo dell’indagine Crossfire Hurricane, aveva scritto alla CIA per descrivere Steele come “affidabile” mentre l’FBI spingeva per includere le affermazioni di Steele nella valutazione della Comunità di intelligence del 2017 sull’interferenza della Russia nelle elezioni del 2016.
Quasi tutti i firmatari dei mandati di sorveglianza FISA emessi contro Carter Page – il vice procuratore generale Sally Yates, il vice procuratore generale Rod Rosenstein, il direttore dell’FBI James Comey ed il vice direttore dell’FBI Andrew McCabe – hanno ora indicato sotto giuramento che non avrebbero firmato per richiedere dei mandati di sorveglianza se avessero saputo allora quello che sanno ora.
Perché il procuratore speciale John Durham ha citato in giudizio la Brookings Institution
Un think-tank di sinistra è stato il punto di partenza della bufala del Russiagate: molti membri chiave dello staff sono stati coinvolti negli sforzi per sostenere che Trump avesse cooperato con Putin per rubare le elezioni del 2016.The Federalist
17 novembre 2021
https://osservatorerepubblicano.com/202 ... stitution/Nell’aprile 2021, la Brookings Institution ha finalmente confermato pubblicamente che lo Special Counsel John Durham aveva richiesto di portare in giudizio i documenti del think-tank di sinistra con sede a Washington nel dicembre 2020. Gli amichevoli giornalisti della rivista Time hanno inquadrato il mandato di comparizione come limitato al rapporto decennale dell’ex staffer della Brookings, Igor Danchenko.
L’incriminazione di Danchenko della scorsa settimana, tuttavia, fornisce un perfetto promemoria sul fatto che la Brookings sia stata il “Ground Zero” per la bufala della collusione con la Russia, con molti membri chiave dello staff coinvolti nella dannosa bugia secondo Donald Trump abbai cooperato con Vladimir Putin per rubare le elezioni del 2016.
Giovedì scorso, Durham ha accusato Danchenko in un atto formale in cinque capi di aver mentito all’FBI durante l’interrogatorio degli agenti in relazione al suo ruolo di “Sub-Fonte primaria” di Christopher Steele per la compilazione del famoso dossier che ha permesso la sorveglianza elettronica dell’amministrazione Obama sulla campagna di Trump.
I dettagli nell’atto d’accusa di 39 pagine forniscono un’ulteriore prova che la squadra di Durham abbia costantemente sbrogliato la matassa dello Spygate, con il filo più recente che porta nel campo della Clinton – ed alla Brookings Institution, che è di sinistra.
Igor Danchenko
Danchenko ha parlato con il ‘PR Executive-1’?
Mentre l’atto d’accusa imputa a Danchenko di aver mentito all’FBI su Sergei Millian, che serviva come fonte secondaria per il dossier, è la presunta falsa affermazione di Danchenko di non aver mai comunicato con il “PR Executive-1” che si rivela più significativa ai fini di scoprire la verità dietro la bufala della cospirazione della Russia.
Poco dopo che l’atto d’accusa è stato reso pubblico, l’avvocato Ralph Martin ha confermato che il suo cliente, Charles Dolan Jr., sia il “PR Executive-1” rimasto fino ad ora senza nome. La rivelazione che Danchenko abbia usato Dolan come “sub-fonte” per il dossier è significativa a causa delle connessioni di lunga data tra Dolan con la famiglia Clinton ed il Partito Democratico americano – e perché nulla di quello contenuto nel dossier la cui fonte sembra essere Dolan sembra essere vero, compresa una dichiarazione nel dossier che Dolan ha completamente inventato.
Così, grazie alla messa in stato d’accusa di Danchenko, il pubblico ora sa che un amico dei Clinton, nella persona di Charles Dolan Jr., ha fornito a Danchenko informazioni false, che Danchenko ha poi presentato a Christopher Steele come informazioni veritiere. Steele ha poi travasato le affermazioni di Danchenko nel dossier finanziato dalla campagna della Clinton che l’ex agente del MI6 ha poi fornito all’FBI.
La discussione dell’atto d’accusa sulla relazione tra Dolan e Danchenko ha rivelato un altro dettaglio che, anche se non è importante ai fini dei crimini contestati, si rivela significativo per comprendere l’interrelazione dei molti attori che hanno spinto la bufala della collusione con la Russia – cioè, come Danchenko e Dolan si sono incontrati.
Christopher Steele
A proposito di ‘relazioni incestuose’ a Washington…
Secondo l’atto d’accusa, nel febbraio 2016 una dipendente della Brookings Institution, Fiona Hill, presenta Danchenko a Dolan. Danchenko conosceva la Hill, poiché aveva anche lavorato per il think–tank come analista della Russia dal 2005 al 2010 circa. Durante quel periodo, come il rapporto dell’ispettore generale sull’abuso dei mandati di sorveglianza FISA avrebbe rivelato in seguito, Danchenko era già sotto inchiesta per essere un potenziale agente russo.
Significativamente, la Hill ha anche presentato Danchenko a Steele, un suo amico di lunga data, nel 2010 circa. In seguito alla presentazione di Danchenko a Steele da parte della Hill, la società Orbis di Steele ha assunto Danchenko come appaltatore per vari lavori, e alla fine Danchenko è diventato il “Primary Sub-source“, la fonte primaria, del falso dossier di Steele.
La Hill ha anche parlato con Steele riguardo al suo lavoro sul dossier, incontrandosi con lui nell’ottobre 2016 quando ancora lavorava per la Brookings Institution. La Hill ha continuato a parlare con Steele anche nel 2017, dopo aver lasciato la Brookings Institution ed accettato una posizione nell’amministrazione Trump attraverso il National Security Council.
La Hill non era l’unica dipendente della Brookings collegata alla bufala della collusione con la Russia. Come Chuck Ross ha spiegato per The Daily Caller più di un anno fa, la testimonianza di Steele nella causa di diffamazione presentata contro di lui nel Regno Unito da Aleksej Gubarev, un dirigente russo di tecnologia, ha stabilito che il presidente della Brookings Institution all’epoca, Strobe Talbott, ha chiamato Steele “dal nulla nell’agosto 2016”, chiedendogli circa il suo progetto contro Trump.
Come per Dolan, le credenziali di quest’ultimo amico della Clinton sono impressionanti: ha servito come vice segretario di stato sotto il presidente Bill Clinton e nel comitato consultivo degli affari esteri del Dipartimento di Stato al tempo in cui Hillary Clinton era Segretario di Stato.
Il principale amico della Clinton alla Brookings Institution avrebbe parlato ancora con Steele. L’avvocato principale nella causa di diffamazione contro Steele ha dichiarato che Steele “ha telefonato al signor Talbott il 2 o 3 novembre 2016, e il signor Talbott ha chiesto copie dei memorandum da discutere con John Kerry ed altri funzionari del Dipartimento di Stato”. Fusion GPS ha poi fornito una copia del dossier a Talbott.
Il complotto accelera dopo le elezioni del 2016
Poi, dopo la sconfitta a sorpresa di Hillary Clinton per mano di Donald Trump nel 2016, sempre secondo l’avvocato di Steele, Steele ha scritto all’allora presidente della Brookings il 12 novembre 2016 a proposito del dossier: “Caro Strobe, so che questo non è semplice, ma abbiamo bisogno di discutere il pacchetto che ti abbiamo consegnato l’altra settimana, e prima è meglio è. Cosa ne pensi, cosa ne hai fatto, come noi (entrambi) dovremmo gestirlo e le questioni che evidenzia andando avanti, ecc.”
Talbott ha poi fornito a Fiona Hill, che era allora al Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione Trump, una copia del dossier, un giorno prima che BuzzFeed lo pubblicasse.
La testimonianza di Steele nel caso di diffamazione nel Regno Unito ha rivelato ulteriori connessioni con la Brookings Institution, con Steele che sostiene che Susan Rice, che era il consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama all’epoca, o Victoria Nuland, assistente segretario di stato di Obama, avevano informato Talbott sul lavoro che Steele stava facendo. Nella sua testimonianza, Steele ha notato che Rice e Nuland erano state colleghe di Talbott alla Brookings.
Steele ha sottolineato che Talbott era rimasto fuori dal governo per 15 anni. Poi Steele ha ribadito la sua affermazione: “Era un esperto della Russia”, riferendosi a Talbott, “È stato consultato, credo, sia dalla consigliera per la sicurezza nazionale Rice che dall’assistente segretario Nuland, entrambi i quali hanno lavorato con lui alla Brookings Institution” prima di entrare nell’amministrazione Obama. Steele ha inoltre testimoniato di aver appreso che Talbott avesse parlato sia con la Nuland che con un altro segretario di stato di Obama, John Kerry.
Una portavoce della Rice ha poi detto al The Daily Caller che era “assolutamente e completamente falso” che la Rice avesse parlato con Talbott riguardo all’indagine di Steele. Al contrario, la Nuland, che ha servito come capo dello staff di Talbott quando quest’ultimo era vice segretario di stato nell’amministrazione di Bill Clinton, ha rifiutato la richiesta di commento del The Daily Caller.
Strobe Talbott
Le connessioni della Nuland con Brookings ed il dossier Steele.
Mentre la relazione della Nuland con Talbott e la Brookings risalivano almeno agli anni ’90, durante l’amministrazione Clinton, sono rimaste attive anche nel 2016 ed oltre. Appena due anni prima che il dossier di Steele entrasse in scena, la Nuland e suo marito, Robert Kagan, che serviva come senior fellow alla Brookings, venivano descritti come “l’ultima coppia del potere americano“. Dopo l’elezione di Trump, l Nuland si è unita alla Brookings come non-resident scholar, anche se ora è tornata a lavorare ufficialmente per i Democratici come diplomatico “numero tre” dell’amministrazione Biden.
Ma già nel 2016, la Nuland lavorava per l’amministrazione Obama come assistente del Segretario di Stato. In quel ruolo, avrebbe approvato un incontro del 5 luglio 2016 tra Steele ed un agente dell’FBI. La Nuland avrebbe poi testimoniato di aver visto per la prima volta degli estratti del dossier a metà luglio del 2016.
Steele ha anche testimoniato di aver appreso come l’FBI ed il Dipartimento di Stato abbiano discusso le informazioni “fin dall’inizio”, e che prima di incontrare l’FBI a Londra, all’inizio di luglio, l’agente abbia dovuto “chiarire le sue linee con Victoria Nuland”.
Il coinvolgimento della Nuland è stato poi confermato da Jonathan Winer, un altro funzionario di alto livello del Dipartimento di Stato. Winer ha affermato di aver incontrato Steele nel settembre 2016 e di aver esaminato una copia del dossier, dopo di che ha preparato un riassunto di due pagine sulle “informazioni” di Steele e lo ha condiviso con la Nuland. La Nuland “ha indicato che sentiva che [il Segretario di Stato John Kerry] aveva bisogno di essere messo a conoscenza di questo materiale“, secondo un articolo che Winer ha scritto per il Washington Post dopo che sono emersi i dettagli del suo ruolo nello Spygate.
Il coinvolgimento di Winer non era limitato solo al dossier Steele, come si vedrà tra poco. Tornando prima alla connessione con il presidente della Brookings, Strobe Talbott, con i protagonisti. Mentre l’impegno di Talbott con Steele è ben documentato, una dichiarazione fatta da un avvocato nel corso della causa di diffamazione contro Steele solleva ulteriori questioni riguardanti le comunicazioni del presidente della Brookings con Sir Andrew Wood. Nel corso di quel caso, l’avvocato per la diffamazione ha affermato che Wood avrebbe “telefonato al signor Talbott il 2 o il 3 novembre”.
Mentre non è chiaro quali siano state le comunicazioni tra Talbott e Wood, la squadra di Durham ha sostenuto nell’atto d’accusa che il conoscente di Talbott, amico della Clinton, Charles Dolan Jr., ha notato in una e-mail che è “anche in contatto con l’ex ambasciatore britannico che conosce [Steele]”, un apparente riferimento a Sir Andrew Wood.
Victoria Nuland
Sir Andrew Wood si collega a John McCain e a James Comey
Sir Andrew Wood si rivela significativo per la storia, perché in seguito ha incontrato l’ormai defunto senatore John McCain e il suo assistente al McCain Institute, David Kramer, mentre i tre erano all’Halifax International Security Forum. Kramer ha testimoniato che, mentre erano lì, Wood li ha avesse informati entrambi del lavoro di Steele. Kramer poi volò a Londra per incontrare Steele e rivedere il dossier.
Il giorno seguente, dopo il ritorno di Kramer negli Stati Uniti, Fusion GPS ha fornito una copia del dossier di Steele al senatore John McCain. McCain l’ha poi passato all’allora direttore dell’FBI James Comey. McCain aveva anche chiesto a Kramer di informare Celeste Wallander e la Nuland. (Kramer, apparentemente di sua iniziativa, ha anche fornito una copia del dossier a diversi media).
Il briefing di Kramer sulla Nuland la collega nuovamente al dossier. Ma la Nuland non era l’unica della due connessa alla Brookings Institution: Nel corso della sua lunga carriera a Washington, Celeste Wallander aveva precedentemente servito come membro della delegazione congiunta Brookings Institution–Center for Strategic and International Studies sull’HIV/AIDS in Russia.
John McCain
Benjamin Wittes della Brookings Institution
Ancora più collegato alla Brookings era Benjamin Wittes, un senior fellow della Brookings. Wittes ha anch’egli fornito una copia del dossier a Comey, scrivendo in una e-mail: “Sto scrivendo perché un documento molto strano è passato dalla mia scrivania che può – o non può – avere implicazioni per le indagini che state conducendo”.
Benjamin Wittes, che aveva co-fondato la Lawfare che collabora con la Brookings Institution, ha poi trascorso i successivi anni, insieme ai suoi colleghi alla Lawfare, spingendo la bufala della collusione russa, facendo danni irreparabili agli Stati Uniti.
Anche dopo che l’accusa a Michael Sussman ha rivelato che la cospirazione Alfa Bank-Trump era stata ordita dalla campagna della Clinton e poi venduta all’avvocato generale dell’FBI James Baker, Wittes è rimasto impassibile nella sua difesa della notizia, definendo la storia “squallida”, ma “abbastanza tipica negli sforzi nella ricerca di qualcosa da opporre nelle campagne elettorali con una posta in gioco alta”.
La connessione Clinton-Brookings alla bufala della collusione con la Russia ha raggiunto anche il consigliere sulla politica estera di Hillary Clinton, Jake Sullivan. La settimana scorsa, Fox News ha riferito che Sullivan, che ora serve come consigliere per la sicurezza nazionale per Joe Biden, è stato identificato come l’innominato “consigliere per la politica estera” di Hillary Clinton nell’atto d’accusa del procuratore speciale Durham contro Sussmann.
L’atto d’accusa di Sussmann imputa all’avvocato dello studio legale Perkins Coie Jake Sullivan di aver mentito all’avvocato generale dell’FBI James Baker. Sussmann aveva informato il consigliere sulla politica estera della Clinton riguardo la storia della Banca Alfa, una banca russa con forti legami al Cremlino. Poco dopo, Sullivan iniziò a spingere quella falsa storia su tutta la stampa. Mentre Sullivan aiutava la campagna della Clinton, serviva anche come membro della “Order from Chaos Task Force” della Brookings Institution.
A partire dall’estate 2015 e fino a dicembre 2016, Sullivan ed altri membri di quella task force si sono incontrati in sette sessioni per condurre “un’immersione profonda nella politica estera degli Stati Uniti”, ha spiegato il presidente della Brookings, Talbott, nel rapporto finale pubblicato nel febbraio 2017. Tra gli altri, Talbott ha notato l’apprezzamento della task force per il tempo e gli sforzi di Fiona Hill.
Benjamin Wittes e James Comey
Brookings, Brookings, ovunque
Un’altra connessione con la Brookings precede la stesura del dossier di Steele, con la produzione, circa nell’aprile 2016, del “dossier Cody Shearer“, che rispecchiava in qualche modo alcune anticipazioni poi confluite nel successivo dossier di Steele. Cody Shearer era il cognato del presidente della Brookings Institution e diede il suo rapporto a Steele, che poi lo incluse nel suo dossier. Più tardi, lo stretto amico e faccendiere di Clinton, Sidney Blumenthal, fornì a Winer anche una copia del rapporto Shearer.
L’evento della Brookings Institution del 17 ottobre 2016 rivela un’altra interessante connessione tra il think tank liberal e David Korn. Korn, un reporter di Mother Jones, ha fatto parte di un panel presso il think tank di Washington nello stesso periodo in cui Steele gli aveva parlato del dossier. Korn avrebbe poi pubblicato una storia sul dossier il 31 ottobre 2016, mentre dava a James Baker, allora avvocato generale dell’FBI, una copia del dossier.
James Baker è lo stesso funzionario governativo preso di mira da Sussman, l’avvocato dello studio Perkins Coie, incriminato da Durham poco più di un mese fa, per aver presumibilmente mentito sul fatto che i suoi white-papers e le informazioni su Alfa Bank provenissero dal suo lavoro con un cliente. Da allora, Baker si è ufficialmente unito ai ranghi sia di Brookings che della sua affiliata, il Lawfare Institute, trasferendosi lì dall’FBI nel maggio del 2018.
Hillary Clinton
… e molto di più è probabile che arrivi.
Queste molte connessioni tra la campagna della Clinton ed il think-tank Brookings, e forse anche di più, saranno probabilmente ulteriormente esposte man mano che l’indagine dello special counsel Durham continuerà. Il miglior indizio di questo viene dal fatto che la Brookings stessa ha dato ai giornalisti amici del New York Times la notizia che Durham aveva citato in giudizio il think-tank.
Senza l’annuncio della Brookings, che riconosce l’esistenza del mandato di comparizione, la mossa di Durham per ottenere i documenti dall’organizzazione sarebbe sconosciuta al pubblico. Ma rivelando l’esistenza del mandato di comparizione, Brookings è riuscita ad inquadrare l’interesse di Durham nei documenti detenuti dal think tank come “limitato al lavoro di Danchenko”.
“Il signor Durham ha ottenuto documenti dalla Brookings Institution relativi ad Igor Danchenko, un ricercatore russo che ha lavorato lì un decennio fa”, ha riferito il New York Times ad aprile. Lo stesso articolo ha ribadito il punto, sostenendo che “Durham ha ottenuto vecchi file personali ed altri documenti relativi al signor Danchenko dalla Brookings Institution, un importante think tank di Washington, attraverso un mandato di comparizione”. “Danchenko aveva lavorato lì dal 2005 al 2010”, ha spiegato l’articolo, presentando la connessione con la Brookings come antiquata.
L’avvocato generale della Brookings, Michael Cavadel, “ha confermato il mandato di comparizione per documenti ed altri materiali sul signor Danchenko”, dicendo che nessuno dei documenti richiesti “conteneva informazioni associate ai rapporti noti come il dossier di Steele”.
Ma questo non significa che il mandato di comparizione di Durham sia limitato alle informazioni su Danchenko. Qui è importante ricordare che un gran giurì può emettere un mandato di comparizione per cercare informazioni rilevanti – il destinatario non deve essere accusato, o sospettato, di un crimine.
Date le vaste relazioni tra i vari impiegati governativi che hanno spinto la bufala della collusione con la Russia, i compari della Clinton e gli individui collegati alla Brookings Institution, sarebbe scioccante se Durham non citasse in giudizio la Brookings, cercando tutte le informazioni relative ai vari attori ed alle indagini sulla collusione russa, comprese le comunicazioni tra i vari attori della campagna della Clinton, di Brookings, del team dell’FBI Crossfire Hurricane e le squadre investigative dell’ex procuratore speciale Robert Mueller.
Cavadel, l’avvocato generale della Brookings, non ha risposto a una richiesta di commento di The Federalist. Ma se Durham continuerà a parlare attraverso le sue incriminazioni, nessun commento potrebbe essere necessario.
Questo non era un trumpiano.Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesiOrlando Sacchelli
17 Novembre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/mondo/as ... 1637174383Jacob Chansley, noto come lo "sciamano" dei cospirazionisti di QAnon, diventato il simbolo dell'assalto al Congresso del 6 gennaio da parte dei sostenitori di Trump, è stato condannato a tre anni e 5 mesi di prigione
Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesi
Ricordate l'uomo con il volto truccato e in testa un copricapo da vichingo che, insieme a molte altre persone, fece irruzione al Congresso degli Stati Uniti il 6 gennaio di quest'anno? Jacob Chansley, noto come lo "sciamano", è stato condannato a 3 anni e cinque mesi di carcere per l'assalto al Campidoglio. Tenuto conto del fatto che non era accusato di aggressione la condanna che gli è stata inflitta può essere considerata molto pesante, anche se è inferiore ai 51 mesi richiesti dai procuratori federali, che volevano una sentenza esemplare perché lo "sciamano" era diventato l'emblema dell'assalto alla democrazia americana.
Ma torniamo al 6 gennaio di inizio anno. Non appena le foto e i video dell'assalto iniziarono a girare, con il volto truccato e il bizzarro copricapo da vichingo Chansley divenne il simbolo di quella clamorosa protesta che, ricordiamo, vide i sostenitori di Donald Trump contestare a gran voce la ratifica della vittoria di Biden alla presidenziali di Novembre 2020. Dopo essersi seduto alla scrivania di Mike Pence aveva lasciato un messaggio: "È solo questione di tempo, la giustizia sta arrivando".
Originario dell’Arizona e vicino al movimento cospirazionista QAnon, a febbraio Chansley aveva iniziato lo sciopero della fame protestando perché in carcere non era previsto un menù vegano. A marzo, invece, aveva rilasciato un’intervista che aveva adirato non poco il giudice distrettuale Royce Lamberth. A settembre, infine, si era dichiarato colpevole di un solo capo d’accusa, ostacolo a procedimenti ufficiali, per aver preso parte all’assalto.
La condanna di oggi è la più dura inflitta ad un partecipante alla rivolta, insieme a quella (sempre di 41 mesi) decisa la scorsa settimana per Scott Fairlamn, un ex lottatore Mma che ha ammesso di aver aggredito un agente di polizia. Il terzo rivoltoso finora arrivato a sentenza, Paul Hodginks, ha subito una condanna ad otto mesi.