USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

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Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:31 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:31 am

3)
Calunnie, diffamazioni, maldicenze e persecuzioni contro Trump, i repubblicani trumpiani e i loro sostenitori/elettori



TRUMP E IL CONTO CON LA GIUSTIZIA DA SALDARE A NEW YORK. DOCUMENTI GIUDIZIARI E INTERVISTE INDICANO CHE IL PROCURATORE DISTRETTUALE DI MANHATTAN STA ACCUMULANDO PROVE DI UNA FRODE FISCALE DI IMMENSE PROPORZIONI.
Mark L. Pisoni
9 ottobre 2021

https://www.facebook.com/groups/2521384 ... 2996405199

Un paio di settimane da, tre mesi dopo la loro prima apparizione in un’aula di un tribunale per il caso noto come "The People of the State of New York contro The Trump Corporation, et al.” gli avvocati degli imputati hanno percorso il corridoio all'undicesimo piano del Manhattan Criminal Courts Building, pronti ad affrontare il giudice. Il lungo corridoio, logorato dal tempo, non era affollato; si erano riuniti molti meno giornalisti che durante l'udienza iniziale, a luglio, quando i procuratori hanno svelato quindici capi di imputazione, tra cui frode fiscale e furto aggravato, contro la società di Donald Trump e il suo direttore finanziario, Allen Weisselberg.
Ma i procuratori hanno emesso nuovi mandati di comparizione e stanno continuando ad usare gli ampi poteri propri di un gran giurì a New York per aggiungere eventualmente nuove accuse e nuovi imputati al caso. Non è chiaro chi siano questi imputati o quali siano le accuse. Durante l'apparizione in tribunale di lunedì scorso, uno degli avvocati di Weisselberg, Bryan Skarlatos, ha detto: "Abbiamo forti motivi per credere che potrebbero esserci altri capi d'imputazione in arrivo". Ha espresso la preoccupazione che Weisselberg possa diventare "un danno collaterale come parte di una lotta più grande tra la Trump Organization e l'ufficio del procuratore distrettuale".
Anche se non venissero presentate ulteriori accuse, l'azienda dell'ex presidente affronta una potenziale resa dei conti. I documenti di accusa e le interviste con ex procuratori e avvocati indicano che il procuratore distrettuale sta accumulando prove di una massiccia frode fiscale pervasiva. Il caso va al cuore di ciò che ha fatto - e fa ancora - Trump.
Il procuratore generale dello Stato di New York, Letitia James, e il procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, Jr. hanno consolidato le loro indagini penali su Trump. All'udienza preliminare, a luglio, sedevano in prima fila mentre il consigliere generale del procuratore, Carey Dunne, sosteneva "uno schema di frode fiscale durato quindici anni, con pagamenti in nero", che era "orchestrato dai dirigenti più anziani, che beneficiavano finanziariamente sé stessi e la società ottenendo aumenti di stipendio segreti a spese dei contribuenti statali e federali". Questi crimini, accusano i procuratori, sono continuati per tutta la durata della presidenza di Donald Trump; nello stesso tempo in cui Trump guidava il governo degli Stati Uniti, i dirigenti della sua azienda stavano rubando da esso.
Le agenzie governative federali e statali hanno ripetutamente multato le imprese di Trump per aver eluso la legge. Il casinò Trump Taj Mahal, ad Atlantic City, è stato colpito due volte dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, nel 1998 e nel 2015, con quelle che all’epoca furono le sanzioni più alte mai comminate per aver violato i controlli sul riciclaggio di denaro. Nel 2000, Trump è stato multato per una cifra record dalla commissione di lobbying dello Stato di New York a seguito di un'indagine sugli sforzi impropri per influenzare i funzionari statali. Lui o le sue entità eponime hanno risolto controversie con il Dipartimento di Giustizia, la Federal Trade Commission e l'ufficio del procuratore generale di New York, in alcuni casi per milioni di dollari. Trump è stato implicato (ma non nominato o accusato) nel processo federale che ha mandato il suo ex avvocato e vicepresidente esecutivo della Trump Organization, Michael Cohen, in prigione, per, tra le altre cose, aver violato le leggi sulle campagne finanziarie per conto di Trump, effettuando pagamenti con soldi nascosti, nel 2016, a donne che hanno detto di aver avuto relazioni con lui.
Trump è stato ripetutamente accusato di frode da partner d'affari, soci e clienti, e ha fatto causa a migliaia di cause civili durante il suo mezzo secolo di carriera. Al momento, è stato citato in giudizio da sua nipote Mary, per frode; dall'ex concorrente di "Apprentice" Summer Zervos e dall'editorialista della rivista E. Jean Carroll, per diffamazione in seguito a presunti atti di cattiva condotta sessuale; e da ufficiali della polizia del Campidoglio e, separatamente, da membri del Congresso, per incitamento alla rivolta e per violazione dei loro diritti civili, derivanti dall'assalto del Campidoglio da parte dei suoi sostenitori, il 6 gennaio. La sua azienda è sotto un'indagine civile separata da parte di James, per violazioni della legge statale. Venerdì, un giudice ha reso pubblica un'ordinanza dell'inizio di questo mese che obbliga diverse aziende di Trump a consegnare una serie di documenti entro la metà di ottobre, compresi quelli gestiti da Trump e dai suoi figli Donald Jr, Eric e Ivanka. In ognuno di questi casi, Trump, la sua famiglia e le sue entità hanno negato qualsiasi atto illecito.
Eppure, in quasi cinquant'anni di affari e politica, né Donald Trump né la sua famiglia né le sue imprese sono mai stati accusati di un reato, un atto criminale. Questo è cambiato nel caso n. 1473-21: Il popolo dello Stato di New York contro la Trump Corporation.
Le persone che hanno familiarità con le battaglie legali di Trump hanno anche notato un elemento dell'accusa: Weisselberg viene descritto come la persona che aggiornava qualcosa chiamato il "Donald J. Trump's Detail General Ledger". Se fosse vero, l'accusa significherebbe che, oltre a Weisselberg e i contabili di Trump che tengono una serie di registri che dettagliano le finanze della società, c'era un altro libro mastro, uno specificamente tenuto, il nome implica, per Donald J. Trump. "Sono caduto letteralmente dalla sedia quando l'ho visto", ha detto Tristan Snell, un ex assistente procuratore generale di New York, che ha indagato sulle denunce di frode contro la Trump University che hanno portato ad una transazione per venticinque milioni di dollari. "Se c'era un libro mastro per lui, fa saltare l'idea che Trump non ne sapesse nulla - significa che c'era una serie di numeri preparati per Donald Trump". La divulgazione pubblica dell'esistenza del libro mastro separato è un segnale dei procuratori all'ex presidente: "Abbiamo il tuo libro mastro".
Prima di leggere l'atto d'accusa, ho passato anni a cercare di capire il funzionamento interno della Trump Organization, una piccola società privata con una lunga pratica di evitare la divulgazione. Avevo supposto, come molti altri, che Trump fosse sempre riuscito ad evitare la responsabilità in parte perché non scriveva le cose. Ma l'atto d'accusa suggerisce il contrario. Se Weisselberg e l'azienda di Trump perdessero la causa, potrebbe essere perché il desiderio di Trump di non scrivere le cose è stato superato dal suo desiderio di assicurarsi che non stesse pagando il suo più fedele e longevo assistente più di quanto avessero concordato.
Estratto da un articolo di Andrea Bernstein sul New Yorker



Come con Dell'Utri

Sentenza Dell'Utri: assolti gli imputati principali della trattativa stato mafia
Giovanni Bianconi
23 settembre 2021

https://www.corriere.it/cronache/21_set ... P6wUZcY3VU

Cadono le accuse per gli ufficiali dei carabinieri Mori, Subranni e De Donno e anche per Marcello Dell’Utri. Quanto ai boss, prescrizione per Brusca, pena ridotta a Bagarella, condanna confermata per Cinà

Assolti gli ex carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e assolto l’ex senatore Dell’Utri: la trattativa non fu un reato. Prescritta la minaccia al governo Berlusconi nel 1994 da parte del boss Leoluca Bagarella, condannato a 27 anni di carcere per il ricatto contro il governo precedente, in carica tra il 1992 e il 1993. La sentenza d’appello ha ribaltato così il giudizio di primo grado che aveva bollato come reato il comportamento degli uomini delle istituzioni entrati in contatto con i rappresentanti della mafia al tempo delle stragi. Il clamoroso verdetto della corte d’assise d’appello di Palermo ha quindi cancellato ciò che in dieci anni la procura e la corte di primo grado avevano costruito con l’indagine e il processo sulla presunta trattativa.

Ribaltata la sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado, pronunciata dalla corte d’assise il 20 aprile 2018, aveva stabilito che la minaccia allo Stato avanzata da Cosa nostra con le stragi del 1992 e del 1993 – un vero e proprio ricatt o: o si allenta la pressione antimafia o gli attentati proseguiranno – era stata «veicolata» da uomini delle istituzioni che in questo modo rafforzarono e resero più concrete le pretese dei boss: da un lato i carabinieri del Ros, gli ex generali Antonio Subranni e Mario Mori, e l’ex colonnello Giuseppe De Donno; dall’altro l’ex senatore Marcello Dell’Utri, che dall’inizio del ’94 avrebbe veicolato il messaggio mafioso al nuovo governo guidato da Silvio Berlusconi. Il quale, chiamato a deporre dai difensori di Dell’Utri, si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto indagato nel procedimento connesso sui mandanti occulti delle stragi del 1993.

Tutti condannati: Mori e Subranni a dodici anni di carcere come dell’Utri, De Donno a otto, insieme al boss Leoluca Bagarella (28 anni) e al medico legato a Cosa nostra Antonino Cinà (12 anni). La trattativa Stato-mafia era condensata in queste condanne, scaturite per un verso dagli incontri tra i carabinieri e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino nell’estate del 1992, e per l’altro dai collegamenti tra Dell’Utri e la mafia, con il boss Vittorio Mangano e non solo, che hanno contribuito anche alla condanna definitiva dell’ex senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. Tra gli imputati c’era pure un altro politico, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, ulteriore presunto tramite del ricatto; anzi il promotore della trattativa, secondo l’accusa, nel timore di essere una vittima designata delle cosche. Lui però ha scelto di farsi giudicare con il rito abbreviato, ed è stato assolto «per non aver commesso il fatto» in tutti i gradi di giudizio.

L’assoluzione di Mannino

Tra la sentenza di primo grado e quella di oggi l’assoluzione di Mannino è diventata definitiva, e l’ultimo verdetto è stato abbastanza categorico nel contraddire la ricostruzione formulata dai pubblici ministeri; sia quelli della Procura, in primo grado, che quelli della Procura generale, in corte d’appello. Una sentenza che s’è posta in contrasto anche con la decisione della corte d’assise che in primo grado aveva condannato gli altri imputati.

Per la corte d’assise che ha dichiarato colpevoli i vertici del Ros, la proposta di «trattativa» dei carabinieri a Ciancimino ebbe l’effetto di «far sorgere o quantomeno consolidare il proposito criminoso risoltosi nella minaccia formulata nei confronti del governo della Repubblica sotto forma di richieste di benefici, al cui ottenimento i mafiosi condizionavano la cessazione delle stragi».

Per i giudici che hanno assolto Mannino, invece, l’iniziativa del Ros fu nient’altro che «un’operazione info-investigativa di polizia giudiziaria, realizzata attraverso la promessa di benefici personali al Ciancimino di assicurare, ove possibile, le richieste nell’esclusivo interesse di Ciancimino stesso; tale operazione si proponeva, mediante la sollecitazione a un’attività di infiltrazione in Cosa nostra del predetto Ciancimino, che ne avrebbe dovuto contattare i capi, il fine della cattura di Totò Riina, interrompendo così la stagione delle stragi».

Fu un ricatto allo Stato?

Due ricostruzioni e due valutazioni opposte, che racchiudono il nodo della presunta trattativa tra i boss e alcuni rappresentanti delle istituzioni al tempo delle stragi: ne scaturì un reato, agevolando il ricatto mafioso allo Stato, oppure no? È lo stesso nodo che ha dovuto affrontare la corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Angelo Pellino, seduto accanto al giudice a latere Vittorio Anania e ai sei componenti della giuria popolare.
L’assoluzione definitiva di Mannino è una delle novità intervenute durante lo svolgimento del processo d’appello. Insieme a nuove testimonianze come quelle proposte sia dall’accusa (ulteriori pentiti su presunti aspetti misteriosi delle stragi e dei contatti tra mafia e istituzioni) che dalla difesa (ad esempio la testimonianza dell’ex pm di Mani pulite Antonio Di Pietro, che ha raccontato i suoi dialoghi con Paolo Borsellino tra le stragi di Capaci e via D’Amelio, e l’interesse del magistrato assassinato per le inchieste sulla corruzione e gli appalti intrecciate con quelli milanesi).

Due anni di dibattimento

Due anni e mezzo di dibattimento in appello hanno prodotto la nuova sentenza. Pronunciata secondo i principi che il presidente Pellino aveva specificato nell’aprile 2019, alla prima udienza. Per replicare a chi si lamentava che quello sulla trattativa Stato-mafia è stato un processo alla storia anziché a singoli imputati accusati di specifici reati, il presidente chiarì: «Può accadere che in un processo che riguarda fatti molto eclatanti la riscrittura di un pezzo di storia di un Paese sia un effetto inevitabile dei temi trattati e del lavoro delle parti processuali che hanno concorso a scavare nei fatti; ma lo scopo del processo d’appello è verificare la tenuta della decisione di primo grado sotto la lente d’ingrandimento dei motivi d’appello. Gli imputati non sono archetipi socio-criminologici, bensì persone in carne e ossa che saranno giudicate per ciò che hanno o non hanno fatto, se si tratta di reati. Questo è l’impegno della corte, e mi sento di rassicurare le parti».

La sentenza di oggi è figlia di quell’impegno, e le motivazioni spiegheranno come ci si è arrivati.



Russiagate, arrestato l’analista coautore del falso dossier anti Trump finanziato dai Dem
Secolo d'Italia
4 novembre 2021

https://www.secoloditalia.it/2021/11/ru ... o-dai-dem/

Nuovo colpo di scena nel Russiagate. L’analista russo Igor Danchenko che collaborò con Christopher Steele, l’ex-agente dell’intelligence britannica autore di un dossier contro Donald Trump, infarcito di illazioni e asserzioni non dimostrate sui suoi legami con Mosca, è stato arrestato.
L’arresto, rivela il New York Times, è avvenuto nell’ambito dell’indagine condotta dal procuratore speciale Johns Durham sull’origine del cosiddetto Russiagate.
Il ‘Dossier Steele, come emerso all’epoca, era stato finanziato dal Partito democratico Usa per infangare Trump e azzopparlo politicamente.
Durham venne nominato dall’allora Amministrazione Trump per indagare su possibili negligenze nella precedente indagine sui presunti legami tra l’ex-presidente e la Russia.
L’indiscrezione del New York Times riguardo all’arresto di Danchenko non è ancora stata confermata ufficialmente e l’ufficio del procuratore speciale Durham non ha voluto rilasciare commenti al riguardo.
Alcune delle accuse contenute nel Dossier Steele vennero utilizzate dall’Fbi a sostegno della richiesta di intercettazioni nei confronti di uno dei consulenti della campagna presidenziale di Trump nell’ottobre 2016.
Altre accuse contenute nel dossier, in particolare di natura sessuale nei confronti dell’ex-presidente Trump, vennero invece fatte trapelare alla stampa, scatenando una tempesta mediatica e politica nel gennaio del 2017, proprio in coincidenza con l’insediamento del nuovo presidente.



Questa vicenda raccontata da Giulio Meotti nella sua sempre interessantissima newsletter voglio farvela conoscere per intero perché vi rendiate conto di quanta spazzatura vi sia da buttare nella pattumiera della politica e del giornalismo internazionali.
Emanuel Segre Amar
10 novembre 2021

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 6996464052

È stata la madre delle notizie per 3 anni. Ora si scopre che dietro c'erano falsi dossier dei Clinton e media-scendiletto del Partito Democratico. Rivelazioni talmente grosse da dover essere ignorate
Per la maggior parte del tempo in cui Donald Trump ha occupato la Casa Bianca, la sua presidenza è stata definita letteralmente dal complotto secondo cui lui e la sua squadra della campagna elettorale avevano lavorato con la Russia per vincere le elezioni. Tutti gli organi di stampa - New York Times, Washington Post, CNN, MSNBC e il resto del mondo (in Italia praticamente tutti) – hanno sostenuto e diffuso questa tesi.
Un dossier prodotto dall'ex spia britannica Christopher Steele avrebbe fornito le “prove” di una cospirazione tra la campagna di Trump e il Cremlino, oltre a dirci che l’ex presidente americano si intratteneva con delle prostitute in un hotel di Mosca. Questo dossier ha innescato un'indagine dell'FBI sulla campagna di Trump che ha a sua volta ha portato a un'inchiesta da parte del consigliere speciale Robert Mueller.
Storia nota.
Racconta il Wall Street Journal che ora si scopre che il consigliere speciale John Durham, nominato dall'ex procuratore generale degli Stati Uniti William Barr per indagare sulle origini dell'indagine dell'FBI, ha iniziato a emettere accuse che stanno facendo implodere l'intera storia. Durante le elezioni presidenziali del 2016, Steele è stato assunto dalla società Fusion GPS per trovare fango su Trump. Fusion GPS lavorava con lo studio legale Perkins Coie con sede a Washington per conto del Comitato nazionale democratico.
La scorsa settimana Igor Danchenko, un cittadino russo che ha lavorato al think tank democratico Brookings Institution di Washington, è stato arrestato e accusato di aver mentito all'FBI. Danchenko, che aveva legami con alti funzionari russi, era la fonte principale del dossier di Steele le cui affermazioni si sono rivelate un falso. Il russo lavorava con Charles Dolan, un dirigente delle pubbliche relazioni del Partito Democratico e legato a Hillary Clinton.
Si scopre che Dolan è dietro a molte delle affermazioni su Trump che Danchenko ha dato a Steele. Anche un avvocato di Perkins Coie, Michael Sussman, è stato incriminato. Quindi, se c'era davvero un complotto russo, non implicava un tentativo di Trump di distruggere Clinton, ma di Clinton di distruggere Trump. John Ratcliffe, l'ex direttore dell'intelligence nazionale, afferma di non aver trovato collusione tra la campagna di Trump e la Russia, ma di aver visto nei documenti dell'intelligence "una collusione che coinvolgeva la campagna di Clinton e i russi per creare un dossier".
Il Washington Post ha ammesso che le rivelazioni sono una pessima notizia per i media che per tre anni hanno aperto le prime pagine sul Russiagate.
Gleen Greenwald, che è un giornalista di sinistra vecchio stile un po’ anarchico, ieri ha scritto: “La campagna di Hillary Clinton ha finanziato e fornito all'FBI una gigantesca serie di bugie nelle elezioni del 2016, che la stragrande maggioranza dei media ha passato tre anni a ratificare e diffondere. I dipendenti di queste società di media sanno, nel profondo, cosa hanno fatto. Hanno fatto la cosa peggiore che puoi fare mentre ti definisci un ‘giornalista’: hanno affogato la politica degli Stati Uniti per anni in una falsa teoria della cospirazione finanziata e inventata da criminali per tornaconto di parte. Ma abbiamo sentito così poco di queste accuse dai media. Perché? Perché sanno che finché rimarranno uniti nel silenzio, le uniche persone che diranno quello che hanno fatto sono quelle che hanno tagliato fuori dalla loro cerchia e hanno addestrato il loro pubblico a non ascoltare”.
Questa storia non riguarda tanto Trump, ma il Quarto Potere che si è rivelato l’house organ di un partito e una fabbrica di fake news.



Adam Schiff, il Democratico teorico della cospirazione che promosse il dossier Steele ed il Russiagate
Byron York’s Daily Memo – Quando Adam Schiff amava il dossier Steele
22 novembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ussiagate/

Il marzo del 2017 è stato un “periodo inebriante” per i teorici della cospirazione di Trump con la Russia. Il crollo della loro impresa era ancora a due anni di distanza, quando Robert Mueller, il procuratore speciale in cui riponevano le loro speranze di far cadere il presidente Donald Trump, annunciò che dopo un’intensa indagine non poteva stabilire alcuna cospirazione o coordinamento tra la campagna di Trump e la Russia nelle elezioni del 2016. Il loro imbarazzo totale era a più di quattro anni di distanza, quando un altro procuratore speciale, John Durham, avrebbe rilasciato i risultati che dimostravano non solo che la loro teoria era sbagliata, ma ridicolmente sbagliata – se una teoria che ha fatto così tanti danni alla politica americana possa essere chiamata “ridicola”.

Ma nel marzo del 2017, tutto questo era ancora davanti a noi. Era il momento per i Democratici di celebrare la scoperta di “intelligence” più scottante nella mente di tutti: il Dossier Steele, la raccolta di accuse contro Donald Trump redatta dall’ex spia britannica Christopher Steele, commissionata e pagata dalla campagna di Hillary Clinton e dal Comitato Nazionale Democratico.

Il 20 marzo, la commissione di Intelligence della Camera aveva tenuto un’audizione sui tentativi della Russia di influenzare la corsa presidenziale americana del 2016. I testimoni erano James Comey e Michael Rogers, rispettivamente i capi dell’FBI e della NSA di allora. Gran parte dell’interrogatorio di quel giorno – da parte dei Democratici – si concentrò sul dossier.

Ciò che i legislatori Democratici avevano detto allora sembra surreale oggi, dato tutto quello che è successo. Ma guidati dal rappresentante Adam Schiff, il membro di minoranza – la commissione era ancora controllata dai Repubblicani e dal rappresentante Devin Nunes, all’epoca – i Democratici hanno ripetutamente prestato credibilità al dossier. Lo hanno preso molto, davvero molto, sul serio. E questi non erano conduttori o commentatori della MSNBC o della CNN. Erano membri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti che avevano delle autorizzazioni speciali per trattare i segreti della nazione. E hanno diffuso disinformazione, a destra e a manca.

La disinformazione è iniziata con la dichiarazione di apertura di Adam Schiff, facendo riferimento ad una teoria contenuta nel dossier che coinvolgeva l’ex consigliere di basso livello della campagna di Trump, Carter Page, e l’ex capo della campagna di Trump, Paul Manafort.

“Secondo Christopher Steele, un ex ufficiale dei servizi segreti britannici che è tenuto in grande considerazione dai servizi segreti degli Stati Uniti”, aveva detto Adam Schiff, “fonti russe [di Steele] dicono che Page ha… avuto un incontro segreto con Igor Sechin, amministratore delegato del gigante russo del gas, Rosneft. Si dice che Sechin sia un ex agente del KGB ed un amico intimo di Vladimir Putin. Secondo le fonti russe di Steele, a Page vengono offerte commissioni di intermediazione… su un accordo che coinvolge una quota del 19% della società. Secondo Reuters, la vendita di una quota del 19,5% di Rosneft avviene in seguito con acquirenti sconosciuti e commissioni di intermediazione sconosciute. Inoltre, secondo le fonti russe di Steele, alla campagna [di Trump] sono stati offerti documenti dannosi per Hillary Clinton che i russi avrebbero pubblicato attraverso uno sbocco che dava loro la possibilità di negare, come WikiLeaks. I documenti violati sarebbero stati offerti in cambio di una politica dell’amministrazione Trump che deenfatizzasse l’invasione della Russia in Ucraina e che si concentrasse invece sulla critica ai paesi della NATO per non aver pagato la loro giusta quota… Secondo Steele, è stato [Paul] Manafort a scegliere [Carter] Page per fare da tramite tra la campagna di Trump e gli interessi russi“.

In primo luogo, non credete a chi dice che i Democratici non abbiano fatto un grande affare con il Dossier Steele. L’hanno fatto, a partire dal primo democratico della commissione intelligence della Camera. E secondo, era tutto falso. Non c’era nessun accordo sulla Rosneft. Non c’era nessun 19%. Non c’era nessun accordo per scambiare il fango sulla Clinton con una politica più morbida sulla Russia. E Paul Manafort non ha scelto Carter Page come “eminenza grigia” per questi accordi inesistenti.

Ma Adam Schiff non si è certo fermato qui.

“È una coincidenza”, si era chiesto un momento dopo, “che la società russa del gas, Rosneft, abbia venduto una quota del 19% dopo che [Steele] è stato informato da fonti russe che a Carter Page era stato offerto un compenso per un affare di quelle dimensioni? È una coincidenza che le fonti russe di Steele abbiano anche affermato che la Russia aveva rubato documenti dannosi per il Segretario Clinton che avrebbe utilizzato in cambio di politiche filo-russe?” Niente di tutto ciò era vero.

La deputata democratica Jackie Speier aveva anche citato l’inesistente accordo Rosneft-Carter Page, riferendosi specificamente al dossier. E il suo collega, il democratico Joaquin Castro, aveva preso la palla al balzo. “Voglio prendermi un momento per parlare del dossier di Christopher Steele”, aveva detto Castro. “Il mio obiettivo oggi è quello di esplorare come molte affermazioni all’interno del dossier di Steele sembrino essere sempre più accurate“. Affermando che la Russia avesse scambiato informazioni compromettenti con la campagna di Trump, Castro ha continuato: “Il dossier sembra sicuramente giusto su questi punti. Una relazione quid pro quo sembra esistere tra la campagna di Trump e la Russia di Putin”. Castro ha continuato a citare più voci del dossier. Le ha citate una dopo l’altra.

Anche il rappresentante democratico Andre Carson era salito a bordo. “Il dossier scritto dall’ex agente del MI6 Christopher Steele sostiene che Trump ha accettato di mettere da parte l’interventismo russo come una questione della campagna, che è effettivamente una priorità per Vladimir Putin”, ha detto Carson. “C’è molto nel dossier che deve ancora essere provato, ma sempre più spesso, come sentiremo nel corso della giornata, le accuse risultano verificate. E questa sembra essere la più accurata che ci sia”. Tranne che non lo era.

James Comey e Michael Rogers, rispettivamente i capi dell’FBI e della NSA di allora, avevano rifiutato di commentare qualsiasi speculazione sul dossier dei Democratici. Se Comey avesse parlato, avrebbe potuto dire ai legislatori che proprio in quel momento gli investigatori dell’FBI stavano disperatamente cercando – non riuscendoci – di corroborare le affermazioni contenute nel dossier. Stavano scoprendo ciò che l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowitz e, più tardi, John Durham, avrebbero scoperto poi: Le “fonti” di Steele venivano per lo più da un uomo, Igor Danchenko, che lavorava al think tank liberal di Washington Brookings Institution, in alcuni casi trasmettendo le accuse mosse da un attivista democratico nella cerchia della Clinton, Charles Dolan, che passava pettegolezzi e cose che leggeva sui giornali come informazioni provenienti da “fonti vicine a Trump”.

Alla luce delle rivelazioni del procuratore speciale John Durham, Adam Schiff ha affrontato un raro interrogatorio pubblico sulla promozione che aveva fatto del dossier. È andato, tra tutti i posti, a The View, in cui l’ospite, Morgan Ortagus, un ex funzionario dell’amministrazione Trump, ha detto a Schiff: “Hai difeso e promosso e persino letto nel verbale del Congresso il Dossier Steele. E sappiamo che la fonte principale è stata incriminata dall’FBI per aver mentito sulla maggior parte delle affermazioni chiave di quel dossier. Ha qualche riflessione sul suo ruolo nell’aver promosso tutto questo al popolo americano?

Si è scoperto che Adam Schiff ha fatto alcune riflessioni, ed è arrivato alla conclusione che non aveva fatto nulla di sbagliato. “All’inizio dell’indagine sulla Russia, ho detto che ogni accusa avrebbe dovuto essere indagata”, ha detto. “Non potevamo sapere, per esempio, che le persone stavano mentendo a Christopher Steele“.

Adam Schiff ha poi sostenuto che la mancanza di credibilità del dossier non dovrebbe essere usata “come una cortina fumogena per schermare in qualche modo la colpevolezza di Donald Trump” nella questione della collusione con la Russia. “Nessuna di questa grave e cattiva condotta è in alcun modo sminuita dal fatto che la gente abbia mentito a Christopher Steele”, ha detto Schiff.

Alla fine, è troppo semplice liquidare l’affare del dossier dicendo: “la gente ha mentito a Christopher Steele”. Sì, le “fonti” di Steele gli hanno fornito accuse inventate. Ma perché Steele, presumibilmente il “maestro delle spie”, le ha accettate così acriticamente? Perché potevano aiutare a far cadere Donald Trump. Questo era più importante del fatto che fossero vere o meno.

La cosa importante da ricordare è infatti che le fonti avevano detto a Steele quello che lui voleva sentire. E poi Steele, attraverso il suo dossier, ha detto ai suoi capi nella campagna della Clinton e nel Comitato Nazionale Democratico quello che volevano sentire. E poi lo stesso dossier ha mostrato ad alcuni funzionari chiave dell’FBI quello che volevano vedere. Che poi hanno indicato ad Adam Schiff quello che voleva indicare. Che poi ha riportato a Rachel Maddow e a molti altri nei media quello che volevano riportare. E così via.

Il dossier era così importante perché sembrava soddisfare i desideri di così tante persone.

Per quanto sia brutto, è probabile che il pubblico non conosca ancora tutti i pro e i contro della storia del dossier. Altre informazioni potrebbero arrivare da John Durham.

Ma sappiamo la cosa più importante che c’è da sapere sul dossier: se si scava a fondo, non c’è niente. Ecco perché l’Adam Schiff del 2021 non ama particolarmente che gli si ricordi l’Adam Schiff del 2017, che aveva cercato di vendere al pubblico un documento che nemmeno lui, ora, può più difendere.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:31 am

Trump non ha mai difeso le minacce a “impiccare Mike Pence”, ma i media senza vergogna non possono smettere di mentire a riguardo
FACT-CHECK: Trump non ha “difeso” le esortazioni a “impiccare Mike Pence”, e chiunque abbia ascoltato la clip audio lo sa.

The Federalist
13 novembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -riguardo/

Se avete letto qualche titolo o siete stati su Twitter, probabilmente avete sentito la notizia: Donald Trump ha giustificato le esortazioni ad “impiccare Mike Pence”. Ma se ascoltate l’intervista che presumibilmente supporta questa affermazione, capirete presto che i media corrotti sono di nuovo all’opera. Semplicemente non è vero.

L’audio proviene da un’anticipazione di un’intervista tra Donald Trump ed il corrispondente capo di Washington della ABC News Jonathan Karl, per il suo prossimo libro in uscita sul 6 gennaio, che è destinato ad essere una sciocchezza se l’interpretazione che il giornalista dà a questa particolare intervista. E i media aziendali hanno avuto una giornata campale venerdì mattina, annunciando tutti con shock e stupore che Trump sarebbe stato d’accordo con la folla nell’impiccare Mike Pence.

“Trump difende i cori “Impiccate Mike Pence” dei rivoltosi del Campidoglio“: “La gente era molto arrabbiata“, è stato il titolo del Daily Beast, mentre Business Insider ha affermato: “Trump ha giustificato i suoi sostenitori che chiedevano di impiccare Mike Pence alla rivolta del Campidoglio, dicendo che fu “buon senso”“.

Mike Allen di Axios se ne è uscito con il titolo: “Audio esclusivo: Trump difende le minacce di ‘impiccare’ Pence“, e ha postato la storia nella sua newsletter del mattino. Trump “ha difeso, abbastanza ampiamente, i sostenitori che hanno minacciato di ‘impiccare’ l’ex vicepresidente Mike Pence”, ha detto Allen, aggiungendo, “è senza precedenti per un ex presidente dire apertamente che era giusto minacciare la vita del suo vicepresidente”.

Ma per avere il quadro completo, è necessario ascoltare l’audio, non solo guardare la trascrizione, perché lo scambio non è avvenuto in un formato di domande e risposte come i media dicono.

Ascoltate qui:

Se avete mai ascoltato un’intervista a Donald Trump, sapete che il suo stile di comunicazione è quello della filippica. I membri dei media lo sanno bene, ed è un fatto così consolidato che il “Saturday Night Live” la usa persino come base per alcune delle sue battute su Trump. È anche il modo in cui si ottengono interviste come questa.

Come si può sentire, ascoltando l’audio, Trump inizia dicendo a Karl che non era preoccupato per la sicurezza di Pence perché il Vicepresidente era ben protetto dalla minaccia dei rivoltosi entrati al Campidoglio e Trump aveva sentito che stava bene – fine della storia per quanto riguarda la sicurezza di Pence, per quanto riguarda Trump.

Trump inizia a fare una sfuriata, ma Karl interviene, rivolgendo la sua attenzione ai rivoltosi. “Perché avete sentito quei cori, è stato terribile. Voglio dire, sapete,…” Karl inizia prima di interrompere.

Trump salta di nuovo nella questione, prima per continuare il suo sfogo con “Avrebbe potuto…”, ma poi per rispondere alla menzione di Karl su dei cori non ben specificati.

“Beh, la gente era molto arrabbiata“, ha detto Trump, e mentre l’ex presidente è già partito per spiegare perché erano arrabbiati – pensavano che l’elezione fosse stata rubata – ecco che Karl scivola dento il discorso di Trump menzionando “impiccate Mike Pence“.

Ma Trump era già impegnato in una sfuriata sulla frode elettorale. Mentre Karl interrompe, Trump non gli dà nemmeno la possibilità di finire “impiccate M-” prima di continuare il suo pensiero precedente: “Perché è – è buon senso, Jon. È il senso comune che si suppone di proteggere – come puoi, se sai che un voto è fraudolento, giusto? Come puoi trasmettere un voto fraudolento al Congresso?”

Questo è il motivo per cui Trump usa la parola “perché”. Non è chiaramente in risposta all’interiezione di Karl “impiccate Mike Pence”.

Nel contesto e senza interruzioni, il significato di Trump è chiarissimo: “Beh, la gente era molto arrabbiata perché è – è buon senso, Jon. È senso comune che si suppone che tu debba proteggere [l’integrità delle elezioni]”.

I media mainstream sanno questo dello stile di Trump, e se hanno ascoltato la clip, sanno che Trump stava solo finendo il suo treno di pensieri quando Karl gli butta in mezzo la menzione “impiccare Mike Pence“. Eppure i media hanno scelto di correre con titoli oltraggiosi e di strutturare i loro articoli con l’intervista inclusa in un formato pulito di domande e risposte.

Ecco come ha fatto Axios, e altri media hanno seguito l’esempio:

Notate come hanno strutturato il testo che ho evidenziato sopra, per far sembrare che Trump stesse rispondendo direttamente al coro “impiccate Mike Pence” con “è buon senso“.

I media lo fanno su ogni cosa. L’hanno fatto con le interviste durante tutta la presidenza di Trump, come con la bugia su Charlottesville “persone molto belle da entrambe le parti”. Lo fanno modificando in modo ingannevole i video delle bodycam per diffondere la narrativa che la polizia è cattiva. Lo fanno per infangare i leader repubblicani che hanno gestito con successo il COVID-19 nonostante ignorino una certa saggezza convenzionale, per citare alcuni degli infiniti esempi.

Dobbiamo ricordare due cose chiave sui media ogni volta che vediamo titoli come quelli di venerdì mattina: 1) Sono ancora assolutamente ossessionati da Trump, e 2) Scelgono la narrativa più appropriata da dare ai fatti ogni singola volta.

Trump non ha “difeso” le esortazioni ad “impiccare Mike Pence”, e chiunque abbia ascoltato la clip audio lo sa.



Steve Bannon accusato di oltraggio al Congresso per aver sfidato la citazione in giudizio della commissione sul 6 gennaio
Breitbart News
13 novembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... 6-gennaio/
https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 8807284454

Steve Bannon, un alleato di lunga data dell’ex presidente Donald Trump, è stato incriminato per oltraggio al Congresso dopo aver sfidato un mandato di comparizione della commissione della Camera che indaga sull’insurrezione del 6 gennaio.

Steve Bannon, un alleato di lunga data dell’ex presidente Donald Trump, è stato incriminato per due capi d’accusa di oltraggio al Congresso dopo aver sfidato un mandato di comparizione della commissione della Camera che indaga sull’insurrezione del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti.

Venerdì, il Dipartimento di Giustizia ha detto che Bannon, 67 anni, è stato incriminato con un capo d’accusa per aver rifiutato di apparire per una deposizione il mese scorso e l’altro per aver rifiutato di fornire documenti in risposta al mandato di comparizione della Commissione. Ci si aspetta che si consegni alle autorità lunedì e che compaia in tribunale lo steso pomeriggio, ha detto all’AP un funzionario delle forze dell’ordine. Al funzionario è stato concesso l’anonimato per discutere il caso.

L’incriminazione arriva dopo che numerosi funzionari dell’amministrazione Trump – compreso Bannon – hanno sfidato le richieste e le domande del Congresso negli ultimi cinque anni riportando poche conseguenze, anche durante l’inchiesta di impeachment dei Democratici. Tra i precedenti, anche l’amministrazione del presidente Barack Obama aveva rifiutato di accusare due dei suoi funzionari che avevano evaso le richieste del Congresso.

Il procuratore generale Merrick Garland ha detto che l’incriminazione di Bannon riflette il “fermo impegno” da parte del Dipartimento di Giustizia verso lo “stato di diritto”. Ogni capo d’accusa comporta un minimo di 30 giorni di prigione e fino ad un anno dietro le sbarre.

L’incriminazione è arrivata mentre un secondo testimone atteso, l’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, ha sfidato anch’egli il proprio mandato di comparizione dalla commissione venerdì e mentre Donald Trump ha intensificato le sue battaglie legali per trattenere documenti e testimonianze sull’insurrezione.

Se la Camera voterà per trattenere Meadows agli arresti, quella raccomandazione verrebbe anche inviata al Dipartimento di Giustizia per una possibile incriminazione.

Funzionari di entrambe le amministrazioni, sia democratiche che repubblicane, sono stati accusati di oltraggio dal Congresso, ma le incriminazioni penali per l’oltraggio al Congresso sono estremamente rare. Gli esempi più recenti di sanzioni penali per non aver testimoniato davanti al Congresso risalgono agli anni ’70, quando l’aiutante del presidente Richard Nixon, G. Gordon Liddy, fu condannato per reati minori per aver rifiutato di rispondere alle domande sul suo ruolo nello scandalo Watergate.

I Democratici che hanno votato per arrestare Bannon per oltraggio hanno lodato la decisione del Dipartimento di Giustizia, dicendo che le accuse rafforzano l’autorità del Congresso di indagare sul ramo esecutivo e segnalano potenziali conseguenze per coloro che si rifiutano di collaborare.

“I giorni in cui si sfidano impunemente i mandati di comparizione sono finiti”, ha twittato il presidente della commissione Intelligence della Camera Adam Schiff, che siede nella commissione sul 6 gennaio e che ha anche guidato la prima inchiesta di impeachment di Trump. “Smaschereremo i responsabili del 6 gennaio. Nessuno è al di sopra della legge”.

Il presidente della commissione sul 6 gennaio, il rappresentante democratico Bennie Thompson, ha detto ai giornalisti in un evento nel suo stato natale del Mississippi, venerdì, che raccomanderà l’arresto di Meadows la prossima settimana.

Thompson e la vicepresidente della commissione, la repubblicana Liz Cheney del Wyoming, hanno detto in una dichiarazione: “Il signor Meadows, il signor Bannon e gli altri che seguiranno questa strada non prevarranno nel fermare lo sforzo del comitato ristretto di ottenere risposte per il popolo americano sul 6 gennaio, fare raccomandazioni legislative per aiutare a proteggere la nostra democrazia e aiutare a garantire che nulla come quel giorno accada di nuovo”.

Meadows e Bannon sono testimoni chiave per il comitato, poiché entrambi erano in stretto contatto con Trump nel periodo dell’insurrezione.

Meadows è stato il principale aiutante di Trump alla fine della sua presidenza ed era una delle diverse persone che hanno fatto pressione sui funzionari statali per cercare di ribaltare i risultati elettorali. Bannon ha promosso le proteste del 6 gennaio sul suo podcast e ha predetto che ci sarebbero stati disordini. Il 5 gennaio, ha predetto che “si scatenerà l’inferno”.

L’accusa dice che Bannon non ha comunicato con la commissione in alcun modo dal momento in cui ha ricevuto la citazione in giudizio il 24 settembre fino al 7 ottobre, quando il suo avvocato ha inviato una lettera, sette ore dopo la deadline per la consegna dei documenti.

Bannon, che ha lavorato alla Casa Bianca all’inizio dell’amministrazione Trump e che attualmente serve come conduttore del podcast “War Room“, di stampo cospirativo secondo AP, è un privato cittadino che “ha rifiutato di apparire per testimoniare come richiesto da un mandato di comparizione”, dice l’accusa.

Quando Bannon ha rifiutato di apparire per la sua deposizione in ottobre, il suo avvocato ha detto che l’ex consigliere di Trump era stato consigliato da un avvocato di Trump circa il privilegio per i membri dell’esecutivo di non rispondere alle domande. L’avvocato non ha risposto as un messaggio di commento venerdì.

Questa non è la prima volta che l’alleato di lunga data di Trump affronta una causa legale. Nell’agosto dell’anno scorso, Bannon è stato tirato fuori da uno yacht di lusso ed arrestato con l’accusa che lui e tre associati avessero frodato i donatori che cercavano di finanziare un muro al confine meridionale. Trump ha poi graziato Bannon nelle ultime ore della sua presidenza.

Meadows, un ex membro del Congresso della North Carolina, ha sfidato la sua citazione in giudizio venerdì dopo settimane di discussioni con la commissione. Il suo avvocato ha detto che Meadows ha una “forte disputa legale” con il comitato, poiché Trump ha rivendicato il privilegio esecutivo sulla testimonianza dell’ex capo dello staff, come aveva fatto con quella di Bannon.

La Casa Bianca ha detto in una lettera giovedì che Joe Biden avrebbe rinunciato a qualsiasi privilegio che avrebbe impedito a Meadows di collaborare con la commissione, spingendo l’avvocato di Meadows a dire che non lo avrebbe rispettato.

“Le controversie legali vengono opportunamente risolte dai tribunali”, ha detto l’avvocato, George Terwilliger. “Sarebbe irresponsabile per il signor Meadows risolvere prematuramente quella disputa rinunciando volontariamente a privilegi che sono al centro di quelle questioni legali”.

Joe Biden ha finora rinunciato alla maggior parte delle affermazioni di Trump sul privilegio su documenti ed interviste, citando l’interesse del pubblico a sapere cosa è successo il 6 gennaio. Trump ha fatto causa alla commissione e agli archivi nazionali per fermare il rilascio dei documenti, e il giudice distrettuale degli Stati Uniti Tanya Chutkan ha ripetutamente sostenuto la posizione di Biden, notando in una sentenza di questa settimana che “i presidenti non sono re, e il querelante non è il presidente”.

I procedimenti della commissione e i tentativi di raccogliere informazioni sono stati ritardati poiché Trump ha fatto appello alla sentenza della Chutkan. Giovedì, una corte d’appello federale ha temporaneamente bloccato il rilascio di alcuni dei documenti della Casa Bianca che la commissione sta cercando, dando al tribunale il tempo di considerare gli argomenti di Trump.

Tuttavia, la commissione della Camera sta continuando il suo lavoro, e i membri hanno già intervistato più di 150 testimoni nel tentativo di costruire una documentazione completa su come una folla violenta di sostenitori di Trump abbia fatto irruzione nel Campidoglio ed abbia temporaneamente fermato la certificazione della vittoria di Biden.

La commissione ha citato in giudizio quasi tre dozzine di persone, tra cui ex collaboratori della Casa Bianca, alleati di Trump che hanno fatto strategie su come ribaltare la sua sconfitta e persone che hanno organizzato una gigantesca manifestazione vicino alla Casa Bianca la mattina del 6 gennaio. Mentre alcuni, come Meadows e Bannon, si sono rifiutati, altri hanno parlato alla commissione e fornito documenti.



Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha criticato il Dipartimento di Giustizia dopo l'accusa contro l'ex consigliere di Trump Steve Bannon, sostenendo che "le idee e il pensiero non sono mai criminali in un paese libero".
L'Osservatore Repubblicano
13 novembre 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 4953948506

Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha criticato il Dipartimento di Giustizia dopo l'accusa contro l'ex consigliere di Trump Steve Bannon, sostenendo che "le idee e il pensiero non sono mai criminali in un paese libero".
"Come vi abbiamo detto, il Dipartimento di Giustizia di Biden si sta trasformando davanti ai nostri occhi in uno strumento politico armato il cui lavoro principale sembra essere punire i critici del Partito Democratico. Ecco l'ultimo esempio: Hanno appena incriminato l'ex consigliere di Trump Steve Bannon per oltraggio al Congresso. Beh, se questo suona come un'accusa insolita, lo è sicuramente. Il DOJ non ha mai fatto arrestare nessuno per oltraggio al Congresso in quasi 40 anni."
"Il DOJ non ha fatto arrestare Eric Holder dopo che era stato accusato di oltraggio, per esempio. Il DOJ non ha accusato Jim Clapper o John Brennan quando hanno mentito al Congresso. Questa non è una speculazione. Hanno mentito. Sono stati scoperti. Ma Joe Biden non era presidente all'epoca. Come abbiamo detto, il DOJ è ora il braccio esecutivo del Partito Democratico, che punisce chiunque non si conformi alle richieste della Commissione del 6 gennaio di Nancy Pelosi e Liz Cheney."
"Da quello che posso dire, stanno cercando di criminalizzare le opinioni che non gli piacciono. Vi è permesso avere qualsiasi opinione sulle ultime elezioni che volete, qualsiasi opinione che volete su qualsiasi cosa in questo paese. Punto."
"Le vostre opinioni non possono essere criminalizzate perché le idee e la parola non sono mai criminali in un paese libero. Non capisco, voglio dire, il pretesto per - vogliono buttare Bannon in prigione se possono perché non gli piacciono le sue opinioni?"
"Dove sono i leader Repubblicani che si oppongono a questo?"
Tucker Carlson, intervistando Michael Flynn, che afferma che rispetterà il suo mandato di comparizione perché "non hanno niente in mano".


L'ex stratega di Trump si è consegnato alle autorità per affrontare l’accusa di oltraggio dopo essersi rifiutato di comparire di fronte alla Commissione della Camera che indaga sull’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill
Arrestato Steve Bannon, ex stratega di Trump
Orlando Sacchelli
15 Novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ar ... 89308.html

L'ex consigliere di Trump e capo stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, è stato arrestato dagli agenti dell'Fbi - a cui si è consegnato - con l'accusa di oltraggio al Congresso. Come più volte aveva preannunciato si è rifiutato di testimoniare davanti alla commissione investigativa sui fatti del 6 gennaio 2021, il famoso assalto al Campidoglio, e si è altresì rifiutato di fornire documenti a tal riguardo. Bannon è sospettato di avere informazioni su possibili legami tra l’ex presidente e i suoi sostenitori che presero parte all’assalto del Parlamento Usa.

Trump più volte ha fatto appello al privilegio dell’esecutivo. Di cosa si tratta? È il diritto del presidente a mantenere segrete le conversazioni (comprese e-mail e messaggi) avute con i suoi collaboratori. Questo teoricamente esenterebbe i suoi collaboratori dall'obbligo di testimoniare e impedirebbe alla Commissione di accedere ai documenti della sua amministrazione.

Bannon aveva già fatto sapere che non avrebbe testimoniato finché la questione del privilegio non fosse stata chiarita. Il tema è stato discusso dalla Camera dei Rappresentanti, che ha girato per competenza al Dipartimento di giustizia i due capi d’accusa per oltraggio al Congresso (ognuno può comportare una pena da un mese a un anno di carcere e una multa di 100mila dollari).

In una nota di alcuni giorni fa il segretario alla Giustizia, Merrick Garland ha detto che sin dal suo primo giorno in carica, ha "promesso ai dipendenti del Dipartimento che insieme avremmo mostrato al popolo americano, con le parole e con i fatti, che il dipartimento si attiene allo Stato di diritto, ai fatti e alla legge e ricerca una giustizia equa secondo la legge". In altre parole, nessuno è super partes.

Architetto della vittoria di Trump nel 2016, attivissimo con il sito di controinformazione Breibart che dirigeva, Steve Bannon approdò alla Casa Bianca come stratega ma restò in carica soltanto pochi mesi, fino all'agosto 2017. Quelli di oggi non sono i suoi primi guai. L'anno scorso, infatti, fu arrestato e incriminato per aver frodato i sostenitori di una campagna per raccogliere fondi privati per costruire il muro sul confine con il Messico.


Incriminato per oltraggio al Congresso, compare davanti al giudice. Alle tv: "Combatteremo il regime di Joe Biden"
Bannon si consegna all'Fbi e trasforma l'arresto in show
Valeria Robecco
16 Novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1637048466

Steve Bannon si è consegnato all'Fbi. L'ex controverso stratega di Donald Trump si è presentato agli uffici del Bureau di Washington ed è stato arrestato dopo l'incriminazione per oltraggio al Congresso per aver negato la sua collaborazione alla commissione della Camera che sta indagando sull'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Il 67enne comparirà in Tribunale giovedì prossimo, ma non sarà detenuto in attesa di giudizio: ha acconsentito a presentarsi per controlli settimanali, consegnare il passaporto, e riferire di ogni spostamento al di fuori del distretto. In ottobre Bannon si era rifiutato di testimoniare e venerdì scorso un gran giurì federale lo ha accusato per due capi di imputazione: uno per non aver testimoniato e l'altro per non aver consegnato i documenti richiesti. Su questo secondo punto, il suo avvocato Robert Costello ha spiegato che le carte erano protette dal privilegio esecutivo invocato dall'ex presidente americano: «I privilegi esecutivi appartengono a Trump» e la sua richiesta deve essere «onorata», ha precisato. L'ex direttore del sito di estrema destra Breitbart News - che se verrà condannato rischia fino a due anni di carcere e una multa di mille dollari - è arrivato negli uffici dell'Fbi su un Suv nero poco prima delle 10 di mattina e prima di consegnarsi ha detto ai giornalisti che lo aspettavano: «Stiamo abbattendo il regime di Joe Biden. Voglio che voi, ragazzi, restiate concentrati sul messaggio. Nessuno deve distogliere l'attenzione da ciò che facciamo ogni giorno, questo è tutto rumore».

Con la sua incriminazione il dipartimento di Giustizia di Biden si trova di fronte al difficile test di perseguire uno dei maggiori consiglieri di un ex inquilino della Casa Bianca, rischiando di spaccare ulteriormente l'opinione pubblica. Intanto, alla luce della decisione del gran giurì trema anche Mark Meadows, l'ex capo di gabinetto di Trump, chiamato a deporre dalla commissione che indaga sull'assalto a Capitol Hill. Tramite i suoi legali pure lui ha fatto sapere che non intende adempiere al mandato ricevuto fino a che non sarà più chiara la definizione e l'applicazione del privilegio esecutivo che il tycoon e i suoi legali rivendicano. Il deputato democratico Adam Schiff e la deputata repubblicana (acerrima nemica di Trump) Liz Cheney, che siedono nella commissione istituita dalla speaker della Camera Nancy Pelosi, hanno detto che stanno lavorando per deferire rapidamente l'ex capo di gabinetto per oltraggio criminale. La strada scelta da Bannon e Meadows «non prevarrà sugli sforzi della commissione di ottenere risposte sul 6 gennaio e assicurare che una cosa del genere non si ripeta», ha detto Cheney, sottolineando come l'incriminazione dell'ex capo stratega della Casa Bianca «dovrebbe inviare un messaggio chiaro a chiunque pensi di poter ignorare il panel o cercare di ostruire la nostra indagine, ossia che nessuno è al di sopra della legge». In totale sono circa una decina gli ex funzionari e alleati di Trump che hanno ricevuto citazioni a testimoniare o condividere documenti con la commissione. L'ex Comandante in capo, invece, ha festeggiato nei giorni scorsi due importanti vittore legali: l'ex concorrente dello show televisivo Apprentice, Summer Zervos, ha rinunciato alla causa contro di lui per diffamazione, e un giudice di New York ha accolto la mozione di The Donald per archiviare l'azione legale del suo ex avvocato Michael Cohen contro la Trump Organization. Zervos aveva fatto causa al tycoon nel 2017 dopo che lui aveva negato di averla assalita sessualmente e il 23 dicembre era stata fissata la sua deposizione.




Questo non era un trumpiano.

Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesi
Orlando Sacchelli
17 Novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/as ... 1637174383

Jacob Chansley, noto come lo "sciamano" dei cospirazionisti di QAnon, diventato il simbolo dell'assalto al Congresso del 6 gennaio da parte dei sostenitori di Trump, è stato condannato a tre anni e 5 mesi di prigione

Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesi

Ricordate l'uomo con il volto truccato e in testa un copricapo da vichingo che, insieme a molte altre persone, fece irruzione al Congresso degli Stati Uniti il 6 gennaio di quest'anno? Jacob Chansley, noto come lo "sciamano", è stato condannato a 3 anni e cinque mesi di carcere per l'assalto al Campidoglio. Tenuto conto del fatto che non era accusato di aggressione la condanna che gli è stata inflitta può essere considerata molto pesante, anche se è inferiore ai 51 mesi richiesti dai procuratori federali, che volevano una sentenza esemplare perché lo "sciamano" era diventato l'emblema dell'assalto alla democrazia americana.

Ma torniamo al 6 gennaio di inizio anno. Non appena le foto e i video dell'assalto iniziarono a girare, con il volto truccato e il bizzarro copricapo da vichingo Chansley divenne il simbolo di quella clamorosa protesta che, ricordiamo, vide i sostenitori di Donald Trump contestare a gran voce la ratifica della vittoria di Biden alla presidenziali di Novembre 2020. Dopo essersi seduto alla scrivania di Mike Pence aveva lasciato un messaggio: "È solo questione di tempo, la giustizia sta arrivando".

Originario dell’Arizona e vicino al movimento cospirazionista QAnon, a febbraio Chansley aveva iniziato lo sciopero della fame protestando perché in carcere non era previsto un menù vegano. A marzo, invece, aveva rilasciato un’intervista che aveva adirato non poco il giudice distrettuale Royce Lamberth. A settembre, infine, si era dichiarato colpevole di un solo capo d’accusa, ostacolo a procedimenti ufficiali, per aver preso parte all’assalto.

La condanna di oggi è la più dura inflitta ad un partecipante alla rivolta, insieme a quella (sempre di 41 mesi) decisa la scorsa settimana per Scott Fairlamn, un ex lottatore Mma che ha ammesso di aver aggredito un agente di polizia. Il terzo rivoltoso finora arrivato a sentenza, Paul Hodginks, ha subito una condanna ad otto mesi.



Dipartimento di Giustizia ed FBI hanno dato credito ad una fonte del Dossier Steele accusata di aver mentito
Washington Examiner
17 novemmbre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... r-mentito/

Il Dipartimento di Giustizia e l’FBI hanno continuato a difendere l’uso delle informazioni provenienti dalla fonte principale di Christopher Steele, Igor Danchenko, anche dopo i colloqui con il Bureau, durante i quali lo special counsel John Durham ha affermato che il russo abbia mentito ripetutamente.

Igor Danchenko, un ricercatore, nato in Russia ma residente negli Stati Uniti, è stato accusato “di cinque capi d’accusa per aver fatto false dichiarazioni all’FBI” che Durham sostiene vertano sulle informazioni che aveva fornito a Christopher Steele per la compilazione del suo dossier. L’atto d’accusa di Durham afferma che Danchenko ha mentito all’FBI per cinque volte nel 2017. Si è dichiarato non colpevole mercoledì 10 novembre.
Igor Danchenko

Gli sforzi del DOJ e dell’FBI per difendere la credibilità del dossier di Steele e della sua fonte erano stati notevoli nel 2018, l’anno dopo che Danchenko aveva già presumibilmente mentito al Bureau, e nel mezzo dell’indagine del procuratore speciale Robert Mueller.

L’allora assistente procuratore generale John Demers aveva detto al giudice della Foreign Intelligence Surveillance, Court Rosemary Collyer, in una lettera del luglio 2018, che Danchenko era stato “sincero e cooperativo” con l’FBI. Il funzionario del DOJ aveva poi difeso le richieste di mandati di sorveglianza FISA irregolari emessi contro Carter Page, che lavorava per la la campagna di Donald Trump.

I mandati FISA sono basati sul Foreign Intelligence Surveillance Act del 1978 (“FISA”), una legge federale degli Stati Uniti che stabilisce procedure per la sorveglianza fisica ed elettronica e la raccolta di “informazioni di intelligence” di agenti di potenze straniere sospettati di spionaggio o terrorismo. La legge ha creato anche la Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC) che ha il compito di supervisionare le richieste dei mandati di sorveglianza da parte delle forze dell’ordine federali e delle agenzie di intelligence (principalmente il Federal Bureau of Investigation e la National Security Agency) contro sospetti agenti segreti stranieri all’interno degli Stati Uniti.

John Demers aveva detto alla corte responsabile dell’emissione dei mandati FISA: “Il governo sostiene che le richieste (dei mandati di sorveglianza FISA, n.d.r.), lette alla luce di queste informazioni aggiuntive, contengano una previsione sufficiente perché la Corte possa rinvenire una causa probabile che l’obiettivo fosse un agente di una potenza straniera”.

Tuttavia il DOJ sapeva già all’epoca che il socio della campagna di Trump George Papadopoulos aveva ripetutamente negato qualsiasi collusione con la Russia nelle sue conversazioni nel 2016 con la fonte confidenziale dell’FBI Stefan Halper, rivelazioni però non trasmesse alla corte che doveva disporre le intercettazioni attraverso i mandati di sorveglianza FISA.

“Anche considerando le informazioni aggiuntive riguardanti le conversazioni di Papadopoulos con la fonte n. 2 [Halper] ed altri, e per quanto riguarda la fonte n. 1 [Steele], le domande contenevano una premessa sufficiente perché la Corte vi ritrovasse una causa probabile che Carter Page stesse agendo come agente del governo della Russia”, aveva detto Demers al tribunale FISA. “L’FBI ha rivisto questa lettera ed ha confermato l’accuratezza di fatti”.

Il rapporto dell’ispettore generale del DOJ Michael Horowitz del dicembre 2019 ha infine minato le affermazioni contenute nel falso Dossier Steele, ed ha criticato il DOJ e l’FBI per almeno 17 “errori ed omissioni significative” relativi ai mandati di sorveglianza FISA emessi contro Carter Page e per l’affidamento “centrale ed essenziale” del Bureau sul falso dossier di Steele.

Horowitz ha detto inoltre che gli interrogatori dell’FBI con Danchenko “hanno sollevato domande significative sull’affidabilità del dossier di Steele” ed hanno messo in dubbio alcune delle sue maggiori affermazioni. I documenti mostrano che l’FBI stessa aveva precedentemente indagato su Danchenko come una possibile “minaccia alla sicurezza nazionale” a causa di presunti collegamenti con l’intelligence russa.

Collyer ha bollato le azioni dell’FBI come “antitetiche rispetto agli elevati requisiti di onestà” che erano richiesti per verificare l’attendibilità del Dossier Steele.

In un altro caso, il “Draft Talking Points” dell’FBI per un briefing del Senate Intelligence Committee, datato febbraio 2018, include ulteriori difese a Steele e Danchenko.

Il Bureau aveva parlato delle interviste con Danchenko nel gennaio 2017, scrivendo che “ha avvisato che diversi rapporti sembravano essere derivati da più fonti, per includere le informazioni che ha fornito a Steele così come le informazioni che non aveva raccolto”, e che Danchenko “non ha citato alcuna preoccupazione significativa circa il modo in cui il suo rapporto è stato riportato nel dossier.”

Le note dell’FBI di un’intervista del gennaio 2017 con Danchenko hanno mostrato che egli aveva detto al Bureau che “non conosceva le origini“ di alcune delle affermazioni di Steele e che “non ricordava” altre informazioni che erano presenti nel dossier. Aveva notato come gran parte di ciò che aveva passato a Steele erano dei “passaparola” e dei “sentito dire” e che alcune informazioni provenivano da una “conversazione… con degli amici davanti a delle birre”, mentre le accuse più gravi potrebbero essere state fatte per “scherzo“.

Horowitz ha concluso che Danchenko “ha contraddetto le affermazioni di una ‘cospirazione ben sviluppata’” attorno al dossier di Steele.

Dai Draft Talking Points dell’FBI emerge che il Bureau ritenesse che Steele stesse facendo affidamento su una fonte principale nell’ottobre 2016, e sempre il Bureau aveva fornito una risposta su come i contatti con Danchenko avessero influenzato la fiducia dell’FBI nel dossier.

“Come minimo, le nostre discussioni con [Danchenko] confermano che il dossier non è stato fabbricato da Steele”, aveva scritto l’FBI. “Le nostre discussioni con [Danchenko] hanno confermato che egli opera all’interno di circoli accademici e governativi di alto livello, mantiene relazioni di fiducia con individui che sono in grado di riferire sul materiale che ha raccolto per Steele, e che Steele e [Danchenko] hanno utilizzato un ragionevolmente valido tradecraft di intelligence“.

L’FBI aveva anche affermato davanti ai senatori di aver “protetto con successo dalla divulgazione pubblica la stragrande maggioranza degli individui che hanno contribuito a riportare le fonti del Dossier Steele”. Ma le presunte fonti del dossier di Steele sono poi state in gran parte accusate di aver mentito, o hanno negato esse stesse di essere delle fonti, o hanno preso le distanze dal dossier.

Il senatore repubblicano Lindsey Graham, già capo della commissione giudiziaria del Senato all’epoca dei fatti, ha detto nell’agosto 2020 che il briefing del 2018 ha dimostrato che l’FBI aveva fuorviato il Senato su Danchenko ed il dossier di Steele.

Più tardi quel mese, il repubblicano della Carolina del Sud aveva rivelato come Bill Priestap, l’ex capo del controspionaggio dell’FBI, fosse il funzionario che sostiene abbia cercato di “imbiancare” il dossier al Senato nel 2018. Graham ha detto che stava girando le informazioni a Durham per indagare, definendolo “potenzialmente un altro crimine”.

Bill Priestap, il capo dell’indagine Crossfire Hurricane, aveva scritto alla CIA per descrivere Steele come “affidabile” mentre l’FBI spingeva per includere le affermazioni di Steele nella valutazione della Comunità di intelligence del 2017 sull’interferenza della Russia nelle elezioni del 2016.

Quasi tutti i firmatari dei mandati di sorveglianza FISA emessi contro Carter Page – il vice procuratore generale Sally Yates, il vice procuratore generale Rod Rosenstein, il direttore dell’FBI James Comey ed il vice direttore dell’FBI Andrew McCabe – hanno ora indicato sotto giuramento che non avrebbero firmato per richiedere dei mandati di sorveglianza se avessero saputo allora quello che sanno ora.




Perché il procuratore speciale John Durham ha citato in giudizio la Brookings Institution
Un think-tank di sinistra è stato il punto di partenza della bufala del Russiagate: molti membri chiave dello staff sono stati coinvolti negli sforzi per sostenere che Trump avesse cooperato con Putin per rubare le elezioni del 2016.

The Federalist
17 novembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... stitution/

Nell’aprile 2021, la Brookings Institution ha finalmente confermato pubblicamente che lo Special Counsel John Durham aveva richiesto di portare in giudizio i documenti del think-tank di sinistra con sede a Washington nel dicembre 2020. Gli amichevoli giornalisti della rivista Time hanno inquadrato il mandato di comparizione come limitato al rapporto decennale dell’ex staffer della Brookings, Igor Danchenko.

L’incriminazione di Danchenko della scorsa settimana, tuttavia, fornisce un perfetto promemoria sul fatto che la Brookings sia stata il “Ground Zero” per la bufala della collusione con la Russia, con molti membri chiave dello staff coinvolti nella dannosa bugia secondo Donald Trump abbai cooperato con Vladimir Putin per rubare le elezioni del 2016.

Giovedì scorso, Durham ha accusato Danchenko in un atto formale in cinque capi di aver mentito all’FBI durante l’interrogatorio degli agenti in relazione al suo ruolo di “Sub-Fonte primaria” di Christopher Steele per la compilazione del famoso dossier che ha permesso la sorveglianza elettronica dell’amministrazione Obama sulla campagna di Trump.

I dettagli nell’atto d’accusa di 39 pagine forniscono un’ulteriore prova che la squadra di Durham abbia costantemente sbrogliato la matassa dello Spygate, con il filo più recente che porta nel campo della Clinton – ed alla Brookings Institution, che è di sinistra.


Igor Danchenko
Danchenko ha parlato con il ‘PR Executive-1’?

Mentre l’atto d’accusa imputa a Danchenko di aver mentito all’FBI su Sergei Millian, che serviva come fonte secondaria per il dossier, è la presunta falsa affermazione di Danchenko di non aver mai comunicato con il “PR Executive-1” che si rivela più significativa ai fini di scoprire la verità dietro la bufala della cospirazione della Russia.

Poco dopo che l’atto d’accusa è stato reso pubblico, l’avvocato Ralph Martin ha confermato che il suo cliente, Charles Dolan Jr., sia il “PR Executive-1” rimasto fino ad ora senza nome. La rivelazione che Danchenko abbia usato Dolan come “sub-fonte” per il dossier è significativa a causa delle connessioni di lunga data tra Dolan con la famiglia Clinton ed il Partito Democratico americano – e perché nulla di quello contenuto nel dossier la cui fonte sembra essere Dolan sembra essere vero, compresa una dichiarazione nel dossier che Dolan ha completamente inventato.

Così, grazie alla messa in stato d’accusa di Danchenko, il pubblico ora sa che un amico dei Clinton, nella persona di Charles Dolan Jr., ha fornito a Danchenko informazioni false, che Danchenko ha poi presentato a Christopher Steele come informazioni veritiere. Steele ha poi travasato le affermazioni di Danchenko nel dossier finanziato dalla campagna della Clinton che l’ex agente del MI6 ha poi fornito all’FBI.

La discussione dell’atto d’accusa sulla relazione tra Dolan e Danchenko ha rivelato un altro dettaglio che, anche se non è importante ai fini dei crimini contestati, si rivela significativo per comprendere l’interrelazione dei molti attori che hanno spinto la bufala della collusione con la Russia – cioè, come Danchenko e Dolan si sono incontrati.


Christopher Steele
A proposito di ‘relazioni incestuose’ a Washington…

Secondo l’atto d’accusa, nel febbraio 2016 una dipendente della Brookings Institution, Fiona Hill, presenta Danchenko a Dolan. Danchenko conosceva la Hill, poiché aveva anche lavorato per il think–tank come analista della Russia dal 2005 al 2010 circa. Durante quel periodo, come il rapporto dell’ispettore generale sull’abuso dei mandati di sorveglianza FISA avrebbe rivelato in seguito, Danchenko era già sotto inchiesta per essere un potenziale agente russo.

Significativamente, la Hill ha anche presentato Danchenko a Steele, un suo amico di lunga data, nel 2010 circa. In seguito alla presentazione di Danchenko a Steele da parte della Hill, la società Orbis di Steele ha assunto Danchenko come appaltatore per vari lavori, e alla fine Danchenko è diventato il “Primary Sub-source“, la fonte primaria, del falso dossier di Steele.

La Hill ha anche parlato con Steele riguardo al suo lavoro sul dossier, incontrandosi con lui nell’ottobre 2016 quando ancora lavorava per la Brookings Institution. La Hill ha continuato a parlare con Steele anche nel 2017, dopo aver lasciato la Brookings Institution ed accettato una posizione nell’amministrazione Trump attraverso il National Security Council.

La Hill non era l’unica dipendente della Brookings collegata alla bufala della collusione con la Russia. Come Chuck Ross ha spiegato per The Daily Caller più di un anno fa, la testimonianza di Steele nella causa di diffamazione presentata contro di lui nel Regno Unito da Aleksej Gubarev, un dirigente russo di tecnologia, ha stabilito che il presidente della Brookings Institution all’epoca, Strobe Talbott, ha chiamato Steele “dal nulla nell’agosto 2016”, chiedendogli circa il suo progetto contro Trump.

Come per Dolan, le credenziali di quest’ultimo amico della Clinton sono impressionanti: ha servito come vice segretario di stato sotto il presidente Bill Clinton e nel comitato consultivo degli affari esteri del Dipartimento di Stato al tempo in cui Hillary Clinton era Segretario di Stato.

Il principale amico della Clinton alla Brookings Institution avrebbe parlato ancora con Steele. L’avvocato principale nella causa di diffamazione contro Steele ha dichiarato che Steele “ha telefonato al signor Talbott il 2 o 3 novembre 2016, e il signor Talbott ha chiesto copie dei memorandum da discutere con John Kerry ed altri funzionari del Dipartimento di Stato”. Fusion GPS ha poi fornito una copia del dossier a Talbott.


Il complotto accelera dopo le elezioni del 2016

Poi, dopo la sconfitta a sorpresa di Hillary Clinton per mano di Donald Trump nel 2016, sempre secondo l’avvocato di Steele, Steele ha scritto all’allora presidente della Brookings il 12 novembre 2016 a proposito del dossier: “Caro Strobe, so che questo non è semplice, ma abbiamo bisogno di discutere il pacchetto che ti abbiamo consegnato l’altra settimana, e prima è meglio è. Cosa ne pensi, cosa ne hai fatto, come noi (entrambi) dovremmo gestirlo e le questioni che evidenzia andando avanti, ecc.”

Talbott ha poi fornito a Fiona Hill, che era allora al Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione Trump, una copia del dossier, un giorno prima che BuzzFeed lo pubblicasse.

La testimonianza di Steele nel caso di diffamazione nel Regno Unito ha rivelato ulteriori connessioni con la Brookings Institution, con Steele che sostiene che Susan Rice, che era il consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama all’epoca, o Victoria Nuland, assistente segretario di stato di Obama, avevano informato Talbott sul lavoro che Steele stava facendo. Nella sua testimonianza, Steele ha notato che Rice e Nuland erano state colleghe di Talbott alla Brookings.

Steele ha sottolineato che Talbott era rimasto fuori dal governo per 15 anni. Poi Steele ha ribadito la sua affermazione: “Era un esperto della Russia”, riferendosi a Talbott, “È stato consultato, credo, sia dalla consigliera per la sicurezza nazionale Rice che dall’assistente segretario Nuland, entrambi i quali hanno lavorato con lui alla Brookings Institution” prima di entrare nell’amministrazione Obama. Steele ha inoltre testimoniato di aver appreso che Talbott avesse parlato sia con la Nuland che con un altro segretario di stato di Obama, John Kerry.

Una portavoce della Rice ha poi detto al The Daily Caller che era “assolutamente e completamente falso” che la Rice avesse parlato con Talbott riguardo all’indagine di Steele. Al contrario, la Nuland, che ha servito come capo dello staff di Talbott quando quest’ultimo era vice segretario di stato nell’amministrazione di Bill Clinton, ha rifiutato la richiesta di commento del The Daily Caller.


Strobe Talbott
Le connessioni della Nuland con Brookings ed il dossier Steele.

Mentre la relazione della Nuland con Talbott e la Brookings risalivano almeno agli anni ’90, durante l’amministrazione Clinton, sono rimaste attive anche nel 2016 ed oltre. Appena due anni prima che il dossier di Steele entrasse in scena, la Nuland e suo marito, Robert Kagan, che serviva come senior fellow alla Brookings, venivano descritti come “l’ultima coppia del potere americano“. Dopo l’elezione di Trump, l Nuland si è unita alla Brookings come non-resident scholar, anche se ora è tornata a lavorare ufficialmente per i Democratici come diplomatico “numero tre” dell’amministrazione Biden.

Ma già nel 2016, la Nuland lavorava per l’amministrazione Obama come assistente del Segretario di Stato. In quel ruolo, avrebbe approvato un incontro del 5 luglio 2016 tra Steele ed un agente dell’FBI. La Nuland avrebbe poi testimoniato di aver visto per la prima volta degli estratti del dossier a metà luglio del 2016.

Steele ha anche testimoniato di aver appreso come l’FBI ed il Dipartimento di Stato abbiano discusso le informazioni “fin dall’inizio”, e che prima di incontrare l’FBI a Londra, all’inizio di luglio, l’agente abbia dovuto “chiarire le sue linee con Victoria Nuland”.

Il coinvolgimento della Nuland è stato poi confermato da Jonathan Winer, un altro funzionario di alto livello del Dipartimento di Stato. Winer ha affermato di aver incontrato Steele nel settembre 2016 e di aver esaminato una copia del dossier, dopo di che ha preparato un riassunto di due pagine sulle “informazioni” di Steele e lo ha condiviso con la Nuland. La Nuland “ha indicato che sentiva che [il Segretario di Stato John Kerry] aveva bisogno di essere messo a conoscenza di questo materiale“, secondo un articolo che Winer ha scritto per il Washington Post dopo che sono emersi i dettagli del suo ruolo nello Spygate.

Il coinvolgimento di Winer non era limitato solo al dossier Steele, come si vedrà tra poco. Tornando prima alla connessione con il presidente della Brookings, Strobe Talbott, con i protagonisti. Mentre l’impegno di Talbott con Steele è ben documentato, una dichiarazione fatta da un avvocato nel corso della causa di diffamazione contro Steele solleva ulteriori questioni riguardanti le comunicazioni del presidente della Brookings con Sir Andrew Wood. Nel corso di quel caso, l’avvocato per la diffamazione ha affermato che Wood avrebbe “telefonato al signor Talbott il 2 o il 3 novembre”.

Mentre non è chiaro quali siano state le comunicazioni tra Talbott e Wood, la squadra di Durham ha sostenuto nell’atto d’accusa che il conoscente di Talbott, amico della Clinton, Charles Dolan Jr., ha notato in una e-mail che è “anche in contatto con l’ex ambasciatore britannico che conosce [Steele]”, un apparente riferimento a Sir Andrew Wood.


Victoria Nuland
Sir Andrew Wood si collega a John McCain e a James Comey

Sir Andrew Wood si rivela significativo per la storia, perché in seguito ha incontrato l’ormai defunto senatore John McCain e il suo assistente al McCain Institute, David Kramer, mentre i tre erano all’Halifax International Security Forum. Kramer ha testimoniato che, mentre erano lì, Wood li ha avesse informati entrambi del lavoro di Steele. Kramer poi volò a Londra per incontrare Steele e rivedere il dossier.

Il giorno seguente, dopo il ritorno di Kramer negli Stati Uniti, Fusion GPS ha fornito una copia del dossier di Steele al senatore John McCain. McCain l’ha poi passato all’allora direttore dell’FBI James Comey. McCain aveva anche chiesto a Kramer di informare Celeste Wallander e la Nuland. (Kramer, apparentemente di sua iniziativa, ha anche fornito una copia del dossier a diversi media).

Il briefing di Kramer sulla Nuland la collega nuovamente al dossier. Ma la Nuland non era l’unica della due connessa alla Brookings Institution: Nel corso della sua lunga carriera a Washington, Celeste Wallander aveva precedentemente servito come membro della delegazione congiunta Brookings Institution–Center for Strategic and International Studies sull’HIV/AIDS in Russia.


John McCain
Benjamin Wittes della Brookings Institution

Ancora più collegato alla Brookings era Benjamin Wittes, un senior fellow della Brookings. Wittes ha anch’egli fornito una copia del dossier a Comey, scrivendo in una e-mail: “Sto scrivendo perché un documento molto strano è passato dalla mia scrivania che può – o non può – avere implicazioni per le indagini che state conducendo”.

Benjamin Wittes, che aveva co-fondato la Lawfare che collabora con la Brookings Institution, ha poi trascorso i successivi anni, insieme ai suoi colleghi alla Lawfare, spingendo la bufala della collusione russa, facendo danni irreparabili agli Stati Uniti.

Anche dopo che l’accusa a Michael Sussman ha rivelato che la cospirazione Alfa Bank-Trump era stata ordita dalla campagna della Clinton e poi venduta all’avvocato generale dell’FBI James Baker, Wittes è rimasto impassibile nella sua difesa della notizia, definendo la storia “squallida”, ma “abbastanza tipica negli sforzi nella ricerca di qualcosa da opporre nelle campagne elettorali con una posta in gioco alta”.

La connessione Clinton-Brookings alla bufala della collusione con la Russia ha raggiunto anche il consigliere sulla politica estera di Hillary Clinton, Jake Sullivan. La settimana scorsa, Fox News ha riferito che Sullivan, che ora serve come consigliere per la sicurezza nazionale per Joe Biden, è stato identificato come l’innominato “consigliere per la politica estera” di Hillary Clinton nell’atto d’accusa del procuratore speciale Durham contro Sussmann.

L’atto d’accusa di Sussmann imputa all’avvocato dello studio legale Perkins Coie Jake Sullivan di aver mentito all’avvocato generale dell’FBI James Baker. Sussmann aveva informato il consigliere sulla politica estera della Clinton riguardo la storia della Banca Alfa, una banca russa con forti legami al Cremlino. Poco dopo, Sullivan iniziò a spingere quella falsa storia su tutta la stampa. Mentre Sullivan aiutava la campagna della Clinton, serviva anche come membro della “Order from Chaos Task Force” della Brookings Institution.

A partire dall’estate 2015 e fino a dicembre 2016, Sullivan ed altri membri di quella task force si sono incontrati in sette sessioni per condurre “un’immersione profonda nella politica estera degli Stati Uniti”, ha spiegato il presidente della Brookings, Talbott, nel rapporto finale pubblicato nel febbraio 2017. Tra gli altri, Talbott ha notato l’apprezzamento della task force per il tempo e gli sforzi di Fiona Hill.


Benjamin Wittes e James Comey
Brookings, Brookings, ovunque

Un’altra connessione con la Brookings precede la stesura del dossier di Steele, con la produzione, circa nell’aprile 2016, del “dossier Cody Shearer“, che rispecchiava in qualche modo alcune anticipazioni poi confluite nel successivo dossier di Steele. Cody Shearer era il cognato del presidente della Brookings Institution e diede il suo rapporto a Steele, che poi lo incluse nel suo dossier. Più tardi, lo stretto amico e faccendiere di Clinton, Sidney Blumenthal, fornì a Winer anche una copia del rapporto Shearer.

L’evento della Brookings Institution del 17 ottobre 2016 rivela un’altra interessante connessione tra il think tank liberal e David Korn. Korn, un reporter di Mother Jones, ha fatto parte di un panel presso il think tank di Washington nello stesso periodo in cui Steele gli aveva parlato del dossier. Korn avrebbe poi pubblicato una storia sul dossier il 31 ottobre 2016, mentre dava a James Baker, allora avvocato generale dell’FBI, una copia del dossier.

James Baker è lo stesso funzionario governativo preso di mira da Sussman, l’avvocato dello studio Perkins Coie, incriminato da Durham poco più di un mese fa, per aver presumibilmente mentito sul fatto che i suoi white-papers e le informazioni su Alfa Bank provenissero dal suo lavoro con un cliente. Da allora, Baker si è ufficialmente unito ai ranghi sia di Brookings che della sua affiliata, il Lawfare Institute, trasferendosi lì dall’FBI nel maggio del 2018.


Hillary Clinton
… e molto di più è probabile che arrivi.

Queste molte connessioni tra la campagna della Clinton ed il think-tank Brookings, e forse anche di più, saranno probabilmente ulteriormente esposte man mano che l’indagine dello special counsel Durham continuerà. Il miglior indizio di questo viene dal fatto che la Brookings stessa ha dato ai giornalisti amici del New York Times la notizia che Durham aveva citato in giudizio il think-tank.

Senza l’annuncio della Brookings, che riconosce l’esistenza del mandato di comparizione, la mossa di Durham per ottenere i documenti dall’organizzazione sarebbe sconosciuta al pubblico. Ma rivelando l’esistenza del mandato di comparizione, Brookings è riuscita ad inquadrare l’interesse di Durham nei documenti detenuti dal think tank come “limitato al lavoro di Danchenko”.

“Il signor Durham ha ottenuto documenti dalla Brookings Institution relativi ad Igor Danchenko, un ricercatore russo che ha lavorato lì un decennio fa”, ha riferito il New York Times ad aprile. Lo stesso articolo ha ribadito il punto, sostenendo che “Durham ha ottenuto vecchi file personali ed altri documenti relativi al signor Danchenko dalla Brookings Institution, un importante think tank di Washington, attraverso un mandato di comparizione”. “Danchenko aveva lavorato lì dal 2005 al 2010”, ha spiegato l’articolo, presentando la connessione con la Brookings come antiquata.

L’avvocato generale della Brookings, Michael Cavadel, “ha confermato il mandato di comparizione per documenti ed altri materiali sul signor Danchenko”, dicendo che nessuno dei documenti richiesti “conteneva informazioni associate ai rapporti noti come il dossier di Steele”.

Ma questo non significa che il mandato di comparizione di Durham sia limitato alle informazioni su Danchenko. Qui è importante ricordare che un gran giurì può emettere un mandato di comparizione per cercare informazioni rilevanti – il destinatario non deve essere accusato, o sospettato, di un crimine.

Date le vaste relazioni tra i vari impiegati governativi che hanno spinto la bufala della collusione con la Russia, i compari della Clinton e gli individui collegati alla Brookings Institution, sarebbe scioccante se Durham non citasse in giudizio la Brookings, cercando tutte le informazioni relative ai vari attori ed alle indagini sulla collusione russa, comprese le comunicazioni tra i vari attori della campagna della Clinton, di Brookings, del team dell’FBI Crossfire Hurricane e le squadre investigative dell’ex procuratore speciale Robert Mueller.

Cavadel, l’avvocato generale della Brookings, non ha risposto a una richiesta di commento di The Federalist. Ma se Durham continuerà a parlare attraverso le sue incriminazioni, nessun commento potrebbe essere necessario.



Questo non era un trumpiano.

Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesi
Orlando Sacchelli
17 Novembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/as ... 1637174383

Jacob Chansley, noto come lo "sciamano" dei cospirazionisti di QAnon, diventato il simbolo dell'assalto al Congresso del 6 gennaio da parte dei sostenitori di Trump, è stato condannato a tre anni e 5 mesi di prigione

Assalto al Campidoglio, Sciamano condannato a 3 anni e sei mesi

Ricordate l'uomo con il volto truccato e in testa un copricapo da vichingo che, insieme a molte altre persone, fece irruzione al Congresso degli Stati Uniti il 6 gennaio di quest'anno? Jacob Chansley, noto come lo "sciamano", è stato condannato a 3 anni e cinque mesi di carcere per l'assalto al Campidoglio. Tenuto conto del fatto che non era accusato di aggressione la condanna che gli è stata inflitta può essere considerata molto pesante, anche se è inferiore ai 51 mesi richiesti dai procuratori federali, che volevano una sentenza esemplare perché lo "sciamano" era diventato l'emblema dell'assalto alla democrazia americana.

Ma torniamo al 6 gennaio di inizio anno. Non appena le foto e i video dell'assalto iniziarono a girare, con il volto truccato e il bizzarro copricapo da vichingo Chansley divenne il simbolo di quella clamorosa protesta che, ricordiamo, vide i sostenitori di Donald Trump contestare a gran voce la ratifica della vittoria di Biden alla presidenziali di Novembre 2020. Dopo essersi seduto alla scrivania di Mike Pence aveva lasciato un messaggio: "È solo questione di tempo, la giustizia sta arrivando".

Originario dell’Arizona e vicino al movimento cospirazionista QAnon, a febbraio Chansley aveva iniziato lo sciopero della fame protestando perché in carcere non era previsto un menù vegano. A marzo, invece, aveva rilasciato un’intervista che aveva adirato non poco il giudice distrettuale Royce Lamberth. A settembre, infine, si era dichiarato colpevole di un solo capo d’accusa, ostacolo a procedimenti ufficiali, per aver preso parte all’assalto.

La condanna di oggi è la più dura inflitta ad un partecipante alla rivolta, insieme a quella (sempre di 41 mesi) decisa la scorsa settimana per Scott Fairlamn, un ex lottatore Mma che ha ammesso di aver aggredito un agente di polizia. Il terzo rivoltoso finora arrivato a sentenza, Paul Hodginks, ha subito una condanna ad otto mesi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:32 am

Adam Schiff, il Democratico teorico della cospirazione che promosse il dossier Steele ed il Russiagate
Byron York’s Daily Memo – Quando Adam Schiff amava il dossier Steele
22 novembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ussiagate/

Il marzo del 2017 è stato un “periodo inebriante” per i teorici della cospirazione di Trump con la Russia. Il crollo della loro impresa era ancora a due anni di distanza, quando Robert Mueller, il procuratore speciale in cui riponevano le loro speranze di far cadere il presidente Donald Trump, annunciò che dopo un’intensa indagine non poteva stabilire alcuna cospirazione o coordinamento tra la campagna di Trump e la Russia nelle elezioni del 2016. Il loro imbarazzo totale era a più di quattro anni di distanza, quando un altro procuratore speciale, John Durham, avrebbe rilasciato i risultati che dimostravano non solo che la loro teoria era sbagliata, ma ridicolmente sbagliata – se una teoria che ha fatto così tanti danni alla politica americana possa essere chiamata “ridicola”.

Ma nel marzo del 2017, tutto questo era ancora davanti a noi. Era il momento per i Democratici di celebrare la scoperta di “intelligence” più scottante nella mente di tutti: il Dossier Steele, la raccolta di accuse contro Donald Trump redatta dall’ex spia britannica Christopher Steele, commissionata e pagata dalla campagna di Hillary Clinton e dal Comitato Nazionale Democratico.

Il 20 marzo, la commissione di Intelligence della Camera aveva tenuto un’audizione sui tentativi della Russia di influenzare la corsa presidenziale americana del 2016. I testimoni erano James Comey e Michael Rogers, rispettivamente i capi dell’FBI e della NSA di allora. Gran parte dell’interrogatorio di quel giorno – da parte dei Democratici – si concentrò sul dossier.

Ciò che i legislatori Democratici avevano detto allora sembra surreale oggi, dato tutto quello che è successo. Ma guidati dal rappresentante Adam Schiff, il membro di minoranza – la commissione era ancora controllata dai Repubblicani e dal rappresentante Devin Nunes, all’epoca – i Democratici hanno ripetutamente prestato credibilità al dossier. Lo hanno preso molto, davvero molto, sul serio. E questi non erano conduttori o commentatori della MSNBC o della CNN. Erano membri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti che avevano delle autorizzazioni speciali per trattare i segreti della nazione. E hanno diffuso disinformazione, a destra e a manca.

La disinformazione è iniziata con la dichiarazione di apertura di Adam Schiff, facendo riferimento ad una teoria contenuta nel dossier che coinvolgeva l’ex consigliere di basso livello della campagna di Trump, Carter Page, e l’ex capo della campagna di Trump, Paul Manafort.

“Secondo Christopher Steele, un ex ufficiale dei servizi segreti britannici che è tenuto in grande considerazione dai servizi segreti degli Stati Uniti”, aveva detto Adam Schiff, “fonti russe [di Steele] dicono che Page ha… avuto un incontro segreto con Igor Sechin, amministratore delegato del gigante russo del gas, Rosneft. Si dice che Sechin sia un ex agente del KGB ed un amico intimo di Vladimir Putin. Secondo le fonti russe di Steele, a Page vengono offerte commissioni di intermediazione… su un accordo che coinvolge una quota del 19% della società. Secondo Reuters, la vendita di una quota del 19,5% di Rosneft avviene in seguito con acquirenti sconosciuti e commissioni di intermediazione sconosciute. Inoltre, secondo le fonti russe di Steele, alla campagna [di Trump] sono stati offerti documenti dannosi per Hillary Clinton che i russi avrebbero pubblicato attraverso uno sbocco che dava loro la possibilità di negare, come WikiLeaks. I documenti violati sarebbero stati offerti in cambio di una politica dell’amministrazione Trump che deenfatizzasse l’invasione della Russia in Ucraina e che si concentrasse invece sulla critica ai paesi della NATO per non aver pagato la loro giusta quota… Secondo Steele, è stato [Paul] Manafort a scegliere [Carter] Page per fare da tramite tra la campagna di Trump e gli interessi russi“.

In primo luogo, non credete a chi dice che i Democratici non abbiano fatto un grande affare con il Dossier Steele. L’hanno fatto, a partire dal primo democratico della commissione intelligence della Camera. E secondo, era tutto falso. Non c’era nessun accordo sulla Rosneft. Non c’era nessun 19%. Non c’era nessun accordo per scambiare il fango sulla Clinton con una politica più morbida sulla Russia. E Paul Manafort non ha scelto Carter Page come “eminenza grigia” per questi accordi inesistenti.

Ma Adam Schiff non si è certo fermato qui.

“È una coincidenza”, si era chiesto un momento dopo, “che la società russa del gas, Rosneft, abbia venduto una quota del 19% dopo che [Steele] è stato informato da fonti russe che a Carter Page era stato offerto un compenso per un affare di quelle dimensioni? È una coincidenza che le fonti russe di Steele abbiano anche affermato che la Russia aveva rubato documenti dannosi per il Segretario Clinton che avrebbe utilizzato in cambio di politiche filo-russe?” Niente di tutto ciò era vero.

La deputata democratica Jackie Speier aveva anche citato l’inesistente accordo Rosneft-Carter Page, riferendosi specificamente al dossier. E il suo collega, il democratico Joaquin Castro, aveva preso la palla al balzo. “Voglio prendermi un momento per parlare del dossier di Christopher Steele”, aveva detto Castro. “Il mio obiettivo oggi è quello di esplorare come molte affermazioni all’interno del dossier di Steele sembrino essere sempre più accurate“. Affermando che la Russia avesse scambiato informazioni compromettenti con la campagna di Trump, Castro ha continuato: “Il dossier sembra sicuramente giusto su questi punti. Una relazione quid pro quo sembra esistere tra la campagna di Trump e la Russia di Putin”. Castro ha continuato a citare più voci del dossier. Le ha citate una dopo l’altra.

Anche il rappresentante democratico Andre Carson era salito a bordo. “Il dossier scritto dall’ex agente del MI6 Christopher Steele sostiene che Trump ha accettato di mettere da parte l’interventismo russo come una questione della campagna, che è effettivamente una priorità per Vladimir Putin”, ha detto Carson. “C’è molto nel dossier che deve ancora essere provato, ma sempre più spesso, come sentiremo nel corso della giornata, le accuse risultano verificate. E questa sembra essere la più accurata che ci sia”. Tranne che non lo era.

James Comey e Michael Rogers, rispettivamente i capi dell’FBI e della NSA di allora, avevano rifiutato di commentare qualsiasi speculazione sul dossier dei Democratici. Se Comey avesse parlato, avrebbe potuto dire ai legislatori che proprio in quel momento gli investigatori dell’FBI stavano disperatamente cercando – non riuscendoci – di corroborare le affermazioni contenute nel dossier. Stavano scoprendo ciò che l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowitz e, più tardi, John Durham, avrebbero scoperto poi: Le “fonti” di Steele venivano per lo più da un uomo, Igor Danchenko, che lavorava al think tank liberal di Washington Brookings Institution, in alcuni casi trasmettendo le accuse mosse da un attivista democratico nella cerchia della Clinton, Charles Dolan, che passava pettegolezzi e cose che leggeva sui giornali come informazioni provenienti da “fonti vicine a Trump”.

Alla luce delle rivelazioni del procuratore speciale John Durham, Adam Schiff ha affrontato un raro interrogatorio pubblico sulla promozione che aveva fatto del dossier. È andato, tra tutti i posti, a The View, in cui l’ospite, Morgan Ortagus, un ex funzionario dell’amministrazione Trump, ha detto a Schiff: “Hai difeso e promosso e persino letto nel verbale del Congresso il Dossier Steele. E sappiamo che la fonte principale è stata incriminata dall’FBI per aver mentito sulla maggior parte delle affermazioni chiave di quel dossier. Ha qualche riflessione sul suo ruolo nell’aver promosso tutto questo al popolo americano?

Si è scoperto che Adam Schiff ha fatto alcune riflessioni, ed è arrivato alla conclusione che non aveva fatto nulla di sbagliato. “All’inizio dell’indagine sulla Russia, ho detto che ogni accusa avrebbe dovuto essere indagata”, ha detto. “Non potevamo sapere, per esempio, che le persone stavano mentendo a Christopher Steele“.

Adam Schiff ha poi sostenuto che la mancanza di credibilità del dossier non dovrebbe essere usata “come una cortina fumogena per schermare in qualche modo la colpevolezza di Donald Trump” nella questione della collusione con la Russia. “Nessuna di questa grave e cattiva condotta è in alcun modo sminuita dal fatto che la gente abbia mentito a Christopher Steele”, ha detto Schiff.

Alla fine, è troppo semplice liquidare l’affare del dossier dicendo: “la gente ha mentito a Christopher Steele”. Sì, le “fonti” di Steele gli hanno fornito accuse inventate. Ma perché Steele, presumibilmente il “maestro delle spie”, le ha accettate così acriticamente? Perché potevano aiutare a far cadere Donald Trump. Questo era più importante del fatto che fossero vere o meno.

La cosa importante da ricordare è infatti che le fonti avevano detto a Steele quello che lui voleva sentire. E poi Steele, attraverso il suo dossier, ha detto ai suoi capi nella campagna della Clinton e nel Comitato Nazionale Democratico quello che volevano sentire. E poi lo stesso dossier ha mostrato ad alcuni funzionari chiave dell’FBI quello che volevano vedere. Che poi hanno indicato ad Adam Schiff quello che voleva indicare. Che poi ha riportato a Rachel Maddow e a molti altri nei media quello che volevano riportare. E così via.

Il dossier era così importante perché sembrava soddisfare i desideri di così tante persone.

Per quanto sia brutto, è probabile che il pubblico non conosca ancora tutti i pro e i contro della storia del dossier. Altre informazioni potrebbero arrivare da John Durham.

Ma sappiamo la cosa più importante che c’è da sapere sul dossier: se si scava a fondo, non c’è niente. Ecco perché l’Adam Schiff del 2021 non ama particolarmente che gli si ricordi l’Adam Schiff del 2017, che aveva cercato di vendere al pubblico un documento che nemmeno lui, ora, può più difendere.



SCOPERTO: Adam Schiff ha falsificato delle prove contenute nei messaggi di testo presentati alla Commissione sul 6 gennaio
17 gennaio 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... 6-gennaio/

Il rappresentante Adam Schiff, Democratico della California, sembra aver falsificato le prove che aveva citato all’udienza di lunedì sera della Commissione sul 6 gennaio, proprio come aveva infamemente fatto durante l’indagine per l’impeachment del presidente Donald Trump nel 2019.

Il comitato stava discutendo sulla sua mozione per raccomandare che l’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows fosse tenuto in disprezzo dal Congresso per aver rifiutato di consegnare informazioni su cui Donald Trump ha esercitato il privilegio dell’esecutivo. (La Camera al completo ha votato per dichiarare in disprezzo Meadows martedì e lo ha deferito al Dipartimento di Giustizia che dovrà formulare l’accusa).

Il “Disprezzo del Congresso” si ha quando un individuo interferisce intenzionalmente con l’azione del Congresso, che ha il potere di trattenere tali individui dall’interferire con le sue azioni. È una forma di disprezzo simile al disprezzo delle Corti di Giustizia.

The Federalist riferisce, tuttavia, che Schiff ha falsificato i messaggi di testo che ha presentato alla commissione, alterando il testo e creando la falsa impressione attraverso una presentazione visiva di stare citando messaggi di testo originali piuttosto che sue invenzioni.

Sean Davis riferisce:

Durante un’udienza lunedì sera sulla rivolta al Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio 2021, Adam Schiff ha affermato di avere la prova che un membro del Congresso abbia inviato un messaggio all’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows per istruire l’ex Vice Presidente Mike Pence su come rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020.

Non solo Schiff ha travisato la sostanza del messaggio di testo e la sua fonte, ma ha anche falsificato i messaggi di testo originali, che sono stati ottenuti e visionati da The Federalist nella loro interezza.

Un messaggio, che Schiff ha attribuito ad un legislatore Repubblicano, è stato falsificato per leggerci:

Il 6 gennaio 2021, il Vice Presidente Mike Pence, come presidente del Senato, dovrebbe dichiarare tutti i voti del Collegio Elettorale che ritiene incostituzionali come non espressi.

Ha citato il messaggio come argomento per costringere Meadows a testimoniare e per condannarlo al disprezzo del Congresso.

Ma il messaggio originale proveniva dall’ex ispettore generale del Dipartimento della Difesa, Joseph Schmitz, che aveva redatto e riassunto gli argomenti legali che il Rappresentante Jim Jordan, Repubblicano dell’Ohio, aveva trasmesso a Meadows. Il testo originale comprendeva anche un allegato di una bozza di documento Word di quattro pagine redatta da Schmitz che dettagliava il suo parere legale che suggeriva come Mike Pence avesse l’autorità costituzionale di opporsi alla certificazione dei voti elettorali presentati da una manciata di stati. Il pezzo che Schmitz aveva inviato a Jordan è stato pubblicato sul sito everylegal.vote il giorno dopo ed includeva anche la stessa intestazione “DISCUSSION DRAFT” e la stessa marca temporale sul documento che Schmitz aveva inviato a Jordan.

“Buona fortuna per domani!” Schmitz inviò un messaggio a Jordan la sera del 5 gennaio, includendo il documento Word come allegato. Schmitz ha poi inviato a Jordan un riassunto di tre paragrafi del suo documento Word.

Adam Schiff ha tralasciato lo scambio completo e lo ha attribuito a Jim Jordan. Il messaggio originale infatti recitava:

Il 6 gennaio 2021, il Vice Presidente Mike Pence, come presidente del Senato, dovrebbe dichiarare tutti i voti del Collegio Elettorale che ritiene incostituzionali come non espressi – in conformità con la guida del Padre Fondatore Alexander Hamilton ed i precedenti giudiziari.

“Nessun atto legislativo”, ha scritto Alexander Hamilton nel Federalist Papaer n. 78, “contrario alla Costituzione, può essere valido”. La Corte nella sentenza Hubbard vs. Lowe ha rafforzato questa verità: “Che uno statuto incostituzionale non sia affatto una legge è una proposizione non più aperta alla discussione”. 226 F. 135, 137 (SDNY 1915), appello respinto, 242 U.S. 654 (1916).

Seguendo questa logica, un elettore incostituzionalmente eletto, come una legge od uno statuto incostituzionalmente emanato, non è affatto un elettore.

Adam Schiff ha omesso le parti in grassetto, che vedete qui sopra, che si riferivano ad una effettiva base legale per respingere il voto dei Grandi Elettori negli stati contestati. Come riportato da The Federalist:

“Nella sua dichiarazione e nel grafico sullo schermo, Adam Schiff ha cancellato i due paragrafi finali e la clausola finale del primo paragrafo del messaggio di testo prima di inserire una punteggiatura che non c’è mai stata, il tutto senza rivelare ciò che stava facendo. L’immagine mostrata da Adam Schiff, che è stata falsificata per sembrare uno screenshot originale, è stata similmente falsificata, in quanto comprendeva dei contenuti che non sono mai stati nel messaggio originale ed ha eliminato contenuti che lo erano.

“Qualcuno è sorpreso che Adam Schiff stia di nuovo rovistando tra i messaggi di testo privati e raccogliendo informazioni per adattarli alla sua narrativa di parte e seminare disinformazione?” ha chiesto il portavoce di Jordan, Russell Dye.

La Commissione della Camera sui fatti del 6 gennaio ha poi ammesso mercoledì di aver falsificato un messaggio di testo tra Jim Jordan e Mark Meadows, Esattamente come è stato riportato da The Federalist.

Adam Schiff e la sua squadra hanno una lunga storia di manipolazione e fabbricazione di prove per mostrare i loro nemici politici sotto la peggiore luce possibile.

Ha ripetutamente falsificato delle prove durante le indagini. Nel 2019, all’udienza di apertura dell’indagine della Commissione d’Intelligence della Camera sul Presidente Donald Trump, aveva falsificato una conversazione tra Trump ed il presidente ucraino Zelenskyy.

Quando venne scoperto, Schiff aveva cercato di sostenere di stare semplicemente recitando una “parodia”, piuttosto che creare una falsa impressione nel pubblico.

Più tardi, negli argomenti davanti al Senato nel processo di impeachment di Trump, Adam Schiff ha falsificato, di nuovo, un’altra citazione di Trump a Zelenskyy.

Anche il collega Democratico Jamie Raskin, membro della commissione sul 6 gennaio, aveva falsificato le prove contro Donald Trump quando aveva citato la bufala del “very fine people” pronunciata sugli scontri di Charlottesville nel secondo processo per l’impeachment di Trump. La difesa di Trump aveva poi demolito quella bufala.



Il comitato sul 6 gennaio ha fabbricato delle prove, dicendo che Trump avesse aspettato 187 minuti per fare appello alla pace. In realtà sono stati 25

The Federalist
18 dicembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -stati-25/

La repubblicana del Wyoming Liz Cheney è andata contro l’ex presidente Donald Trump nella sua performance in prima serata di lunedì, sostenendo che i messaggi privati dello staff del presidente avessero rivelato un leader apatico e complice della rivolta al Campidoglio mentre l’attacco si svolgeva.

“La violenza era evidente a tutti – è stata coperta in tempo reale da quasi tutti i canali di notizie”, ha detto la Cheney, il vicepresidente del comitato ristretto scelto dalla presidente della Camera Nancy Pelosi per indagare sugli avvenimenti del 6 gennaio. “Ma, per 187 minuti, il presidente Trump ha rifiutato di agire quando l’azione del nostro presidente era richiesta, anzi essenziale, e dovuta dal suo giuramento alla nostra Costituzione”.

Il ritardo di 187 minuti di Trump per intraprendere a qualsiasi azione, ha aggiunto, è stata una “suprema negligenza del dovere“.

Ma un esame effettivo degli eventi della giornata, tuttavia, non mostra alcun ritardo del genere.

Secondo una cronologia dettagliata dei disordini redatta dal New York Times, l’edificio del Campidoglio non è stato violato fino alle 14:13. La cronologia è stata confermata dal Washington Post, che ha riportato la prima irruzione alle 14:15.

Il primo tweet di Trump che ha affrontato lo sconvolgimento in coso è seguito poco dopo, alle 14:38, quando il presidente ha fatto un appello alla pace, scrivendo:

Per favore rispettate la nostra polizia del Campidoglio e le forze dell’ordine. Sono veramente dalla parte del nostro Paese. Restate pacifici!

Circa 30 minuti dopo, Trump si è rivolto nuovamente ai manifestanti, sempre su Twitter.

Sto chiedendo che tutti al Campidoglio degli Stati Uniti rimangano pacifici. Nessuna violenza!

Ricordate, NOI siamo il partito della legge e dell’ordine – rispettate la legge e i nostri valorosi uomini e donne in divisa. Grazie!

Ha scritto il presidente.

Alle 16:17 Trump ha pubblicato un video su Twitter in cui esortava i rivoltosi a tornarsene a casa, un messaggio che è stato prontamente soppresso su tutta la piattaforma.

Come Liz Cheney sia giunta alla conclusione dei 187 minuti di ritardo non è chiaro.

Ma anche se si fa partire il cronometro dal momento in cui Trump ha finito il suo discorso sul prato nei pressi della Casa Bianca, alle 13:10, i disordini nei pressi del Campidoglio erano già in corso da circa 20 minuti.

Durante il suo discorso, Donald Trump ha esplicitamente invitato i presenti a protestare “pacificamente“.

L’ufficio della Cheney non ha risposto alle richieste di The Federalist.

Questa non è la prima volta che Liz Cheney o il Comitato sul 6 gennaio sono andati contro il presidente Donald Trump e gli elettori Repubblicani fabbricando o diffondendo di fake news.

Nell’estate del 2020, l’anno delle elezioni, Liz Cheney è stata uno dei principali diffusori della falsa notizia delle taglie messe dei russi ai danni dei militari americani, dove si sosteneva che Trump avesse minimizzato l’aggressione del Cremlino per accelerare i tempi del ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Liz Cheney non si è mai scusata.

Alla stessa udienza di lunedì in cui Liz Cheney si è inventata la sua personale linea temporale sulla rivolta del Campidoglio, il rappresentante Adam Schiff, Democratico della California, ha dato pubblica lettura dei messaggi di testo tra il rappresentante repubblicano dell’Ohio Jim Jordan e l’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, che The Federalist ha rivelato essere stati fabbricati.

Il Comitato sul 6 gennaio ha poi confermato la segnalazione di The Federalist ed ha ammesso che i messaggi erano stati falsificati. “Il Comitato ristretto è responsabile e si rammarica dell’errore“, ha comunicato un portavoce.



Tucker Carlson: Liz Cheney vi sta mentendo sul 6 gennaio
A Liz Cheney non importa dei suoi elettori, lei vuole diventare presidente.
Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione del 14 Dicembre 2021 di “Tucker Carlson Tonight”.
18 dicembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... 6-gennaio/

Se vivete a Manchester, nel New Hampshire, prima di tutto, congratulazioni, è davvero un bel posto. Ma secondo, abbiamo pensato di darvi una spiegazione per quello che potreste aver appena visto. Quindi, se vivete lì ed il mese scorso avete pensato di aver visto Liz Cheney vagare per il centro di Manchester, No, non avete avuto un’allucinazione. Liz Cheney era lì. E questo è piuttosto strano se ci pensate. Non molte persone vanno a Manchester, nel New Hampshire, a novembre, quindi probabilmente non era una vacanza di famiglia. Né è probabile che Liz Cheney ci sia andata per caso. Manchester è a otto ore di macchina dalla sua casa nei sobborghi di Washington e, più precisamente, è anche a otto ore dagli studi della CNN nel centro di Washington, dove lei si reca più spesso di quanto la maggior parte di noi vada in chiesa, e con molta più riverenza.

Manchester è anche, non che le importi, a più di 2.000 miglia dal Wyoming. Questo è lo stato che si suppone lei rappresenti al Congresso degli Stati Uniti.

Quindi la domanda è: cosa stava facendo Liz Cheney a Manchester, nel New Hampshire, e naturalmente, c’è solo una risposta possibile. Liz Cheney intende candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti.

Ora, se questo vi suona demenziale, Sì, esatto, è perché lo è, ma è anche reale. Ora, vi starete chiedendo, se Liz Cheney si candidasse alla presidenza, su cosa esattamente si candiderebbe? “Non le piace Trump”. OK, ma quale sarebbe il suo programma? Conosciamo la risposta a questo perché a Liz Cheney interessa solo una cosa e l’ha sempre fatto, ed è iniziare guerre inutili in paesi lontani. Più la guerra è inutile, più è lontana, meglio è. Far cantare i contadini fa sentire Liz Cheney potente. È stata la grande causa della sua vita.

Ma bisogna chiedersi se molti elettori sono d’accordo con lei su questo? C’è un massiccio elettorato a livello nazionale d’accordo con altre invasioni dell’Iraq? Abbiamo visto i sondaggi su questo, e in una parola, No. Non c’è un massiccio gruppo di elettori a livello nazionale favorevole alle idee in politica estera di Liz Cheney. Proprio il contrario, infatti. Le persone che vivono fuori da Washington non sostengono altre guerre inutili che non servono a nulla per gli Stati Uniti o per i loro interessi fondamentali. Non sono ansiosi di mandare i loro figli a morire per l’Ucraina orientale, e la ragione per cui non lo sono è che l’hanno già fatto. Hanno combattuto molte guerre come questa perché Liz Cheney ha detto loro di farlo e ne hanno avuto abbastanza.

Eppure, apparentemente, Liz Cheney è l’ultima persona a non saperlo. Non ne ha letteralmente idea. Crede di avere una possibilità di ottenere la nomination repubblicana alla presidenza, e ci crede abbastanza fervidamente da volare fino a Manchester, nel New Hampshire, a metà novembre. Quindi cosa possiamo concludere da questo comportamento? Non guardando a quello che dice, ma a quello che fa? L’unica risposta è che Liz Cheney sta delirando. Sta vivendo su un altro pianeta, e su quel pianeta con lei c’è quella classe dirigente del Partito Repubblicano che sta svanendo. Le persone che hanno smesso di valutare la realtà stanno avendo nuovi pensieri di qualsiasi tipo sulle cose per come erano intorno al 2003. Quella è l’epoca a cui sono rimasti congelati nell’ambra.

E quelle persone stanno inviando a Liz Cheney tonnellate di denaro, enormi quantità di denaro, perché vogliono che si candi come presidente. La Cheney ha raccolto milioni di dollari, solo quest’anno, in parte da comitati di azione politica gestiti da Mitt Romney e Mitch McConnell, e, inutile dirlo, da Lindsey Graham. A quanto pare, tutti questi geni pensano che Liz Cheney abbia delle buona possibilità di diventare presidente.

Così, Liz Cheney è il Jeb Bush di questo ciclo, che, tra l’altro, le ha anche dato dei soldi, perché è ovvio che l’abbia fatto. Ora dovreste sapere che nessuna di queste persone, e sono le stesse persone che si sentono perfettamente autorizzate a darvi lezioni su cosa sia conservatore e cosa no, nessuna di queste persone ha detto una sola parola sulla performance di Liz Cheney alla Commissione sul 6 gennaio della Camera dei Rappresentanti. Quella commissione ora sta cercando di cacciare e distruggere chiunque sia a destra di Adam Kinzinger, che è anche lui nella commissione, e dovremmo dirvi che scoppia ancora in lacrime abbastanza spesso.

Il Comitato sul 6 gennaio è diventato la versione americana di un processo in stile sovietico, spettacolare ed esagerato. Non la pensate così? Beh, guardatelo voi stessi su C-SPAN? Arrivate alle vostre conclusioni. Noi vi diciamo questo: Il comitato sul 6 gennaio si è in qualche modo attribuito il potere di sequestrare le comunicazioni personali dei suoi nemici politici e poi renderle pubbliche. Gli argomenti sono davvero semplici: “Consegnate i vostri messaggi di testo o vi manderemo in prigione”.

Non mentiamo su questo. Lo scopo di questo esercizio non è quello di scoprire dei crimini. La commissione sul 6 gennaio non ha trovato alcun crimine, e a questo punto non troverà alcun crimine. Lo scopo è quello di danneggiare ed umiliare le persone con cui sono politicamente in disaccordo, ed è quello che stanno facendo.

Così, nel caso ve lo siate perso, Liz Cheney si è trovata con una lista di messaggi di testo da e per Mark Meadows. Meadows è stato l’ultimo capo dello staff di Donald Trump alla Casa Bianca. Ora, quei testi non mostravano alcuna prova di qualsiasi crimine. Ma dato che li aveva in mano, Liz Cheney ha pensato che potessero essere imbarazzanti per i conservatori, così li ha letti in televisione. Alcuni di quei messaggi, si è scoperto, erano di conduttori qui a Fox News, e Liz Cheney deve aver provato un piacere speciale nel leggerli.

LIZ CHENEY: “Secondo i registri, molti conduttori di Fox News sapevano che il presidente doveva agire immediatamente. Hanno mandato un messaggio al signor Meadows e lui ha consegnato quei messaggi.”

Notate la finta serietà, secondo la documentazione. Ora, prima di entrare nei dettagli di quello che c’è in quei messaggi, fate un passo indietro per un secondo e considerate quello che abbiamo appena visto. Ora viviamo in un paese dove nessuna delle vostre comunicazioni private è al sicuro dagli occhi di politici ubriachi di potere come Liz Cheney. Liz Cheney può sfruttare l’impressionante potere offerto dalla sicurezza nazionale dello stato per sequestrare i vostri messaggi di testo personali e poi leggerli al Congresso. E indovinate un po’? Non c’è niente che tu possa fare, signor cittadino. Non gli interessa.

Quindi i tuoi messaggi, di fatto il tuo diario quotidiano, ora appartengono a politici come Liz Cheney. E la domanda che tutti noi, indipendentemente da chi abbiamo votato, dobbiamo porci è: Vogliamo davvero vivere in un paese così? Beh, probabilmente No.

La privacy non è solo una cosa bella da avere, non è una preoccupazione accessoria, la privacy è moralmente essenziale. La privacy è un prerequisito per la libertà. Non si può avere la libertà senza la privacy. E questo, inutile dirlo, è lo scopo di questo spettacolo. Per farvi sapere che non abbiamo più la libertà, e che Liz Cheney è davvero al comando.

Ma la cosa più sorprendente di quello che Liz Cheney ha appena fatto, e questa è la ragione per cui si sa che questo è un processo-spettacolo, puramente politico e totalmente scollegato dalla realtà, tanto meno dalla legge, è che il messaggio di testo che ha letto era a discolpa. Non ha rafforzato il suo caso. Ha invece indebolito il suo caso.

Tre conduttori di Fox News hanno inviato messaggi a Mark Meadows, e nessuno di loro si è rallegrato di ciò che stava accadendo al Campidoglio il 6 gennaio. Infatti, erano sconvolti da ciò che stava succedendo, anche in privato, quando si suppone che nessuno stesse ascoltando. E questo non dovrebbe sorprendervi. Queste sono persone di principio, quello che dicono in pubblico non è poi così diverso da quello che dicono via SMS.

Se ricevete un messaggio da Brian Kilmeade, suona praticamente identico al Brian Kilmeade su Fox & Friends. Questi non sono dei falsi. Possiamo confermarlo personalmente. Che vi piacciano o meno, sono sinceri.

Quindi, i conduttori di Fox News in TV e in privato si sono opposti alle rivolte di BLM nell’estate del 2020. I conduttori di Fox News si sono opposti alla rivolta a Capitol Hill nel gennaio 2021. Si scopre che i conduttori di Fox News si oppongono alle rivolte. A tutte le rivolte. Non importa di chi è la rivolta. E siamo gli unici conduttori di notizie negli Stati Uniti d’America che lo fanno. Gli altri canali aspettano di vedere per chi hanno votato i rivoltosi e poi rispondono di conseguenza, come avrete notato.

Così i messaggi che Liz Cheney ha letto ad alta voce erano un omaggio alle persone che li hanno scritti, ma poiché è una bugiarda, Liz Cheney ha tentato di trasformare questi messaggi nella prova di una qualche sorta di cospirazione. Parte della storia dell’insurrezione, che, tra l’altro, sta diventando molto vecchia. Se il 6 gennaio è stata un’insurrezione, crederemo a qualsiasi cosa, ma dove sono le prove di questo?

Liz Cheney ha dimostrato che anche solo un Repubblicano di spicco negli Stati Uniti d’America abbia tramato per rovesciare il governo degli Stati Uniti? Beh, No, non l’ha fatto. Nemmeno uno. Come nel caso dell’accusa a Kyle Rittenhouse, Liz Cheney sta dimostrando inavvertitamente la tesi dell’imputato, e naturalmente sta mentendo. Lo stanno facendo tutti. L’intero comitato sul 6 gennaio sta mentendo, e non stanno nemmeno mentendo molto abilmente, negli ultimi giorni, quasi un anno dopo l’accaduto. Il record è stabilito. Conosciamo i fatti, i Democratici hanno continuato a sostenere, contrariamente ai fatti, che molte persone sono state uccise al Campidoglio il 6 gennaio.

Sandy Cortez, che ha una qualche sorta di potere sulla società americana, ha scritto che “138 sono stati feriti, quasi 10 i morti” in quello che ha chiamato “l’attacco terroristico al Campidoglio“. Nel frattempo, Ayanna Pressley del Massachusetts ha detto all’America che la citazione dell’insurrezione “ha portato grandi traumi, ferite e perdite di vite umane“.

Davvero “grandi perdite di vite umane”? Chi sono tutte queste persone morte? Potete essere un pò più specifici? Ayanna Pressley? AOC? Comitato sul 6 gennaio? No. Non possono perché stanno mentendo. Solo una persona è stata uccisa intenzionalmente il 6 gennaio. Chi era? Beh, era una sostenitrice di Trump. Si chiamava Ashli Babbitt, ed è stata colpita al petto senza preavviso da una delle guardie del corpo di Liz Cheney. Questi sono i fatti su cui stanno mentendo.

Quindi come potete fidarvi di una commissione del Congresso che dice bugie così evidenti? Non si può. Eppure la Casa Bianca ha avallato tutto questo. Joe Biden stesso sostiene, sulla base di nessuna prova, che il 6 gennaio è stato un’esplosione di suprematismo bianco.

JOE BIDEN, ad ottobre: “Stiamo affrontando le macchie di ciò che rimane – la profonda macchia che incombe sull’anima della nazione: odio e suprematismo bianco. […] L’insurrezione violenta e mortale sulla Capitale di nove mesi fa riguardava, a mio parere, il suprematismo bianco.”

Quindi questa è solo una pessima politica razziale. A proposito, questo è successo ad ottobre, quando sapevamo già tutti i fatti. Non c’era alcuna prospettiva razziale sul 6 gennaio. Cos’è il 6 gennaio? Beh, c’è stata una distruzione di proprietà a cui ci siamo opposti totalmente. Ma cosa ha dato il motivo perché tutta quella gente fosse lì?

Beh, per la maggior parte, un anno dopo, è molto chiaro che il 6 gennaio sia stato essenzialmente ciò che è sembrato essere. Migliaia di comuni cittadini americani, elettori, persone che credono nella nostra Democrazia molto più ardentemente di quanto Liz Cheney abbia mai fatto, sono venuti a Washington perché credevano sinceramente che la democrazia fosse stata ostacolata. Credevano che l’elezione presidenziale fosse stata ingiusta, ed hanno il diritto di crederlo, e comunque, per molti versi, avevano ragione. L’elezione presidenziale era stata ingiusta, e non c’è bisogno di entrare nel merito delle macchine per votare per capirlo.

Considerate i fatti di cui siamo a conoscenza. Con l’avvicinarsi del giorno delle elezioni, Verizon, T-Mobile e AT&T hanno bloccato le capacità della campagna di Trump di inviare messaggi di testo e poi Google, e questo non è mai stato riportato, ma è ampiamente noto, Google ha impedito alla campagna di Trump di raccogliere fondi attraverso Gmail. Non ci sono precedenti per questo. La campagna per la rielezione di Trump ha perso milioni di donazioni. Questo è stato il punto di partenza.

Così, le aziende più potenti del pianeta Terra, pesantemente regolate dal governo e che beneficiano di contratti governativi, si sono messe dietro a Joe Biden ed hanno cercato di ostacoare Donald Trump, il presidente in carica, sul suo cammino.

È giusto? È questa la Democrazia di cui Liz Cheney vi dà sempre lezioni? Onestamente, qual è la risposta? Queste sono domande legittime. Invece di rispondere, Liz Cheney ha spinto per gettare i manifestanti in prigione. OK, se qualcuno ha infranto la legge, punite quella persona. Questo vale per gli attivisti di BLM tanto quanto per quelli di QAnon. Siamo per l’applicazione della legge in modo giusto ed equo. Ma pensiamo anche che, mentre lo fate, se una massa di persone si presenta arrabbiata al Campidoglio, dovreste almeno fermarvi un secondo se credete nella Democrazia e chiedervi “per cosa sono arrabbiati? Forse dovremmo affrontare le loro preoccupazioni”.

Ma Liz Cheney non lo farà. E queste non sono le uniche domande a cui non vuole rispondere. Ecco alcune delle altre domande a cui non risponderà. Chi è la persona vestita di nero che ci hanno detto aver lanciato petardi per tutto il Campidoglio la notte prima del 5 gennaio? Quella persona, l’attentatore pazzo, era al cellulare. Bene, questo è interessante perché secondo le accuse penali che abbiamo visto, i federali hanno usato la geolocalizzazione dei cellulari per arrestare decine di persone che erano presenti il 6 gennaio. Ma non questa persona. Non hanno trovato questa persona. Non hanno nemmeno identificato questa persona. Hanno smesso di parlare di questa persona. Perché? Liz Cheney?

E, già che ci siamo, ecco un’altra domanda. Qual era esattamente il ruolo di Ray Epps nel caos del 6 gennaio? Lo chiediamo perché Ray Epps è in video sia il 5 gennaio che il 6 gennaio, mentre incoraggiava la gente ad entrare nell’edificio del Campidoglio, cioè ad infrangere la legge federale. E mentre lo dice in questo video, noterete che la gente nella folla lo identifica immediatamente come un “federale”.

RAY EPPS, IL 5 GENNAIO: “Dobbiamo andare dentro al Campidoglio. […] Sto per dirlo, probabilmente andrò in prigione per questo, Ok? Domani dobbiamo andare al Campidoglio! Al Campidoglio!”

“Cosa? No!” (Federale! Federale! Federale! È un Federale!)

RAY EPPS, IL 6 GENNAIO: “Ok gente, spargete la voce. Appena il presidente ha finito di parlare, andiamo al Campidoglio. Il Campidoglio è in questa direzione.”

Beh, è incredibile. Sentite, noi non siamo procuratori, ma per gli standard del 6 gennaio, se date un’occhiata a ciò per cui la gente ha passato un anno in prigione, questo sembra un crimine. Ray Epps ha incoraggiato altri a violare il Campidoglio.

Eppure, per quanto ne sappiamo, Ray Epps non è stato perseguito e nemmeno messo sotto accusa. Voglio dire che effettivamente non l’hanno fatto. Diteci se sapete qualcosa di diverso. Liz Cheney?

Ma se non l’hanno fatto, come mai? I rappresentanti hanno avuto qualche contatto con le forze dell’ordine federali prima che il Campidoglio fosse preso d’assalto il 6 gennaio? Liz Cheney ci ha chiamato “anti-patriottici” per aver fatto questa domanda. Ma non è una domanda anti-patriottica. E’ una domanda legittima e molto diretta. E i cittadini americani hanno il diritto di conoscere la risposta, ma Liz Cheney non vuole rispondere. Perché?

Le abbiamo chiesto di venire al nostro programma e spiegare. Ha rifiutato, ovviamente, perché è una codarda. La maggior parte dei neocon lo sono. Ma finché Liz Cheney non risponde a questa domanda fondamentale, non c’è motivo di stare al gioco della sua farsa. Non c’è certamente alcuna ragione per cui qualsiasi cittadino americano dovrebbe anche solo considerare di consegnare dei messaggi di testo personali a lei o al Comitato del 6 gennaio. Se hanno intenzione di mentirci e nascondere informazioni essenziali al pubblico, non c’è motivo di partecipare, non importa quello che dicono.

FoxNews.com




CI RISIAMO! Il Comitato sul 6 gennaio non trova prove ed allora getta in pasto all’opinione pubblica altre prove alterate
Il Comitato sul 6 gennaio scoperto nuovamente a travisare un altro messaggio di testo inviato a Mark Meadows.
Washington Examiner
20 dicembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -alterate/

Ancora un altro esempio di un membro del Comitato che indaga sul 6 gennaio che ha travisato un secondo messaggio di testo inviato all’ex capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows è emerso venerdì, 17 dicembre.

Il rappresentante Jamie Raskin, un Democratico del Maryland, ha descritto erroneamente un messaggio inviato a Meadows che parlava di una strategia per “ribaltare i risultati delle elezioni del 2020” come proveniente da un legislatore della Camera.

Fonti anonime hanno detto alla CNN che si trattava, come ha detto l’emittente, di “un errore involontario“, ed una “fonte del deputato Raskin ha detto che il deputato ha appreso dell’errore questa settimana dalla CNN ed ha ammesso l’errore con il suo staff“.

Il deputato Raskin ha scritto una lettera di correzione, secondo l’articolo della CNN, che ha osservato come il Comitato sul 6 gennaio abbia rifiutato di rilasciare commenti sull’autore effettivo del testo.

Raskin ha citato il messaggio di testo durante il dibattito per la messa in disprezzo da parte del Congresso di Mark Meadows dopo che aveva smesso di collaborare con l’indagine del comitato sulla rivolta del Campidoglio.

QUI c’è una STRATEGIA AGGRESSIVA: Perché non possono (sic) gli stati della Georgia, della Carolina del Nord e della Pennsylvania ed altri stati controllati dai Repubblicani dichiarare che questa sia una stronzata (dove ci sono cause in corso e le elezioni non sono state chiamate quella notte) e semplicemente mandare i loro elettori a votare o farli andare alla Corte Suprema
recita il messaggio.

L’articolo della CNN afferma che i membri del Comitato sul 6 gennaio credono che l’autore sia il segretario all’energia di Trump, Rick Perry, che era anche l’ex governatore del Texas, ma un suo portavoce ha negato che il testo fosse suo.

Un legislatore della Camera che aveva già confermato di aver inviato un messaggio di testo a Meadows, pi ottenuto dal Comitato sul 6 gennaio, è il rappresentante Jim Jordan, un Repubblicano dell’Ohio, dopo che è stato rivelato che il rappresentante Adam Schiff aveva presentato una grafica che mostrava un messaggio di testo alterato.

Il Comitato sul 6 gennaio si è scusato per “l’errore”, che consisteva nell’aver troncato il messaggio con un punto, e anche del fatto che il deputato Schiff l’abbia presentato al pubblico senza fornire il contesto completo (che trovate qui).

“Il 6 gennaio 2021, il Vice Presidente Mike Pence, come presidente del Senato, dovrebbe dichiarare tutti i voti del Collegio Elettorale che ritiene incostituzionali come non espressi” si leggeva nella grafica.

L’ufficio di Jordan ha confermato che il deputato dell’Ohio aveva inviato quel messaggio a Meadows, ma ha sottolineato che si trattava di un frammento di un messaggio “inoltrato” da un avvocato, Joseph Schmitz, che stava esprimendo un parere legale sul fatto che fosse o meno possibile ribaltare i risultati delle elezioni del 2020.

“Il 6 gennaio 2021, il vicepresidente Mike Pence, come presidente del Senato, dovrebbe dichiarare tutti i voti del Collegio Elettorale che ritiene incostituzionali come non espressi – in conformità con le indicazioni del padre fondatore Alexander Hamilton ed i precedenti giudiziari”, si legge nel testo originale dell’avvocato. “Nessun atto legislativo”, ha scritto Alexander Hamilton nel Federalist Paper n. 78, “contrario alla Costituzione, può essere valido”. “La corte in Hubbard vs. Lowe aveva rafforzato questa verità: ‘Che uno statuto incostituzionale non è affatto una legge è una proposizione non più aperta alla discussione. 226 F. 135, 137 (SDNY 1915), appello respinto, 242 U.S. 654 (1916)”.

Il testo di Schmitz del 5 gennaio continuava: “Seguendo questa logica, un elettore incostituzionalmente eletto, come una legge od uno statuto incostituzionalmente emanato, non è affatto un elettore”.

La Camera al completo ha votato martedì 14 dicembre per apporre a Meadows il disprezzo del Congresso, che ora dovrà affrontare un possibile procedimento penale da parte del Dipartimento di Giustizia.

Il “Disprezzo del Congresso” si ha quando un individuo interferisce intenzionalmente con l’azione del Congresso, che ha il potere di trattenere tali individui dall’interferire con le sue azioni. È una forma di disprezzo simile al disprezzo delle Corti di Giustizia.

Il comitato ristretto sul 6 gennaio non ha risposto ad una richiesta di commento da parte del Washington Examiner.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:32 am

IL PROBABILE RITORNO E LA NECESSITÀ DI IMPEDIRLO
Niram Ferretti
2 gennaio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

L'unico ostacolo che potrebbe impedire a Donald Trump di ricandidarsi alle presidenziali del 2024, è quello che riguarda le investigazioni ancora in corso sul suo impero immobiliare. Ma non preoccupiamoci troppo, un minuto dopo la sua eventuale e probabile decisione di candidarsi, a seguito dell'esito delle elezioni di Mid Term, che secondo i pronostici e la prassi, dovrebbero riconsegnare se non entrambe le Camere, perlomeno il Senato ai Repubblicani, pioveranno sulla sua testa varie tegole giudiziarie.
È un copione già scritto.
Il ritorno di Trump, the comeback, è l'incubo che agita i democratici, perfettamente consapevoli che Joe Biden non ha alcuna chance di potersi riconfermare presidente. Una eventuale ricandidatura di Trump, la cui presa sul GOP è ancora fortissima, e una sua possibile vittoria, vedrebbe al potere per la prima volta un presidente che non essendo stato rieletto di seguito per la seconda volta, potrà portare a termine nei quattro anni totali che gli resterebbero, il programma interrotto nei quattro anni precedenti. Con meno cautele di prima, senza più l'ansia di essere rieletto, investito dall'idea di concludere la missione che si è dato.
Sarebbe un Trump potenziato al massimo. Più hardcore. Faranno di tutto per impedire che avvenga. Abbiamo già visto di cosa sono capaci.



Tucker Carlson: La fissazione dei Democratici sul 6 gennaio rivela quale sarà la loro strategia per le midterm
6 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... e-midterm/

Perché i Repubblicani non dicono nulla in contrario?

Questo articolo è adattato dal commento di apertura di Tucker Carlson dell’edizione del 5 Gennaio 2022 di “Tucker Carlson Tonight”.

Oggi è il 5 gennaio – o, come verrà d’ora in avanti conosciuto da tutti i popoli civilizzati del mondo, il 6 gennaio. Stasera, a mezzanotte, tra poche ore, inizieremo la prima delle tante commemorazioni annuali delle orribili atrocità che hanno avuto luogo esattamente un anno fa al Campidoglio degli Stati Uniti.

Come si commemora una cosa del genere – un evento che cambia la storia, orribile da pensare, ma così significativo nella vita del paese? Il conteggio dei morti è la tradizionale unità di misura.

Quando la nazione è stata colpita da perdite inimmaginabili negli anni passati, è così che le ricordiamo: 40.000 vittime a Gettysburg. 2.400 morti a Pearl Harbor. Quasi 3.000 americani morti l’11 settembre.

Ma questo è un nuovo tempo, un’epoca diversa. Quelle metriche antiquate non funzionano più mentre osserviamo un minuto di silenzio per i caduti del 6 gennaio.

Il 6 gennaio quanti ne abbiamo avuti… beh, vediamo, in realtà c’è stata solo Ashli Babbitt. Ashli Babbitt non era un soldato dell’Unione, o un marinaio della corazzata Arizona, o un eroico pompiere che si è precipitato in una torre di uffici che stava crollando. Era solo un’elettrice di Trump. Era disarmata. È stata colpita a morte senza preavviso da un agente di polizia di Capitol Hill in una storia ben documentata di quello che è stato un comportamento sconsiderato. Ashli Babbitt è stata la vittima del 6 gennaio.

Ma, onestamente, e quindi? Non si tratta di numeri, vero? Non si tratta di quante persone sono state uccise il 6 gennaio. Infatti, la lista di coloro che non sono stati uccisi quel giorno è piuttosto lunga. Include tutti i 535 membri del Congresso, così come il loro staff e l’intera stampa che era al seguito. Nessuno di loro è morto. Sono tutti ancora in giro. Ma, di nuovo, a chi importa? Non si tratta di contare i cadaveri.

Si tratta di sentimenti – di come si sentono i sopravvissuti, specialmente dei reporter che sono sopravvissuti. I sentimenti dei reporter di Washington contano molto in America. Certamente contano molto di più di come vi sentite voi in questo momento. Come vi sentite voi, come probabilmente avrete già capito, è totalmente irrilevante per chiunque. Non importa a nessuno. Ma i giornalisti di Capitol Hill? A loro importa. E sono sconvolti. Molti non si sono ancora ripresi da quello che hanno visto quel giorno. Quando si coricano per dormire la notte, le orribili immagini si ripetono in loop dietro le loro palpebre: Il tuono assordante delle raffiche di cannone. Il fumo del fuoco d’artiglieria spietato che oscura il sole. Le urla dei feriti che chiamano i loro cari, che riecheggiano come una colonna sonora demoniaca contro le pareti della hall della Speaker.

L’inferno in un posto molto ristretto.

A meno che non siate stati lì, non potete capire come sia stato. Immaginate l’offensiva del Tet, più Falluja, più la notte prima del Ringraziamento al Whole Foods. Il 6 gennaio, non potevi dire chi fosse il nemico, a meno che non abbassavi lo sguardo e vedevi che aveva comprato le scarpe in un Walmart. Allora lo sapevi. Ma per il resto, era la nebbia della guerra, amici miei.

Kasie Hunt era lì quel giorno. La Hunt è ora qualcosa che si chiama “capo analista degli affari nazionali” alla CNN. Come veterana dell’assedio del Campidoglio, la Hunt ha preso il suo profilo Twitter per dare speranza ai suoi compagni sopravvissuti. “Domani sarà dura per quelli di noi che erano lì o avevano i loro cari nell’edificio. Pensando a tutti voi e trovando la forza di sapere che non sono sola in questo….#6gennaio”

Questo è solo un tweet. Ma un giorno, bisogna che lo sappiate, perché questo è un paese pieno di speranza, la Hunt e i suoi compagni sopravvissuti al massacro insurrezionale del 6 gennaio si riuniranno in qualche modo più formale: Riunioni annuali, tenute all’ombra di un memoriale sul 6 gennaio di Washington, quello che costruiranno una volta abbattuto il Washington Monument per costruirlo. La Hunt e i grigi veterani del Washington Post e di Bloomberg News, di POLITICO, del The Daily Beast e dell’Atlantic Magazine alzeranno i loro artigli bianchi come una cosa sola, e ricorderanno come hanno ingannato la morte quel terribile giorno.

Ok, ci fermiamo. È troppo imbarazzante. Proviamo vergogna anche solo a prenderci in giro. E infatti, come questione politica, l’anniversario del 6 gennaio non è uno scherzo. È una cosa molto seria. Fingere che una protesta sia stata in realtà un colpo di stato fallito è l’intera strategia del Partito Democratico per vincere le elezioni di midterm di quest’anno. A questo punto, è tutto ciò che hanno. Governare non ha funzionato. Ecco perché il procuratore generale degli Stati Uniti, uno degli uomini più politici di Washington, ha annunciato che il Dipartimento di Giustizia continuerà a molestare e ad arrestare le persone che hanno votato per Donald Trump.

MERRICK GARLAND: “Il Dipartimento di Giustizia rimane impegnato a ritenere tutti i perpetratori del 6 gennaio, a qualsiasi livello, responsabili secondo la legge – sia che fossero presenti quel giorno o che fossero altrimenti penalmente responsabili dell’assalto alla nostra democrazia. Seguiremo i fatti ovunque ci condurranno”.

“Tutti i responsabili“. Il Dipartimento di Giustizia ha già avuto la sua più grande caccia all’uomo nella storia. John Dillinger (un famigerato gangster americano degli anni venti, n.d.r.) starà ridendo dalla sua fossa all’inferno. Quella sul 6 gennaio sorpassa nettamente quella a Dillinger, e batte anche la caccia all’uomo dopo l’11 settembre. Supera tutte le cacce all’uomo. Così la gente che stava lì a scattare foto con il telefonino è stata presa dall’FBI, alcuni di loro sono stati mandati in prigione, ma non sta ancora finendo, c’è ancora altro da fare.

Ma naturalmente, Merrick Garland non parla mai da solo. Il coro si unisce sempre a lui, perché si muovono sempre come un tutt’uno.

Frank Figliuzzi, per esempio, è stato un alto funzionario dell’FBI che ora lavora alla NBC News, ha twittato questa previsione/osservazione: “AG fa riferimento al Watergate. Capito? Merrick Garland si impegna a perseguire i sospetti del 6 gennaio a ‘qualsiasi livello'”. Un ex dirigente della NBC di nome Mike Sington ha scritto: “Non perdete la speranza, Trump potrebbe ancora essere arrestato“.

Arrestato per cosa? Immagino che non ci fosse spazio nel tweet per spiegare. Ma basta solo arrestato. Le persone cattive dovrebbero essere arrestate, questo è il punto. La cosa interessante è che ci sono un sacco di veri criminali che non hanno avuto spazio nel discorso di Garland.

Garland non ha fatto alcuna menzione del “pipe bomber” del 5 gennaio – Stiamo osservando l’anniversario del pipe bomber proprio ora. Quell’individuo è stato catturato – diremmo uomo ma non vogliamo entrare nello specifico nell’ambiente attuale – da un nastro di sorveglianza. Ha usato il suo telefono diverse volte. È tutto rintracciabile. Dov’è quella persona? Merrick Garland non ne ha parlato.

Ecco su cosa si è concentrato invece:

MERRICK GARLAND: “Abbiamo ricevuto più di 300.000 soffiate -+da cittadini comuni, che sono stati i nostri partner indispensabili in questo sforzo. Il sito web dell’FBI continua a pubblicare foto di persone in relazione agli eventi del 6 gennaio, e continuiamo a cercare l’assistenza del pubblico per identificare questi individui.”

Assicuratevi di controllare il sito web dell’FBI. Stanno pubblicando le foto, e non di persone che effettivamente lavorano per loro e che erano lì quel giorno. Non solo stanno pubblicando foto, le stanno togliendo dal sito, compresa la lista dei più ricercati. Ricordate Ray Epps? È in video diverse volte che incoraggia crimini, rivolte, violazioni del Campidoglio il 6 gennaio. Era sul sito dell’FBI. Ora è sparito. Non è stato accusato di nulla, a quanto pare. Perché? Questa è una buona domanda. Nessuno al Congresso sembra preoccuparsi, anche i senatori Repubblicani presunti conservatori.

Cosa sono impegnati a fare? Beh, sono impegnati a ripetere i punti di discussione che Merrick Garland ha preparato per loro.

SEN. TED CRUZ: “Ci stiamo avvicinando ad un solenne anniversario questa settimana ed è un anniversario di un violento attacco terroristico al Campidoglio, dove abbiamo visto le donne e gli uomini delle forze dell’ordine dimostrare incredibile coraggio, incredibile audacia, hanno rischiato la vita per difendere gli uomini e le donne che servono in questo Campidoglio.”

Siamo onesti, tutti i conservatori apprezzano Ted Cruz. Può non piacervi, ma dovete apprezzarlo. È legittimamente ritenuto intelligente, ed è una delle persone più capaci a servire al Congresso, forse la più capace. Non usa una sola parola a caso. Ogni parola che Ted Cruz usa è usata intenzionalmente, è un avvocato.

Ha descritto il 6 gennaio come un “violento attacco terroristico“. Tra tutte le cose che il 6 gennaio è stato, non è stato sicuramente un violento attacco terroristico. Non è stata un’insurrezione. È stata una rivolta? Certo, ma non è stato un “violento attacco terroristico“. Mi dispiace. Allora perché ci stai dicendo che lo è stato, Ted Cruz? E perché nessuno dei tuoi amici Repubblicani che dovrebbero rappresentare noi e tutte le persone che sono state arrestate durante questa epurazione sta dicendo qualcosa?
Che diavolo sta succedendo qui? Ci state facendo credere che il Partito Repubblicano sia inutile come sospettavamo. Non può essere vero. Rassicuraci, per favore, Ted Cruz.


IL PRESIDENTE UNITIVO
Niram Ferretti
6 gennaio 2022

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Il discorso gonfio di retorica con cui uno spompato Biden a picco nei sondaggi insieme a Kamala Harris, si rilancia nel ruolo di improbabile difensore della democrazia, ricordando l'assalto al Congresso del 6 gennaio, come una sorta di abortito Putsch, mostra come Donald Trump, mai nominato nel discorso, rappresenti ancora per l'attuale Casa Bianca la minaccia maggiore.
La demonizazzione di Trump è stata, fin dal 2015, la cifra costante dei Democratici, e oggi a un anno di distanza da una presidenza tra le più deboli e deludenti degli ultimi decenni, a Biden non resta altro che cercare di distrarre l'attenzione dalla mediocrità siderale della sua amministrazione spostandola sul "pericolo" Trump e rilanciarsi come difensore dei valori americani.
Aleggia già il fiato sul collo della assai probabile debacle che ci sarà tra un anno, quando le elezioni di Mid Term, con molta probabilità faranno perdere la maggioranza ai democratici al Senato e forse anche alla Camera, preludio dell’annuncio di Trump come candidato per le presidenziali del 2024.
I sondaggi non aiutano molto Biden tuttavia quando cerca di addobbare Trump con i panni foschi dell'eversore.
Da Il Corriere della Sera: “Il 72% degli americani ritiene che Trump non abbia responsabilità per quanto accaduto il 6 gennaio, l’80% definisce «l’assalto» una «protesta» e il 75% sostiene che anziché imparare da questo anniversario bisognerebbe semplicemente voltare pagina. Il 58% ritiene poi che l’elezione di Biden non sia stata legittima.
Si tenterà dunque, di seguire la solita via giudiziaria, copione già visto con i fallimentari impeachment e prima di essi con la fallimentare inchiesta sulle presunte interferenze russe per favorire Trump nella vittoria alle elezioni. La via giudiziaria è l’unica che se dovesse funzionare potrebbe impedire all’ex presidente di non potersi ricandidare, cosa che è, praticamente certa.
Le accuse formulate nel discorso di Biden e che quasi certamente verranno formalizzate sono che Trump non abbia fatto nulla per difendere le istituzioni e che abbia fomentato l’attacco del 6 gennaio scorso. Accuse già formulate e stantie e difficilmente dimostrabili, ma le rilanceranno senz'altro.
Biden, il presidente “unitivo” al posto del “divisivo” Trump, non solo non ha unito assolutamente nulla in un paese profondamente e irreversibilmente diviso, ma non fa che esacerbare la divisione.
Seminatore di vento, raccoglierà la tempesta che, inevitabilmente, arriverà.


La Democrazia americana non è mai stata in pericolo il 6 gennaio come vogliono far credere i Democratici
Byron York’s Daily Memo
6 gennaio 2022

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Non è insolito sentire i Democratici ed i loro alleati nella stampa e nei media dire che i rivoltosi del Campidoglio il 6 gennaio siano pericolosamente arrivati vicini a rovesciare il governo degli Stati Uniti. Quel giorno, la Democrazia americana era “appesa a un filo”, secondo Don Lemon della CNN, che stava facendo eco a sentimenti visti anche altrove nei media.

Ecco la verità. La rivolta del Campidoglio è stata un evento spaventoso e vergognoso per il quale centinaia di partecipanti – oltre 700 finora – stanno affrontando delle accuse penali. Ma non è mai arrivata nemmeno vicino a far crollare la democrazia americana. Una buona motivazione è che così tanti membri Repubblicani del Congresso hanno poi rifiutato di seguire lo sforzo dell’allora presidente Donald Trump di contestare i risultati del Collegio Elettorale.

Ci sono state quattro votazioni su queste contestazioni delle elezioni– una ciascuna sia alla Camera che al Senato sulla contestazione dei risultati in Arizona e Pennsylvania. Nessuna è arrivata nemmeno lontanamente vicino al passare.

Tutte le votazioni sono avvenute dopo che la rivolta era finita e la Camera e il Senato erano tornati a riunirsi. La Camera era guidata da una risicata maggioranza democratica, proprio come oggi, ma il Senato era ancora sotto il controllo dei Repubblicani, con il GOP che deteneva una maggioranza di 51 seggi. (Il 5 gennaio 2021, le elezioni per il Senato della Georgia, entrambe vinte dai Democratici, erano avvenute il giorno prima, e i senatori Democratici Jon Ossoff e Raphael Warnock non sarebbero entrati in parlamento fino al 20 gennaio, dopo il loro giuramento).

Al Senato, il voto sulla contestazione dell’Arizona è stato 6 a 93 – 6senatori a favore e 93 senatori contrari. Quei sei erano Repubblicani – Ted Cruz, Josh Hawley, Cindy Hyde-Smith, John Kennedy, Roger Marshall e Tommy Tuberville. Gli altri 45 Repubblicani del Senato hanno votato contro la contestazione dei risultati dell’Arizona.

Il voto del Senato sulla contestazione della Pennsylvania è stato simile: 7 a 92. I 7 Repubblicani che hanno sostenuto la mozione erano leggermente diversi – c’erano sempre Cruz, Hawley, Hyde-Smith, Marshall e Tuberville, cui si sono aggiunti Cynthia Lummis e Rick Scott . Gli altri 44 Repubblicani hanno votato contro la contestazione dei voti della Pennsylvania.

Alla Camera, si sono stati molti più Repubblicani che hanno sostenuto le contestazioni. Ma il voto sulla contestazione dell’Arizona era ancora 121 a 303. I 121 voti per la mozione erano, ovviamente, tutti Repubblicani. Ma 83 Repubblicani della Camera hanno votato comunque contro la contestazione dell’Arizona, e 5 si sono astenuti. Sulla contestazione della Pennsylvania, il voto della Camera è stato 138 a 282. 64 Repubblicani hanno votato contro la contestazione, e 7 di loro non hanno votato.

Non è ancora del tutto chiaro perché così tanti Repubblicani alla Camera abbiano scelto di sostenere le contestazioni, dato che tutti gli stati avevano certificato i loro risultati, Donald Trump aveva perso le sue varie cause contro le elezioni, e non c’erano prove definitive di irregolarità di voto abbastanza significative da cambiare il risultato in nessuno stato.

Alcuni Repubblicani sentivano di trovarsi in linea rispetto ad alcuni precedenti che erano già stati stabiliti dai Democratici. Dopo tutto, alcuni Democratici della Camera si erano anch’essi opposti alla certificazione dei risultati del Collegio Elettorale nelle ultime delle tre elezioni presidenziali vinte dai Repubblicani. Nel 2001, dopo che George W. Bush aveva vinto il riconteggio della Florida, alcuni Democratici della Camera cercarono di fermare il conteggio dei voti elettorali di quello stato. I Democratici lo hanno fatto di nuovo nel 2005, dopo che Bush aveva vinto la rielezione. E nuovamente nel 2017, dopo l’elezione di Donald Trump, alcuni Democratici si erano opposti alla certificazione. (Infatti, anche uno dei membri che oggi siede nel comitato della Camera sul 6 gennaio, il rappresentante democratico Jamie Raskin, è stato uno di quelli che si era opposto alla certificazione dell’elezione di Trump nel 2017).

Nel 2005, dopo che i Democratici avevano denunciato delle irregolarità di voto in Ohio, le obiezioni democratiche arrivarono effettivamente ad un voto da parte della Camera. Il risultato fu 31 a 267. I 31 che votarono per non includere nella conta i Grandi Elettori dell’Ohio erano, ovviamente, tutti Democratici, mentre 88 Democratici votarono contro quella contestazione . In un’indicazione di quella che forse era una mancanza di interesse per l’argomento, 80 Democratici non hanno votato. Al Senato, il voto sulla contestazione dell’Ohio fu di 1 a 74, con l’unico voto a favore della contestazione dato della senatrice democratica-prograssista della California, Barbara Boxer.

Il quadro generale: Le contestazioni ai risultati del Collegio Elettorale, a condizione che abbiano un certo supporto sia alla Camera che al Senato, devono essere votate. Questo è quello che è successo il 6 gennaio 2021. I voti alla Camera e al Senato sono stati fortemente contrari alle contestazioni mosse da Donald Trump. Quei voti contrari includevano tutti gli eletti tra i Democratici ed un gran numero di Repubblicani.
La Democrazia non era dunque appesa ad un filo. Stava, invece, lavorando.



“Il culto del 6 gennaio” – Come i Democratici vogliono demonizzare i Repubblicani per vincere
Washington Examiner
7 gennaio 2022

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Un anno fa oggi, una folla determinata ad intimidire il vicepresidente Mike Pence ed il Congresso nel tentativo di ritardare la certificazione delle elezioni presidenziali del 2020 è calata al Campidoglio dal c.d. Ellisse, un prato nei pressi della Casa Bianca dove il presidente Donald Trump aveva detto loro: “Abbiamo vinto queste elezioni, e le abbiamo vinte con una valanga di voti”.

Anche se non tutti quelli che hanno marciato sul Campidoglio quel giorno avevano intenzione di commettere violenza, molti l’hanno fatto, come dimostrano le mazze da hockey, le chiavi inglesi e le mazze da baseball viste tra la folla. Quando questi elementi violenti hanno incontrato la resistenza completamente giustificata e contenuta delle forze dell’ordine, è scoppiata una rivolta. Più di 140 agenti delle forze dell’ordine sono stati feriti, oltre 2 milioni di dollari di danni sono stati fatti all’edificio del Campidoglio, ed un manifestante è stato ucciso (Ashli Babbit, n.d.r).

Quello che è successo al Campidoglio il 6 gennaio 2021 non è stata certo una protesta pacifica. La violenza commessa quel giorno è stata assolutamente criminale, ed è per questo che gli arresti di oltre 700 rivoltosi da parte dell’FBI sono completamente giustificati, così come il perseguimento da parte del Dipartimento di Giustizia.

Il Congresso ha anche già tenuto dozzine di audizioni sulle mancanze nella comunicazione e nella governance che sono avvenute prima e durante il 6 gennaio. Questo non è un evento che è stato dimenticato o buttato sotto al tappeto. Coloro che hanno commesso violenza sono stati incriminati, e le forze dell’ordine hanno attuato riforme per assicurarsi di non essere mai più sorprese in inferiorità numerica.

Per quanto dannosa sia stata la rivolta del Campidoglio, tuttavia, troppi a Sinistra ne stanno facendo un’ossessione che inibisce il pensiero razionale.

Il comitato editoriale del New York Times, per esempio, crede che “ogni giorno è il 6 gennaio ora“.

“La Repubblica affronta una minaccia esistenziale da parte di un movimento che è apertamente sprezzante della Democrazia e che ha dimostrato di essere disposto ad usare la violenza per raggiungere i suoi fini”, dice il New York Times del Partito Repubblicano.

I redattori del New York Times hanno però apparentemente dimenticato un’intera estate di violenze da parte dei rivoltosi di Sinistra in decine di città americane, esplicitamente progettata per portare un “cambiamento politico”.

“Nell’ultimo anno, i legislatori Repubblicani in 41 stati hanno cercato di portare avanti gli obiettivi dei rivoltosi del 6 gennaio – non infrangendo le leggi ma creandole”, continua il New York Times. “Così la rivolta del Campidoglio continua nelle sedi statali di tutto il paese, in una forma incruenta e legalizzata che nessun poliziotto può arrestare e che nessun procuratore può processare in tribunale”.

Ed è così che il New York Times trasforma la reale e deplorevole violenza di pochi individui in un giorno in una condanna di quasi metà del paese per aver semplicemente partecipato al processo civile attraverso la legislazione. Ricordate i cori di “rinchiudetela” contro Hillary Clinton? Questo è ciò che i redattori del New York Times dicono ora sulle persone che non sono d’accordo con loro sulla politica. “È un peccato che non possiamo rinchiuderli tutti, legislatori e governatori inclusi, per qualcosa che qualche centinaio di persone completamente estranee hanno fatto un anno fa“.

Questa convinzione che il 6 gennaio sia una sorta di “prisma” attraverso il quale il mondo intero deve essere osservato condivide molte delle caratteristiche proprie di una setta. Si dice che gli adepti di una setta abbiano poca tolleranza verso l’ambiguità, un forte desiderio di risposte assolute, ed una mentalità pervasiva stile “noi contro loro“. C’è anche un elemento apocalittico quando questa mentalità del “ogni giorno è il 6 gennaio ora” verrà applicata anche alle elezioni future.

“Sono preoccupato che se i Repubblicani vinceranno alle elezioni di midterm, il voto come lo conosciamo in questo paese non ci sarà più“, ha detto il rappresentante democratico della California Eric Swalwell alla MSNBC questa settimana. “Questa non è solo l’elezione più importante, ma se non la facciamo bene, potrebbe essere l’ultima elezione“.

Suggerire che una vittoria repubblicana questo novembre sarà la fine della repubblica costituzionale americana è una follia, un discorso da adepto di una setta. I Democratici hanno provato a correre sulla “paura di Donald Trump” in Virginia nel 2021, ed hanno fallito. Se i Democratici vogliono correre di nuovo con questo messaggio anche nel 2022, se vogliono rendere il 6 gennaio una preoccupazione “quotidiana” anche alle prossime elezioni di midterm, allora buona fortuna.

“Un partito politico sano e funzionante affronta le sue sconfitte elettorali valutando ciò che è andato storto e raddoppiando i suoi sforzi per fare appello agli elettori la prossima volta”, si legge nello stesso editoriale del New York Times.

Ma forse lo stesso New York Times, ed il Partito Democratico che quel giornale sostiene, avrebbero davvero bisogno di guardarsi allo specchio.




Donald Trump rompe il silenzio sull’anniversario del 6 gennaio per denunciare l’incompetenza di Joe Biden
Washington Examiner
7 gennaio 2022

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L’ex presidente Donald Trump è stato insolitamente silenzioso nel primo anniversario dell’assalto al Campidoglio da parte di una folla di suoi sostenitori, prima di suggerire alla fine che i Repubblicani dovrebbero semplicemente dimenticare l’evento.

Trump ha trascorso mesi a criticare gli sforzi del comitato sul 6 gennaio per collegare le sue azioni (e quelle dei suoi consiglieri più vicini) ad un incitamento alla rivolta, che ha portato alla morte di una sostenitrice di Trump (Ashli Babbit, n.d.r.).

Aveva precedentemente annunciato di voler tenere una conferenza stampa a Mar-a-Lago a distanza di un anno, ma l’ha cancellata pochi giorni prima, e la prima dichiarazione che ha rilasciato giovedì non ha menzionato esplicitamente la rivolta, nonostante l’abbia spesso commentata nel corso dell’ultimo anno.

“A causa di una leadership inetta che ci ha dato confini aperti, incompetenza sul COVID, la perdita dell’indipendenza energetica, un esercito nel caos, una inflazione dilagante, delle elezioni corrotte ed una mancanza di prestigio mondiale, la nostra Nazione, forse per la prima volta, ha perso la sua proverbiale fiducia“, ha scritto Donald Trump.

Joe Biden non ha invece perso l’occasione per collegare direttamente Donald Trump con l’evento mentre pronunciava il suo discorso questo giovedì dal Campidoglio. Biden ha fatto riferimento all'”ex presidente” più di una dozzina di volte, ma non ha mai menzionato Trump per nome. Invece, lo ha chiamato “ex presidente sconfitto” che “ha diffuso una rete di bugie sulle elezioni del 2020”.

“Valuta il potere al di sopra dei principi perché vede i suoi interessi come più importanti rispetto all’interesse del suo paese e dell’interesse dell’America”, ha detto Joe Biden. “Perché il suo ego ammaccato conta di più per lui che la nostra democrazia o la nostra Costituzione”.

Donald Trump sembra che abbia seguito il discorso di Biden e, dopo la conclusione, ha rilasciato una seconda dichiarazione, più lunga, in cui ha nuovamente attaccato Joe Biden accusandolo di voler “distruggere la nostra Nazione con politiche insane come le frontiere aperte, la corruzione delle elezioni, le politiche energetiche disastrose, gli obblighi incostituzionali e le devastanti chiusure delle scuole” prima di rinfacciare a Joe Biden di aver usato il suo nome per “cercare di dividere ulteriormente l’America“.

“Questo teatrino politico serve solo a distrarre dal fatto che Biden ha completamente e totalmente fallito“, ha detto Donald Trump. “I Democratici vogliono appropriarsi di questa giornata del 6 gennaio in modo da poter alimentare le paure e dividere l’America. Io dico, lasciateglielo fare perché l’America sa vedere attraverso le loro bugie e polarizzazioni”.

Inoltre, Trump ha messo in discussione il perché il Comitato sul 6 gennaio “composto da politici totalmente di parte” non stia piuttosto indagando “sulle elezioni presidenziali truccate del 2020?”

“È perché non hanno le risposte o delle giustificazioni per quello che è successo. L’hanno fatta franca con qualcosa, e questo sta portando alla distruzione del nostro Paese”, ha scritto Trump. “Vogliono che tutte le conversazioni riguardanti le elezioni siano ‘cancellate’. Basta guardare ai numeri, parlano da soli. Non sono giustificabili, così i media complici la chiamano solo la ‘Grande Bugia‘, quando in realtà la ‘Grande Bugia’ è stata l’elezione stessa”.



6 Gennaio: tanto rumore per nulla.
Crisis Magazine
8 gennaio 2022

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Tratto e tradotto da un articolo di Eric Simmons, caporedattore di Crisis Magazine, che analizza il fatti del 6 gennaio 2021 che hanno favorito la narrazione dei Democratici su un episodio che è stato eccessivamente sovradimensionato.

Per gli iper-ventilati sostenitori della Sinistra anti-Trump, gli eventi del 6 gennaio 2021 rappresentano “il più grande attacco alla democrazia” nella storia americana. Secondo questa visione, i “Riots” o rivoltosi del Campidoglio sono stati devastanti per il progetto americano alla pari degli autori della Rivoluzione d’Ottobre o addirittura come gli autori del “Putsch di Monaco“. Per molti conservatori, tuttavia, il 6 gennaio è stato un tentativo da parte dei Patrioti americani di esprimere la loro frustrazione nei confronti di un governo profondamente corrotto. Era una dichiarazione della piccola gente contro le élite che ci governano.

Per me, è stato invece un grande nulla di fatto.

Mentre segniamo il primo anniversario ad un anno delle proteste del 6 gennaio, sono sicuro che vedremo molti commenti sulla stampa mainstream che parleranno con toni drammatici della tentata “insurrezione“. La riscrittura della storia è la loro specialità, dopo tutto, e l’opportunità di infangare tutti i conservatori con accuse di “tradimento” è troppo allettante per loro per lasciarsela sfuggire.

Tuttavia, quelli di noi che possono ricordare gli eventi dell’anno scorso sanno che la narrazione dell’insurrezione non ha basi di verità. Sia che crediate che i manifestanti si siano fatti strada con la forza nell’edificio del Campidoglio o che siano stati lasciati entrare, rimane il fatto che non c’è stato alcun tentativo di prendere il controllo del governo, nessun attacco a funzionari governativi, e nessuna richiesta fatta sotto la minaccia della forza – tutti gli ingredienti necessari per una vera insurrezione.

I membri del governo hanno cercato di spingere Donald Trump fuori dall’ufficio con accuse inventate ed hanno avuto un evento che hanno potuto appendere al collo di Trump mentre usciva dalla Casa Bianca.

Non pensate che la Sinistra non si stia sfregando le mani su Trump 2024 dal giorno in cui ha lasciato l’incarico. Hanno iniziato la loro campagna contro di lui sul serio dal 7 gennaio scorso, e la continueranno finché non annuncerà che non si candiderà (improbabile) o perderà alle primarie o alle elezioni generali. Il 6 gennaio è stato un regalo – indipendentemente dai fatti del giorno stesso – per chi ha bisogno di mettere in giro parole spaventose come “insurrezione”?

Ma per quanto sia facile criticare l’ossessione della Sinistra nel modellare il 6 gennaio nella propria immagine anti-Trump e anti-conservatori, quella giornata non è stata un punto culminante né per l’ex presidente né per i conservatori in generale.

Anche prima che l’elezione del 2020 fosse dichiarata dalla stampa a favore di Joe Biden, la Destra americana – sostenuta da Donald Trump e dai suoi rappresentanti come Rudy Giuliani – aveva gridato alla frode elettorale. E, ad essere onesti, non è inconcepibile che le elezioni siano state rubate dal Team di Biden. Ma Trump e i suoi rappresentanti hanno detto ai conservatori che avevano prove “definitive” di frodi. Che dovevamo solo aspettare il momento giusto perché venisse rivelata. Questo ha creato una certa frenesia nell’ambiente della Destra, e giustamente se le elezioni potevano essere veramente rubate.

Questo è qualcosa di cui non ci possiamo dimenticare: se le elezioni presidenziali del 2020 fossero state rubate, allora qualche centinaio di persone che si riuniscono nel palazzo del Campidoglio sarebbe in realtà una risposta minore ad un crimine di quella portata. Dopo tutto, un’elezione rubata sarebbe effettivamente il più grande attacco alla democrazia americana e giustificherebbe una risposta significativa.

Ma anche se Trump e la sua gente hanno insinuato, suggerito e dichiarato apertamente di poter provare la frode elettorale, in realtà non l’hanno mai fatto. Dopo essere stati portati alla frenesia, i sostenitori di Trump non hanno avuto nulla da mostrare. Milioni di americani erano disposti a considerare le prove di frode, ma non ne è arrivata nessuna. Certo, c’erano video che suggerivano la frode e sicuramente qualche maneggiamento in corso, ma una prova chiara di frode ad un livello tale da influenzare i risultati delle elezioni non è mai stata fornita, anche se è stata promessa ancora e ancora e ancora.

Dopo il 6 gennaio, Donald Trump ha rapidamente preso le distanze dalle attività che si erano svolte al Campidoglio, gettando i suoi sostenitori “sotto l’autobus” quando ha capito come lo avrebbero macchiato. Ma il danno era già stato fatto, e la Sinistra ha potuto correre con la narrazione che lo stesso Trump fosse responsabile di un’insurrezione. Anche se non era vero, aveva un sentore di verità, che è poi tutto ciò di cui la Sinistra ha bisogno.

Ecco perché alla fine penso che le proteste del 6 gennaio siano state rumorose, senza significato (e per lo più raccontate da idioti). La Sinistra vuole farne qualcosa che non è, mentre la Destra vuole dimenticare i veri problemi che l’hanno scatenata. Ma non è stata un’insurrezione e non è stata neanche una resistenza significativa nei confronti della reale corruzione del governo. Sono state poche centinaia di persone che sono entrate in un edificio e che non avrebbero dovuto, per poche ragioni se non quella di postare foto sui social.

Il 6 gennaio 2021, da qualsiasi prospettiva, non è stato il momento migliore dell’America, ma il suo ricco simbolismo con poca sostanza è forse una perfetta rappresentazione dell’America moderna.


Il Crisis Magazine è un sito cattolico diretto da Eric Sammons. Si chiama così perché la parola “crisi” deriva dal greco antico “krisis”, “decisione”. Come ci informa il sito “ogni generazione ha il suo momento di crisi, il momento in cui deve decidere. E ogni generazione ha il compito di articolare queste verità senza tempo della Fede per guidare le sue decisioni. Nel 1982, i principali intellettuali cattolici americani hanno fondato Crisis proprio per questo scopo. Ad oggi, Crisis rimane la fonte più affidabile d’America per le autentiche prospettive cattoliche su Chiesa e Stato, arte e cultura, scienza e fede. Abbiamo uno scopo, e uno solo: proclamare la regalità di Cristo su tutte le cose, in ogni momento, a tutte le nazioni”.


Che cosa è successo all’incriminazione di Donald Trump per incitamento all’insurrezione? Un nulla di fatto! Jonathan Turley
8 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -di-fatto/

Jonathan Turley è “Shapiro Professor of Public Interest Law” presso la George Washington University ed ha servito come consulente durante il processo di Impeachment al Senato. Ha testimoniato come esperto giuridico alle udienze dell’impeachment di Bill Clinton e di Donald Trump.

Si riporta la traduzione dell’articolo, adattato alla comprensione di un pubblico italiano.

Questo è il primo anniversario dalla vergognosa sommossa nell’edificio del Campidoglio. Le scene di quel giorno sono impresse nella memoria di molti di noi. Ho personalmente condannato pubblicamente il discorso di Trump mentre veniva pronunciato ed ho chiesto un voto bipartisan di censura da parte del Congresso per riconoscere una sua responsabilità per i disordini. Tuttavia, ho anche sostenuto a lungo che non c’erano prove per sostenere un’accusa penale contro Donald Trump per incitamento all’insurrezione. Eppure, un anno fa, vari esperti legali hanno dichiarato che Trump avrebbe dovuto comunque essere accusato sulla base del suo discorso e del suo ritardo nell’invitare i manifestanti a lasciare Capitol Hill. Il procuratore generale del distretto di Columbia, Karl Racine, ha annunciato addirittura di voler prendere in considerazione l’arresto di Donald Trump, Donald Trump Jr., Rudy Giuliani e del rappresentante degli Stati Uniti Mo Brooks accusandoli di incitamento. Quindi, un anno dopo, che cosa è mai successo all’incriminazione di Donald Trump?

Racine ed altri non sono stati frenati dai Repubblicani al Congresso e chiaramente erano ansiosi di preparare il caso in modo “chiaro” per l’incriminazione. Il fatto è che sono stati frenati dalla Costituzione e l’attenzione dei media sulle loro dubbie affermazioni è presto svanita come tante altre accuse “schiaccianti” che erano state evidenziate nei programmi delle notizie via cavo.

I politici e i commentatori Democratici continuano a chiedere che Trump venga incriminato. L’ex senatrice democratica Claire McCaskill, ora analista alla MSNBC, ha recentemente dichiarato che il procuratore generale Merrick Garland “passerà all’infamia come uno dei peggiori procuratori generali nella storia di questo paese” qualora l’ex presidente Trump non venisse accusato. Garland è sembrato rispondere alle pressioni questa settimana promettendo che il suo dipartimento avrebbe accusato qualsiasi responsabile “a qualsiasi livello“.

Queste tre parole hanno ravvivato le speranze di molti alla CNN ed alla MSNBC, che hanno passato quattro anni a trafficare con delle teorie sulla colpevolezza di Trump e della sua famiglia spesso infondate. Infatti, molti di quegli stessi esperti legali sono ora ricomparsi per offrire assicurazioni che Trump possa essere accora portato in gattabuia.

È tutto troppo familiare. Solo un anno fa, le reti via cavo stavano raggiungendo il massimo degli ascolti offrendo una dieta costante di storie da blockbuster che stabilivano quella che per loro era una chiara condotta criminale da parte di Trump e della sua famiglia. L’ex consigliere della Camera Norman Eisen assicurava gli spettatori che Trump stesse “colludendo in piena vista” e che il caso criminale contro di lui per ostruzione della giustizia fosse schiacciante. Il professor Richard Painter spiegava quello che per lui era uni chiaro caso di tradimento commesso da Trump. Il professor Laurence Tribe aveva dichiarato che la trascrizione fuorviante di una dichiarazione sul un incontro tenuto alla Trump Tower costituisse una manomissione dei testimoni. Tribe aveva inoltre sostenuto che ci fosse un solido caso di ostruzione alla giustizia, di violazioni elettorali criminali, di violazioni del Logan Act, e di estorsione da parte di Donald Trump e della sua famiglia. Altri hanno spiegato che Trump potrebbe essere addirittura accusato di omicidio colposo per la crisi del COVID-19.

Le stesse figure sono tornate il 6 gennaio a dichiarare che il discorso di Trump fosse sufficiente per muovere un’accusa. L’analista legale Elie Honig ha detto che “mostrerebbe volentieri a una giuria” le sue osservazioni infiammatorie e “sosterrebbe che attraversino la linea della criminalità.” Il professore Richard Ashby Wilson ha detto: “Trump ha attraversato il Rubicone ed ha incitato una folla ad attaccare il Campidoglio mentre il Congresso stava contando i risultati dei voti del Collegio Elettorale. Trump dovrebbe essere incriminato penalmente per aver incitato all’insurrezione contro la nostra democrazia”. Laurence Tribe ha dichiarato: “Quest’uomo stava incitando non solo un’azione imminente ed illegale, ma la decapitazione violenta di un ramo del governo, impedendo la transizione pacifica del potere e mettendo una folla violenta all’interno del Campidoglio mentre lui li incitava”.

Quindi cosa è successo? Anche se si assume che Trump sia stato protetto dal suo stesso Dipartimento di Giustizia, era solo una questione di giorni prima che l’Amministrazione Biden entrasse in scena e fosse pronta per nuovi procedimenti. Inoltre, il procuratore generale del Distretto di Columbia Karl Racine annunciò quella settimana di stare indagando su Trump per una possibile accusa di incitamento. Fu annunciato dai media con una copertura globale. Poi non è successo nulla.

La ragione è che il discorso in sé non era un crimine. Anzi, era libertà di parola, protetta dalla Costituzione. Sapevano che un tribunale avrebbe respinto tale accusa e, anche se avessero trovato un giudice compiacente, qualsiasi condanna sarebbe stata respinta in appello.

Nella sentenza “Brandenburg vs. Ohio“, la Corte Suprema ha stabilito nel 1969 che anche un mero appello alla violenza è protetto dal Primo Emendamento, purché non ci sia una minaccia di “imminente azione illegale o sia probabile che esso possa incitare o produrre tale azione“.

È una cosa comune per i leader politici incitare alle proteste nelle capitali federali o statali quando vengono prese leggi o azioni controverse. In effetti, nelle precedenti elezioni, anche i politici Democratici hanno protestato contro le elezioni o sfidato i voti del Collegio Elettorale al Congresso.

Il fatto è che Donald Trump non ha mai invitato alla violenza o alla rivolta. Piuttosto, ha esortato i suoi sostenitori a marciare sul Campidoglio per esprimere l’opposizione alla certificazione dei voti elettorali e per sostenere le contestazioni fatte da alcuni membri del Congresso. Ha espressamente detto ai suoi seguaci “di far sentire pacificamente e patriotticamente le vostre voci”.

Trump ha anche dichiarato: “Ora tocca al Congresso affrontare questo egregio assalto alla nostra democrazia … E dopo questo, cammineremo – e io sarò lì con voi – cammineremo … fino al Campidoglio e faremo il tifo per i nostri coraggiosi senatori e membri del Congresso uomini e donne”.

Ha concluso il suo discorso dicendo che una protesta davanti al Campidoglio aveva lo scopo di “cercare di dare ai nostri Repubblicani, quelli deboli… il tipo di orgoglio e di audacia di cui hanno bisogno per riprenderci il nostro paese. Quindi camminiamo lungo Pennsylvania Avenue”. Tali marce sono in realtà comuni – sia nelle capitali federali che in quelle statali – per protestare o per sostenere delle azioni che avvengono al loro interno.

In particolare, nel caso trattato nella sopra richiamata sentenza “Brandenburg vs. Ohio“, il leader del Ku Klux Klan Clarence Brandenburg aveva fatto riferimento ad una marcia che era stata pianificata per raggiungere il Congresso dopo aver dichiarato che “vendetta” avrebbe dovuto essere fatta per il tradimento del presidente e del Congresso. La Corte Suprema ha comunque ribaltato la sua condanna. Allo stesso modo, anche nella sentenza “Hess vs. Indiana“, la Corte ha respinto l’accusa di un manifestante che aveva dichiarato l’intenzione di occupare le strade, ritenendo che “nel peggiore dei casi, (le parole) non ammontavano a niente di più che la difesa di un’azione illegale che si sarebbe svolta in un tempo futuro ed incerto”. Nel caso “NAACP vs. Claiborne Hardware Co.” la corte ha ribaltato una sentenza contro la National Association for the Advancement of Colored People dopo che un funzionario della stessa aveva dichiarato: “Se becchiamo qualcuno di voi ad entrare in uno di quei negozi razzisti, vi spezzeremo il collo”. Questo era stato giudicato infatti come un “linguaggio iperbolico a fini esortativi”.

Questo è il motivo per cui il procuratore generale del Distretto di Columbia non ha arrestato Trump, anche dopo aver lasciato la Casa Bianca poco dopo la rivolta.

La Camera sta ancora cercando di trovare delle nuove prove che non sono state trovate dal Dipartimento di Giustizia. Nonostante abbia arrestato centinaia e indagato migliaia di persone, il Dipartimento di Giustizia non ha mai trovato alcuna “insurrezione” o “ribellione” da incriminare. Invece, la maggior parte delle persone sono state accusate di reati come la “violazione di domicilio“ o “ingresso illegale“. Alcuni hanno affrontato accuse più serie per aggressione agli agenti. Questa rimane una protesta che è degenerata in una rivolta a causa della retorica sconsiderata della manifestazione e la mancanza di preparazione da parte del Campidoglio.

Niente di tutto ciò sminuisce la responsabilità di coloro che si sono ribellati o giustifica la loro condotta. Questi individui sono stati giustamente perseguiti e sono stati condannati con pene severe per queste accuse.

Tuttavia, la Camera potrebbe ancora trovare quella prova decisiva, che in gergo si dice la “pistola fumante”, che supporti un’accusa penale contro Trump. Eppure, i media stanno pubblicizzando rivelazioni “bomba” che fanno poco per spostare l’ago della Bilancia. Per esempio, la vicepresidente Liz Cheney ha recentemente annunciato di avere la prova che Ivanka Trump avesse chiesto a suo padre di rilasciare una dichiarazione per incoraggiare i manifestanti a lasciare il Campidoglio, ma che il presidente Donald Trump avesse ancora esitato nel fare tale dichiarazione. Ma questo non è un crimine. Essere insensibili oppure lenti nel fare dichiarazioni pubbliche può renderti una cattiva persona od un cattivo presidente, ma non ti rende un vero e proprio criminale. Non si tratta di una qualche forma di inadempienza nel non compiere un’azione richiesta dalla legge. Una tale persecuzione permetterebbe di perseguire i politici per una vasta gamma di dichiarazioni anche non fatte in tempi di discordia politica. Sventrerebbe il Primo Emendamento.

Tale analisi difficilmente troverà della popolarità con ancora le immagini dei rivoltosi che rompono le finestre del Campidoglio ancora trasmesse dalle reti via cavo. In un’epoca di rabbia, uno deve essere inequivocabile e amplificato nella sua indignazione per evitare qualsiasi sospetto. Recentemente ho detto al Washington Post che un caso valido contro Trump avrebbe dovuto dimostrare che egli avesse fatto passi concreti nel permettere, anticipare o coordinare la rivolta. In tutta risposta, l’editorialista del Washington Post Jennifer Rubin (che aveva chiesto di chiudere il Partito Repubblicano e di espellerne i membri dal Congresso) ha dichiarato “Non ho idea di che cosa Turley stia parlando. Non c’è bisogno di dimostrare che Trump intendesse una rivolta. Aveva intenzione di ostacolare il Congresso. Questo è quello che @RepLizCheney stava spiegando la settimana scorsa”.

Il riferimento è al reato di “ostruzione illecita di un procedimento ufficiale“, un’accusa mossa contro alcuni rivoltosi. Tuttavia, Donald Trump non si trovava in mezzo a loro. Scambiare “incitamento” o “insurrezione” per “ostruzione” fa poco per affrontare la barriera costituzionale fondamentale. Criminalizzerebbe ancora la libertà di parola ed andrebbe contro la giurisprudenza di riferimento. Anche i Democratici hanno in passato contestato i voti del Collegio Elettorale ed hanno partecipato a proteste contro la sua certificazione. Nel gennaio 2005, la Senatrice Barbara Boxer si era unita alla ex rappresentante Stephanie Tubbs Jones per contestare la vittoria di George W. Bush sullo sfidante democratico John Kerry nello stato dell’Ohio. La Boxer sosteneva che i Repubblicani si erano impegnati nella soppressione del diritto di voto degli elettori. Molti di coloro che oggi condannano la contestazione dei Repubblicani avevano elogiato la Boxer nel 2004. Entrambe le contestazioni non rappresentano di per sé un’ostruzione del Congresso. Il fatto che Donald Trump abbia chiesto la stessa opposizione non è di per sé un’ostruzione.

Inoltre, se Trump non è legalmente responsabile per la rivolta, non è neppure legalmente responsabile per aver aspettato di appellarsi ai rivoltosi perché si fermassero. Ciò di cui la Commissione sul 6 gennaio avrebbe bisogno è la prova che Trump abbia attivamente trattenuto risorse oppure ostacolato gli sforzi per sedare la rivolta. Finora, la documentazione dimostra che il rifiuto di un grande dispiegamento della Guardia Nazionale sia stato rifiutato proprio da Capitol Hill e non dalla Casa Bianca.

Dal procuratore generale di Washington all’attuale procuratore generale degli Stati Uniti, non c’è stata scarsità di tempo o mancanza di indagini nell’ultimo anno. Sicuramente sanno dove trovare Donald Trump, che si nasconde in bella vista a Mar-o-Lago. Infatti, l’ex procuratore Rubin (che ha lodato la nomina di Garland, come ho fatto io) ha recentemente dichiarato di aver commesso un errore non avendo arrestato Trump. L’altra possibilità è che ci sia stata una volontà, ma non certo un crimine.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:33 am

È la settimana del 6 gennaio e la caccia a Donald Trump continua
Byron York’s Daily Memo
8 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -continua/

Giovedì 6 gennaio 2022 si è celebrato il primo anniversario della rivolta del Campidoglio. La Speaker della Camera Nancy Pelosi e i Democratici avevano pianificando una serie di eventi per commemorare l’occasione. Joe Biden ha tenuto un discorso. L’ex presidente Donald Trump doveva tenere una sua conferenza stampa (poi annullata). I media ne parleranno per tutta la settimana.

Ma la cosa più importante al momento in corso è il Comitato sul 6 gennaio della Camera. Soprattutto, i Democratici della Camera che hanno creato il comitato vogliono usarlo per processare Donald Trump – o, almeno, assicurarsi che gli sia legalmente proibito di ricandidarsi alla presidenza nel 2024 o, in mancanza di ciò, danneggiandolo politicamente così tanto da farlo perdere comunque anche se riuscirà a ricandidarsi.

Come conseguire questi obiettivi? Con il loro primo impeachment di Trump tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, alcuni Democratici avevano esplicitamente espresso la propria fiducia che il Presidente ne sarebbe rimasto così severamente macchiato da quell’impeachment tanto da non poter vincere la rielezione. Poi, dopo che Trump ha effettivamente perso nel novembre 2020, seguito dal suo rifiuto di accettare il risultato delle elezioni, e poi dalla rivolta del Campidoglio, speravano che un secondo impeachment avrebbe portato alla sua interdizione dal ricoprire nuovamente una carica pubblica.

Non è successo. Donald Trump rimane, al momento, il principale candidato potenziale alle primarie presidenziali dei Repubblicani del 2024.

Ed è qui che entra in gioco il Comitato sul 6 gennaio.

I membri del comitato, i Democratici più i loro alleati Repubblicani selezionati personalmente da Nancy Pelosi, Liz Cheney e Adam Kinzinger, stanno cercando una qualsiasi ragione per sostenere delle accuse penali contro Donald Trump. Sembra aspettassero una decisione da parte di Trump se attendere o meno fino a dopo le ore 16:00 del giorno della rivolta – esattamente le 16:17 – per pubblicare un video che invitava i rivoltosi a ritirarsi e a tornare a casa.

“La violenza si è svolta quel pomeriggio“, ha detto Liz Cheney il mese scorso. “Ma per 187 minuti il Presidente Trump si è rifiutato di agire“. Questi 187 minuti, a cui Cheney si riferisce spesso, sono apparentemente le tre ore e sette minuti che intercorrono tra la parte del discorso in cui Trump ha invitato i suoi sostenitori a protestare “pacificamente” al Campidoglio ed il video delle 16:17 in cui dice loro di andarsene. Durante questo periodo, contrariamente all’affermazione fatta da Liz Cheney, Trump aveva twittato due volte – una volta, alle 14:38, dicendo: “Per favore sostenete la nostra polizia del Campidoglio e le forze dell’ordine. Sono veramente dalla parte del nostro Paese. Rimanete pacifici!” e poi, alle 15:13, dicendo: “Sto chiedendo a tutti al Campidoglio di rimanere pacifici. Nessuna violenza! Ricordate, noi siamo il partito della legge e dell’ordine – rispettate la legge e i nostri grandi uomini e donne in uniforme. Grazie!” Infine, alle 16:17, Trump ha postato un video in cui ha chiesto ai rivoltosi: “Ora dovete andare a casa. Dobbiamo riportare la pace. Dobbiamo ripristinare la legge e l’ordine”.

Liz Cheney non conta quei tweet – all’epoca forse la principale modalità di comunicazione di Donald Trump – nella sua formulazione della sua teoria dei “187 minuti”. Invece, dice che il fallimento di Trump nel chiedere immediatamente e con più decisione il ripristino dell’ordine ammonti ad una “negligenza del dovere” che potrebbe essere punita dalla legge ed usata per squalificare Trump dal ricoprire nuovamente la carica di Presidente.

“Avrebbe potuto dire loro di ritirarsi“, ha detto Liz Cheney di Trump sulla ABC News domenica 2 gennaio. “Avrebbe potuto dire loro di andare a casa – e non l’ha fatto. È difficile immaginare una negligenza più significativa e più grave di questa”.

Liz Cheney ha notato che alcuni membri del Congresso, così come gli aiutanti di Trump e persino la famiglia del Presidente lo stessero esortando a fare una dichiarazione televisiva. “Qualsiasi uomo che non lo faccia… è chiaramente inadatto alla carica anche in futuro, chiaramente non potrà mai più trovarsi da nessuna parte nelle vicinanze dello Studio Ovale”, ha detto.

Liz Cheney stava solo esprimendo una sua opinione oppure delineando una strategia legale? Questa è la vera “domanda dietro la domanda” quando George Stephanopoulos della ABC le ha chiesto: “La sua mancata dichiarazione è una negligenza criminale?“

“Penso che ci siano… potenziali statuti penali che vengono in questione qui“, ha risposto la Cheney, “ma penso che non ci sia assolutamente alcun dubbio che sia stata una negligenza. E penso che una delle cose che la commissione dovrà considerare mentre stiamo esaminando una iniziativa legislativa è se avremo bisogno di pene più severe per quel tipo di negligenza del dovere”.

Osservate attentamente le parole di Liz Cheney. Dove vuole arrivare? Ecco una visione della situazione, dopo aver parlato con alcuni esperti legali e costituzionalisti di orientamento Repubblicano:

La negligenza non è un reato. Trump non può essere incriminato per negligenza. Si tratta, piuttosto, di qualcosa per cui il Congresso avrebbe potuto certamente rimuovere Donald Trump attraverso un procedimento di impeachment – ma questo non è successo. Il secondo impeachment di Trump si basava infatti su un singolo capo di accusa, che lo accusava di aver incitato alla rivolta contro il Campidoglio.

Quindi, come potrebbe il comitato sul 6 gennaio, come suggerisce Liz Cheney, invocare l’introduzione di “pene più severe” per “quel tipo di negligenza”? Certamente non per un crimine inesistente. E inoltre, la Costituzione impedisce al Congresso di approvare leggi penali che si applicano retroattivamente; i legislatori cioè non possono trasformare un atto del passato, che era legale nel momento in cui si è svolto, in un atto criminale che possa essere punibile in un secondo momento. Il Congresso non può nemmeno aumentare retroattivamente la pena per un crimine che sia già stato commesso. E, un’altra cosa: il Congresso non può approvare una legge per punire un singolo individuo, anche se questo singolo individuo è un ex presidente degli Stati Uniti.

Oltre a tutto ciò, la Commissione sul 6 gennaio non è un’inchiesta penale. Il Congresso non ha questa autorità. Il Dipartimento di Giustizia ce l’ha. Come comitato di supervisione del Congresso, il comitato sul 6 gennaio è tenuto ad avere uno “scopo legislativo“, cioè deve condurre una supervisione in modo da informare e creare una legislazione da sottoporre al vaglio del Congresso. Ecco perché Liz Cheney ha menzionato lo “scopo legislativo” di voler introdurre “pene più severe” per la “negligenza del dovere“, anche se questo sembra legalmente impossibile. Ha fatto sembrare che il comitato stia effettivamente perseguendo una sorta di “riforma legislativa“, quando in realtà sta prendendo di mira Donald Trump.

Una cosa che il comitato, e la Camera nel suo complesso, può certamente fare è redigere il c.d. criminal referral – che consiste nel raccogliere delle prove ed inviarle al Dipartimento di Giustizia con la raccomandazione che un soggetto venga indagato. Questo è il motivo per cui Liz Cheney ha menzionato delle “potenziali leggi criminali“ che potrebbero entrare in gioco.

Il Comitato sul 6 gennaio sta dunque chiaramente cercando qualsiasi prova che possa indicare che Donald Trump abbia violato qualche legge, così da poter poi chiedere alla Giustizia di perseguirlo. Per esempio, se il Dipartimento di Giustizia accusasse le persone intorno a Trump, o gli organizzatori della manifestazione del 6 gennaio, di “cospirazione”, potrebbe poi asserire che Trump stesso fosse parte attiva di quella cospirazione ed accusarlo di questo.

Finora, non abbiamo visto alcuna prova a sostegno di un argomento del genere, certamente non da parte del Comitato sul 6 gennaio. E per tornare allo “scopo legislativo” del comitato – non c’è modo che, anche se Trump fosse accusato di “cospirazione”, il Congresso possa introdurre delle nuove “pene più severe” da applicare ad una sua condotta del passato che impediscano a Trump di ricoprire nuovamente la carica di Presidente.

Oltre alla Commissione sul 6 gennaio, le forze ‘anti-Trump’ stanno cercando altri modi per tenerlo fuori dalle elezioni del 2024.

Il più significativo tentativo è quello con il 14° Emendamento della Costituzione americana, che proibisce a chiunque abbia “partecipato ad un’insurrezione o ad una ribellione [contro gli Stati Uniti], o abbia fornito aiuto o appoggio ai suoi nemici” di ricoprire una carica pubblica. (N.B. Approvato dopo la Guerra Civile, era originariamente destinato ad applicarsi solamente agli “ex funzionari confederati”). Ma per intraprendere qualsiasi azione ai sensi del 14° Emendamento, il Congresso dovrebbe prima stabilire che gli eventi del 6 gennaio costituiscano una “insurrezione o ribellione” contro il governo degli Stati Uniti, e successivamente che Trump abbia partecipato attivamente all’insurrezione. Ma non basta, una tale sentenza dovrebbe anche reggere al vaglio di un tribunale.

I Democratici la perseguiranno? Non è chiaro. Ma, come minimo, sembra che stiano progettando di usare il 14° emendamento contro alcuni membri repubblicani del Congresso. Recentemente, Marc Elias – l’avvocato democratico che sta dietro allo sporco trucco del Dossier Steele nelle elezioni del 2016 – ha twittato: “La mia previsione per il 2022: prima delle elezioni di midterm, avremo una seria discussione sul fatto che dei singoli membri repubblicani della Camera debbano essere squalificati dalla Sezione 3 del 14° Emendamento dal servire nuovamente al Congresso. Potremmo persino assistere ad un contenzioso”. Elias ha allegato il testo della parte “insurrezione o ribellione” dell’emendamento.

I Democratici possono contare su Elias se vorranno andare fino in fondo. Dopo tutto, hanno raccolto enormi benefici politici dal caso messo in piedi dal falso Dossier Steele, e lui è sempre alla ricerca di nuovi modi, che siano legittimi o meno, per far deragliare il sistema a favore dei Democratici.

Niente di tutto questo è per difendere le azioni di Donald Trump quel 6 gennaio: nelle settimane precedenti a quel giorno, ha incitato i sostenitori a credere che le elezioni fossero state rubate. Ha rifiutato di concedere, anche dopo che le sue numerose sfide legali ai risultati dei singoli stati erano fallite. Poi, quando alcuni di quei sostenitori hanno preso d’assalto il Campidoglio, avrebbe dovuto immediatamente dire loro di fermarsi e di andare a casa, proprio in quel momento. Per molte persone, le azioni di Trump nelle settimane dopo le elezioni del 3 novembre 2020 sono state vergognose e lo hanno squalificato dal servire ancora come Presidente degli Stati Uniti.

Ma questo è un giudizio politico. I Democratici danneggeranno solamente la loro causa qualora tentassero di inventare qualche crimine o di abusare della Costituzione nel tentativo di impedire legalmente a Donald Trump di ricoprire nuovamente quella carica. Gli elettori potranno deciderlo da soli.

Tuttavia, l’anniversario ad un anno di distanza dal 6 gennaio trova i Democratici, sia nel Comitato del 6 gennaio che oltre, determinati a mantenere viva la lotta. E anche se i loro schemi ‘anti-Trump’ sembra improbabile che possano funzionare in senso legale, con l’aiuto di qualche mass media comprensivo, continueranno a focalizzare l’attenzione sul 6 gennaio per tutto il 2022.

Una domanda finale: Ma le elezioni di novembre? Gli elettori sono profondamente preoccupati per l’economia, l’inflazione, il COVID-19, il crimine, l’educazione, la competenza di Joe Biden, ed altre questioni che stanno diventando sempre più difficili per i Democratici. Alcuni nel Partito sembrano pensare che fissarsi sull’anno scorso, e su un ex presidente in particolare, possa non essere il modo migliore per affrontare queste preoccupazioni. Il mese scorso, POLITICO ha riferito che i Democratici “speravano che il [comitato sul 6 gennaio] avrebbe concluso il suo lavoro questa primavera, lasciando al Partito un sacco di tempo prima delle elezioni di metà mandato per spostare l’attenzione sulle questioni ancora sul tavolo e che trovano un riscontro tra gli elettori”. Questo non accadrà.

Quindi, Sì, questa è la settimana del 6 gennaio. Ma se alcuni Democratici continueranno su questa posizione, ogni settimana del 2022 sarà la settimana del 6 gennaio. Ed allora gli elettori potranno dire la loro.



Ted Cruz fa marcia indietro dopo aver definito il 6 gennaio un “violento attacco terroristico” e dice che è stato “un errore”
Fox News
9 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... un-errore/

Tucker Carlson lo ha incalzato per aver usato impropriamente quell’espressione.

Il senatore Ted Cruz, Repubblicano del Texas, ha fatto marcia indietro giovedì dopo aver definito il 6 gennaio 2021 un “violento attacco terroristico” in un’intervista con Tucker Carlson.

Ted Cruz ha ammesso davanti al conduttore Tucker Carlson: “È stato un errore dirlo ieri”.

Durante un’udienza lo scorso mercoledì di un Comitato del Senato sulle lacune della sicurezza che si ritiene siano avvenute al Campidoglio degli Stati Uniti e che abbiano portato alla rivolta del 6 gennaio 2021, Ted Cruz aveva detto: “Ci stiamo avvicinando ad un anniversario solenne questa settimana … Ed è un anniversario di un violento attacco terroristico al Campidoglio, dove abbiamo visto gli uomini e le donne delle forze dell’ordine dimostrare un coraggio incredibile, un incredibile coraggio – rischiare la vita per il Campidoglio”.

Ted Cruz è poi apparso in una puntata di “Tucker Carlson Tonight” su Fox News giovedì, dove Tucker Carlson gli ha fatto il terzo grado per aver definito impropriamente il 6 gennaio come un “violento attacco terroristico”

“Ci sono molte persone stupide al Congresso. Tu non sei una di loro”, ha detto Tucker Carlson. “Penso che tu sia più intelligente di me, e non usi mai le parole con noncuranza. Eppure, l’hai chiamato un attacco terroristico quando secondo nessuna definizione questo è stato un attacco terroristico. Questa è una bugia. Hai detto questa bugia di proposito, e mi chiedo perché tu l’abbia fatto“.

Ted Cruz ha definito le sue osservazioni come “sciatte” e “francamente stupide“, ma Tucker Carlson gli ha risposto: “non me la bevo“.

Leggi anche: Tucker Carlson: La fissazione dei Democratici sul 6 gennaio rivela quale sarà la loro strategia per le midterm

“Beh, Tucker, grazie per avermi invitato”, ha risposto Ted Cruz. “Quando hai mandato in onda il tuo episodio ieri sera, ti ho mandato un messaggio poco dopo e ti ho detto: “Ascolta, vorrei passare oltre perché il modo in cui ho formulato le cose ieri, è stato approssimativo, ed è stato francamente stupido“.

“Non me la bevo” ha incalzato Tucker Carson esprimendo incredulità per le sue osservazioni del Senatore del Texas, ed ha poi continuato dicendo che Ted Cruz non è uno stupido e che è sempre stato magistralmente attento all’utilizzo delle sue parole, quindi non ha “comprato” la giustificazione di sciatteria del senatore repubblicano.

“Ti conosco da molto tempo, da prima che tu andassi al Senato. Eri un candidato alla Corte Suprema”, ha continuato Tuker Carlson. “Tu prendi le parole con la stessa serietà di qualsiasi uomo che abbia mai servito al Senato… Non credo che tu le abbia usate accidentalmente. Semplicemente non lo credo”.

Ted Cruz ha ribadito il suo punto, sostenendo che il suo fraseggio non fosse intenzionale, ma negligente.

“Come risultato del mio fraseggio approssimativo, ho indotto molte persone a fraintendere ciò che volevo dire. Lasciate che vi dica cosa intendevo dire. Mi riferivo a … quel numero limitato di persone che si sono macchiate di attacchi violenti contro gli agenti di polizia … Ho fatto una distinzione. Non stavo dicendo che le migliaia di manifestanti pacifici che sostengono Donald Trump siano in qualche modo dei terroristi. Non stavo dicendo che i milioni di patrioti in tutto il paese che sostengono il presidente Trump siano dei terroristi, ed è questo che molte persone hanno frainteso”.

Tucker Carlson ha incalzato dicendo che quello che aveva appena detto Cruz non aveva senso e che c’è una differenza giuridica e morale tra qualcuno che aggredisce un poliziotto ed un terrorista.

“Quindi se qualcuno aggredisce un poliziotto, dovrebbe essere incriminato ed andare in prigione. Non potrei essere più d’accordo. Lo abbiamo detto per anni, ma quella persona non è ancora un terrorista … State giocando nel campo della narrazione che viene fatta dell’altra parte che … consente loro di definire un’intero gruppo di persone come dei combattenti stranieri. E voi lo sapete. Quindi perché l’hai fatto?“

Ted Cruz ha ricordato di aver sempre ritenuto che le persone che attaccassero la polizia fossero simili a dei terroristi: “L’ho fatto più e più volte”.

Infine ha ammesso che la sua dichiarazione di mercoledì era stata “un errore“.

Tucker Carlson ha ribattuto: “Penso di non crederti… perché ho tanto rispetto per la tua acutezza e la tua precisione, e l’ho vista messa in pratica. Ti ho seguito come giornalista. So come parli, e sei rimasto seduto lì per un anno e hai visto la gente usare un certo linguaggio per distorcere gli eventi di quel giorno“.

Nella chiusura del segmento, Ted Cruz ha detto: “Ho usato quella parola per le persone che aggrediscono violentemente i poliziotti. Ho usato quella parola nel 2020 per i terroristi di Antifa e del BLM che hanno assalito i poliziotti ed incendiato le auto della polizia, ma sono d’accordo che è stato un errore usare quella parola ieri, perché i Democratici e i media l’hanno troppo politicizzata. Stanno cercando di dipingere tutti come dei terroristi, ed è una bugia … Vogliono dipingerci come dei nazisti … Sono quello che guida la lotta in Senato contro questa spazzatura”.



La democrazia secondo i Democratici consiste nell’impedire ai Repubblicani di gareggiare…
“Distruggere una Democrazia per salvarla”: I Democratici chiedono la squalifica per decine di deputati Repubblicani
Jonathan Turley
10 gennaio 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... areggiare/

Jonathan Turley è “Shapiro Professor of Public Interest Law” presso la George Washington University ed ha servito come consulente durante il processo di Impeachment al Senato. Ha testimoniato come esperto giuridico alle udienze dell’impeachment di Bill Clinton e di Donald Trump.

Si riporta la traduzione dell’articolo, adattato alla comprensione di un pubblico italiano.

Di seguito riporto il mio articolo pubblicato su The Hill riguardo ai continui appelli per squalificare i membri Repubblicani del Congresso ed impedire loro di correre per la rielezione. Ciò che fa uscire di testa è che i gruppi ed i commentatori Democratici stanno cercando di rimuovere ben 120 Repubblicani dal processo elettorale in nome della Democrazia. È come bruciare libri in nome dell’alfabetizzazione. Eppure, in questo anniversario della rivolta del 6 gennaio, i membri del Congresso ed i gruppi Democratici vogliono fermare gli elettori dal rieleggere i loro rappresentanti preferiti. Come per i villaggi del Vietnam, sembra che alcuni membri ed attivisti Democratici credano che si debba “distruggere la Democrazia per salvarla da se stessa”.

Ecco l’articolo che ho scritto per The Hill:

Quest’anno, l’amministrazione Biden si è unita al coro di molti negli Stati Uniti nel criticare la squalifica di massa di 583 candidati alle elezioni in Iran da parte del ‘Consiglio dei Guardiani’. Le elezioni iraniane (come le elezioni in altri paesi come la Cina e il Venezuela) sono “democratiche” solo nel senso più artificioso: si può votare liberamente da una lista preselezionata di candidati.

I sistemi di squalifica elettorale sono generalmente un anatema rispetto ai valori democratici, ma alcuni negli Stati Uniti stanno ora accarezzando l’idea per le elezioni del 2022 o 2024. Anche se in maniera più modesta rispetto al modello iraniano, gli appelli dei Democratici alla squalifica sono altrettanto pericolosi. Ciò che è più esasperante è che questo sforzo antidemocratico viene mascherato da un linguaggio in apparenza democratico.

Questa settimana, l’avvocato democratico Marc Elias ha previsto che il 2022 avrebbe portato un rinnovato interesse nella squalifica dei membri Repubblicani dalla propria carica sulla base di una oscura disposizione dell’epoca della guerra civile. Elias – l’ex consigliere generale della campagna di Hillary Clinton – è una figura ben nota a Washington che ha avuto un ruolo di primo piano nell’indagine in corso del procuratore speciale John Durham. Marc Elias ha fondato un gruppo autodefinitosi “a favore della democrazia” che sfida le leggi repubblicane sul voto e che si impegna a “modellare le nostre elezioni e le istituzioni democratiche per gli anni a venire“.

Nell’era della rabbia, niente esprime meglio la democrazia come impedire alle persone di candidarsi.

Marc Elias ed altri stanno suggerendo che – piuttosto che sconfiggere i Repubblicani alle urne – i Democratici al Congresso potrebbero squalificare i Repubblicani per aver sostenuto o incoraggiato l‘”insurrezione“ del 6 gennaio. L’anno scorso, i membri Democratici hanno chiesto la squalifica di decine di Repubblicani. Uno, il rappresentante Bill Pascrell (Democratico del New Jersey) ha chiesto la squalifica di 120 Repubblicani della Camera – compreso il leader della minoranza della Camera Kevin McCarthy (Repubblicano della California) – per aver semplicemente firmato un “Friend of the Court brief” (o amicus brief) a sostegno di una causa elettorale promossa dal Texas.

Questi membri ed attivisti si sono aggrappati alla disposizione a lungo dormiente nella Sezione 3 del 14° Emendamento – la c.d. “clausola di squalifica” – che è stata scritta dopo che il 39° Congresso si riunì nel dicembre del 1865, all’indomani della Guerra Civile, quando molti dei suoi membri rimasero scioccati nel vedere Alexander Stephens, il vice presidente della Confederazione degli Stati del Sud, in attesa di prendere posto assieme ad una serie di altri ex-senatori ed ufficiali militari confederati.

Justin Reade della Corte Suprema della Carolina del Nord spiegò in seguito: “L’idea [era] che uno che aveva prestato giuramento di difendere la Costituzione e l’avesse violata, dovesse essere escluso dal prestarlo nuovamente”. Così, i membri redassero una disposizione che dichiarava che “Nessuna persona potrà essere senatore o rappresentante al Congresso, o elettore di presidente e vicepresidente, o ricoprire qualsiasi carica, civile o militare, negli Stati Uniti, o in qualsiasi altro stato, qualora, avendo precedentemente prestato giuramento, come membro del Congresso, o come funzionario degli Stati Uniti, o come membro di un’assemblea legislativa statale, o come funzionario esecutivo o giudiziario di uno Stato, di sostenere la Costituzione degli Stati Uniti, si sia impegnato in un’insurrezione o ribellione contro la stessa, o abbia dato aiuto o appoggio ai suoi nemici.”

Dichiarando la rivolta del 6 gennaio una “insurrezione“, alcuni membri Democratici del Congresso ed attivisti liberal sperano di impedire ai Repubblicani in carica di candidarsi. Persino il sostegno alle deposizioni in tribunale viene ora dichiarato un “atto di ribellione”. La presidente della Camera Nancy Pelosi ha contribuito ad alimentare questo movimento – prima ancora che il 6 gennaio si verificasse – dichiarando che i Repubblicani che avevano dato sostegno alle cause elettorali stavano “sovvertendo la Costituzione con il loro sconsiderato ed infruttuoso assalto alla nostra democrazia che minaccia di erodere seriamente la fiducia del pubblico nelle nostre più sacre istituzioni democratiche, e di ritardare i nostri progressi sulle sfide urgenti che abbiamo davanti”.

Il 6 gennaio è stata una tragedia nazionale. Ho condannato pubblicamente il discorso del presidente Trump quel giorno mentre veniva pronunciato – e ho denunciato la rivolta come una “profanazione costituzionale“. Tuttavia, non è stata trattata legalmente come un’insurrezione. Le persone accusate per il loro ruolo nell’attacco di quel giorno sono in gran parte messe di fronte ad accuse di violazione di domicilio ed altre accuse meno gravi – piuttosto che di insurrezione o di sedizione. Questo perché si è trattato di una rivolta che è stata lasciata andare fuori controllo da preparativi grossolanamente negligenti da parte della polizia del Campidoglio e dei funzionari del Congresso. Sebbene l’FBI abbia lanciato una massiccia indagine nazionale, non ha trovato prove di un’insurrezione.

Con un’infausta elezione di medio termine che si avvicina, gran parte dello sforzo tra i Democratici del Campidoglio e nei media è stato quello di mantenere viva l’inimicizia rispetto al 6 gennaio. In quello che sembrava quasi un appello speranzoso, il New York Times ha recentemente dichiarato “Ogni giorno è il 6 gennaio ora“. Ha fatto sembrare questa tragedia l’equivalente politico di quel che si dice “un negozio di Natale aperto tutto l’anno”: Ogni giorno dovrebbe comportare un nuovo regalo fatti di reminiscenza e rabbia.

L’aspetto più triste di questa politicizzazione della rivolta del 6 gennaio è che molti di noi volevano un’indagine completa, trasparente ed apolitica. I Repubblicani della Camera hanno respinto questa idea, ma rimangono molte domande a cui rispondere – cosa che non è successa. Invece, abbiamo uno sforzo per codificare la nozione di una vera insurrezione attraverso la ripetizione di un mantra.

La Costituzione fortunatamente richiede più di qualcosa che venga ripetuto più e più volte fino a diventare vera. In questo caso, richiede un’effettiva ribellione. La clausola che i Democratici stanno citando è stata creata in riferimento ad una vera guerra civile in cui oltre 750.000 persone morirono in combattimento. La Confederazione formò un proprio governo, un proprio esercito, batté una propria moneta e insediò proprie missioni diplomatiche.

Al contrario, il 6 gennaio fu una protesta che diventò poi una rivolta.

Questo non intende sminuire la legittima indignazione per quel giorno. È stato riprovevole – ma può essere definito una “ribellione” solo nel senso più retorico del termine.

Ancora più importante, anche se si adottasse una definizione pericolosamente ampia di “insurrezione” o di “ribellione“, i membri del Congresso che hanno sostenuto la contestazione dei voti elettorali (come i Democratici hanno fatto negli anni precedenti) stavano comunque esercitando la propria libertà di opinione, che è costituzionalmente protetta.

Inoltre, i Democratici non possono usare semplicemente la loro esile maggioranza come un “rasoio“ per squalificare gli oppositori, volenti o nolenti. Punizioni come le espulsioni richiedono due terzi dei voti, e qualsiasi squalifica potrà poi essere contestata in tribunale.

Infatti, non molto tempo dopo la ratifica di quella clausola nel 1869, il presidente della Corte Suprema Salmon P. Chase decise che la clausola non fosse “self-executing” – cioè immediatamente esecutiva. Suggerì che permettere al Congresso di escludere così semplicemente gli avversari politici dalla propria carica elettiva sarebbe stata una forma di punizione senza un giusto processo e che avrebbe probabilmente violato la proibizione posta riguardo ai “Bills of Attainder“.

Con il termine “Bill of Attainder” (lett. atto di disonore) si indica un atto speciale del Parlamento, tipico della tradizione anglosassone, con cui si dichiarava una persona (oppure anche un gruppo di persone) colpevole di alcuni crimini e la si puniva senza tenere un regolare processo. L’immediato effetto di questo atto era quello di annullare i diritti civili di una persona così come i suoi diritti di proprietà (che passavano quindi ai suoi eredi), nonché la perdita di tutti i titoli nobiliari e, secondo l’uso originario, anche della vita stessa. Queste tipologie di atti vennero utilizzati in particolar modo in Inghilterra dal XIV secolo al XIX secolo per portare al patibolo un gran numero di figure storiche. L’uso di questo atto da parte del Parlamento fu ad ogni modo mal digerito perché si prestava ovviamente ad ogni sorta di abusi e di violazione dei principi fondamentali – di cui i più importanti sono la separazione dei poteri ed il diritto ad avere un giusto processo. Per queste ragioni, i Bills of Attainder vennero espressamente banditi dall’Art. 1, Sez. 9, della Costituzione degli Stati Uniti (1789). [Fonte]

Mentre i Democratici spingono per ‘federalizzare‘ le elezioni e superare così le leggi in un paio di dozzine di stati, figure come Elias stanno ora suggerendo che anche i Repubblicani potrebbero essere elencati come “ribelli” ed esclusi dal voto. Il Congresso controllerebbe quindi non solo come gli stati conducono le loro elezioni, ma anche chi può apparire su tali schede.

I rinnovati appelli per le squalifiche potrebbero essere semplicemente una retorica sconsiderata, fatta in occasione dell’anniversario della rivolta. Dopo tutto, ogni giorno non sarebbe il 6 gennaio senza la dovuta rabbia. Tuttavia, è la ragione – non la rabbia – che ci serve in questo momento.

Un recente sondaggio ha mostrato che un americano su tre crede che la violenza contro il governo possa essere giustificata. Spesso sembra che alcuni vogliano scatenare una vera e propria ribellione togliendo i diritti a pezzi interi della nostra popolazione. Il fatto è che ci sono persone che trafficano e traggono profitto dalla rabbia, e noi siamo tutti più poveri per questo.





La schifezza umana di Biden e dei suoi sostenitori europei come i falsari di Repubblica


L’appello di Biden ai repubblicani: “Abbandonate Trump, è violento”
Paolo Mastrolilli
6 gennaio 2022

https://www.repubblica.it/esteri/2022/0 ... 332923080/

WASHINGTON - "Non permetterà a nessuno di mettere un pugnale alla gola della nostra democrazia". Non poteva essere più drammatico, l'attacco che il presidente Joe Biden ha lanciato contro il predecessore Donald Trump, nel primo anniversario dell'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Lo scopo non era solo difendere la Costituzione, il Paese, e riunificare gli americani intorno ai suoi valori fondanti, ma soprattutto convincere i repubblicani a ripudiare il leader che li ha trascinati nella vergogna, per impedire che torni a candidarsi nel 2024, dividere l'America, e magari incitare altre violenze allo scopo di rovesciare le sue istituzioni per riconquistare il potere.

Biden ha parlato poco dopo le nove del mattino, introdotto dalla vice Kamala Harris, nella Statuary Hall di Capitol Hill: "Per la prima volta nella nostra storia, un presidente non solo ha perso un'elezione, ma ha cercato di impedire il trasferimento pacifico del potere mentre una folla violenta violava il Campidoglio". Il capo della Casa Bianca ha detto che i sostenitori di Trump "stanno cercando di riscrivere la storia. Vogliono che voi vediate il giorno delle elezioni come quello dell'insurrezione, e la rivolta del 6 gennaio come una vera espressione della volontà del popolo. Riuscite ad immaginare un modo più contorto di guardare all'America? Io no".

Perciò è necessario ristabilire la realtà dei fatti: "Dobbiamo essere chiari su ciò che è vero e ciò che è falso. L'ex presidente ha sparso una rete di bugie sulle elezioni del 2020. Lo ha fatto perché mette il potere davanti al rispetto dei principi, considera il proprio interesse più importante di quello dell'America, e perché il suo ego ferito conta per lui più della nostra democrazia o della Costituzione. Non può accettare di aver perduto". Perciò ha scatenato gli assalitori contro il Congresso, mentre i parlamentari facevano il proprio dovere certificando la sua sconfitta, definendoli patrioti: "È questo che avete pensato, guardando la folla che saccheggiava il Campidoglio, distruggeva proprietà, defecava letteralmente nei corridoi, frugava tra le scrivanie di senatori e deputati, dando la caccia ai membri del Congresso? Patrioti? Non credo. È stata un'insurrezione armata. Non stavano cercando di sostenere la volontà del popolo, ma di negarla".

Quindi Biden ha posto l'America davanti ad una scelta: "Dobbiamo decidere se accetteremo la violenza politica come norma". Una questione fondamentale che riguarda il posto degli Usa nel mondo, dove autocrazie come Cina e Russia cercano di sfruttare il momento di debolezza e divisione per abbattere la superpotenza democratica.

Questa parte del discorso serviva a convincere cittadini di buona volontà ad unirsi alla sua "battaglia per l'anima dell'America", ma il vero obiettivo erano i repubblicani, che Biden ha accusato di tradire il partito di Lincoln, Eisenhower, Reagan e Bush, diventando complici di Trump. Peggio ancora, ora stanno approvando leggi negli stati per sopprimere il voto, o creare le condizioni per rovesciare un'eventuale nuova sconfitta nel 2024: "Non ho cercato questa battaglia, ma non mi tirerò indietro. Rimarrò in piedi su questa breccia, difenderò la nazione. Non permetterò a nessuno di mettere un pugnale alla gola della nostra democrazia".

Trump ha replicato con una dichiarazione di sfida: "Questo teatrino politico è solo una distrazione per il fatto che Biden ha completamente fallito. I democratici vogliono possedere il 6 gennaio, in modo da poter alimentare paure e dividere l'America. Lasciamoli fare, perché l'America sa vedere attraverso le loro bugie e polarizzazioni". La sfida per la democrazia Usa è ora tutta qui: quanti elettori, e soprattutto quanti leader repubblicani, saranno ancora disposti a seguire Donald sulla strada che ha portato all'assalto del Congresso. E magari ripeterlo con successo alla prossima occasione.



Alberto Pento
La vera violenza è quella di Biden e dei democratici
1) che hanno perseguitato e demonizzato Trump e i repubblicani con le calunnie e la manipolazione della giustizia;
2) che hanno sovvertito l'ordine democratico con la manipolazione delle elezioni facendo votare chi non aveva diritto perché non cittadini, facendo votare i morti, facendo votare due volte lo stesso cittadino, facendo votare chi non aveva diritto a votare perché non iscritto alle liste elettorali ...;
3) che hanno permesso e promosso la diffusione del suprematismo nero e il razzismo contro i bianchi ben sintetizzato dalla Teoria Critica della Razza;
4) che per strumentalizzazione politica hanno permesso la devastazione degli USA da parte dei BLM e degli antifa dopo la morte del delinquente abituale nero George Floyd morto per sua colpa perché si è opposto al legittimo arresto e perché strafatto di droga letale;
5) la vera violenza è quella che si vive negli stati e nelle città amministrate dai democratici dove si contano il maggior numero di omicidi, di rapine di atti violenti e dove la polizia ha le mani legate e impedite e dove i cittadini onesti sono costretti ad armarsi per difendersi.

Come dimostra il caso del giovanissimo americano Rittenhouse:

Processo Rittenhouse (giovane sostenitore di Trump che aggredito dai criminali antifa/BLM ha reagito e sparato per legittima difesa ma accusato ingiustamente di aver sparato per cattiveria e uccidere) : Il procuratore crolla e si porta le mani alla faccia dopo che il “testimone chiave” fa un’ammissione scioccante
DailyWire
10 novembre 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... cioccante/

Processo Rittenhouse: Il procuratore crolla e si porta le mani alla faccia dopo che il “testimone chiave” fa un’ammissione scioccante.

Durante il quinto giorno del processo a Kyle Rittenhouse, un “testimone chiave” dell’accusa ha ammesso che Rittenhouse gli ha sparato solo dopo aver avanzato verso di lui e avergli puntato la pistola addosso.

Nei momenti successivi alla sorprendente ammissione di Gaige Grosskreutz, la squadra dell’accusa sembra visibilmente sgonfia, con il procuratore James Kraus che crolla addirittura con la faccia nella mano. Ecco un fermo immagine del momento (vedi anche il video, sotto):

Rekieta Law, un account YouTube legale verificato con centinaia di migliaia di abbonati, ha pubblicato un video sulla reazione al processo, in diretta. Dopo il momento sorprendente, tre commentatori legali sono scoppiati in urla e sospiri di incredulità.

“Come si fa a non assolvere dopo questo?“, ha detto uno dei commentatori.

“Lui [Kyle] ha appena espirato – sembra che stia per piangere”, ha detto un altro, riferendosi all’apparente sguardo di sollievo di Rittenhouse dopo lo scambio.

Si è anche sentito dire: “Questo è il loro [dell’accusa] testimone principale, e lo stanno solo facendo a pezzi, come corvi che banchettano con i morti”.

Il Daily Wire ha riferito sullo scambio, lunedì:

Rittenhouse sparò a Gaige Grosskreutz, all’epoca 26 enne, durante una rivolta a Kenosha, Wisconsin, nell’agosto 2020. Grosskreutz, allora armato di pistola, si era avvicinato a Rittenhouse pochi istanti dopo che l’adolescente era stato attaccato da altri due ed era steso a terra. Grosskreutz ha puntato la sua arma contro Rittenhouse prima che l’adolescente, che era armato con un fucile, puntasse la sua arma da fuoco su Grosskreutz, sparando e colpendo il braccio dell’uomo.

Sotto interrogatorio da parte dell’avvocato difensore di Rittenhouse, Corey Chirafisi, Grosskreutz ha testimoniato che Rittenhouse ha sparato su di lui dopo che lui gli aveva puntato la sua pistola contro. Chirafisi ha iniziato la strategia dell’interrogatorio con un fermo immagine da un video che mostra il momento in cui Rittenhouse ha sparato a Grosskreutz, mostrando il braccio di Grosskreutz “vaporizzato”, come ha detto il testimone.

Ecco la trascrizione parziale:

Corey Chirafisi: Ora, lei è d’accordo che la sua arma è puntata sul signor Rittenhouse. Giusto?

Gaige Grosskreutz: Sì.

CC: Ok. E una volta che la sua arma è puntata verso il signor Rittenhouse, è allora che lui spara. Sì?

GG. No.

CC: Signore, guardi, non voglio – le sembra che in questo momento le stiano sparando al braccio?

GG: Sembra che il mio bicipite sia stato vaporizzato, Sì.

CC: Ok. E viene vaporizzato mentre lei sta puntando la sua pistola direttamente verso di lui. Sì?

GG: Sì.

CC: Ok. Quindi quando eri in piedi a 3-5 piedi da lui con le braccia alzate, lui non ha mai sparato. Giusto?

GG: Esatto.

CC: Non è stato fino a quando gli hai puntato la pistola, avanzando verso di lui con la tua pistola – ora con le mani in basso – puntata verso di lui che ha sparato. Giusto?

GG: Esatto.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:33 am

Steve Bannon a Trump: Fai l’opposto di quello che ti dice Lindsey Graham, vai fino in fondo alle elezioni rubate del 2020
13 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -del-2020/

Steve Bannon ha detto martedì scorso durante il suo podcast “War Room” che l’ex presidente Donald Trump ha bisogno di continuare a fare pressione ed “arrivare fino in fondo” alle elezioni del 2020.

“Parla delle elezioni ogni giorno. Arriva al cuore della corruzione in questo paese. Arriva al cuore di come stanno cercando di rubarle. Bisogna andare fino in fondo al 3 novembre, bisogna andare a fondo al laboratorio di Wuhan, e ora bisogna andare fino in fondo al 6 gennaio. Andremo fino in fondo a tutto questo. Siamo implacabili e non ci arrenderemo mai“, ha detto.

Articolo correlato via Axios: Inside Trump’s Jan. 6 cancellation – Prima che Donald Trump cancellasse la sua prevista conferenza stampa del 6 gennaio, diversi suoi alleati chiave – tra cui la conduttrice di Fox News Laura Ingraham ed il senatore Lindsey Graham – avevano dichiarato come fosse una cattiva idea invitare i media nazionali a Mar-a-Lago per parlare della rivolta.

STEVE BANNON: Non ci tireremo mai indietro. Ecco perché il presidente Trump domani dovrebbe mettersi davanti al microfono a Mar-a-Lago. Quando Lindsey Graham ti dà un consiglio, fai l’esatto contrario. Quel tipo ha torto su tutto. Fa parte del problema.

Donald Trump dovrebbe salire sul podio a Mar-a-Lago, e tutto il mondo sarà lì. Ha il comando della narrazione. Nessuno conosce i fatti meglio di Donald Trump, nessuno può fare una conferenza stampa meglio di Donald Trump.

E a proposito, se Joni Ernst e Caputo e tutti i Repubblicani, se vi dicono di non fare qualcosa, fate l’esatto contrario. Non sono tuoi amici ed alleati. Si approfitteranno della tua scia per sempre ma vi metteranno il coltello nella piaga e cercheranno di farvi fuori in un milione di modi da domenica. Non ascoltateli.

Quando Lindsey Graham vi dice di non fare una conferenza stampa, dite che la conferenza stampa durerà cinque ore. Giusto, cinque ore.

Dovresti fare una conferenza stampa ed esporre il tuo caso. Una delle cose più potenti che il presidente Trump ha detto è che l’insurrezione è avvenuta il 3 novembre, e lo stiamo vedendo. Guardate la Georgia. Nel cuore della notte… l’unico modo in cui operano è sotto la copertura della notte… sia che stiano rubando le elezioni o rubando il tuo paese.

E non mi interessa se gli piace la mia retorica o meno, possono succhiarmelo. Dovranno accettare la retorica perché il popolo americano è d’accordo con essa.

Guardate ai sondaggi. Più il popolo americano ha accesso a informazioni reali e più può pesare e misurare da solo e giudicare da se stesso… la storia dimostra che nessuno ha più buon senso del popolo americano… Il popolo americano ci mette un po’ ad arrivarci perché ha altre cose da fare nella sua vita, ma una volta che si concentra, prende sempre la decisione giusta.

E non hanno deciso a favore di Joe Biden, guardate ai numeri di oggi. Non è stata fatta alcuna due diligence su questo. Marc Elias e Bob Bauer hanno spiegato come le avrebbero rubate e poi il TIME Magazine è uscito ed ha parlato di come hanno fatto il grande furto. Vi hanno riso in faccia. Molly Ball, una grande reporter, ha riportato l’intera faccenda [The Secret History of the Shadow Campaign That Saved the 2020 Election]. Hanno messo fuori il Transition Integrity Project in estate perché sapevano che avrebbero avuto bisogno di qualche pennarello, e tutti sapevano che questo sarebbe successo e Molly Ball ne ha parlato in seguito in un articolo di copertina su TIME Magazine per sbattervelo in faccia.

Leggi anche: TIME pubblica “La storia segreta della campagna “ombra” che ha salvato le elezioni del 2020″ da Donald Trump

Indovinate un po’? Tutti gli altri hanno lasciato questa città, sono scappati, e così noi avremo 15 nuovi giudici della Corte Suprema e 10 nuovi stati, raggomitolati in posizione fetale. Noi non l’abbiamo fatto perché i Deplorables non l’avrebbero tollerato.

Non mi interessa se — Sean Hannity [dice] “non parlate mai delle elezioni“. No. Parlate delle elezioni ogni giorno. Andate al cuore della corruzione in questa o quella contea. Andate al cuore di come stanno cercando di rubare. Dovete andare fino in fondo al 3 novembre, dovete andare fino in fondo al laboratorio di Wuhan, e ora dovete andare fino in fondo al 6 gennaio. Andremo fino in fondo a tutto questo. Siamo implacabili e non ci arrenderemo mai…

STEVE BANNON: Vi faremo ingoiare la palla giù per la gola, Ok? È una spazzata di spary isolante. Sapete che stiamo arrivando. Ci impadroniremo dei consigli scolastici, ci impadroniremo dei funzionari delle elezioni, ci impadroniremo dei distretti del Partito Repubblicano.

Ecco cosa pensiamo del popolo americano che sta venendo coinvolto o che si offre volontario per questo, e non vi piace, pensate che sia terribile? Beccatevi questo, sta accadendo. Avremo una vittoria schiacciante e vi butteremo fuori di qui. Molto semplice. Bang, bang, bang…

Ascoltate, sulla Casa Bianca, un’osservazione generale. Quando il vecchio fesso viene tirato fuori e parla di catene logistiche interrotte e che Pete Buttigieg le risolverà, non c’è bisogno di mettere il molo con le navi container sullo sfondo, con lo sfondo fasullo. Il popolo americano non è come il cane di Pavlov. Non c’è bisogno di farlo. Questo è offensivo per le persone pensanti…

La gente della classe operaia non è stupida. So che li trattate come se fossero stupidi, ma non sono stupidi. Quindi smettetela con gli sfondi fasulli… Questo è per ricordarglielo e tenere su il messaggio?

Se Ron Klain pensa che sia utile, lo faccia uscire di lì prima del tramonto. Non sta funzionando per niente. Ok? La CNBC dice che non sta funzionando. Il tuo indice di disapprovazione è al 60% e questo include anche i Democratici… Stai implodendo. E ora state anche danneggiando e distruggendo il paese. Non solo con i vostri piani radicali al confine meridionale. I nostri nemici stanno guardando a tutto questo e sanno che nessuno è in casa…

Le elezioni hanno conseguenze e le elezioni rubate hanno conseguenze catastrofiche… Con questo caos sulla Autostrada 95, non si possono più percorrere le autostrade. Agli aeroporti alle prese con il Covid. Non si sa se le scuole saranno aperte.

Tiri fuori di lì [Joe Biden] e farà sentire tutti meglio. Non lo farà, aggiungerebbe solo confusione. E ora ti rendi conto che nessuno è al comando.

Jim Banks e i Repubblicani hanno annunciato oggi che faranno un loro rapporto sul 6 gennaio, faranno uscire un rapporto preliminare quest’estate e uno prima delle elezioni in autunno. Si concentrerà sui fallimenti dell’intelligence e sulla mancanza di preparazione al Campidoglio. Non ci interessa.

Ecco cosa ci interessa: L’FBI ed il coinvolgimento del DHS. Per favore, qualcuno dello staff, dia a Jim Banks il rapporto di Julie Kelly di American Greatness e gli faccia vedere Revolver News.

I primi che chiamerete a testimoniare saranno Darren Beattie e Julie Kelly.

Non dite una cosa morbida per cui la polizia del Campidoglio non fosse pronta. No. Vogliamo sapere cosa sapeva l’FBI e cosa hanno fatto fare agli informatori e agli agenti e al DHS, tutto questo. Vogliamo che il [direttore dell’FBI] Wray sia chiamato a testimoniare. Vogliamo che il DHS sia chiamato. Vogliamo che siano interrogati e che rispondano alle domande. E chiamate anche Bill Barr e tutti quei pagliacci al DOJ che stavano pugnalando Trump. Riportateli qui. Questo è quello che vogliamo.

Non datemi un rapporto sulla polizia del Campidoglio che mangia le ciambelle e che beve il caffè, sono come le guardie di sicurezza del centro commerciale. Questo non è reale. Quello che è reale è quello che è successo. Perché il Pentagono non si è accordato con la Guardia Nazionale e non ha fatto uscire le truppe quando il presidente Trump l’ha chiesto. E l’FBI e la governatrice Whitmer con i 12 informatori. Cosa sta succedendo lì?

Chiamate Julie Kelly e Darren Beattie. Non vogliamo un rapporto morbido. Sii uomo. Sii uomo, Partito Repubblicano.

Elise Stefanik, entra lì dentro e dai forza a questi ragazzi. È come la tua cosa della Cina. Se avete intenzione di abbattere il PCC, fatelo. Tagliate i mercati dei capitali, dite ai vostri donatori di smettere di dare loro soldi per prendere posti di lavoro dal Centro America e spedirli in Cina.

Rifiutate tutti i soldi dei donatori che hanno fatto soldi con il PCC. A parte questo, non siete seri. Siete i generali di Washington per i Globetrotters dei Democratici. Siete un’opposizione controllata, fate l’opposizione.



OSSESSIONE TRUMP
Niram Ferretti
13 gennaio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La strategia è chiara, anzi limpida. Trump è di nuovo al centro della scena come responsabile e colpevole.
Joe Biden, qualche giorno fa, lo ha attaccato per i fatti del 6 gennaio scorso, il farsesco coup al Campidoglio, presentato da tutti i media embedded come se si fosse trattato di un a riedizione del 9 novembre 1799, o 18 di Brumaio, quando Napoleone prese il potere in Francia. Adesso, in vista di un possibile accordo con l'Iran, la Casa Bianca fa sapere che ci si trova nel pantano per colpa della decisione di Trump di uscire dall'accordo sul nucleare iraniano.
Certo, Trump ha creato non pochi problemi a Obama e ai suoi laudatores, quando decise di mandare a gambe all'aria un accordo pieno di buchi che non garantiva alcuna reale sicurezza contro l'Iran, gli forniva una liquidità spaventosa, permettendogli, al contempo, di potere godere di ampia operatività commerciale e finanziaria, mentre proseguiva indisturbato le sue attività destabilizzanti in Medio Oriente.
Le sanzioni poste in essere dall'amministrazione Trump hanno notevolmente messo in difficioltà la Repubblica Islamica evidenziando l'insufficienza di un accordo che doveva essere modificato in senso più stringente. In questo senso, l'ex presidente americano e l'ex premier israeliano, Benjamin Netanyahu lavorarono in stretto accordo.
Ora pero, dopo che a Vienna si è proceduti molto a rilento, si profila l'urgenza di chiudere un accordo che vendichi Obama dell'affronto subito da Trump, che resta sempre, in lontananza il Nemico e il capro espiatorio, in attesa del suo prossimo ritorno.




La disinformazione di Roberto D'Agostino antitrumpiano e antiamericano

Gli USA sono sull’orlo di una seconda guerra civile? – A un anno dall’assalto a Capitol Hill
10 gennaio 2022

https://www.dagospia.com/rubrica-3/poli ... 295649.htm

Joe Biden ha trascorso un anno nella speranza che l'America potesse tornare alla normalità. Ma giovedì scorso, il primo anniversario dell'insurrezione al Campidoglio degli Stati Uniti, il presidente ha finalmente riconosciuto la portata dell'attuale minaccia alla democrazia americana.

«In questo momento, dobbiamo decidere - ha detto Biden nella Statuary Hall, dove i rivoltosi avevano fatto irruzione un anno prima - Che tipo di nazione saremo? Diventeremo una nazione che accetta la violenza politica come norma?».

È una domanda che molti in America e, non solo, si stanno ponendo. In una società profondamente divisa, dove anche una tragedia nazionale come quella del 6 gennaio ha solo allontanato le persone, si teme che quel giorno sia stato solo l'inizio di un'ondata di disordini, conflitti e terrorismo interno.

Una sfilza di recenti sondaggi mostra come una significativa minoranza di americani sia a proprio agio con l'idea della violenza contro il governo. Anche parlare di una seconda guerra civile americana è passato dal fantasy marginale al mainstream dei media.

«È in arrivo una guerra civile?» era il titolo di un articolo del New Yorker di questa settimana. «Stiamo davvero affrontando una seconda guerra civile?» era il titolo sul New York Times di venerdì. Tre generali statunitensi in pensione hanno scritto un articolo sul Washington Post avvertendo che un altro tentativo di colpo di stato "potrebbe portare alla guerra civile".

Il semplice fatto che tali nozioni stiano diventando di dominio pubblico mostra che ciò che una volta era impensabile è diventato pensabile, anche se alcuni sostengono che rimane fermamente improbabile.

L'ansia è alimentata dal rancore a Washington, dove il desiderio di bipartitismo di Biden si è schiantato contro l'opposizione repubblicana radicalizzata. Le osservazioni del presidente giovedì – («Non permetterò a nessuno di mettere un pugnale alla gola della nostra democrazia») sembravano riconoscere che non può esserci discussione quando uno dei principali partiti americani ha abbracciato l'autoritarismo.

Infatti quasi nessun repubblicano ha partecipato alle commemorazioni mentre il partito cerca di riscrivere la storia, facendo passare la folla che ha cercato di ribaltare la sconfitta elettorale di Trump come martiri che combattono per la democrazia. Tucker Carlson, l'host più seguito sulla rete conservatrice Fox News, ha rifiutato di riprodurre qualsiasi clip del discorso di Biden, sostenendo che il 6 gennaio 2021 "a malapena è considerato una nota a piè di pagina" storicamente perché "non è successo molto quel giorno".

Con il culto di Trump più dominante che mai nel partito repubblicano e gruppi di destra radicale come gli Oath Keepers e i Proud Boys in marcia, alcuni considerano la minaccia alla democrazia più grande ora di quanto non fosse un anno fa. Tra coloro che lanciano l'allarme c'è Barbara Walter, politologa dell'Università della California e autrice di un nuovo libro, “How Civil Wars Start: And How to Stop Them”.

In precedenza Walter ha fatto parte della task force per l'instabilità politica, un comitato consultivo della CIA, che aveva un modello per prevedere la violenza politica in paesi di tutto il mondo, ad eccezione degli stessi Stati Uniti. Eppure, con l'ascesa della demagogia razzista di Trump, Walter, che ha studiato le guerre civili per 30 anni, ha riconosciuto segni rivelatori alle sue porte.

Uno è stato l'emergere di un governo che non è né completamente democratico né completamente autocratico: un'"anocrazia" . L'altro è un paesaggio che si trasforma in politiche identitarie in cui i partiti non si organizzano più attorno a ideologia o politiche specifiche ma secondo linee razziali, etniche o religiose.

Walter ha detto all'Observer: «Alle elezioni del 2020, il 90% del partito repubblicano era ormai bianco. Sulla task force, se dovessimo vedere che in un altro paese multietnico e multireligioso che si basa su un sistema bipartitico, questa è quella che chiameremmo una super fazione e una super fazione è particolarmente pericolosa".

Nemmeno il più cupo pessimista prevede una replica della guerra civile del 1861-65 con un esercito blu e un esercito rosso che combattono battaglie campali. «Sembrerebbe più simile all'Irlanda del Nord e a ciò che ha vissuto la Gran Bretagna, dove c’è stato più un'insurrezione - ha continuato Walter - Probabilmente sarebbe più decentralizzato dell'Irlanda del Nord perché abbiamo un paese così grande e ci sono così tante milizie in tutto il paese. Si rivolgerebbero a tattiche non convenzionali, in particolare al terrorismo, forse anche un po' di guerriglia, prenderebbero di mira edifici federali, sinagoghe, luoghi con grandi folle. La strategia sarebbe quella di intimidire e spaventare gli americani facendogli credere che il governo federale non è in grado di prendersi cura di loro».

Un complotto del 2020 per rapire Gretchen Whitmer, il governatore democratico del Michigan, potrebbe essere un segno. Walter suggerisce che figure dell'opposizione, repubblicani moderati e giudici ritenuti antipatici potrebbero diventare tutti potenziali obiettivi.

«Potrei anche immaginare situazioni in cui le milizie, insieme alle forze dell'ordine in quelle aree, si ritagliano piccoli etnostati bianchi in aree dove ciò è possibile a causa del modo in cui il potere è diviso qui negli Stati Uniti. Certamente non assomiglierebbe per niente alla guerra civile avvenuta negli anni '60 dell'Ottocento».

Walter osserva che la maggior parte delle persone tende a presumere che le guerre civili siano iniziate dai poveri o dagli oppressi. Non così. Nel caso dell'America, è un contraccolpo di una maggioranza bianca destinata a diventare una minoranza intorno al 2045, un'eclissi simboleggiata dall'elezione di Barack Obama nel 2008.

L'accademico ha spiegato: «I gruppi che tendono a scatenare guerre civili sono i gruppi che un tempo erano politicamente dominanti ma sono in declino. O hanno perso il potere politico o stanno perdendo potere politico e credono davvero che il Paese sia loro di diritto e sono giustificati nell'usare la forza per riprendere il controllo perché il sistema non funziona più per loro».

Un anno dopo l'insurrezione del 6 gennaio, l'atmosfera a Capitol Hill rimane tossica in mezzo al crollo della civiltà, della fiducia e delle norme condivise. Diversi membri repubblicani del Congresso hanno ricevuto messaggi minacciosi, inclusa una minaccia di morte, dopo aver votato per un disegno di legge sulle infrastrutture altrimenti bipartisan a cui Trump si è opposto.

I due repubblicani del comitato ristretto della Camera dei rappresentanti che indaga sull'attacco del 6 gennaio, Liz Cheney e Adam Kinzinger, devono affrontare l'appello per essere banditi dal loro partito. Il democratico Ilhan Omar del Minnesota, musulmano di origine somala, ha subito abusi islamofobici.

Eppure i sostenitori di Trump sostengono che sono loro che combattono per salvare la democrazia. Il mese scorso la deputata georgiana Marjorie Taylor Greene, che ha criticato il trattamento riservato agli imputati del 6 gennaio incarcerati per il loro ruolo nell'attacco, ha chiesto un "divorzio nazionale" tra gli stati blu e rossi. Il democratico Ruben Gallego ha risposto con forza: «Non c'è 'divorzio nazionale'. O sei per la guerra civile o no. Dillo solo se vuoi una guerra civile e dichiarati ufficialmente un traditore».

C'è anche la prospettiva che Trump si candidi di nuovo alla presidenza nel 2024. Gli stati guidati dai repubblicani stanno imponendo leggi sulla restrizione degli elettori calcolate per favorire il partito mentre i lealisti di Trump stanno cercando di farsi carico delle elezioni. Una contestata corsa alla Casa Bianca potrebbe creare un cocktail incendiario.

James Hawdon, direttore del Center for Peace Studies and Violence Prevention presso la Virginia Tech University, ha dichiarato: «Non mi piace essere un allarmista, ma il Paese si sta muovendo sempre più verso la violenza. Un'altra elezione contestata potrebbe avere gravi conseguenze».

Sebbene la maggior parte degli americani sia cresciuta dando per scontata la sua stabile democrazia, questa è anche una società in cui la violenza è la norma, non l'eccezione, dal genocidio dei nativi americani alla schiavitù, dalla guerra civile a quattro omicidi presidenziali, dalla violenza armata che si prende 40.000 vite all'anno per un complesso militare-industriale che ha ucciso milioni di persone all'estero.

Larry Jacobs, direttore del Center for the Study of Politics and Governance dell'Università del Minnesota, ha dichiarato: «L'America non è disabituata alla violenza. È una società molto violenta e ciò di cui stiamo parlando è che alla violenza viene data un'agenda politica esplicita. È una specie di terrificante nuova direzione in America».

Sebbene al momento non preveda che la violenza politica diventi endemica, Jacobs concorda sul fatto che qualsiasi disfacimento del genere assomiglierebbe molto probabilmente anche ai guai dell'Irlanda del Nord. «Vedremmo questi attacchi terroristici episodici e sparsi» ha aggiunto. Il modello dell'Irlanda del Nord è quello che francamente teme di più perché non ci vuole un gran numero di persone per farlo e in questo momento ci sono gruppi altamente motivati e ben armati. La domanda è: l'FBI si è infiltrato in loro a sufficienza per poterli mettere fuori combattimento prima che lanciassero una campagna di terrore?

«Naturalmente, in America non aiuta il fatto che le armi siano prevalenti. Chiunque può prendere una pistola e tu hai pronto accesso agli esplosivi. Tutto questo sta accendendo per la posizione precaria in cui ci troviamo ora». Niente, però, è inevitabile.

Biden ha anche usato il suo discorso per elogiare le elezioni del 2020 come la più grande dimostrazione di democrazia nella storia degli Stati Uniti con un record di oltre 150 milioni di persone che hanno votato nonostante una pandemia. Le false sfide di Trump al risultato sono state respinte da quello che rimane un solido sistema giudiziario e controllate da quella che rimane una vivace società civile e media.

In un controllo di realtà, Josh Kertzer, un politologo dell'Università di Harvard, ha twittato: «Conosco molti studiosi di guerra civile e ... pochissimi di loro pensano che gli Stati Uniti siano sull'orlo di una guerra civile».

Eppure il presupposto che “non può succedere qui” è vecchio quanto la politica stessa. Walter ha intervistato molti sopravvissuti sulla fase che ha portato alle guerre civili. «Quello che tutti hanno detto, che fossero a Baghdad o Sarajevo o Kiev, è che non ce l'aspettavamo - ha ricordato - In effetti, non eravamo disposti ad accettare che qualcosa non andasse fino a quando non abbiamo sentito sparare una mitragliatrice sul pendio della collina. E a quel punto era troppo tardi».


L’opinione pubblica sul 6 gennaio rifiuta la tesi dell'”insurrezione”, dice un nuovo sondaggio
Jonathan Turley
18 gennaio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... sondaggio/

“Preservare la narrazione”: i Democratici e i media insistono nel far sembrare il 6 gennaio come un’insurrezione, mentendo come quando avevano descritto le violente proteste antirazziste del 2020 come “per lo più pacifiche”.

Jonathan Turley è “Shapiro Professor of Public Interest Law” presso la George Washington University ed ha servito come consulente durante il processo di Impeachment al Senato. Ha testimoniato come esperto giuridico alle udienze dell’impeachment di Bill Clinton e di Donald Trump.

Si riporta la traduzione dell’articolo, adattato alla comprensione di un pubblico italiano.

Durante la giornata di cerimonie per commemorare il 6 gennaio, la Speaker Nancy Pelosi ha fatto una dichiarazione significativa ai suoi colleghi e al pubblico in generale. La Pelosi ha dichiarato: “È essenziale che preserviamo la narrazione sul 6 gennaio“. Parte di questa narrazione è che questa non sia stata una rivolta ma bensì una “insurrezione“, una vera e propria “ribellione” contro il nostro paese. La preoccupazione della Pelosi sulla sopravvivenza di questa narrazione è ben fondata, come dimostra un recente sondaggio della CBS News. La maggioranza del pubblico americano non crede infatti che questa sia stata una “insurrezione“, nonostante gli venga ripetuto come un mantra dei membri del Congresso e dei mass media. Il pubblico ha visto quel terribile giorno svolgersi un anno fa e lo ha visto per quello che era: una protesta che è degenerata in una rivolta. (Per la massima trasparenza, ho lavorato in precedenza come analista legale per la CBS News).

Non sorprende che il sondaggio abbia ricevuto poca attenzione in un giorno in cui giornalisti e commentatori hanno parlato di “insurrezione” come un fatto innegabile. Eppure, quando la CBS lo ha chiesto agli americani, ha ricevuto una risposta che probabilmente non è piaciuta a molti. Infatti, la CBS non ha evidenziato la risposta alla domanda se la giornata sia stata davvero una “protesta che è andata troppo oltre”. La risposta è stata schiacciante e bipartisan. Circa il 76% crede infatti che sia stata una protesta che è andata troppo oltre.

Questa, tuttavia, non era una delle quattro opzioni alla domanda posta dal sondaggio condotto dalla CBS. Non ha infatti permesso al pubblico di definire questa come una “rivolta” quando ha chiesto loro di descrivere “Cosa è successo al Campidoglio il 6 gennaio 2021?” Perché? C’era la onnipresente “insurrezione” ed il “tentativo di rovesciare il governo“. Tuttavia, le altre due opzioni erano “patriottismo” o “difesa della libertà“. Questo è un dettaglio bizzarro. Le alternative più ovvie ad una vera ribellione in un contesto violento sarebbero una “protesta” o una “rivolta”. Tuttavia, al pubblico semplicemente non sono state date queste opzioni.

Il risultato era prevedibile. Circa l’85% dei Democratici ha prevedibilmente spuntato “insurrezione” o “tentativo di rovesciare il governo“, mentre solo il 21% ed il 18% dei Repubblicani erano d’accordo rispettivamente con queste due definizioni. Ma per coloro che non hanno visto la rivolta come un atto di “patriottismo” o di “difesa della libertà”, sono stati semplicemente lasciati senza alcuna scelta.

Il sondaggio ha catturato perfettamente lo stato dei nostri media. Non c’è una scelta. Usare il termine insurrezione è ora una cartina di tornasole. Nell’era della rabbia, la legittimità di qualcuno si basa solamente sul suo tono della voce e sulla sua furia. Dopo l’attacco, ho scritto che questa non era un’insurrezione, ma era una profanazione del nostro processo costituzionale. Quando ho usato il termine “sommossa” nelle mie rubriche, ho ricevuto un fiume di email che obiettavano alla mia definizione come prova di essere un apologeta o un “Trumpiano”.

Eppure, “insurrezione” e “sedizione” sono termini legali. Hanno un significato. L’FBI ha indagato su migliaia di persone dopo il 6 gennaio e ne ha accusate centinaia. Nessuno è stato accusato di insurrezione o do sedizione oppure di cospirazione per rovesciare il paese. La stragrande maggioranza è accusata di reati relativamente minori di violazione di domicilio o ingresso illegale o per danni alla proprietà – il tipo di accuse che sono comuni nelle proteste e nelle rivolte.

Niente di tutto ciò toglie il comportamento vergognoso di queste persone o la legittimità della loro persecuzione. Semplicemente non si è trattato di un’insurrezione. Questa è stata una protesta alimentata da una retorica sconsiderata che ha permesso agli eventi di degenerare in una rivolta vera e propria a causa di una scioccante mancanza nei preparativi di sicurezza da parte della polizia del Campidoglio e del Distretto di Columbia. Un grande spiegamento della Guardia Nazionale era stato rifiutato e le informazioni più critiche non sono state condivise dai funzionari che pianificavano le proteste che erano state annunciate da tempo. Ancora una volta, la colpa rimane degli stessi rivoltosi, ma questa sarebbe rimasta una protesta se il Congresso avesse preso misure le ovvie di protezione e di spiegamento dei soldati. Infatti, queste misure erano state usate in precedenza a Lafayette Park quando la sicurezza della Casa Bianca era stata quasi violata dai rivoltosi.

Eppure, continua questo sforzo determinato a mantenere la narrazione dell‘”insurrezione” – che deve essere “preservata“. Il New York Times ha dichiarato: “Ogni giorno è ora il 6 gennaio“. Questo non è qualcosa semplicemente importante per degli scopi politici. Membri e gruppi Democratici stanno di nuovo chiedendo che i rappresentanti (e lo stesso Trump) vengano squalificati dalla candidatura a futuri uffici in base al 14° Emendamento. La “clausola di squalifica” fu creata per i veri ribelli che tentarono di rovesciare il governo durante la Guerra Civile. I sostenitori autodefinitisi “pro-democrazia” come Marc Elias credono che nulla esprima meglio il concetto di Democrazia come quello di impedire alle persone di votare per i candidati che scelgono.

Se il 6 gennaio è stata un’insurrezione, allora i membri che contestavano i voti dei Grandi Elettori sarebbero stato poco più che dei ribelli confederati. Come per i villaggi del Vietnam, sembra che “la democrazia sarà salvata distruggendola”.

Leggi anche: Jonathan Turley: La democrazia secondo i Democratici consiste nell’impedire ai Repubblicani di gareggiare…

Il problema è che il pubblico americano non se la sta bevendo. Anche quando al pubblico non viene data alcuna scelta dalla CBS di definire il 6 gennaio come una rivolta piuttosto che un’insurrezione, la verità emerge come l’acqua che trova una via d’uscita. Il sondaggio mostra anche i limiti non solo della Speaker Nancy Pelosi ma anche dei media mainstream nel preservare le proprie narrazioni. Nonostante l’interminabile rullo di tamburi e squillo di trombe che definisce la giornata del 6 gennaio come a una “insurrezione”, i media non possono far sì che il pubblico ignori ciò di cui è stato testimone – più di quanto non possano far accettare agli spettatori delle proteste definite “in gran parte pacifiche“ con sullo sfondo delle immagini di edifici in fiamme. Quando ai media era stato detto di chiamare “proteste” le violente rivolte nell’estate del 2020, lo sforzo di “preservare la narrazione” è fallito con risultati quasi comici.

Questo è anche il motivo per cui il movimento “Let’s Go Brandon” è tanto una critica ai media quanto a Joe Biden.

Il fallimento di “preservare la narrazione” è dovuto al fatto che i media sono ora rinchiusi in una bolla di loro stessa creazione. Abbiamo visto l’ascesa del cosiddetto “advocacy journalism“, dove la narrazione, non la notizia, domina i reportage. Come ha spiegato Ted Glasser, professore di giornalismo alla Stanford, “i giornalisti hanno bisogno di essere palesi e candidi sostenitori della giustizia sociale, ed è difficile farlo sotto i vincoli dell’obiettività“.

I media, tuttavia, sono diventati sempre più irrilevanti per l’opinione pubblica. Nonostante la censura delle aziende dei social media ed il sostegno di legioni di volenterosi accademici ed esperti, la copertura delle notizie è in gran parte autoreferenziale. La maggior parte delle reti e dei giornali hanno effettivamente cancellato metà del paese. Stanno cantando in coro. Questo si riflette nel sondaggio della CBS. Al pubblico sono state date le stesse opzioni che i telespettatori ricevono ogni sera nei programmi delle reti via cavo: “o la definite un’insurrezione oppure siete solo dei Proud Boys se lo definite un atto di patriottismo”.

La dissociazione è pericolosa. È improbabile che lo sforzo di squalificare Donald Trump o i Repubblicani in carica abbia successo. Questo non diminuirà però il danno. Infatti, non farà altro che alimentare ulteriormente la rabbia e, Sì, il potenziale di violenza in entrambe le parti.

Nonostante il sondaggio della CBS, c’è ancora una scelta per il pubblico. Può ancora raggiungere le proprie conclusioni da solo… e sempre di più senza l’aiuto dei media.
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Re: USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:33 am

Assalto al Campidoglio, la Corte Suprema svela le carte di Trump
RaiNews
22 gennaio 2022

https://www.rainews.it/articoli/2022/01 ... 7f959.html

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto la richiesta dell'ex presidente Donald Trump di mantenere segreti i documenti sull'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, e spiana la strada alla loro consegna alla commissione della Camera dei rappresentanti che indaga di indagine sul 6 gennaio. I giudici supremi hanno bocciato la rivendicazione dell'ex presidente sul che rivendicava il diritto alla riservatezza per gli atti dell'esecutivo. Per i democratici si tratta di un'importante vittoria.

Con la bocciatura della richiesta di Trump, la Corte Suprema spiana la strada alla consegna di oltre 800 pagine di materiale alla commissione che indaga sul 6 gennaio. Le carte sono attualmente custodite presso gli archivi nazionali statunitensi che li consegnerà rapidamente alla commissione. Il contenuto esatto di quei documenti è sconosciuto, ma si tratta presumibilmente di e-mail, bozze di discorsi, anche note scritte a mano e i registri delle visite che potrebbero rivelare esattamente cosa è successo alla Casa Bianca durante l'assalto al Campidoglio, nei giorni precedenti e in quelli successivi.

La decisione della Corte è stata presa a schiacciante maggioranza, con 8 voti a 1. Il giudice conservatore Clarence Thomas è stato l'unico giudice a favore della sospensione. Gli altri cinque giudici conservatori del tribunale, tre dei quali nominati da Trump, si sono uniti ai tre liberali nel negare la richiesta.



Usa 2020, dopo la sconfitta Trump voleva sequestrare le macchine elettorali
RaiNews
22 gennaio 2022

https://www.rainews.it/articoli/2022/01 ... 671dc.html

Tra i documenti acquisiti dalla commissione del Congresso che indaga sull'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 c'è anche la una bozza di un ordine esecutivo con cui Donald Trump, dopo la sconfitta elettorale del novembre 2020, dava pieni poteri al Pentagono per sequestrare le macchine elettorali utilizzate per l'Election Day negli stati contestati. È uno dei documenti che i legali di Donald Trump hanno cercato di nascondere fino a ricorrere alla Corte Suprema. Lo riporta il sito 'Politico'.

L'ordine non è mai diventato effettivo e non è chiaro chi fosse stato l'autore del testo, datato 16 dicembre 2020, ma può essere fatto risalire alla strategia di negare la sconfitta, parlando di brogli inesistenti, orchestarta da Trump con i suoi consiglieri legali. Una delle più controverse consigliere dell'ex presidente, Sidney Powell, l'ex consigliere alla Sicurezza Michael Flynn, l'ex legale dell'amministrazione, Emily Newman, e l'ex amministratore delegato di Overstock.com, Patricky Byrne, avevano incontrato Trump nello Studio Ovale, alla Casa Bianca il 18 dicembre. In quella riunione, secondo l'agenzia Axios, Powell fece pressione su Trump perchè sequestrasse le macchine elettorali.

Le bozze dell'esecutivo disegnerebbero uno scenario inquietante. Nelle settimane tra l'Election Day e quello dell'assalto a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021, la situazione poteva diventare molto più caotica. L'ordine esecutivo avrebbe dato al segretario della Difesa il potere di "sequestrare, raccogliere e analizzare tutti i macchinari, l'equipaggiamento e le informazioni conservate elettronicamente". Inoltre veniva assegnato al segretario alla Difesa un tempo di sessanta giorni per stilare un documento finale sulle elezioni. Un escamotage che sarebbe servito a Trump per restare al potere ben oltre la scadenza naturale, almeno fino a metà febbraio 2021.

L'azione sarebbe stata giustificata dai poteri di emergenza che possono essere esercitati dal governo federale. Ad eseguire l'ordine, datato 15 dicembre 2020, sarebbe dovuto essere l'allora segretario alla difesa mark esper e nel testo si parlava anche di "interferenze straniere e internazionali sul voto", accusando la societa' di software elettorali dominion di essere controllata da agenti, paesi e interessi stranieri". Il decreto alla fine rimase lettera morta. I sospetti su chi abbia messo a punto la bozza ricadono soprattutto su uno dei componenti del team legale di trump guidato da rudolph giuliani e che cerco' in tutti i modi di dimostrare la teoria delle elezioni rubate: L'avvocatessa sidney powell, nota per le sue posizioni cospirazioniste.



I Democratici hanno cercato ‘fango’ sui legami dello show di Tucker Carlson con la Russia da un informatore dell’intelligence americana
Tucker Carlson
8 febbraio 2022


https://osservatorerepubblicano.com/202 ... americana/

Il conduttore di Fox News Tucker Carlson ha accusato un democratico della Camera di aver cercato informazioni su qualsiasi legame che il suo programma potesse avere con la Russia da un consigliere dell’intelligence degli Stati Uniti.

Tucker Carlson ha detto che il rappresentante Jim Cooper del Tennessee durante un briefing a porte chiuse di mercoledì sulla situazione Russia-Ucraina “ha chiesto ad un consigliere dell’intelligence di scoprire se questo programma fosse legato alla Russia”.

Il conduttore ha detto che i sospetti di Cooper erano estremamente infondati.

“Non siamo legati alla Russia, ovviamente. È un programma televisivo via cavo. Non siamo una missione diplomatica. Jim Cooper, inutile dirlo, lo sa. Ma non è questo il punto. Il punto è: Abbiamo criticato la politica sull’Ucraina dell’amministrazione Biden. Quindi, come ritorsione per questo, Jim Cooper ha chiesto alle agenzie di intelligence di scavare nel torbido su di noi. Per essere chiari, questo non è permesso. È illegale usare il governo degli Stati Uniti per regolare i conti di parte o per mettere a tacere i giornalisti dell’opposizione.”

Tucker Carlson ha proseguito dicendo che Jim Cooper “lo ha ammesso” quando il suo programma ha contattato il democratico del Tennessee, ma ha aggiunto che è stato “troppo codardo” per venire nello show a spiegarsi.

“Il deputato Cooper sta osservando il primo anniversario della morte di sua moglie per Alzheimer stasera, ma ha tutto il diritto di fare qualsiasi domanda che ritiene importante per rafforzare la sicurezza americana durante le udienze riservate della Commissione di Intelligence della Camera”, ha detto l’ufficio di Jim Cooper a “Tucker Carlson Tonight” in una dichiarazione che è stata ottenuta dal Washington Examiner.

Tucker Carlson ha notato che usare le agenzie governative degli Stati Uniti per punire gli avversari politici e i media è illegale.

“Questo è un comportamento spaventoso. Ma è anche rivelatore“, ha detto, notando che l’anno scorso le comunicazioni elettroniche del suo programma sono state intercettate e monitorate dalla National Security Agency (NSA).

“E, a proposito, è illegale monitorare segretamente le comunicazioni elettroniche (dei programmi via cavo, n.d.r.). Ma la NSA di Joe Biden lo ha fatto a questo spettacolo quest’estate. È successo. Non stiamo speculando su questo. La NSA lo ha ammesso.”

Tucker Carlson aveva infatti rivelato a giugno come il suo programma fosse stato messo al corrente di come la NSA avesse intercettato le sue comunicazioni elettroniche poiché temeva che stesse cercando di organizzare un’intervista con il presidente russo Vladimir Putin.

“La Guerra al Terrore in corso da vent’anni ha fatto un giro di boa, ora viene condotta contro i cittadini americani, gli oppositori del regime. Abbiamo visto tutto questo in mostra dal 6 gennaio e vi abbiamo detto un paio di settimane fa sulla base delle testimonianze del pubblico e delle incriminazioni che sono state fatte che l’FBI ha scarsa conoscenza dei disordini nella capitale di quel giorno, e gli agenti con cui abbiamo parlato hanno confermato che è vero”, aveva detto.

“L’FBI aveva degli informatori in quella folla, informatori riservati, questo è certo al cento per cento. Ma non è solo per la protesta politica, è il governo che sta spiando. Ieri abbiamo sentito da un informatore all’interno del governo degli Stati Uniti che ci ha raggiunto per avvertirci che la NSA, l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale, sta monitorando le nostre comunicazioni elettroniche e sta progettando di farli trapelare nel tentativo di tenere questo spettacolo fuori dalla messa in onda”, aveva proseguito.

“Questa è un’affermazione scioccante e normalmente saremmo scettici su di essa, perché è un crimine. Non è un paese del Terzo Mondo, cose del genere non dovrebbero accadere in America, ma purtroppo, lo fanno e in questo caso, lo hanno fatto”, aggiunse il conduttore.

“L’informatore che è nella posizione di sapere ci ha ripetuto informazioni su una storia su cui stiamo lavorando che potrebbero essere arrivate solo direttamente dai miei testi e dalle mie email. Non c’è nessun’altra possibile fonte per quelle informazioni”, aveva detto Tucker Carlson.

“L’hanno fatto per ragioni politiche. L’amministrazione Biden ci sta spiando. Lo abbiamo confermato. Questa mattina, abbiamo presentato una richiesta al datore di lavoro chiedendo tutte le informazioni che la NSA ed altre agenzie hanno raccolto sullo show“, aveva detto agli spettatori.

“L’abbiamo fatto per lo più per formalità, contattando l’ufficio stampa sia della NSA che dell’FBI, ma non ci aspettiamo di sentire una risposta, è così che va di solito. Solo il Congresso può forzare la trasparenza sulle agenzie di intelligence e dovrebbe farlo immediatamente. Spiare i giornalisti dell’opposizione è incompatibile con la democrazia”, disse.

Quando inizialmente gli era stato chiesto delle accuse su Tucker Carlson, la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki non aveva confermato o negato l’accusa, rispondendo invece alla domanda di un giornalista con una descrizione di come opera la NSA.

“Tucker Carlson ha detto che la NSA lo sta spiando, l’amministrazione è a conoscenza di qualsiasi tentativo di spionaggio o ascolto di cittadini americani da parte della NSA, e Tucker Carlson è uno di loro?” aveva chiesto un giornalista a bordo dell’Air Force One.

“Beh, la NSA, come penso sappiate, sono sicura che tutti lo sanno, tutti su questo aereo lo sanno, dovrei dire, è un’entità che si concentra sulle minacce straniere e sugli individui che tentano di farci del male sul suolo straniero. Così, uh, questo è il, loro, uh, ambito di competenza, uhm, ma, uh, al di là di questo vi indicherei la comunità di intelligence“, aveva risposto Jen Paski.
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:33 am

Un documento del procuratore speciale del Dipartimento di Giustizia John Durham dice che la campagna presidenziale di Hillary Clinton ha pagato una società tecnologica per "infiltrarsi" nei server della Trump Tower, e più tardi nella Casa Bianca, riferisce Fox News.
Trump, rispondendo alla notizia, ha rilasciato una dichiarazione affermando che l'ultimo scoop ha fornito "prove indiscutibili" che la sua campagna è stata spiata dalla Clinton per "sviluppare una collusione completamente inventata con la Russia".
"Questo è uno scandalo molto più grande per portata e grandezza del Watergate e coloro che erano coinvolti e sapevano di questa operazione di spionaggio dovrebbero essere soggetti ad un'azione penale", ha detto l'ex presidente.
L'Osservatore Repubblicano
14 febbraio 2022

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 1821282152

https://www.newsmax.com/newsfront/durha ... linkin.bio





La grande caccia all’anatra per Donald Trump
Byron York’s Daily Memo
16 marzo 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ald-trump/

Gli avversari di Donald Trump hanno sempre cercato di usare la legge contro di lui – o per accusarlo di aver commesso un crimine, o per fargli causa, o per bersagliarlo con indagini senza fine – da quando è sceso nella politica presidenziale in quel lontano 2015. Come uomo d’affari, Donald Trump ha avuto un passato litigioso, certamente, ma l’assalto legale diretto contro di lui dopo la sua candidatura alla presidenza è stato senza precedenti nella storia degli Stati Uniti. Ed è proseguito anche dopo che ha lasciato la Casa Bianca.

Alcune delle azioni legali contro Donald Trump sono riuscite nella misura in cui o hanno danneggiato la sua posizione presso il pubblico o hanno danneggiato la sua reputazione – ricordate i commentatori di grande calibro che lo avevano definito come una “risorsa russa”? – o lo hanno distratto dal lavoro nella sua amministrazione. Ma nessuno degli “inquisitori di Trump” è effettivamente riuscito ad accusarlo di aver commesso alcun crimine. (Mettiamo da parte i due impeachment di Trump, che erano processi politici slegati dal sistema giudiziario e che entrambi, dato l’alto standard di prova richiesto per la condanna, si sono conclusi con un’assoluzione).

Le indagini su Donald Trump rientrano in uno schema che si ripete costante. Un’accusa viene sollevata e poi amplificata dai media. Un organismo ufficiale, come le forze dell’ordine od una commissione del Congresso, inizia quindi un’indagine. Le prove vengono fatte trapelate. L’amplificazione mediatica sale ancora di più, assieme alle speranze degli avversari di Trump. Poi l’organo ufficiale si avvicina alla conclusione del suo lavoro. Comincia a circolare la voce che potrebbe non essere il “colpo di grazia” che serviva contro Trump che alcuni speravano invece che fosse. E allora gli avversari di Trump cominciano a concentrarsi su una nuova indagine, con “nuove speranze” che sarebbe stata “quella che avrebbe fatto fuori” definitivamente Donald Trump. Il ciclo “eccitazione-inchiesta-delusione” si ripete sempre uguale.

Nell’ultimo anno, sin dalla fine della sua presidenza, l’indagine che ha attirato più speranze nei circoli della “Resistenza” è stata l’inchiesta dell’ufficio della procura distrettuale di Manhattan sulle accuse di pratiche commerciali illegali all’interno della Trump Organization. In particolare, alcuni dei procuratori dell’ufficio credevano che Donald Trump abitualmente sovrastimasse il valore delle sue proprietà immobiliari nelle dichiarazioni dei redditi quando cercava di ottenere dei prestiti mentre allo stesso tempo ne sottostimasse il valore delle stesse proprietà quando arrivava l’ora di pagare le tasse su di esse al fine di pagarne il meno possibile. La “speranza” era dunque quella che Donald Trump potesse essere accusato di qualche tipo di evasione o frode fiscale.

L’ufficio del procuratore di Manhattan era stato investito del caso da Michael Cohen, l’ex faccendiere di Donald Trump che è andato in prigione per aver imbrogliato sulle sue di tasse – aveva nascosto 4.134.051 dollari di reddito al fisco – e per aver mentito al Congresso. ” Secondo la mia esperienza, il signor Trump ha gonfiato il suo patrimonio totale quando serviva ai suoi scopi, come cercare di essere messo tra le persone più ricche del mondo nell’elenco di Forbes“, avrebbe detto Michael Cohen al Congresso nel febbraio 2019, “salvo poi sgonfiare il suo patrimonio per ridurre le tasse sui suoi immobili.”

L’indagine si è mossa quindi su due binari. Il procuratore distrettuale di Manhattan Cyrus Vance Jr. stava conducendo un’indagine penale, mentre il procuratore generale di New York Letitia James stava conducendo un’indagine civile che copriva molte delle stesse contestazioni sul lato penale. I due uffici stavano cooperando nella speranza di far finalmente cadere “una volta per tutte” Donald Trump.

I Democratici sono rimasti estasiati da questa prospettiva. “Penso che la verità stia venendo finalmente a galla sulla Trump Organization e su ciò che è successo”, aveva detto la rappresentante democratica Madeleine Dean alla CNN nel marzo 2021, facendo eco a ciò che molti altri Democratici, ed i loro alleati nei media, dicevano.

Queste erano indagini politicamente motivate. È così semplice. Ricordate che sia Letitia James che Alvin Bragg, il nuovo procuratore distrettuale di Manhattan che ha poi sostituito Vance Jr., sono stati eletti su una piattaforma elettorale che aveva come “scopo” quello di “imprigionare Donald Trump“. Infatti, le campagne elettorali dei Democratici per questi due uffici elettivi, quello di procuratore generale di New York e quello di procuratore distrettuale di Manhattan, sono state essenzialmente una “guerra al rialzo delle offerte” in cui ogni candidato si era impegnato ad essere quello “più duro” contro Donald Trump. “Sarò duro con Trump”, prometteva un candidato. “Sarò molto duro con Trump”, prometteva un altro candidato. “No, sarò super duro con Trump”, prometteva un altro candidato.

Alvin Bragg, che durante la campagna elettorale era quello che si vantava: “È un fatto che ho citato Trump più di 100 volte”, abbia vinto questo tipo di elezione. Ha poi iniziato a lavorare su quello che il New York Times aveva definito “il caso penale più importante e controverso degli Stati Uniti”.

Poi accadde una cosa divertente. Il nuovo procuratore distrettuale, che quando entrò in carica era diventato famoso per non voler perseguire migliaia di trasgressori della legge a New York, dovette dare un’occhiata da vicino alle prove reali che erano state raccolte nel caso contro Donald Trump. Due procuratori testardi che Vance Jr. aveva scelto per gestire il caso, Mark Pomerantz e Carey Dunne, avevano presentato le loro prove a Bragg e alla sua squadra investigativa. Ne emerse che non era affatto un caso solido. Infatti, Bragg apprese che per tutto il tempo c’erano state preoccupazioni nell’ufficio che il caso fosse “debole” e che Vance Jr., il predecessore di Alvin Bragg, si fosse mossso troppo velocemente.

“Alla fine dell’anno scorso”, ha riferito il New York Times, “tre procuratori di carriera nell’ufficio del procuratore distrettuale hanno deciso di lasciare l’indagine, sentendosi a disagio per la velocità con cui stava procedendo e per quelle che sostenevano essere ‘lacune nella raccolta delle prove’. La tensione si è riversata sulla nuova amministrazione della procura, con alcuni procuratori di carriera che avevano sollevato preoccupazioni direttamente al nuovo team del procuratore distrettuale”.

Alvin Bragg cominciò a preoccuparsi. Aveva delle “preoccupazioni per la sfida probatoria di dimostrare l’intenzionalità del comportamento del signor Trump – un requisito per dimostrare che avesse effettivamente falsificato i suoi documenti aziendali adottando una condotta penalmente rilevante – e per i “rischi” nell’affidarsi all’ex avvocato, Michael Cohen, come testimone chiave“, aveva riportato il New York Times. Infatti, quale procuratore non si preoccuperebbe di costruire un caso sulla semplice parola di Michael Cohen?

Ci furono altri incontri. Nel tentativo di convincere Alvin Bragg, Mark Pomerantz e Carey Dunne scrissero gli argomenti di apertura per il caso che avrebbero poi svolto. Ma questo non aveva risolto il problema di fondo. Mancavano le prove documentali per sostenere le accuse, e non c’era nessuna “gola profonda” su Trump che avesse cambiato idea e che stesse dicendo ai procuratori quello che volevano sentirsi dire.

Ne seguì una ricerca disperata. “Di cosa possiamo accusare Trump? Prendiamo qualsiasi cosa!” Basta guardare questa descrizione del New York Times sullo sforzo dei procuratori per trovare un crimine con cui accusare Donald Trump:

Per mesi, i procuratori avevano previsto di accusare il signor Trump… con il reato di “intrallazzo per frodare” per aver falsamente gonfiato i suoi beni sulle dichiarazioni dei redditi che erano state utilizzate per ottenere dei prestiti bancari. Ma entro la fine dell’anno i procuratori avevano fatto retromarcia, in parte perché i finanziatori del signor Trump non avevano perso alcun denaro su quei prestiti, ma anzi in realtà ne avevano tratto profitto. La “nuova strategia” è stata quella di accusare il signor Trump di “cospirazione e falsificazione di documenti aziendali” – in particolare dei suoi rendiconti finanziari – un caso più semplice che essenzialmente equivaleva a dipingere il signor Trump come un bugiardo piuttosto che un ladro. Ma il caso non era ancora una schiacciata vincente, [uno dei procuratori] aveva riconosciuto alla riunione. Ma ha sostenuto che fosse meglio perdere pur di non provare affatto.

I problemi con il caso sono diventati pubblici alla fine di febbraio, quando Mark Pomerantz e Carey Dunne si sono dimessi. Alvin Bragg disse che l’indagine sarebbe andata avanti, ma era chiaro a tutti che le energie erano state prosciugate dallo sforzo. La politica dietro a questo caso politico, tuttavia, imponeva che Bragg non potesse semplicemente archiviarlo. Riportò il New York Times: “La decisione del signor Bragg sull’indagine su Trump può aggravare i suoi problemi politici nella Manhattan fortemente democratica, dove molti residenti non fanno mistero della loro inimicizia per il signor Trump”. Leggendo questo, qualcuno ha bisogno di altre prove che questo è stato un processo politicamente motivato?

Cosa c’è dopo? Ora, sicuro come il sole che sorge ad est, alcuni tipi della “Resistenza” hanno spostato le loro speranze di poter vedere “catturato” Donald Trump dal procuratore distrettuale di Manhattan al Comitato della Camera che indaga sul 6 gennaio. Il comitato ha recentemente depositato documenti giudiziari che dichiarano come Donald Trump avrebbe violato le leggi dopo le elezioni del 2020 e nel periodo precedente alla rivolta del 6 gennaio al Campidoglio. “Il comitato ristretto… ha una base in buona fede per concludere che il presidente ed i membri della sua campagna si siano impegnati in una cospirazione criminale per frodare gli Stati Uniti“, ha scritto il comitato, aggiungendo che “le prove… forniscono, come minimo, una base in buona fede per concludere che il presidente Trump abbia violato la Sezione 18 U.S.C. 1512(c)(2)”, riferendosi alla legge contro l’ostruzione di un procedimento ufficiale.

Naturalmente, il Comitato sul 6 gennaio non ha l’autorità di presentare accuse penali. I membri della Camera dei Rappresentanti non sono dei procuratori. Invece, la Camera dei Rappresentanti potrebbe chiedere al Dipartimento di Giustizia di mettere sotto accusa Donald Trump. E abbiamo già visto un certo numero di articoli esplicativi che notano come perseguire Donald Trump in base alle accuse mosse dalla commissione, e tanto meno ottenere la sua condanna, sarebbe una questione molto difficile. Eppure, la speranza (per gli avversari di Trump) ancora rimane. Ci sono state così tante delusioni, tra cui Robert Mueller, le indagini del Congresso, l’Impeachment I, l’Impeachment II, ed ora anche quella del procuratore di Manhattan, che la Commissione del 6 gennaio è diventata la principale fonte di ottimismo per coloro che credono che l’incriminazione di Trump sia sempre dietro l’angolo.

Forse lo è, e forse Donald Trump potrebbe essere incriminato – possono succedere cose inaspettate – ma il ciclo “eccitazione-inchiesta-delusione” è stato una cosa terribile per gli avversari dell’ex presidente in passato. Hanno visto sollevare le loro speranze così tante volte, ma non riescono proprio a rinunciare a Donald Trump, anche se ora è un ex presidente che tecnicamente hanno sconfitto. Forse la prossima indagine sarà quella giusta?
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USA: Trump e i repubblicani, Biden e i democratici

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:34 am

I Democratici che presiedono il Comitato sul 6 gennaio hanno finalmente ammesso l’ovvio: È solamente uno show che serve per le elezioni di metà mandato.
The Federalist
2 aprile 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... a-mandato/

I Democratici della Camera che stanno perseguendo i dissidenti politici sotto la forma del Comitato ristretto sul 6 gennaio hanno ammesso che l’indagine del processo-spettacolo riguarda solo le elezioni di novembre.

Venerdì 18 marzo, il Washington Post ha raccontato i prossimi passi che il Comitato intraprenderà in un articolo intitolato “Il comitato del 6 gennaio affronta una sfida spinosa: Persuadere il pubblico ad interessarsi a lui“: gli Americani stanno perdendo sempre di più l’entusiasmo nel vedere impartita una severa punizione alle persone coinvolte in una manifestazione costituzionalmente protetta di 15 mesi fa, che è il vero obiettivo del lavoro della Commissione che li vede in contrapposizione ai perpetratori della rivolta del Campidoglio.

Un legislatore, ha scritto il Washington Post, “ha aggiunto che anche alcuni dei loro elettori Democratici hanno perso interesse nel lavoro della Commissione a causa di questioni più urgenti, come l’inflazione e la pandemia di Coronavirus”. Gli Americani devono ora affrontare l’aumento dei prezzi della benzina, che hanno superato il loro picco record e che sono aggravati da un tasso di inflazione che corre ai massimi livelli come non si vedeva da ben quattro decenni.

L’indagine sui fatti del 6 gennaio, tuttavia, sta dominando le priorità dei legislatori, compresa la rappresentante del Wyoming Liz Cheney che è una dei due Repubblicani nominati dalla Speaker della Camera Nancy Pelosi per servire in questo comitato. Liz Cheney, ha riferito il Washington Post, sta “spendendo la maggior parte del suo tempo sulla questione, dicono le persone che hanno familiarità con il suo lavoro”, invece di reclamare il suo ruolo perso nel Comitato per le risorse naturali.

In altre parole, Liz Cheney ha dedicato il suo mandato al Congresso sotto l’amministrazione Biden per eseguire una vendetta contro l’ex presidente Donald Trump e i suoi sostenitori, invece di contrastare le politiche della Casa Bianca che vanno contro gli interessi dei suoi stessi elettori. Quasi la metà del territorio del Wyoming è sotto la supervisione del governo federale, con l’agricoltura e l’estrazione delle risorse che sono due delle principali industrie dello Stato. Il suo unico membro alla Camera bassa del Parlamento non serve più nel Comitato più importante per navigare nella miriade di questioni sulle terre pubbliche che sono decisive per gli elettori del Wyoming, mentre Joe Biden mira a soffocare le nuove concessioni petrolifere sulle terre federali.

I Democratici che stanno dedicando troppo tempo ad un argomento di cui il pubblico ora si sta preoccupando relativamente poco sta diventando una pratica di routine nonostante le conseguenze divisive sulle istituzioni. Il primo processo di Impeachment del presidente Donald Trump aveva ottenuto la metà degli spettatori delle soap opera. Il secondo Impeachment ha attirato circa lo stesso audience delle serie TV pomeridiane.

Ora la Commissione sul 6 gennaio è diventata la nuova bufala dei Democratici, volta non ad indagare sulle carenze della sicurezza del Campidoglio, ma ad infangare i dissidenti politici in vista delle elezioni di metà mandato. I Democratici hanno ammesso ciò che era già ovvio al Washington Post.

“La loro sfida: Far sì che il pubblico si preoccupi profondamente – e legga centinaia di pagine in più – di un evento accaduto più di un anno fa, e che molti Americani sentono di aver già compreso”, ha evidenziato il Washington Post, seguito dal passaggio qui sotto:

Cercheranno di farlo già questa primavera attraverso audizioni pubbliche, insieme ad un potenziale rapporto intermedio ed un rapporto finale che sarà pubblicato prima delle elezioni di novembre – con i risultati che saranno probabilmente una parte fondamentale della strategia per le midterm dei Democratici. Sperano che le loro raccomandazioni per prevenire un’altra insurrezione vengano adottate, ma anche che il loro lavoro allontani gli elettori dai Repubblicani che dicono abbiano contribuito a spingere l’attacco.

Con solamente 8 dei 96 mandati di comparizione emessi dal Comitato che prendono di mira gli individui associati con i disordini al Campidoglio, secondo un’analisi del The Federalist, il lavoro del comitato non è mai stato finalizzato a indagare i legittimi errori e le falle nella sicurezza mentre il Congresso si trovava in sessione. Indagare sui guasti alla sicurezza del Campidoglio significherebbe anche indagare sulla colpevolezza della stessa Speaker Nancy Pelosi, cosa che il presidente del comitato Bennie Thompson, Democratico del Mississippi, si è impegnato ad evitare.

Quei 96 mandati di comparizione non includono le oltre 100 richieste di registrazioni telefoniche di individui la cui identità rimane riservata, compresi coloro la cui privacy la Commissione cerca di violare.

Nel tentativo di drammatizzare l’indignazione che tanto servirebbe ai Democratici, il comitato ha riferito di aver discusso l’assunzione di un giornalista per scrivere i suoi rapporti e creare dei video da diffondere su internet e che vengano anche presentati nei servizi televisivi, potenzialmente trasmessi in prima serata.

“Due persone a conoscenza del rapporto dicono che il Comitato voglia includere testimonianze e citazioni avvincenti, insieme a ruoli da protagonista per i giocatori chiave negli eventi che hanno portato al ed alla giornata del 6 gennaio 2021”, ha scritto il Washington Post. Il rappresentante Peter Aguilar, Democratico della California, “ha detto al Washington Post in un’intervista che il Comitato è impegnato a garantire che il rapporto non venga scritto nello stile del ‘Congressional Research Service‘”.
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