Mostruosità italiane o italiche

Re: Mostruosità italiane o italiche

Messaggioda Berto » mer mag 26, 2021 7:39 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Mostruosità italiane o italiche

Messaggioda Berto » mer mag 26, 2021 7:39 pm

"Chissà il bimbo che mangia questo mais": quelle risate per i fanghi tossici
Valentina Dardari
26 Maggio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1622034979

“Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente” questo è uno dei commenti registrato nelle intercettazioni telefoniche e ambientali condotte dai Carabinieri Forestali su delega della Procura. Come riportato dal Corriere, a parlare è Antonio Maria Carucci, laureato in Scienze geologiche e dipendente della Wte. Dall’altra parte c’è Simone Bianchini, un contoterzista che aveva il compito di spargere quei fanghi nei campi della bassa bresciana. Sono 204 le pagine dell’ordinanza firmata dal gip Elena Stefana nell’ambito dell’inchiesta che vede 15 persone indagate e ha portato al sequestro della ditta bresciana produttrice di fanghi e gessi di defecazione.

Fanghi contaminati sparsi nei campi agricoli

Dal gennaio 2018 al 6 agosto 2019 sono circa 150mila le tonnellate di fanghi finite nei campi agricoli, e spesso gli agricoltori erano all’oscuro di quanto quelle sostanze fossero inquinanti. Dei veri e propri rifiuti, secondo quanto detto da Arpa e dall’ingegnere Santo Cozzupoli, consulente della Procura. Gli agricoltori sapevano invece che erano scarti della produzione agroalimentare. E ancora, sempre ridendo: “Sono un mentitore!... Io…finisco all’inferno” e giù risate alla faccia di chi si ritrova nel piatto una pannocchia di mais tossica. A parlare è ancora Carucci, un ex dipendente della Cre srl di Sesto San Giovanni, che si occupa di trattamento di fanghi della depurazione in agricoltura, con una condanna alle spalle per traffico illecito di rifiuti. Questa volta però la sua interlocutrice è Ottavia Ferri, dipendente della Wte, che sempre ridendo, replica: “Lo facciamo per il bene dell’azienda!”.

L'inchiesta del 2018

Dal 2011 la Wte, il cui amministratore delegato è Giuseppe Giustacchini, è stata denunciata da diversi cittadini per le molestie olfattive prodotte dai fanghi incriminati. In vari anni la Provincia ha più volte contestato all’azienda l’irregolarità delle lavorazioni chiedendo migliorie agli impianti e Arpa è riuscita a dimostrare l’inquinamento dei fanghi, con il superamento delle soglie per elementi quali zinco, stagno, idrocarburi, toluene, fenolo, cianuri, cloruri, nichel-rame, solfati, arsenico, selenio. Solo grazie all’inchiesta scattata nel 2018, condotta inizialmente dal pubblico ministero Mauro Tenaglia e poi passata al collega Teodoro Catananti, in seguito al trasferimento di Tenaglia a Verona, i Carabinieri Forestali hanno potuto dimostrare i lavori illeciti dell’amministratore delegato della Wte e dei suoi collaboratori e contoterzisti. Questi ultimi potevano venire anche pagati fino a 100mila euro al mese per spargere i veleni nei campi. Secondo l’accusa, i fanghi in questione non venivano infatti lavorati a norma di legge, con grande risparmio per l’azienda. Giustacchini riusciva in questo modo ad avere la materia prima da società pubbliche e private spendendo pochissimo. Dalle analisi prodotte con tanto di autocertificazione tutto risultava però regolare.

Ad aiutare Giustacchini c’era Luigi Mille, direttore dell’Agenzia Interregionale per il fiume Po, che è finito anche lui indagato per traffico di influenze illecite. L’ingegner Mille l’8 agosto 2018 viene invece intercettato negli uffici del settore Ambiente della Provincia, dove sta sollecitando la funzionaria Massi in merito all’autorizzazione per il nuovo impianto Wte a Calcinato. E si sente dire che l’istanza è inammissibile:“L’è impossibile quel che domanda quel gnaro lì…sono arrivati i corpi di polizia e gli hanno fatto un casino”.

Le richieste della procura

Nei confronti di Mille e di Christian Franzoni, contoterzista, la procura aveva chiesto gli arresti domiciliari. Per Giustacchini e altri suoi collaboratori o terzisti che spargevano i fanghi nei campi era invece stata chiesta la custodia cautelare. Oltre a Carucci anche Ottavia Ferri, Simone Bianchini, Vittorio Balestrieri, Gabriele Fogale. Secondo il gip però gli illeciti ritenuti più gravi erano terminati nell’agosto del 2019, in seguito a un blitz in azienda. Quindi, adesso non ci sarebbe il rischio di reiterazione del reato o dell’inquinamento probatorio, dato anche dal fatto che sono molte le prove raccolte. È però stato disposto il sequestro di 12,36 milioni di euro (per gli illeciti profitti ottenuti nel periodo compreso tra il primo gennaio 2018 e il 6 agosto 2018): oltre 11 milioni a carico della Wte, più 683mila euro alla società lavorazioni agricole Gruppo Bianchini di Mazzano, 173mila euro alla la società Agri E.N.T. srl di Calvisano, 81mila euro alla società Franzoni Luca e Oscar di Calvisano e 127mila euro alla società di Balestrieri Vittorio &C-sas di Castelvisconti (Cr).

È Giuseppe Giustacchini, intercettato in una conversazione con Simone Bianchini e Carucci a dire chiaramente che i fanghi non erano trattati a norma di legge e ad impartire ordini su come risolvere la situazione, esprimendo anche la volontà di trovare terreni dove poterli disperdere: “Non mi faccio inc… dalla Forestale perché voi non mi avete trovato i terreni, perché la prossima volta mi chiudono eh!”. Contestati anche i reati di molestie olfattive e la creazione di discariche abusive, per la quantità assolutamente fuori del normale di fanghi sparsi sui terreni decine di volte oltre i limiti consentiti.
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Re: Mostruosità italiane o italiche

Messaggioda Berto » mer mag 26, 2021 7:39 pm

Mottarone, in carcere i 3 indiziati. L’ammissione: freno disattivato volontariamente
26 maggio 2021

https://www.ilsole24ore.com/art/mottaro ... ti-AECh4zL

Il forchettone non rimosso «consapevolmente»

Per gli inquirenti, il “forchettone”, ovvero il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni che dovrebbero bloccare il cavo portante in caso di rottura del cavo trainante, non è stato rimosso. Un «gesto materialmente consapevole», per «evitare disservizi e blocchi della funivia», che da quando aveva ripreso servizio, presentava «anomalie».

Entrata in funzione da circa un mese, dopo lo stop a causa della pandemia, la funivia del Mottarone «era da più giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi», precisa il procuratore Olimpia Bossi. Interventi tecnici, per rimediare ai disservizi, erano stati «richiesti ed effettuati», uno il 3 maggio, ma «non erano stati risolutivi e si è pensato di rimediare». Così, «nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo, si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l'esito fatale», sottolinea il magistrato, che parla di «uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti svolti».

Secondo forchettone trovato nei boschi

Intanto, il secondo 'forchettone', lo strumento che impediva l'entrata in funzione dei freni di emergenza della funivia del Mottarone, è stato trovato questa mattina nella zona dell'incidente che domenica ha causato la morte di quattordici persone, tra cui due bambini. Si arricchisce dunque di un nuovo dettaglio l'indagine sulla tragedia di Stresa per la quale tre persone sono state fermate la scorsa notte.
Mottarone, ecco quale sarebbe il "forchettone" che non doveva essere li'

Al vaglio posizione di altre persone: «Verificheremo se personale funivia sapeva»

Le indagini non sono finite. E non solo perché, con l'intervento dei tecnici, sarà necessario confermare quanto emerso dai primi accertamenti. La procura di Verbania intende infatti «valutare eventuali posizioni di altre persone». «Si è tutto accelerato nel corso del pomeriggio e di questa notte - conclude il procuratore lasciando la caserma -. Nelle prossime ore cercheremo di verificare, con riscontri di carattere più specifico, quello che ci è stato riferito», conclude parlando di «un quadro fortemente indiziario» nei confronti dei fermati. Persone che avevano, «dal punto di vista giuridico ed economico, la possibilità di intervenire. Coloro che prendevano le decisioni». E che, secondo gli sviluppi dell'inchiesta, non l'hanno fatto. «Credo che l'impianto, gestito dalla società, abbia plurimi dipendenti. Verificheremo se anche il personale sapeva, il che non significa che fosse una loro decisione» lasciare il forchettone che ha impedito al freno di emergenza di entrare in funzione, a detto a proposito il procuratore della Repubblica di Verbania, Olimpia Bossi, ritornando sui fermi eseguiti nella notte nell'inchiesta sulla tragedia del Mottarone.

Il bimbo sopravvissuto estubato, ha riaperto gli occhi

È “estubato” e “respira da solo” Eitan, aiutato da poco ossigeno. Lo si legge nel bollettino medico sulle condizioni del bambino sopravvissuto all'incidente della funivia del Mottarone diffuso dalla Città della Salute di Torino. Ricoverato all'ospedale infantile Regina Margherita, il bambino “non è ancora completamente cosciente”. I sanitari proseguono “con un risveglio lento, visto che le sue condizioni sono ancora critiche. La zia è in reparto accanto a lui”.



"Confidavano nella fortuna". La funivia da un mese senza freni
26 Maggio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1622039596


Spunta l'ipotesi di controlli mancati anche in altre occasioni: "Scelta non di un singolo, ma condivisa e soprattutto non limitata a quel giorno"
"Confidavano nella fortuna". La funivia da un mese senza freni

Dopo i fermi arrivati in nottata, sulla tragedia della funivia del Mottarone continuano a emergere inquietanti particolari. A rivelarli è stato il procuratore di Verbania, Olimpia Bossi, che sta indagando su quanto accaduto nella giornata di domenica. Come riferito dalla stessa Bossi, i tre fermati "confidavano nella buona sorte", convinti del fatto che il blocco volontario del sistema frenante di sicurezza non avrebbe mai causato un disastro come quello che invece ha provocato la morte di 14 persone. Il fatto eclatante è che non si sarebbe trattata di un'iniziativa singola, ma di una "scelta condivisa e soprattutto non limitata al giorno" della tragedia.

Un ulteriore sopralluogo sul luogo dell'incidente, effettuato in mattinata, ha consentito di trovare la seconda parte del "forchettone". L'elemento in metallo serve a tenere aperte le ganasce dei freni, ma va tolto quando le persone sono a bordo della cabina perché altrimenti impedisce la frenata in caso di emergenza, come ad esempio nel caso di rottura del cavo trainante. La presenza del "forchettone" sarebbe stata una scelta "consapevole", fatta sacrificando la sicurezza dei passeggeri pur di continuare a lavorare.

Sarebbe diventata ormai una vera e propria consuetudine per "bypassare le problematiche dell'impianto (riaperto al pubblico il 24 aprile, ndr) che dovevano essere risolte con interventi più radicali". Invece i due interventi, uno del 3 maggio e uno precedente, non hanno risolto completamente l'anomalia. Il procuratore ha poi aggiunto che la funivia si è fermata anche sabato, il giorno prima del disastro: "Posso pensare che l'episodio si inquadri in questa vicenda, ma per ora è difficile dirlo. Lo verificheremo chiedendo a questi tecnici perché sono stati chiamati". Non a caso pare che il "forchettone" sia stato inserito più volte: "Non sono però in grado di dire se in maniera costante o soltanto quando si verificavano questi difetti di funzionamento".

Domani l'incarico ai periti

Nella giornata di domani vi sarà il conferimento dell'incarico ai periti "ai fini di un sopralluogo". Solamente in seguito si procederà al conferimento degli accertamenti irripetibili "per i quali abbiamo bisogno di più tempo". Non è da escludere che nelle prossime ore possano esserci altri indagati, considerando che l'impianto della funivia è gestito dalla società che ha una pluralità di addetti e manovratori: "Verificheremo se anche il personale era a conoscenza di questa prassi".

Si farà inoltre luce su una delle persone fermate, che risulta direttore di esercizio come consulente per Ferrovie del Mottarone Srl ma anche dipendente dell'azienda addetta alla manutenzione: "La figura è prevista, deve essere un incaricato esterno. Il fatto che questo professionista fosse anche dipendente della società che ha rinnovato l'impianto, ecco, presenta dei profili che meriteranno di essere approfonditi".

"Sapevano già da tempo..."

Secondo il procuratore di Verbania, quello andato in atto nei giorni scorsi sarebbe stato un comportamento "consapevole e sconcertante" da parte di chi avrebbe preferito il guadagno alla sicurezza. Una scelta "molto sconcertante" che sarebbe stata adottata per evitare una riparazione adeguata del sistema frenante in quanto avrebbe potuto provocare una lunga chiusura dell'impianto, le cui casse erano state messe già a dura prova a causa delle misure di restrizione nel corso del lockdown. Un intervento ci sarebbe stato il 3 maggio scorso ma, secondo l'Adnkronos, si sarebbero chiusi gli occhi di fronte ad altre spie iniziate fin dalla riapertura del 26 aprile.


Alberto Pento
Non si tratta di preferire il guadagano alla sicurezza, ma di un guadagno illecito e criminale a spese della sicurezza e della vita degli altri. Il guadagno di per sè non è cosa cattiva e ingiusta lo diventa quando è ricavato facendo del male e non del bene.

Giovanni Bernardini
Non sono un moralista ipocrita. Non amo i processi sommari e gli eccessi di di indignazione. Posso anche capire il desiderio di riprendere a pieno ritmo l’attività economica dopo tante chiusure.
Ma l’atto di mettere volutamente fuori uso il freno d’emergenza della funivia del Mottarone è talmente enorme, talmente criminoso, talmente folle da non meritare alcuna indulgenza, giustificazione o “comprensione”.
Il freno di emergenza è un meccanismo di sicurezza assolutamente indispensabile in una funivia, persone dotate di un minimo di coscienza non potevano non rendersi conto del pericolo cui con il loro gesto esponevano tante persone innocenti.
Spero che, se la loro colpevolezza sarà debitamente provata, questi signori siano trattati con la rigorosa severità che meritano, senza se e senza ma.



"Oggi è ok, domani si vedrà": i tecnici e il giallo cuscinetto. Ci sono i primi sei indagati
Luca Fazzo
26 maggio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1622045655

«Oggi l'abbiamo aggiustata, domani si vedrà». È il pomeriggio di sabato, due coniugi di Cuneo scendono dal Mottarone verso Stresa a bordo della funivia. Con loro due tecnici che sono appena intervenuti sull'impianto, con loro hanno «un rullo, una specie di cerchione zincato»: parlano di un cuscinetto che non sono riusciti a cambiare. E uno butta lì quella frase, «domani si vedrà», che il giorno dopo fa gelare il sangue alla coppia di Cuneo. Perché il domani della funivia è un ammasso di lamiere e disperazione.

Ora anche la testimonianza dei coniugi entra nella ridda confusa che accompagna, come in altre tragedie simili, i primi passi dell'inchiesta della magistratura. Con il capo della procura di Verbania, Olimpia Bossi, assediata dai media e costretta a non affermare e non escludere niente: perché in questo momento le uniche certezze sono che la fune si è spezzata e che sono morte 14 persone. La causa della morte è così ovvia che la Procura rinuncia alle autopsie e riconsegna i corpi alle famiglie. Ma la causa della rottura della fune e del mancato intervento dei freni è ancora ignota e tale resterà per giorni. Basti pensare che ieri Mario Gabusi, assessore regionale ai Trasporti, ieri in aula dice: «È purtroppo possibile che il cavo si rompa, non è possibile che il doppio sistema frenante non si azioni». Invece l'impossibile è accaduto.

Così, in questo scenario ancora confuso, e mentre l'impressione e il cordoglio sono ancora freschi, già si iniziano a cogliere le mosse delle difese dei potenziali indagati. Perché se è vero, come spiega il procuratore Bossi, che «per adesso non ci sono indagati», è altrettanto vero che le iscrizioni sono imminenti, anche per dare alle difese la possibilità di partecipare alle analisi tecniche. E dalle scelte che compirà la Procura al momento di mettere nel mirino i possibili responsabili si inizierà a intuire la direzione che stanno prendendo le indagini. Di ieri sera la notizia che sono già stati iscritti i primi indagati.

Inevitabile che a venire indagato sia chi gestiva la funivia, ovvero la Ferrovie del Mottarone srl, il cui amministratore Luigi Nerini ieri fa sapere, tramite il suo legale Pasquale Pantano, di essere «molto provato», e di essere «pronto a collaborare». Ieri gli interrogatori sono partiti proprio dai suoi dipendenti. Ma non perde l'occasione per fare sapere anche che «tutti i controlli, le verifiche e la manutenzione sono a posto». Stessa scena per l'altra azienda più esposta sul fronte dell'inchiesta, la Leitner di Vipiteno, che ha in appalto la manutenzione ordinaria e straordinaria: anch'essa pronta a inviare i suoi tecnici per collaborare alle indagini ma altrettanto pronta a chiamarsi fuori nei limiti del possibile, spiegando di avere fatto gli ultimi controlli il 3 maggio, ma di non avere il compito della manutenzione «giornaliera e settimanale, a carico della società di gestione». Di più, il controllo di novembre «è stato fatto da Sateco di Torino, specializzata nel controllo magneto-induttivo delle traenti». Sateco conferma: «Sappiamo di aver fatto in modo corretto il nostro lavoro, abbiamo i documenti che lo attestano. Ora tutto è in mano alla magistratura, che avrà acquisito anche la certificazione».

In questo rimpallo preventivo di responsabilità entra in scena anche la proprietà dell'impianto, che - anche se meno direttamente di gestori e manutentori - rischia di venire chiamata a rendere conto di eventuali omissioni. Assodato che la funivia è in mano pubblica, e che una legge del 1997 prevedeva il suo passaggio dalla Regione al Comune di Stresa, dal Comune fanno sapere che la pratica non si è mai perfezionata, mentre dalla Regine spiegano esattamente il contrario. Così anche su questo punto il procuratore non può che prendere atto della necessità di capirci qualcosa, «c'è stato questo previo accordo per cui la Regione avrebbe ceduto la proprietà al Comune, non è chiaro se questo sia avvenuto completamente». Domanda che se ne porta appresso un'altra: chi aveva il compito di assicurare l'impianto? È assicurato?

Certo, intanto fa già capolino la pista che salverebbe quasi tutti, quella dell'«errore umano». Ma è improbabile che la Procura si accontenti.



Strage del Mottarone, domiciliari a Tadini, liberi direttore e gestore. Il gip: ancora pochi indizi
domenica 30 Maggio

https://www.secoloditalia.it/2021/05/st ... m=facebook

L’inchiesta sulla strage del Mottarone si aggiorna all’ultima decisione del gip di Verbania, che non convalida il fermo per i 3 indagati. Il giudice, di fatto, smantella l’impianto accusatorio e, recependo la linea della difesa, nell’ordinanza spiega che non sussisterebbero i gravi indizi necessari per una misura cautelare. Dunque, tutti fuori dalla cella: Tadini ai domiciliari e direttore e gestore della funivia, Perocchio e Nerini, liberi. Per il momento, a quanto sembra, «ci sono pochi indizi»…

Strage del Mottarone, tutti fuori dal carcere

Il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio lasciano il carcere di Verbania, di cui avevano varcato la soglia all’alba di martedì scorso. 48 ore dopo che la cabina precipitata sulla montagna che si affaccia sul Lago Maggiore ha causato la morte di 14 persone. Va agli arresti domiciliari il capo servizio Gabriele Tadini, che ha ammesso di aver manomesso il sistema di frenata di sicurezza. Lo ha deciso il gip Donatella Banci Buonamici, al termine di una giornata di interrogatori. Per Tadini sono sufficienti i domiciliari, mentre nei confronti degli altri due indagati – tirati in ballo dal capo servizio – non sussisterebbero i gravi indizi necessari per una misura cautelare.


I 3 indagati lasciano il carcere, il gip: «Ci sono pochi indizi»

E allora, come riferisce l’Adnkronos in un ampio servizio in cui ricostruisce le ultime tappe dell’inchiesta, Tadini ha lasciato il carcere di Verbania dopo mezzanotte. Pronto a raggiungere la sua abitazione in provincia di Novara, dove trascorrerà gli arresti domiciliari. Felpa rossa della funivia, una busta nera con i pochi effetti personali, ha raggiunto a testa bassa la macchina del suo avvocato ed è andato via. Tadini non può comunicare con gli estranei. Anche Luigi Nerini, gestore dell’impianto della funivia, ha lasciato il carcere di Verbania dopo che il gip non ha convalidato il fermo. Uscendo, scortato dagli avvocati non ha rilasciato dichiarazioni.


Il gip non convalida il fermo per i 3 indagati: pochi indizi

Il gip non ha convalidato il fermo per i tre indagati accusati di omicidio colposo plurimo per le 14 vittime di un incidente innescato dalla rottura della fune trainante (le cui cause sono ancora da accertare), che non avrebbe determinato lo schianto della cabina numero 3 se il sistema del freno di emergenza non fosse stato volontariamente disattivato. Se per Tadini pesano le confessioni sul forchettone – rese ai magistrati – per lui è sufficiente la detenzione domiciliare. Mentre Nerini e Perlocchio tornano a casa dopo il fermo scattato all’alba di mercoledì. Contro di loro gli elementi raccolti non risultano sufficientemente gravi per una misura cautelare.


Il gestore della funivia non è stato ritenuto responsabile della sicurezza

Se Tadini va ai domiciliari, il gestore della funivia non è stato ritenuto responsabile della sicurezza, a dire del giudice che ha accolto la linea difensiva dell’avvocato Pasquale Pantano. «Sapeva del problema ai freni, ma anche dei due interventi di manutenzione. Non è lui che può fermare la funivia. Per legge, due decreti legislativi lo spiegano: della sicurezza se ne deve occupare il capo servizio dell’impianto e il direttore di esercizio». Ossia Tadini e Perocchio, sono le parole del difensore al termine dell’udienza di convalida. Se le parole di Tadini vanno contro Perocchio, la testimonianza di un tecnico di manutenzione esterno alla società lo “assolve”: così il gip ha deciso di rimandarlo a casa dalla sua famiglia.


Strage del Mottarone, il gip nell’ordinanza: i dipendenti accusano Tadini su blocco freni

Una decisione, quella del gip di Verbania, che il magistrato spiega in un passaggio dell’ordinanza riferito sempre dall’Adnkronos, in cui leggiamo: dalle dichiarazioni rese dai dipendenti della funivia del Mottarone «appare evidente il contenuto fortemente accusatorio nei confronti del Tadini». E «tutti concordemente hanno dichiarato che la decisione di mantenere i ceppi era stata una decisione del capo servizio», ovvero di Gabriele Tadini. «Mentre nessuno ha parlato del gestore o del direttore di servizio», rispettivamente Luigi Nerini ed Enrico Perocchio.


Il giudice non crede a Tadini: non ci sono prove contro Nerini e Perocchio

«Contro Nerini e Perocchio il giudice ha ritenuto le prove non sufficienti ritenendo le parole di Tadini non credibili», ha detto il procuratore capo di Verbania, Olimpia Bossi, commentando la decisione del giudice. «È una fase cautelare – ha detto ancora – è una valutazione del giudice. Siamo alle fasi iniziali e mi riservo di valutare le motivazioni. Noi continueremo l’attività di indagine, manca pur sempre il motivo per cui la fune si è rotta», ha aggiunto il procuratore di Verbania dopo la decisione del gip Donatella Banci Buonamici. Decisione che di fatto smantella l’impianto accusatorio.


Strage del Mottarone: le dichiarazioni dei 3 fuori dal carcere

E allora, Nerini si dice «contento della scarcerazione. Ma – aggiunge anche – ora bisogna trovare i responsabili». L’ingegnere Enrico Perocchio continua a dichiararsi disperato, insistendo a ribadire che: «Le manutenzioni sono state tutte fatte. Non avrei avvallato quella scelta di lasciare il forchettone. Lavoro da 21 anni nel campo degli impianti a fune, ed è una cosa da non fare assolutamente». «Il giorno del disastro me lo ricorderò per tutta la vita», aggiunge poi prima di lasciare il carcere. Tadini, invece, «non si è reso conto, dopo una giornata devastante» di quanto sta accadendo. L’inchiesta, del resto, è solo alle prime battute.




Mottarone, ex dipendente: "Denunciai problemi a cabina 3, minacciato di licenziamento"
29 settembre 2021

https://www.adnkronos.com/mottarone-ex- ... D9pPFvQpF6

La cabina 3 della funivia del Mottarone, precipitata lo scorso 14 maggio con 15 persone a bordo e al cui schianto sopravvisse solo il piccolo Eitan, già nel 2019 aveva problemi all'impianto frenante. Lo svela un ex dipendente che ascoltato dalla procura di Verbania lo scorso giugno ha consegnato delle registrazioni audio - conservate sul cellulare - che fanno riferimento al 27 maggio 2019.

"Nelle registrazione - si legge a verbale - ci sono le discussioni con il vice capo servizio Silvio Rizzolo che mi diceva di aver già relazionato a Gabriele Tadini (capo servizio della funivia ai domiciliari) e Luigi Nerini (il gestore dell'impianto indagato). Nelle registrazioni si sente anche il Nerini intervenire nel suo ufficio ove ha minacciato di licenziarmi".

La colpa, a dire dell'ex dipendente, è quello di aver riscontrato nel 2019 problemi alla cabina 3, "nello specifico sul quadro di bordo usciva pressione minima valvola di non ritorno" riscontrati anche "vari trafilamenti (perdite) di olio dalla centralina dei freni di emergenza". Proprio per 'risolvere' i problemi ai freni la mattina dell'incidente la cabina 3 viaggiava con i forchettoni inseriti, così facendo la cabina priva del freno di emergenza è precipitata quando si è rotta la fune trainante per cause in fase di accertamento.

Consegnata anche una foto della cabina 3, "con Tadini (Gabriele, il capo servizio dell'impianto della funivia, ndr) e forchettoni inseriti (anno 2019)" foto e video del giro di prova all'interno della cabina e "documentazione fotografica centralina impianto frenante (27 maggio 2019)", impianto sotto la lente degli esperti. Stefano Carlo Gandini, assunto nel dicembre 2017 e a lavoro nell'impianto fino al 2019, aveva come "diretto superiore Gabriele Tadini", uno degli indagati.

In particolare, l'uomo racconta come il 28 maggio 2017 insieme al capo servizio Gabriele Tadini (agli arresti domiciliari dopo l'incidente) abbiano effettuato il controllo della cabina 3. "Lo stesso - si legge nel verbale dell'ex dipendente - mi disse che andava tutto bene, di stare tranquillo 'tanto la funivia non cade', ed inoltre mi rassicurò sul fatto che avrebbe annotato tutto sul libro di vettura, creandolo ex novo, cosa che non è mai stata fatta".

I libri di vettura "sono a mio modo obbligatori ma non sono stati mai creati. Analogamente anche nel registro di controllo nulla è stato annotato". Sulle 'difformità' riscontrate sulla cabina il giorno precedente l'ex dipendente fece una nota "da me sottoscritta e consegnata a Luigi Nerini (gestore dell'impianto, indagato) per il successivo inoltro anche all'ingegnere Perocchio (Enrico, indagato). Non so che fine abbia fatto tale documento, io non ne ho mai sentito parlare", racconta l'ex dipendente che nello stesso periodo aveva anche ricevuto una lettera di pre-licenziamento.




Eitan è un ebreo cittadino israeliano e non italiano.
viewtopic.php?f=197&t=2972

Deve essere un tribunale israeliano e non italiano a decidere a chi affidare Eitan che è cittadino israeliano.
Italiani non rubate i bambini di Israele dopo avergli ucciso i genitori per criminale avidità e irresponsabilità civile.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts/960265027883601

Abbiate rispetto per l'ebreo israeliano Eitan che è ebreo di etnia, di nazionalità, di cultura e di religione ed è cittadino di Israele che è lo stato nazionale degli ebrei etnici e religiosi.
Abbiate rispetto della sua identità e dei suoi diritti umani, civili e politici.
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Re: Mostruosità italiane o italiche

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 7:54 am

Finti test sui pacemaker, nei guai 4 dirigenti dell'Iss: «33mila pezzi sul mercato»
Michela Allegri
17 ottobre 2021

https://www.ilmessaggero.it/italia/fint ... 62271.html

Pacemaker, neuro-stimolatori e stent coronarici immessi sul mercato, e impiantanti a decine di migliaia di pazienti, ma privi della certificazione di conformità. Ancora peggio: dotati di certificazioni false, emesse dall'Istituto superiore di sanità, ma in realtà inesistenti, visto che nei laboratori dell'Ente i macchinari erano fatiscenti, datati e praticamente inutilizzabili. I dispositivi finiti nel mirino della Guardia di finanza sono in tutto 33.193: sono stati acquistati dagli ospedali di tutta l'Italia tra il 2010 e il 2014. Il danno calcolato dalle Fiamme gialle per le casse pubbliche è milionario e a pagare potrebbero essere i quattro responsabili del dipartimento Tecnologie e Salute dell'Iss che si sarebbero dovuti occupare delle autorizzazioni: la Corte dei conti del Lazio li ha citati in giudizio, chiedendo loro di risarcire l'Ente e il ministero della Salute con 3.054.714 euro.
Finti test, le accuse ai dirigenti Iss

L'atto è stato notificato a Velio Macellari, da luglio 2007 a dicembre 2012 direttore del dipartimento Te.Sa., Mauro Grigioni, all'epoca delegato del direttore di dipartimento, Giuseppe D'Avenio, in quegli anni responsabile della linea di prodotto per il tipo stent coronarici e periferici, insieme a Carla Daniele.

LABORATORI FATISCENTI
Dalle indagini, condotte dal viceprocuratore regionale Massimiliano Minerva, è emersa l'emissione di certificati di conformità - irregolari - per 43 modelli di «dispositivi medici impiantabili attivi», del tipo pacemaker e neuro-stimolatori, e anche per 37 modelli di stent coronarici. Nel caso degli stent, addirittura, la documentazione sarebbe stata prodotta solo successivamente e quando le verifiche della Finanza erano già in corso. Le indagini, per l'accusa, hanno dimostrato anche l'inesistenza dei rapporti di prova, l'omessa effettuazione dei test di laboratorio - almeno per quanto riguarda i pacemaker - e, soprattutto, l'impossibilità di effettuarli a causa «dello stato di obsolescenza e non funzionamento della maggior parte dei macchinari» presenti, avevano annotato gli investigatori in un'informativa. Realizzare le verifiche era praticamente impossibile: sensori rotti, strumentazione mancante, macchine ferme. Per gli investigatori, quindi, è impensabile che i responsabili non sapessero che le prove dei dispositivi non erano mai state effettuate.

I CERTIFICATI
Negli atti viene specificato che Macellari avrebbe firmato 33 certificati relativi a modelli di pacemaker e neuro-stimolatori, poi immessi a migliaia sul mercato, e avrebbe approvato anche 20 modelli di stent. In tutti i casi, secondo l'accusa, avrebbe certificato l'esistenza di rapporti di conformità che non erano mai stati compilati. Secondo i magistrati, Grigioni e la Daniele, pur essendo a conoscenza dello stato - pessimo - dei macchinari di laboratorio e pur sapendo che i responsabili di linea di prodotto avevano rinunciato all'incarico, visto che era impossibile effettuare i test, non avrebbero preso i provvedimenti necessari per impedire l'emissione dei certificati. Uno degli attestatori ha anche raccontato di avere subito pressioni perché firmasse i rapporti di conformità in assenza dei requisiti previsti. D'Avenio, invece, su ordine del nuovo direttore di dipartimento - ora deceduto - avrebbe compilato e stampato rapporti di conformità postumi relativi ai modelli di stent finiti sotto inchiesta. Nel 2014, durante una perquisizione, i finanzieri avevano infatti trovato sul suo computer un file per la creazione dei documenti, mentre nel suo ufficio c'erano i rapporti relativi a certificati emessi ben quattro anni prima.

L'attestazione di rispondenza dei prodotti a requisiti essenziali di efficacia e sicurezza è un dato necessario per la commercializzazione e, dunque, per l'utilizzo da parte delle strutture sanitarie pubbliche. Visto che la documentazione in questione, secondo il pm, non esisteva, il danno contestato riguarda sia le mancate ore di lavoro dei responsabili del dipartimento, sia il prezzo pagato dal Servizio sanitario nazionale per l'acquisto dei dispositivi. Il costo effettivo era stato di 29.577.677 euro. Ma i magistrati hanno deciso di contestare ai quattro imputati il 10% del danno totale.

Iss (Istituto superiore della sanità)
https://www.iss.it/
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Mostruosità italiane o italiche

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:04 am

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Re: Mostruosità italiane o italiche

Messaggioda Berto » dom ott 17, 2021 8:04 am

Finti test sui pacemaker, nei guai 4 dirigenti dell'Iss: «33mila pezzi sul mercato»
Michela Allegri
17 ottobre 2021

https://www.ilmessaggero.it/italia/fint ... 62271.html

Pacemaker, neuro-stimolatori e stent coronarici immessi sul mercato, e impiantanti a decine di migliaia di pazienti, ma privi della certificazione di conformità. Ancora peggio: dotati di certificazioni false, emesse dall'Istituto superiore di sanità, ma in realtà inesistenti, visto che nei laboratori dell'Ente i macchinari erano fatiscenti, datati e praticamente inutilizzabili. I dispositivi finiti nel mirino della Guardia di finanza sono in tutto 33.193: sono stati acquistati dagli ospedali di tutta l'Italia tra il 2010 e il 2014. Il danno calcolato dalle Fiamme gialle per le casse pubbliche è milionario e a pagare potrebbero essere i quattro responsabili del dipartimento Tecnologie e Salute dell'Iss che si sarebbero dovuti occupare delle autorizzazioni: la Corte dei conti del Lazio li ha citati in giudizio, chiedendo loro di risarcire l'Ente e il ministero della Salute con 3.054.714 euro.
Finti test, le accuse ai dirigenti Iss

L'atto è stato notificato a Velio Macellari, da luglio 2007 a dicembre 2012 direttore del dipartimento Te.Sa., Mauro Grigioni, all'epoca delegato del direttore di dipartimento, Giuseppe D'Avenio, in quegli anni responsabile della linea di prodotto per il tipo stent coronarici e periferici, insieme a Carla Daniele.

LABORATORI FATISCENTI
Dalle indagini, condotte dal viceprocuratore regionale Massimiliano Minerva, è emersa l'emissione di certificati di conformità - irregolari - per 43 modelli di «dispositivi medici impiantabili attivi», del tipo pacemaker e neuro-stimolatori, e anche per 37 modelli di stent coronarici. Nel caso degli stent, addirittura, la documentazione sarebbe stata prodotta solo successivamente e quando le verifiche della Finanza erano già in corso. Le indagini, per l'accusa, hanno dimostrato anche l'inesistenza dei rapporti di prova, l'omessa effettuazione dei test di laboratorio - almeno per quanto riguarda i pacemaker - e, soprattutto, l'impossibilità di effettuarli a causa «dello stato di obsolescenza e non funzionamento della maggior parte dei macchinari» presenti, avevano annotato gli investigatori in un'informativa. Realizzare le verifiche era praticamente impossibile: sensori rotti, strumentazione mancante, macchine ferme. Per gli investigatori, quindi, è impensabile che i responsabili non sapessero che le prove dei dispositivi non erano mai state effettuate.

I CERTIFICATI
Negli atti viene specificato che Macellari avrebbe firmato 33 certificati relativi a modelli di pacemaker e neuro-stimolatori, poi immessi a migliaia sul mercato, e avrebbe approvato anche 20 modelli di stent. In tutti i casi, secondo l'accusa, avrebbe certificato l'esistenza di rapporti di conformità che non erano mai stati compilati. Secondo i magistrati, Grigioni e la Daniele, pur essendo a conoscenza dello stato - pessimo - dei macchinari di laboratorio e pur sapendo che i responsabili di linea di prodotto avevano rinunciato all'incarico, visto che era impossibile effettuare i test, non avrebbero preso i provvedimenti necessari per impedire l'emissione dei certificati. Uno degli attestatori ha anche raccontato di avere subito pressioni perché firmasse i rapporti di conformità in assenza dei requisiti previsti. D'Avenio, invece, su ordine del nuovo direttore di dipartimento - ora deceduto - avrebbe compilato e stampato rapporti di conformità postumi relativi ai modelli di stent finiti sotto inchiesta. Nel 2014, durante una perquisizione, i finanzieri avevano infatti trovato sul suo computer un file per la creazione dei documenti, mentre nel suo ufficio c'erano i rapporti relativi a certificati emessi ben quattro anni prima.

L'attestazione di rispondenza dei prodotti a requisiti essenziali di efficacia e sicurezza è un dato necessario per la commercializzazione e, dunque, per l'utilizzo da parte delle strutture sanitarie pubbliche. Visto che la documentazione in questione, secondo il pm, non esisteva, il danno contestato riguarda sia le mancate ore di lavoro dei responsabili del dipartimento, sia il prezzo pagato dal Servizio sanitario nazionale per l'acquisto dei dispositivi. Il costo effettivo era stato di 29.577.677 euro. Ma i magistrati hanno deciso di contestare ai quattro imputati il 10% del danno totale.


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