Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 2:25 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm


Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 4:39 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 4:40 pm

Moti venetego-çelti
viewforum.php?f=87

Iats venetkens osts ke enogenes laions meu fagsto
viewtopic.php?f=87&t=151
Venetkens
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... VGVjQ/edit
Immagine


Boios e Tivalei Bellenei
viewtopic.php?f=87&t=155
Boios ente la iscrision Este n 28:
mego lemetor fraterei donasto Boios Voltiomnoi


Ego fontei ersinioi vineti karis vivoi olialekve murtuvoi
viewtopic.php?f=87&t=157

aviro broijokos
viewtopic.php?f=87&t=156
Forse anca sti nomi li xe de ara veneto-çeltega: aviro broijokos
(Iscrision de Lagole - Cador 20)
-aviroφro.i.coko.s.zotozono.m / š.ainate.i.
aviro broijokos doto donom / Šainatei


Sunar, sexołar, scartosar, meder, mietere, medi'r, moissonner
viewtopic.php?f=44&t=239
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm


Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 5:29 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 6:44 pm

La storia dei Bagaudi
di Lawrence M.F. Sudbury

Da;
http://www.mondimedievali.net/Barbar/bagaudi.htm

La storia dei Bagaudi rientra in questo secondo gruppo: chi, a scuola, li ha mai sentiti nominare?
Quanti riuscirebbero anche solo a localizzare cronologicamente e geograficamente le loro vicende?

Eppure quella dei Bagaudi fu una epopea di lunga durata, fondamentale almeno su due fronti: in primo luogo perché fu l'ultimo reale colpo di coda, per quanto triste e scoraggiante sia nelle premesse che nelle conclusioni, della quasi millenaria civiltà celtica continentale, in secondo luogo perché fu elemento di non secondaria importanza nel quadro politico-militare coevo nell'aggravarsi della già pericolante situazione dell'Impero romano.

Ma procediamo con ordine e prendendo le cose dall'inizio.

UN POPOLO OPPRESSO

Dopo il massacro di Alesia del 52 a.C. la “Pax Romana” dominava non solo a Roma, ma in tutte le colonie, Gallia compresa.
Di fatto, la Pax Romana era, paradossalmente, tutt'altro che pacifica e anzi, si può definire, nei suoi 400 anni di vita, uno dei periodi più bellicosi della storia dell'umanità. In Gallia, mentre, come in ogni altra area occupata, nobiltà e alta borghesia collaboravano alacremente con i nuovi padroni, servi e contadini continuarono una sorta di resistenza armata che, periodicamente, erompeva in rivolte più o meno sanguinose contro i popoli che vennero costantemente avvertiti come invasori.
Per lo più si trattava di una resistenza di basso profilo, locale e facilmente controllabile.
Ma l'Impero, a poco a poco, si stava indebolendo, soprattutto sui confini e, oltre alla “normale” violenza predatoria del fisco romano e all'endemico banditismo, dalla metà del III secolo in poi una nuova calamità si abbatté sulle popolazioni rurali delle aree a più antico stanziamento coloniale imperiale: quella delle invasioni/penetrazioni germaniche che razziavano e distruggevano i raccolti.
La conseguenza più immediata fu che la carestia divenne una tragica compagna di vita per buona parte delle cosiddette popolazioni gallo-romane (1).

Nell'esercito imperiale, che ormai di romano aveva ben poco (è stato calcolato che solo il 10% delle truppe era formato da italici o cives, mentre il restante 90% era un coacervo di mercenari di varia etnia), il morale era bassissimo e serpeggiavano paura e scontento (2). Praticamente il saccheggio era rimasta l'unica ragione che teneva ancora insieme armate in cui diserzioni e ammutinamenti di massa erano all'ordine del giorno.

In una simile situazione, i contadini, quando non ce la fecero più a sopportare condizioni di vita che oggi non ci azzarderemmo neppure a definire miserevoli, fecero ciò che ogni popolo oppresso ha sempre fatto in occasioni analoghe: si sollevarono e si diedero alla macchia.
Qui, per lo più, incontrarono proprio i disertori di cui si parlava, che misero le loro conoscenze militari al servizio di uomini che conoscevano il territorio come le loro tasche e, successivamente, li inquadrarono in bande con un certo ordine.
Quello che risultò da questo mix esplosivo di tecnica bellica e perfetta cognizione territoriale fu la formazione di un movimento di bande paramilitari di guerriglieri che prese il nome di Bagaudi (da Bacaudae, che, in dialetto romano-celtico doveva significare qualcosa come “unione ribelle”).

In alcune aree più remote della Gallia, dell'Elvezia e delle regioni occidentali del Norico (praticamente lungo tutto l'arco alpino-pirenaico), scarsamente o per nulla presidiate dall'Impero, ormai per lo più impegnato a cercare di difendere, senza speranza, i confini settentrionali e orientali ormai di fatto aperti, i Bagaudi riuscirono persino a creare piccole repubbliche autonome (le cosiddette Bagaudicae), in cui tutte le decisioni venivano prese in comune, in cui i magistrati erano eletti dal popolo (con decisioni ricontrollate in incontri collettivi) e con tutto il potere affidato ad assemblee di contadini e soldati (3).

Sul sistema di vita bagaudico è stato scritto poco, sia nell'antichità che nelle epoche successive e molto rimane ancora oscuro: non si sa, ad esempio, se i cittadini delle Bagaudicae fossero in maggioranza cristiani o avessero mantenuto (o, in alcuni casi, ripreso) le antiche religioni celtiche, così come nulla si sa riguardo alle loro leggi interne (sempre che vi fossero leggi stabilite e scritte).

Tutto ciò che oggi possiamo affermare è che essi dichiaravano di seguire “la legge naturale” e che, come era ovvio attendersi, essi esercitarono un enorme fascinazione sugli strati più bassi delle popolazioni di origine celtica di tutto l'Impero.

Ovunque vennero salutati come i liberatori di cui i Galli avevano bisogno e, probabilmente, essi tali si ritenevano.
Di fatto, certamente, nelle aree controllate dai Bagaudi l'agricoltura rifiorì con l'estirpazione della piaga latifondistica, del saccheggio indiscriminato e con l'emancipazione degli schiavi e la liberazione dei servi (4).

LO SCONTRO
Anche se esclusi dalle cronache ufficiali o bollati come banditi e predoni, i Bagaudi proliferarono per parecchi decenni, estendendosi fino alle rive della Loira ed entrando in una sorta di stato simbiotico con gli abitanti delle aree “occupate”, che fornivano loro rifornimenti e supporto logistico in cambio di protezione contro occupanti e germani.

Bisogna ricordare che molti dei capi Bagaudi erano ex soldati romani o ex commilitoni di quel Meterno che, alla fine del II secolo, aveva guidato una rivolta di una certa importanza e quindi, in realtà, la loro perizia militare non era secondaria.
Nonostante ciò, il fenomeno bagaudo venne ben poco preso in considerazione fino al 268 d.C., quando i Bagaudi della Loira si unirono ad un certo Vittorino, ricco possidente gallo che si era autoproclamato imperatore, e misero sotto assedio la città di Autun, impossessandosene.

Sicuramente il movimento doveva essere al suo massimo storico intorno al 283 d.C., quando tentò di darsi una forma più strutturata e di portare un attacco frontale all'Impero del debolissimo cesare Marco Aurelio Canino, iniziando a dare alle fiamme grandi possedimenti, a razziare ricche città (i cui magistrati venivano cacciati e sostituiti da nuovi rappresentanti della “repubblica bagauda”) e a mettere al sacco i villaggi dell'Alta Loira. A capo dell'“armata stracciona” vi erano, in questo periodo, due disertori romani, Amando e Ælieno, che posizionarono il loro quartier generale alla confluenza tra Loira e Marna, nei pressi dell'odierna Maison-Alfort. Da questa roccaforte inespugnabile, arrivarono addirittura a compiere raid su Parigi e le regioni circostanti, mentre l'esercito romano, per nulla abituato alle loro tattiche di guerriglia, sembrava impotente a fermarli, cadendo spesso nei loro agguati e persino perdendo il capo della sua legione stanziale, Constanziano, in uno di essi.

Quando la situazione divenne insostenibile per Roma, però, il nuovo imperatore, Diocleziano, mandò a fronteggiare la rivolta uno dei suoi migliori generali: Marco Aurelio Massimiano.
Questi immediatamente mise in pratica una delle strategie più antiche dell'esercito romano, quella del dividere le forze nemiche, isolarne i gruppi e massacrarli uno per volta.

La cosa funzionò, anche per l'imperizia logistica dei leader bagaudi. Amando, in particolare, che in fin dei conti nell'esercito non aveva mai superato il grado di centurione, decise, nel 286, di asserragliarsi nell'imprendibile campo fortificato dell'odierno St. Maur des fosses, pensando di poter resistere indefinitamente. Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con la mancanza di approvvigionamenti e, una volta posto da Massimiano il campo sotto assedio, fu la fame che spinse i Bagaudi a tentare una sortita finale, che si rivelò un disastro in cui sia Amando che Ælieno furono uccisi e il movimento bagaudo fortemente colpito e indebolito. Massimiano poté anche mostrarsi clemente, concedendo la vita a tutti i rivoltosi che si fossero arresi, benché più che di generosità si trattò di convenienza, dovendo il generale rimpolpare le fila delle sue legioni, fortemente assottigliate dalla durezza della campagna, con forze nuove e a basso costo.

L'ULTIMA RIVOLTA

Nonostante il grave scacco sulla Loira, i Bagaudi riuscirono a riorganizzarsi e a continuare la loro lotta contro Roma per almeno due secoli, sia con occasionali schermaglie (nel 407 una banda di Bagaudi riuscì addirittura a far pagare al generale Saro il tributo tutto il bottino raccolto nella campagna di Gallia in cambio di un passaggio sicuro per i passi alpini) che, soprattutto, diffondendo il seme della ribellione e dell'utopia del “vivere secondo le leggi naturali”.

Tra il 404 ed il 417, comunque, una nuova grande campagna iniziò lungo l'Atlantico, tra Normandia e Guascogna, dove i Bagaudi avevano sviluppato nel tempo una forte presenza, vivendo nelle foreste come uomini liberi e con il supporto delle popolazioni locali.

Siamo agli inizi della grande calata del 406-409 da parte di Svevi, Alani, Burgundi, Vandali e Visigoti e quando i servi si rifiutarono di pagare a Roma una ulteriore tassa per finanziare l'esercito che si opponeva all'invasione, i Bagaudi, come naturale, si schierarono dalla parte delle popolazioni oppresse.

Quando le truppe imperiali si ritirarono dalla Britannia, i Bretoni si allearono all'armata Bagauda per cacciare gli ultimi rappresentanti dell'autorità centrale romana e amministrare la regione da soli.
L'intera Armorica divenne così indipendente, seguita dalla regione della Loira: entrambe le aree divennero capisaldi dei Bagaudi, in questo periodo guidati da un tale Tibatto, di etnia gallica, il cui progetto, in buona parte realizzato, era di espropriare tutti i ricchi proprietari terrieri e di liberare tutti i servi dell'area sotto il suo controllo
(5).

Sebbene Zosimo accenni a questo periodo come piuttosto positivo per l'economia agricola della regione (6), in realtà sappiamo davvero pochissimo sulla “repubblica di Armorica”, se non che essa arrivò addirittura, tramite il vescovo Germano di Auxerre, ad avere contatti formali con Roma, che, comunque, invasa da qualunque confine, aveva ben altro da pensare che non combattere per un'area che, più o meno alla stessa stregua della Britannia, veniva considerata praticamente perduta.

Così, dobbiamo arrivare al 437 per vedere la caduta di Tibatto per mano di Roma, che inviò una legione a deporlo ed ucciderlo, pur senza riuscire a riconquistare l'area bretone. Solo nel 442 Valentiniano III diede ordine al “Magister Utriusque Militiae” Flavio Astirio, già come “Comes Hispaniae” difensore della Galizia contro i Vandali di Gunderico, di riappropriarsi dell'area, cosa che egli riuscì a compiere se non dal punto di vista politico (ormai l'intera Gallia era allo sbando e terra di conquista per bande germaniche di ogni etnia), almeno formalmente dal punto di vista militare (7).

Ciò non tolse che l'intero arco alpino rimase territorio sotto la continua minaccia dei Bagaudi ivi stanziati, che ora (ma già era accaduto in Armorica) spesso combattevano, con la solita tattica della guerriglia, su due fronti: contro i tradizionali nemici latifondisti romani e contro i nuovi padroni germanici, in particolare Burgundi.

Forse, proprio questo fronte bipartito li spinse a dividersi nel momento in cui l'ultima grande invasione, quella unna, ebbe luogo. Una parte di loro, infatti, vedendo in Attila una sorta di campione anti-romano, si unì alle fila del “flagello di Dio”, mentre la maggior parte, inquadrata da ufficiali imperiali, si unì alle truppe di Ezio e formò la cosiddetta “Legione Bagaudica”, che combatté, pare anche con un certo valore, ai Campi Catalaunici (8).

Probabilmente anche questa divisione contribuì alla sparizione dei Bagaudi, dei quali cronache e resoconti non fanno, dopo l'epica ultima vittoria romana, più menzione.

Con loro si spense l'ultima fiamma di resistenza celtica in Europa continentale e, forse anche l'utopia di una democrazia egualitaria.




--------------------------------------------------------------------------------

NOTE:


(1) A.C. Murray, From Roman to Merovingian Gaul: A Reader, Broadview Press, London 2000, pp. 368 ss.
(2) D. Kagan, The End of the Roman Empire: Decline or Transformation?, D.C. Heat & Co., Washington 1992, p. 57.
(3) Y. Fremion, Orgasms of History: 3000 Years of Spontaneous Insurrection , A.K. Press, N.Y. 2001, pp. 12-13.
(4) Ivi, p. 14.
(5) P. Somtow, Armorica , Orbit, Chicago 1994, p. 36.
(6) Zosimus, Historiae Novae, III, 14-16.
(7) P. Matyszak, The Enemies of Rome: From Hannibal to Attila the Hun, YHames&Hudson, Londra 2004, pp. 69 ss.
(8) J. Man, Attila the Hun, Bantam, N.Y. 2006, pp.301-303.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 6:45 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 6:45 pm

Cornovaglia: ottenuto lo status di minoranza celtica del Regno Unito

http://www.lindipendenza.com/cornovagli ... egno-unito

di LUCA FUSARI

Ieri, dopo più di un millennio dal loro assoggettamento sotto la Corona inglese, e 15 anni di battaglie giuridiche, il governo Cameron ha annunciato che il popolo della Cornovaglia è stato formalmente dichiarato popolo distinto da quello inglese, dunque godrà dello status, riconosciuto da Westminster, di minoranza celtica nazionale facente parte del Regno Unito.

La Cornovaglia è una regione che si estende su una superficie di 3563 chilometri quadrati (se si comprende anche la superficie delle isole di Scilly, situate a 45 chilometri dalla costa). La popolazione supera i 500 mila abitanti. Il turismo è una parte importante dell’economia locale, anche se è la zona più povera del Regno Unito per Prodotto Interno Lordo.

Storicamente le fonti antiche registrano che la Cornovaglia inizialmente era abitata da tribù di lingua celtica. Gli antichi romani conoscevano l’area come Cornubia, nome correlato con le parole corniche ‘Kernow‘ o ‘Curnow‘; questo nome potrebbe derivare dalla tribù celtica dei cornovi, che vivevano nelle odierne contee dello Staffordshire settentrionale, del Shropshire e del Cheshire, nelle Midland occidentali.

In antichità tale territorio fu una importante zona mineraria ricca di stagno, assai importante per i traffici commerciali con le civiltà mediterranee, tant’è che dopo la conquista (mejo dir envaxion!) gli antichi romani soprannominarono le isole britanniche con il soprannome di ‘isole dello stagno’, mutuando questa definizione dai mercanti fenici che commerciavano con la Britannia attraverso le colonie cartaginesi in Spagna (ancor oggi esiste una forte convinzione locale secondo cui alcuni abitanti della Cornovaglia discenderebbero da coloni fenici).

Dopo il ritiro dei romani dall’isola (manco mal ke li x endà fora dai cojoni), i sassoni e altri popoli invasori conquistarono gran parte della Britannia orientale, tuttavia la Cornovaglia restò sotto il controllo dei sovrani romano-britannici (???) locali e delle élites celtiche.
La denominazione Cornovaglia deriva dall’anglosassone ‘Cornwall’ o ‘Cornu-Wealha’ (cioè i ‘gallesi del Corno’) indicando, ovviamente, la conformazione geografica della zona e forse anche la presenza della popolazione pre-romana dei cornavi).

L’abate San Piran, vissuto nel VI° secolo e originario dell’Irlanda, è divenuto il santo patrono dei minatori cornovagliesi ed ha ispirato il nome alla bandiera nazionale: la ‘Baner Sen Piran‘. Assieme ad altri santi canonizzati (Meriasek e Geraint) esercitò una forte influenza religiosa e politica, riuscendo a connettere in maniera stretta la Cornovaglia con l’Irlanda, la Bretagna, la Scozia e il Galles, dove molti di loro si erano formati o avevano costruito monasteri cristiani.

Sempre in quel periodo vi fu la nascita anche di un primo regno di Cornovaglia che ispirò leggende e miti, ripresi nella Historia Regum Britanniae redatta di Goffredo di Monmouth. Il regno mantenne la sua indipendenza per pochi secoli, fino all’anno 875 d.C., quando le fonti storiche ricordano che un re cornico di nome Doniert o Dungarth annegò nel fiume Tamar mentre stava combattendo l’espansione degli inglesi nelle sue terre; da quella data la Cornovaglia divenne suddita dei monarchi inglesi, divenendo Ducato di Cornovaglia nel 1337 per volere di Edoardo III d’Inghilterra per il figlio, Edoardo principe di Galles.

Solo a partire dal XIX° secolo nacque una letteratura cornica, che stimolò la successiva riscoperta di tale antica lingua celtica nel secolo successivo. Tuttavia dopo la crescita economica e demografica che ha caratterizzato la fase della rivoluzione industriale tra il 1750 e il 1860, nel XX° secolo il numero dei nativi della Cornovaglia è iniziato a diminuire a causa delle migrazioni delle popolazioni autoctone a partire dalla crisi economica degli anni ’60; gli autoctoni sono passati da una presenza dell’80% negli anni ’50 al 40-50% al giorno d’oggi.

Fino al 2010 la lingua cornica era classificata dall’Unesco come estinta dall’insegnamento, ma negli ultimi anni sta godendo di una robusta ripresa anche se per il momento solo 557 persone la usano come lingua principale. Una inversione del trend che fa ben sperare per il futuro lo si è registrato con l’inaugurazione del primo asilo nido in lingua cornica, inaugurato nel 2010 e con l’adozione di segnali stradali bilingue ormai diffusi in tutta la contea.

Cornish identity

Immagine

Nel 2011, 84 mila persone del luogo hanno dichiarato sui moduli del Censimento di essere cornovagliesi anziché inglesi. Una persona su sette in Cornovaglia si considera cornovagliese, e una su tre è autoctona. Nello stesso anno il 41% degli alunni delle scuole della Cornovaglia si è descritto come cornovagliese in un sondaggio scolastico, con una crescita dell’affermazione di tale identità da parte degli studenti del +7% rispetto all’analogo rilevamento del 2009.

La mappa dell’identità del 2011 mostra un marcato gradiente ovest-est, con una presenza identitaria di popolazione nativa situata nell’entroterra ad ovest della contea, rispecchiando lo spostamento degli antichi popoli a fronte della progressiva avanzata inglese.

L’unica eccezione a tale distribuzione sono nelle aree turistiche più caratteristiche come Lelant/Carbis Bay, l’area di Newquay, le parrocchie settentrionali di Helford, e la baia di St. Austell dove la presenza cornica è presente a fronte di una forte presenza inglese. Il nucleo più fortemente etno-nazionalista in Cornovaglia è situato nel vecchio quartiere centrale minerario di Camborne-Redruth.

Il riconoscimento dello status ufficiale di appartenenza alle antiche sei nazioni celtiche equipara la Cornovaglia con gli stessi diritti e le stesse tutele delle altre nazioni celtiche della Gran Bretagna, ai sensi della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1995, ratificata dal Regno Unito nel 1998.

Gli obiettivi generali della Convenzione quadro assicurano che gli Stati firmatari rispettino i diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali, impegnandosi a combattere le discriminazioni, promuovere l’uguaglianza, preservare e sviluppare la cultura e l’identità delle minoranze nazionali, garantire alcune libertà in relazione all’accesso ai media, alle lingue minoritarie e all’educazione, incoraggiando la partecipazione delle persone appartenenti a minoranze nazionali alla vita pubblica.

Dunque è tale Convezione ad aver aperto la strada a tale successivo riconoscimento politico da parte di Londra. La lingua della Cornovaglia è l’unica lingua in Inghilterra riconosciuta ai sensi del Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d’Europa.

Dal 2010 il governo di Londra ha erogato più di 500 mila sterline al Cornish Language Partnership for the development and promotion of the Cornish language; e il mese scorso il governo Tory-Libdem ha stanziato altri finanziamenti governativi promettendo ulteriori 120 mila sterline alla Cornish Language Partnership (MAGA), per realizzare programmi atti a promuovere e sviluppare la lingua cornica, e tra le varie iniziative si prevede anche la creazione di una stazione radio online.

L’interessamento del vicepremier e leader Liberaldemocratico, Nick Clegg alla promozione del cornovagliese non è casuale né recente, dato che la Cornovaglia era fino al 2005 un loro feudo politico locale, e i 3 loro deputati eletti a Westminster nel 2010 provengono proprio da tale regione. Il riconoscimento quale minoranza etnica è però una vittoria della popolazione e di quegli attivisti che hanno a lungo insistito, con il lobbying e la presentazione anche di due relazioni formali indirizzate al Parlamento di Londra, affinché al popolo della Cornovaglia fosse riconosciuta la sua peculiare identità a livello linguistico e culturale rispetto agli inglesi.

Il segretario al Tesoro, Danny Alexander, ha simbolicamente annunciato la notizia a Bodmin la capitale storica della Cornovaglia e non a Truro, centro amministrativo e unica città dell’attuale contea cerimoniale, ubicata nell’estremità della penisola sud-occidentale dell’Inghilterra. «La gente della Cornovaglia ha una storia gloriosa e una distinta identità. Sono lieto che siamo stati in grado di riconoscere ufficialmente questo e consentire al popolo della Cornovaglia di avere stesso status delle altre minoranze nel Regno Unito», riporta The Independent.



Anche Stephen Williams, ministro delle comunità, ha esultato per l’evento «questo è un grande giorno per il popolo di Cornovaglia il quale ha condotto una lunga campagna per la peculiarità e l’identità dei cornovagliesi ad essere riconosciuti ufficialmente. La Cornovaglia e il Galles sono i popoli più antichi su quest’isola e come gallese orgoglioso non vedo l’ora di vedere la bandiera di San Piran sventolare con orgoglio celtico supplementare il prossimo anno il 5 Marzo» (St Piran’s Day, festa nazionale della Cornovaglia n.d.r.).

Eppure complice anche l’indizione del referendum d’autodeterminazione della Scozia, tale annuncio potrebbe però rivelarsi presto una nuova insidia per il governo centrale di Londra; infatti tale riconoscimento potrebbe prefigurare la richiesta di un percorso per ottenere maggiori autonomie territoriali e un maggior decentramento degli affari interni da Londra a Truro da parte del movimento nazionalista cornovagliese (in particolare il Revived Cornish Stannary Parliament, la Cornish Constitutional Convention e personaggi come John Angarrack), da sempre oppositore dell’attuale status costituzionale della Cornovaglia, e all’appartenenza delle proprie terre nel sistema amministrativo inglese delle attuali contee, a partire dalla loro approvazione sancita dal Local Governments Act del 1888.

Nel 2001 fu presentata all’allora premier Tony Blair una petizione dove molti residenti chiedevano un più alto grado di autonomia dall’Inghilterra, o una vera e propria secessione che avrebbe creato una quinta nazione autonoma nel Regno Unito. All’interno della Cornovaglia esiste un forte desiderio indipendentista in costante crescita, i sondaggi del Consiglio di Cornovaglia (organo amministrativo della contea) nell’ultimo decennio hanno registrato percentuali favorevoli alla creazione di un’assemblea regionale autonoma come in Galles e Scozia.

Nel 2002 il 46% dichiarava di essere favorevole a maggior autonomie, nel 2003 tale cifra era al 55% dei favorevoli con solo il 13% di contrari, registrando il 72% a favore di una Assemblea regionale sudoccidentale (ossia un consiglio autonomo comprendente anche il Devon). Dick Cole, leader del partito nazionalista civico di tendenze socialdemocratiche, Cornish Mebyon Kernow (I Figli di Cornovaglia o MK) fondato nel 1951, già autore nel 2003 del libro-manifesto Mebyon Kernow and Cornish nationalism, è sicuramente il più raggiante, in quanto da tempo si batte per la creazione di una assemblea nazionale in Cornovaglia distinta dal Parlamento di Londra.

Cole sul suo sito ha così commentato:

«Una notizia fantastica. Sono assolutamente felice che il governo riconosca formalmente il popolo della Cornovaglia come minoranza nazionale. E’ bello che tutti i popoli celtici di queste isole, i cornovagliesi, gli irlandesi, gli scozzesi e i gallesi vengano offerte uguali protezioni ai sensi della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Il popolo ha fatto una campagna su questo tema da oltre 15 anni e vorrei rendere prima o poi un sentito omaggio a tutti coloro che hanno giocato un ruolo nella lunga lotta per assicurare lo status nazionale di minoranza».

Sull’esempio dello Scottish National Party di Alex Salmond e del gallese Plaid Cymru di Leanne Wood, Cole e il suo partito puntano a cavalcare il ritorno in auge del nazionalismo cornico quale via per aprire un possibile nuovo contenzioso indipendentista con Londra, auspicando che il referendum scozzese del prossimo 18 Settembre possa positivamente contribuire ad accelerare il processo di dissoluzione del regio dominio inglese anche nelle altre nazioni celtiche britanniche.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Gałi e çelti ente ła tera veneta e en Ouropa

Messaggioda Berto » mer giu 29, 2016 6:26 am

???

I VENETI ANTICHI E L’INTEGRAZIONE DEI CELTI “FORESTI”
5 luglio 2015 di Millo Bozzolan

https://venetostoria.com/2015/07/05/i-v ... ti-foresti

È un gran dibattere , oggi, intorno al discorso dell’integrazione di masse sempre più grandi di persone di culture totalmente estranee alla nostra, o meglio, alle nostre, se consideriamo che i popoli d’Italia hanno radici diverse tra loro, multiformi e antichissime che la romanizzazione non cancellò ma in un certo senso, preservò, come scriveva ad esempio Strabone già all’epoca. Erano tutti romani, ora, ma non di meno, proprio grazie ai Romani, ancora esistevano Liguri, Umbri, Insubri e Veneti (Strabone, libro V).

Prima dell’arrivo dei Romani i nostri Veneti erano insidiati dai Galli o Celti, di cui condividevano molto i costumi, ma non la lingua. Il punto di incontro e non di scontro si realizzò a Verona, città anche veneta che vide un afflusso notevolissimo di Celti Cenomani (pare provenienti da Marsiglia), i quali, invece di aprire un conflitto permanente, come accadde nel vicentino, dove tribù celtiche erano tenute a bada dall’avamposto fortificato nato sul fiume, si fusero gradatamente con l’elemento veneto, attraverso matrimoni ed accettazione della cultura veneta predominante. Regola prima, che oggi non viene considerata, per l’integrazione.

Non fu una cosa imposta, ma certamente pacifica, nata dalle circostanze, e per i primi tempi, Veneti e Cenomani, mettevano a disposizione entrambi, nelle guerre che li videro al fianco di Roma, migliaia di cavalieri armati di tutto punto, contro gli altri Celti e i popoli italici nemici di Roma. E così troviamo un proiettile di un fromboliere (erano armati di micidiali fionde) arruolato come ausiliario tra i romani per la guerra italica, firmato col nome di Obterg (Oderzo), luogo di origine del guerriero. Poi la fusione fu totale, e dal II secolo, si parlò genericamente di Veneti e di “angulus Venetorum” per l’attuale triveneto.

Dobbiamo considerare poi che, a differenza di oggi, i territori erano scarsamente popolati (oggi nel Veneto attuale, dove maggiore è l’immigrazione gli abitanti superano i 700 a chilometro quadrato), e se una tribù di etnia diversa arrivava, poteva anche essere ben accolta, poiché nel caso dei Celti, vi era comunanza di costumi, come sottolinea anche Polibio (…sono chiamati Veneti e, per costumi ed abbigliamento, sono poco diversi dai Celti, ma usano un’altra lingua,…).Quindi l’integrazione, era a un certo punto molto facile. Ben diversa quindi la situazione di oggi, quando dall’immigrato ti divide tutto, la lingua, i costumi, la religione, la mentalità e il rifiuto da parte di chi arriva, di adattarsi almeno alle usanze del posto. Ma non può essere diversamente, poiché chi arriva è convinto che noi concediamo loro, poiché siamo in democrazia, di vivere anche secondo le leggi della sharìa e di praticare magari la poligamia. La democrazia moderna e i princìpi dei diritti universali, secondo cui tutti i popoli hanno pari rilevanza, sembra il tallone d’Achille su cui crollerà l’Occidente così come lo conosciamo.

Un esempio di integrazione corretta e perfetta, del resto, ce lo offre la famosa stele di Isola Vicentina, in cui nel V/VI secolo avanti Cristo un Veneto vicentino vergò il nome del suo popolo, i Venetkens, appunto. Ebbene, leggevo nella didascalia che accompagnava il manufatto alla mostra omonima, ancora aperta al Palazzo della Ragione di Padova, che è stato decifrato anche il nome dell’autore, che sarebbe di origine celtica…quindi è un antico vicentino che pur di ceppo diverso dal nostro, si è fuso talmente bene con chi lo ha accolto, da divenire egli stesso e con orgoglio, un Veneto. Tanto da ribadirlo a chiare lettere nell’epigrafe. Traete voi la morale della storia….


I Çenomani no łi jera provegnenti da Marseja

https://it.wikipedia.org/wiki/Cenomani
Erano originari della regione attorno all'attuale città di Le Mans (il Maine), a ovest dei Carnuti tra Senna e Loira.
La loro capitale era Vindinum o Suindinum (Subdinnum), poi Civitas Cenomanorum e Cenomani (vedi Notitia Dignitatum). Secondo il De bello Gallico di Cesare, si schierarono con la grande rivolta guidata da Vercingetorige (52 a.C.), fornendo 5.000 uomini. Al tempo di Augusto formarono una civitas stipendiaria nella Gallia lugdunense, mentre nel IV secolo fecero parte della Gallia Lugdunensis III.

E ome se fa a dir ke a Viçensa i veneti e i çelto-gałi łi jera senpre en barufa ?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Xenti de l'ara veneta

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 3 ospiti

cron