Terremoto in magistratura, scoppia la rivolta dei Pm ultrà Piero Sansonetti
23 dicembre 2020
https://www.ilriformista.it/terremoto-i ... ra-184790/ Magistratopoli, piano piano, inizia a dare frutti. L’establishment del potere giudiziario ha finto di non vederla. Il Csm si è comportato come una specie di setta segreta, anche abbastanza sfacciata nel seppellire tutto sotto la sabbia. La politica si è voltata dall’altra parte. Il giornalismo… beh, non parliamo del giornalismo, perché quello italiano, ormai, in larghissima parte, è solo lo scantinato della magistratura. Non è certo il giornalismo che può ribellarsi allo strapotere e all’evidente grado di non indipendenza, e anche di corruzione profonda, venuto alla luce grazie al Palamara-gate. E però…
Però qualcosa è successo. Perchè la magistratura è un luogo piuttosto vasto. Composto da circa 8000 professionisti. Di questi ottomila c’è solo una parte modesta, forse di duemila persone, che ha in mano tutto il potere, che controlla le correnti, e dunque le carriere, gli assetti delle procure, le nomine, molto spesso anche le sentenze. La magistratura è un monolite, come quasi sempre succede ai poteri autoreferenziali. Cioè ai poteri che non subiscono controlli o condizionamenti o verifiche esterni. Ma alle volte succede che anche i monoliti si sfaldano. E succede che le minoranze al potere vengono messe in discussione.
Così è accaduto nel luogo sacro del potere giudiziario. Dico del potere giudiziario, non certo del diritto, perché le due cose non sempre, anzi quasi mai, coincidono. Questo luogo sacro è l’Anm, cioè l’associazione che raccoglie tutti i magistrati italiani e che da molti e molti anni è dominata dal partito dei Pm. È successo che una parte consistente della magistratura si è ribellata al partito dei Pm e gli ha tolto via lo scettro. Nessuno se l’aspettava. Non era mai accaduto. L’elezione di Beppe Santalucia a presidente dell’Anm è un fatto storico. Innanzitutto per una ragione oggettiva: per la prima volta da molti decenni diventa presidente dell’Anm un giudice. Almeno in questo secolo mai un giudice aveva ottenuto il comando: Bruti Liberati, Palamara, Sabelli, Davigo, Albamonte, Poniz: tutti uomini della procura. Eppure, i Pm sono solo una minoranza nel corpo della magistratura italiana. Ma una minoranza che ha in mano tutto il potere.
La vittoria di Santalucia su Poniz ha avuto subito un effetto deflagrante. Santalucia non solo è un giudice e non un Pm, ma è un giudice della Cassazione (dunque dell’istituzione più garantista della magistratura). Non è un forcaiolo, anzi è considerato un liberale, e appartiene a quella componente garantista di magistratura democratica che negli ultimi anni era quasi sparita, ma che fa parte del Dna della corrente di sinistra della magistratura. La nomina di Santalucia, che avviene a sorpresa, spacca Md e spacca tutto lo schieramento delle correnti. Proviamo a spiegare perché.
Nella magistratura italiana esistono diversi livelli di potere. Il potere istituzionale, e cioè il potere vero, quello che determina assetti, orientamenti e anche sentenze, che regola i rapporti col potere politico, che indirizza le carriere e gli organigrammi, è in mano a pochi uomini, in genere molto discreti, fuori dal clamore, che non amano la Tv, i giornali, la fama: amano il comando. Chi sono? Provo a fare tre nomi, difficilmente mi sbaglio: Michele Prestipino, Giovanni Melillo, Francesco Greco. Sono i capi rispettivamente della Procura di Roma, di Napoli e di Milano. Prestipino è il successore di Pignatone, ex deus ex machina del potere giudiziario. Melillo ha costruito la sua carriera al ministero. Greco ha una grande esperienza nella lotta contro la politica, perché è l’autore del primo clamoroso arresto di un segretario di partito (Pietro Longo, Psdi, 1992) e poi partecipa attivamente al pool mani pulite che smantella e liquida la Prima Repubblica.
È questa troika, oggi, che tiene stretto il bastone del comando. Poi c’è il partito dei Pm, che è molto rumoroso, vistoso, super politicizzato, spesso folkloristico. Sostenuto da stampa e Tv. E che partecipa attivamente, e controlla, tutte le correnti. La tattica del partito dei Pm, fin qui, è stata molto semplice: stare nelle correnti di sinistra, di centro e di destra, in modo da avere una quota di potere molto superiore alla propria forza reale. In particolare, il partito dei Pm aveva conquistato la corrente più importante della magistratura, e cioè Md (“Magistratura democratica”) che nasce negli anni Sessanta su posizioni di sinistra e garantiste ma da diversi anni è diventata la corrente delle cosiddette “toghe rosse” che si sono poste alla testa del pensiero e della pratica giustizialista. Il partito dei Pm si interfaccia con la troika, la sostiene, in parte la condiziona, in parte obbedisce.
La novità di questi giorni, probabilmente in buona parte dovuta al clamoroso scandalo di magistratopoli, è che in Md si è indebolita la forza dei giustizialisti. Il primo scricchiolio si era sentito sull’affare Davigo. Piercamillo Davigo certamente non è un magistrato di sinistra, anzi è sempre stato considerato esponente della destra estrema. Però da diversi anni è lui la bandiera del giustizialismo, ed è esattamente sul giustizialismo che si era realizzata una convergenza col gruppo di testa di Md e si era formata, anche in Csm, una specie di alleanza di potere rosso-bruna, con le truppe di Md e il cervello davighista, che aveva preso il sopravvento. Quando in settembre si è posto il problema di accettare o respingere la pretesa, arrogante di Davigo di restare in Csm nonostante il pensionamento, una parte consistente di Magistratura democratica si è ribellata. Ha detto no. Davigo non se l’aspettava. Ha perso una battaglia che era sicuro di vincere e ha dovuto lasciare la magistratura. Da lì è iniziato il terremoto.
Ora alcuni tra i più noti e potenti esponenti di Md (Cascini, Albamonte, Poniz) si sono dimessi dalla loro corrente per protesta contro la linea liberale che ha prevalso. Quali saranno le conseguenze? Probabilmente la mossa del gruppo Cascini costringe il partito dei Pm a uscire allo scoperto. Voglio dire: a unificarsi e a dichiararsi. Non sarebbe una cosa cattiva. Sarebbe oggettivamente un atto di semplificazione. Porterebbe la lotta all’interno della magistratura dal piano della pura lotta di potere a quello di una lotta sulle idee: da una parte i settori (che probabilmente sono maggioritari) della magistratura convinti che la bussola debba essere sempre il diritto, e non la lotta politica o la moralizzazione, dall’altra parte la componente giustizialista, che sicuramente ha la maggioranza tra i Pm ma non nella magistratura giudicante.
Perché questa sarebbe una grande novità? Perché finalmente si potrebbero separare gli schieramenti di potere dagli schieramenti delle idee. Una magistratura aperta, dove si confrontano le idee e non solo i rapporti di forza, è l’unica precondizione a una possibile riforma della giustizia. Finora la riforma è stata impossibile perché il fortino della “casta” giudiziaria era inespugnabile. Stanno per cambiare le cose?
Ho sempre pensato che l’unica possibilità di una riforma della giustizia risiedesse in una rottura nel monolite magistratura. Dal giornalismo e dalla politica non mi sono mai aspettato nulla. Se il monolite si è rotto davvero, possiamo tornare a sperare. Non è mai troppo tardi per provare a rimettere insieme i cocci dello Stato di diritto.
Processo a Palamara non si farà: nessuno ha il diritto di processare la magistratura, neanche la magistratura Piero Sansonetti
Niente ricerca della verità, è pericolosa
20 Settembre 2020
https://www.ilriformista.it/processo-a- ... refresh_ce La Procura generale della Cassazione è intervenuta pesantemente nel processo del Csm a Luca Palamara e ha chiesto che siano tagliati via 127 testimoni della difesa su 133. Comunque che non sia chiamato a testimoniare nemmeno un magistrato. Eppure tutta la difesa di Luca Palamara, si sa, consiste nel far raccontare ai suoi colleghi come funzionavano le nomine e il controllo della magistratura da parte delle correnti e del partito dei Pm. È chiaro che queste cose non possono raccontarle i cinque ufficiali della Finanza ammessi al banco dei testimoni. Non possono perché loro non sanno niente di come si nomina un Procuratore, o un aggiunto, o un presidente di tribunale, ed eventualmente di come si patteggia una sentenza favorevole al Pm in cambio della nomina di un giudice.
La Procura generale ha chiesto al Csm di affermare un principio che resti saldo come il cemento. Il principio che nessuno può processare la magistratura, nemmeno la magistratura. Il Csm ha accolto la tesi del Procuratore generale e ha seppellito il processo a Palamara. Il processo non ci sarà, a nessuno interessa sapere come vanno le cose in magistratura, Palamara deve essere condannato ed espulso dalla magistratura perché solo così si salva il silenzio e l’onore.
A questo punto sarebbe giusto e normale, in un normale Paese democratico, che intervenisse il Parlamento, nominasse una commissione di inchiesta con tutti i poteri di indagine, e iniziasse a interrogare tutti e 127 i testimoni chiesti da Palamara e rifiutati dalla Procura generale e dal Csm. Il Parlamento ha questo potere. Non possiede nessun altro strumento per contrastare o almeno contenere le arroganze e le sopraffazioni della magistratura, e difendere i cittadini. Lo farà? Non credo.
Intanto il povero Luca Palamara, capro espiatorio di professione, dopo essere stato per anni il punto di riferimento delle correnti dei Pm, è costretto ad affrontare un processo di tipo sovietico. Nel quale è evitato qualunque tentativo di accertare la verità, sono cancellati tutti i diritti della difesa, e il massimo a cui può aspirare è la richiesta di clemenza della Corte. In Unione Sovietica la clemenza della corte non ci fu mai. Non ci sarà neppure questa volta. C’è da tremare – tutti noi: tutti noi – di fronte a questa prova di forza, di autoritarismo, di totalitarismo, che la magistratura italiana sta offrendo al Paese e al mondo.
P.S. Ma la stampa? La stampa protesta, critica, denuncia? Oh beh, la stampa: che domanda cretina….
L'ex magistrato Palamara rivela: «Napolitano fu il regista delle inchieste su Berlusconi» Davide Ventola
martedì 26 Gennaio 2021
https://www.secoloditalia.it/2021/01/le ... m=facebook «Voglio essere chiaro, dal 2008 fino al 2011, quando Berlusconi cade sotto i colpi dello spread, come da prassi costante dell’Associazione nazionale magistrati ho sempre condiviso la mia attività seguendo una prassi costante con il presidente Giorgio Napolitano. È impensabile sostenere che negli anni di cui stiamo parlando l’Anm si sia mossa fuori dalla copertura del Quirinale, con il quale io condividevo ogni decisione che comportasse una rilevanza politica”. Lo racconta Luca Palamara, nel libro intervista con Alessandro Sallusti, “Il Sistema” edito da Rizzoli (pagg 205, euro 19)
Palamara tira in ballo Napolitano: “Tutti contro Berlusconi, non poteva esserci linea diversa”
Nel colloquio con il direttore del Giornale, l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, ora radiato, ribadisce l’assoluta sintonia con l’allora presidente, Giorgio Napolitano. «Ho sempre condiviso la mia attività con il capo dello Stato. Non ci potevano essere deviazioni dalla linea. Sul Cavaliere non era ammessa discrezionalità». Chiede Sallusti: «Mi sta dicendo che il Quirinale approvava, se non qualcosa di più, la linea dello scontro frontale con il governo?». La risposta di Palamara è sconvolgente. «Esattamente, ma mi sento di essere più esplicito e dettagliato. Nella magistratura vige un clima di terrore interno che non lascia spazio a deviazioni dalla linea concordata».
“Dovevamo far cadere Berlusconi in ogni modo”
E la linea concordata era far cadere Berlusconi in ogni modo. A questo punto, Palamara cita quanto accaduto nel gennaio 2011. «Partono le perquisizioni nelle abitazioni di numerose ragazze. Berlusconi viene indagato per concussione, lo dico onestamente, siamo tutti un po’ perplessi. Vede, qui scatta la discrezionalità, ma su Berlusconi la discrezionalità non può esistere». L’obiettivo era farlo cadere a tutti i costi. E l’allora inquilino del Quirinale era molto più di un osservatore privilegiato, secondo l’accusa di Palamara.
Chi è Luca Palamara
Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e ex membro del Csm radiato dall’ordine giudiziario per la prima volta nella storia della magistratura, ha raccontato, incalzato dalle domande di Alessandro Sallusti, nel libro Il Sistema – Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana” cosa sia il ‘Sistema’ che ha pesantemente influenzato la politica italiana.
Una carriera brillante avviata con la presidenza dell’Associazione nazionale magistrati a trentanove anni, Palamara a quarantacinque viene eletto nel Consiglio superiore della magistratura e, alla guida della corrente di centro, Unità per la Costituzione, contribuisce a determinare le decisioni dell’organo di autogoverno dei giudici. A fine maggio 2019, accusato di rapporti indebiti con imprenditori e politici e di aver lavorato illecitamente per orientare incarichi e nomine, è diventato l’emblema del malcostume giudiziario.
Dice Palamara:
«Le spiego una cosa fondamentale per capire che cos’è successo in Italia negli ultimi vent’anni. Un procuratore della Repubblica in gamba, se ha nel suo ufficio un paio di aggiunti e di sostituti svegli, un ufficiale di polizia giudiziaria che fa le indagini sul campo altrettanto bravo e ammanicato con i servizi segreti, e se questi signori hanno rapporti stretti con un paio di giornalisti di testate importanti – e soprattutto con il giudice che deve decidere i processi, frequentandone magari l’abitazione… Ecco, se si crea una situazione del genere, quel gruppo e quella procura, mi creda, hanno più potere del Parlamento, del premier e del governo intero. Soprattutto perché fanno parte di un «Sistema» che lì li ha messi e che per questo li lascia fare, oltre ovviamente a difenderli».
Lo sapevamo bene, ma leggerlo così squatto squatto fa una certa impressione.
"Smentite o dimettetevi" 27 toghe chiedono la testa dei vertici della giustiziaMassimo Malpica e Felice Manti
Ven, 29/01/2021
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 20114.htmlNel mirino il pg di Cassazione Salvi e il membro Csm Cascini: "Gravissime le accuse di Palamara"
«Smentite o dimissioni». I tormenti delle toghe per le rivelazioni del caso Palamara tracimano dalle mailing list e dalle chat private e diventano un macigno per i vertici della magistratura.
Almeno 27 toghe (ma chi ha lanciato l'iniziativa assicura che alla fine saranno molte di più) hanno chiesto la testa del Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e del consigliere del Csm Giuseppe Cascini, entrambi pesantemente tirati in causa nel libro-intervista di Alessandro Sallusti a Luca Palamara Il Sistema. Diversi magistrati, tra cui l'ex gip di Milano Clementina Forleo, oggi in servizio al tribunale di Roma, e gli esponenti di Articolo 101 nel direttivo dell'Anm, Andrea Reale e Giuliano Castiglia, chiedono ai due di smentire «in maniera convincente» i fatti riportati nel libro o di abbandonare le cariche ricoperte».
L'attuale procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, è finito nel mirino perché in almeno due occasioni avrebbe incontrato l'allora componente del Csm, «in privato e su sua richiesta, per caldeggiare la propria nomina a importantissimo incarico pubblico», almeno secondo la ricostruzione di Palamara. «Ove veri, questi fatti gettano un'ombra inquietante sia sui loro asseriti protagonisti che sulla sorprendente circolare dello stesso procuratore generale che assolve per principio chi raccomanda se stesso per incarichi pubblici e chi quella raccomandazione accetta».
I fatti riferiti da Palamara sono narrati in maniera molto dettagliata», dice off the record al Giornale uno dei firmatari, «Salvi non può rappresentare la titolarità dell'azione disciplinare nel momento in cui appare come una persona raccomandata da chi è stato cacciato per infedeltà alla magistratura. Come si è fatta pulizia in questi mesi di chi si è macchiato di fatti gravissimi - continua il magistrato firmatario della richiesta choc - a maggior ragione deve andare via o deve smentire le ricostruzioni di Palamara con dichiarazioni convincenti».
Sulla graticola è finito anche uno degli attuali componenti del Csm, l'ex leader dell'Anm Giuseppe Cascini, accusato da Palamara e dai firmatari della lettera di una «indebita e pesante interferenza in un procedimento disciplinare a carico di un collega (Henry John Woodcock, ndr), compiuta quando il primo svolgeva le funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma». Ma Cascini ebbe un peso anche sul caso Forleo, spostata da Milano per aver indagato sui Ds, e sul caso de Magistris. Tra i firmatari c'è infatti anche Gabriella Nuzzi, ex pm di Salerno a cui si era rivolta l'ex pm di Catanzaro per spiegare i contorni dell'inchesta «Why Not». La Nuzzi venne trasferita dal Csm su richiesta dell'allora Guardasigilli Angelino Alfano proprio per aver cercato di far luce su quelle vicende. Un trasferimento «benedetto» da Palamara e dall'Anm, da cui la Nuzzi uscì definendo il comportamento di Palamara «insopportabilmente oltraggioso».
«Palamara ha semplicemente portato alla luce ciò che tutti sapevano. Non credo sia tutto oro colato, ma ormai non possiamo più tacere», commenta a caldo un altro magistrato che ha deciso di sottoscrivere l'appello lanciato da Articolo 101, il movimento («non è una corrente», precisa) guidato da Giuliano Castiglia e Andrea Reale che nella magistratura raccoglie sempre più consensi e che alle ultime elezioni dell'Anm ha in parte drenato i voti della corrente di Piercamillo Davigo. Il loro programma politico per eliminare le incrostazioni del potere delle correnti si muove su due binari: «L'elezione dei membri del Csm pescati da una lista composta da magistrati estratti con un sorteggio temperato e la rotazione degli incarichi direttivi».
«La mia presunta interferenza nel procedimento disciplinare Woodcock è una falsità, ho già dato mandato al mio legale di agire in giudizio», ha risposto in serata Cascini. Una nuova guerra tra toghe è appena iniziata e nessuno sa come e quando finirà.
C'era una volta la giustiziaI Pm 'intoccabili' che hanno distrutto la magistratura tra beghe, giochi di potere e ricatti
Piero Sansonetti
17 Settembre 2020
https://www.ilriformista.it/i-pm-intocc ... ti-158267/Il Csm ha scelto la via venezuelana: Palamara non sarà processato, la stragrande maggioranza dei testimoni che lui ha chiesto siano ascoltati non saranno ascoltati. I giudici dei quali ha chiesto la ricusazione (in quanto complici del presunto delitto) non saranno ricusati. Il processo sarà rapidissimo – anche per dimostrare che la giustizia quando vuole sa essere svelta – la difesa sarà messa a tacere, il collegio giudicante sarà composto da complici del delitto, e tra tre settimane ci sarà la sentenza. La sentenza – questa è una notizia che noi abbiamo avuto in esclusiva – sarà di condanna. E a quel punto il caso Palamara potrà essere considerato chiuso e nessuno più dovrà parlarne. I giornalisti sono stati già avvertiti e chi violerà la consegna la pagherà cara. Ha deciso così il Csm.
Non c’è niente di forzato nelle righe che ho scritto. È così. Il Csm ha stabilito che non si svolgerà il processo perché il processo vero farebbe saltare in aria tutto l’impianto della magistratura, metterebbe in discussione quasi tutte le Procure, i procuratori, gli aggiunti, i presidenti dei Tribunali, anche moltissimi giudici, renderebbe evidente la necessità assoluta di separare le carriere, potrebbe persino rendere illegali molte e molte e molte delle sentenze emesse in questi anni da giudici sottoposti al ricatto, o comunque al condizionamento, del partito dei Pm che domina il Csm e che si fonda sullo sperimentato sistema delle correnti. È un rischio troppo grande per le istituzioni. Dalle intercettazioni sul telefono di Palamara, e dai trojan, risulta esattamente questo: che la struttura portante della magistratura è illegale e nominata da un sistema ad incastro di condizionamenti e talvolta di ricatti. Che quasi nessun magistrato di potere è estraneo a questo sistema. E che l’intera magistratura italiana è stata ferita a morte e va riformata e riportata almeno vicina alla legalità, dalla quale oggi è lontanissima.
Il Csm ha deciso di ignorare tutto ciò, e di prendere in considerazione solo la riunione all’Hotel Champagne (un paio d’ore in tutto) alla quale parteciparono i deputati Lotti e Ferri e nella quale si discusse della nomina del Procuratore di Roma, punto e basta. Per questa riunione – che peraltro fu intercettata in modo totalmente illegale, perché la Costituzione proibisce l’intercettazione dei parlamentari – si propone (e si accoglie) la condanna di Palamara e poi si chiede di stendere su tutto il resto un velo e di cancellare ogni cosa in un grande silenzio. Come esce da questa vicenda la magistratura italiana? Seppellita. È inutile che ogni volta che parliamo della magistratura ripetiamo che però un gran numero di magistrati rispettano le leggi, son persone per bene, sono professionisti capaci. È vero, certamente, ma la magistratura nel suo insieme è una struttura marcia. “Chiacchiere e distintivo”. E di conseguenza la gran parte delle inchieste giudiziarie e delle sentenze, probabilmente, sono ingiuste e sono determinate dai rapporti di forza tra i Pm e i giudici.
È così in tutti i paesi dell’occidente? No, non è così. La malagiustizia è uno dei problemi della modernità, ma in pochissimi paesi democratici esiste una situazione così vasta di illegalità, dovuta allo strapotere che negli ultimi trent’anni la magistratura si è conquistato, schiacciando la politica e soffiando via i cardini essenziali dello stato di diritto. Ogni giorno che passa c’è una controprova. Prendete Gratteri, tanto per parlare di uno che un po’ i nostri lettori conoscono. Ma voi sapete di un altro paese occidentale dove un Procuratore, mentre è in corso l’udienza preliminare nella quale si decide la sorte di circa 400 suoi imputati, se ne va in Tv a fare spettacolo, ride, fa battute e sostiene che se la gente viene assolta è perché i giudici sono corrotti, e se spesso le sue inchieste finiscono in un flop è perché nella magistratura c’è molta invidia? E nessuno gli chiede conto del perché un Pm impegnato in un maxiprocesso trova normale e giusto andare in Tv a fare polemica contro i suoi imputati. E se qualcuno al mondo possa mai credere che quel Pm è un Pm rigoroso e serio che si occupa solo del suo lavoro? Conoscete i nomi di magistrati inglesi, o francesi, o tedeschi o americani che si comportano così, senza peraltro che né la politica, né il Csm si occupino di censurare questi atteggiamenti?
Non li conoscete. In verità c’era qualcuno che aveva criticato Gratteri: il suo diretto superiore, il Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Fior di magistrato con gloriosa carriera alle spalle. Il Csm nel giro di una settimana, invece di intervenire su Gratteri intervenne su Lupacchini, lo degradò sul campo e lo spedì a mille chilometri dalla sua sede. Voi pensate che ci sarà qualche altro magistrato che leverà la sua vocina, pure flebile, verso lo sceriffo di Catanzaro? E perché – magari uno si chiede – Gratteri è così potente? Perché ha sconfitto la ‘ndrangheta? No, la ‘ndrangheta oggi è infinitamente più forte di quando lui ha iniziato ad operare in Calabria. Ha decuplicato le sue forze. E allora perché? Perché è un Pm che sa fare la parte del Pm moderno: censore, uomo di spettacolo, scrittore, politico. Alla ricerca di reati? No, quelli li trova raramente. Alla ricerca di imputati. Possibilmente illustri.
Cosa resta della magistratura? Cenere.
Palamara "rimosso" dal Csm, si conclude il processo-farsa di Magistratopoli L'ex presidente dell'Anm 'spazzato via'
9 Ottobre 2020
https://www.ilriformista.it/palamara-ri ... li-166667/ Dopo oltre due ore di camera di consiglio, i giudici della disciplinare del Csm hanno accolto le tesi accusatorie della Procura generale di Cassazione e hanno deciso che l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara va rimosso dall’ordine giudiziario. L’annuncio è arrivato dal presidente del Collegio giudicante Fulvio Gigliotti, che ha parlato di “rimozione dall’ordine giudiziario” perché l’ex pm di Roma è stato dichiarato “responsabile di tutti gli illeciti”.
Il magistrato era accusato di comportamento gravemente scorretto nell’esercizio delle funzioni. Il procedimento ruotava attorno ai colloqui registrati attraverso il trojan installato sul suo smartphone il 9 maggio 2019: cinque magistrati, all’epoca membri del Csm, parteciparono all’incontro privato organizzato dal pm nell’hotel a due passi da Palazzo Dei Marescialli, alla presenza di Lotti e Ferri, durante il quale il gruppo discusse delle future nomine ai vertici di alcune procure, a cominciare da quella capitolina, dove proprio Palamara aspirava a un posto da procuratore aggiunto prima di venire travolto dallo scandalo.
Nei confronti di Palamara la procura generale della Cassazione aveva formulato due capi di incolpazione: il comportamento scorretto nei confronti dei colleghi, i candidati alla guida della Procura di Roma e alcuni dei pm di quella stessa procura, e il tentativo di condizionare l’attività del Csm, soprattutto quella delle nomine.
Oltre a lui, il collegio è chiamato a giudicare, in altro procedimento, gli ex togati Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Luigi Spina.
Subito dopo la sentenza il difensore dell’ex presidente dell’Anm Stefano Guizzi ha negato che la pronuncia Csm sul suo assistito sia una sentenza politica: “Assolutamente no”, ha detto ai giornalisti, ribadendo il “massimo rispetto” per la decisione dei giudici. L’ex pm di Roma non ha invece rilasciato dichiarazioni lasciando il Csm, ma terrà alle 16 una conferenza stampa nella sede del Partito Radicale.
Le rivelazioni di Palamara sono ben più gravi dei dossier di Licio Gelli Paolo Guzzanti
29 gennaio 2021
https://www.ilriformista.it/le-rivelazi ... li-191987/Quando Licio Gelli fece trovare i suoi dossier a Villa Wanda, giusto 40 anni fa, scoppiò un tale scandalo da scuotere le fondamenta della democrazia italiana, tanto da provocare un deciso intervento pubblico del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, da far cadere un governo, da troncare la tradizione del presidente del Consiglio sempre democristiano e da portare il primo presidente laico a Palazzo Chigi. Oggi – di fronte alle dichiarazioni pubblicate dall’ex potentissimo magistrato Luca Palamara – ci troviamo in una situazione ancora più grave, perché appare coinvolto e protagonista della sovversione addirittura uno dei corpi dello Stato.
Quel che accade è sotto gli occhi di tutti: il magistrato Palamara, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ex capo della associazione magistrati, (cacciato, dopo un processo sommario, nel tentativo di ridurlo al silenzio) ha messo nero su bianco quel che sa in un libro intervista con Alessandro Sallusti. Citando date, fatti, nomi e cognomi, descrivendo gran parte del marcio che si annida in settori della Magistratura che, stando a Palamara, avrebbero agito e tuttora agirebbero contro la Repubblica, contro la Costituzione, contro la giustizia e contro il Parlamento.
Abusando delle garanzie previste a protezione dei cittadini e non a vantaggio di funzionari statali che devono la loro carriera a un concorso pubblico e agli avanzamenti previsti dall’organo di autocontrollo, il Consiglio Superiore della Magistratura con sede nel Palazzo dei Marescialli in piazza Indipendenza. Già una volta un presidente della Repubblica fece schierare in quella piazza, all’alba, un reparto di Carabinieri in tenuta antisommossa per intimare l’obbedienza costituzionale a un gruppo di insorti togati (membri del Csm) non meno sovversivi di quelli che il sei gennaio scorso a Washington hanno dato l’assalto al Parlamento americano con l’intenzione di scoperchiarlo come una scatola di tonno. Nel 1981, per cercare di capire come avesse funzionato la Loggia massonica P2, governata da Licio Gelli, fu messa in piedi una commissione parlamentare di inchiesta (la celebre commissione Anselmi) che lavorò per anni, seguita con grande attenzione dai mass media. Non è il caso, oggi, di fare quantomeno la stessa cosa, per restituire al parlamento qualcuno dei suoi poteri e per capire cosa sta succedendo nella magistratura italiana, ormai fuori da ogni controllo democratico?
Del funzionamento di una Commissione parlamentare d’inchiesta ho viva memoria essendo stato dal 2002 al 2006 presidente di una Commissione bicamerale (venti senatori e venti deputati) per indagare sulle attività degli agenti di influenza sovietici in Italia dai tempi della Guerra fredda. Quella Commissione portò a termine il suo lavoro glacialmente ignorato da tutte le televisioni e sottoposto a fabbricazioni e trappole che si conclusero con l’avvelenamento, davanti agli occhi stupiti del mondo intero, dell’informatore Alexander “Sasha” Litvinenko, assassinato a Londra con una dose mortale di polonio radioattivo.
Sono passati quindici anni. Ma posso ricordare come funziona una procedura del genere. Il primo elemento indispensabile anche se non sufficiente, è la volontà politica di farla, una tale commissione, dopo aver preso atto che un’area crescente di minacciose illegalità si è allargata a partire dagli anni Ottanta e che quel marciume ha minacciato, intimidito, anestetizzato e corrotto il primato del Parlamento. Dopo questo primo passo, occorre scrivere e presentare una legge, o di iniziativa parlamentare o persino per iniziativa popolare, come ogni legge. Quando il Parlamento eletto nel 2001 decise di votare una legge che istituisse una Commissione d’inchiesta sul “Dossier “Mitrokhin” (dal nome dell’archivista russo che consegnò tutte le sue memorie al governo inglese, il quale le passò poi ai Paesi alleati fra cui l’Italia), le aule di Camera e Senato esaminarono diverse proposte di legge di destra e di sinistra che erano in parte già state depositate alla fine della legislatura precedente.
La discussione parlamentare in quel caso fu lunga e feroce: un anno di battaglie senza esclusione di colpi, ma aveva una base concreta che non consisteva tanto nel “dossier” che uno sconosciuto maggiore Vasilij Mitrokhin aveva messo insieme copiando per trent’anni con un sistema cifrato i documenti che gli erano passati per le mani e che svelavano le attività di numerosi “agenti di influenza” (da non confondere con le spie, che sono modesta manovalanza), ma consisteva nella volontà politica anche all’interno dell’ex Partito comunista di chiudere una partita tra filorussi e filoamericani e di cicatrizzare spesso occultandole, molte vecchie ferite. Furono giornate di baraonda e violente emozioni sia alla Camera che al Senato, ma alla fine la legge venne fuori, i partiti scelsero i commissari che avrebbero partecipato ai lavori della Commissione, perché tutti i partiti allora esistenti furono rappresentati in maniera proporzionale in un Parlamentino cui fu assegnata una sede conveniente nel Palazzo delle Commissioni in via del Seminario fra il Pantheon e piazza Sant’Ignazio, nello stesso massiccio edificio che aveva ospitato la Santa Inquisizione e dove era stato interrogato, minacciato e costretto ad abiurare Galileo Galilei.
Nello stesso Palazzo, che appartiene al Senato, sono quasi tutte le commissioni d’inchiesta e molte commissioni permanenti come quella della vigilanza Rai. Io ero stato eletto senatore a Brescia per Forza Italia e quando si riunì per la prima volta la Commissione d’inchiesta presieduta provvisoriamente dal commissario più anziano, che si chiamava Giulio Andreotti, furono indette le votazioni di rito per tutte le cariche e io fui eletto presidente cominciando un lavoro della cui enormità e delle cui conseguenze non ero ancora in grado di rendermi conto. Che cosa fa una Commissione d’inchiesta? È un tribunale? Uno strumento di ricerca storica? Con quali poteri e quali limiti? Le risposte a queste e altre domande le deve dare il Parlamento che discute e approva la legge: quella è la road-map della Commissione che però ha anche poteri di intervento che la mettono nelle condizioni di agire come un giudice.
Dunque una Commissione d’inchiesta che indagasse sul mondo marcio e minaccioso prospettato dal giudice Palamara dovrebbe essere equipaggiata dalla legge che la istituisce in modo tale da poter fronteggiare i nemici della Repubblica con armi legittime e adeguate, purché sia chiaro in partenza un solo principio: il primato del Parlamento su ogni altro potere, poiché in una Repubblica democratica parlamentare tutto il potere che appartiene al popolo viene delegato per intero ai rappresentanti, motivo per cui non ne avanza neanche un millimetro o un grammo. In genere a questo punto saltano fuori coloro che ripetono che i poteri sono tre, come ai tempi di Luigi XVI, del re, del clero e del Terzo Stato. Ma non è così: in una democrazia i poteri appartengono al Parlamento secondo quel manuale d’istruzioni che ne stabilisce limiti e modalità e che si chiama Costituzione, con un presidente che ha il compito di garantire la perfetta applicazione delle regole.
Ma la Magistratura non è un potere, visto che i suoi “clerk”, i funzionari, sono legittimati da un concorso pubblico e avanzano secondo un sistema che nelle intenzioni era stato concepito non per privilegiare i magistrati, ma per privilegiare i cittadini affinché fossero protetti dalla minaccia di giudici non indipendenti. Ciò che già era emerso decine di volte e che adesso Palamara conferma con date, nomi e fatti, sembra certificare il contrario: una parte dei “clerk”, dei funzionari, hanno affinato poteri e privilegi abusivi con cui comandano sia sugli altri giudici che sulla politica, l’economia e l’informazione. E naturalmente su tutti i cittadini che inquisiscono e che giudicano, non sappiamo più con quali criteri.
Sappiamo che questa proposta non passerà. O non passerà subito. Assisteremo a ondate di spalle scrollate e di sguardi di compatimento, a derisioni e minacce. Tutto previsto. Ma il cammino per la rigenerazione della cadaverica democrazia italiana può partire solo da lì: dal ripristino della legalità repubblicana nella magistratura, e dalla liberazione della democrazia dal tiranno. Si tratta, come ognuno può vedere, di una vera guerra di liberazione che potrà essere vinta soltanto se le parti sane della democrazia sapranno schierarsi e battersi.
Il Palamaragate fa crollare la fiducia nei magistrati, per il 70% "Agiscono per fini politici" Massimiliano Cassano
1 Febbraio 2021
Il Palamaragate fa crollare la fiducia nei magistrati, per il 70% “Agiscono per fini politici”
https://www.ilriformista.it/il-palamara ... ci-192577/ La maggior parte degli italiani dichiara di avere “poca” fiducia nella magistratura. Secondo un sondaggio commissionato dal quotidiano Libero e realizzato da AnalisiPolitica, il 39% degli intervistati ha ammesso di non sentirsi abbastanza protetto dalla giustizia. Il 19% rivela di non esserlo “per nulla”, mentre solo il 7% ha risposto di avere “molta” fiducia nella magistratura. “Abbastanza” è la risposta del 30% del campione.
Pesa probabilmente il Palamara-gate, sollevato dal libro scritto dall’ex membro del Consiglio superiore della magistratura, che ha rivelato dal suo punto di vista i lati oscuri e gli intrighi politici dietro la gestione delle nomine delle toghe. A specifica domanda se si percepisca l’azione penale dei magistrati come “guidata da fini politici”, il 33% degli intervistati si è detto “molto d’accordo”, e il 37% “abbastanza”. Da una chat intercettata tra Palamara e un suo collega erano emersi anche messaggi in cui l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati dichiarava che Salvini andasse “attaccato” sulla gestione dei migranti.
La maggioranza assoluta del campione pensa che “un magistrato che sbaglia debba essere responsabile della propria azione”, con il 54% “molto d’accordo” e il 33 “abbastanza d’accordo”. La giustizia è in generale ritenuta di parte e incapace di restare imparziale. Solo il 24% degli intervistati pensa che i giudici agiscano da persone totalmente “terze” rispetto alle parti.
Processi troppo lunghi, tasso troppo alto di impunità per i reati minori, e soprattutto quella che il procuratore generale di Napoli Luigi Riello ha chiamato “l’altra pandemia” (il caso Palamara) sono le cause di tanta sfiducia, individuate nella giornata di inaugurazione dell’anno giudiziario per il 2021. “Questa aula vuota mi sembra la metafora di una giustizia che rischia di diventare autoreferenziale e isolata dal Paese reale”, ha dichiarato Riello intervenendo nella grande sala Arengario del tribunale di Napoli. “Noi che ci scagliamo contro i politici corrotti – ha aggiunto – non possiamo nascondere fatti che sono avvenuti all’interno del nostro organo di autogoverno”.
Creazzo e Sinatra nella chat di Palamara: il procuratore di Firenze e la pm a giudizio davanti al CsmVirginia Piccolillo
4 febbraio 2021
https://www.corriere.it/cronache/21_feb ... 265a.shtml Entrambi sotto procedimento disciplinare, il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo, e Alessia Sinatra, la magistrata che, al telefono con Luca Palamara, si lamentò di aver subito da lui avance in ascensore, mai denunciate. La procura generale della Cassazione, diretta dal pg Giovanni Salvi ha fatto sapere, in una nota, che dovrà essere chiarito di fronte alla commissione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura i contorni di quelle accuse pesanti mosse dalla pm palermitana al capo della procura di Firenze.
Le accuse
Lei, pm palermitano, nella chat intercettata del telefonino dell’ex capo Anm, Luca Palamara, aveva disegnato uno scenario da Metoo, accusando «il p... di Firenze», e chiamando «essere immondo e schifoso» un magistrato che, dal contesto, si capiva essere Creazzo. Arrivando a chiedere a Palamara: «Giurami che il p... cade subito». Lui, il capo della procura che ha condotto le indagini contro l’ex premier Matteo Renzi, all’epoca era in corsa per diventare il successore di Antonio Pignatone al vertice della procura di Roma. Una nomina che animò i colloqui tra Palamara, intercettato dal trojan della procura di Perugia, il deputato renziano Luca Lotti e gli altri consiglieri Csm, alla fine andata a Michele Prestipino, ma ancora oggetto di un ricorso al Tar da parte di Creazzo. Ha sempre respinto fermamente ogni accusa
«Uso improprio di quei fatti»
L’ufficio del pg Salvi ha smentito che non si dia dato seguito alle accuse divenute note a seguito della pubblicazione delle chat di Palamara. Spiegando che è stata mossa l’azione disciplinare nei confronti del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo,«a seguito delle accuse specificamente a lui rivolte dalla dr.ssa Sinatra in sede di interrogatorio disciplinare». E che «è stato chiesto il giudizio al CSM, la cui Sezione disciplinare potrà valutare le deduzioni addotte dal magistrato a sua discolpa». Ma ha precisato che è stato chiesto «il giudizio, separatamente, anche della dottoressa Sinatra, non certo per avere denunciato i fatti: la contestazione - si spiega nella nota - è infatti relativa all’uso improprio di quei fatti, al fine di ricercare una privata `giustizia´, come dalla stessa dottoressa rappresentato. Valuterà la sezione disciplinare se ciò costituisca condotta scorretta e se, in tal caso, essa possa considerarsi giustificata dagli aspetti personali coinvolti»
«Cari magistrati perché nessuno smentisce Palamara?»5 febbraio 2021
https://ildubbio-ita.newsmemory.com/?publink=0f706606a Piero Tony oggi è Presidente del Dipartimento Giustizia della Fondazione Einaudi, ma è stato magistrato per 45 anni: giudice Istruttore a Milano fino al 1974. Ha istruito tra l’altro il primo procedimento contro le Br di Curcio, Cagol più altri, con l’allora sostituto procuratore Guido Galli; è stato anche sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze fino al 1998, dove chiese ed ottenne l’assoluzione per Pacciani.
Piero Tony oggi è Presidente del Dipartimento Giustizia della Fondazione Einaudi, ma è stato magistrato per 45 anni: giudice Istruttore a Milano fino al 1974.
Ha istruito tra l’altro il primo procedimento contro le BR di Curcio, Cagol più altri, con l’allora sostituto procuratore Guido Galli; è stato anche sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze fino al 1998, dove chiese ed ottenne l’assoluzione per Pacciani nel processo sul Mostro di Firenze.
Componente del Comitato Promotore dell’Unione Camere Penali per la proposta di legge costituzionale sulla separazione delle carriere, nel 2015 fu autore con Claudio Cerasa di Io non posso tacere ( Einaudi), un libro che scosse prima ancora de ' Il Sistema' l'intera magistratura.
Cosa ne pensa del libro di Luca Palamara e Alessandro Sallusti?
Per quanto riguarda il tema dello strapotere delle correnti, si tratta della scoperta dell'acqua calda. Non c'era bisogno del trojan inoculato nel telefono di Palamara per conoscere quei meccanismi di appartenenza. Li avevo già denunciati molti anni fa quando scrissi Io non posso tacere e fui pesantemente attaccato dall'Anm perché secondo il sindacato avevo scritto cose inesatte. Il tempo mi ha dato ragione, ma la consolazione è magra. Credo che il libro Sallusti- Palamara abbia sicuramente un valore aggiunto perché Palamara, avendo operato per anni nei più profondi meandri dell'organizzazione, può parlare per conoscenza diretta, quasi, absit iniura verbis, come un “pentito”, naturalmente mutatis mutandis quanto a motivazioni. Mi pare anche sicuro che Palamara, operando con questo libro una impietosa dissezione dell'apparato giustizia, ne cancelli forse per sempre, e con effetti imprevedibili, la tradizionale sacralità; che non consiste solo in fictio e paludamenti ma, soprattutto, in valori quali credibilità ed autorevolezza. Per concludere, mi pare comunque che esageri definendo addirittura “sistema” l'apparato giustizia così com'è, quasi fosse una centrale del crimine anziché una spregiudicata accozzaglia di arrampicatori subculturati e tra loro quantomeno conniventi.
Senza sottolineare – proprio in ogni pagina- che del “sistema” di cui parla è vittima estranea la maggior parte della magistratura.
Cosa l’ha colpita di più?
Palamara racconta dettagli molto convincenti, peraltro al momento non smentiti da nessuno.
Quelli che mi hanno colpito maggiormente, per imbrogli per lottizzare e condizionare i processi. I segnali, a dir il vero, c'erano tutti: una persona normale non poteva non chiedersi come mai, ad esempio, per anni una Procura come Milano fosse pressoché concentrata solo su Berlusconi. Ma possiamo anche citare il caso di Giulio Andreotti: sicuramente tanto mafioso da aver baciato un boss? Per non parlare del giudice Corrado Carnevale, l' 'ammazzasentenze', accusato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso come se il collegio di legittimità fosse monocratico.
L'inchiesta durò circa dieci anni, venne condannato ed alla fine assolto. Furono costretti a tenerlo a lavorare fino a circa 80 anni per esilarante risarcimento degli anni di carriera perduti. Quanto è accaduto a costoro oggi lo spiega Palamara: quello che lui chiama “il sistema” lo esigeva, il clima fortemente politico lo imponeva, guai a chi la pensava diversamente.
Che l'ideologia possa minare l'autonomia e l'indipendenza di un magistrato lo abbiamo visto anche nella chat di Palamara relativa a Matteo Salvini.
È terrificante il dialogo tra i due magistrati: per dettato costituzionale dovrebbero essere autonomi ed indipendenti. Tuttavia, paradossalmente, nonostante che per legge non possano essere iscritti a partiti politici, tramite correnti politicizzate riescono ad organizzare una guerra politica contro un Ministro in carica.
Fatto questo quadro, come usciamo dalla crisi?
Due sono i rimedi, ineludibili: separazione delle carriere dei magistrati e sorteggio per il plenum del Csm, in modo che i candidati siano esenti da giri elettorali e non si instauri il circuito del promettere, del dare, del pretendere. Per far decollare il processo così come riformato nel 1989 occorre attivare la centralità del dibattimento - guerra tra le parti davanti a giudice terzo ed imparziale – ed abbandonare la vigente malaprassi della centralità delle indagini preliminari.
Sottolineare e ricordare che nella fase delle indagini preliminari la difesa è pressoché assente e comunque inerme.
E in tutti i gradi è svantaggiata perché l'arbitro indossa la stessa maglia dell'avversario, come ricorda l'Ucpi.
Non c'è dubbio. Ed è svantaggiata anche a causa della sentenza 255 del 3 giugno del 1992 della Corte Costituzionale che sancì il principio di non dispersione dei mezzi di prova, “il principio del norcino”, come lo chiama qualcuno, perché non si butta via nulla. Con ciò snaturando i principi cardine del processo accusatorio.
Lo svantaggio della difesa deriva anche dal rapporto privilegiato che le procure hanno con gli organi di stampa.
Come si dice chiaramente nel libro di Sallusti e Palamara non è quasi mai vero che gli atti giudiziari escono perché li passano gli avvocati difensori. Non è possibile, perché nella parte iniziale del procedimento esiste un momento in cui certi atti li hanno solo i pubblici ministeri e la polizia giudiziaria. Quindi se qualcosa arriva alla stampa può provenire solo da quelle fonti.
Conseguenze? Titoloni in prima pagina nell'immediatezza del fatto, rappresentazione dell'ipotesi accusatoria e colpevolista, formazione di una conseguente opinione pubblica, il cosiddetto processo mediatico, insomma. Molte persone sono state massacrate così, da un processo mediatico sostanzialmente inappellabile: se dopo anni vieni assolto, non se lo ricorda più nessuno.
Quale potrebbe essere una soluzione? Non citare i pm nei comunicati stampa?
Anche se è tutto fuori legge, nessuno interviene. Pensiamo a quante volte le persone vengono riprese ammanettate, anche se non si dovrebbe farlo. O a quante volte le forze dell'ordine vanno ad arrestare qualcuno e arrivano già con qualche troupe televisiva al seguito. Non mettere il nome del pm può avere come unica conseguenza il fatto che lui legga con minor soddisfazione il giornale il giorno dopo, se è presenzialista o narcisista. Come tutte le libertà anche quella di stampa è come cristallo, assoluta. Ciò non vieterebbe però di fare indagini, sulla fonte delle notizie pubblicate, nel momento in cui le carte le ha solo il pm e la polizia giudiziaria. Sarebbe altresì auspicabile che la stampa si autoregolamentasse in maniera più adeguata.
La parola chiave dell'inaugurazione dell'anno giudiziario è stata “credibilità”. Lei crede che la magistratura è pronta ad intraprendere la via della redenzione?
Mi ero gonfiato di speranza quando circa quattro anni fa in un convegno dell'Anm a Siena nella mozione conclusiva si scriveva una cosa del tipo ' diamo atto che così non va, dobbiamo pensare che ci dobbiamo acculturare, grazie anche alla scuola di formazione dei magistrati'.
Oggi cosa scopriamo: che anche codesta scuola pare sia lottizzata dalle correnti descritte da Palamara. La verità è che, per fortuna e misteriose ragioni, godiamo ancora di troppa credibilità rispetto a quanto emerso dalle chat di Palamara. Ma sa qual è il vero problema?
Mi dica
Quando scrissi che del processo era centrale solo la fase delle indagini preliminari e che il pubblico ministero ha uno strapotere eccezionale venni criticato fortemente anche se ora lo ammettono in molti. La centralità in quella fase non è tanto del pm, quanto della polizia giudiziaria. Cosa vuol dire esattamente centralità delle indagini preliminari? Io dico “indagini preliminari di polizia”, visto che la gran parte delle indagini viene svolta dalla polizia giudiziaria, su delega aperta o su sua iniziativa, tanto che alcune volte l’indagato si trova in carcere o a giudizio senza che il pm lo abbia mai visto o ci abbia mai parlato. Significa che le prove – che dovrebbero essere formate in dibattimento, a ragionevole distanza di tempo dal fatto, sotto il controllo dialettico delle parti – vengono in realtà formate dagli investigatori alle spalle dei soggetti interessati. Questo viene accennato anche nel libro di Palamara quando racconta come da una qualsiasi velina o input si possa organizzare di tutto nei confronti di una determinata persona.
Però in questo anche il gip ha le sue responsabilità.
Lei ha ragione e questo ci riporta alla necessità di separare le carriere. Approfitto per segnalare un frequente e pernicioso malvezzo: il pm chiede una misura cautelare e il gip risponde anche dopo anni, quando per il tempo trascorso è ormai svanita ogni esigenza. Questo succede solo da noi.
A proposito di questo, cosa ne pensa delle recenti dichiarazioni di Nicola Gratteri sul Corsera?
Credo sia solo un problema di subcultura. Ne ha fatte tante altre nel corso della sua guerra ai fenomeni criminosi.
Non è rimasto colpito quando disse che il suo compito era salvare la Calabria?
Non particolarmente, è un vezzo di tanti magistrati quello di voler essere salvatori, che sia dalla mafia, dalla n'drangheta o dalla immoralità fa poco differenza. A tal proposito Giovanni Falcone amava ripetere qualcosa tipo ' ma cosa c'entriamo noi con i fenomeni, noi giudichiamo le singole persone nei termini di legge'.
Lei ha citato Falcone: le faccio la stessa domanda che qualche giorno fa ho posto al professor Tullio Padovani. Il compianto giudice viene spesso strumentalizzato, De Magistris si presenta in televisione con la foto di Falcone e Borsellino alle spalle, ma poi nessuno ricorda che era favorevole alla separazione delle carriere.
La foto di Falcone e Borsellino ce l'hanno un po' tutti nel taschino. Falcone, che ho avuto modo di incontrare nel corso degli anni, considerava la separazione delle carriere un naturale corollario del processo accusatorio.
Semplicemente questo. Sono passati più di 30 anni, convegni, proposta di legge popolare, ma il “naturale corollario” è chiuso nel cassetto e si discute dell'acqua calda del dottor Palamara.
LA SUBCULTURA
«PALAMARA RACCONTA DETTAGLI CONVINCENTI MA ESAGERA DEFINENDO “SISTEMA” L'APPARATO GIUSTIZIA, QUASI FOSSE UNA CENTRALE DEL CRIMINE ANZICHÉ UNA SPREGIUDICATA ACCOZZAGLIA DI ARRAMPICATORI SUBCULTURATI DI CUI È VITTIMA LA STESSA MAGISTRATURA»
LA LEZIONE DI FALCONE
«È UN VEZZO DI TANTI MAGISTRATI QUELLO DI VOLER ESSERE “SALVATORI” DELLA PATRIA, CHE SIA DALLA MAFIA O DALLA N'DRANGHETA. MI VIENE IN MENTE GIOVANNI FALCONE CHE DICEVA: «MA COSA C'ENTRIAMO NOI CON I FENOMENI, NOI GIUDICHIAMO SOLAMENTE LE SINGOLE PERSONE NEI TERMINI DI LEGGE».