Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:25 pm

Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini e non solo

viewtopic.php?f=194&t=2926

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:26 pm

I mandanti di Salvini si autodenunciano alla Procura di Catania


Intasiamo tutte le procure d'Italia con le nostre autodenuncie come elettori mandanti di Salvini
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 0182985460

https://youtu.be/tjy-ROnGkjM


Gino Quarelo
I mandanti di Salvini si autodenunciano alla Procura di Catania:
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 3239952051
milioni di cittadini italiani sovrani si autodenunciano come mandanti elettorali del Ministro Salvini, avendolo votato ed eletto per fare esattamente quello che poi ha fatto da ministro


Come con Trump e con Netanyahu, al soldo della sinistra
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:28 pm

Magistrati in chat contro Salvini: "Su immigrati ha ragione ma va attaccato"
(21.05.20)
https://www.youtube.com/watch?v=XfMPX0Z ... ture=share


Quelle chat che inguaiano le toghe: ''Salvini? Ha ragione ma va attaccato''
Federico Giuliani - Gio, 21/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 64525.html

In una chat su Whatsapp certe toghe sapevano che Salvini non stava facendo niente di sbagliato. Il leghista doveva comunque essere attaccato senza pietà

Quando era ancora ministero dell'Interno, nel 2018, Matteo Salvini veniva quotidianamente attaccato dai giudici per il suo operato sui migranti.

Eppure, oggi, è emerso un fatto quanto mai clamoroso: quelle stesse toghe che in pubblico puntavano il dito contro il segretario della Lega, in privato sapevano benissimo che l'ex ministro non stava facendo niente di male.

Il quotidiano La Verità svela le carte in tavola e accende i riflettori su come, in una chat su Whatsapp, certe toghe ammettessero che sì, Salvini non stava facendo niente di sbagliato ma che doveva comunque essere attaccato senza pietà. Tanti i protagonisti della vicenda, a cominciare da Paolo Auriemma, capo della Procura di Viterbo, e Luca Palamara, leader della corrente di Unicost.

Attaccare Salvini

Auriemma, rivolgendosi a Palamara, è molto dubbioso su quanto sta accadendo in quei torridi giorni d'agosto di due anni fa: ''Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell'Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c'entri la Procura di Agrigento''. In fondo al messaggio Whatsapp la raccomandazione di non diffondere il contenuto del testo. La risposta di Palamara arriva quasi subito: ''Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo''.

Queste, e molte altre chat, sono agli atti dell'inchiesta che ha scosso le fondamenta del Csm. La discussione va avanti, sottolinea ancora La Verità, e Auriemma è dubbioso: potrebbe essere un pericoloso boomerang continuare ad attaccare Salvini sull'immigrazione. Anche perché ''tutti la pensano come lui'', ''tutti pensano'' che abbia ''fatto benissimo a bloccare i migranti''. Già, perché in quel periodo il ''Capitano'' è nel mirino dei pm siciliani. Auriemma è titubante: ''Indagato per non aver permesso l'ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili''.

In altri messaggi, con altri interlocutori, Palamara esprime tutto il suo disagio di fronte all'eventualità di incontrare pubblicamente Salvini e, nel frattempo, si fa inviare i pdf delle sentenze del processo di Umberto Bossi e Francesco Belsito. Insomma, a tenere unite, per dieci anni, le toghe rosse di Area e Palamara sarebbe il conflittuale rapporto con il centrodestra.

Per finire, in una chat tra Palamara e Bianca Ferramosca, componente della giunta esecutiva Anm (Associazione nazionale magistrati), quest'ultima, nel novembre 2018, se la prende con i colleghi che hanno dato ragione a Salvini sull'allora dl Sicurezza, componenti di una cordata ''pericolosissima''.

I parlamentari della Lega: ''Sconcertante, ci appelliamo al Colle''

Il contenuto dei messaggi delle toghe ha letteralmente lasciato senza parole i parlamentari leghisti. Come sottolinea l'agenzia Adnkronos, Giulia Bongiorno, Nicola Molteni, Jacopo Morrone e Andrea Ostellari sono rimasti sconcertati: ''Sconcertante scoop della Verità, che riporta gravissimi messaggi tra magistrati contro l'allora vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini. Ci appelliamo alla saggezza di Sergio Mattarella, anche in qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, perché quanto riportato dal quotidiano è gravissimo e intollerabile: va preservata l'indipendenza della politica rispetto alla magistratura. Salvini era ministro e vicepremier e ora è leader dell'opposizione".

"Numerosi magistrati di diverse correnti - hanno quindi aggiunto i parlamentari - secondo quanto emerge dagli atti del procedimento di Perugia contro Palamara, concordavano sulla necessità di attaccare Salvini e contrastare il dl sicurezza. Con quale serenità di giudizio sarà giudicato Salvini nel processo a suo carico che si celebrerà a Catania?".


Salvini telefona e scrive a Mattarella: "Preoccupato dai magistrati"
Federico Garau - Gio, 21/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 64694.html

Il leader del Carroccio ha rivelato al capo dello Stato le preoccupazioni in vista del procedimento a suo carico, considerate le gravissime intercettazioni che rivelano il forte astio nei suoi confronti da parte di numerosi magistrati

Venuto a conoscenza dei fatti raccontati da "La Verità" e preoccupato per il contenuto dei messaggi scambiati via Whatsapp fra alcuni magistrati, Matteo Salvini si è quest'oggi appellato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Stasera ci sarebbe stata una cordiale telefonata fra i due. Il leader del Carroccio ha voluto esprire al Capo dello Stato tutte le sue perplessità ed i timori in merito a quanto rivelato dai giornalisti del quotidiano, passando anche a parlare delle pesanti accuse lanciate stamani contro la Lombardia dall'onorevole Ricciardi e di quanto accaduto alla Camera dei deputati. Tra i temi toccati anche quello della pesante crisi economica che si sta abbattendo sull'Italia.

Oltre al contatto telefonico, Salvini ha voluto scrivere anche una lettera indirizzata al presidente Mattarella, come preannunciatogli a voce. "L'articolo pubblicato sul quotidiano 'La Verita" documenta uno scenario gravissimo: diversi magistrati nei loro colloqui privati (intercettati nell'ambito del procedimento a carico del dottor Luca Palamara) concordavano su come attaccare la mia persona per la politica sull'immigrazione che all'epoca, quale ministro dell'Interno, stavo portando avanti", lamenta il leader della Lega, come riportato da "Nova".

"L'avversione nei miei confronti è evidente al punto che, secondo quanto risulta dalle intercettazioni, uno dei magistrati, il dottor Palamara, pur riconoscendo le ragioni della mia azione politica, individuava nella mia persona un obiettivo da attaccare a prescindere. Intenzione che veniva condivisa da altri magistrati. Le intercettazioni pubblicate documentano come l'astio nei miei riguardi travalichi in modo evidente una semplice antipatia", prosegue Salvini. "Come noto, a ottobre inizierà l'udienza preliminare innanzi al Gup presso il Tribunale di Catania ove sono chiamato a rispondere dell'ipotesi di sequestro di persona per fatti compiuti nell'esercizio delle mie funzioni di ministro dell'Interno. Per quanto si legge nell'articolo è proprio tale tema politico ad aver suscitato l'avversione nei miei confronti dei magistrati, protagonisti di quelle comunicazioni pubblicate. Non so se i vari interlocutori facciano parte di correnti della magistratura o se abbiamo rapporti con i magistrati che mi giudicheranno, tuttavia è innegabile che la fiducia nei confronti della magistratura adesso vacilla", continua l'ex vicepremier.

Quindi la richiesta di essere sottoposto ad un giudizio imparziale: "Tutto ciò intacca il principio della separazione dei poteri e desta in me la preoccupazione concreta della mancanza di serenità di giudizio tale da influire sull'esito del procedimento a mio carico. Mi appello al Suo ruolo istituzionale, quale presidente della Repubblica e dunque presidente del Consiglio superiore della magistratura, affinchè mi venga garantito, come deve essere garantito a tutti i cittadini, il diritto ad un processo giusto, davanti a un giudice terzo e imparziale, nel rispetto dell'articolo 111 della Costituzione", conclude.


Palamara crolla e manda un messaggio di scuse a Salvini: «Sono profondamente rammaricato»
Mia Fenice
sabato 23 maggio 2020

https://www.secoloditalia.it/2020/05/pa ... m=facebook

Dopo le polemiche roventi di questi giorni, sui contenuti delle chat dei magistrati contro Matteo Salvini, Luca Palamara, il giudice al centro della vicenda, ha inviato un messaggio di scuse al leader della Lega. «Sono profondamente rammaricato dalle frasi da me espresse – scrive il giudice, secondo quanto riporta oggi La Verità – e che evidentemente non corrispondono al reale contenuto del mio pensiero, come potranno testimoniare ulteriori conversazioni presenti nel mio telefono». Aggiungendo «di aver sempre ispirato il mio agire al più profondo rispetto istituzionale che è mia intenzione ribadire, anche in questa occasione, al senatore Salvini».

«A parte lui non c’è… non ci sono le figure, ci sono pezzetti». Non emergono solo attacchi da Luca Palamara, nei confronti di Matteo Salvini. Parlando con l’ex membro laico del Csm, Paola Balducci, Palamara non nascondeva apprezzamenti sulla statura politica dell’attuale leader della Lega, parlando dello scenario italiano. Un apprezzamento condiviso anche dalla Balducci.

Salvini e la lettera a Mattarella

Il caso era scoppiato due giorni fa. Il quotidiano La Verità aveva scritto un articolo durissimo dal titolo La chat delle toghe su Salvini: anche se ha ragione lui dobbiamo attaccarlo. Subito dopo Salvini aveva scritto al capo dello Stato Sergio Mattarella. «L’articolo documenta uno scenario gravissimo: diversi magistrati nei loro colloqui privati (intercettati nell’ambito del procedimento a carico del dottor Luca Palamara) concordavano su come attaccare la mia persona per la politica sull’immigrazione che all’epoca, quale ministro dell’Interno, stavo portando avanti». E poi ancora: «L’avversione nei miei confronti – aggiunge il leader del Carroccio – è evidente al punto che, secondo quanto risulta dalle intercettazioni riportate sul quotidiano, uno dei magistrati, il dottor Palamara, pur riconoscendo le ragioni della mia azione politica, individuava nella mia persona un obiettivo da attaccare a prescindere. Intenzione che veniva condivisa da altri magistrati». Ne era seguita una telefonata tra Mattarella e Salvini. Null’altro.


Palamara parlava anche con il giudice che indagava su di lui
Federico Giuliani
Dom, 24/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1590308640

Tra coloro che comunicavano con Palamara c'era anche il procuratore di Perugia, Luigi De Ficchy. Quest'ultimo, fino al giugno 2019, ha condotto un indagine proprio sullo stesso Palamara

Le chat con cui il pm Luca Palamara attaccava il leader della Lega, Matteo Salvini, hanno scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora.

Secondo quanto riferito dal quotidiano La Verità, tra coloro che comunicavano con Palamara, sia tramite l'applicazione Whatsapp che mediante chiamate vocali, c'era anche il procuratore di Perugia, Luigi De Ficchy. Quest'ultimo, fino al giugno 2019, ha tra l'altro condotto un indagine proprio sul pm Palamara.

Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di mettere insieme tutti i tasselli del mosaico. I contatti della chat depositata agli atti prendono il via il 6 febbraio 2018. Quel giorno la Procura di Roma arresta Fabrizio Centofanti, un imprenditore amico sia di De Ficchy che di Palamara. Tutto si interrompe il 15 giugno 2018, quando l'informativa riguardante i rapporti tra lo stesso Palamara e Centofanti era già arrivata a Perugia.


Le conversazioni e la difesa di De Ficchy

Ebbene, in un'intercettazione telefonica risalente al 16 maggio 2016, Palamara parla con il pm Steafno Fava ed etichetta De Ficchy come un "telecomandato" nonché "influenzabile" per via dei suoi presunti rapporti con alcuni personaggi coinvolti in varie inchieste. Stiamo parlando del commercialista Maurizio Sinigagliesi, nome citato da Fava nell'intercettazione, e, appunto, Fabrizio Centofanti, presunto corruttore di Palamara.

Fava chiede a Palamara "fino a quanto si è lasciato coinvolgere su questa cosa", riferendosi a De Ficchy. La risposta del pm è chiara ed emblematica: "Totale, e te lo sto dicendo, totale De Ficchy conosce benissimo Fabrizio". In un altro passaggio, si parla dell'arresto di Centofanti: "De Ficchy, dall'8, quando lo avete arrestato, quel febbraio del 2018, veniva ogni venerdì [] per parlarmi".

Il pm spiega nel dettaglio: "In prima di Genar (fonetico) e poi di Centofanti e del perché lo avevano arrestato e perché è una brava persona e tutto quanto [] e poi mi rompeva sempre che voleva, ti ho detto, quelle carte da Tivoli, che lo riguardavano [] carte che io gli do va bene?". Il riferimento è a un'inchiesta giornalistica riguardante una fuga di notizie.

I contatti tra Palamara e De Ficchy proseguono fino al 15 giugno. Il procuratore di Perugia risponde di non ricordare i tempi e che comunque "questo non significa niente". Alla domanda del perché intratteneva rapporti così intensi con Palamara, De Ficchy risponde che "era un collega, è normale che ci siano state delle conversazioni. Lui aveva rapporti con tutto il mondo. In certi uffici è normale. Adesso pure questo diventa un problema?".

In merito alla presunta chiacchierata sull'inchiesta di Perugia, De Ficchy perde la pazienza: "Sicuramente non è stato informato da me. Mi perdoni, chiudiamo questa conversazione, lei parla con De Ficchy, se lo ricordi".



Luca Palamara, l'intercettazione-choc: "Per fermarmi mi devono uccidere, peggio per chi si mette contro di me"
Andrea Cionci
25 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/it ... di-me.html

Escono ancora nuove intercettazioni sul caso Luca Palamara e sulle manovre intorno al Csm: "E secondo te io mollo? Mi devono uccidere. Peggio per chi si mette contro", scrive l'ex pm in un messaggi inviato al suo collega Cesare Sirignano. È un frammento di dialogo, pubblicato dal Corriere della Sera, che aiuta a comprendere la posta in gioco per la quale l'ex pm oggi indagato per corruzione si preparava a pilotare dall'esterno del Csm la nomina del nuovo procuratore di Roma, insieme ai deputati del Pd Cosimo Ferri (giudice in aspettativa ma capo riconosciuto di Magistratura indipendente) e Luca Lotti.

Un anno dopo quel messaggio è stata chiusa l'indagine a carico di Palamara e sono stati depositati tutti gli atti raccolti dagli inquirenti. Comprese le chat dei dialoghi WhatsApp contenute nel cellulare di Palamara, dal 2017 in avanti; cioè quando Palamara sedeva al Csm (fino a settembre 2018) e governava la magistratura facendo spesso accordi e alleanze con i togati di Area e i laici di centrosinistra (anche perché al fianco di Area aveva già guidato l'Anm, tra il 2008 e il 2012). Fino all'autunno 2018 Palamara è stato un alleato della sinistra giudiziaria, e anche da questo derivano gli attacchi al leader leghista Matteo Salvini in alcune conversazioni private.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:29 pm

Anm parassita lo Stato, eversiva e criminale, va sciolta

Claudio Martelli, proposta estrema dopo le chat togate contro Salvini: "Anm parassita lo Stato, va sciolta"
Francesco Specchia
23 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/it ... iolta.html

Tra intercettazioni, dimissioni e scarcerazioni la giustizia italiana ha probabilmente toccato uno dei punti più bassi della sua storia. Le chat private di alcuni magistrati che esprimono giudizi pesanti su Matteo Salvini sono state l’ultimo durissimo colpo alla credibilità della giustizia. Claudio Martelli, ex guardasigilli ai tempi del governo Craxi (1991-1993) ha commentato lo scambio di messaggi tra Luca Palamara e Paolo Auriemma: “Da Palamara che cosa vuole aspettarsi? In questa situazione bisognerebbe arrivare a un rimedio decisivo. È del tutto evidente che l’Anm è diventata un’organizzazione che parassita lo Stato e permette di condizionare le scelte del Csm, perché influisce sull’elezione dei suoi membri. Si comporta come un partito politico. Contesta le decisioni del Parlamento, del governo e del ministro della Giustizia ogni due minuti. È un organismo che non si capisce più bene che cos’è, ma che comunque sembra votato a mal fare”. Come si risponde ad una situazione del genere? Per Martelli c’è solo una cosa da fare: “L’Anm andrebbe sciolta. Fa del male ai magistrati e alle istituzioni, dunque è una minaccia”.



Magistratopoli si allarga a macchia d'olio e coinvolge i giornalisti al soldo dei servizi segreti
Piero Sansonetti
22 Maggio 2020

https://www.ilriformista.it/magistratop ... refresh_ce

Dopo magistratopoli ora scoppia giornalistopoli. Ma se i giornali sono stati molto silenziosi sullo scandalo Csm (e restano per abitudine silenziosissimi su qualsiasi scandalo che riguardi i magistrati), ora diventano veramente muti su giornalistopoli. Muti al 100 per cento. È un ordine di scuderia. Non ci sarebbe niente di male. Le intercettazioni che toccano i più importanti giornalisti dei più importanti giornali italiani, messe a disposizione degli stessi giornali dalla Procura di Perugia che indaga sul caso Palamara, sono pure e semplici intercettazioni e non dimostrano che esista alcun reato da parte dei giornalisti. Sono intercettazioni infami, come sempre lo sono le intercettazioni. Dunque, a rigor di logica, perché bisognerebbe pubblicarle? Per una sola, piccolissima, ragione. Perché i giornalisti che stavolta sono stati intercettati sono esattamente gli stessi che di solito pubblicano paginate intere di intercettazioni, generalmente ai politici o ai loro amici o familiari, sebbene queste intercettazioni non contengano nessuna notizia di reato.

Spesso, anzi, pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati, o per ottenere qualche aiuto nell’inchiesta o, più semplicemente, per iniziare a punire non essendo sicuri di poter poi ottenere la condanna, visto che le prove latitano. Le intercettazioni, e la loro pubblicazione, hanno un effetto fondamentale e incontrollato e immediato: sputtanano. Comunque, chiunque. Nella pubblicazione generalmente non c’è mai un’opera di mediazione o di ragionamento. Mai un elemento a difesa o una proposta di attenuanti. C’è un solo ragionamento, evidentemente, che viene fatto nelle redazioni dei giornali: quali conviene pubblicare, quali è meglio censurare.

Se il giornalismo italiano non fosse quasi interamente sottomesso alla logica delle Procure e delle intercettazioni, non ci sarebbe nessun motivo per stupirsi del fatto che restino segrete le intercettazioni che riguardano le principali firme di giudiziaria (e non solo di giudiziaria) del Corriere della Sera e di Repubblica e della Stampa e di svariati altri giornali. Sono tutte intercettazioni che son state prese con i trojan sul cellulare dell’ex procuratore aggiunto di Roma Luca Palamara. Esattamente uguali a quelle che furono ampiamente pubblicate perché riguardavano uomini politici. Luca Lotti, considerato all’epoca vicino a Renzi, è stato praticamente vivisezionato. Sebbene la legge proibisse le intercettazioni dei suoi discorsi privati: è vietato intercettare i parlamentari, e Lotti è un parlamentare. È vietato anche perché è previsto dal buonsenso, e dalla Costituzione, che un dirigente politico debba avere una parte della sua attività che resti riservata. Può essere una attività di diplomazia, di compromessi, di trattative, di accordi. Senza queste cose la politica non esiste. La politica non è solo retorica. È anche governo. E il governo non si fa gridando slogan e basta.

E invece sui politici nessuna indulgenza, anzi, nessun rispetto della legalità. L’ordine di servizio, in questo caso è: sputtaniamoli. Anche se non hanno fatto niente di male. Tutto cambia se invece le vittime del trojan diventano i magistrati e i giornalisti. Cioè la casta. Sarà forse giunto il momento di dirlo: la casta, la vera casta, è quella; la corporazione potentissima che raduna la parte più aggressiva e politicizzata della magistratura e del giornalismo. Diciamo, più semplicemente, il partito dei Pm. Il cui leader massimo, non a caso, non è un Pm ma un giornalista. È Marco Travaglio. Noi abbiamo dato solo uno sguardo a queste intercettazioni. Cosa ci dicono? Che i giornalisti più importanti dei grandi giornali parlavano con Palamara e partecipavano alle operazioni politiche in corso per determinare i nuovi equilibri nella magistratura. C’è una giornalista che dice a Palamara che se l’avesse saputo prima (non ha importanza cosa) l’articolo lo avrebbe scritto lei e in un altro modo. Viene avanzata, da parte di Palamara, l’ipotesi che un altro importante giornalista sia legato ai servizi segreti. Che certo non è un delitto, però dal punto di vista dell’etica giornalistica, se fosse vero, sarebbe una gran brutta cosa.

Perché, per dire, magari preferirei essere informato da persone che non hanno da rispondere ai servizi segreti, non vi pare? Poi c’è addirittura un lungo colloquio tra Palamara e il vicepresidente del Csm dell’epoca nel quale si discute di come sia possibile influenzare Repubblica, se è meglio farlo attraverso pressioni sulla cronista di giudiziaria o sul caporedattore, e il vicepresidente del Csm si offre per parlare con Repubblica ad alto livello, e si discute della necessità di una “azione di orientamento” e si dice quale linea deve passare all’interno di quel giornale. Non ho fatto nomi. Non mi interessano i nomi. Quello che è bene che si sappia è la sostanza: oggi il giornalismo politico, in Italia, è del tutto subalterno al giornalismo giudiziario. Questo grazie alle grandi campagne moralizzatrici condotte dai giornali negli anni scorsi. Cioè le campagne che hanno demolito la reputazione della politica e messo in discussione persino la necessità della democrazia, dipinta come un sistema sostanzialmente corrotto.

Queste campagne sono state guidate dalla magistratura (e dalla sua rappresentanza parlamentare, cioè i 5 Stelle), e forse dai servizi segreti. In questo modo è stato distrutto il giornalismo politico ed è stato reso un sottoprodotto del giornalismo giudiziario. Il giornalismo giudiziario – non tutto, certo, ma quasi tutto – è assolutamente eterodiretto. E, per definizione, privo di indipendenza. E dunque non è più giornalismo.
La gigantesca opera di reticenza di questi giorni dimostra che le cose stanno esattamente così. Che il giornalismo in Italia non esiste più. Che giornalistopoli esiste, è forte, e non ha nemici. Dunque non sarà stroncata. E magistratopoli regge e non si sgretola proprio perché è sostenuta da giornalistopoli. Se poi vi aspettate che qualche giornale o qualche Tv vi racconti queste cose, siete proprio ingenui. L’informazione, quasi tutta, ormai è agli ordini del Fatto.


Cossiga, Palamara faccia da tonno
https://www.facebook.com/fabriziogaregg ... 919656248/

Quando Cossiga mandò i carabinieri al Csm
Paolo Guzzanti
29 Novembre 2019

https://www.ilriformista.it/rimpiangere ... ere-16389/

“Ma certo che mandai i carabinieri!”. Mi disse Cossiga quando diventammo amici: “Mandai un generale di brigata con un reparto antisommossa, pronti a irrompere nel palazzo dei Marescialli”. Oggi fa impressione riascoltare nelle registrazioni la voce del “matto” Cossiga quando attaccava lo strapotere di alcuni magistrati e lo faceva spavaldamente come un Cyrano de Bergerac, odiato da tutti nel 1985 – trentaquattro anni fa – quando invece aveva ragione. Il Consiglio superiore della magistratura si è recentemente infangato con l’inchiesta di Perugia che ci ha fatto assistere in diretta al mercato delle procure, alla vendita del diritto.Tutto già parte di un vizio d’origine contro cui oggi pochi hanno il fegato di combattere. Cossiga mi aveva invitato a fare colazione al Quirinale. C’era il meglio del giornalismo di sinistra a inzuppare il cornetto nel cappuccino di quelle stanze mentre Cossiga raccontava. A quei tempi era ministro dell’interno Oscar Luigi Scalfaro, che sarebbe diventato il suo successore e il suo principale nemico. Ricorderemo ancora Scalfaro quando, assestando il colpo dell’asino a Cossiga dimissionario, urlò stentoreamente in aula “Viva il Parlamento!” come se lui fosse stato il Parlamento. Allora era ministro degli interni e quando Cossiga decise di far intendere chi comandasse sugli abitanti del Palazzo dei Marescialli (di stile fascista, curiosamente decorato con teste di Mussolini con l’elmetto), il ministro del Viminale disse di sì. Dissero di sì anche i comunisti che poi si scatenarono contro Cossiga. Erano con lui il giudice costituzionale Malacugini e il senatore Perna, capo del gruppo comunista al Senato.

I membri del Csm allora pretendevano di comandare come terza camera dello Stato, in barba della Costituzione. Volevano colpire il presidente del Consiglio Bettino Craxi che aveva polemizzato sulle inchieste seguite all’assassinio del giornalista socialista del Corriere della Sera Walter Tobagi, ucciso dalla Brigate Rosse, che Craxi considerò sempre interne ai salotti milanesi di sinistra. Il Consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno dei magistrati, i quali godono di una autonomia prossima all’extraterritorialità, salvo poi trasformare tanta autonomia in un mercato di interferenze e abusi talmente terrestri da produrre fatti come quelli messi a nudo dall’inchiesta di Perugia che hanno inferto alle istituzioni delle ferite probabilmente non rimarginabili. L’organo di autogoverno fu concepito come massimo baluardo del servizio pubblico della giustizia- e non come privilegio degli operatori togati della giustizia – allo scopo di garantire ai cittadini un servizio di assoluta indipendenza da poteri esterni a cominciare da quelli politici. Il presidente del Csm è il Capo dello Stato, ma è una carica solo formale perché chi comanda è il vicepresidente del CSM. Cossiga ingaggiò nel 1985 un braccio di ferro istituzionale in cui, malgrado i suoi colpi, alla fine fu lui ad essere disarcionato. La sua battaglia contro il vicepresidente Giovanni Galloni (un radicale rappresentante storico della sinistra cattolica che detestava apertamente tutto ciò che Cossiga rappresentava) espose Cossiga ad un vero massacro mediatico.

Le camionette dei carabinieri erano a piazza Indipendenza. I carabinieri in assetto antisommossa, con gli elmetti calati in testa, pronti a sfondare il portone se solo il presidente Cossiga, in quanto Capo dello Stato, lo avesse ordinato. La carica non avvenne, il portone restò integro, ma lo schieramento delle forze che rappresentavano lo Stato – i carabinieri in questo caso – contro un ridotto nelle mani di chi si riteneva di essere separato dallo Stato, in quanto organo separato dello Stato, rappresentò uno schieramento concreto, militare, non diverso – per qualità istituzionale – a quello che lo Stato rinunciò ad opporre nel 1922 alla marcia su Roma di Mussolini. Non che esista una comparazione tra la marcia su Roma e il conflitto affrontato da Cossiga, ma restano i comuni termini di una difesa anche militare contro l’eversione. Cossiga individuò nell’arroganza di un ristretto gruppo di magistrati la formazione di un potere insurrezionale “ultroneo” rispetto a quelli previsti dalla Costituzione e dunque un nucleo eversivo. Il punto allora era politico: il Csm usurpava il diritto – non contemplato tra le sue funzioni – di muovere critica o censura alle parole o alle azioni del presidente del Consiglio dei ministri. Cossiga sospese la delega a Galloni, cioè lo degradò sul campo strappandogli le spalline, sia pure temporaneamente. E dopo aver disarmato quello che riteneva il leader di una corrente eversiva, impose che si prendesse atto di un punto fermo: l’organo di autogoverno dei magistrati è soltanto l’organo di autogoverno dei magistrati e mai, in alcun modo, un potere dello Stato. Come invece pretendevano allora le correnti politiche dell’Anm che Cossiga accusava di usurpazione contro lo Stato.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:29 pm

Magistratura eversiva, corrotta e pericolosa, uno dei grandi mali dello Stato italiano



Giustizia, adesso i magistrati si arrestano tra di loro: i nemici delle toghe ormai sono loro stesse
Filippo Facci
20 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... trani.html


Evitare di scrivere «il più pulito ha la rogna» non è un problema: il vero problema è farvi leggere questo articolo, cioè non farvelo mollare dopo due righe dopo che avrete mormorato che «ormai i magistrati si arrestano tra di loro»: che è vero, beninteso, il potere politico ormai non è più antagonista della magistratura ma solo gregario (succube, nel caso dei grillini) e la lotta togata si è fatta intestina. Ma questa è materia che interessa poco. Magistrati che arrestano altri magistrati: ogni volta si parla di anonimi funzionari dello Stato che sono dotati tuttavia dei più grandi poteri (tra questi togliere la libertà e sequestrare un'attività, bloccare conti bancari, congelare intere esistenze) ma che restano gente che la maggioranza di voi non avrà probabilmente sentito nominare, perché nessun cittadino li ha mai eletti, nessuno di loro va in tv, raramente concedono interviste a meno che ci sia qualche passerella in cui esibire qualche condanna popolare. Se vi giunge nuovo il nome di Carlo Maria Capristo (noto però a Taranto, e vedremo perché) magari si può anche titolare che è stato arrestato nientemeno che un Procuratore Capo della Repubblica. Ma la carica non basta, anche se è stato arrestato per un reato gravissimo come corruzione in atti giudiziari (l'hanno messo ai domiciliari: tra i magistrati vige una certa etichetta) e con lui sono stati coinvolti anche un ispettore di Polizia e tre imprenditori. È indagato anche il procuratore di Trani Antonino di Maio, e l'inchiesta risale a un anno fa, portata avanti dalla Procura di Potenza. Azzardiamo una sintesi, ossia l'accusa. Tre imprenditori cercarono di convincere un giovane magistrato della Procura di Trani a chiudere alcune indagini per usura e quindi avviare il processo contro un imprenditore senza che ce ne fossero i presupposti - questa la pista - e solo perché gli interessati avevano un obiettivo preciso: ottenere i soldi e i benefici di legge che conseguono allo status di «vittima di usura», che in Italia è praticamente un mestiere.
"Il cane che fa bubbù". Renzi salva Bonafede, lo sfotte pure "l'alleato" Beppe Grillo. Roba da crisi di governo (vera)

Il pm però non ha chiuso nessuna indagine e, anzi, ha raccontato tutto alla sua procura: che però, a quanto pare, ha incredibilmente chiesto l'archiviazione. Il fascicolo poi è stato avocato dalla Procura generale di Bari ed è stato trasmesso alla Procura di Potenza (tutti balletti di competenza, quando dei magistrati indagano su altri magistrati) che circa un anno fa ha avviato delle indagini. Ieri la svolta: tutti arrestati, con le accuse a vario titolo di tentata induzione indebita a dare o promettere utilità, e poi falso e truffa. Ora ripetiamola con nomi e cognomi: tre imprenditori pugliesi che sono i fratelli Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo (si chiamano così, come ciò che hanno ottenuto) hanno cercato di indurre la pm Silvia Curioni (Trani) a perseguire per usura un certo Giuseppe Cuoccio; questi fratelli miravano ai vantaggi patrimoniali della posizione processuale di parte presunta offesa e aspirante parte civile con l'applicazione della legge a sostegno delle vittime di usura e relativi benefici del caso. Per riuscire nel loro intento ecco entrare in scena il procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo, che secondo i magistrati potentini sarebbe l'organizzatore di una corruzione in atti giudiziari che utilizzava un poliziotto («notoriamente suo alter ego» e «uomo di fiducia», Michele Scivattaro) per fare pressioni sulla pm di Trani, questo «abusando della qualità di procuratore della Repubblica di Taranto, superiore gerarchico del marito della pm Curioni, ossia di Lanfranco Marazia, che a Taranto prestava servizio come pm». In pratica le avrebbe fatto capire che avrebbe esercitato «fini ritorsivi» e ostacolato la carriera del marito, «visto che aveva già dimostrato nel 2017 di essere capace di farlo», scrivono i pm. Ovviamente a Taranto è scoppiato un casino, anche perché Capristo è quello che si era scontrato con la proprietà dell'Ilva (ora ex Ilva) ad apparente tutela della salute dei cittadini: insomma, da una parte aveva un suo seguito, dall'altra (se è vero) pare che trafficasse mica poco. Capristo comunque, secondo l'accusa, avrebbe mandato dalla pm di Trani Silvia Curioni il «suo» poliziotto ed esercitato pressioni facendole rammentare che a Trani (dov' era stato procuratore capo) manteneva ottimi rapporti in particolare col neo procuratore capo Antonino Di Maio, capo di lei e di suo marito. Anche Di Maio ora è indagato per abuso d'ufficio. Capristo e l'ispettore sono anche «gravemente indiziati di truffa ai danni dello Stato e falso» perché l'ispettore risultava presente in ufficio e percepiva gli straordinari anche se in realtà se ne restava comodamente a casa, o svolgeva incombenze per conto del procuratore.

Dalle immancabili intercettazioni, secondo i gip di Potenza, emerge «l'esistenza di un centro di potere a Trani» denominato "i fedelissimi", che include pubblici ufficiali e soggetti privati tra cui l'imprenditore Gaetano Mancazzo, definito «uno del club». Tutti legati a Capristo. Parentesi: ricordiamo che Trani è la stessa procura in cui operavano i magistrati Savasta e Nardi, arrestati per corruzione nei mesi scorsi per altre vicende. Altra parentesi: Capristo era già indagato per abuso d'ufficio a Messina in ordine al cosiddetto «sistema Siracusa», una presunta organizzazione accusata di pilotare decisioni del Consiglio di Stato. I fatti su cui indagano in Sicilia risalgono a quando Capristo era capo procuratore a Trani e riguardano anche un altro famoso depistaggio: quello dell'inchiesta sulle tangenti Eni. A Trani era giunto un esposto anonimo sulla vicenda che Capristo non inviò però ai colleghi di Milano (competenti) ma a Siracusa, doveva aveva dei giri tutti suoi. Ecco, l'articolo è finito, e i cronisti in genere non scrivono mai tutto quello che sanno: ma questa volta è proprio così. Abbiamo capito solo che è un troiaio, e che avrà un seguito.



Casta dei magistrati (procuratori e giudici) e degli avvocati
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... f=22&t=305



Arrestato il Procuratore di Taranto Capristo: pressioni per indirizzare indagini
di GIULIANO FOSCHINI
19 maggio 2020

https://bari.repubblica.it/cronaca/2020 ... 257060253/

Il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo è agli arresti domiciliari su ordine della procura di Potenza. L’inchiesta nasce da un fascicolo della procura di Trani, aperto quando Capristo già si era trasferito a Taranto. E sulla quale, secondo la ricostruzione, avrebbe comunque provato a fare pressioni per indirizzarne l’esito.

Il Procuratore cercò di indurre il pm di Trani, Silvia Curione, a perseguire ingiustamente una persona per usura facendo temere al magistrato ritorsioni sul marito, il pm Lanfranco Marazia, suo sostituto alla Procura di Taranto. Anche ex procuratore di Trani, Antonino Di Maio, è indagato per abuso d'ufficio e favoreggiamento.

Oltre a Capristo, sono agli arresti domiciliari l'ispettore Michele Scivittaro, in servizio presso la Procura di Taranto, e gli imprenditori pugliesi Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo. Secondo l'accusa, gli indagati avrebbe compiuto "atti idonei in modo non equivoco" a indurre la pm di Trani a perseguire penalmente una persona che gli imprenditori, considerati i mandanti, avevano denunciato per usura.

Il magistrato, però, non solo si oppose fermamente, ma denunciò tutto. Per la denuncia - ha stabilito l'inchiesta - non vi erano presupposti né di fatto né di diritto. Capristo e Scivittaro, inoltre, sono "gravemente indiziati di truffa ai danni dello Stato e falso".

L'ispettore risultava presente in ufficio e percepiva gli straordinari, ma in realtà stava a casa e svolgeva "incombenze" per conto del procuratore. Stamani sono state eseguite perquisizioni a carico di altre persone e anche di un altro magistrato, che è indagato per abuso d'ufficio e favoreggiamento personale.







Luttwak ad Affari: L’Italia è in crisi perché è prigioniera di una casta
15 aprile 2020

https://www.affaritaliani.it/politica/l ... refresh_ce

Saremo il Paese più colpito d’Europa dalla recessione per il Coronavirus. Cosa dovremmo fare per uscirne, visto che nessuno ci aiuta?

"Secondo le statistiche tra i i 196 Paesi del mondo l’Italia è il numero 8 per ricchezza totale. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi del mondo eppure deve andare in giro come un mendicante perché è occupato da una casta. Questa è la ragione del perché lo Stato italiano non può funzionare. E non può funzionare a causa del sistema legale che è il sistema nervoso dello Stato. Ogni volta che qualcuno ha cercato di riformare questo sistema legale italiano, per aver una magistratura europea, viene bloccato dai magistrati che aprono un qualche processo contro di te o un parente".

Lei dice che abbiamo uno Stato burocratico in cui non c’è giustizia e questa è la causa numero uno del suo cattivo funzionamento?

"In Italia non c’è giustizia. L’Italia è un Paese occupato da caste. E la principale casta è quella dei magistrati, uno dei corpi più lenti e improduttivi del mondo. Qualcuno non ti paga, tu lo porti a processo, lui perde, va in appello, riperde, va in appello di nuovo, poi va in Cassazione e il giudice della Cassazione non scrive la sentenza per un anno, per due anni, per tre anni. È successo. Se il poveretto che non è stato pagato ormai da 15 anni chiede al suo avvocato di fare una protesta, di fare qualcosa questo gli risponderà “per carità”. Poi il magistrato andrà in pensione e un altro giudice prenderà l’incarico e rivaluterà gli atti. Come può funzionare uno Stato così?"

E che si dovrebbe fare?

"Le faccio un esempio. Uno Stato così nel suo funzionamento, per esempio oggi con l’emergenza del virus, ha emesso un documento per i pagamenti più semplici possibili ed è di 10 pagine. L’equivalente in Canton Ticino sono 4 domande, occupa un terzo di una pagina, perché lì se dici una bugia in 6 mesi sei in carcere. Da un lato il sistema non da giustizia. Quando te la daranno forse sarai morto. Mentre dall’altro lato a causa della macchinosità di un sistema medioevale non si muove nulla. Non puoi sapere se il giudice, che si prende tutto quel tempo, non scrive la sentenza e lo fa per ignavia o perché è corrotto. Tu non puoi saperlo. Forse l’imprenditore che non ti paga ha passato una mancia al giudice ma tu non puoi saperlo. Non importa se è ignavia o corruzione il risultato è lo stesso e cioè che lo Stato italiano non può funzionare. Il risultato unico è ricorrere alla criminalità organizzata".

Ma i magistrati imputano al non avere mezzi, strutture, personale l’impossibilità di essere celeri e far funzionare al meglio i procedimenti!

"Hanno sé stessi perché i giudici della Cassazione italiana sono pagati molto meglio che la media dei giudici in Europa. Si lamentano? Non hanno i mezzi perché costano troppo, sono molto ben pagati. Troppo. I giudici della Cassazione guadagnano più dei giudici della Corte Suprema americana che sono solo 7. Loro sono più di un centinaio".

E per i fondi da trovare?

"Cassa depositi e prestiti, nella situazione di oggi, potrebbe funzionare come un fondo sovrano e potrebbe dire fate quella strada, aprite quel cantiere, costruire quel ponte, ma non può farlo perché subito interviene qualche magistrato. Poi in Italia è tutto così strano: prima arrestano le persone poi cercano le prove. Quante volte è successo!? Il caso limite in tutta Europa che è stato esaminato e studiato ovunque da tutti è il caso di Calogero Mannino. Viene accusato di mafia nel 1994, viene processato fino a quest’anno (è stato definitivamente assolto nel 2019, ndr). La Procura di Palermo perde i suoi processi e ogni volta fa appello e poi lo accusano della stessa cosa ma usando un altro nome. Prima era associazione esterna alla mafia poi è diventato negoziato Stato-mafia. Come può funzionare uno Stato così? Negli Stati Uniti una cosa del genere può anche accadere perché ci possono essere procuratori che fanno politica, ma addirittura in Italia c’è qualcuno di loro che si è buttato in politica. Negli Stati Uniti però faranno un processo contro questo magistrato e lo metteranno in galera. Va in prigione perché ha fatto dei processi contro un cittadino senza avere prove".

Sono sistemi diversi...

"Ma in Italia c’è addirittura la carcerazione preventiva. Da nessun parte accadono cose così come in Italia. Forse in Corea del Nord. Prima il magistrato ti accusa, poi ti arrestano, poi ti sbattono dentro, poi lui cerca le prove, ma dopo, tenendoti in carcere. Non può funzionare. Nell’Unione Europa ci sono Paesi molto più poveri dell’Italia, come ad esempio la Slovacchia, la Polonia, l’Ungheria. Conte è là seduto per terra che strilla “voglio gli eurobond!” ma chi dovrebbe pagare gli ungheresi? Gli slovacchi? L’Italia vuole solidarietà da un gruppo di Paesi che sono molto più poveri di lei".

Visto questo cortocircuito tra burocrazia, casta di Stato, giustizia, cosa devono fare gli italiani per uscirne?

"Gli italiani sono a casa. È una buon occasione per riflettere. E dire: siamo un Paese molto produttivo e ricco ma il nostro Stato non funziona perché il sistema legale che è il sistema nervoso di un Paese non funziona. È gestito da una classe di persone che non sono europee. La magistratura italiana non è una magistratura europea. Non so da dove viene, forse è una magistratura da Stato arabo e non importa se le cose non funzionano se per ignavia o per corruzione. Il risultato è lo stesso. Quelli che hanno accusato Calogero Mannino era i nemici politici e il sistema li ha lasciati fare. Certo i procuratori sono controllati da un corpo professionale ma in Italia questo corpo professionale, che è il Consiglio Superiore della magistratura, è lottizzato da differenti fazione. Gli italiani devono riflettere. Siamo mendicanti perché lo Stato non funziona. Lo Stato non funziona perché non abbiamo una magistratura europea. Dobbiamo finalmente avere una magistratura europea. Un giudice che non scrive una sentenza in un mese o in una settimana deve essere licenziato".

Non mi sembra che i media televisivi abbiano aperto una discussione su questi temi. Non la pensano così…

"L’opinione pubblica quando vede che il paziente sta morendo perché ha la cancrena deve vedere dove è cominciata questa cancrena. I media devono esaminare due cose per capirlo, non mille, non un milione di cose: il processo di Calogero Mannino (chi lo ha fatto e come, in tutto il mondo cose così non si sono mai viste, è un anomalia gigantesca); e il modulo emesso ieri dal governo per chiedere i fondi e compararlo a quello del Canton Ticino. Solo queste due".

Come liberarsi da questa situazione di Stato disfunzionale e pericoloso per i cittadini?

"Quando una persona sta morendo di cancrena guarda dove è iniziata. Comincia tutto dal non avere una giustizia di tipo europea, dal non avere una magistratura europea. Faccio un altro esempio: il sistema legale francese che è quasi simile a quello italiano ha però una differenza: nessun procuratore può muoversi se non autorizzato da un giudice di istruzione che chiede ai magistrati che accusano: 'tu le prove le hai? Per far durare il processo velocemente, tre giorni!? Ed avere così una risoluzione chiara? No!? Allora non disturbare il cittadino!'. Se tu fai una truffa contro lo Stato ti prendono subito, perché non hai un sistema intasato da tutte questa massa di accuse opinabili, lungaggini, cose barocche e fatte per altri motivi. Ti fanno un processo e ti mandano in prigione rapidamente. Quanti italiani sono in prigione per non aver pagato le tasse?"

Pochissimi... credo qualche centinaio, 200 forse...

"Esatto! In America sono 50.000".

Capisco...

"Perché ti beccano. Racconto l’aneddoto di una signora di New York, proprietaria di grandi alberghi. Ha pagato 800 milioni di tasse ma in quell’anno, qualche anno fa, si è fatta comprare un sofà di poche migliaia di dollari, 3400 dollari, e l’ha portato a casa sua e non in uno dei suoi alberghi come dichiarato. Quando è stata beccata dalle tasse ha preso 3 anni di prigione, di solito sono 5. Aveva 76 anni ed è andata in prigione. Il processo è durato circa un’ora".

Noi saremmo felici anche se durasse una settimana...

"Se fosse accaduto in Italia avrebbero aperto un dossier per investigare cosa ha fatto negli ultimi 60 anni. Forse l’ha fatto altre volte? Sa, ci sono molti modi, per la magistratura araba o turca che l’Italia ha, per non fare il proprio lavoro. Ricordo quando Andreotti era accusato di associazione esterna mafiosa. Invece di fare vedere due fotografie, lui che abbraccia il suo grande amico Salvo Lima e Lima che abbraccia qualche mafioso, si è deciso di accusarlo di tutto, compreso l’omicidio di un giornalista (il riferimento è all’omicidio Pecorelli, ndr). In Italia la signora dell’albergo non avrebbe fatto un giorno di galera. Le avrebbero aperto un’indagine per 27 anni".

La maggioranza dei media descrive i problemi italiani in tutt’altro modo. Come è possibile?

"Allora devono spiegare questo mistero in un’altra maniera. Il mistero di avere uno Stato così ricco ma che fa il mendicante".

Lei dice che se non cresce questa consapevolezza non ne usciamo?

"No, il paziente non esce. È un malato cronico che resta in sedie a rotelle. È l’Italia. Ma adesso ha un’occasione per riflettere".






Le intercettazioni travolgono l'Anm: i vertici si dimettono
24 maggio 2020

https://www.tgcom24.mediaset.it/politic ... 002a.shtml

Continua dunque a mietere vittime il trojan iniettato nel cellulare dell'ex presidente dell'Anm Luca Palamara, rinviato a processo a Perugia dopo la tempesta che ha travolto il Csm per il risiko delle nomine nelle procure decise in camere d'albergo con coté politico.

Ad andare in frantumi è l'attuale dirigenza della magistratura associata, da poco in sella dopo lo tsunami giudiziario. Il presidente Luca Poniz di Area, la corrente progressista delle toghe che era uscita "bene" dalla tempesta, e il segretario Giuliano Caputo di Unicost, la corrente più affondata perché dominata dal ras Palamara, si sono dimessi dopo la pubblicazione di intercettazioni di chat e conversazioni.

Gli ultimi scampoli usciti dal pozzo senza fine dei contatti del telefonino di Palamara, che il pm di Roma ora sospeso da funzioni e stipendio era solito conservare, lo immortalano mentre parlando con un collega - il procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma, estraneo all'inchiesta - dice che Matteo Salvini "va fermato", proprio mentre l'ex ministro dell'Interno è sotto indagine in Sicilia per i porti chiusi ai migranti.

Dalle trascrizioni, pubblicate da giorni su alcuni quotidiani, emergono anche contatti molto stretti, tra Palamara, l'ex presidente dell'Anm Giovanni Legnini, e alcuni giornalisti.

Il contraccolpo è forte, proprio nel giorno in cui si commemorano i 28 anni della strage di Capaci, i vertici dell'Anm lasciano il mandato, dopo una riunione fiume di otto ore nella sede del "parlamentino" delle toghe, in Cassazione, all'ultimo piano del 'Palazzaccio'. Nella Giunta dell'Anm adesso rimane solo la corrente di Autonomia e Indipendenza, guidata da Piercamillo Davigo.

Ora i gruppi faranno valutazioni per capire come proseguire e vedere se c'è una nuova maggioranza o equilibri tali per cui una nuova compagine possa traghettare l'Anm fino alle elezioni previste per fine ottobre. Il consiglio del Comitato direttivo centrale dell'Anm è stato convocato per dopodomani, lunedì, alle 19.

Solo due giorni fa, giovedì, si era consumata l'ultima "vendetta" del trojan di Palamara, culminata nella decisione del Csm di trasferire dalla Procura nazionale antimafia il pm Cesare Sirignano, intercettato mentre parla di nomine con il pm di Roma.



Pietro Senaldi sul caso Palamara: "Obiettivo, eliminare Salvini. Mattarella tace per non anticiparne l'assoluzione"
Andrea Cionci
24 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/co ... ranti.html

Il 4 luglio Matteo Salvini è atteso dalla Procura di Catania. L'emergenza Coronavirus ha paralizzato la giustizia in Italia ma non l'azione dei pm, che ad aprile, in piena pandemia, hanno accelerato sul processo all'ex ministro dell'Interno, accusato di sequestro di persona per aver salvato, ma tenuto fermi in porto a bordo della nave Gregoretti della Guardia Costiera, 130 migranti la scorsa estate. La sentenza fino a un paio di giorni fa era già scritta: il processo ha natura politica prima che penale e in primo grado la condanna sarebbe stata più che una probabilità. Il diavolo tuttavia fa le pentole ma non i coperchi e alcune intercettazioni di dialoghi compromettenti tra magistrati hanno reso evidente quel che era noto a tutti ma fino a pochi giorni fa indicibile. Tanto nel caso Gregoretti, per cui il leader della Lega andrà alla sbarra a luglio, quanto nell'analogo caso Diciotti, al quale i due magistrati si riferiscono, l'ex ministro dell'Interno non ha commesso reati. Egli ha agito nell'interesse dello Stato italiano e delle sue leggi e viene perseguito giudiziariamente solo perché il partito dei giudici lo ritiene un rivale politico della sinistra e quindi di tutti i magistrati politicizzati.

"Il vero rischio è un altro". Salvini e i processi Gregoretti-Open Arms: "perché non deve temere le affermazioni da bar nelle chat dei magistrati"

A dirlo sono un procuratore capo e l'ex presidente dei magistrati, non due sbarbati in toga che hanno appena passato l'esame. I due, nella loro conversazione privata, esprimono due giudizi. Il primo è politico: Salvini va attaccato anche se ha ragione perché è una merda. Il secondo è tecnico: il leghista sta difendendo i confini da invasori illegali, la legge è dalla sua parte e lo è anche il popolo; noi magistrati che lo mettiamo alla sbarra siamo indifendibili. i due giudizi La parte politica del discorso, pronunciata da due magistrati così potenti e autorevoli, gente che decide chi indagare e chi no, legittima il sospetto che ci sia un asse tra la sinistra e la parte più politicizzata della magistratura per far fuori il leader del primo partito italiano. Proprio come avvenne con Berlusconi e, ancora prima, con Dc e Psi.

Questo scredita l'inchiesta contro l'ex ministro, peraltro già destituita di ogni credibilità dal fatto che il Parlamento, quando il leghista era al governo, votò contro il processo per l'analoga vicenda Diciotti, per la quale la Procura in prima istanza aveva chiesto l'archiviazione, prima che toghe più potenti ribaltassero la decisione scegliendo di processare. Siamo alla prova scritta del complotto anti-Salvini orchestrato dalla sinistra e attuato dal suo braccio armato giudiziario. La parte tecnica del discorso è altrettanto fondamentale. Siamo in presenza di due autorità del diritto che affermano che il reato non esiste e che trattano la vicenda con le stesse parole che Salvini usa per difendersi: ho agito da ministro nell'interesse dello Stato. un assist La giustizia ha perso ogni vergogna, ma sarebbe davvero stupefacente se, alla luce di queste carte, la storia si concludesse con una condanna di Salvini. È vero che i magistrati intercettati non sono quelli che giudicheranno la vicenda. Però in un Paese libero e civile, con un diritto che funziona, un fatto acclarato e sul quale non ci sono dubbi dovrebbe essere valutato alla stessa maniera da qualsiasi toga, perché la giustizia non è un'opinione. La legge si può interpretare, ma non usare per i propri scopi politici. Se un comportamento non è reato per le massime autorità del diritto, non lo può diventare se lo attua un rivale politico.

La divulgazione delle intercettazioni tra toghe è un assist per Salvini, che se ne è lamentato con Mattarella, capo dei magistrati. Il Quirinale non ha risposto ufficialmente, perché l'inevitabile condanna presidenziale del comportamento dei giudici sarebbe stato l'anticipo di un verdetto di assoluzione e avrebbe interferito con le indagini. Però appare evidente che ora alle toghe converrebbe chiudere il caso con tante scuse all'ex ministro. Questione di diritto, opportunità e immagine, perché d'ora in poi ogni udienza di questo strampalato processo ricorderà agli italiani il marcio in cui alcuni magistrati agiscono.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:30 pm

Separazione delle carriere tra i magistrati inquirenti e giudicanti


Separazione delle carriere: opinioni a confronto.
È in corso di esame nella commissione affari costituzionali alla Camera dei Deputati una proposta di legge sulla separazione delle carriere che riapre vecchi contrasti tra favorevoli e contrari alla riforma. Ecco le diverse opinioni a confronto.
di Valeria Zeppilli

https://www.studiocataldi.it/articoli/3 ... fronto.asp

In Commissione affari costituzionali ha avuuto inizio l'iter parlamentare par l'esame di una proposta di legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere. Si tratta di un progetto di legge che investe una tematica da sempre oggetto di dibattito e fonte di forti contrasti in ambito politico e tra gli addetti ai lavori.

La proposta intende creare una netta distinzione tra magistratura giudicante e magistratura requirente. In altre parole: i giudici da un lato, i pubblici ministeri dall'altro.

Vediamo di cosa si tratta e quali sono le opinioni a confronto. Al termine se le desideri potrai dire la tua rispondendo al sondaggio.


L'idea della proposta di legge è quella di modificare l'attuale assetto dell'ordine giudiziario, creando per i pubblici ministeri un ordine differente rispetto a quello dei giudici, pur continuando a riconoscere a entrambe le categorie le garanzie di autonomia e indipendenza che caratterizzano la magistratura.
I dibattiti sulla separazione delle carriere

Come accennato, quello della separazione delle carriere non è un dibattito nuovo, scaturito con la recente iniziativa legislativa, ma è al centro delle più agguerrite dispute che da anni vedono divisi avvocati, magistrati, giuristi e non solo.

Vediamo quindi i pro e i contro della separazione delle carriere, tenendo conto delle più autorevoli opinioni in

proposito.
Separazione delle carriere: chi è a favore

A favore della separazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente si sono schierati giuristi e magistrati del calibro di Giovanni Conso, Sabino Cassese, Giuliano Vassalli, Giovanni Falcone.


Giovanni Falcone

Proprio quest'ultimo, nel 1989, scriveva: "Comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l'habitus mentale, le capacità professionali richieste per l'espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo e della discrezionalità dell'azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere".


Unione Camere Penali

Venendo alle più recenti opinioni sul tema, possiamo citare quella di Francesco Petrelli, segretario dell'Unione delle Camere Penali nella giunta 2016 - 2018, per il quale la separazione è "condizione di un indispensabile conflitto e di un fisiologico antagonismo fra poteri, volta alla efficienza ed all'equilibrio di ogni sistema democratico, complesso, trasparente e aperto".

Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione Camere Penali nella giunta 2012 - 2014, ha identificato il vero problema della giustizia italiana nella circostanza che "la terzietà del giudice non solo non è garantita, non c'è proprio. Il giudice resta contiguo al magistrato inquirente, ne condivide le istanze volte ad affermare la pretesa punitiva dello Stato e anzi se ne fa spesso carico in prima persona".
Separazione delle carriere: chi è contrario

Altrettante sono le voci che si levano contro la separazione delle carriere, sostanzialmente fondate sulla convinzione che da essa potrebbe derivare un controllo dell'esecutivo sul pubblico ministero, visto come una sorta di avvocato del Governo.

Il Pubblico Ministero, invece, è innanzitutto un magistrato che non tutela gli interessi di un cliente, ma quelli della collettività e di questo sono convinti molti magistrati, tra i quali possiamo citare Bruno Tinti, tra le altre cose ex Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Torino.

Il PM, in altre parole, ha come unico obiettivo quello di ottenere la condanna del colpevole effettivo e non quello di far condannare comunque un imputato.
Associazione Nazionale Magistrati

Tra le più autorevoli opinioni contrarie alla separazione delle carriere vi è quella dell'Associazione Nazionale Magistrati.

L'ex segretario dell'ANM, Carlo Fucci, qualche anno fa ha affermato che "la separazione delle carriere non solo non porterebbe alcun vantaggio all'efficienza del processo penale ma non introduce nessuna garanzia maggiore, anzi rischia di allontanare il Pm dalla cultura della giurisdizione; senza parlare dei pericoli possibili in prospettiva di sottoporre il Pubblico ministero al potere esecutivo, e dunque di arrivare a un'azione penale discrezionale". Per Fucci, inoltre, la separazione allontanerebbe "il controllo giurisdizionale nella fase delle indagini che il Pm invece assicura".

Più di recente, il Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Minisci, ha invece affermato che "Il rischio di un PM sottoposto all'Esecutivo non possiamo e non dobbiamo correrlo, perché in quel caso la tutela dei diritti e la difesa delle garanzie sarebbero fluttuanti, incerte e legate alle stagioni".
I pro e i contro

Per riassumere, a favore della separazione delle carriere vi è la circostanza che magistratura giudicante e magistratura requirente svolgono funzioni distanti tra loro che richiedono attitudini differenti. Inoltre, vi è la circostanza che continuare a lasciare il PM e il giudice nel medesimo ordinamento non garantirebbe la necessaria terzietà del secondo e di conseguenza inficerebbe l'efficienza e la giustizia del processo.

Riassumendo anche i contro, per chi ripudia la separazione delle carriere, separare giudice e PM avrebbe come uniche conseguenze, da evitare, quelle di privare il pubblico ministero della necessaria indipendenza dal Governo e di compromettere gli interessi della collettività.





Una riforma per la giustizia: separare le carriere
Antonio Landolfi
Lunedì 02 Settembre 2002

https://www.italianieuropei.it/it/compo ... riere.html

Come uscire dalla crisi della giustizia in un paese come l’Italia che ha visto negli ultimi decenni perpetuarsi normative emergenziali, tentativi di riforme abortiti nello scontro micidiale tra un super-ego giustizialista e un garantismo peloso e a singhiozzo, che emerge quando ci sono in ballo interessi specifici, per dileguarsi quando l’opinione benpensante invoca «legge e ordine»? L’unica possibile via d’uscita è quella di mantenere la barra ferma e dritta sulla rotta tracciata da una tradizione autenticamente garantista che ha forti radici nella tradizione democratica italiana, prima e dopo il fascismo, le cui iniziative condussero a grandi progressi nel diritto positivo e nell’esercizio della giurisdizione, oltre a lasciare il segno in numerose battaglie giudiziarie.

Come uscire dalla crisi della giustizia in un paese come l’Italia che ha visto negli ultimi decenni perpetuarsi normative emergenziali, tentativi di riforme abortiti nello scontro micidiale tra un super-ego giustizialista e un garantismo peloso e a singhiozzo, che emerge quando ci sono in ballo interessi specifici, per dileguarsi quando l’opinione benpensante invoca «legge e ordine»?

L’unica possibile via d’uscita è quella di mantenere la barra ferma e dritta sulla rotta tracciata da una tradizione autenticamente garantista che ha forti radici nella tradizione democratica italiana, prima e dopo il fascismo, le cui iniziative condussero a grandi progressi nel diritto positivo e nell’esercizio della giurisdizione, oltre a lasciare il segno in numerose battaglie giudiziarie. Basterà ricordare il «socialismo giuridico» di Francesco Saverio Merlino e di Pietro Ellero, e dei suoi discepoli Leonida Bissolati, Filippo Turati, Giacomo Matteotti fino a Pietro Calamandrei e Giuliano Vassalli; il pensiero giuridico cattolico di Francesco Carnelutti, di Giovanni Leone, di Aldo Moro: democratici come Emanuele Gianturco e Uberto Scarpelli, Sergio Cotta e Giuseppe Capograssi. Per non parlare dei garantisti comunisti come Umberto Terracini e Gerardo Chiaromonte. Cosa ci dice questa cultura? Ci dice innanzi tutto che ogni forma di legislazione emergenziale non può essere perpetua, che se perde il suo carattere di eccezionalità e di temporalità si traduce in un’alterazione organica del diritto di una società e di uno Stato democratico. Modifica cioè il diritto positivo ed innesca una tendenza a considerare la giurisdizione come quella di una salvaguardia e di un baluardo i cui compiti acquistano quasi un carattere sacrale ed indiscutibile.

Dal terrorismo l’emergenza è passata alla criminalità organizzata, poi alla corruzione di Tangentopoli, e in questo suo prolungarsi la giustizia italiana finisce per vivere in una sorta di «deserto dei tartari», in uno stato permanente di allarme che motiva l’emergenzialità normativa e giurisdizionale tanto da farla apparire non già come episodica bensì come sistema organico e definitivo. Tutta la legislazione premiale offre questo sospetto: e l’efficacia (ammesso che ci sia) del premio non può motivare un’alterazione permanente del principio della testimonianza avulsa dall’interesse soggettivo e l’inversione sostanziale dell’onere della prova. In questo quadro si è consolidata l’anomalia, tutta italiana, dell’unità delle carriere tra tutti i magistrati. Per evidenziare il carattere anomalo del sistema vigente in Italia, è utile dare un’occhiata a quelli delle altre democrazie europee, ad esempio della Gran Bretagna e del Galles.

Nel sistema britannico, fino al 1985, l’attività inquirente, sia nel suo aspetto investigativo sia in quello forense (cioè di promozione dell’azione penale) era svolta dagli organi di polizia, o anche dai privati. Dal 1985 con la nuova normativa del Crown Prosecution Act è entrato in vigore un sistema piramidale che ha al suo vertice la figura dell’Attorney General che viene nominato dalla regina su scelta e proposta del primo ministro. L’Attorney General è membro del parlamento, può partecipare alle riunioni del consiglio dei ministri ed è l’esperto dell’esecutivo per tutte le questioni legali. Dirige, inoltre, ed è responsabile del Crown Prosecution Service, vale a dire del servizio nazionale di promozione dell’azione penale, che predispone un rapporto annuale pubblico al parlamento sulle proprie attività. Per statuto l’attività del Crown Prosecution Service e dell’Attorney General che lo dirige viene regolata da criteri di politica criminale decisi dal governo ed approvati dal parlamento, che sono vincolanti per i pubblici ministeri e ne regolano la discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale. Il Crown Prosecution Service si articola in 43 distretti (i CPD, Crown Prosecution District) che costituiscono gli uffici del pubblico ministero. Essi impiegano complessivamente duemila avvocati (sollicitors e barristers) e ciascuno di essi è diretto da un Chief Crown Prosecutor (C C P) . I 43 distretti svolgono la loro attività con la supervisione di un Director of Public Prosecution scelto dall’Attorney General. I componenti dei distretti, chiamati a svolgere l’ufficio di pubblico ministero sono, come dicevamo, avvocati che, a seguito di una loro richiesta, vengono scelti in base a criteri professionali da 43 commissioni, una per ciascun distretto, ognuna presieduta dallo Chief Crown Prosecutor. Il quale a sua volta viene scelto da una commissione nazionale presieduta dal Director Public Prosecution, di cui fanno parte esperti ed anche un giudice. L’attività dei pubblici ministeri viene regolata da direttive contenute nel Code for Crown Prosecutor, elaborato insieme dall’Attorney General e dal Director of Public Prosecution, che contiene i criteri generali ed è di carattere pubblico; e da specifici manuali riservati che contengono direttive dettagliate per l’attività dei pubblici ministeri. Il carattere gerarchico dell’organizzazione del CPS è confermato dalla possibilità che l’Attorney General ha di fermare un’azione penale già intrapresa secondo il principio del nolli persequi.

La funzione esercitata dai pubblici ministeri nel sistema inglese e gallese è, per sua natura ed organizzazione, basato su un principio di netta separazione tra la magistratura giudicante e magistratura inquirente, tale da escludere l’idea stessa di una comune organizzazione di carriera, ma anche di reclutamento e di formazione. Un tratto comune a quasi tutti i paesi dell’Europa continentale è rappresentato dalla connessione tra l’esercizio della funzione di pubblico ministero e l’esecutivo: connessione cui fa eccezione l’Italia, e che è invece ulteriormente rafforzata in Francia dal fatto che i magistrati di rango elevato che sono a capo dei 33 distretti di corte d’appello (i Procurateurs Generaux de Court d’Appel) ed il procuratore generale presso la corte di cassazione sono nominati dal consiglio dei ministri su proposta del ministro della Giustizia. Le due riforme del 1993 e del 1994 hanno voluto offrire garanzie di autonomia rispetto all’esecutivo, ma hanno mantenuto sostanzialmente inalterato il rapporto gerarchico derivante dal potere di supervisione del ministro della Giustizia, nell’ambito del quale il pubblico ministero opera secondo la legge. Tanto più che le iniziative di avvio dell’azione penale da parte delle procure vengono anche in Francia da direttive dettagliate fornite per via gerarchica dal ministro della Giustizia, per mezzo di istruzioni organiche come quelle contenute nei Code che si usano in Inghilterra, il quale esercita inoltre un’oculata attività di supervisione su ogni fase dell’attività inquirente e forense, tranne che nell’esercizio del diritto di parola nelle fasi orali del dibattimento.

Va ricordato come nel 1997 la commissione Truche (così chiamata dal nome del presidente della cassazione che la presiedette), invitata dal presidente della repubblica a «riflettere sul ruolo della giustizia», si pronunciò in questi termini a proposito della supervisione del ministero sull’attività dei pubblici ministeri: «Le modalità con cui si regola la discrezionalità dell’iniziativa penale diviene un’importante parte delle politiche pubbliche del paese nel settore penale, e come tutti gli altri settori delle politiche pubbliche, deve, in democrazia, essere mantenuta tra le responsabilità dell’esecutivo».

La commissione, quindi, aveva rigettato l’ipotesi avanzata dal presidente Chirac per una completa indipendenza dei pubblici ministeri dal ministro della Giustizia. Su tali basi, nel sistema francese, non esisteva né esiste alcun presupposto che possa portare a sostenere una separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Perché mentre la magistratura giudicante gode in Francia della massima indipendenza, quella inquirente è soggetta gerarchicamente alla supervisione dell’esecutivo. Inoltre, a differenza di quelli italiani, i pubblici ministeri in Francia possono essere soggetti a trasferimenti di sede, a seguito di disposizioni ministeriali.

Un regime di separazione delle carriere non comporta che i pubblici ministeri debbano essere necessariamente sottoposti ad un sistema di supervisione, se non addirittura di subordinazione all’esecutivo. Questo nessuno può volerlo, dovunque, e tanto meno in Italia, dove lo impedisce, giustamente, la Costituzione. Si può giungere ad un regime di separazione con pieno rispetto dell’indipendenza dei magistrati inquirenti, che non avrebbero alcuna difficoltà a dotarsi di una forma di autogoverno propria, autorganizzandosi in una struttura consiliare diversa da quella odierna del CSM. Il problema è di giungere ad un sistema che raggiunga l’obiettivo di garantire la terzietà del giudice, che elimini ogni pericolo derivante dalla contiguità. E di realizzare, dunque, una riforma nella struttura dell’ordinamento giudiziario, impedendo – una volta per tutte – ogni devianza verso forme di giustizia politica e quelle derive giustizialistiche che hanno segnato il decennio di Mani Pulite.

Bisogna insomma operare costruttivamente per cancellare questa anomalia tutta italiana costituita dalla non separazione della carriere. L’esempio da seguire è quello degli ordinamenti delle nazioni dell’Europa occidentale, nei quali, in forme diverse, è generalmente assicurata la netta distinzione tra l’attività degli inquirenti e quella dei giudicanti. Ed è a questa linea che si sono ispirati i paesi ex comunisti dell’Europa orientale e quelli nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Perché nei regimi democratici, appunto, la regola è quella della separazione: e quindi quando si entra in un regime democratico è inevitabile abbandonare la struttura che era stata adottata nella fase del totalitarismo.

Ed è anche questa la linea adottata dal parlamento dell’Unione europea. Lo conferma il testo della risoluzione n. 112/97 del parlamento europeo, approvata il 4 aprile del 1997, che al punto 58 così detta: «Si ritiene altresì necessario assicurare la terzietà del giudice giudicante attraverso la separazione della carriera con il magistrato inquirente». La risoluzione, che poneva la separazione come condizione ineliminabile per ottenere la terzietà del giudice a presupposto indiscutibile del giusto processo, fu sostenuta dal Partito socialista europeo ed approvata da una larghissima maggioranza, senza nessuna eccezione nella sinistra. Da essa si deduce che senza la separazione delle carriere non esiste un processo che risponda pienamente ai principi della democrazia. Su questa base la crisi della giustizia penale in Italia emerge ancora più inequivocabilmente. Una sinistra e uno schieramento democratico che voglia effettivamente avviare la sua iniziativa per risolvere la crisi del sistema della giustizia nel nostro paese dovrebbe partire da questo punto.

Ma così non è, nessuno offre una spiegazione convincente del perché la sinistra in Italia mostri tanta contrarietà ad un principio inoppugnabile. Lasciando, di conseguenza, altre forze culturali e politiche sventolare la bandiera di questo principio. E perdendo quindi una battaglia decisiva, senza nemmeno averla combattuta.

Non c’è, del resto, da meravigliarsene. C’è voluto circa mezzo secolo perché il principio del «giusto processo» sancito dall’articolo 6 della Convenzione europea fin dagli anni Cinquanta venisse inserito dal parlamento italiano tra i princìpi fondamentali della nostra Costituzione, con il nuovo testo dell’articolo 111. E ci sono volute, com’è noto, centinaia di sentenze della corte di Strasburgo che bollavano il sistema giudiziario italiano per violazione dei principi di garanzia dei cittadini. Ma basta questo? Se, come la risoluzione del parlamento europeo del 1997 sostiene esplicitamente, la separazione delle carriere e la conseguente garanzia della terzietà del giudizio rappresentano il cardine del giusto processo, dovremo attendere un altro mezzo secolo per rendere realmente operante il contenuto del nuovo articolo 3 della Costituzione repubblicana? Speriamo di no, auguriamoci che resistenze culturali e politiche vengano vinte, che venga garantita l’indipendenza della magistratura dalla politica, ma che venga anche garantita l’autonomia della politica dalle posizioni e dagli interessi della magistratura italiana.



Nordio: "La magistratura? Una corporazione conservatrice che attacca chi chiede riforme liberali"
Stefano Zurlo
22 maggio 2020

https://www.iliberali.org/rassegna-stam ... -liberali/


Negli ultimi giorni, sono venute alla luce conversazioni presenti nel telefono del magistrato Luca Palamara, coinvolto in un’inchiesta della procura di Perugia. I contenuti delle intercettazioni non sembrano essere penalmente rilevanti, ma riaprono il dibattito sulla magistratura. Il parere di Carlo Nordio in un’intervista rilasciata a Stefano Zurlo del Giornale.

Siamo alle solite.

«Solo che adesso i protagonisti delle intercettazioni sono i magistrati e questo crea grande imbarazzo. Scopriamo ora che anche dentro la corporazione togata c’è un alto tasso di ipocrisia».

Carlo Nordio, uno dei più noti pm d’Italia, oggi in pensione, ha letto i brani riportati dal quotidiano La Verità: le manovre e le trame che Luca Palamara e altre toghe, poi risucchiate dall’inchiesta di Perugia, conducevano con grande disinvoltura.

Nordio, è stupito?

«Per niente. È da 25 anni che denuncio questo malcostume: la lottizzazione e gli scambi di favori fra le diverse correnti che convivono nell’Anm».

Palamara e gli altri decidevano chi far sedere su questa o quella poltrona.

«Lo sanno tutti che i meccanismi sono questi. Semplificando, potremmo dire che tutti trattavano con tutti».

Una pratica mortificante che imita il lato peggiore della politica?

«Intendiamoci: spesso per incarichi importanti vengono scelte persone di primissima qualità, tecnici del diritto di grande preparazione, ma si passa sempre o quasi attraverso mediazioni estenuanti e la stanza di compensazione delle correnti che sono ovunque. Specialmente al Csm».

Ma come se ne esce?

«Anche su questo versante è da un quarto di secolo che predico la soluzione più semplice: l’elezione per sorteggio dei membri del Csm».

Il sorteggio non svilirebbe la carica?

«L’obiezione è una colossale sciocchezza. Ovviamente non si sorteggerebbe il primo che passa per la strada, ma seguendo alcuni criteri ragionevoli».

Per esempio?

«Restringendo la rosa ai magistrati di Cassazione».

Torniamo alle intercettazioni.

«E mi faccia ripetere per l’ennesima volta che è una barbarie vedere sui giornali testi che dovrebbero rimanere segreti».

Ma così non si nasconde all’opinione pubblica quel che accade dietro le quinte?

«Eh no, così si ferma l’inciviltà. Questi brani sono selezionati senza alcun contraddittorio fra le parti, non ne conosciamo il contesto e non sappiamo nemmeno con che tono sono state pronunciate quelle parole. Si tratta di materiale carico di suggestioni, appetibile ma scivolosissimo. Quante volte abbiamo letto pagine che sembravano sentenze di condanna e invece erano il frutto di fraintendimenti, equivoci, errori grossolani».

Adesso ci imbattiamo in giudizi sorprendenti su Salvini. Ci volevano le microspie per venire a sapere che i pensieri delle toghe non sono poi così politicamente corretti come appaiono in pubblico?

«È la solita ipocrisia che alberga nella mia categoria. Nei congressi fuoco e fiamme, in privato un linguaggio assai diverso».

C’è di più. Auriemma aggiunge: «Non capisco cosa c’entri la procura di Agrigento», ma Palamara respinge la critica e detta la linea dura: «Hai ragione, ma bisogna attaccarlo».

«La magistratura è una corporazione conservatrice che attacca la politica, quasi sempre il centrodestra ma qualche volta pure il centrosinistra, quando la politica prova a eliminare o ridurre privilegi non giustificati e varare riforme liberali».

Qui c’è di mezzo anche un processo e un’accusa gravissima: sequestro di persona.

«Ho sempre sostenuto che quell’accusa non stava né in cielo né in terra e quel capo d’imputazione diventa ancora più incredibile oggi, dopo che il capo del governo ha sequestrato in casa sessanta milioni di italiani per il Coronavirus. Ma, naturalmente, non voglio nemmeno immaginare che qualcuno abbia puntato il dito contro Salvini in malafede: sarebbe un sacrilegio».

In conclusione, la giustizia ruzzola nella polvere delle intercettazioni ma il ministro resta in sella.

«Il centrodestra ha sbagliato bersaglio: le scarcerazioni dei boss sono opera dei magistrati di sorveglianza, non di Bonafede. Resta l’obbrobrio della prescrizione e la responsabilità politica della gestione scriteriata delle carceri».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:30 pm

Complici e doppiamente delinquenziali sono gli esponenti dei partiti politici al governo che hanno istigato, applaudito e sostenuto le iniziative di questa demenziale magistratura eversiva e antidemocratica.
Come pure i media televisivi, radiofonici e stampacei al servizio di queste bande criminali.

Gregoretti, Di Maio al veleno: "Dirò sì al processo su Salvini"
Angelo Scarano - Mer, 18/12/2019

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 01067.html

A Porta a Porta il leader 5S mette nel mirino l'ex alleato di governo: "Decisione sua, sì all'autorizzazione a procedere"

Sono finiti i tempi del governo giallorosso. Luigi Di Maio adesso cavalca l'ultima accusa di "abuso di potere" avanzata dal Tribunale dei Ministri contro Salvini per il caso Gregoretti e affonda il colpo sull'ex alleato.

Il ministro degli Esteri non usa giri di parole e di fatto già "processa" a modo suo Salvini: "Il blocco della Gregoretti non fu deciso dal governo, ma dal Ministro Salvini. (Sulla Diciotti, ndr) per noi c’era l’interesse pubblico prevalente, ma sulla Gregoretti non c’era e non c’è. Soprattutto fu un’azione del singolo ministro, tanto che poi li fece sbarcare perchè la ridistribuzione funzionava. Noi voteremo contro l’interesse pubblico prevalente". Insomma il leader pentastellato prova già a usare questo ennesimo assalto giudiziario contro Salvini per portare acqua al mulino dei 5 Stelle che da tempo (e con scarsi risultati) sono a caccia di consensi. Ai microfoni di Porta a Porta, Di Maio poi aggiunge: "Auguro a Matteo Salvini di dimostrare la sua innocenza, come lo auguro a tutti". Con poche parole l'allora vicepremier si dissocia dall'ex ministro degli Interni e dunque dà voce all'astio che da tempo separa i due dopo la rottura dell'esperienza di governo gialloverde. E gli alleati del governo giallorosso provano subito a seguire i Cinque Stelle nella volata giustizialista sul caso Gregoretti come fa Leu con Fratoianni: "Capisco la rabbia e la paura di Matteo Salvini in queste ore dopo l'annuncio del nuovo procedimento giudiziario nei suoi confronti. La rabbia per non poter continuare a fare, come ha fatto da ministro, quello che gli pareva in spregio a ogni legge e norma internazionale. E pure la paura di doverne rispondere in un'aula di tribunale, che come ben si sa sfugge ad ogni occasione. Si metta l'animo in pace: non possono esistere in democrazia spazi di impunità per nessuno".

E anche il Pd è pronto a mettere con le spalle al muro l'ex ministro degli Interni: "Oggi i giornali danno notizia di una nuova richiesta di procedere nei confronti di Salvini, ancora una volta per aver privato della libertà personale 131 migranti a bordo della nave Gregoretti.La reazione di Salvini è stata violenta. Ha invocato il diritto di difendere i confini e di esercitare il proprio ruolo. Ha detto che non vede l’ora di guardare negli occhi i magistrati che lo accusano. Non è vero ovviamente". Insomma la maggioranza e soprattutto l'asse 5s-Pd si prepara a dare uno "schiaffo" a Salvini. Ma di fatto i sondaggi dicono il contrario: più il leader della Lega è sotto attacco, più cresce nelle rilevazioni delle intenzioni di voto.





Caso Gregoretti, Zingaretti: “Salvini che fa la vittima è patetico”
20 gennaio 2020

https://www.fanpage.it/politica/caso-gr ... -patetico/

La maggioranza si è chiamata fuori dal voto in Giunta sull'eventuale processo a Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per il caso Gregoretti. E Matteo Salvini, che ha chiesto ai suoi parlamentari di votare a favore delll'autorizzazione a procedere nei suoi confronti, ne ha approfittato per rilanciare le sue accuse: "I vigliacchi del Pd non si sono neanche presentati. Spero che almeno in Senato si presentino, perché voglio vedere negli occhi chi mi ritiene un criminale che merita la galera per aver difeso i confini e l'onore del mio Paese".

"Dei 5 Stelle – ha aggiunto durante la conferenza stampa – non si hanno traccia di esistenza in vita, ma in quell'aula di tribunale se mi ci mandano chiamerò sicuramente anche Conte e Di Maio che c'erano e non dormivano".

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti su Facebook ha replicato agli attacchi di Matteo Salvini per il caso Gregoretti: "Salvini che fa la vittima è patetico. Sui processi il Pd non voterà mai sulla base di un giudizio politico ma solo sulla base della valutazione delle carte processuali. Si deve fare così per le persone normali e si deve fare così anche per i potenti. Senza privilegi o persecuzioni per nessuno. La gazzarra di queste ore ha un solo fine: strumentalizzare politicamente una vicenda giudiziaria e far dimenticare che il Governo ha tagliato le tasse sugli stipendi ai lavoratori".

Il segretario dem, intervistato oggi intervistato a Rtl 102.5, aveva ribadito lo stesso concetto: "Matteo Salvini sta usando ancora una volta un tema che riguarda la giustizia per motivi politici e personali. Lo ha fatto quando c'è stato il caso Diciotti, lo ha fatto quando è fuggito dal Parlamento e il presidente lo chiamava per chiedere la sua opinione sul Russiagate".

E sulla gestione del caso da parte della seconda carica dello stato, la presidente del Senato Casellati, aveva detto: "La presidente Casellati? Ha compiuto un atto sbagliato, invece di garantire una terzietà si è schierata a favore della sua parte politica, rimane un vulnus".




Caso Gregoretti, Conte: la scelta sullo sbarco fu di Salvini
Giampiero Di Santo
21 gennaio 2020

https://www.italiaoggi.it/news/caso-gre ... 1003056926

"Ho chiarito per quanto mi riguarda il mio ruolo, non posso che ribadire che la presidenza del consiglio è stata senz'altro coinvolta come sempre nella redistribuzione dei migranti". Giuseppe Conte, presidente del consiglio, ha chiarito così che palazzo Chigi, riguardo alla vicenda della nave Gregoretti, non ha preso decisioni sullo sbarco dedei migranti a bordo della nave, ma soltanto della loro redistribuzione tra i vari paesi della Ue una volta a terra. "Mi è stato chiesto, col mio staff diplomatico l'ho fatto sempre, di lavorare per la redistribuzione", ha dichiarato Conte. "Poi la decisione specifica, se sbarcare, in quale momento, in quale ora, era competenza del ministro Salvini che l'ha rivendicata pubblicamente. Sono tutti fatti, anche documentali, che verranno valutati senz'altro in sede parlamentare". Parole alle quali l'ex ministro dell'Interno e leader della Lega ha risposto:"Ne parleremo in Tribunale". Ai suoi sostenitori, in chiusura di un comizio a Ozzano dell'Emilia (Bologna), Salvini ha detto: "Se mi chiamano in tribunale, siccome non sarà un processo a un uomo ma a un'idea di un'Italia bella, sicura, libera, in aula aspetto anche voi. Sono il primo politico essere felice se lo mandano a processo perché devono avere paura quelli che hanno fatto qualcosa di sbagliato, non chi ha fatto qualcosa di giusto".

Ieri la Giunta per le immunità del senato, assenti i rappresentanti della maggioranza, si è espressa a favore del processo all'ex ministro dell'interno per il caso della nave Gregoretti. I cinque senatori leghisti, secondo le indicazioni del loro leader, hanno votato contro la relazione del presidente Maurizio Gasparri, quindi a favore del processo. I quattro senatori di ForZa Italia e il senatore di FdI hanno votato sì alla relazione di Gasparri, quindi contro il processo. Ma in caso di parità, il voto si considera contrario alla proposta del relatore. L'ultima parola spetta ora all'aula di palazzo Madama. In precedenza, al termine di un vertice di maggoranza, era stato il capogruppo del Pd al senato, Andrea Marcucci, ad annunciare la manoacat partecipazione della magigoranza alla riunione della Giunta e quindi al voto: "Abbiamo deciso in modo unitario che non parteciperemo alla giunta oggi, riteniamo essenziale esser insieme e deliberare in modo unitario.Questa giunta é illegittima, non ci doveva essere", ha spiegato Marcucci, "e il presidente Gasparri non é disponibile a dare il materiale necessario per deliberare in scienza e coscienza. Sarebbe una pagliacciata". Parole che in sostanza avrebbero lasciato mano libera al centrodestra per negare nella riunione della giunta l'autorizzazione a procedere se non fosse arrivato l'ordine di scuderia di Salvini ai leghisti: "Ci ho ragionato ieri e stanotte e sono arrivato a una decisione, che ormai è diventata una barzelletta che va avanti da anni, e ho deciso che domani (oggi per chi legge, ndr) chiederò a chi deve votare, quindi anche ai senatori della Lega, di farmi un favore. Votate per mandarmi a processo e la chiariamo una volta per tutte. Portatemi in Tribunale e sarà un processo contro il popolo italiano, e ci portino tutti in Tribunale", ha detto ieri Salvini dall'Emilia Romagna. Anche ieri mattina Salvini era tornato a chiedere per sé il processo. "Oggi in giunta al Senato decidono se sono un delinquente o no, io adotto il detto della mia nonna: male non fare paura non avere. I delinquenti devono avere paura del processo, io no. Ho chiesto e ribadisco la richiesta: mandatemi a processo così processate tutto il popolo italiano. Se devo andare in galera per difendere il mio paese lo faccio a testa alta", ha detto il leader della Lega nel corso di un comizio a Comacchio. La senatrice leghista Erika Stefani, nell'annunciare il sì dei componenti leghisti della giunta all'autorizzazione a procedere, ha spiegato: "La maggioranza non solo vuole processare Salvini, ma pretende anche di decidere come e quando. Se la maggioranza pensa davvero che Salvini sia un sequestratore, l'ex ministro andrebbe fermato subito. La melina di Pd, 5Stelle e Iv dimostra che èsolo una vergognosa sceneggiata per colpire il leader della Lega. La vera sentenza sarà emessa dagli elettori di Calabria ed Emilia-Romagna, e per smascherare l'ipocrisia della maggioranza voteremo sì al processo". Il Carroccio ha anche lanciato un'iniziativa singolare, una giornata di digiuno per sostenere Salvini che rischia il processo. Digiunopersalvini.it è il sito attivo da pochi minuti dove si può aderire:"Sto con lui e per un giorno #digiunopersalvini. Matteo Salvini a processo, rischia la galera per aver difeso la patria" si legge sulla home del sito






Piero Sansonetti: "Caso Palamara, Travaglio, Davigo, Gratteri e Di Matteo a capo del partito dei pm. Giornalisti ai loro ordini"
Tommaso Montesano
23 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/pe ... avigo.html

«Non sorprende, almeno a me, che i grandi giornali siano agli ordini - non subalterni, ma agli ordini - dei pm. A me sorprende il silenzio, che su questa vicenda non sia uscito nulla: la notizia è questa. Eppure dentro ci sono i nomi più prestigiosi». Questa è la premessa da cui parte Piero Sansonetti, direttore del Riformista, prima di entrare nel merito della "vicenda". Ovvero i nomi dei giornalisti che compaiono nelle intercettazioni disposte dalla procura di Perugia nell'ambito dell'inchiesta sul cosiddetto "caso Palamara", dal nome del pm romano indagato in Umbria per corruzione. «Insomma», dice Sansonetti, che ieri sul suo quotidiano ha scritto un editoriale al vetriolo sul caso (titolo: «È esplosa giornalistopoli ma i giornali la ignorano»), «per anni questi giornalisti, e i loro giornali, si sono limitati a firmare le intercettazioni in arrivo dalle procure e adesso, solo perché c'è il loro nome, tacciono? A me non interessa, ma loro - che vivono di relata refero - dovrebbero pubblicarle».

E invece non lo fanno. Perché?
«Perché sono una casta. Proprio come i magistrati: sono due facce della stessa medaglia. Perché il giornalismo italiano dal 1992-'93 ha smesso di esistere, accettando una sorta di vassallaggio nei confronti dei pm. L'indipendenza non esiste: i giornalisti giudiziari sono agli ordini del partito dei pm».
Il biennio 1992-'93 è quello di Tangentopoli: un caso?
«Ovviamente no. Lì si è aperta la ferita e saldato l'asse con i pm. È allora che nasce il "pool" dei giornalisti che segue le inchieste di Mani pulite. Il contrario di ciò che dovrebbe essere: alla faccia della concorrenza tra colleghi, tutti insieme si mettono agli ordini dei magistrati. E da allora la situazione è peggiorata».
Qualcuno potrebbe obiettare: è giornalismo d'inchiesta.
«È inchiesta pubblicare le carte delle procure e dei Servizi segreti? Quando ero più giovane c'erano le famose buste gialle. Chi le riceveva era guardato con diffidenza. Erano le cosiddette "veline". Oggi chi fa lo stesso con le carte delle procure è considerato il re del giornalismo».
Veniamo al "caso Palamara". Quale intercettazione l'ha colpita di più?
«Almeno due. In una Palamara e il vicepresidente del Csm dell'epoca, Giovanni Legnini, discutono su come "orientare" La Repubblica. E lo fanno con grande naturalezza, come se il mestiere della magistratura fosse quello di determinare la linea di un quotidiano. Perché questa intercettazione, da parte degli stessi giornali che da anni accettano le veline dei pm, non è stata pubblicata?».
E l'altra?
«Quella in cui Palamara avanza il sospetto che un illustre giornalista sia legato ai Servizi segreti. Cosa sarebbe successo se un'intercettazione simile avesse riguardato un politico, ad esempio Gualtieri o Salvini? Sarebbe venuto giù l'iradiddio. Invece qui, silenzio».
Nelle carte ci sono le firme giudiziarie di Corriere della Sera, Repubblica e Stampa...
«Giornalisti che comandano sui direttori, sugli editori e sugli altri giornalisti. Il giornalismo politico, ad esempio, ha accettato l'umiliazione e la subordinazione. Con i "giornalisti giudiziari" il giornalismo è morto, ha smesso di esistere perché non è più indipendente: è al servizio del partito dei pm».
Qual è l'obiettivo di questo partito?
«Il potere. Anche se adesso, come succede a tutti i partiti, è scosso da fratture e lacerato da divisioni interne, come dimostra il "caso Palamara"».
E i leader chi sono?
«Marco Travaglio, Nino Di Matteo, Nicola Gratteri e Piercamillo Davigo. Il giornalismo è loro succube, come prima del 1992 era succube di Dc e Pci. Con una precisazione: allora i giornalisti erano un poco più indipendenti».
Sul Riformista ha scritto che le «grandi campagne moralizzatrici» anti-politica portate avanti sui giornali sulla scorta delle veline delle procure hanno armato il braccio del M5S.
«Come accadeva ai tempi del Pci, i gruppi parlamentari sono il semplice nucleo operativo. I capi sono altrove. Travaglio, ad esempio, è uno dei capi. Gli altri, come diciamo a Roma, "so' ragazzi"».
Il direttore del Fatto Quotidiano non le è proprio simpatico...
«Il silenzio su questa vicenda dimostra che Travaglio ha imposto la sua legge alla maggioranza degli altri giornali italiani. Del resto sono oltre dieci anni che lo inseguono».






[Intercettazioni] Luca Palamara, lo scandalo travolge anche i giornalisti di Repubblica: nomi e cognomi, è uno schifo
Pasquale Aveta (per ith24)
24 maggio 2020

https://www.ith24.it/intercettazioni-lu ... no-schifo/

Continua ad emergere un profondo rosso, fatto di nomine, incarichi a compagni e offese ai nemici politici da abbattere. E non parliamo della compagine politica opposta, ma di magistrati e giornalisti di sinistra. Da Palamara a Milella di Repubblica. Tutto uno schifo. Una pastetta.

Corre l’11 aprile 2019. La telefonata intercettata riassume la maggioranza al Csm Rosso-Bruna. Poi le spartenze.

Milella: L’Anm è a guida MI ed Unicost, c’è un Csm dove Mi…
Palamara: No c’è pure Area
Milella: vabbè, si, voglio dire al Csm domina quest’ alleanza Mi-Unicost-laici di centro destra, quindi secondo me le nomine che si faranno saranno tutte nomine influenzate da questa faccenda qua no
Palamara: almeno te non mi fare che non conosci la storia della magistratura cioè è chiaro che siamo in una consiliatura che è figlia o meglio ancora che sta in una fase storia dove Area era più numerosa e Area non disdegnava nella maniera assoluta gli accordi con MI e in particolar modo con la Casellati basta che ti riprendi qualche articolo tuo dell’epoca e ci fai il copia e incolla e te lo ritrovi ok? Essendo mutata la situazione è chiaro che il consiglio è il luogo dove si formano maggioranze () Area ha molto tra le virgolette lucrato nella precedente consiliatura oggi che partita vuole svolgere? Nella vicenda Ermini non si è sporcata le mani adesso che arriva il momento decisivo quello delle nomine che posizione prenderà?
Milella: Che posizione prenderà?
Palamara: Non è che possono andare dagli elettori e dire guarda che io non ti ho portato a casa a te perché hanno ancora gente importante da sistemare che gli dicono non c’è l’hai? Come direbbe Bruti è la corrente bellezza è così e vale per tutti e vale per loro.

Milella:Si
Palamara: Tu devi fare un pezzo reale adesso inizia la partita vera, perché la partita vera inizia con Roma, c’è una grande attenzione su Roma perché viene dopo l’era Pignatone dopo tante cose e Roma comunque ha un effetto domino.
Milella: Roma sarà la prima decisa.
Palamara: comunque Roma o non prima cioè Roma c’è il problema di Lo Voi se viene Lo Voi, Prestipino va a Palermo.
Milella: il mio pezzo, se riesco a farlo, domina l’accordo MI Unicost e faranno man bassa di posti e io ti metto già a Torino..
Palamara: Mettimi a Roma e stai buona
Milella: se mandano te a Torino che sei sotto il livello di anzianità loro potrebbero pure fare la mossa di mandare Cantone da qualche parte in modo da non fare i cattivi capito? Poi alla fine fanno pure un piacere a questo governo che glielo levano dai coglioni.
Palamara: appunto si

Colloqui fra Palamara Lotti e Ferri: Trascrizione “Bianconi è la cassa di risonanza del gruppo di potere attuale”. 16 maggio 2019 Palamara parla con Stefano Fava (pm a Roma) “Bianconi è legato ai servizi” 29 maggio 2019 Palamara parla con Legnini sulla necessità di riequilibrare gli articoli che sono usciti con Repubblica


Palamara: e tu dici che con Liana lo posso fare?
Legnini: si ma Liana conta poco la dentro
Palamara: no Claudio Tito
Legnini: Claudio Tito conta .. il tema è orientare il gruppo, adesso Repubblica su un linea diversa . Io non so il Fatto Quotidiano adesso La Verità, su cosa virerà perche la loro posizione è contro Pignatone.
Palamara: esatto
Legnini: quindi c’è una operazione di orientamento
Palamara: e allora devo parlà pure con Repubblica..
Legnini: se vuoi parlo io , ho rapporti al massimo livello dimmi tu riflettici.
Palamara: io con Claudio Tito ho un rapporto
Legnini: lo conosci bene e allora parla con lui deve passare la linea della vendetta nei tuoi confronti.

Ma non è tutto. Altre intercettazioni sono al vaglio degli inquirenti, e saranno pubblicate in esclusiva da ith24.it






Magistratura e corruzione, Renato Farina: "Quelle frasi di Nicola Gratteri già a febbraio", ora si capisce tutto
di Renato Farina
2020

https://www.redazioneitalia.it/index.ph ... Itemid=114


Forza, cari fratelli magistrati d'Italia, rivoltate un po' anche il vostro calzino. Ci sembrate un pochino timidi nel prendere sul serio un sano desiderio di autoriforma. Come avete già lavato e rilavato da circa tre decenni i calzini degli altri, specie dei politici e degli imprenditori, al punto che spesso la calza l'avete bucata causa l'uso dello stivaletto cinese, ora magari dirigetevi con la consueta moderazione e sobrietà a dare una spazzolatina anche ai pedalini vostri. Non è un appello ironico. Abbiamo bisogno di veder documentato da fatti e risultati che l'articolo 3 della Costituzione, che predica uguaglianza, vale anche all'interno dell'ordine giudiziario, il quale non è affatto al di sopra di ogni sospetto. Fate presto, l'allarme sociale ormai riguarda anche la affidabilità non più soltanto dei poteri legislativo ed esecutivo (i quali sono sottoposti comunque al vaglio elettorale) ma anche di quello relativo alla Giustizia, che non è sottoposto ad alcun giudizio tranne quello dei suoi associati. Il solo modo di rimediare alle brutte figure che i vostri leader - dirigenti sindacali o membri del Csm o distaccati nei ministeri - hanno fatto rivelando grazie ad un Trojan (uno solo, e guarda che casino) di che maneggi grondi il vostro mondo, è fare bene e imparzialmente il vostro dovere di controllo della legalità, controllando i peli sullo stomaco che le toghe rese trasparenti dalle intercettazioni hanno rivelato.

FONTE AUTOREVOLE
Non è che questa idea l'abbiamo pescata nel vaso della lotteria parrocchiale. Si tratta di trasformare in ipotesi investigativa la denuncia fatta da uno tra i procuratori più eminenti e coraggiosi, Nicola Gratteri, che dirige l'ufficio inquirente di Catanzaro. Non è fresca questa requisitoria pubblica: fu pronunciata il 9 febbraio, su Rai 3, da Lucia Annunziata. Il procuratore anti- 'ndrangheta per eccellenza non fu generico. Diede i numeri: «In magistratura c è un problema di corruzione. Possiamo parlare del 6-7%, non di più. Grave, terribile, inimmaginabile, impensabile, anche perché guadagniamo bene. Io guadagno 7.200 euro al mese, si vive bene, quindi non c'è giustificazione, non è uno stato di necessità, non è il tizio che va a rubare al supermercato per fame. Si tratta di ingordigia».

Subito dopo, Gratteri e le sue parole sparirono dai mass media, nessun magistrato corse in tivù o organizzò conferenze stampe per annunciare: rivolteremo le toghe come calzini. Allora parve non una notizia generale di reato, ma un'intemerata, una esagerazione, e fu imbalsamata subito. A differenza della gara di emulazione che di solito si scatena tra le varie procure quando si apre un filone ad alto tasso di visibilità mediatica, stavolta zero. Eppure non erano fanfaluche campate in aria. Poche settimane prima, era stato aperto un fascicolo per corruzione in atti giudiziari, con aggravanti mafiose, riguardante un giudice della Corte di appello del medesimo Tribunale calabrese. Era una pratica isolata? Nessun fermento sotto le toghe.

CALABRIA E PUGLIA
Restammo delusi, ma anche silenti: non bisogna schiacciare la coda dell'ermellino. Vista però l'autorevolezza della fonte non ci era parsa una illazione, e ce l'annotammo. In questi ultimi giorni, dopo l'arresto e l'apertura di fascicoli per reati corruttivi riguardanti i vertici delle Procure in due sedi giudiziarie pugliesi, Taranto e Trani, quell'allarme ci sembra addirittura una notizia data in anticipo. Coraggio, signori della Corte e delle Procure, esplorate nelle cantine dei Palazzi di giustizia. Gratteri non è un igienista maniaco, se parla sa, e se invece ritenete stia diffamando una istituzione dello Stato, indagatelo.

BESTIA RARA
Ci rendiamo conto che il Procuratore calabrese è una bestia rara. Non si era mai vista una toga famosa che individuasse il marcio entro gli orli della propria divisa. Nella storia d'Italia degli ultimi trent' anni è stata la politica il campo privilegiato di rastrellamento delle patate marce (quasi tutte). Non rifacciamo qui la storia di Mani pulite. Ci piace ricordare che l'ordine giudiziario comunicò allora il suo intendimento di farsi avanguardia del popolo per realizzare la "rivoluzione italiana" (definizione del procuratore generale di Milano, Giulio Catelani). Uno tra i più brillanti pm utilizzò proprio l'espressione per cui si trattava di "rivoltare l'Italia come un calzino". Vorremmo la stessa determinazione nel bonificare la palude della giustizia, senza bisogno di intercettazioni sputtananti e suicidi in carcere. Non devono farla franca i giudici corrotti Se Gratteri ha ragione si tratta del 6-7 per cento del totale. Si tratta di 400-450 delinquenti impuniti che fanno mercimonio del bene più delicato e sacro che esiste: la libertà dei cittadini.


Maurizio Molinari non risponde alla domanda sulle chat di Palamara. Salvini: "Fossi un suo lettore mi interrogherei"
Andrea Cionci
24 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/pe ... herei.html

Una discreta figuraccia per Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica. Intervistato al Tg2 Post insieme a Matteo Salvini, non ha infatti risposto alla domanda precisa sul caso di Luca Palamara e delle chat dei magistrati piene zeppe di insulti contro il leader della Lega. Dunque, la domanda, chiarissima: "Direttore Molinari, la divisione dei poteri è uno dei principi giuridici fondamentali dello stato di diritto e anche della democrazia. Vedi un pericolo in questa storia delle chat?". La risposta? Nessuna. "Io credo sinceramente che il pericolo che vedono gli italiani in questo momento è l’impoverimento del Paese e la devastazione del sistema economico…", replica Molinari. Davvero sconcertante. Insomma preferisce non rispondere. Perplesso ovviamente anche Salvini, che ha commentato: "Che il direttore importante di un quotidiano importante ritenga normale che dei magistrati diano della mer*** al ministro che lotta contro la mafia, è quanto meno bizzarro. Se fossi un suo lettore – aggiunge il leader della Lega – come sono, mi porrei una domanda", ha concluso il leader della Lega.



Palamara, Ayala: «Sono sconvolto». La rabbia del web: «Chi ha dato l’ordine di distruggere Salvini?»
Massimo Baiocchi
lunedì 25 maggio 2020

https://www.secoloditalia.it/2020/05/pa ... m=facebook


«Io sono veramente sconvolto. Questo non è altro che scopiazzare la peggiore politica». Con queste parole Giuseppe Ayala – pubblico ministero al maxiprocesso alla mafia di Palermo e grande amico di Giovanni Falcone – ha commentato con l’Adnkronos le intercettazioni nell’inchiesta all’ex consigliere del Csm Luca Palamara.

Ayala: la gente può perdere la fiducia nella magistratura

«Per me non c’è stato nulla di nuovo nel leggere quelle intercettazioni», ha spiegato. Non è rimasto stupito, anche se – puntualizza – non è mai stato «addentro queste logiche. Ma il vero pericolo è che la gente possa perdere la fiducia nella magistratura».

Le nomine a “pacchetto”

Per Ayala, «è un pericolo molto concreto. Ecco perché è una priorità di cui si dovranno fare carico le istituzioni. Devono intervenire, non so come, trovino il modo. Io scoprii che il precedente Csm, con Palamara consigliere, faceva le nomine a “pacchetto”, come le hanno chiamate. Per cui c’era una Procura che rimaneva vuota per mesi finché non si combinavano i giochi. Questo è davvero scopiazzare la peggiore politica».

Ayala: non bisogna mai generalizzare

«Su questo sono impietoso», dice Ayala. «Naturalmente non generalizziamo, ci sono molte persone serie. Ma lì una responsabilità politica a carico del governo e del Parlamento c’è tutta. Il nodo è il metodo delle elezioni del Csm». Anche se, secondo il magistrato, «il sorteggio mi sembra assurdo». Quindi, «se ne inventino un’altra…», conclude Ayala.

L’ondata di rabbia e sdegno sui social

Moltissime le reazioni sui social sul caso Palamara. Tanta rabbia, una valanga di proteste. In tanti hanno sottolineato l’incredibile silenzio del M5S e del Pd, che per giorni non hanno detto una parola. «Fingono che non sia successo niente». Altri puntano il dito sulle scuse di Palamara, «non siamo al Grande fratello in cui si chiede perdono per non essere squalificato». C’è chi chiede si faccia luce sui “mandanti”, cioè su coloro che hanno dato gli ordini alle toghe di mettere nei guai Salvini.


"Fatti gravissimi e il Quirinale tace?"
Paolo Bracalini
Lun, 25/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 65376.html

L'ex ministro: "Noi vittime ma quando li denunciavamo ci attaccavano"

«Come diceva un amico vescovo, la verità soffre ma non muore», che detto più prosaicamente significa un'amara soddisfazione per l'ex Guardasigilli Roberto Castelli: «Oggi sono venute alla luce del sole tutte le patologie della magistratura che noi come centrodestra abbiamo denunciato per anni, ottenendo in cambio di essere attaccati, ridicolizzati e dileggiati».

Castelli ha guidato il ministero della Giustizia nei cinque anni del secondo governo Berlusconi, dal 2001 al 2006. Nello scandalo che travolge i vertici del Csm e nelle manovre di potere rivelate dalle telefonate di Palamara rivede un film già visto. «Già nel 2001 era chiaro l'assoluto e patologico dominio delle correnti nella magistratura, la politicizzazione di una parte di magistrati che usa l'enorme potere a sua disposizione come una clava politica. Noi lo sapevamo e lo denunciavamo, ma adesso è sotto gli occhi di tutti, almeno per chi lo vuole vedere. E mi sembra che molti non vogliano vedere, anzi tentino di coprire la verità».

Pensa che scandalo non stia avendo le conseguenze politiche che dovrebbe?

«Sono fatti di una gravità inaudita, c'è un magistrato che dice chiaramente che un leader politico (Salvini, ndr) va combattuto anche se ha ragione, solo perché è un nemico. Nella sostanza è un colpo di Stato. Dovrebbe esserci la gente in piazza. Invece vedo che i giornaloni ne parlano a mala pena, e anche il capo dello Stato non dice niente».

La stupisce il silenzio del Quirinale?

«Il presidente della Repubblica è il capo del Csm, questa non è una funzione formale. Cossiga mandò i carabinieri al Csm. La potestà di intervento del Quirinale c'è tutta. Certo, qui c'è un'inchiesta giudiziaria per cui capisco la prudenza di Mattarella, ma sullo scontro istituzionale altrettanto grave tra Bonafede e Di Matteo una parola dovrebbe dirla. Anche i presidenti di Camera e Senato dovrebbero tutelare il principio della separazione dei poteri e difendere gli eletti dagli attacchi politici della magistratura. Il governo, davanti all'evidenza che alcuni magistrati intervengono pesantemente nell'azione politica, non ha nulla da dire?».

Il Csm decide le carriere dei magistrati, ma è dilaniato dalle correnti.

«Noi provammo a riformare il sistema delle carriere per liberarlo dai giochi di potere del Csm, ma il governo Prodi smantellò la riforma. Nel 2002 Borrelli disse la famosa frase «resistere, resistere, resistere», perché secondo loro eravamo noi a minare le basi democratiche. Io quella frase me la ritrovavo scritto sui cartelli appesi agli alberi fuori da casa mia, in campagna. Questo per capire in che clima vivevamo. Adesso finalmente sta venendo fuori la verità sui chi minaccia le basi democratiche, su chi sono i lupi e chi gli agnelli: le vittime eravamo noi e i lupi gli altri».

L'azione della magistratura ha modificato la politica italiana?

«Ha cambiato la storia di questo paese, è innegabile. Dal '68 una parte delle toghe si è posta come obiettivo esplicito quello di realizzare il socialismo in Italia attraverso la magistratura. Queste sono cose scritte negli atti e nei libri. Uno storico onesto dovrebbe rileggere la storia degli ultimi 30 anni in Italia alla luce di questo ruolo della magistratura. È un'operazione di verità che qualche storico onesto dovrà fare».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:31 pm

"La riforma del Csm non basta, mandiamoli tutti a casa". Intervista a Paolo Mieli
Pietro Salvatori
25/05/2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/pao ... e_facebook


“Di questione morale non si può parlare se è utilizzata come mezzo per colpire gli altri. È un altro modo di usare politicamente la giustizia e fa più danno che altro”. È pacato ma estremamente duro Paolo Mieli sul cortocircuito che ha colpito magistratura, politica e giornalismo intorno agli strascichi di intercettazioni del caso Palamara che stanno uscendo in questi giorni. Un pasticcio dal quale nessuno si può ritenere assolto: “Il problema è che oggi alcuni magistrati e politici e anche qualche giornalista non hanno più nemmeno il pudore di nascondere operazioni del genere. Non c’è nemmeno più il ridicolo nel lamentarsi per non essere stato invitato a una cena”.

Se ne esce con una riforma del Consiglio superiore della magistratura?
Chi per l’ennesima volta dice che ci vuole una riforma del Csm, è come chi vuol trovare le coperture di una legge di stabilità annunciando di voler lottare contro gli evasori. È una frase buttata lì, ero bambino e già si parlava di grandi riforme.

Non cambierà nulla?
La gravità degli scandali di cui leggiamo in queste ore, anche se ricordiamo tutto quel che è uscito è penalmente irrilevante, è che sono una coda di cose già uscite un anno fa. C’era tutto il tempo di prendere provvedimenti, ma non sono stati presi. C’è un governo di sinistra, e non glie ne importa nulla: sanno che da almeno una trentina d’anni le cose stanno così e sanno che ci resteranno per un’altra trentina. È un’ipocrisia dire che qualcosa cambierà, perché il baricentro del potere è dalla parte della magistratura.

La politica e i giornalisti sono interessati a mantenere lo status quo?
Direi che politici e giornalisti non fanno una gran figura, e che non è una gran pagina di storia del giornalismo italiano. Intendiamoci, nessuno ha colpe, ma si parla di giornalisti come si parla a un servitore: “Tu devi scrivere questo, tu quello, a quel direttore ci penso io”. Considero una fortuna non apparire tra quei nomi, perché ne parlano in modo molto imbarazzante

Si apre una questione morale anche fra i giornalisti?
Non parlerei di questione morale, siamo tutti responsabili, e sappiamo benissimo che gran parte delle notizie che arrivano dalla magistratura arrivano in questo modo, tenendo anche conto che la qualità media dei magistrati è peggiorata. Però non c’è lavoro di scavo, l’unico lavoro è farsi passare le carte. Sarebbe un po’ ipocrita parlare adesso di questione morale. Poi le cose più clamorose non mi sembrano esser venute fuori sui giornalisti.

A cosa pensa?
È stato imbarazzante sentire De Magistris raccontare che quando indagava Berlusconi gli facevano applausi e invece se si metteva sotto la lente qualcuno a sinistra passava i guai. Poi è enorme la cosa di Di Matteo, che racconta di un cambiamento di umore di Bonafede sulla sua nomina al Dap e Bonafede non sa dare una spiegazione, con il governo tutto a dire che è una questione normale ma di normale non ha nulla. C’è poi la questione del suo ex capo di gabinetto, e la conversazione tra Palamara e Auriemma, in cui dicono che bisogna colpire Salvini. C’è una tale quantità di casi che cavarsela dicendo facciamo la riforma del Csm è solo una finta per aspettare che passi la buriana.

Scusi ma allora come se ne esce?
Pensare di uscirne con una legge è appena un gradino sopra del dire usciamone facendo una commissione. Se uno non vuole risolvere nulla fa così, magari una bella commissione parlamentare. La prossima idea sarà lanciare una legislatura costituente. Sono modi con i quali un paese che si è perduto e che assiste a scene latinoamericane tra i magistrati prova a non uscirne. Anche perché sarà una storia infinita, e sentiremo parlare di altri casi, ma la politica continuerà a confondere le acque, facendo credere che sia una cosa qualsiasi. Pensiamo al caso Palamara, scoppiato alla fine dell’anno scorso. C’era un nuovo governo e nessuno lo voleva disturbare, per cui finì lì, ma chiunque di buonsenso non può non reagire con rossore.

Insisto: da quando la lanciò Berlinguer, mi sembra che la questione morale sia diventata un leit motiv della discussione pubblica italiana.
Berlinguer fece benissimo a lanciarla. Ma quando oggi uno la lancia contro gli altri, l’accusa contiene un difetto di denuncia. Perché è chi si ritiene puro a lanciarla contro gli impuri, ma i puri non siamo mai sicuri che siano tali. Il difetto è nel manico. Ci sono carrettate di presunti esponenti dell’antimafia siciliana che vengono beccati in atteggiamenti che vanno in direzione opposta, fino alle tante dichiarazioni esplicite di chi fa tutti i giorni un uso politico della giustizia. Fa specie che quello che gira tra i vertici della magistratura sia ancora un modo di fare che mira a colpire qualcuno per le idee politiche, che ci siano appigli di legge o meno. Di questione morale non si può parlare se è utilizzata come mezzo per colpire gli altri. È un altro modo di usare politicamente la giustizia e fa più danno che altro.

Messa così è un cortocircuito dal quale non se ne esce.
Facciamo un esempio. C’è una strada di Chicago dove regna la corruzione. Se io lancio una crociata pubblica contro uno dei due marciapiedi di quella strada, e lo ripulisco, sto pulendo o sto rafforzando i corrotti dell’altra metà togliendogli di torno gli avversari, sto decidendo chi deve avere più potere? Il problema è che oggi alcuni magistrati e politici e anche qualche giornalista non hanno più nemmeno il pudore di nascondere operazioni del genere. Non c’è nemmeno più il ridicolo nel lamentarsi per non essere stato invitato a una cena. Se venissero fuori conversazioni di questo tipo tra me e lei, io me ne vergognerei, gli interessati invece le rivendicano e si difendono.

Però questo è un dato di malcostume. Voglio dire, la tentazione di mettere una toppa con l’ennesima legge è forte, ma a cosa può servire?
L’unico modo è fare pulizia totale, mandarli tutti a casa. Magari anticipando l’elezione Csm, perché no, anche attraverso il sorteggio. Nei film americani se il giudice pensa che la giuria non sia serena, o non possa per qualche motivo svolgere bene il proprio lavoro, chiama la giuria della stanza accanto. Ma qualsiasi cosa è meglio di questo verminaio

In questo clima il Senato è chiamato a decidere se mandare Salvini a giudizio o meno.
Voterà a sfavore di Salvini, è ovvio. Ho tuttavia paura che il giudizio non sarà sereno, ma sia determinato dalla voglia di colpire Salvini, sia da parte dei magistrati sia da parte dei parlamentari. Le questioni della giustizia quando arrivano in politica sono determinate da molti opportunismi come abbiamo visto nel caso Bonafede. Detto questo, al governo sono attaccati con lo sputo, non possono permettersi diversamente, guardano ai sondaggi che danno la Lega in calo e pensano di avvantaggiarsene. Lo bastonano come un cane che affoga.


Luca Palamara, l'sms inviato a Patronaggio nel giorno della Diciotti: "Siamo tutti con te, anche Legnini". Salvini accerchiato?
DANIELA MASTROMATTEI
27 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... s.facebook

Un messaggio al pm di Agrigento Luigi Patronaggio: "Carissimo Luigi ti chiamerà anche Legnini siamo tutti con te". Firmato: Luca Palamara. Bastano queste parole per comprendere il clima di accerchiamento politico e giudiziario in cui si muoveva Matteo Salvini. La data è significativa: le 16.45 del 24 agosto 2018, come riporta il Fatto quotidiano. Palamara e Legnini (all'epoca ancora vicepresidente del Csm) esprimono il loro appoggio totale al procuratore che stava indagando sul ministro degli Interni per il caso Diciotti. "Il giorno successivo - ricorda ancora il Fatto -, quando sarà a Roma per interrogare i funzionari del Viminale, Salvini che è ministro dell'Interno, sarà indagato". Interpellato dal Fatto, Legnini smentisce: "Non ne ho alcun ricordo e comunque mai ho parlato con Patronaggio di indagini penali".
Grande, che vittoria! Ti vogliamo molto occupato. Ora si capisce tutto: Palamara, intercettazione-terremoto con Zingaretti
Il giorno dopo, alle 8.20, Patronaggio risponde a Palamara e, spiega ancora il Fatto, ad altri esponenti della magistratura: "Il Viminale nella persona del capo di gabinetto Piantedosi è sempre stato informato dell'evolversi della situazione così come il capo della polizia". La polizia giudiziaria sta valutando "i rilievi penali della condotta della ong i cui rappresentanti già oggi verranno iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina". Patronaggio anticipa ai collegi, via sms, un atto d'indagine: l'iscrizione dei futuri indagati. Pochi minuti dopo, la notizia diventa di pubblico dominio con un'agenzia Ansa. Quei messaggi, spiegava il procuratore siciliano, avevano un solo fine: "Che la discussione avvenga con criteri tecno-giuridici corretti". Ora, interpellato dal Fatto, commenta così: "Ricordo solo sms ricevuti e inviati a carattere istituzionale nell'interesse di una corretta informazione".



Ecco perchè in italia i pm come Patronaggio,anzichè incriminare gli scafisti,mandano a processo il ministro degli interni che fa il proprio lavoro
27 Maggio 2020

https://italiadamare.altervista.org/ecc ... io-lavoro/

Un messaggio al pm di Agrigento Luigi Patronaggio: “Carissimo Luigi ti chiamerà anche Legnini siamo tutti con te”. Firmato: Luca Palamara. Bastano queste parole per comprendere il clima di accerchiamento politico e giudiziario in cui si muoveva Matteo Salvini. La data è significativa: le 16.45 del 24 agosto 2018, come riporta il Fatto quotidiano. Palamara e Legnini (all’epoca ancora vicepresidente del Csm) esprimono il loro appoggio totale al procuratore che stava indaga nndo sul ministro degli Interni per il caso Diciotti.

“Il giorno successivo – ricorda ancora il Fatto -, quando sarà a Roma per interrogare i funzionari del Viminale, Salvini che è ministro dell’Interno, sarà indagato”. Interpellato dal Fatto, Legnini smentisce: “Non ne ho alcun ricordo e comunque mai ho parlato con Patronaggio di indagini penali”.Il giorno dopo, alle 8.20, Patronaggio risponde a Palamara e, spiega ancora il Fatto, ad altri esponenti della magistratura: “Il Viminale nella persona del capo di gabinetto Piantedosi è sempre stato informato dell’evolversi della situazione così come il capo della polizia”.

La polizia giudiziaria sta valutando “i rilievi penali della condotta della ong i cui rappresentanti già oggi verranno iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Patronaggio anticipa ai collegi, via sms, un atto d’indagine: l’iscrizione dei futuri indagati. Pochi minuti dopo, la notizia diventa di pubblico dominio con un’agenzia Ansa. Quei messaggi, spiegava il procuratore siciliano, avevano un solo fine: “Che la discussione avvenga con criteri tecno-giuridici corretti”. Ora, interpellato dal Fatto, commenta così: “Ricordo solo sms ricevuti e inviati a carattere istituzionale nell’interesse di una corretta informazione”.


Chat Palamara, il Pd chiedeva ai giudici di attaccare Salvini
Federico Giuliani - Gio, 28/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1590654784

Dalle chat di Palamara emergono altre indiscrezioni. La conversazione con il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e le trame per incastrare Salvini

Una sorta di campagna stampa orchestrata alla perfezione per colpire Matteo Salvini, all'epoca dei fatti ministro dell'Interno. Scorrendo le varie chat di Luca Palamara, sembrerebbe proprio che l'obiettivo principale di alcune toghe e di una parte della politica fosse quello di togliere dalla scena il segretario del Carroccio.

Secondo quanto ricostruito dal quotidiano La Verità, il tema dello sbarco della nave Diciotti a Catania sarebbe stato utilizzato come grimaldello per far barcollare Salvini, il quale aveva "ragione" ma, in quel delicatissimo momento, andava attaccato a spada tratta. A orchestrare la campagna contro il ministro sarebbe stato il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini, tra l'altro sottosegretario di due governi guidati dal Pd.


La conversazione tra Palamara e Legnini

Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di ricostruire la vicenda. Il 24 agosto 2018, scrive ancora La Verità, Legnini contatta il consigliere Palamara: "Luca, domani dobbiamo dire qualcosa sulla nota vicenda della nave. So che non ti sei sentito con Valerio (il consigliere del Csm in quota Area, Valerio Fracassi, ndr). Ai (Autonomia e indipendenza, ndr) ha già fatto un comunicato, Area (la corrente di sinistra delle toghe, ndr) è d' accordo a prendere un' iniziativa Galoppi idem (il consigliere del Csm Claudio Galoppi, ndr). Senti loro e fammi sapere domattina". È il preambolo a una conversazione che, come vedremo, ha uno scopo ben preciso.

La risposta di Palamara non si fa attendere: "Ok, anche io sono pronto. Ti chiamo più tardi e ti aggiorno". A quel punto, sottolinea sempre nella sua ricostruzione dei fatti La Verità, Legnini insiste: "Sì, ma domattina dovete produrre una nota, qualcosa insomma". A quel punto Palamara scrive a Fracassi: i due si incontrano il giorno successivo. Il pm riceve quindi un messaggio: "Dobbiamo sbrigarci! Ho già preparato una bozza di richiesta. Prima di parlarne agli altri concordiamola noi".

La bozza deve essere approvata al più presto. Le firme, decidono Palamara e Fracassi, saranno inserire "in ordine alfabetico". Arriviamo al 25 agosto, quando le agenzie battono una notizia che non può passare inosservata: quattro consiglieri di Palazzo dei Marescialli, fra cui Palamara, chiedono di inserire il caso migranti all'ordine del giorno del primo plenum del Csm. Nel documento si legge che "la verifica del rispetto delle norme è doverosa nell'interesse delle istituzioni".

"Gli interventi a cui abbiamo assistito, per provenienza, toni e contenuti rischiano di incidere negativamente sul regolare esercizio degli accertamenti in corso. Riteniamo che sia necessario un intervento del Csm per tutelare l' indipendenza della magistratura e il sereno svolgimento delle attività di indagine", prosegue il documento. Legnigni, in un altro comunicato, scrive che l'istanza sarà trattata nel primo comitato di presidenza. "Il nostro obiettivo è esclusivamente quello di garantire l' indipendenza della magistratura", aggiunge.

L'accerchiamento di Salvini è completato. Ma, anche tra le stesse toghe, qualcuno alza un sopracciglio. Emblematico il messaggio del procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma, a Palamara: "Non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell' Interno interviene perché questo non avvenga". Palamara tira dritto: il segretario del Carroccio va "attaccato". "Indagato per non aver permesso l'ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili", conclude Auriemma.
Salvini: "Situazione gravissima"

L'oggetto delle chat tra giudici, Matteo Salvini, esce allo scoperto e commenta così quanto è avvenuto: "Dopo gli insulti e l’ammissione “Salvini ha ragione ma va attaccato”, oggi La Verità pubblica altre incredibili intercettazioni, che svelano la natura di alcune iniziative dei magistrati contro il sottoscritto".

"Emergono le trame di Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm e sottosegretario di due governi a guida Pd, per far intervenire il Consiglio Superiore della Magistratura a supporto delle indagini sullo sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti – rincara la dose Salvini -.In quell’occasione, da quanto ricostruisce La Verità, quattro consiglieri del Csm (tra cui Luca Palamara che mi definiva “m...”) invocavano l’intervento del Csm - così come ordinato da Legnini - per difendere “l’indipendenza della magistratura” che io avrei messo in pericolo".

"Un attimo dopo, Legnini rispondeva pubblicamente che l’unico obiettivo era assicurare “l’indipendenza della magistratura”, confezionando il messaggio (immediatamente rilanciato dal sito di Repubblica) di una magistratura al di sopra delle parti e preoccupata perché il ministro Salvini osava difendere l’Italia e pretendeva di bloccare gli sbarchi rifiutando l’accusa di essere un sequestratore", conclude l'ex ministro dell'Interno.

Salvini lancia quindi un appello al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: "Sono sicuro che il Capo dello Stato non resterà indifferente: ne va della credibilità dell’intera Magistratura italiana, la situazione è ormai intollerabile e occorrono interventi drastici, rapidi e risolutivi, per il bene del Paese".




Le trame dei magistrati per attaccare Matteo Salvini sul caso Diciotti
Mauro Indelicato - Sab, 30/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1590838698

Alcune conversazioni hanno svelato come diversi magistrati avevano il preciso obiettivo di attaccare Matteo Salvini: è quanto emerso tra le carte dell'inchiesta di Perugia su Luca Palamara

Era l’estate, molto calda, del 2018: il governo gialloverde con Matteo Salvini insediato quale ministro dell’interno e vice premier era in carica da pochi mesi ed il leader della Lega aveva iniziato da poche settimane il braccio di ferro con le Ong.

L’obiettivo era quello di evitare che le navi delle organizzazioni giungessero con i migranti nei porti italiani. In quell’estate però il caso politico e, successivamente, giudiziario più importante ha riguardato non una nave dell’Ong, bensì una della Guardia Costiera e, per la precisione, la nave Diciotti.

Il mezzo militare aveva a bordo diversi migranti recuperati a largo di Lampedusa, ma dal Viminale non è arrivata l’autorizzazione allo sbarco. Dopo alcuni giorni in rada, è arrivato il via libera dell’attracco della Diciotti a Catania, ma con i migranti che dovevano rimanere a bordo in attesa di un possibile accordo con l’Europa per la loro redistribuzione.

Ed è in quel momento che è scattato il caso giudiziario. A bordo della Diciotti a salire è stato, tra gli altri, il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio. Nella città siciliana è stato quindi aperto un fascicolo contro l’allora ministro dell’interno: le accuse erano quelle di sequestro di persona, arresto illegale e abuso d'ufficio.

Tutto poi per competenza è stato passato al tribunale dei ministri di Palermo. Ed è lì a questo punto che ad entrare in gioco è stata una conversazione svelata nei giorni scorsi e che tira in ballo, ancora una volta, Luca Palamara.

Quest’ultimo, indagato per corruzione ed al centro degli ultimi scandali che hanno riguardato la magistratura, ha scambiato qualche battuta sul caso Diciotti con un collega. Non uno qualsiasi: si trattava, in particolare, di Fabio Pilato. È proprio lui a presiedere quel tribunale dei ministri insediatosi nel capoluogo siciliano. Ed è proprio lui, nella chat notturna scambiata con Palamara, ad annunciarlo non senza enfasi: “Indovina chi è il presidente del tribunale per i ministri di Palermo?”, chiedeva il magistrato a Palamara. E dopo un “Chi è?” tra il sorpreso ed il curioso dell’interlocutore, Pilato ribadiva: “Io”. La risposta dall’altro lato è apparsa eloquente: “Grande”.

Sono queste conversazioni riportate in parte da La Verità nelle scorse ore. Un breve scambio di battute, in cui però ben si è potuto evincere il clima di quei mesi. L’obiettivo da parte di alcuni togati tirati in ballo dalle intercettazioni, sembrava ancora una volta quello di attaccare politicamente Salvini, tramite i vari procedimenti giudiziari.

Nella conversazione sopra riportata, Palamara ha poi dato alcuni consigli al collega: “Mantieni nervi saldi”, con Pilato che ha poi risposto parlando di “casino giuridico” ed assicurando una freddezza “come quella di uno squalo”. Il botta e risposta tra i due si è poi concluso con l’assicurazione, da parte di Palamara, di essere dalla parte di Pilato. Quest’ultimo, come sottolineato da La Verità, si è sempre occupato di immigrazione e tempo addietro aveva sostenuto anche il protocollo d’intesa con il Comune di Palermo per garantire l' accompagnamento dei minori soli e per il riconoscimento del loro status di rifugiati.

L’esultanza esposta a Palamara per essere il presidente del tribunale che avrebbe dovuto giudicare Salvini, è contenuta negli atti dell’inchiesta in corso a Perugia proprio sullo stesso Palamara. Quella conversazione è arrivata, tra le altre cose, al culmine di una giornata in cui da parte di diversi togati sono partiti attacchi contro il leader della Lega sul caso Diciotti.

Prima una nota dello stesso Palamara, assieme a tre capigruppo del Consiglio Superiore della Magistratura, contro Salvini per la gestione della vicenda. Poi, poche ore dopo, un intervento dell’Anm sempre contro l’allora vice premier. Infine, la conversazione serale in cui Pilato fa intendere di essere dalla parte di Palamara e dove quest’ultimo gli ha quindi conferito appoggio.

Un clima ben chiaro, volto ad una strumentalizzazione politica del caso che è stata evidenziata anche dal procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma: “Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando – scriveva in una conversazione il magistrato a Palamara il 25 agosto – E non capisco cosa c' entri la Procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico al di là del lato politico. Tienilo per te ma sbaglio?”

Palamara gli dava ragione, ma replicava seccamente: “Ma ora bisogna attaccarlo”, con riferimento per l’appunto a Matteo Salvini.

Per la cronaca, il 18 ottobre il tribunale dei ministri di Palermo ha trasferito le carte a Catania, procura competente in quanto è proprio qui che la nave Diciotti aveva attraccato. Il tribunale dei ministri etneo richiederà al Senato il via libera a procedere contro Salvini, ma Palazzo Madama nel marzo del 2019 ha negato la richiesta. Per questa scelta dei senatori, ad essere decisivo è stato il voto del Movimento Cinque Stelle, all’epoca (sembrano passati anni) ancora alleato della Lega. Altri capitoli, altri contesti. A risaltare in questa storia, è comunque l’ostilità di una parte della magistratura contro l’allora ministro Salvini.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:32 pm

A queste bande criminali antidemocratiche ed eversive andrebbe associato anche l'argentino Bergoglio che in questi anni del suo papato ha dimostrato di non avere alcun rispetto per la sovranità democratica nazionale e per i diritti umani naturali, universali, civili e politici dei cittadini nativi italiani ed europei e che vorrebbe forzare la natura con la sua utopia demenziale sul meticciato mondiale ad ogni costo, senza alcun rispetto dei tempi della natura umana che è infinitamente più saggia della presunzione idolatra di quest'uomo e delle sue demenzialità irresponsabili che ci stanno facendo assai del male.



Papa Francesco, i populismi sfruttano la religione? L'antidoto si chiama Bergoglio
Andrea Scanzi
4 maggio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... o/5789997/


La preoccupazione che la Cei stia consegnando la Chiesa italiana in mano a Matteo Salvini. Da qui le chiare e continue indicazioni di Papa Francesco a sostegno del governo guidato da Giuseppe Conte.

Indicazioni che hanno provocato un incredibile dietrofront della Cei. Nel giro di una settimana si è passati da questa dichiarazione: “I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”. A quest’altra: “Come Chiesa abbiamo condiviso, certo con sofferenza, le limitazioni imposte a tutela della salute di tutti, senza alcuna volontà di cercare strappi o scorciatoie, né di appoggiare la fuga in avanti di alcuno”.

A sostegno della tesi del Papa, arriva in libreria il volume di Iacopo Scaramuzzi, vaticanista di Askanews, dal titolo molto eloquente: Dio? In fondo a destra. Perché i populismi sfruttano il cristianesimo (Emi). Il giornalista ricorda quando, “in pieno comizio elettorale in piazza Duomo a Milano, Matteo Salvini tira fuori un rosario e un Vangelo. Più precisamente: bacia il rosario, giura sul Vangelo. Gli esegeti del salvinismo spiegheranno, anni dopo, che ‘lo stesso leader leghista era rimasto sorpreso, dopo aver per la prima volta baciato il rosario, del consenso suscitato’. Divorziato, indifferente, a essere eufemistici, delle cose di Chiesa, né praticante né granché interessato alle tematiche bioetiche e tantomeno devoto (ammetterà di non pregare neppure il tanto esposto rosario), il leader della Lega diventa di punto in bianco il campione della simbologia cattolica”.

Ciò, per Scaramuzzi, “non solo per intercettare i voti di qualche movimento cattolico conservatore in cerca d’autore; non tanto per rimarcare ancora una volta la sua distanza dalla Lega secessionista di Umberto Bossi che, negli anni ruggenti, si scagliava contro i ‘vescovoni’, parte integrante di ‘Roma ladrona’, e solo tardivamente recuperò una qualche cordialità con il Vaticano di Benedetto XVI; tanto meno per marcare la geografia politica che un giorno fu della Democrazia cristiana, ora che il Carroccio è primo partito del paese come allora fu la Balena bianca”.

Per il giornalista, infatti, “usare simboli religiosi e popolari è piuttosto un segnale di fumo destinato a un elettorato smarrito dalla globalizzazione e dalla crisi economica, una rassicurazione a buon mercato a chi mal sopporta una società secolarizzata, multiculturale e liquida, a quanti per paura di perdere i privilegi conquistati nel secondo dopoguerra cercano un nemico, che sia un immigrato musulmano, una coppia omosessuale che vuole sposarsi o una donna che rivendica la propria autonomia, a coloro che, per timore del futuro, hanno nostalgia di un piccolo mondo antico, voglia di strapaese. Con la consapevolezza che un certo disprezzo dell’intelligencija borghese nei confronti di questo devozionismo popolare non fa che cementare l’unione mistica tra il capo e il suo popolo. E un occhio agli algoritmi di Facebook, che si impennano quando un politico parla della Madonna di Fatima o di Medjugorje”.

La fotografia scattata da Scaramuzzi è molto acuta. “Tornano i populismi, – scrive il giornalista – tornano i nazionalismi e torna la Madonna di Fatima. Quando Matteo Salvini affida l’Italia, nonché il proprio successo elettorale al ‘Cuore Immacolato di Maria’, nel maggio del 2019, si rifà, sin dal linguaggio scelto, alle apparizioni portoghesi del 1917, un immaginario religioso carico di significati politici. E quando negli stessi giorni, a svariate migliaia di chilometri di distanza, il presidente Jair Bolsonaro consacra il Brasile ad una statua che raffigura la medesima Vergine di Fatima, mostra che quella del leader leghista non è una trovata estemporanea, ma scientemente si inserisce in una strategia ben coordinata dell’estrema destra globale. Che mescola i più recenti ritrovati del marketing politico alle icone novecentesche con spregiudicatezza, scaltrezza. E cialtroneria”.

Scaramuzzi annota desolato: “Per la Madonna di Fatima non c’è pace. Assurta oltre un secolo fa a patrona de facto dell’anticomunismo, nell’era dei social network e delle fake news attira populisti di destra da ogni angolo del globo. Una geografia politica e religiosa frastagliata, dominata a prima vista dalla singolarità di ogni nazionalismo, segnata però da rimandi e ricorrenze. Un mosaico le cui tessere corrispondono, si collegano, si assomigliano. Un disegno che non sembra casuale, ma fa trasparire una logica sottesa, se non un comune ispiratore. Segno dei tempi o regia occulta? Il quadro, inizialmente oscuro, si chiarisce se si iniziano ad unire i puntini, dagli Stati Uniti all’Ungheria, dalla Francia alla Russia, dal Brasile all’Italia”. Per Scaramuzzi, però, un “antidoto” a tutto questo esiste e “si chiama Francesco”. Come con la Cei.



Papa Francesco, la vera risposta a Matteo Salvini arriva dalle religioni
di Andrea Scanzi
16 settembre 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... i/5455373/

La vera risposta a Matteo Salvini è arrivata da Papa Francesco. “È insensato, – ha scritto Bergoglio – nella prospettiva del bene dei popoli e del mondo, chiudere gli spazi, separare i popoli, anzi contrapporre gli uni agli altri, negare ospitalità a chi ne ha bisogno e alle loro famiglie”. Un’affermazione contenuta nel messaggio inviato dal Papa ai partecipanti al 33esimo incontro internazionale di preghiera per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’arcidiocesi di Madrid. Ancora più esplicito è stato Francesco spiegando che “in questo modo si fa ‘a pezzi’ il mondo, usando la stessa violenza con cui si rovina l’ambiente e si danneggia la casa comune, che chiede invece amore, cura, rispetto, così come l’umanità invoca pace e fraternità”.

Per il Papa, infatti, “la casa comune non sopporta muri che separano e, ancor meno, che contrappongono coloro che la abitano. Ha bisogno piuttosto di porte aperte che aiutino a comunicare, a incontrarsi, a cooperare per vivere assieme nella pace, rispettando le diversità e stringendo vincoli di responsabilità. La pace è come una casa dalle molte dimore che tutti siamo chiamati ad abitare. La pace è senza frontiere. Sempre, senza eccezioni”. Parole che possono suonare anche come una benedizione al governo Conte II, ma che segnano certamente una soddisfazione, da parte di Bergoglio, per l’inversione di rotta nella politica italiana in tema di accoglienza dei migranti.

Come ha spiegato lo stesso fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, “il problema non è l’esistenza dei confini. È invece come vivere le frontiere in un mondo, grande e talvolta terribile. Spesso confini respingenti o impregnati di odio fanno a pezzi il mondo, creano un insidioso clima conflittuale”. Per Riccardi “la questione, che ci angustia, è la pace. Qualcuno dirà che, posta così, è generica, che va articolata in prospettive specialistiche. Sarà ingenuo, ma lasciatemi dire che la visione unitaria della pace è quella ereditata dalle religioni: una pace che abbraccia tutti e va dalla fine dei conflitti ai rapporti tra persone sino alla dimensione del cuore”.

Il messaggio del Papa, però, supera ben oltre i confini della Penisola e si rivolge in particolare all’Europa e a tutte le confessioni religiose, in quello spirito di reciproco dialogo tra tutte le fedi affermato con forza da San Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. Uno spirito che la Comunità di Sant’Egidio ha portato avanti in questi anni senza mai cadere nel sincretismo, fobia di cui era affetto Benedetto XVI, ma dimostrando che il dialogo parte dalla conoscenza reciproca e dalla preghiera per la pace. È questo il punto nodale dell’incontro dei leader di tutte le confessioni religiose. Senza paura, senza chiusure e senza pregiudizi, pur non nascondendo la propria identità, in molti casi assai diversa. Ma non per questo ritenendo che il dialogo sia impossibile.

Francesco stesso ha spiegato che “nella tradizione di questi incontri internazionali di preghiera per la pace, a cui anch’io ho partecipato ad Assisi nel 2016, la preghiera che sale a Dio occupa il posto principale e decisivo. Ci unisce tutti, in un comune sentire, senza confusione alcuna. Vicini, ma non confusi! Perché comune è l’anelito di pace, nella varietà delle esperienze e delle tradizioni religiose”. Non a caso il Papa richiama spesso un testo molto avversato all’interno della stretta geografia cattolica. Si tratta del documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, da Bergoglio e dal grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

Un testo nel quale i due leader ribadiscono che “le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, di ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”. Parole figlie del Concilio Ecumenico Vaticano II e della dichiarazione Nostra aetate sul rapporto della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane. Non si tratta solo di parole, benché di un’importanza straordinaria soprattutto nell’epoca del fondamentalismo religioso che causa numerosi morti con i criminali attentati terroristici, bensì di una vera e propria bussola per orientare la presenza dei credenti nel mondo.


Il meticciato è cosa buona e giusta solo quando è volontario e naturale, frutto della libera scelta e dell'amore; quando invece è forzato e violento è come uno stupro, una mostruosità disumana che genera solo sofferenza, conflitto, guerra e morte.
Lo ricordiamo a Bergoglio e a tutti coloro che lo promuovono scriteriatamente e indiscriminatamente, coercitivamente e violentemente, irresponsabilmente e demenzialmente.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2020 8:33 pm

La magistratura è nel caos: rinviato il processo a Salvini
Alberto Giorgi - Lun, 25/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 65487.html

Il processo al segretario della Lega per il caso Gregoretti sarebbe dovuto iniziare il 4 luglio. Causa Covid e causa chat dei magistrati, il dibattimento è stato posticipato a ottobre

Causa coronavirus e causa probabilmente le chat dei magistrati che hanno mandato in tilt il Csm, è stato rinviato a dopo l’estate il processo a Matteo Salvini.

Il dibattimento che vede l’ex ministro dell’Intero accusato di sequestro di persona per aver bloccato per quattro giorni lo sbarco degli immigrati a bordo della Gregoretti, sarebbe dovuto iniziare in data 4 luglio presso il tribunale dei ministri di Catania.

Ora, invece, la svolta, la cui motivazione ufficiale è il rallentamento della giustizia italiana per colpa della pandemia di coronavirus, che ha ulteriormente frenato il già lento e farraginoso meccanismo dei tribunali del Belpaese. Il processo, scrive La Repubblica, è stato posticipato a ottobre.

A differenza del caso Diciotti, quando l’allora governo gialloverde salvò il titolare del Viminale dal primo assalto giudiziario, per la nave della Guardia Costiera Italiana il Parlamento – a nuova maggioranza giallorossa – ha concesso l’autorizzazione a procedere nei confronti del segretario della Lega.

Peraltro, proprio in questi giorni, è atteso un nuovo e importante voto a Palazzo Madama. Quale? Quello della giunta immunità del Senato, chiamato a esprimersi su Salvini o meglio sulla richiesta di rinvio a giudizio per il caso di una terza nave, quella della Open Arms.

Questo della Open Arms rappresenta nei fatti un caso sostanzialmente analogo a quello della Diciotti e della Gregoretti, visto che l’ex ministro dell’Interno è accusato sempre di sequestro di persona "plurimo e aggravato" per non aver concesso lo sbarco immediato all’imbarcazione della Ong con circa centocinquanta migranti a bordo.

Sul processo a Matteo Salvini pesano le inquietanti chat dei magistrati, che vedono protagonista l’ex consigliere del Csm e toga Luca Palamara, scoperte da LaVerità, nelle quali i magistrati dicevano sostanzialmente che "Salvini ha ragione, ma va comunque attaccato".

Prende posizione Nunzio Sarpietro, presidente dell'ufficio del giudice dell'udienza preliminare, che si occuperà in prima persona del caso giudiziario che vede imputato il capo politico del Carroccio. "I nostri ruoli sono stati travolti dallo stop per l'emergenza coronavirus, ci sono migliaia di processi rinviati che hanno precedenza e ho dovuto spostare l'inizio del processo che vede imputato il senatore Salvini ad ottobre", ha spiegato a Rep, commentando il caso spinoso delle intercettazioni a Palamara e colleghi, e tranquillizzando il numero uno della Lega: "Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo giusto e imparziale come tutti i cittadini. Né io né nessun giudice che si è occupato di questo fascicolo abbiamo nulla a che spartire con Palamara. E sono d'accordo con lui: quelle intercettazioni tra magistrati sono una vergogna".

Open Arms: "Processare Salvini"

Veronica Alfonsi, coordinatrice per l'Italia della ong spagnola Open Arms, intervistata dall'Adnkronos, si augura che la giunta per le immunità di Palazzo Madama voti a favore dell'autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini: "Noi ci auguriamo che la giunta voti per portare la decisione in Senato. In questo momento è ancora più importante tornare a raccontare quello che è accaduto ad agosto per ribadire che trattenere per giorni persone già provate fisicamente e psicologicamente su una nave, senza permettere loro di scendere, può portare a momenti di tensione e a scelte pericolose, oltre ad essere incostituzionale e a violare qualunque convenzione internazionale".



Magistrati eversori processate anche me che sono uno dei milioni di mandanti del Ministro dell'Interno Salvini, non sono leghista ma dopo 20 anni di non voto il 4 marzo del 2018 ho votato Salvini.
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9840908577
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2826



L'invasione clandestina è un crimine contro l'umanità, la nostra umanità!
Migrare e invadere la casa e il paese altrui non è un diritto ma un crimine, ed è un dovere impedirlo
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2813
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674





Open Arms, no al processo a Salvini che ora cerca nuovi consensi su migranti e magistratura
26 maggio 2020

https://www.lastampa.it/politica/2020/0 ... 1.38891004

È arrivato il primo verdetto sul caso Open Arms e Salvini è pronto a tentare il rimbalzo nei sondaggi che lo vede in picchiata. La Giunta per le Immunità del Senato ha respinto la richiesta del tribunale di Palermo di processare Matteo Salvini per il caso Open Arms. La votazione è finita 13 a 7.

Sono stati solo sette i voti contrari alla relazione e quindi favorevoli al processo: uno del Pd, uno di Leu, quattro su cinque del M5S e l'ex grillino Gregorio De Falco. No alla richiesta di autorizzazione a procedere, invece, dai cinque senatori della Lega, dai quattro di FI, dell'esponente di FdI e delle Autonomia Durnwalder: a questi si è aggiunto il voto della pentastellata Alessandra Riccardi e dell'ex grillino Mario Giarrusso. A cambiare gli equilibri complessivi sono stati i tre senatori di Italia viva che hanno deciso di non partecipare al voto. La parola finale spetterà comunque all'Aula, che entro fine giugno dovrà pronunciare il verdetto definitivo.

Open Arms, Salvini: "La giunta ha stabilito che ho fatto il mio dovere nell'interesse pubblico"

Il colpo di scena è arrivato in mattina con i senatori renziani che hanno annunciato il loro forfait in Giunta sul presunto «sequestro» dei 164 migranti imbarcati nella Open Arms. Il senatore Francesco Bonifazi ha spiegato che «Iv ha deciso di non partecipare al voto e di rimettersi all’aula: non c’è stato il tempo di fare un’istruttoria seria, come avevamo richiesto sia in questo caso che nella precedente vicenda Gregoretti. Dal complesso delle documentazione prodotta, non sembrerebbe emergere l’esclusiva riferibilità all’ex ministro dell’Interno dei fatti contestati». In sostanza il premier Conte sapeva, seguiva e interloquiva con Salvini, come sostiene lo stesso Salvini.

Salvini sul caso Gregoretti: "Ve lo chiedo formalmente, mandatemi a processo."

Era così venuta meno la maggioranza che sulla carta aveva 13 voti. La differenza l’hanno fatto i grillini dissidenti diventati ago della bilancia. E Salvini li ringrazia per avere deciso «liberamente», senza che lui abbia chiesto nulla. Rimarcando che tutto il governo era d’accordo con la sua decisione di tenere a bordo i migranti, anche quella parte dei 5 stelle, da Conte a Di Maio, che ha sempre detto di non essere stata messa al corrente. «Era nel programma comune, era nell’azione del governo, erano blocchi concordati per svegliare l’Europa», sostiene il leghista che vince la prima mano della partita sulla vicenda dei migranti rimasti 19 giorni, dal 1 al 20 agosto dello scorso anno, al largo di Lampedusa.

Open Arms, l'appello del capo missione: "Queste persone devono essere sbarcate subito nel porto più vicino"

Era il periodo in cui l’ex ministro dell’Interno mieteva consensi, portando il suo Carroccio in versione nazionale a raggiungere vette di consenso attorno al 34%. Tempi lontani se si pensa che oggi nei sondaggi la stessa Lega è posizionata quasi dieci punti in meno, rimanendo comunque sempre il primo partito italiano. Ora l’ex ministro dell’Interno attende il voto dell’aula dove i numeri, sempre sulla carta, non dovrebbero essere a suo vantaggio, ma rimane sempre l’incognita su come si comporteranno Renzi e i suoi senatori.

Intanto Salvini esulta, ringrazia e mette in canna la sua artiglieria, per quanto spompata in questi tempi di lockdown e post-lockdown: sfruttare al massimo la vicenda del voto di oggi in giunta per rilanciare la sua immagine e quella del partito, puntando sulle due M: migranti e magistratura. Migranti per rinfrescare la memoria agli italiani che sono stati e sono molto sensibili alla lotta contro l’immigrazione clandestina e alle manieri forti; magistratura che lo perseguiterebbe, che chiede di processarlo, che vorrebbe colpirlo, divisa in fazioni politiche.

E qui gli vengono in soccorso le intercettazioni dell’ex pm Luca Palamara contro di lui e il mercato delle vacche in cui le correnti si dividono i posti per fare carriera. La bufera sulla magistratura e lo scandalo del Csm sono temi da cavalcare alla grande per il capo leghista. «MI aspetto che colui che comanda il Csm, ovvero il presidente della Repubblica Mattarella, lo sciolga perché dopo quello che abbiamo letto, qualche dubbio che la giustizia sia uguale per tutti viene e dunque serve una rinomina con un’estrazione a sorte per tagliare il sistema di potere della magistratura e dare fiato a tanti magistrati liberi». Dunque, il Csm andrebbe azzerato e quando il centrodestra andrà al potere, promette Salvini, verrà fatta «una vera riforma della giustizia in nome del popolo italiano».

Open Arms, migranti si tuffano in mare nel tentativo di raggiungere a nuoto Lampedusa

Parte quindi l’offensiva di Salvini per ritornare al centro della scena politica, risalire la china dei sondaggi con la strategia delle due M, migranti-magistratura, perfetto amalgama per tenere unito il centrodestra. In attesa che continui a calare anche il consenso di Conte del governo mano a mano che la crisi economica sarà sempre più acuta e l’inefficienza dello Stato e della burocrazia non consentirà di fare arrivare i soldi alle categorie sociali e alle imprese. «Questa settimana – annuncia il leghista – andremo alla sede dell’Inps per chiedere che tutti gli italiani che aspettano da mesi la cassa integrazione abbiano finalmente questo assegno nel conto corrente, per chiedere che nel decreto che verrà in discussione in Parlamento non siano garantite solo nove settimane».

Open arms sequestrata. Le minacce dei libici alla ong: "Dateci i migranti o vi uccidiamo"


L'armata buonista ora ''rosica'' per la trappola ''flop" su Salvini
Rosa Scognamiglio - Mar, 26/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 65810.html

Italia Viva nella bufera dopo l'astensione di voto per l'immunità a Matteo Salvini sul caso Open Arms: "Atteggiamento vergognoso"

Adesso l'armata buonista anti salviniana torna alla carica dopo lo stop inferto ai magistrati di Palermo che, con ogni forza, vorrebbero mandare a processo Matteo Salvini per il caso di Open Arms. I fan dell'immigrazione si sono, infatti, infuriati contro Italia Viva che oggi ha deciso di ''battere in ritirata'' astenendosi dal voto per l'immunità all'ex ministro dell'Interno.

Quello di questa mattina, in Giunta per le immunità, è stato un colpo di scena fuori programma. Con grande sorpresa, tre senatori di Italia Viva hanno preferito non partecipare alla votazione in Sala Koch di Palazzo Madama. A detta di Francesco Bonifazi, capogruppo dei fucsia, la vicenda che coinvolge il leader del Carroccio mancherebbe di un'istrutturia ''seria'' e, dal complesso della documentazione prodotta, non sembrerebbe ''emergere l'esclusiva riferibilità all'ex ministro dell'Interno dei fatti contestati". Sebbene la preferenza dei renziani sarebbe stata influente, in ogni caso, sull'esito della votazione, l'inattesa inversione di marcia scuote l'opinione pubblica e politica.

In realtà il voto dei renziani non si è rivelato fondamentale. A fare davvero da ago della bilancia sono stati infatti i voti della dissidente Alessandra Ricciardi e dell'ex grillino Mario Michele Giarrusso.


La reazione di Open Arms

"La decisione della Giunta di oggi segna una battuta di arresto verso l’accertamento della verità e verso l’affermazione di un principio inderogabile, alla base della nostra Costituzione e di qualunque Convenzione internazionale, che stabilisce l’inviolabilità della vita e della dignità delle persone, a prescindere dalla loro provenienza, dal loro sesso, dalla loro appartenenza politica o religiosa". È il commento a caldo della ong Open Arms dopo il voto su Matteo Salvini. "Ci auguriamo che il Senato voglia compiere una scelta diversa in un momento in cui è sempre più necessario affermare il diritto di tutti e tutte ad essere tratti in salvo se in difficoltà, a chiedere protezione, a ricevere accoglienza e cure, rispetto e gentilezza", dice Open Arms.

"Oggi che l’emergenza sanitaria ha portato il Governo italiano a chiudere nuovamente i suoi porti e a utilizzare navi private per la quarantena dei naufraghi, ribadiamo la nostra preoccupazione per scelte incomprensibili e pericolose - dicono - Non consentire infatti a persone già provate da abusi e violenza di scendere a terra nel più breve tempo possibile, può portare a comportamenti estremi, disperati, finanche alla morte come dimostra il tragico incidente accaduto qualche giorno fa, durante il quale un ragazzo tunisino ha perso la vita gettandosi dalla nave Moby Zazà". E ancora: "La nostra imbarcazione è oggi in cantiere per effettuare le riparazioni necessarie che le consentiranno di tornare presto nel Mediterraneo, quel tratto di mare sempre più mortale, diventato oggi l’emblema di un’Europa assente, dove migliaia di vite continuano a chiedere aiuto e sono invece respinte, ignorate, dimenticate".

"Oggi la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato ha deciso di non accogliere la richiesta del Tribunale dei Ministri di Palermo di procedere avanti al Tribunale di Palermo nei confronti dell’ex Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio- si legge ancora nella Nota - La richiesta del tribunale si riferisce ai fatti accaduti ad Agosto del 2019, quando il nostro rimorchiatore, l’Open Arms, dopo aver soccorso 163 persone durante tre diverse operazioni di salvataggio, prima di raggiungere un place of safety rimase 21 giorni in mare, 7 dei quali di fronte alle coste di Lampedusa".

"In quei 21 giorni abbiamo ottenuto la sospensione del divieto di ingresso in acque territoriali con sentenza del Tar del Lazio (14 agosto), fatto sbarcare 28 ragazzi minorenni che viaggiavano soli per disposizione del Tribunale dei Minori di Palermo, richiesto e ottenuto ben 41 evacuazioni mediche", si legge in conclusione della nota.


L'indignazione di padre Alex Zanotelli

"Vergogna". A commentare con tono profondamente indignato il retrofront di Italia Viva sul caso Open Arms è padre Alex Zanotelli, missionario comboniano. "Resto sbigottito - dice all'Adnkronos - e l'unica parola che mi viene in mente è che i renziani si vergognino". Padre Zanotelli conosce da vicino sia il caso della nave Gregoretti che quello in questione della Open Arms: "So bene quello che è avvenuto e le sofferenze patite dai 150 migranti bloccati sulla nave". I renziani sostengono che l'ex ministro dell'Interno non sarebbe stato il solo responsabile e che è mancata una istruttoria seria: "I magistrati - osserva padre Zanotelli - hanno guardato bene dentro alla cosa. Io mi sono sempre augurato che Salvini andasse a processo e sarebbe la cosa più naturale che lui, da uomo di Stato, ora affrontasse il processo". Padre Zanotelli non si capacita del colpo di scena di Italia Viva: "Sapevo che tra i Cinque stelle c 'è una fronda che ha sempre difeso Salvini ma ora che sia Italia Viva a farlo mi lascia shoccato. Lo dicano i renziani se vogliono un governo Salvini. E grave che siano i renziani a salvare Salvini. E' possibile che abbiano cercato tutte le scuse per mettere i pali tra le ruote? Ma cosa vogliono fare? Rimango esterrefatto".


La reazione di Don Biancalani

"Sono deluso perché è mancato il coraggio di mettersi finalmente alle spalle una stagione di politiche dai tratti razzisti e sono deluso dai renziani per il venire meno del senso di giustizia", dice all'Adnkronos don Massimo Biancalani, ''il parroco dei migranti''. Osserva don Biancalani: "Non capisco il motivo per cui un ministro che si è preso la responsabilità di compiere un gesto di quel tipo nei confronti di immigrati sfuggiti ad ogni tipo di violenza e tortura, non debba ora prendersi le proprie responsabilità davanti a un giudice. Io sono basito e anche dispiaciuto che i renziani, astenendosi, non abbiano sentito venire meno il senso della giustizia". Ora la decisione passerà all'Aula: "Spero che nel secondo passaggio si abbia il coraggio per inaugurare una stagione libera da politiche razziste. Al momento c'è ancora tanta incertezza e poco coraggio", osserva don Biancalani. Il parroco dei migranti guarda con delusione al quadro politico che "in questi ultimi anni non ha avuto quel senso di responsabilità nella gestione di questo fenomeno drammatico che coinvolge persone che hanno sofferto, scappate da guerre, torture, uccisioni. Una situazione che dovrebbe essere governata da paese civile e così non è".


Il commento di Liberi e Uguali

"Il voto della giunta del Senato che ha negato l'autorizzazione a procedere contro l'ex ministro degli Interni Salvini per il caso della 'Open Arms' è un fatto molto grave. Italia viva, anche se la sua astensione non è stata determinante, si sta assumendo una responsabilità pesante". Lo afferma la senatrice di LeU Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto. "La Giunta e poi l'Aula - precisa la presidente De Petris -non sono chiamate a giudicare ma solo a consentire che a decidere sia, come per tutti i cittadini, la giustizia. Sottrarre un ex ministro alla magistratura sarebbe dunque inaccettabile. Mi auguro che in aula Italia viva cambi il suo voto permettendo così alla giustizia di seguire il suo corso".


La risposta di Italia Viva

"No, non abbiamo salvato Salvini. Un po' di matematica. La Giunta per le immunità del Senato ha approvato la relazione del presidente 13 voti a 7, Italia Viva conta 3 senatori all'interno della Giunta: i nostri non-voti non sono stati determinanti. Hanno votato con la destra l'ex grillino Giarrusso e una senatrice 5 Stelle". Lo scrive su facebook il presidente di Italia viva Ettore Rosato. "Il voto nella Giunta non è definitivo, serve solo a fornire un parere: sarà l'aula del Senato a decidere sul processo a Salvini come accaduto sui casi Gregoretti e Diciotti. Perché ci siamo astenuti? - aggiunge - Perché abbiamo scelto la strada della coerenza. L'istruttoria della Giunta è stata incompleta: abbiamo chiesto più volte di avere alcune informazioni (ad esempio, se la decisione sulla #OpenArms era stata assunta solo da Salvini o vi era stato un avvallo del Governo nella sua collegialità) che ad oggi non ci sono state fornite e che aspettiamo di ricevere entro la data del voto in Aula". "Garantisti non a giorni alterni - sottolinea Rosato - Siamo alternativi a Salvini, noi non siamo mai stati al governo con la Lega e non abbiamo condiviso con lui i decreti Sicurezza, la politica dei porti chiusi o le polemiche contro le Ong che salvano le vite in mare. Vogliamo sconfiggere Salvini sul campo della politica, non in una aula di tribunale: siamo garantisti anche con i nostri avversari".


Pure l'Onu smentisce la sinistra: "I migranti non sono profughi"
Paolo Bracalini
Mar, 26/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 65683.html

Il dossier: «La metà di loro aveva un lavoro in Africa, partono per cercare fortuna e mandare soldi ai parenti»

L'immigrazione illegale come «investimento» per il futuro. Così scrive l'Undp (United Nations Development Programme) presentando la ricerca The Scaling Fences: Voices of Irregular African Migrants to Europes, realizzata intervistando più di 3mila immigrati provenienti da 43 diversi paesi africani e stabilitisi in 13 paesi europei (ma quasi la metà degli intervistati vive in Spagna e Italia, cioè i due porti di arrivo per il 90% di loro).

Il dossier, anche se realizzato da un'organizzazione fortemente terzomondista e immigrazionista come le Nazioni unite, conferma in realtà le tesi opposte. Perché sfata la propaganda secondo cui gli immigrati scapperebbero da guerre, carestia e povertà in cerca di asilo politico, e quindi ci sarebbe il dovere morale di spalancargli le frontiere. La realtà che raccontano i diretti interessati, arrivati quasi tutti con i barconi attraverso le rotte gestite dalla criminalità organizzata, è completamente diversa. Non solo non scappano dalla fame nè dalle persecuzioni politiche, ma anzi la metà di loro stava discretamente bene nel paese di origine, il 49% aveva un lavoro, in molti casi uno stipendio maggiore e un livello di istruzione più alto della media dei connazionali. Il 50% degli immigrati che lavorava, alla domanda se guadagnasse a sufficienza per farcela in Africa, risponde positivamente, addirittura il 12% dice che era in grado anche di mettere via risparmi. «In Gambia avevo una vita confortevole, non eravamo ricchi ma i nostri genitori si sono assicurati che fossimo istruiti e curati» racconta Mahmadou. E allora perché pagano cifre elevate per mettersi in viaggio, rischiando anche la pelle? Risponde Aziz, dal Senegal: «Alla fine tutti vogliamo le stesse cose nella vita: buona salute, lavori dignitosi, opportunità per le nostre famiglie e per noi stessi. E poiché molte persone non sentono di averle in Africa, vengono in Europa». Insomma migranti economici, puri e semplici. «La ricerca dimostra che quelli che sono partiti stavano relativamente meglio rispetto ai loro coetanei» si legge nel rapporto. Quali sono le più importanti motivazioni che ti hanno spinto a partire per l'Europa? chiedono ai migranti intervistati. Il 60% risponde «lavoro/mandare soldi a casa», il 18% «famiglia, amici», l'8% «istruzione», ma nessuno accenna a situazioni di pericolo in patria o di essere stato costretto.

Il loro è appunto un «investimento», anche consistente, mediamente di 2700 dollari, finanziati spesso dai parenti, per farsi portare illegalmente in Europa e poi, una volta lì, cercare un lavoro, una fonte di reddito, e quindi mandare soldi alle famiglie in Africa, gli «investitori» nel viaggio che quindi si attendono degli utili, un «return on investment» (Roi) scrive l'Onu utilizzando una espressione finanziaria. Il valore delle «rimesse» che il parente immigrato in Europa riesce a mandare a casa (lo fa il 78%) richiederebbe «40 anni per generare un'equivalente posizione economica in patria», scrive l'Onu. Quindi il ritorno dell'investimento, per quanto rischioso, è estremamente allettante. La migrazione clandestina può rappresentare «un salto di una generazione in termini di mobilità sociale». La ricercatrice Anna Bono, esperta di Africa, è stata la prima in Italia a spiegare che è la classe media africana, urbanizzata e tutto sommato benestante, a partire per l'Europa. «I risultati della indagine dell'Undp parlano chiaro - commenta su La Bussola Quotidiana -. Confermano che centinaia di migliaia di africani hanno raggiunto l'Europa illegalmente e per non essere respinti hanno mentito sostenendo di essere profughi in fuga da guerre e persecuzioni».






Palamara è la punta di un iceberg che rivela una democrazia illiberale e bloccata
Lucio Leante
26 maggio 2020

http://www.opinione.it/editoriali/2020/ ... ini-craxi/

Le verità emerse dalle intercettazioni di un magistrato influente, Luca Palamara, e di alcuni giornalisti, non possono essere minimizzate e ridotte ad un caso patologico circoscritto. Esse sono solo la punta di un iceberg sotterraneo che rivela non solo un mercato di posti e di carriere tutt’altro che meritocratico, ma anche la reale esistenza (sempre negata) di un “partito dei giudici” (in specie dei Pm), diviso in correnti e partitini, nonché quella (anch’essa sempre negata) di un “circo mediatico-giudiziario”. Il loro “combinato disposto” inficia la natura stessa della democrazia italiana che appare ormai chiaramente come una democrazia – almeno in parte – illiberale e bloccata. Nell’insieme il fenomeno mette in questione non solo la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario italiano, ma anche la tenuta democratica del sistema politico.

La risposta delle istituzioni deve essere quindi adeguata alla gravità e profondità del fenomeno canceroso che sta emergendo e rende necessaria ed urgente non solo una riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura ma anche una riforma generale del sistema giudiziario che metta il cittadino al riparo degli arbitri di una magistratura (soprattutto quella requirente) fuori controllo, ma anche il sistema politico italiano da un blocco di potere politico-mediatico-giudiziario che mira ad esercitare (e ha mostrato di poterlo fare) un potere di veto su chi possa governare l’Italia e chi no. Basti ricordare che due governi italiani (quello di Silvio Berlusconi nel 1995 e quello di Romano Prodi nel 2008 caddero per inchieste giudiziarie rivelatesi poi improprie e forse anche politicamente “orientate”. Che si tratti solo della punta di un iceberg è facilmente deducibile da una semplice constatazione di buon senso: se l’intercettazione di un solo magistrato influente (capo di una corrente di magistrati) ha fatto emergere una tale messe di interessi politico carrieristici, si può immaginare cosa sarebbe emerso se ad essere intercettato non fosse stato il solo Palamara.

Che la credibilità della magistratura, dei suoi provvedimenti e delle sue sentenze e del diritto stesso ne esce seriamente inficiata è deducibile dal fatto che quelle intercettazioni mostrano come vi siano magistrati che considerano il diritto una maschera che nasconde altre logiche o come un elastico che si può estendere e piegare ad arbitrio del magistrato. È questa la conclusione logica del fatto che un magistrato possa dire quel cittadino (poco importa per il momento che nell’intercettazione parlasse di Matteo Salvini) “va attaccato, anche se ha ragione”. “Ma che dite?”, si è detto sempre a chi parlava della giustizia italiana come di una “lotteria” e a chi parlava di “partito dei giudici” (dei Pm in particolare) e di “circo mediatico-giudiziario”. “Bisogna avere fiducia nella magistratura”, ci si diceva. E anche: “I magistrati fanno semplicemente il loro lavoro: lasciateli lavorare in pace”. “La giustizia deve fare il suo corso – si aggiungeva – e alla fine trionfa sempre”.

Ebbene oggi quelle frasi non possono più essere proferite: appaiono come retoriche difese d’ufficio, semplici e risibili tartuferie ed anzi uno sberleffo offensivo alla ragione, al buon senso e alla verità. Il “re-magistrato” è ormai nudo. Che le intercettazioni mostrino che la democrazia italiana ha assunto il carattere precipuo di una democrazia illiberale, risulta chiaro dal fatto che tale definizione merita quella democrazia, in cui pur svolgendovisi libere elezioni, uno dei poteri dello stato travalichi dai suoi limiti e sconfini e usurpi potestà proprie degli altri poteri dello Stato, a maggior ragione se addirittura si sovrapponga alla sovranità popolare. I democratici italiani, e persino alcuni liberali, alla ricerca costante di un Mussolini di turno, si sono abituati a tenere d’occhio solo le estroflessioni del potere esecutivo. Si sono resi così meno sensibili alle improprie estroflessioni del potere giudiziario. Questo spiega in parte perché le ipertrofie del potere giudiziario, pur divenute già alla fine del secolo scorso particolarmente acute, non abbiano trovato e non trovino nella stampa liberaldemocratica e nell’opinione pubblica italiana una adeguata reazione di contrasto.

Si è trattato di estroflessioni verso i domini di tutti gli altri poteri dello stato: da quello parlamentare a quello esecutivo, nella sfera amministrativa e persino in quella dei servizi segreti. Il partito dei magistrati ha tenuto ad affermare ed estendere il suo potere dovunque. Chi è interessato potrà trovare una documentazione nel libro Magistrati scritto dall’insospettabile Luciano Violante. Non si tratta di un fenomeno nuovo. C’è stato chi da tempo ha denunciato – come l’ex presidente Francesco Cossiga – l’emergere di un potere autocratico della magistratura politicizzata, non controllata da alcun altro potere dello Stato e pertanto tecnicamente irresponsabile e “Superiorem non recognoscens”. C’è stato chi ha rilevato che indipendenza e l’autogoverno della magistratura non possono significare in una democrazia liberale un’assoluta irresponsabilità e una restaurazione dell’arbitrio del principe, in veste di magistrato; c’è stato chi ha rilevato le aporie dell’obbligatorietà dell’azione penale e dell’unità delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. C’è stato chi ha parlato per l’Italia di “Repubblica delle procure” e di “democrazia giudiziaria”.

Sono state denunce cadute nel vuoto per il potere di interdizione che la magistratura politicizzata ha mostrato di possedere, anche grazie al complice e suicida comportamento della sinistra politica, in cerca di supplire, con il potere giudiziario supposto amico, alle sue insufficienze. Ora che quel potere ha dimostrato la sua “autocrazia” ed autoreferenzialità, una parte (solo una parte) della sinistra politica se ne pente, ma sembra ormai troppo tardi. Che infine quelle intercettazioni mostrino che la democrazia italiana è una democrazia bloccata risulta evidente dal fatto che tale deve essere considerata quella democrazia in cui per qualche ragione vi sia una più o meno sotterranea ed occulta “Conventio ad excludendum” contro una delle parti politiche in competizione ritenuta a torto o a ragione “impresentabile” o “anti–sistema”.

Si tratta di un tacito patto tra forze diverse (politiche, giudiziarie, mediatiche, burocratiche ed economiche) che convengono sull’ obbiettivo comune di fare di tutto per impedire l’accesso al potere di governo delle forze politiche da escludere o per destabilizzare lo stesso governo quando quelle forze per avventura riescano ad accedere al potere. Contro di esse, ed in particolare contro i suoi leader, ritenuti a torto o a ragione “anti-sistema”, agisce una sorta “fattore K” (copyright di Alberto Ronchey, per chi ricorda) di esclusione, della stessa specie di quello che agiva contro il Pci, che, negli anni della guerra fredda, anti-sistema lo era per davvero, per le sue mai interrotte relazioni pericolose con l’Urss, avversario principale strategico della Nato e quindi dell’Italia. Un analogo fattore di esclusione agì contro Bettino Craxi negli anni ‘80 e primi ‘90 del secolo scorso, e così pure contro Silvio Berlusconi negli anni successivi e così oggi avviene in particolare per Matteo Salvini ritenuto un leader xenofobo, cripto-fascista e anti-sistema in quanto sovranista anti-europeo e in cerca di “pieni poteri”.

Di solito il primo stigma che viene attribuito agli avversari è quello di essere dei “fascisti in pectore”. A tale fine giova molto quella koinè del politicamente corretto che è l’antifascismo metafisico e immaginario. Quando non funziona lo stigma antifascista ed anti razzista, in subordine diventa rilevante lo stigma “dell’anti–sistema”. Sorvoliamo qui sul fatto che sia Craxi, sia Berlusconi, sia Salvini, non abbiano fatto molto per non attirare su di sé il marchio di essere, chi in un modo chi in un altro, delle “pecore nere anti-sistema”. In una certa misura molti leader politici sembrano affetti da una sindrome autolesionista. In ogni caso è certamente vero che se in un altro Paese a regime democratico liberale le intercettazioni di un solo magistrato influente avessero scoperchiato un immondo verminaio di scambi occulti di cariche nella magistratura; se avessero fatto sorgere il sospetto che in quel Paese il diritto fosse divenuto una lotteria per tutti; e che la magistratura fosse divenuta un potere preponderante e per di più “Superiorem non recognoscens” perché non controllato da alcun altro potere esterno ad essa e perciò tecnicamente “irresponsabile”; e se fosse emerso che in quel Paese agisse un blocco di potere occulto tale da farne una democrazia illiberale e bloccata; se tutto questo fosse emerso le reazioni sarebbero state molto più vaste e profonde di quelle che si vedono in questi giorni in Italia. Sarebbero state aperte inchieste parlamentari e giudiziarie. In Italia, invece, non avviene nulla di tutto ciò. I grandi giornali riducono la vicenda ad un trafiletto.

Il Parlamento ha altre rogne da grattare. Tutto viene ridotto ad una patologia eccezionale che riguarda uno o pochi magistrati. In un altro Paese probabilmente il capo dello Stato convocherebbe una sessione straordinaria (magari “informale” come fece nell’aprile del 1992 Francesco Cossiga in difesa di Giovanni Falcone) del Consiglio superiore della magistratura per accertare le dimensioni del fenomeno e per cominciare a porvi rimedio. Forse interverrebbe solennemente con un messaggio alle Camere perché il Parlamento costituisse una commissione di inchiesta sulle deviazioni della magistratura organizzata. Una riforma del sistema giudiziario italiano è, infatti, ormai necessaria ed urgente. Così pure sembra improcrastinabile una riforma del sistema elettorale dei membri togati nel Csm che elimini le correnti con un sorteggio in prima battuta (tra i magistrati di Cassazione) dei candidati (tra cui eleggere in seconda battuta i membri togati del Csm da parte di tutti. Non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione per fare le necessarie riforme della giustizia in Italia.


LO SVILUPPO È POSSIBILE SOLO GRAZIE ALLA LIBERTÀ
27 maggio 2020
Enzo Trentin

https://blogdiet.wordpress.com/2020/05/ ... a-liberta/


La libertà come valore guida non è benessere, né partecipazione sociale, né duro lavoro, né buona istruzione, e nemmeno giustizia. L’inequivocabile senso fondamentale della libertà è l’assenza di costrizione e lo sprone all’attività individuale. Potremmo utilizzare queste parole per stigmatizzare le discutibili disposizioni del governo giallo–fucsia a contrasto del Covid-19.libertà-1

Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, in altra occasione ha tentato una analisi. Egli pone il duplice interrogativo: qual è l’obiettivo dello sviluppo economico e sociale? E con quali presupposti lo sviluppo ha un esito felice? A entrambe queste domande egli risponde: la libertà, o meglio – e la distinzione è importante – le libertà. Secondo questa concezione, lo sviluppo è «un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani» [Amartya Sen, Development as Freedorn, Oxford 1999, p. 36 – trad. it. Lo sviluppo è libertà, Milano 2000, p. 41]. Dunque la libertà svolge da una parte un ruolo costitutivo, ossia dal suo incremento si misura il successo dello sviluppo; dall’altra, ha un ruolo “strumentale”, ossia lo sviluppo è possibile solo grazie alla libertà, o più precisamente a determinate “libertà”. Qui si pensa sempre anche alla ben nota tesi di Sen, secondo cui le carestie catastrofiche non si verificano quasi mai nei paesi liberi, in particolare in quei paesi che godono di libertà di stampa e di opinione, perché essi in sostanza si fondano non già sulla disponibilità di viveri, bensì sull’accesso a questi, e quindi sui diritti degli interessati, che diventano efficaci in condizioni di libertà [Amàrtya Sen, Poverty and Famines. An Essay on Entitlernent and Deprivation, Oxford 1997].

Detto en passant: l‘autorevole associazione internazionale Reporters Sans Frontiers colloca l’Italia al 41 esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, scendendo di 1.29 punti rispetto al 2019. Ghana, Sud Africa, Burkina Faso, Botswana, sono solo alcuni dei paesi dove vi è una maggiore libertà di stampa rispetto all’Italia. E questo ci conduce alla qualità di molti lettori. Si sa che le critiche non piacciono a nessuno; ma certi sedicenti indipendentisti veneti si lamentano delle critiche rivolte alla scarsità delle loro proposte politico-istituzionali e gradirebbero una maggiore benevolenza, in ciò non considerando che questo tipo di giornalismo è esattamente quello proposto dai Deep Pockets (letteralmente tasche capienti) che essi disprezzano.

La libertà e l’eguaglianza segnano due diversi modi di considerare i rapporti sociali. Chi vuole anzitutto l’eguaglianza, perde spesso per strada la libertà. Vale sicuramente anche il contrario. Dovremmo invece riflettere sul fatto che in realtà la diseguaglianza è un elemento della libertà. Una società libera lascia molto spazio alle differenze tra gli uomini, e non solo a quelle di carattere, ma anche a quelle di grado. La diseguaglianza non è più compatibile con la libertà quando i privilegiati possono negare i diritti di partecipazione degli svantaggiati, ovvero quando i danneggiati restano nei fatti del tutto esclusi dalla partecipazione al processo sociale, economico e politico. A ciò esiste un solo rimedio, la dotazione elementare garantita a tutti. In essa rientrano i diritti fondamentali di tutti i cittadini, ma anche un livello di base delle condizioni di vita, e la prestazione di certi pubblici servizi accessibili a tutti.


Edward Luttwak è nato in Romania (1942) da una famiglia ebraica che dopo la seconda guerra mondiale si rifugiò in Italia per scappare dai sovietici. Durante la sua infanzia Luttwak ha vissuto a Palermo e poi a Milano. Per questo ha mantenuto per l’Italia un interesse e un’attenzione costanti, anche diventando un esperto di geopolitica di fama internazionale. È anche un economista, politologo e saggista naturalizzato statunitense, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e politica estera, esperto di politica internazionale e consulente strategico del Governo degli Stati Uniti. Per una parte della sua saggistica, alcuni lo considerano “l’ideologo” vincitore della cosiddetta terza guerra mondiale. Quella contro il comunismo.

In una recente intervista rilasciata la periodico Affari Italiani, dal titolo: “L’Italia è in crisi perché è prigioniera di una casta” [ https://www.affaritaliani.it/politica/l ... 66031.html ] dichiara tra l’altro:

«Secondo le statistiche tra i 196 Paesi del mondo l’Italia è il numero 8 per ricchezza totale. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi del mondo eppure deve andare in giro come un mendicante perché è occupato da una casta. Questa è la ragione del perché lo Stato italiano non può funzionare. E non può funzionare a causa del sistema legale che è il sistema nervoso dello Stato. Ogni volta che qualcuno ha cercato di riformare questo sistema legale italiano, per aver una magistratura europea, viene bloccato dai magistrati che aprono un qualche processo contro di te o un parente”. […] In Italia non c’è giustizia. L’Italia è un Paese occupato da caste. E la principale casta è quella dei magistrati, uno dei corpi più lenti e improduttivi del mondo. Qualcuno non ti paga, tu lo porti a processo, lui perde, va in appello, riperde, va in appello di nuovo, poi va in Cassazione e il giudice della Cassazione non scrive la sentenza per un anno, per due anni, per tre anni. È successo. Se il poveretto che non è stato pagato ormai da 15 anni chiede al suo avvocato di fare una protesta, di fare qualcosa questo gli risponderà “per carità”. Poi il magistrato andrà in pensione e un altro giudice prenderà l’incarico e rivaluterà gli atti. Come può funzionare uno Stato così?»

E infatti, dallo stesso giornale [ https://www.affaritaliani.it/puglia/arr ... refresh_ce ] apprendiamo che non c’è solo il “Caso Palamara” con le indagini a carico del capo dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati, il sindacato dei magistrati), indagato per corruzione e per interferenze nelle nomine di altri magistrati che non sono ancora terminate; c’è anche il caso del PM Capristo, della Procura di Taranto, ultimo arrestato in ordine cronologico con le accuse di truffa e corruzione, che si aggiungono a quello del PM di Siracusa Giancarlo Longo condannato a 5 anni per corruzione e quello di Antonio Savasta ex PM di Trani a processo sempre per corruzione su cui pende la richiesta di 10 anni di reclusione. E chissà cos’altro che ci è sfuggito.

È chiaro come questo rapporto Stato-Cittadino sia disallineato, e svantaggioso sia per la libertà, come per un corretto esercizio della democrazia. Comprensibile quindi che ci sia una parte della cittadinanza che anela all’indipendenza di parte dei popoli e dei territori che oggi sono identificati come Italia e italiani. Ci sono quindi degli indipendentisti che nei loro rapporti politici hanno scoperto di aver rinnegato il cuore stesso dell’etica professata dallo Stato italiano. Per dirla con una battuta di Woody Allen: «I politici italiani hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca più sotto di quella di un maniaco sessuale» il salvataggio del Ministro [ https://www.ilmessaggero.it/politica/bo ... 37092.html ] Alfonso Bonafede sembra esserne un esempio, considerato che avrà una contropartita per Matteo Renzi e i suoi salvatori-sodali di Italia Viva.

Un’etica è un quadro di riferimento, o un principio guida, spesso di natura morale. Le persone con una forte etica del lavoro credono che il duro lavoro sia una buona cosa in sé. Un’etica sociale può includere “trattare le persone come vorremmo che loro ci trattassero”. L’etica può riferirsi anche alle regole morali che si seguono Curruzionenella vita. Per esempio potreste dire: «Imbrogliare non fa parte della mia etica personale.» In questo modo tutti sapranno che siete una persona irreprensibile e non si aspetteranno mai di essere truffati da voi. Come diceva il defunto Cardinale Carlo Maria Martini: «Il livello di allarme si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso.»

Tuttavia ci sono anche dei sedicenti indipendentisti dalla psiche disturbata che non possono assistere al trionfo dei loro istinti più bassi e contemporaneamente essere in pace con se stessi. Per raggiungere questa pace, hanno razionalizzato le cose sostenendo che il mandato di rappresentanza che ottengono attraverso il voto, non è vincolante; e nemmeno si rendono conto che ciò è in contrasto con l’istituto stesso della rappresentanza. Questo tipo di etica sociale è razionalmente inspiegabile e moralmente ingiustificabile. Infatti, se l’elettore vota un rappresentante perché convinto della bontà del suo programma politico, o perché vede nel rappresentante stesso la possibilità di perseguire dei propri fini politici, e l’eletto esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, è la stessa democrazia rappresentativa che ne viene incrinata.

Dovremmo anche imparare che il gemello inseparabile dell’ingiustizia politica è l’ingiustizia economica. I sistemi della segregazione, per esempio, finiscono con lo sfruttare il negro tanto quanto il bianco povero. Attraverso queste esperienze si deve accrescere la profonda consapevolezza delle varie forme di ingiustizia della nostra società.

La nostra società va modificata, perché oltre ad essere profondamente ingiusta, tende a premiare la “disinvoltura” e i “disinibiti”. Per esempio, nel corso della campagna elettorale per le regionali del Veneto del 2015, ci fu un candidato che percorse il territorio in lungo e in largo dichiarando a gran voce d’essere l’unico ex Consigliere che aveva rinunciato al vitalizio. Non era vero. Oltre al consigliere regionale di Idv Gennaro Marotta ad aver rinunciato all’assegno pensionistico del Consiglio regionale risultarono essere anche Alessio Morosin, consigliere regionale della Liga Veneta nella sesta legislatura (1995-2000), e Andrea Causin, consigliere regionale del Pd (2005-2013).

Insomma, come andiamo da tempo segnalando, il campo indipendentista ha delle enormi potenzialità, ma sinora ha dimostrato scarse capacità di proposte politico-istituzionali innovative e tendenti alla libertà.

Gennaro Marotta dichiarò [ http://www.veniceonair.com/consigliere- ... italizio/# ]: «Ritengo che non sia tollerabile, soprattutto in politica, un diritto che appare ai più un privilegio: a fronte di 1 euro di contribuzione versata, un consigliere regionale oggi matura un trattamento pensionistico che vale sei volte tanto.» Tutti i rinunciatari al vitalizio, in ogni caso passarono all’incasso delle trattenute operate in busta paga nel corso della legislatura. Cosa che, per esempio, non può fare quel semplice cittadino che ha versato contributi all’INPS, senza aver raggiunto il minimo pensionabile.

Insomma, come andiamo da tempo segnalando, il campo indipendentista ha delle enormi potenzialità, ma sinora ha dimostrato scarse capacità di proposte politico-istituzionali innovative e tendenti alla libertà.
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